Everybody wants to change the world, but nobody wants to die

WHAT IF - Noah/Jungkook e Eva

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    INITIUM

    Un lungo mormorio basso abbandonò le labbra di Eva mentre ultimava di analizzare le poche informazioni comparse sullo schermo posto proprio al fianco dell'ingresso della camera del paziente, assorbendo ogni minimo dettaglio nel far scorrere lo sguardo su quei riquadri che contenevano un riassunto sintetico della situazione. Altezza, peso, gruppo sanguigno e, infine, anche i tratti gentili e giovani del viso in una piccola foto che rispuntò quando le dita tornarono alla prima pagina del fascicolo elettronico. Non è venuto nessuno a fargli visita? Domandò mentre spostava la mano nella tasca dei pantaloni proprio come l'altra e ricevette un "no" secco in risposta da parte dell'uomo a poca distanza da lui, uno dei numerosi addetti ai pazienti in quella particolare fase. Lo sguardo di Eva tornò alla porta della stanza: non aveva pomelli o serrature di sorta, per aprirla sarebbe stato necessario far scorrere una carta che gli pendeva dal collo, accuratamente riposta all'interno di una bustina in plastica. Quindi gli occhi cangianti si spostarono sul cartellino dell'uomo che sembrava essere già impegnato a far altro, forse a consultare ulteriori documenti su un tablet con cui sembrava vagare in giro per quei corridoi di continuo. Che tristezza, non credi? Lo interrogò davvero non interessato alla risposta dell'uomo, strizzando appena gli occhi su quel rettangolo d'informazioni per individuarne il nome abbreviato e poi il cognome, tuttavia non lo reputò degno d'altrettanta attenzione. Non era raro che i pazienti venissero abbandonati a loro stessi, senza avere la possibilità di vedere nessun altro durante tutto quel periodo se non chi ronzava fra quei corridoi perché impiegato nell'area Omega. Spesso sradicati dalle strade o messi nelle mani dell'Istituto proprio da quelle famiglie che avevano trovato un modo per liberarsene - una volta per tutte o per un tempo sufficiente da concedere loro lo spazio necessario per assaggiare un po' della tanto agognata "libertà" - era difficile vedere degli esterni passeggiare per quegli ambienti. La maggior parte delle volte venivano fatti entrare in una stanza ai piani superiori e immersi in qualche suggestione mentale così da avere l'impressione di poter far visita ai loro cari estrapolati dalle profondità dell'Istituto e sazi, in salute, sereni. Una delle tante illusioni di quel labirinto di specchi. L'uomo si limitò ad alzare le spalle ed Eva ipotizzò di potersi trovare nella stessa posizione dell'uomo: che importava ciò che provavano quelle persone, in fin dei conti? Tuttavia quel sentimento di noiosa indifferenza si incastrò con ben altri pensieri nella testa di Eva che, fattosi più vicino all'altro, sembrava essere pronto a fargli una semplice richiesta. Hai il tempo di rimanere nei paraggi per un po'? Mi basta una mezz'ora. L'uomo annuì, e quindi Eva, dopo avergli rivolto un'altra domanda, passò la carta contro le fessure del lettore e fece il suo ingresso nella stanza.
    Nel percorrere le scale verso l'alto, le pupille dilatate per via della penombra che lo circondava senza spaventarlo, Eva si domandò che cosa avrebbe trovato sul finire di quel tunnel in salita che stava attraversando passo dopo passo. Bizzarro. Sembrava aver individuato qualche spiraglio di luce alla fine del suo tragitto e l'aveva reso il suo obiettivo principale, sperando di non dover vagare ancora a lungo in ambienti labirintici. Il materiale doveva essere pietra, interrotta di tanto in tanto da qualche crepa a cui dover porre attenzione, in modo da scongiurare una brutta caduta, o qualche filo d'erba che, ribelle, spuntava da quelle stesse ferite nella roccia donando qualche tocco di colore a quella scalinata altrimenti spoglia. Le dita di Eva trovarono un corrimano alla sua destra e si appoggiò ad esso, scongiurando perdite di equilibrio o ancor peggio una caduta nel vuoto. Non si era mai certi di ciò che poteva succedere nell'immaginazione degli altri, soprattutto se si trattava di quella di un paziente, tuttavia il giovane aveva chiesto al collega di utilizzare la sua particolarità in modo da mostrargli ciò che l'altro ragazzo contenuto nella stanza avrebbe voluto vedere in quel momento. Permettendo all'uomo di valicare le alte difese della mente di Eva, lui stesso si calò in quell'effetto ottico e del tutto reale che la mente del paziente stava amplificando, fagocitando entrambe le figure e preparandole ad un incontro sicuramente singolare. Ansioso di poter varcare per una seconda volta la soglia di quella stanza, finalmente sembrò aver raggiunto l'ultimo gradino: davanti a sé una porta, questa volta in legno. La luce gli stava tagliando timidamente il viso attraverso delle fessure fra il materiale del pannello e, allungata la mano verso il pomello in ferro, Eva venne accolto da quella che sembrava essere una sterminata radura in fiore. Non esistevano limiti al suo sguardo che, resosi due spilli in reazione al cambio di luminosità fra i due ambienti, iniziò ad indagare le forme di quella fantasia, avido di dettagli tanto invitanti per lo sguardo che sembravano essere usciti fuori da uno dei suoi dipinti preferiti. Come poter immaginare altro, se si era un povero animale in gabbia, se non un vento gentile che accarezzava i capelli biondi, l'erba verde e lucida, narcisi selvatici, campanule e papaveri che si flettevano al passaggio delle mani fugaci e trasparenti della brezza? Mettendo da parte i più malinconici pensieri, Eva iniziò a muovere qualche passo in quell'ambiente che, per essere fittizio, aveva tutta l'impressione di essere stato studiato nei minimi dettagli. Alzò un braccio così da schermare il volto dal sole; il cielo era terso, giusto qualche soffice nuvola giocava a rincorrersi per poi gettarsi dietro delle montagne scoscese, dai crinali dominati di un bianco che sembravano tocchi di colore che quei raggruppamenti di vapore acqueo si lasciavano dietro. Non aveva mai avuto l'occasione di posare lo sguardo su un ambiente del genere, tuttavia l'avrebbe accostato ad uno di alta montagna o, per lo meno, un quadretto uscito fuori da qualche mente affezionata a tal punto alla natura. Mentre si distanziava di metri dal punto d'origine, non poté che interrogarsi su quale fosse la mente che aveva generato uno scenario fantastico come quello.
    Dove si nasconde? Non proprio intenzionato a saltare fra le zolle d'erba come una volpe nel bel mezzo di una caccia al topo di campagna che avrebbe riempito il suo stomaco per la nottata, Eva era alla ricerca di un punto di riferimento in quella distesa di verde che iniziò ad attraversare a passo sicuro, pur non avendo la benché minima idea di quale direzione fosse la più giusta da prendere. Si limitò a percorrere il tragitto davanti a sé, voltandosi solo una volta verso ciò che si era lasciato alle spalle: a quanto pare era uscito fuori da una casupola con le tegole rosse, in parte mangiata da delle piante rampicanti e anch'esse in fiore. La porta non si era richiusa dopo aver costituito la via d'accesso per Eva a quel mondo d'immaginazione e il cigolio del pannello che oscillava secondo i voleri degli zefiri si mescolava ad un sereno silenzio che dominava su tutta la scena. Nel camminare verso una destinazione ignota si rese conto di star percorrendo una discesa e, allargando le braccia per mantenere l'equilibrio, si trovò addirittura a dover saltare un ruscello che tagliava a metà la zona da cui era spuntato fuori da quella che costituiva la sua meta. Sempre più accigliato, Eva continuò a camminare fino a quando, finalmente, non si arrestò: il vento si fermò insieme a lui d'improvviso e, nell'alzare lo sguardo al cielo, il giovane poté notare come il sole si fosse spostato alla sua stessa velocità. Ora ancor più vicino alle montagne sembrava essere sul punto di tramontare, salutando definitivamente quella scena per dare spazio alla notte. Mancava ancora del tempo e, spronato da una folata di vento a continuare a camminare, infine apparve una struttura in legno a diversi metri di distanza da lui. Era una piccola casetta e non si adagiava direttamente sul terreno, ma era circondata da una base in cemento con una breve scalinata di pochi gradini, tinta di bianco. Di fronte ad essa sarebbe stato difficile ignorare uno specchio d'acqua che, più Eva si avvicinava, più sembrava allargarsi. Si domandò se sarebbe stato in grado di raggiungerla prima che il giorno giungesse al suo naturale termine ma, notando l'erba diradarsi per dar spazio ad un sentiero in terra battuta, immaginò di aver raggiunto infine il suo punto d'arrivo. Coperto dagli stessi abiti che aveva addosso prima di essere catapultato in quella scena di pura luce, Eva poté avvertire con facilità il cambio di temperature dovuto all'imbrunire e, pur non soffrendo normalmente il freddo, si trovò a rinchiudersi le braccia al petto, provando in qualche modo di raccogliere quanto più calore potesse così da non farlo fuggir via insieme ad ogni fiato di vento che gli accarezzava il viso e s'intrufolava sotto il tessuto della camicia bianca.
    Pur trattandosi di una vera e propria fantasia, Eva si era stancato di tutto quel camminare. Per quanto fosse abituato a diversi tipi di stress fisici e psichici, non aveva mai provato la sensazione di essere costretto a viaggiare per un intero giorno così da poter raggiungere una persona di cui conosceva tutto senza averla mai incontrata davvero. Afflitto da un improvviso dolore alle gambe, quindi, si lasciò andare contro la scalinata, volgendo le spalle al tramonto che, ruggendo di magnifici e vivaci colori, sembrava proprio dar l'idea di essere uno dei più meravigliosi su cui Eva avrebbe mai potuto posare lo sguardo. Ma il giovane, umano anche in quell'universo fantastico, non dava proprio l'idea di voler interagire con tutto ciò che lo circondava, intenzionato piuttosto a metter fine a quella ricerca in cui lui stesso si era gettato senza che, in verità, nessuno gliel'avesse chiesto in modo esplicito. Sbuffò e lasciò ciondolare le braccia fra le gambe flesse contro i gradini delle scale bianche, afflosciando anche il capo al petto, provando a riprendere fiato da quell'inusuale stanchezza che lo colpì in una sola volta. Se solo avesse girato il volto avrebbe potuto notare come i colori del gruppetto di fiori su cui aveva posato distrattamente lo sguardo avevano preso a tingere anche il cielo; di un particolare arancione infuocato, i gigli erano macchiati da tocchi più scuri e ondeggiavano alla brezza serale in una silenziosa danza comune, seguendo il tempo di una musica che forse solo loro erano in grado di udire. Fu quando avvertì il tintinnare di alcune campane che l'attenzione di Eva venne infine richiamata e, girandosi, poté cogliere la figura del paziente che usciva dalla struttura in legno. Rimase per diversi secondi in silenzio, immaginando di non essere stato notato per via del fatto che lo sguardo del giovane non si posò su di lui, studiandone le azioni, curioso di registrarne le reazioni a quel tramonto che parve fargli da aureola. Oh, tu devi essere... Sgranò leggermente gli occhi, mentre dei pensieri prendevano corpo sotto forma di un sussurro che rivolse a se stesso. Noah. Lo chiamò con tono serio ma non alterato, girandosi sul posto senza però abbandonare la posizione seduta e, non attendendo di essere guardato né pretendendolo, perché significava per l'altro staccare gli occhi da quella scena che si stava manifestando davanti a loro, continuò a parlare. Sai dove ti trovi? Si rivolse al giovane paziente con fare interrogativo, davvero curioso di sapere se quella in cui era stato trasportato fosse davvero una realtà che apparteneva alla memoria dell'altro oppure interamente frutto della sua immaginazione. Per quanto l'avesse trovata una scomoda trovata, non avrebbe avuto modo di negarle una certa bellezza: quel posto, in fin dei conti, emanava una strana forma di sicurezza, un riparo sperduto nel nulla. Non seppe precisamente quando, ma aveva smesso di aver freddo, così come non si sentiva più stanco. Quindi, sollevatosi dalle scalinate raggiunse con cautela la figura di Noah, prendendo posto accanto a lui pur non avvicinandosi eccessivamente, più per paura di spaventarlo che di ricevere qualche violenta reazione da parte dell'altro. Le mani trovarono posto nelle proprie tasche e lo sguardo, pigramente immerso in quello spettacolo che altri avrebbero reputato meraviglioso, fece per spostarsi con lentezza sui lineamenti del giovane accanto a lui. Hai un'immaginazione ancora parecchio attiva per essere stato rinchiuso in una stanza per tanto tempo. E devono piacerti davvero i tramonti... Mormorò, tornando con gli occhi al cielo dove in una sinfonia armonica i colori avevano trovato il loro preciso posto in quel miscuglio tanto confuso quanto studiato dalla luce.
     
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    Qual è il tuo nome? Quanti anni hai? Hai subito operazioni chirurgiche? Qual è il tuo gruppo sanguigno? Che tu sappia, soffri di patologie croniche o allergie? Suoni vuoti e domande apparentemente innocue avevano segnato per sempre il futuro che incerto si dispiegava davanti agli occhi di Noah, preda delle grinfie acuminate e ineludibili del Mordersonn Institute. Ormai da settimane non riusciva più a distinguere il confine tra sonno e veglia, imprigionato nei vapori densi e statici di droghe che silenziose gli scivolavano nelle vene, rendendolo innocuo, acquiescente e sottomesso ad un trattamento a cui lui non aveva mai acconsentito; l'attimo prima era giunto il buio, quello dopo la luce asettica del neon d'una stanza d'ospedale. Non era però la reclusione ciò che realmente lo faceva sentire in trappola, bensì la continua sensazione di essere usato, di essere schiacciato da aspettative di sconosciuti che violandolo gliele avevano impresse nella pelle, in bocca, sotto le palpebre. Particolarità, questo cercavano con tanto zelo, eppure Noah non ne aveva mai sentito parlare. Non era mai stato un individuo particolare, non possedeva nessuna caratteristica che non fosse comune a quella di tutti gli altri esseri umani con cui era entrato in contatto: era emotivo, voleva sopravvivere, respirare, andare avanti un altro giorno ancora - cosa c'era di particolare in questo? Gli scienziati dell'organizzazione tuttavia parvero non essere dello stesso avviso, esaminandolo sino all'ultimo centimetro del corpo che nei giorni si assottigliava e perdeva le sue forze mai sufficientemente da cadere in un torpore mortale, e mai troppo poco da permettergli di fuggire o lottare. Le precise e posate richieste della fase uno erano mutate mostruosamente in scrupolose e crudeli ricerche nella fase due, periodo durante il quale Noah realizzò pienamente d'essere stato rapito e di essere diventato una cavia per esperimenti. Tessuti, cellule e fluidi, da carne viva si trasformavano in numeri e dati, non più parti di un corpo umano con una storia ed un vissuto, ma effimere porzioni digitali, campioni prelevabili in ogni momento. Non appena mi svegliano, devo scappare. Devo scappare via. Non passava giorno in cui Noah non formulasse pensieri simili, volti a riconquistare la libertà che gli era stata strappata di dosso, pronto a dare persino la vita per non passare ancora un altro giorno tra quelle mura infernali, eppure, iniziata la fase tre, l'abbraccio soporifero della droga iniziò ad allentarsi, e ad esso subentrò quello della disperazione. Era ancora nell'istituto, solo; nessuno sarebbe andato a cercarlo nè a riprenderlo, ed era stata soltanto colpa sua. Ricercava una scappatoia, il contatto umano, tanto voracemente da essere schiacciato dalla solitudine; era stato lui a far perdere le proprie tracce, a tagliare i ponti con la sua famiglia, a sparire sino a diventare invisibile. Eppure, tagliato dall'affilata lucidità della sua mente, ora aveva capito: nessuno l'avrebbe mai cercato anche se avessero potuto. Il desiderio di riscatto non si era assopito, ma era stato pericolosamente affiancato da quello di autodistruzione.
    Noah allora non si mosse, rimandando la sua battaglia a quando le fiamme della determinazione lo avrebbero avvolto ancora una volta, e nel mentre, si consumava in quel bianco letto d'ospedale, accarezzato dagli illusori premi che gli erano stati concessi dal personale dell'organizzazione. Cibo, movimento, persino visite gli erano state offerte dagli stessi individui che sino a pochi giorni prima si erano occupati di scavare in ogni sua fibra alla ricerca di qualcosa che era certo di non poter dar loro. Non credeva a nessuna parola che veniva cortesemente proferita da quelle persone, eppure non capiva perchè i sedativi fossero stati bloccati, torturandolo in maniera ancora peggiore rispetto ai giorni precedenti - quantomeno, prima sarebbe stato inconsapevole di ciò che lo circondava, mentre adesso, ogni più piccolo dettaglio scoccava il suo velenoso dardo, pronto ad ucciderlo ancor prima di chiudere gli occhi. Aveva quindi abbassato le palpebre in modo da non dover nuovamente lottare, e quando le risollevò, la sua stanza aveva preso ad appannarsi, diradarsi in nebbie oniriche che lo avevano condotto nella sua stessa testa, lontano dalla sofferenza, dal rimorso e dalla rabbia che lo annientavano, sostituendole con l'unico ricordo che lo avrebbe sempre fatto sentire al sicuro. Lo so.. Lo so. Sarà così, potrai andare presto via, ormai le analisi sono quasi terminate, e per questo abbiamo pensato di ringraziarvi per la vostra pazienza facendovi stare più comodi. Riposa in questi giorni, il programma è quasi finito. Ogni parola vibrava nell'eco di se stessa, ora che intrappolato nel proprio sogno, Noah non aveva intenzione di risvegliarsi. Aveva bisogno di lasciare il Mordersonn e quelle terrificanti analisi nel passato, in un mondo in cui sarebbero state tanto effimere quanto i gradini di casa di zia Sarah, dove ora era seduto. La luce del tramonto e le ombre che ne seguivano non erano mai state così belle. Per quanto brevemente quel luogo si fosse intrecciato con il suo cammino, Noah lo ricordava come il primo e più importante sito di felicità in un'altrimenti triste infanzia, costellata di assenze ed arido amore che non era mai riuscito a comprendere. Nessun pensiero amaro però lo sfiorava, ora che il buio della casa veniva tagliato dalle luci arancioni e viola del sole morente. La quiete era anch'essa puntellata di vita, i suoni del vento e degli animali crepuscolari ad animarla tenui. Le mani di Noah allora si unirono attorno alle sue ginocchia piegate, racchiudendole in un abbraccio che aveva deciso di donarsi durante il calare del sole, senza domandarsi perchè quel momento così meraviglioso non stesse terminando.
    Noah. Richiamato all'attenzione e nonostante avesse udito quel timbro tanto diverso, Noah non si spostò dalla sua attenta osservazione del cielo, ancorato alla sicurezza che i suoi sogni gli offrivano in un ultimo abbraccio materno. I guizzi rossi, viola e gialli che si incontravano sopra la sua testa lo toccavano in ultimi caldi baci in cui si crogiolò, socchiudendo gli occhi e lasciando che le ciglia incorniciassero la sua visuale, ora disturbata perifericamente da un'ombra che un po' rassomigliava a quelle degli alberi poco lontano. Sai dove ti trovi? Lentamente, Noah accennò ad una risposta positiva, prendendo un ampio respiro dell'aria tiepida che lo avvolgeva. Non conosceva l'uomo che si era avvicinato a lui, nè tantomeno la sua voce, eppure non lo temeva; non avrebbe tremato, nè cercato di combatterlo, non mentre era lì dove avrebbe voluto restare. Avrebbe goduto del tramonto fino a che non avrebbero cercato di strapparlo via da esso. A Yosemite West. A casa di zia Sarah. Sussurrò, senza alcuna traccia di esitazione in quelle tenui vibrazioni. Continuava a non riconoscere nè a vedere la persona che gli aveva rivolto quella domanda, ed avvertendo il legno incurvarsi lievemente sotto il peso dell'altro, seguì a respirare lentamente, accogliendolo in quello spazio di cui sperava avrebbe goduto anche quell'inaspettato visitatore. Quanta tristezza avvertiva ora, quanta malinconia nel vedere il sole morire per regalargli una nuova notte ed un nuovo giorno. Voglio tornare qui, voglio tornare a casa. Non sono a Yosemite West.. Pensò, mentre ad incrinare quella profonda serenità arrivarono poche lacrime, ancora intrappolate sulle iridi scure ed illuminate dalla luce del tramonto. Hai un'immaginazione ancora attiva per essere stato rinchiuso in una stanza per tanto tempo. E devono piacerti davvero i tramonti... Un altro cenno silenzioso mosse il capo di Noah, che non rivolgendo alcuna risposta al suo interlocutore sconosciuto si voltò con calma solo per osservarne i lineamenti, che come si aspettava, non aveva mai registrato prima d’allora. Non avvertì alcuna ansia, alcuna fretta - un altro tipo di tramonto era appena apparso davanti ai suoi occhi. Dalla pelle d'oro, la chioma color del grano e le labbra rosee, quel ragazzo gli sembrò un prolungamento del sole sul punto di calare oltre l'orizzonte, piuttosto che un elemento di disturbo in quel quadro perfetto. Sbattè un paio di volte le palpebre, chiarendo la visuale, prima di raggiungere con le dita le braccia marchiate dalle tracce dei numerosi aghi che le avevano punte tante e tante volte, come se avesse voluto presentarsi al meglio per il sole che si era accomodato al suo fianco pronto a brillare per lui, almeno per un po'. Sei vero, o sei solo nella mia testa? Nell'accertarsi della natura del giovane accanto a lui, Noah non potè nascondere una più marcata timidezza nel rivolgergli la parola; non era sicuro del fatto che fosse solo un bel sogno, il frutto della sua solitudine e della sua mente, oppure un altro operatore insinuatosi nel prisma dei suoi sensi per accecarlo ancora una volta con la sua luce. Possiamo restare qui ancora un po'? Aggiunse in un tenue refolo senza neanche attendere la sua risposta, le ciocche castane e fini che si posavano sulla spalla di Eva in un leggerissimo movimento. Il suo odore assomigliava a quello del mare sulla pelle d'estate o a quello delle foglie riscaldate dalla luce del sole; sembrava vero, umano, diverso da quello della plastica dei guanti e dei materiali medicinali degli operatori. Le mani allora si disintrecciarono dal loro nodo solo per posarsi sul legno bianco dalla vernice ormai usurata, ora che gli occhi tornarono a socchiudersi ed a sfiorare la luce del sole alto nel cielo, caldo quanto il respiro dell’altro astro che Noah adesso accoglieva al proprio fianco.
     
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