I'm not made in your likeness, I do try, but I'm hopeless, watch my fears unravel, can you see the truth of me?

Elise & Ann

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    Chiuse gli occhi, posando la schiena contro il muro del vicolo e restando immobile per qualche istante, concentrandosi soltanto sul suo respiro. Era stata una serata lunga e piuttosto difficile ed era felice che le sue ore lavorative fossero giunte al termine. Mai come quel giorno le era capitato di avere a che fare con un cliente così problematico e difficile da tenere a bada. Sollevando il mento verso il cielo stellato riaprì gli occhi, cercando nella fioca luce dei lampioni qualcosa che le suggerisse che cosa fare. Il primo pensiero era stato quello di scrivere a Eyr, chiedergli se fosse libero, ma ci aveva ripensato subito. Vedendola con quel muso lungo le avrebbe sicuramente fatto una delle sue paternali. Non approvava che lei facesse quel lavoro per vivere e in ogni occasione cercava un modo per farglielo pesare e per convincerla a cambiare vita. Non era la sera adatta per mettere su un bel sorriso e rispondere in maniera tranquilla. Quel lavoro era tutto ciò che aveva, l’unica cosa che sentiva di saper fare, come altro si sarebbe potuta mantenere? Lei non era come lui, non aveva una famiglia facoltosa alle spalle, aveva sempre avuto solo se stessa e quello si era fatta bastare. Aveva imparato sin da bambina che sognare era pericoloso e che certi sogni potevano farti del male. Non era stata lei, dopotutto, a sognare di avere un padre? E che gran bel padre sua madre le aveva trovato! No, vivere con la testa tra le nuvole era consentito soltanto a chi aveva le spalle coperte, non certo a quelli come lei che avevano dovuto lottare con le unghie e con i denti sin dal primo giorno per trovare il proprio posto nel mondo.
    Sospirò e si allontanò dalla parete, iniziando a camminare. Non si era cambiata, né struccata, indossava ancora il tubino rosso e un po’ di trucco slavato. Notò il suo riflesso sulla vetrata a specchio del piano terra di un edificio bancario. Non aveva proprio un bell’aspetto, sembrava quasi che fosse appena uscita da un’asciugatrice tutta intera. Qualunque traccia ci fosse stata di Rose in lei quel giorno era svanita quando aveva varcato la soglia del Lust per tornare a essere semplicemente Elise. Scosse i capelli al vento, quel giorno di una tonalità di mogano scuro. Li aveva tinti da poco, negli ultimi mesi li aveva cambiati così tante volte da aver perso il conto. Sembrava che niente riuscisse a farla sentire davvero a suo agio. Si tolse le scarpe, preferendo camminare scalza piuttosto che sentire ancora il suono dei suoi tacchi nelle orecchie. Aveva un gran mal di testa e aveva l’urgente bisogno di trovare una distrazione. Fu allora che, come d’incanto, ricordò che Eld le aveva accennato che presto ci sarebbe stata una nuova serata al Labirinto, anche se, come al solito, era stato molto vago. Le vere informazioni non venivano mai da loro, ma lei sapeva a chi rivolgersi quando aveva la necessità di trovare quel piccolo angolo di Paradiso. Recuperò il telefono dalla borsetta e compose un numero. -Ho bisogno del tuo aiuto. - mormorò, aspettando qualche momento prima di dare un indirizzo come punto di incontro. Certe informazioni era meglio sentirle a voce.

    Aveva recuperato un paio di Converse nere e aveva abbandonato le sue scarpe sul pavimento di casa, con una certa fretta, prima di farsi dare un passaggio verso il luogo dove, ne era sicura, avrebbe finalmente ritrovato almeno un pezzetto di se stessa. Si era fatta lasciare a circa cinque minuti a piedi dall’ingresso, giusto per non dare troppo nell’occhio e aveva percorso lentamente i metri che la separavano da un mondo di illusioni. All’ingresso aveva trovato gli amici di sempre. Aveva dato la mano a Eld e, con un sorriso un po’ troppo forzato, si era espressa in poche parole. -Non chiedere, è stata una pessima serata. Ho bisogno di un po’ di pace. - mormorò, lasciando l’impronta delle sue labbra rosse sulla guancia del più solitario del gruppo, prima di procedere verso l’interno del Labirinto, muovendosi a caso, come faceva sempre. C’erano delle persone che andavano lì alla ricerca di qualcosa, sperando di trovare esattamente ciò che si erano prefigurati. Lei invece andava lì per perdersi, convinta che l’unica maniera per trovare davvero qualcosa fosse quella di non cercarla affatto. Le cose migliori accadevano per caso. A ogni passo le sue sensazioni si fecero sempre più intense ma, non contenta, frugò all’interno della borsetta alla ricerca di una piccola pastiglia che, di certo, l’avrebbe spinta verso la felicità.
    In pochi minuti tutti i muri attorno a lei si tinsero di un rosa accesso. Sorrise, guardando quell’ambiente che, tutto in una volta, aveva preso una piega molto più simile a una casa delle bambole. Quanto aveva sognato di possederne una quanto era una bambina. Tenendosi con una mano alla parete continuò a camminare. La punta del naso rivolta verso l’alto a osservare il soffitto che, passo dopo passo, cambiava colore senza un apparente motivo. Era bello perdere il controllo, lasciarsi tutti i problemi alle spalle almeno per un po’. Era da sempre stata abituata a fuggire dai problemi, affrontarli non era il suo forte. Si era convinta da anni che, se un pensiero si allontanava dalla sua mente, allora quel problema svaniva nel nulla, come per magia. Non le piaceva pensare alle conseguenze, ragionare lucidamente e mettersi in testa che le cose non se ne andavano davvero da sole e che, prima o poi, qualunque cosa si fosse lasciata alle spalle sarebbe tornata a reclamare il suo prezzo. Aveva perso il conto delle questioni in sospeso che aveva collezionato nel corso degli anni.
    Girò a sinistra, seguendo una linea dorata che disegnava una sottile trama sulla parete, poi, dopo qualche metro, girò ancora una volta a sinistra. La testa si era fatta più leggera e con essa tutto il suo corpo. Sentiva di essere al sicuro in quel labirinto sospeso tra la realtà e la finzione, dove tutti potevano essere chiunque volessero. L’unico posto dove sentiva di poter essere semplicemente Elise, senza il rischio che qualcuno la giudicasse o pretendesse da lei qualcosa di diverso. Sarebbe stato bello vivere lì per sempre. Anche se, forse, alla lunga, si sarebbe sentita un po’ sola. Fingeva di stare bene nel silenzio della sua enorme casa vuota, ma aveva sempre preferito sapere di avere qualcuno al suo fianco. Non necessariamente un amico, o una persona su cui contare, semplicemente qualcuno con cui condividere il tempo e sentire un po’ meno il peso della solitudine del mondo. Girò di nuovo a sinistra e fu allora che intercettò un’altra figura solitaria che sembrava però emanare un’aura molto diversa dalla sua. Non seppe perché ma a pelle percepì di avere davvero poco a che fare con quella ragazzina con il viso cosparso di efelidi. Non sapeva se fossero vere o solo l’effetto delle sue fantasie momentanee ma fu quel dettaglio a catturare la sua attenzione e spingerla ad avvicinarsi a quella ragazza. Senza neppure chiederle il permesso allungò un dito a sfiorare la superficie eterea della sua pelle, di un colore diafano che faceva un certo contrasto con la sua pelle olivastra. -Sono bellissime. - disse, con un sorriso, senza neppure preoccuparsi di chiarire a che cosa si stesse riferendo. La guardò con i suoi grandi occhi scuri, sorridendo di nuovo, presa dall’euforia del momento, prima di fare una leggera giravolta e guardarsi attorno. -Dove siamo? - chiese, non riconoscendo il luogo che le circondava. Aveva imparato che, spesso, le parole e i pensieri delle altre persone potevano influenzare le visioni degli altri e quale modo migliore di sfuggire dal suo mondo che entrare in quello di un’altra persona? -Come ti chiami? Io sono Elise. - aggiunse, senza tenderle la mano, ma limitandosi a guardarla.
    In una situazione normale probabilmente non avrebbe mai detto il suo nome con tanta leggerezza a una sconosciuta, turbata che la sua copertura potesse saltare se messa nelle mani sbagliate. Ma lì, sospesa in quell’atmosfera così calorosa e avvolgente, non poteva neppure essere sicura che quella ragazza fosse reale e non il semplice frutto della sua fantasia. Forse con il passare del tempo tutto sarebbe stato più chiaro, oppure no. Non avrebbe saputo dire quale delle due opzioni le sarebbe risultata preferibile. -E’ la prima volta che vieni qui? - chiese ancora, visto che non le sembrava di averla mai incontrata nelle innumerevoli ore che aveva trascorso all’interno del Labirinto.

    Edited by 'misia - 7/7/2023, 20:00
     
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    Abbracciata dall'oscurità della notte e dal suo stesso abito nero, Annelyse aveva la sensazione di star camminando verso delle misteriose fauci in grado di ingoiarla fino a farla sparire del tutto. Non le sarebbe dispiaciuto sparire nel ventre di qualche mostro, soprattutto se l'essere mangiata avrebbe comportato lo spegnimento del desiderio intenso che l'aveva spinta fuori casa sua. Avvertiva una strana febbre pervaderla. Avrebbe potuto paragonare quella sensazione a un prurito che non sarebbe stata in grado di zittire da sola: non le era permesso estinguere quel fastidio, aveva bisogno delle mani di un'altra persona. Il tessuto dell'abito che aveva addosso cadeva leggero lungo il suo corpo, coprendole le braccia e le gambe, seguendo ogni movimento di Annelyse con grazia, creando un piacevole contrasto con la pelle più chiara. Nonostante l'aspetto impeccabile, nei suoi occhi si scorgeva un'agitazione interiore: era pronta ad affrontare l'ignoto, ma il suo cuore batteva di eccitazione e incertezza, di desiderio e di paura. Era alla ricerca di qualcosa, di un'esperienza che le desse una fuga temporanea dal suo mondo controllato e predittivo. Annelyse aveva sentito parlare del Labirinth solo attraverso voci di passaparola, un luogo che appariva una volta al mese in luoghi diversi, un luogo che prometteva un'esperienza unica e incantevole. Era stata attratta dall'idea di perdersi in un labirinto illusorio, di lasciarsi trascinare in un mondo di incertezza e sorprese.
    Pagò le 900 corone ed entrò. Le punte delle sue dita tracciarono il contorno dell'entrata immaginaria, sentendo il contrasto tra l'aria più fresca dell'esterno e il leggero calore all'interno dell'attrazione. La sua percezione tattile le suggerì l'idea di un confine invisibile, qualcosa di etereo ma tangibile, come se le sue dita sfiorassero la soglia tra il reale e l'illusione. A poco a poco, Annelyse fece scorrere le sue mani lungo la superficie invisibile, seguendo le curvature e le pieghe che delineavano la struttura immaginaria del Labirinth. Ogni lieve cambiamento nella sensazione al tatto le mostrava dettagli sfuggenti, curve e incroci che sembravano prendere vita sotto le sue dita. All'interno del Labirinth, Annelyse si trovava in un mondo di incertezza e sfocatura che caratterizzava anche la sua quotidianità ma a cui, con il tempo, si era abituata. La sua maculopatia aveva portato una sorta di tunnel visivo nella sua percezione, eppure sapeva come sfruttare al meglio ciò che riusciva a vedere. Si affidava molto ai suoi altri sensi, ascoltando attentamente i suoni dell'ambiente intorno a lei e sentendo le variazioni sotto i suoi piedi mentre si muoveva. Furono le sue mani a correrle in aiuto. Esse crearono nella sua mente sorta di "mappa" immateriale del Labirinth, un intreccio di passaggi e vie che sembravano condurre a un mondo di fantasia. Annelyse poteva quasi sentire la trama di questo luogo illusorio, come se i suoi sensi tattili fossero riusciti a percepire ciò che i suoi occhi non potevano vedere. Le superfici delle pareti non erano né lisce né ruvide, ma sembravano fluire sotto le sue dita come l'acqua di un fiume, con una sensazione piacevolmente fresca e vibrante. Mentre le sue mani seguivano il percorso dei rilievi e delle incisioni, poteva percepire una sorta di pulsazione sottile, come se le pareti stesse respirando con lei. Il Labirinth era vivo e Annelyse aveva la sensazione di star accarezzando una fiera fantastica nel bel mezzo del suo riposo.
    Non avrebbe mai immaginato che sarebbe stata interrotta nel suo vagabondare da una presenza sconosciuta, così come non avrebbe mai immaginato di essere avvicinata con tanta spontaneità: si sorprese, ma non si spaventò. Annelyse si sentì improvvisamente vulnerabile e, allo stesso tempo, attratta da quell'energia diretta ed enigmatica che la sconosciuta irradiava. "Sono bellissime." In quel momento avvertì un brivido correre lungo la sua schiena, una sensazione che andava ben al di là delle parole o delle spiegazioni razionali. Guardò la sconosciuta con occhi intensi ma per breve tempo, cercando di leggere le tracce dell'ignoto nei suoi occhi scuri. Quella connessione era quasi trascendentale, come se avessero attraversato un confine invisibile tra il reale e l'irreale. «Non sono abituata a questo tipo di lusinghe...» Rispose con un sorriso timido, ma le sue parole erano cariche di genuinità. «Ma grazie, cherie Quando Elise si presentò, Annelyse assorbì ogni dettaglio del suo tono e del suo atteggiamento. Era come se volesse consegnare una parte di sé stessa a Annelyse, anche se non sapeva ancora come o perché. «Annelyse.» Rispose con voce soffusa, quasi come una confessione. Il nome uscì da lei come un'offerta, un invito a penetrare nel suo mondo intimo.
    "Dove siamo?" Annelyse sollevò leggermente le spalle in un gesto di incertezza, sentendo il calore della presenza di Elise vicino a lei. «Onestamente, non ne ho la minima idea. Mi sembra di essere in un mondo tutto suo, fuori dal tempo e dallo spazio». Ammise, leggermente più incerta, mentre l'espressione si spezzava forse per il nervosismo. "È la prima volta che vieni qui?" Le parole di Elise vibrarono nell'aria, cariche di significati nascosti. Era come se il Labirinth avesse dato vita a un incontro destinato a sfidare le convenzioni del tempo e dello spazio, aprendo le porte a una possibile verità che andava oltre ciò che poteva essere visto o spiegato. «Sì, è la mia prima volta qui». Rispose lentamente, accorgendosi lei stessa del significato di quelle parole proprio mentre le proferiva. Ma la sua mente afferrò rapidamente le sfumature nascoste nel contesto e nei dettagli. Tutti i labirinti avevano una forma simmetrica, una struttura di equilibrio che si svelava solo a coloro che erano disposti a scrutare oltre le apparenze superficiali.
    «Sai...» continuò Annelyse, ora quasi immersa in una sorta di flusso di pensiero matematico. «I labirinti, per la loro natura, condividono una simmetria topologica, spesso nascosta, che collega i disegni nel corso di migliaia di anni di storia. Le loro forme possono nascondere una precisione sorprendente, un ordine nascosto tra i loro passaggi intricati.» Si accorse che le parole fluivano da lei come se fossero guidate da un'energia che neppure lei riusciva a controllare del tutto. «Le teorie matematiche suggeriscono che la simmetria è una manifestazione di armonia e ordine nell'universo. Può essere un simbolo di bilanciamento, un modo in cui l'universo esprime l'equilibrio tra forze opposte.» Annelyse si rese conto che stava condividendo non solo la sua conoscenza, ma anche le sue riflessioni più profonde su ciò che la simmetria rappresentava nel contesto più ampio della sua vita. «Quindi, potremmo dire che un labirinto, pur nella sua complessità, può celare un'armonia nascosta tra le sue pareti e i suoi percorsi.» Concluse Annelyse, rivolgendo uno sguardo attento a Elise, quasi come se stesse cercando di comunicare qualcosa che andava oltre le parole stesse. Era come se il labirinto fosse diventato una metafora vivente, un riflesso dei loro stessi mondi interiori che si svelavano lentamente tra i passaggi intricati del dialogo. «Perfino questo, per quanto possa riuscire a confonderci.» Probabilmente il suo discorso non aveva alcun senso per Elise. Sperò di non averla annoiata troppo.
    Annelyse sapeva di possedere una conoscenza che andava ben oltre la superficie delle cose, una conoscenza che spesso le pesava come un fardello insostenibile. La sua particolarità non le conferiva alcun controllo, ma le offriva una visione oscura e inquietante dell'Apocalisse che incombeva su Besaid. Era come se una lente di ingrandimento fosse stata posta sulla fine di ogni individuo e della stessa città, mettendo in risalto una verità che pochi osavano considerare. «Ho una condizione agli occhi chiamata maculopatia. Non vedo bene al centro del mio campo visivo, e spesso le immagini appaiono distorte... tu hai potuto vedere bene le mie lentiggini, ma ora vedo tutti i dettagli del tuo viso mescolati.» Mentre osservava Elise con una curiosità crescente, Annelyse era ben consapevole della fiamma invisibile che solo lei poteva percepire. «È piuttosto buffo. Ma credo tu abbia altrettante bellissime qualità, Elise. Lo percepisco dalla tua voce... e dal tuo profumo.» Era una presenza costante, un avvertimento silenzioso dei destini condivisi da coloro che avevano incrociato il suo sguardo. Era difficile per lei ignorare quella conoscenza, specialmente quando entrava in contatto visivo con qualcuno. In quei momenti, vedeva l'ombra dell'Apocalisse danzare nei loro occhi, e sapeva che poteva essere solo una questione di tempo prima che fossero inghiottiti da quell'oscurità. Eppure, mentre guardava Elise, c'era un'assenza inaspettata della fiamma. Una sensazione di meraviglia e confusione si mescolò dentro di lei, e non sarebbe stato difficile per Elise cogliere il tumulto di emozioni che le attraversò lo sguardo. Non era la prima volta che si trovava di fronte a qualcuno senza la fiamma, ma questa volta era diverso. Era come se l'ordine delle cose fosse stato sconvolto, come se ci fosse un'anomalia in quella realtà che lei credeva di conoscere così bene.
    «Perché non...» Deglutì rumorosamente, come se stesse forzando il suo corpo non solo a distogliere lo sguardo dal volto di Elise, ma anche a riprendere il controllo di sé. Allo stesso tempo, Annelyse sentiva le variazioni nell'energia dell'aria mentre Elise si muoveva e respirava accanto a lei. Ogni minima espressione, ogni sussurro o respiro le offrivano preziose indicazioni sul suo ambiente. «Perché non mi descrivi quello che vedi, Elise?» Annelyse parlò piano, il tono leggermente incerto. Non stava cercando una verità assoluta, matematica, voleva solo sapere di poter essere confortata dalla voce di Elise in un momento come quello. Annelyse si sforzò di mantenere la calma ma dentro di sé il cuore batteva con un ritmo accelerato, portandola a chiedersi se fosse la sorpresa o il desiderio di conoscere meglio Elise, per abbandonarsi a lei, a turbarla tanto. L'idea di affidarsi a Elise, di lasciarla essere i suoi occhi in un luogo così enigmatico, era una sensazione che la spingeva fuori dal suo comfort abituale. La brama di scoprire le parole di Elise, di sentirle descrivere quel mondo immaginario che la circondava, si intrecciava con l'emozione della presenza di Elise stessa, dei loro corpi che condividevano lo stesso spazio. Era una danza delicata tra il rischio e la tentazione, tra il bisogno di controllo e il desiderio di abbandono.

    Grazie per la pazienza :luv:
     
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    Con la mente a metà tra il mondo reale e le sue fantasie, avanzava lentamente in quello spazio che mutava insieme a lei. Sentì la testa alleggerirsi dalle paure, dai pensieri che l’avevano minacciata fino a qualche momento prima. I pensieri negativi non le facevano bene, né i suoi né quelli degli altri. La sua particolarità la costringeva ad assorbirli, nutrendo la bestia che covava dentro di lei, quel mostro che non si sarebbe fatto scrupoli a ferire e persino uccidere anche coloro che amava. Ne aveva sempre avuto paura e per questo aveva iniziato a frequentare Libra, un posto sicuro dove poter esprimere se stessa, un luogo dove c’erano persone in grado di aiutarla a gestire quel potere incontrollato. Quando non aveva voglia di essere così seria, tuttavia, si limitava ad assumere qualche droga o qualche goccia di alcol di troppo, il necessario a spegnere i pensieri e assumere quello stato di tranquillità forzata e irreale che la aiutava a mantenersi in piedi. Era bello sentire la testa annebbiata, vedere il mondo con dei contorni sfumati, le cose che si mischiavano le une alle altre senza soluzione di continuità. Avrebbe voluto che la sua vita fosse sempre così, fatta di colori diversi e di un’allegria insolita, di sensazioni fugaci eppure accese, difficili da distinguere. Invece era fatta di oscurità e paura, di rimorso e di cose non dette e non fatte. Aveva desiderato così tanto una famiglia, da fare di tutto per crearsene una sua, anche se non era fatta di un padre o di una madre, né di fratelli o di sorelle. Era fatta di amici particolari, di urla, di corse al buio, di materassi posati per terra per simulare un letto comodo, di fiamme e acqua ghiacciata. Eppure anche quella famiglia si era sfilacciata nel corso del tempo e ora di quell’amore incondizionato non erano rimasti che frammenti e ombre lunghe e scure.
    Camminò piano, facendo scivolare la punta delle dita sulla parete per avere una guida. Una linea dorata le indicava la strada, come se ci fosse un percorso segreto quella notte ad aspettarla. Non si chiese se ci fosse un premio o piuttosto qualcosa di pericoloso ad attenderla, la sua mente non era in grado di formulare simili domande in un momento come quello. E poi, non era mai stata la ragazza che pensava razionalmente alle cose e alle conseguenze, lei si faceva guidare dall'istinto per poi fuggire dalle responsabilità, soprattutto se si trattava delle sue. Il Labirinto però non era mai stato cattivo con lei. Forse perché Eld e Dean le volevano bene, o forse perché non era mai stato pensato perché qualcosa di terribile potesse accadere. Era un luogo dove divertirsi, perdere il contatto con la realtà, cosa mai sarebbe potuto andare storto?
    Una figura nera, in mezzo a tutti quei colori, catturò con forza la sua attenzione. Si avvicinò alla ragazza, doveva avere più o meno la sua età, ma c'era qualcosa di molto diverso in lei che la stregava. Era come se ci fosse una strana aura attorno a quella figura calma ma decisa, diversa dal caos che invece si agitava dentro e intorno a lei. Appariva ordinata, ben curata dentro il suo vestito elegante. Senza badare al fatto di poter sembrare invadente, le sfiorò il volto notando le sue lentiggini, trovandole ancora più belle sotto l’effetto della droga e della particolarità di Eld. Sorrise appena, in maniera quasi infantile, mentre l’altra affermava di non essere abituata alle lusinghe. Lei, al contrario, aveva imparato a convivere con parole di quel genere, con i complimenti non voluti, con frasi dette con l’intento di lusingare ma che alle sue orecchie suonavano solo come vetro in frantumi. Non rispose e si limitò a sorridere di nuovo quando l’altra le rivelò il suo nome. - Annelyse. - ripetè, come se volesse imprimerlo nella mente per non scordarlo. Le piaceva il suono e trovava che calzasse a pennello con la figura che aveva di fronte. Ma a divertirla maggiormente era il fatto che non si potesse pronunciare quel nome, senza pronunciare allo stesso modo anche il suo. Quel sottile filo che le legava le sembrò abbastanza per quella notte. -Sì, il Labirinto fa più o meno questo effetto. - mormorò, guardandosi attorno alla ricerca della linea dorata che fino a quel momento le aveva fatto da guida. Era ancora convinta che il Labirinto, o forse Eld, volesse dirle qualcosa e che seguire quella linea, che probabilmente era solo nella sua testa, fosse la scelta migliore di tutte.
    Si interruppe quando l’altra ammise che quella per lei era la prima volta all’interno di quello strano luogo. Lo aveva chiesto con una certa curiosità, ma non si era aspettata davvero di ricevere una risposta positiva. Molto spesso le persone mentivano, pur di non dare l’idea di essere dei novellini. Quella sincerità quindi la stupì tanto da spingerla a fare un ulteriore passo in direzione della sconosciuta, che iniziò a riflettere sull’essenza stessa dei labirinti. La ascoltò rapita e per un attimo le sembrò di tornare indietro, ai tempi della sua adolescenza, quando la passione per la matematica l’aveva spinta a seguire dei corsi extra nel pomeriggio proprio per approfondire la materia. Era lì che aveva incontrato Eyr per la prima volta. Forse, se lui non si fosse seduto accanto a lei quel giorno, strappandola via alla sua monotonia e portandola a immergersi completamente nel suo mondo, la sua vita ora sarebbe stata diversa. Forse anche lei avrebbe chiacchierato con degli sconosciuti dell’essenza delle cose, stregandoli con la forza delle parole. Invece la sua vita aveva preso una piega diversa, era entrata nella spirale discendente che era stata anche la condanna di sua madre e oramai sapeva bene di non poter più tornare indietro. Non si poteva risalire dal fondo quando si arrivava a raggiungerlo. Non poteva cambiare vita, era troppo tardi per gli studi, per un lavoro onesto, per una vita normale. -Non l’avevo mai vista in questo modo. - mormorò, inclinando appena il capo e mostrando un leggero sorriso in direzione di Annelyse. -Sotto questa prospettiva sembra ancora più affascinante. - continuò poi, con tono sincero, ma anche leggermente divertito. Forse, nel folle caso fortuito di quella notte, aveva finalmente trovato qualcuno in grado di rompere di nuovo la sua routine e di strapparla via alla sua esistenza almeno per qualche ora. L’intelligenza l’aveva sempre affascinante, probabilmente perché lei non si riteneva così fortunata da possederne una particolarmente acuta.
    Battè le palpebre, quando l’altra riprese a parlare, raccontandole della sua particolare condizione. Involontariamente il suo volto si piegò in una piccola smorfia dispiaciuta. Dava sempre per scontato che le persone attorno a lei stessero bene, che non avessero problemi di alcun tipo, vedere infrangere quella certezza davanti ai suoi occhi con così tanta facilità la lasciò senza parole e senza respiro per un momento. -Mescolati? - mormorò, confusa, cercando di immaginare come dovesse apparire ai suoi occhi. Erano i colori a essere confusi? O proprio le intere sembianze del suo volto? Era come quando si guardava il mondo senza i giusti occhiali da vista? -Come? - domandò quindi, sempre più curiosa. Le sarebbe piaciuto comprendere un po’ meglio quella condizione, quel modo completamente nuovo di vedere il mondo. -Oh beh, suppongo che dipenda da cosa uno intende per qualità. - mormorò, con una leggera risata. Parlava di questioni fisiche, psicologiche o intellettuali? Perché a parte sulla prima era sicura di avere numerose mancanze. La guardò negli occhi, mentre l’altra sembrò fare lo stesso, per diversi secondi. Rimase in silenzio, lasciandole il tempo di cercare qualunque cosa stesse tentando di trovare dentro il suo sguardo scuro. Poi, inclinò il capo, seguendo appena i movimenti della testa dell’altra, come un felino che osservava qualcosa di particolarmente interessante, mentre meditava su come approcciarsi. Inspirò ed espirò per un momento, cercando di percepire se ci fossero emozioni negative attorno a Ann, non trovandone neppure una, per il momento, e ne fu sollevata.
    Si portò alcune dita alle labbra, ancora perfettamente rosse, mentre faceva vagare lo sguardo attorno a sé. -E’ una stanza ampia ma poco luminosa. - iniziò, cercando le parole migliori per descrivere lo spazio in cui si trovavano. -Le pareti sembrano di cemento ma il pavimento è come un prato. Uno spazio a metà tra un interno e un esterno. - continuò, facendo scivolare la mano verso il basso, continuando a far vagare lo sguardo. -E’ come se il labirinto non sapesse se ascoltare i miei oppure i tuoi pensieri. - rivelò poi, abbastanza convinta di quella sua teoria un po’ strampalata. -C’è una sottile linea dorata. - disse, poi, recuperando di nuovo il piccolo dettaglio che l’aveva affascinata all’inizio. -Vieni. - mormorò ancora, prendendo delicatamente una mano dell’altra nella sua e guidandola vicino a una delle pareti, per poi accompagnare la sua mano verso la linea, sfiorandola assieme a lei. -Eccola. È seguendo questa che ti ho trovata. E in effetti sono curiosa di sapere dove potrebbe condurci. - ammise, puntando di nuovo lo sguardo in quello dell’altra, alla ricerca di un guizzo di complicità. -Ti va di seguirla insieme a me? - domandò, con un nuovo sorriso. Era una domanda apparentemente molto semplice, ma qualcosa le diceva che all’interno ci fossero celate molte altre cose. Il desiderio di conoscersi, di scoprire qualcosa di più l’una dell’altra, di guidarsi vicendevolmente verso mondi nuovi e sconosciuti, pur restando dentro qui pochi metri quadri che identificavano lo spazio mutevole del Labirinto.
     
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