I'm about to do thing i don't want to

Nikolaj & Charlie || Mattina

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    Sick of all these people talking,
    sick of all this noise;
    if you wanna break these walls down,
    you're gonna get bruised



    Destra sinistra destra, un punto luce ondeggiava al centro della sua pupilla: ogni movimento un chiodo avvitato più stretto nel cranio. L'ultimo figlio maschio dei Mordersønn prese quanta più aria riuscì a ingoiare in un sol boccone, la colazione che cercava invece di arrampicarsi per l'esofago come controparte di un segreto baratto, qualcosa dentro per qualcosa fuori. Per quel poco che gli era permesso di mangiare. Niente burro, niente croissants, niente fritti, niente alcool, niente carne rossa, niente latticini: nelle ultime due settimane gli era parso di andare avanti a tè e fette biscottate integrali, lui, che era per champagne e caviale a colazione, pranzo e cena. La luce continuava il suo rollio da barca, solo che non era un mare quello che navigava bensì l'intrico della sua cornea, che Nikolaj sentiva ormai bruciare. Socchiuse le palpebre e gli occhi, resi due fessure sottili e imbronciate schiacciati fra esse, quasi lacrimavano. Gli era impossibile sopportare oltre. Per favore Mr. Mordersønn, segua la luce. Se non si toglie immediatamente dai piedi, l'unica luce che seguirà lei è quella al neon di uno squallido ufficio di collocamento, uno di quegli stanzoni mefitici dove persino le mosche preferiscono suicidarsi nei lampadari. Non sia una mosca, miss qualunque sia il suo nome, si tenga questo lavoro e mi lasci in pace. Lui di centri dell'impiego non ne sapeva proprio nulla, dai film si era fatto un'idea e comunque, in ogni caso, qualsiasi luogo che non fosse casa sua doveva avere qualcosa di disgustoso che non lo soddisfacesse, altrimenti tutto il mondo sarebbe stato al suo livello.
    Aveva girato la testa di lato lontano dalla luce, che per un po' creò un morbido cerchio sulla guancia liscia di Nikolaj, ora a labbra serrate intento a fissare il suo assistente, il povero Jorgen, con occhi lampeggianti. Come al solito gli attribuiva la colpa di qualsiasi cosa accadeva nell'Istituto che non gli andasse bene, dall'iPad mal funzionante alla schiera di infermieri e medici che da quindici giorni a quella parte lo seguivano dovunque andasse, e in un sussurro ansioso gli dicevano cosa fare e cosa non fare, comandi detti piano per timore di farlo incazzare, ma pur sempre dannati ordini. Ok, aveva passato un paio di giorni k.o. spesi ad andare e venire da un sonno comatoso e farmacologico, però ora stava bene. Più o meno. Qualche dolore era rimasto, come la fitta che a ogni respiro più profondo si irradiava nel costato dove i quindici centimetri di ago avevano spinto l'adrenalina nel suo corpo. Lì, proprio nel cuore. Dopo che gli occhi si erano rovesciati all'indietro Nikolaj non aveva visto più niente per un po', ma solo l'ombra leggera di fili di capelli biondi che già non c'erano più se non nella sua testa, dove si erano andati a imprimere forte, un epitaffio inconsapevole fin proprio alla fine.
    Di quei momenti nel buio non ricordava niente, se non la sensazione di esserci e non esserci che lambiva braccia e gambe come a volerlo tirare giù, chissà dove. Ricordava poco anche del prima, delle stelle su un soffitto troppo vicino al suo naso, della Torre Eiffel sottosopra, di un paio di labbra che parlavano una lingua sentita ma non famigliare mentre degli occhi gli dicevano cose mai sentite prima, cose che ne scioglievano altre sotto la pelle, le ossa, i tessuti e gli organi. Cose così a lungo inutilizzate da averne dimenticato persino l'esistenza.
    Quello che purtroppo ricordava era la sfilza di persone che da quel giorno lo attorniava, nei suoi lugubri pensieri più simili a pazienti avvoltoi in attesa che schiattasse, piuttosto che a uno staff con il compito di rimetterlo in sesto. Non dubitava che più di una persona avrebbe guadagnato e gioite della sua morte, sia fuori che dentro l'istituto, ma lo faceva sorridere l'idea dei cavilli burocratici che salvaguardavano il suo dominio.
    Allontanandosi da lui, l'infermiera si era portava via il suo alito di caramella e anche la luce, così il mal di testa si trasformò in un pulsare ottuso e costante di background, lasciandogli un po' di respiro. L'avevano di nuovo infilato in quella camiciola d'ospedale aperta sul retro, e collegato così alle flebo gli pareva di essere un animale pronto al macello.
    L'infermiera parlottava con il medico generale, mentre il tossicologo leggeva ad alta voce a Jorgen i risultati delle ultime analisi. Come se fosse un tutore e non il suo dannato assistente. Era stanco di sentire quelle voci, di parametri, numeri e percentuali. Per lui erano solo rumore costante a ricordargli quanta paura avesse in realtà avuto di morire.
    Quando l'ascensore aprì le porte scorrevoli sul suo soggiorno, la testa dell'uomo scattò nella sua direzione per accogliere il riflesso di Charlie nelle iridi, due dardi grigo-azzurri. Via di qui. Tutti. Io e la Dottoressa Lien abbiamo del lavoro da fare. L'infermiere barbuto fece per aprire bocca, ma al primo accenno di proteste la mano di Nikolaj si alzò in aria compiendo un gesto di fastidio, come se stesse scacciando una mosca. Allora uscirono uno alla volta come degli scolaretti in fila indiana, ammassandosi nell'ascensore che grazie a una key card specifica li avrebbe portati ai piani inferiori. Erano in pochi a possedere quella che arrivava fin al quarantasettesimo livello, a tutti gli effetti il suo piano visto che dava direttamente nella suite che abitava, e Charlotte era fra essi.
    Quando le porte mangiarono anche l'ultimo spiraglio, l'uomo sfilò con un gesto rapido la flebo che ancora collegava il dorso della sua mano - e le sue vene- alla sacca appesa al trespolo di metallo vicino a lui, mentre le piante dei piedi aderivano al suolo per sorreggere i centonovantatré centimetri di statura che si alzavano dal divano. Sei arrivata giusto in tempo, Charlie: un minuto di più e avresti dovuto indire una conferenza stampa sull''omicidio di massa avvenuto al quarantassettesimo piano dell'Istituto. Un rumore tipo di stantuffo accompagnò quella frase, era il modo che Nikolaj aveva di sorridere. Le aveva mandato un messaggio mentre i dottori gli giravano intorno, e lei era venuta senza esitazione, una manna scesa dal cielo. Era diversissimo il tono con cui l'aveva apostrofata ora, quando erano soli passavano dal lei al tu e, dopo più di una decade di lavoro insieme, da Dottoressa Lien diventava per lui semplicemente Charlie. Si mosse nel soggiorno con lo sguardo infastidito di chi è costretto in un grembiule ospedaliero sotto il quale indossava soltanto i boxer, camminando verso di lei per chinarsi e lasciare un bacio appena accennato sulla sua guancia. Versati pure da bere. Che ore sono? Sollevò il braccio, il gomito a quarantacinque gradi verso l'interno per lanciare un'occhiata al rolex , solo che quei decerebrati l'avevano spogliato proprio di ogni cosa. Non importa, versane anche a me grazie. Torno a essere il fantastico me e arrivo. La lasciò per qualche minuto nel soggiorno di quell'appartamento decisamente troppo grande per una sola persona, finendo in camera da letto per togliersi di dosso quella tunica da frate malato e infilarsi in una polo nera, dei pantaloni morbidi grigi e delle scarpe lucide, tornando poi da Charlie, nel salone. Eccoci qui. La trovò seduta su uno dei lunghi divani parte del costoso mobilio che li circondava, piegandosi vicino a lei mentre allungava la mano per prendere il bicchiere sul tavolino. Colpito dalla luce dalla finestra, il vetro del Rolex brillò sul suo pallido polso. Come vanno ultimamente le cose? Aggiornami. Mi è stato riferito che hai concluso le trattative e sei riuscita ad assicurare all'Istituto i fondi Brians. Ti porgo i ringraziamenti da parte del Mordersønn, e da parte mia la promessa di una cena fuori. Congratulazioni. Sollevò il bicchiere di vetro per farlo scontrare leggermente contro l'altro, sorridendo poi a Charlie prima di prendere un bel sorso. Niente bevande alcoliche era una regola che non poteva proprio rispettare, e anche se doveva ammettere di non essersi mai sentito così lucido in vita sua, i primi cinque o dieci giorni lontano da droghe e alcool erano stati orribili. Brutta cosa, l'astinenza. Disse a nessuno in particolare, dopo aver raccolto con la punta della lingua il sapore del whiskey rimasto sulle labbra. Comunque, si deve spingere di più sul progetto Omega. Ho bisogno che trovi altri pazienti promettenti, Charlie, e ho bisogno che li trovi in fretta. Puoi farlo? Sistematosi lateralmente sul divano per guardarla in viso, Nikolaj aveva ora il braccio la cui mano stringeva il bicchiere adagiato sullo schienale, e un ginocchio era mezzo piegato sul cuscini. Sapeva che poteva, si fidava di lei come forse faceva con pochissime altre persone, e sopratutto aveva rispetto per Charlie, cosa che non si poteva dire provasse per molti. Nikolaj continuò a osservarla dritta negli occhi, le pupille nerissime oltre il bordo del bicchiere.

    Edited by Dead poets society - 15/4/2021, 13:26
     
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    ..un luogo al di là del tempo e dello spazio..

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    Era da diversi giorni che Nikolaj non si vedeva ai piani inferiori. Aveva saputo che aveva avuto dei problemi di salute e per questo gli aveva scritto qualche messaggio per accertarsi che tutto fosse sotto controllo e che fosse seguito dal giusto staff medico. Non aveva fatto troppe domande, evitando di invadere la privacy del suo capo che di certo non lo avrebbe apprezzato. Negli anni che lei aveva trascorso all’istituto avevano avuto modo di instaurare un ottimo rapporto, ma sapeva che tra questo e l’amicizia c’era comunque una grossa differenza, per questo Charlotte cercava sempre di non oltrepassare la linea del consentito, a meno che non fosse lui a lasciarle intendere in maniera quanto più esplicita possibile che avrebbe potuto farlo. Si sapeva poco di quanto gli fosse accaduto, visto che le persone ammesse in quei giorni nel suo appartamento non potevano fare parola di ciò che vedevano e sapevano. Ciò che era riuscita a carpire era che era l’uomo era stato quasi del tutto k.o. per qualche giorno, probabilmente quelli in cui non aveva risposto a neppure uno dei suoi messaggi, poi, fortunatamente, sembrava essersi stabilizzato. Era stata molto preoccupata per lui e lo era ancora.
    Digitò velocemente qualche altra frase sulla tastiera del suo computer, rileggendole poi per assicurarsi che il suo rapporto fosse corretto, almeno nella forma. Detestava i piccoli errori di battitura che si insinuavano nei suoi testi, cercando di nascondersi nel grosso delle lettere per non farsi trovare. Arricciò il naso nell’osservare lo schermo, soddisfatta del suo lavoro, poi voltò lo sguardo verso il suo cellulare, silente al suo lato sinistro. Rifletté un momento sul da farsi poi, visto che era in anticipo sulla sua tabella di marcia, si concesse qualche minuto di pausa per acciuffarlo, aprire la sua chat con Nikolaj e scrivere un semplice “Come procede la tua lunga prigionia oggi?” un po’ scherzoso, che sicuramente lo avrebbe fatto irritare un minimo per l’onestà di quelle parole. Le aveva detto di detestare quella condizione e di non vedere l’ora di liberarsi di tutte quelle persone. Tornò a concentrarsi sul lavoro, osservando alcune mail di possibili nuovi pazienti che chiedevano di avere un appuntamento per discutere del loro caso, alcune sembravano interessanti, altre invece forse sarebbero state solo uno spreco di tempo prezioso. Si domandava a volte perché certe persone sembrassero avere paura anche delle cose più sciocche. Aveva visto bambini con particolarità incredibili seguire alla lettera le istruzioni e venire a patti con il mostro che portavano dentro e adulti con particolarità quasi sciocche e sicuramente di più semplice controllo finire invece sull’orlo della follia. Il genere umano era così ricco di sfaccettature da essere quasi impossibile da comprendere fino in fondo.
    Una leggera vibrazione alla sua sinistra le fece notare l’arrivo di un nuovo messaggio, un grido d’aiuto di Niko che le chiedeva di raggiungerlo all’ultimo piano, probabilmente per liberarlo dalla schiera di medici e infermieri. Sorrise appena, in maniera quasi impercettibile, per poi acciuffare una pila di fogli già stampati che aveva preparato negli ultimi giorni e alzarsi dalla sua scrivania. Probabilmente non serviva ma era meglio avere almeno l’ombra di un pretesto che le permettesse di raggiungere gli alloggi del capo se qualcuno l’avesse fermata nel tragitto. Avrebbe risposto alle mail più tardi o magari direttamente il giorno dopo, quel grido d’aiuto andava ascoltato con urgenza. Raggiunse l’ascensore e inserì la sua card prima di digitare il piano corretto, volgendo il capo di lato, ad osservare i suoi capelli, raccolti in un elegante chignon, per essere sicura che fossero ancora tutti al loro posto. Riportò lo sguardo in direzione delle porte soltanto quando un leggero rumore le fece intuire che era ormai giunta a destinazione. Uno stormo di persone si voltò verso di lei non appena mosse i primi passi verso l’appartamento di Niko. -Signor Mordersønn. - disse, abbassando appena il capo in un cenno di saluto. Qualcuno fece per fermarla, ma la voce perentoria del boss li rimise tutti in riga. Uno dei medici le rivolse una lunga occhiata dubbiosa e lei per tutta riposta sollevò il mento, continuando a camminare sui suoi tacchi senza degnarlo di un ulteriore sguardo. Stretta nel suo vestito blu notte si muoveva tranquilla in quello spazio che ormai aveva imparato a conoscere. Rimase in silenzio, con la schiena dritta e i fogli ancora stretti tra le mani, fino a che anche l’ultima persona dell’equipe medica non fu sparita dietro le porte dell’ascensore e allora si rilassò appena, mentre si avvicinava a Niko, che cercava di strapparsi di dosso tutti i fili delle flebo. -Sono sicura che saremmo riusciti a trovare una giustificazione accettabile. - rispose, con un’espressione divertita, in fondo non sarebbe stato poi così impossibile credere che qualcuno avesse perso il controllo della sua particolarità e seminato il panico, andava solo gestita al meglio. Posò il plico di fogli su un tavolino, mentre l’altro si aggirava nervosamente per la stanza, in cerca di qualcosa, per poi avvicinarsi a lei e depositarle un leggero bacio sulla guancia, che la fece subito sorridere, prima di invitarla a versarsi da bere. -Dovrebbero essere le undici, all’incirca. - rispose comunque, mentre gettava una veloce occhiata alla vetrina degli alcolici, scegliendo i liquori con cui accompagnare la loro conversazione.
    -Hai mai smesso di essere il fantastico te? - gli chiese, con un sorriso leggero, mentre lo vedeva sparire dentro la sua camera per cambiarsi il più veloce possibile, facendo sparire quel camice da ospedale. Dubitava che esistesse qualcosa al mondo in grado di scuoterlo a tal punto da cambiarlo così a fondo. Versò i due bicchieri e li adagiò sul tavolino, per poi accomodarsi di nuovo sul divano. Sollevò appena una mano quando lo sentì iniziare a parlare, come a chiedergli di aspettare un momento prima di entrare nel vivo della conversazione. -So che detesti ripetere le cose, quindi te lo chiederò solo una volta: come stai? - domandò, osservandolo più a fondo soltanto in quel momento, quando era ormai tornato nelle vesti che gli erano più congeniali. -E non mi interessa sentire cosa direbbero i tuoi medici, mi interessa sapere come senti di stare tu. - puntualizzò, guardandolo dritto negli occhi, con una certa serietà. -Ero molto preoccupata. - aggiunse, in maniera del tutto onesta. Lui non avrebbe dubitato delle sue parole. La conosceva ormai da anni e sapeva quanto fosse affezionata a lui, al di fuori del legame che c’era tra di loro sul campo del lavoro. Solo dopo aver ottenuto qualche parola di risposta allora lo lasciò proseguire, annuendo soddisfatta nel sentirsi elogiare per l’affare concluso solo negli ultimi giorni. -Sì, l’accordo si è concluso solo tre giorni fa, ma abbiamo ottenuto tutto ciò che volevamo. - iniziò a spiegare. Aveva impiegato più di un mese a limare le varie richieste e a trovare il modo di farli accettare quasi in toto ciò che chiedevano. -L’unico inconveniente è che ho dovuto promettergli che li incontrerai il mese prossimo, vogliono brindare insieme a te. - aggiunse, mandando poi giù un leggero sorso del suo drink prima di proseguire. Ormai Niko doveva saperlo, tutti volvevano incontrare il grande volto dell’azienda quando sceglievano di investire su di loro. -E dovresti firmarmi alcuni dei documenti che ti ho portato, così che tutto possa essere ufficializzato. - spiegò, indicando con un gesto leggero del capo i blocchi di fogli che aveva portato.
    -Per il resto invece tutto sembra proseguire secondo le tempistiche. Mi è stato da poco chiesto di approvare dei nuovi ordini di dotazioni mediche di base e mi è stato accennato di alcuni problemi con dei pazienti un po’ problematici, ma tutto sembra essere sotto controllo. - continuò a raccontare. Avrebbe potuto celargli alcune informazioni, ma non era mai stato da lei mentirgli, non a lui per lo meno. -Sto continuando a tenere sotto controllo la Dottoressa Nguyen, anche se il momento sembra essersi ambientata. - aggiunse, parlandogli anche di quella personale missione che si era presa, quasi da sola. Non accettava che esistessero cosa che potessero sfuggire al suo controllo, voleva sempre sentirsi al sicuro. Quella donna poteva essere una risorsa eccellente, ma anche un grosso problema, se fosse sfuggita di nuovo al loro controllo. Raddrizzò appena la schiena, facendosi più attenta, quando Niko le chiese si dare un’accelerata al progetto. Annuì, mentre nella sua mente iniziava già a cercare delle idee per portare a termine il compito che le era stato appena assegnato. Perché mai e poi mai avrebbe accettato di dovergli dire di no, nulla era impossibile se era lui a chiedere. -Organizzerò una riunione con la nostra adorabile Signorina Doyle per organizzare il lavoro- - disse, accennando subito a Vega, la prima che le fosse venuta in mente per farsi aiutare in quel compito difficile, che richiedeva la massima attenzione e discrezione. -Di quanti nuovi pazienti stiamo parlando? E in quali tempi? - domandò, per farsi un’idea più chiara nella mole di lavoro richiesta. Sarebbe stato importante fare qualche giro per la città insieme a Vega, così da sentirsi più al sicuro mentre si guardava attorno, alla ricerca di qualche particolarità importante. -Vuoi che chieda a qualcuno di farmi un rapporto dettagliato delle ricerche per avere un’idea più chiara di cosa ci serva? - chiese quindi, come a chiedere il permesso di ottenere quelle notizie che non erano di certo alla portata di tutti. Non voleva rubargli tempo prezioso chiedendo a lui di farle un riassunto di tutto ciò che doveva sapere, ma non voleva neppure andare ad acchiappare dei pazienti poco interessanti ai fini della ricerca, quindi sperava di poter avere un quadro leggermente più chiaro, almeno per ciò che doveva interessarla.

    Edited by 'misia - 30/4/2021, 17:54
     
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    Rinchiuso giorno e notte in quella saetta di vetro scagliata contro il cielo, le opportunità che Nikolaj aveva di interagire con il mondo esterno erano limitate e grazie a Dio, oserei dire: evitare soggetti noiosi e monotoni era uno sport in cui ormai eccelleva. A parte qualche cena organizzata da cui non poteva tirarsi indietro, al primogenito dei Mordersønn spettava scegliere a quali festini andare ben dopo l'orario lavorativo e quale taglio di cocaina farsi recapitare nella lunch box, di solito purissimo. A gestire il resto ci pensava Charlie, che delle relazioni con il pubblico aveva fatto un mestiere in cui non solo dominare, ma eccellere. Se fosse dipeso dalle social skills di Nikolaj, probabilmente i clienti e benefattori del Mordersønn sarebbero crollati uno a uno, un domino umano e finanziario catastrofico. Senza darlo a vedere, era felice di aver trovato una persona come lei di cui potersi, strano per lui, fidare, una delle pochissime in quel bossolo di metallo contro cui sentiva di non dover combattere ogni giorno. Mica come Jorgen, il suo assistente che tutto faceva tranne, appunto, assisterlo anzi, sembrava essere stato messo lì per fargli saltare una o due coronarie. Chissà quanti arcigni sorrisi si stava facendo il nonno, colui che aveva deciso per l'assunzione dell'incubo personale di Nikolaj: provava a controllarlo anche dalla tomba, quel vecchio bastardo. Ma gli dei onnipotenti avevano mandato anche Charlie sul suo cammino e su di lei non aveva avuto da ridire neanche mezza volta. Efficiente, sorprendentemente bella, intelligente e puntuale, vedeva una carriera piena nel futuro della donna. E poi, in qualche modo, sembrava cogliere le stranezze e il caratteraccio di Nikolaj senza battere ciglio anzi, dandogli anche corda. Come con quella risposta, "sono sicura che saremmo riusciti a trovare una giustificazione accettabile", che gli strappò quello che era sempre solo l'accenno di un sorriso e che con pochi, pochissimi eletti conquistava qualche centimetro in più. Ah lo so bene. Se c'è qualcuno in grado di servire un massacro alla stampa facendo in modo che sia universalmente accettabile, quella sei tu. Per questo ti ho assunto... Si distaccò da lei dopo averla salutata in un modo forse poco professionale, si conoscevano da così tanto tempo e poi, uno come lui, non aveva bisogno di giustificazioni. E per una serie di altri motivi che non starò qui a ripetere. Sentiamo, dunque, a quale scusa avresti pensato? Aggiunse lanciandole un'occhiata prolungata, era curioso di sapere cosa le sarebbe venuto in mente per salvare le sue e le chiappe d'oro dell'interno Istituto. Potrebbe tornarmi utile, ipoteticamente parlando. Era difficile scindere sarcasmo da verità quando si aveva a che fare con lui, di solito aveva una certa serietà nel viso che impediva all'altro di capire cosa stesse effettivamente pensando. Annuì distrattamente nel sentire l'orario mentre, spalle ormai rivolte verso Charlie, muoveva i primi passi per andarsi a mettere qualcosa addosso che non lo facesse somigliare a un dannato vecchio in una casa di riposo. Non avrebbe comunque fatto alcuna differenza: undici, dodici o nove del mattino, Nikolaj avrebbe bevuto come se fossero state le due di notte. A discapito di medici e dottori, della giunta e di Jorgen, l'uomo non avrebbe sopportato un minuto di più di quella assurda storia della convalescenza, protrattasi due settimane più a lungo di quanto il suo livello di sopportazione potesse reggere. Accennò al fatto che fosse una sciocchezza con un cenno distratto di mano e nuca e poi, ormai sulla porta, udì le ultime parole di Charlie e sostò lì, proprio sul ciglio, torcendo il collo per puntare nuovamente le grandi iridi sulla donna. Mi aduli perché stai per dirmi che il Morderdersønn sta crollando, o siamo sul punto di superare la sottilissima linea divisoria capo-sottoposto? Si aprì in un sorriso serrato, le labbra strettissime si assottigliarono verso l'alto per conferire al suo volto un aspetto forse persino più inquietante del solito: era pur sempre a proprio agio nel mettere gli altri in difficoltà. Schioccò le labbra fra loro, aggiungendo prima di ritirarsi nella sua stanza: E no, hai ragione, non ho mai smesso nonostante ci abbiano provato in tutti i modi a farmi passare per un morto di fame. Che dire, starei bene anche con un una comunissima e disgustosa tuta da ginnastica. Arricciò il naso accennando alla tunica che indossava, sparendo poi dietro la porta senza aggiungere altro, l'ombra dello stesso sorriso aleggiava ancora sulle sue labbra mentre si fermava di fronte all'armadio a vista dove dozzine di camicie e giacche pendevano con cura maniacale.
    Non impiegò molto tempo a decidere cosa indossare, giusto qualcosa di comodo pur mantenendo l'eleganza che lo caratterizzava dovunque andasse, unì le dita per infilare il polso nel cinturino del Rolex e poi, guardandosi di sfuggita allo specchio, tornò nel salotto dove Charlie lo stava aspettando con un bel bicchiere di alcool proteso verso di lui come la coppa del santo Graal. La strinse subito con la destra assaggiandone il liquido con le labbra. Stava per attaccare con le domande lavorative stile inquisizione spagnola quando le dita tese di Charlie gli diedero l'alt. Guardò l'impositrice mano come se fosse confuso da essa, come se non fosse una parte del corpo della donna ma un oggetto che non sarebbe dovuto essere lì. Nessuno si permetteva di zittirlo, mai, e non di certo per chiedergli come stesse. In che senso? Dai polpastrelli bianchi sollevò lentamente lo sguardo sul viso di lei, un'espressione indecifrabile stampata sulla muscolatura facciale. Non ricordava l'ultima volta che fosse successo, che qualcuno gli avesse chiesto come stai per il semplice desiderio che stesse bene, né l'ultima volta in cui aveva pensato sinceramente alla risposta. Sapeva che medici e infermieri si affaccendavano per la sua saluto solo perché il salario di quel ruolo ricompensava gli insulti che ricevevano da lui giornalmente, non erano di certo interessati al suo benessere in quanto persona ma piuttosto in quanto loro capo in grado di togliergli lavoro, soldi, famiglia e, esageratamente, vita. Andava bene così, era qualcosa a cui era stato abituato tanto tempo addietro e non c'era molto che potesse o volesse fare a riguardo: essere uno stronzo temuto da tutti comportava una certa dose di solitudine che Nikolaj aveva accettato. Quella domanda e quella seria preoccupazione quindi lo sorprendevano sempre, forse anche perché era la prima volta che aveva rischiato davvero la vita. Charlie, ci conosciamo da più di una decade e ti apprezzo, ma non zittirmi mai più. Non era particolarmente arrabbiato, l'espressione del suo viso riacquistò la solidità statuaria di sempre nascondendo la sorpresa che quell'interesse aveva causato in lui. Voleva solamente evitare di rispondere.
    Ormai seduto di fronte a lei, l'uomo concentrò la sua attenzione su argomenti a lui più congeniali come, tanto per cambiare, il lavoro. La ascoltò fare un resoconto generale dei termini dell'accordo, che a quanto sembrava includevano un incontro con i vivacissimi Brians. Era sarcastico anche nei suoi pensieri: quella famiglia era più noiosa di una partita di golf. Non perse tempo a fingersi contento ma non poteva prendersela con Charlie per quello, aveva fatto un lavoro eccellente. Ahia. Male, molto male. Iniziò guardandola, il polso che si muoveva a cerchio creando un leggero mulinello nel liquido ambrato nel bicchiere. Il mese prossimo? Ho ancora tempo per trasferire ufficialmente la mia residenza all'estero: ho sempre voluto visitare le Canarie. Ironizzò allungandosi poi con braccio e busto per afferrare la cartellina dei documenti che avrebbe dovuto firmare per Charlie e, poggiato il bicchiere sul tavolino di fronte al divano, prese a sfogliare i fogli distrattamente. Dirò a Jorgen di prenotare al Rouge, hanno i vini migliori della Norvegia con cui potermi discretamente ubriacare. Sempre che quell'incompetente abbia imparato a usare il telefono. Ricordami, di grazia, perché non posso licenziarlo? Non potevano licenziare il suo assistente semplicemente perché era il dodicesimo che aveva cambiato nel giro di un paio d'anni, nessuno gli era andato davvero bene e, se avesse mandato via anche Jorgen, la commissione non avrebbe più fornito quella posizione. Alzò gli occhi dai fogli mentre li poggiava via, ci avrebbe pensato dopo, tornando poi ad afferrare il bicchiere per bere un sorso. La lasciò parlare di nuovo mentre riposizionava meglio il corpo sul divano, la gamba ora piegata un po' sul divano, in mezzo a loro. Per un attimo, guardandola, gli venne da chiedersi cosa facesse nel tempo libero una donna come Charlie, decisamente unica nel suo genere. Sapeva molto di lei o almeno avrebbe dovuto, visto che lavoravano insieme da molti anni e aveva letto tutto il suo fascicolo. Sapeva che era stata sposata ma non ricordava i termini del divorzio, sapeva che era brava nel proprio lavoro e molto molto diligente. Per il resto, il vuoto, un po' a testimonianza di quello che Nikolaj si creava giornalmente intorno. Se pensi che la cosa sia gestibile non ho bisogno di sapere altro, mi fido di te. Interruppe i suoi pensieri per rispondere riguardo ai pazienti problematici di cui aveva accennato Charlie. Non aveva né voglia né tempo di preoccuparsi di cose che altri avrebbero potuto risolvere per conto suo, sopratutto se la situazione era sotto controllo. Nel sentir nominare la Dottoressa Nguyen, Nikolaj roteò gli occhi al cielo. Quella donna...Nessun segno di ricordi redivivi? Voglio che sia tenuta sotto osservazione. Iniziò stringendo le dita più forte intorno al bicchiere. Quella donna era in grado di far uscire la parte peggiore di lui e neanche la conosceva così bene. Inspirò e rilasciò le dita una ad una, calmandosi. So che non è stato semplice gestire il risultato della mia piccola, chiamiamoli così, escandescenza necessaria. Sei stata eccellente. Congratularsi a quel modo non era da lui, ma Charlie era forse l'unica lì dentro a meritare ogni parola. Si alzò dal divano distendendo le lunghe gambe, un sospiro bloccato a metà dal dolore al costato che dissimulò con un leggero colpo di tosse. Si diresse verso la scrivania, il passo un po' meno leggero del solito per via dei tanti giorni di convalescenza, si poggiò con un palmo della mano aperto ad essa mentre le dita dell'altra aprivano delle cartelline poggiate li sopra, aspettavano che le iridi grigio azzurre leggessero sbrigativamente le nozioni principali, le chiudevano e poi passavano oltre a quella successiva. Mi sono state consegnate queste stamattina, sono le cartelle di soggetti che potrebbero rivelarsi di qualche interesse per noi. In base alla particolarità, ovviamente. Si prese tutto il tempo necessario per quell'azione, dividendo le cartelle in due mucchi ben divisi, uno a destra e l'altro a sinistra della sua persona. Ad un certo punto la meccanicità selettiva di quel processo si bloccò. Nikolaj tentennava, il viso leggermente crucciato mentre un nome lo aveva particolarmente attratto. Impossibile capire cose stesse pensando sotto le spesse palpebre che coprivano gli occhi per metà. Si inumidì le labbra, la mano che stringeva il file rimase a mezz'aria ancora per qualche secondo prima di finire nella pila di destra con uno schianto tutto interiore per Nikolaj. Si raddrizzò allora mentre raccoglieva i fogli e si riavvicinava al divano, sedendovici sopra esattamente di fronte a Charlie. Tre. Il più presto possibile, anche da domani. Così dicendo le porse i fascicoli delle tre persone prescelte. Fino ad oggi ci siamo focalizzati prettamente su personalità con poteri puramente distruttivi, ma questo non è più l'impero di mio nonno, è arrivato il momento di provare qualcos'altro. La guardava con estrema serietà. Questi sono tre soggetti che hanno sviluppato poteri forse più passivi ma comunque interessanti, meccanismi di difesa che potrebbero tornare utili. Passali pure all'adorabile signorina Doyle. Lasciò andare del tutto i fogli solo in quel momento, come se gli fosse difficile staccarsi da uno in particolare di loro. Era stata una scelta impulsiva la sua, dettata prettamente dall'egoismo e dal risentimento d'essere stato accantonato, oltre che dalla straordinarietà indiscussa del sui potere. Di quell'ultima notte si era convinto che non valesse nulla, eppure non aveva fatto altro che pensare alla Torre Eiffel al contrario e a un paio d'occhi azzurri ben dritti, fissi nei suoi. Dove erano finiti? E perché gli era così difficile tirarseli via dalla mente?
    Questa volta voglio essere informato personalmente non appena metteranno piede in questa struttura, ok? E voglio che sia tu a riferirmelo personalmente. Tra i malcapitati svettata, nonostante le piccole lettere del font con cui era stato scritto, un nome sul quale Nikolaj premette l'indice. Sopratutto lei.
    Rochelle Delilah Renoir.

    Edited by Dead poets society - 18/7/2021, 23:57
     
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    Aveva imparato negli anni ad avere a che fare con Nikolaj, a capire quali cose non si potessero mai pronunciare e quali invece fossero accettabili in momenti molto limitati e precisi. Di solito non si lasciava mai andare oltre la sottile linea di confine che avevano delineato negli anni, senza che nessuno dei due dovesse mai farne parola. Non l’avevano definita nei particolari, non ne avevano disegnato l’inclinazione, l’orientamento, la lunghezza precisa. La linea si era costruita da sola, assumendo una sua forma nel corso del tempo e lì l’avevano lasciata. A volte uno dei due la valicava appena, senza mai restare troppo sul confine, tornando velocemente al ruolo che spettava ad ognuno. Charlotte sapeva ciò di cui doveva occuparsi e conosceva anche le poche cose in cui avrebbe potuto fare capolino, nei momenti opportuni. Aveva imposto a se stessa puntualità e perfezione ben sapendo che, se mai fosse stato davvero necessario, le sarebbero stati concessi dei giorni di riposo. Come quando aveva perso la piccola Hannah e, a malincuore, aveva dovuto chiedere una settimana per potersi rendere di nuovo presentabile. Forse le sarebbe stato concesso anche un mese, se soltanto lo avesse chiesto, ma aveva preferito dedicarsi al lavoro, piuttosto che trascorrere il suo tempo in solitudine, a sentire davvero quell’assenza. Non accettava di buon grado l’idea di sentirsi fragile, vulnerabile. Voleva mostrarsi sempre perfetta, imperturbabile e sapeva che per il suo capo era lo stesso, anzi, forse per lui quella questione era ancora più accentuata, visto il ruolo che ricopriva.
    Sorrise, tranquilla, quando Niko le fece presente che sapeva che sarebbe riuscita a trasformare, davanti alla stampa, persino una catastrofe in un atto accettabile. -Un fanatico anti particolarità era riuscito a superare la sicurezza, cercando di attentare alla tua incolumità. - iniziò, cercando di ragionare, velocemente, su una notizia che avrebbero potuto dare. La stampa adorava le notizie sui personaggi famosi della città. -Voleva interrompere le ricerche sul nascere e impedirci di venire a capo del problema. Ha commesso diverse azioni efferate nel suo cammino e tu non hai potuto far altro che difenderti. - concluse quindi, cercando di dare una giusta chiusura alla storia che si era appena inventata sul momento. -Non so, è la prima idea che mi è venuta su due piedi, ci sarebbe da lavorarci. - aggiunse poi, stringendosi appena nelle spalle. Per darla davvero alla stampa sarebbero serviti maggiori dettagli, qualche intervista strappalacrime di alcuni membri del personale terrorizzato e altri colpi di scena. Ma per fortuna al momento non si era ancora reso necessario. -La cosa importante comunque, sarebbe farti passare per la vittima, non certo per il carnefice. - terminò, con un’espressione molto seria, come se il solo pensiero che qualcuno lo considerasse un carnefice le facesse ribrezzo. -E mettere sempre in evidenza l’importantissimo lavoro che qui svolgiamo a favore della comunità. E’ sempre bene rafforzare i consensi. - aggiunse ancora, dandogli qualche piccola spiegazione sul modo in cui preparava le notizie che diffondeva, di tanto in tanto, per far parlare di loro. A volte era meglio stare in silenzio, sparire per un po’ dalla scena, altre, soprattutto quando avevano bisogno di nuovi fondi, era invece fondamentale mettersi al centro dell’attenzione, con notizie che potessero colpire l’emotività della gente e generare così il loro supporto.
    Attese che Niko indossasse abiti differenti, pizzicando un po’ il suo ego con una battuta che, per fortuna, lo fece sorridere appena. Iniziò a sorseggiare il suo bicchiere, attendendo l’altro per poter passare ad argomenti più seri. Certo, l’aveva chiamata lì per liberarsi dei medici e delle altre persone che gli gravavano attorno da settimane, ma lo aveva fatto anche per essere informato sugli ultimi sviluppi e forse assegnarle qualche nuovo compito. Provo a porgli una domanda sul suo stato di salute, che tuttavia non ottenne risposta quindi non la ripetè. Annuì soltanto, senza aggiungere nulla, quando lui le intimò di non zittirlo più, in nessun modo, per nessuna ragione. In realtà non poteva essere certa che la cosa non sarebbe capitata di nuovo, nel corso di quella che sperava sarebbe stata ancora una lunga collaborazione, che sarebbe andata avanti per anni, ma non era certo quello il momento di rifiutare. Avrebbe indagato in altri modi sul suo stato di salute, ma non avrebbe insistito oltre con lui. Cambiò quindi velocemente argomento, aggiornandolo sugli sviluppi delle ultime trattative e di quello che gli investitori avevano voluto in cambio di quella firma su una pila di documenti. -Temo che accetterebbero di venire a incontrarti persino alle Canarie. - mormorò, trattenendo a stento una risata, che emerse leggermente, incurvando verso l’alto le sue labbra. Lo osservò mentre controllava le carte, alla ricerca dei punti da firmare. -Perché il resto del Consiglio apprezza il suo operato ed è il figlio di uno dei nostri storici finanziatori. - rispose, senza troppi peli sulla lingua. Era certa che Niko lo ricordasse, ma temeva che a tratti potesse compiere gesti un po’ impulsivi e rischiare di mettersi contro la maggior parte dei membri del Consiglio. Certo, poteva ancora decidere di licenziarli tutti, ma ricominciare da capo con nuove persone sarebbe stato piuttosto complicato. Inoltre, era stato quasi costretto ad assumere quel ragazzino dopo che ne aveva rifiutati quasi una dozzina prima di arrivare a quella scelta quasi imposta. Chissà, magari con un po’ di pazienza avrebbe potuto mostrare qualche dote interessante.
    Andò avanti con gli aggiornamenti, parlando delle nuove forniture, di nuovi pazienti e del modo in cui stava tenendo d’occhio la Dottoressa Nguyen, per essere certa che non si verificassero altri problemi. -No, al momento non sembrano esserci tracce di memoria. - rispose, prontamente. Anche lei aveva preso molto seriamente la cosa e ci teneva che non recuperasse nulla di ciò che le era stato sottratto. -Ho iniziato a tenerla d’occhio, ma chiederò a qualcuno di fidato di farlo in maniera più attenta e frequente. Purtroppo non posso dedicare alla cosa il tempo che necessita. – ammise, con un leggero sospiro. Aveva già diversi impegni e non poteva quindi trascorrere tutto il suo tempo all’istituto a controllare le azioni della dottoressa, o avrebbe finito con il trascurare la parte più importante del suo lavoro. Tendeva a voler controllare tutto, ad essere informata di ogni cambiamento, ma in certe occasioni doveva accettare di delegare alcune faccende. Aveva ragione però, non era stato semplice mascherare quello che era accaduto e fare in modo che risultasse un semplice incidente. Per fortuna non aveva una famiglia molto numerosa in città ed era bastato ritoccare alcuni dettagli della sua memoria. -Mi terrà aggiornata periodicamente sui suoi sviluppi sul campo della ricerca e approfitterò di quelle occasioni per controllarla di persona.- spiegò, osservandolo appena, come per essere sicura che lui approvasse le sue decisioni. A volte, spinta dalla voglia di fare del suo meglio, finiva con il prendere delle decisioni senza aspettare i dovuti consensi e con il chiedere conferma quindi a cose già avvenute. Nel caso della dottoressa comunque sarebbe bastata qualche parola per annullare tutto o per spostare i resoconti della donna su qualche altro collaboratore. -Anche i migliori a volte perdono la calma. - disse soltanto, davanti ai suoi complimenti. Il modo in cui si era alzato, subito dopo, era un segnale evidente del suo disagio e quindi finse quasi di non aver sentito, anche se in realtà un moto di fierezza si fece largo in lei. Non aveva bisogno di grandi apprezzamenti per sapere di aver fatto un ottimo lavoro, ma i complimenti facevano comunque piacere a tutti e lei in quell’aspetto non poteva dirsi diversa dalla massa, purtroppo.
    Continuò a osservare Niko mentre questo raggiungeva la scrivania e iniziò a parlarle di alcune cartelle che gli erano state consegnate di recente e che contenevano i dati di alcuni individui che sarebbero potuti essere utili per i loro studi. Erano sempre alla ricerca di nuove e interessanti particolarità, di qualcuno che potesse far fare loro dei grandi passi in avanti. Preparò due pile diverse, seguendo un criterio che per il momento non le illustrò e lei si limitò ad annuire, mentre terminava di sorseggiare il contenuto del suo bicchiere, per poi andare a posarlo sul tavolino di fronte a lei. L’uomo la raggiunse di nuovo, tenendo tra le mani tre cartelle che le offrì, perché potesse visionarle. Si trattava di tre individui su cui avrebbero voluto concentrarsi e lei le avrebbe studiate con attenzione. Aprì quindi la prima cartella, mentre lui continuava a parlare, spiegando che non era più il caso di concentrarsi soltanto su particolarità distruttive, che era giunto finalmente il momento di svecchiare un po’ il modo di pensare che avevano utilizzato per le loro ricerche fino a quel momento. Annuì, seguendo il filo delle sue parole. In effetti se fino ad allora non erano giunti a una conclusione forse era giunto il momento di provare a cambiare prospettiva. Meccanismi di difesa, così li aveva definiti lui, ed era curiosa di comprendere quali questi fossero esattamente. -Ce ne occuperemo quanto prima. - disse, con lo sguardo ancora perso in mezzo a tutte quelle parole, per poi lasciarle andare per un momento e voltarsi di nuovo verso di lui. -Verrai avvisato immediatamente, prima di chiunque altro. - promise, per poi rivolgere un leggero cenno con il capo, a mo’ di promessa. Era un compito molto semplice, impossibile da sbagliare. -Mi occuperò di organizzare i prelievi non appena termineremo il nostro discorso e ti terrò aggiornato appena avrò notizie. - continuò, mentre cercava di memorizzare il nome della ragazza che lui aveva sottolineato. -C’è qualcosa che dobbiamo sapere su di lei? - chiese. Non erano ovviamente possibili legami personali che le interessavano, quanto piuttosto possibili ostacoli. -Ci sono famiglie di mezzo? Lavori che potrebbero dare nell’occhio? - aggiunse quindi, per spiegare che tipo di risposta stava cercando, iniziando a cercarla in maniera autonoma nei fogli che le aveva messo a disposizione.
    Analizzò velocemente le varie carte, mentre continuavano a discutere, poi le sistemò con cura all’interno della sua borsa, così da non dimenticarle. Aveva una certa fretta di iniziare quel nuovo lavoro che le era stato dato, ma non voleva certo andare via prima che fosse davvero il momento. -C’è qualcos’altro di cui dobbiamo discutere? - chiese, riportando quindi l’attenzione completamente sul biondo, mettendo da parte per un momento tutti gli altri pensieri. -O qualcosa che posso fare per te? Come procurarti del cibo decente. - mormorò, con un leggero sorrisetto, cercando di sdrammatizzare un po’ la situazione e di riportare a toni un po’ più sereni la loro conversazione.
     
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    Mentre la ascoltava chiuso dietro un silenzio ermetico, l'uomo pensò di aver davvero fatto bene ad assumerla e provò immediatamente compiacimento verso sé stesso e le proprie doti da stratega. Non era mica da tutti, rifletté osservando la bocca muoversi per snocciolare l'ipotetica scusa, riuscire a scorgere il potenziale negli altri, sopratutto perché erano rimasti davvero in pochi a possederne anche solo una goccia. Annuì una volta, movimento impercettibile, prima di rilegare all'orecchio sinistro il compito di prestare attenzione e abbassare lo sguardo dalla testa all'incirca alle sue ginocchia sottili. Perché non aveva mai pensato a Charlie in quel modo? Era curioso che non riuscisse a darsi una risposta, la situazione sentimentale e privata della donna non lo avrebbe di certo preoccupato se gli fosse interessato scoprire di più. No, non era quello. Si concesse qualche altro secondo poi decise che una risposta non l'aveva, e solo in quel momento gli occhi percorsero lo stesso tragitto a ritroso inchiodandosi come viti sul suo viso mentre finiva di dire con una risata: io vittima? La bocca si storse in una smorfia scontenta e lo sguardò vagò lateralmente in cerca di qualcosa che poter incenerire. Odiava quella parola, la associava a debolezza, inettitudine, impotenza, tutte sensazioni che gli ricordavano la persona che era prima, quando il gemello ancora gli pesava accanto. Quasi come a infastidirlo dall'oltretomba, gli sembrò di sentirne il respiro sull'orecchio che scacciò con un gesto irritato della mano. Ma mimò comunque un applauso muto, annuendo mentre tornava a concentrarsi sulla donna che aveva finito di illustrargli l'ipotetico scenario. L'accenno di assenso serviva a rincuorarla che, nonostante l'obiezione, pensava ancora che fosse la migliore nel suo campo. Non aggiunse altro, accomodandosi invece meglio sul divano piegando un ginocchio a formare un angolo quasi retto con la gamba. Il liquido ambrato toccò in fretta il fondo del bicchiere, che Nikolaj osservò increspando leggermente le sopracciglia. Pur rendendosi conto che non avrebbe retto in eterno non sembrava desideroso di smettere d'uccidersi giornalmente, e si chiese se la colpa fosse da imputare ai genitori, al nonno, al gemello o solo a lui, che alla fine era quello dalla cui mente, bocca e dita erano venuti fuori gli orrori più grandi. Neanche un'overdose era servita a mettergli addosso la paura di morire, anche se era da allora che non toccava un grammo di cocaina. Aveva in parte funzionato, allora? Provò a non andare con il pensiero a quella notte ma a concentrarsi su Charlie, la sua Charlie, l'unica in quel covo di sciacalli di cui forse si poteva davvero fidare. Appena formulato quel discorso si sentì sciocco e, osservandola muovere le labbra per dar voce a qualcosa di poco interessante riguardante i Brians, pensò che lui, su quella terra, non si sarebbe mai davvero aperto con nessuno. Come poteva? Il suo più grande segreto era anche quello che non avrebbe mai potuto dire, quello più orribile, la cosa che gli aveva macchiato l'anima di un nero indelebile che non si poteva lavare via, no, non come aveva detto quello stupido prete l'unica volta che aveva pensato di confessarsi. Era una brutta giornata, una di quelle nerissime pochissimi giorni dopo essere stato riacchiappato per il rotto della cuffia dai paramedici che, sul pavimento cosparso di cuscini, sotto lucine bianche pendenti dal soffitto l'avevano rianimato. Si sentiva strano, perso, nonostante non volesse ammetterlo aveva avuto paura e non riusciva a scrollarsela di dosso, era rimasta attaccata alla pelle come se insieme agli impulsi delle piastre del defibrillatore anche qualcos'altro fosse entrato dentro. Sarebbe morto solo. Questo era stato a spaventarlo così. Se lo sarebbe dovuto aspettare, non era proprio circondato dagli amici, eppure chissà perché l'aveva colto alla sprovvista il fatto che non ci fosse letteralmente nessuno di fianco a lui. Sarebbe morto steso in una stupida camera di una stupida ragazzina alla quale aveva stupidamente rubato una caterva di farmaci, mischiandoli con alcool e cocaina. Anche la stupida ragazzina se l'era data a gambe. Prima gli occhi blu lo fissavano e dopo poco non c'erano più, solo le lucine intermittenti che si spegnevano insieme al suo respiro. Riemerse dai propri pensieri quando sentì il vetro del bicchiere sotto le dita, stringeva con una forza tale da rischiare di fare un casino. Inspirò allentando la presa, intrufolandosi appena in tempo nella conversazione per chiedere notizie della donna che aveva provato a smascherare l'intera organizzazione. Era bastato quello, una donna anonima e insignificante, per metterlo in crisi. Istintivamente contrasse la mascella in una smorfia mal trattenuta. Il ricordo di quello che era successo lo mandava in bestia, la dottoressa Nguyen lo mandava in bestia. Molto bene. Temo che, qualora dovesse causare altri problemi, bisognerà prendere provvedimenti più drastici. Come avverare la minaccia e buttarla dal quarantasettesimo piano. Al pensiero, il lato destro della bocca si tirò su in un impercettibile sorriso. Quella si che sarebbe stata una giornata fruttuosa. Lascio la cosa nelle tue mani. Con un sorso finì l'ultima goccia di liquore. L'aggiunta, e la relativa minaccia, equivaleva a mettere il destino della dottoressa nelle capacissime mani di Charlie. Sarebbe stata lei a decretare la vita o la morte della donna, responsabilità che uno come Nikolaj trovava esaltante e che invece, forse, a una persona normale avrebbe potuto creare qualche problema. Non che Charlie potesse definirsi del tutto normale. Chiunque fosse lavorasse per lui e per i veri scopi della compagnia doveva aver abbandonato da molto i giusti valori e l'idea di una morale, del bene che trionfa sul male. Lì quel genere di cose non trovavano uno spazio da occupare: nel suo mondo c'erano solo profitto e quel che serviva a raggiungerlo. Quando raggiunse la scrivania la mente vorticava rischiando di perdersi di nuovo nei meandri di quella notte. Delilah era sparita, puff, scomparsa come una nuvoletta senza lasciare traccia di sé. O almeno così pensava lei. Non sapeva davvero con chi aveva a che fare e con quali mezzi Nikolaj riusciva a ottenere quello che voleva, sopratutto quando si trattava delle proprie ossessioni. E con Delilah proprio di questo si trattava: la sua nuovissima, pulsante ossessione che lo teneva sveglio la notte. La cosa che non gli andava giù era proprio il fatto che non fosse lei a cercarlo, a volerlo vedere, a desiderarlo con ogni fibra anzi, sparendo gli dava l'idea che fosse tutto il contrario: che per una volta fosse lui ad avere bisogno di qualcuno. Piegato sulla scrivania Nikolaj digrignò i denti, le lunghe dita si strinsero sul fascicolo che parlava di lei mentre l'uomo decideva che si, l'avrebbe fatta tornare ad ogni costo e con qualsiasi mezzo. Fu infatti con una nuova luce negli occhi che il CEO tornò sui suoi passi, i fascicoli stretti in mano mentre blaterava mezze verità alla collega. Per quanto si fidasse, non avrebbe di certo ammesso una realtà che, diciamocelo, fino a quel punto continuava a negare anche a sé stesso.
    Con una certa fatica si piegò nuovamente sul divano, lasciando nelle mani di Charlie. Non si era ancora ripreso del tutto e la cosa gli dava ai nervi, ma decise come al solito di ignorarsi e ignorare i segnali che il suo corpo gli dava e si accese una sigaretta, abbandonando la schiena contro il tessuto di pelle del mobile. Il primo tiro era sempre un'estasi, poi non sentiva più niente. Alla sua domanda, tra l'altro giustissima, Nikolaj reagì guardandola come fosse un'aliena. Mosse il capo e gli occhi verso il soffitto mentre cercava di pensare, di ricordare cosa sapesse di Delilah.Torre Eiffel a testa in giù su un soffitto stellato. È Francese, almeno per metà. Assottigliò gli occhi rendendosi conto di quanto inutile fosse quell'informazione e di come poteva suonare alle orecchie di Charlie. Come se ci fosse altro. Madre e un fratello minore, quindi bisognerà fare attenzione: deve essere una cosa rapida, un paio di giorni al massimo. Il padre vive all'estero. Lavora in un locale a luci rosse chiamato Perception, ha un contratto da hostess. Enfatizzò l'ultima parola storcendo lievemente il naso. Era chiaro che alludesse ad altro, al fatto che per lui hostess era solo l'ennesimo termine elegante per dire prostituta. Del resto l'aveva visto con i suoi stessi occhi e provato sulla sua stessa pelle. Il resto lo trovi lì. Accantonò l'argomento con un gesto sbadato della mano, la testa che tornava ad abbassarsi per fronteggiarla. Pensò che sarebbe stato un sollievo poterle confidare come si sentisse, tirare fuori quella cosa che sentiva dentro. Ma sospirò, Nikolaj, spegnendo la sigaretta arrivata solo a metà nel posacenere mentre scuoteva lentamente la testa. No, nient'altro. Solamente un cosa, Charlie. Voglio la massima discrezione: di lei devono sapere solo tu, io e il medico che effettuerà gli esami. Aveva poggiato i gomiti sulle ginocchia appuntite, in faccia il solito sguardo serio si era fatto quasi crucciato. Ora puoi andare. Ah, visto che ti sei offerta: vorrei un'entrecôte ben scottata. Poggiò di nuovo la schiena contro il divano, allungò le lunghe gambe accavallandole e, infine, le concesse un sorrisetto.
     
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