Say you'll see me again even if it's just in your wildest dreams

Cornelia ft. Egon | Consultorio | 13.04.2021

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    Cornelia aveva iniziato quella giornata al contrario. Era così che definiva le volte in cui cominciava una giornata motivata e poi succedeva qualcosa di irrimediabile, che sconvolgeva l'ordine della preparazione che aveva studiato per una serie di avvenimenti. Cornelia non era una persona estremamente precisa, poteva convivere con il caos, o poteva raccapezzarsi intorno a un disastro. Cornelia aveva a che fare con cose poco pulite e poco sensate per il suo lavoro: il cuore non aveva niente di preciso. Il cuore è un muscolo come tutti gli altri, e come tutti i muscoli involontari va un pò per fatti suoi. Quello che fa il cuore di serio è distribuire il sangue nel resto del corpo, e così il lavoro degli altri resta immutato se tutto va a buon fine. Ma Cornelia sapeva bene che non tutti i cuori funzionavano allo stesso modo. Più o meno erano tutti alla stessa posizione, quelli che trovava, quelli che vedeva, quelli che doveva operare. Operare al cuore era un gran casino: non sai mai in effetti cosa ci puoi trovare lì in mezzo. Perciò non veniamo a dirci che i chirurghi devono essere maniaci della precisione: è richiesto a loro un grandissimo impegno di concentrazione e un esercizio di precisione quando si viene alla mano nella parte più essenziale del loro lavoro - bisturi, incisione, taglio, garza, sostituzione, filo, cucito - ma devono avere a che fare letteralmente con le mani in pasta con tutto quello che può capitare, nei meandri di un pasticcio. Cornelia era, nella vita reale, nella vita di tutti i giorni, una pasticciona. Cornelia faceva pasticci grandi e ne cucinava anche. Si ribattezzava la regina indiscussa dei pasticci e delle torte: ne aveva fatti di qualsiasi tipi e forma, con qualsiasi ingrediente a disposizione. Anche per quel mestiere necessitava di mettersi all'opera e seguire per certi versi la ricetta e le dosi specifiche, ma a parte qualche margine di chimica e di disciplina che doveva rispolverare ecco che tornava all'attacco con nient'altro che la sua fantasia, una grande dose di strumenti da adoperare e spesso niente che ci capisse prima che le cose riuscissero bene. Ecco che quella mattina cominciata al contrario significava per lei mettere le mani in un grande gigantesco problema da affrontare. Aveva messo il piede sbagliato giù dal letto. Non le succedeva mai.
    Cornelia dormiva sola nella sua camera grandissima della sua casa enorme che lei e il suo ex marito avevano volutamente scelto di comprare alla periferia di Besaid - una casa in stile "la casa nella prateria" che avrebbero riempito di bambini - così si erano detti al tempo - proprio accanto - un paio di ettari di terreno a separarli in realtà - alla casa storica dei suoi genitori. Quando Amelia non dormiva con lei - e quello diventava sempre un pasticcio intrecciato di lenzuola con la bambina che giocava o faceva incubi durante la notte - dormiva inevitabilmente da sola. Erano solo loro due, in una casa che aveva cinque camere da letto al piano superiore, e lei malediva ogni volta il fatto che quella casa fosse troppo grande perché non si riscaldava mai - ma alla fine a parte tutto non si sentiva mai troppo sola quando ci era dentro, visto il trambusto che faceva Amelia, o anche perché quando non era fuori casa ad occuparsi del suo lavoro o a far commissioni e quando ci passava effettivamente del tempo c'era sempre qualche amico o qualche fratello, o qualche amico dei suoi fratelli, che rimaneva lì con lei. Cornelia dormiva allo stesso lato del letto, alla sinistra, così si svegliava tirandosi su e mettendo prima il piede destro e poi il sinistro sullo scendiletto. Quella mattina si era alzata con un gran peso alla testa - e questa affermazione le ricordava facendola ridere sua madre, quando diceva che aveva un gran mal di testa o un cerchio alla testa, e diceva, soprattutto quando i figli erano bambini, che lei sarebbe morta di nervi, dei suoi poveri nervi - ecco che aveva messo nella confusione la sbadatezza prima dell'abitudine, e il piede sbagliato sul tappetino azzurro. Quella giornata era cominciata malissimo, ed ecco il primo segnale a farla ricordare di fare attenzione - ma lei aveva deciso che il mal di testa vinceva sul disagio di aver sbagliato mossa, e la scaramanzia poteva essere esorcizzata con il fatto che avesse ragione il primo fattore. Cornelia si era vestita anche quel giorno tirandosi su e facendo colazione presto con Amelia - ma Amelia le aveva rovesciato addosso la propria tazza con il latte e i cereali, e alla fine aveva dovuto cambiarsi un'altra volta. Si era recata di nuovo al piano superiore, oltre la camera da letto, di nuovo di fronte al proprio armadio nella stanza adibita a guardaroba, che ora che era una sola sembrava quasi inutile che occupasse tutto quello spazio. Aveva ricordato nel trambusto dello sbaglio commesso dalla figlia di avere una gonna lunga fino al ginocchio che non aveva più indossato, e così aveva pensato di poterla cercare con il proprio tempo a disposizione. Aveva finito per cercare in tutti gli angoli del proprio armadio fino ad aprire un'anta che aveva dimenticato da tempo proprio sulla destra, l'ultimo ripiano lontano dal fondo, scoprendo un paio di pantaloni da tuta morbidi di Thomas, che doveva aver dimenticato oppure che aveva volutamente lasciato lì perché dovessero essere buttati. Li buttò alle proprie spalle, maledicendo l'uomo a denti stretti per aver lasciato dopo tutto quel tempo cose nella sua casa, e riprese a vestirsi dopo aver trovato con successo l'articolo che stava cercando. A Cornelia piaceva vestire in modo estremamente femminile, i suoi vestiti erano pieni di colori e fantasie, il nero lo indossava solo in particolari specifiche occasioni e gli abiti eleganti dovevano essere limitati agli abiti da festa, o a dei pantaloni casual, non in quello che indossava a lavoro. Cambiò l'abito gioioso a fantasia oramai inzuppato di latte e cereali per indossare una camicetta rossa sblusata sopra un jeans classico e un blazer a doppio petto a righe chiaro (x). Essendo in ritardo visto l'incidente subito fece in tempo ad indossare il suo orologio e raccogliere la borsa grande già pronta che portava spesso per recarsi in ospedale, e a spazzolarsi i capelli distrattamente. Si diede il cambio con sua madre, Jennifer la nonna giovanissima di Amelia, che quel giorno era più sistemata della figlia, sempre pronta perché era fiscale e puntuale, e da quando Camille aveva preso le redini della pasticceria - e anche da quando Thomas non c'era più - si prendeva sempre cura di Amelia, la sua primissima e per il momento unica nipotina. « Mamma nascondi tutte le caramelle che trovi in giro per casa. » Cornelia era troppo buona con Amelia, e in generale tutta la famiglia coccolava la bambina come se fosse una mascotte. Amelia stava per compiere sei anni ed era alle prese con il primo dentino da latte che cominciava a caderle - le caramelle gommose che madre e figlia amavano dovevano essere nascoste alla vista della bambina e portate al sicuro per evitare pianti e disastri spiacevolissimi. Era già sulla porta di casa e aveva affidato baci volanti al vento, pronta a correre nella sua auto e a guidare rocambolescamente a lavoro. Non aveva impegni con il suo lavoro pagato, quello era il giorno libero che dedicava alla consulenza su cui faceva affidamento un manipolo di persone con problemi da stress post traumatico. E quel giorno in realtà, visto che oramai era stato bollato da Cornelia come giorno orribile, era il giorno che non avrebbe visto il suo paziente preferito, Egon. L'uomo dietro cui fantasticava da quando aveva messo piede all'ambulatorio di consulenza, e dietro cui tutte le donne dell'ufficio lanciavano occhiate strazianti e tristissime. Ma non c'era modo di soffrire per lui, almeno, tutte si erano consolate sul fatto che non aveva avuto occhi per nessuna. Solo Cornelia ancora sospirava, perché era lei la sua dottoressa assegnata, ed era lei che ascoltava tanto e sempre da lui. Una donna - divorziata - ha pur diritto di sognare no?
    Arrivò all'ambulatorio trafelata, con gli occhi all'orologio, ed entrò all'ingresso sparendo dietro la porta del suo ufficio, quello che le avevano assegnato per il consultorio. Sparì dietro la porta, fece appena in tempo a guardarsi intorno e a lasciare la borsa sulla sedia accanto alla finestra che si affacciava sul giardino della piazza del centro di Besaid, per poi sentire un gran trambusto all'esterno. Va bene che era la giornata orribile, ma adesso si preoccupava.
    « Sophie, cosa succede? » Chiamò la giovane segretaria dello studio dal di dentro, ravvivandosi i capelli solo perché nella fretta aveva i capelli in disordine tanto da non vedere più nulla di fronte a sé. Un paio di rumori ben assestati di porte sbattute, ed ecco che la persona che non aspettava di vedere quel giorno aprì la porta del suo ufficio reclamando tutta la sua attenzione.

    Edited by wanderer. - 11/9/2022, 17:09
     
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    Egon Gibson
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    Egon aveva sempre avuto una certa difficoltà nell’esprimere a parole ciò che provava. Anche quando era stato più estroverso e socievole, per lui descrivere ciò che aveva dentro era sempre stata una difficile impresa. Negli ultimi anni aveva sopito ogni sentimento umano che fosse in grado di provare, aveva iniziato a farsi scivolare tutto addosso sino a rendere quel comportamento un’abitudine che lo aveva condotto verso il torpore e l’indifferenza totali. Egon era un robot, né più e né meno. Questo pensava di sé stesso e gli andava bene così. Si era abituato a quel torpore che gli impediva di provare ulteriore dolore, dopo quello che aveva già provato in passato. Una cosa, però, non aveva sopito in un angolo oscuro di sé stesso: il senso di colpa.
    Quel peso insistente che si portava sul petto e che riaffiorava ad ogni suo movimento, ad ogni gesto che Egon reputava discutibile, non comune ai normali esseri umani, una mancanza. Il bere troppo, il non farsi sentire con i suoi fratelli, il non essere riuscito a salvare il suo commilitone e, adesso, a questo lunga lista si aggiungeva anche il non essere riuscito a salvaguardare Bella da qualsiasi fenomeno inspiegabile fosse successo sulla spiaggia di Besaid. Aveva abbassato la guardia, pensando che per una sera tutto andava bene, la gente era in festa, era felice, cosa mai poteva capitare a Bellatrix? Si era sbagliato. Aveva sottovalutato la situazione, ore Bella aveva un trauma sotto la pelle e la colpa era sua, di Egon.
    Difficilmente si apriva, Egon. Cornelia Blackthorne ne sapeva qualcosa. Sybilla lo aveva mandato da lei per il suo problema con l’alcool, ed Egon vi era andato contro voglia. Spesso trascorreva le sedute con Cornelia in silenzio, rispondendo a monosillabi. Non gli piaceva che qualcuno si facesse gli affari suoi. Eppure, dopo il racconto che gli aveva fatto Bella, Egon pensò che Cornelia era la persona più adatta a condividere quel pesante senso di colpa con lui. Insomma, dopotutto era il suo lavoro, giusto? Aveva trascorso una notte agitata, priva di sonno e satura di alcolici. I suoi occhi erano circondati da profonde occhiaie. Che Egon non aveva dormito lo si poteva notare da lontano un miglio, persino i suoi capelli arruffati parlavano chiaro. Si era vestito un po’ con le prime cose che gli erano capitate e, non appena reputò che l’orario fosse plausibile, si diresse all’ambulatorio senza avere alcun appuntamento con Cornelia. La dottoressa Blackthorne riceveva solo tramite appuntamento, ma in quel caso ad Egon non fregava un cazzo.
    Di cosa gli importava veramente, poi, non lo sapeva neanche lui. Di certo gli importava la sicurezza di Bella, quello era ovvio. E proprio in quello aveva fallito. «Ha un appuntamento?» Egon alzò gli occhi al cielo. Non doveva rompere le palle pure la segretaria! «No.»
    «Allora non può entrare, mi dispiace.» La voce della donna lo irritò a dismisura, considerato che la sua era una mente stanca, che non aveva dormito neanche per un attimo. «Sono un poliziotto, devo assolutamente entrare.» Si giocò la carta della forze dell’ordine, tastandosi le tasche dei pantaloni ma non trovando il suo distintivo da nessuna parte. Se l’era dimenticato. A quel punto, senza avere una prova tangibile dell’autorità che rappresentava, non gli restava che infrangere la legge. Era alto e forte abbastanza da superare la segretaria e proseguire fino allo studio di Cornelia, mentre la povera donna tentava di fermarla con ogni forza che aveva in corpo. Stava facendo un po’ di casino, Egon doveva ammetterlo, ma era per una buona causa. Aprì con decisione la porta della dottoressa, senza neanche bussare, aveva necessità di farsi vedere perché qualcosa gli diceva che Cornelia non l’avrebbe rifiutato anche se non aveva preso alcun appuntamento con lei.
    Fece la sua apparizione improvvisa quasi come un eroe, anche se Egon eroe non lo era proprio. Guardò l’espressione sorpresa della dottoressa, la stessa che spesso lo aveva guardato domandandosi cosa diamine gli frullasse nella testa. «Può tranquillizzare la sua segretaria? Sono qui senza un appuntamento, ma mi tratta come se fossi qui come uno dei peggiori delinquenti. Nemmeno le avessi rubato il caffè.» Indicò con l’indice proprio la segretaria, che cercava inutilmente di strattonarlo via dallo studio di Cornelia, mettendo a dura prova la pazienza di Egon. Lui sospirò. La testa pesante, com’era comprensibile, ma il peso che aveva sul cuore era quello che sentiva maggiormente. «Devo…devo solo parlare. Voglio parlare, tutto qua.» Questo era il massimo che poteva dare come spiegazione per quella sua azione tanto strana. Per quanto incredibile, Egon aveva finalmente reagito a qualcosa, seppur in maniera caotica. E nemmeno se ne stava rendendo conto.
     
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1 replies since 26/3/2022, 15:29   92 views
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