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Valentin & Annelyse

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    Gli abiti da funerale possono essere così complicati, rifletté ironicamente. Annelyse guardò a lungo la sua figura allo specchio con indecisione, cercando di capire quale sarebbe stato il look appropriato per un'occasione come quella. I capelli biondi le cascavano in morbide onde intorno al viso, almeno fino a quando non afferrò alcune ciocche con le dita, valutando se fosse più opportuno legarli o lasciarli così com'erano. Tuttavia, prima di prendere una decisione si avvicinò all'armadio, tirando giù il vestito che aveva scelto dalla sua gruccia. Era elegante, ma non troppo. Aveva indossato quell'abito nero molte volte in passato, ma stavolta sembrava più un costume da spettatrice che un abito da lutto: aveva la sensazione di essere un'attrice in un ruolo che non aveva scelto. Dopo svariati minuti passati a posizionare il vestito davanti a sé, titubando ancora sulla propria decisione finale, infine Annelyse iniziò a vestirsi. Infilò le calze nere con un'eccessiva attenzione e poi fu il turno delle scarpe, eleganti ma sobrie. Era come se ogni azione avesse una gravità sproporzionata, come se ogni dettaglio contasse più del solito. Ogni elemento doveva trasmettere tristezza e rispetto, ma allo stesso tempo non esagerare con il dramma. Una messa in scena vera e propria. Indossò il vestito, passando le mani sul tessuto: il collo era alto e una cintura sottile segnava la vita. C'era qualcosa di malinconico in quell'immagine, qualcosa che sembrava ricordarle certe scene di film romantici che aveva visto in passato. Si prese un attimo per ridere di sé stessa. Lei, in un vestito nero da funerale, pronta a partecipare al funerale di un ragazzo con cui aveva condiviso una notte d'amore del tutto mediocre. Cosa l'aveva convinta a partecipare? Non avrebbe potuto semplicemente devolvere un po' di soldi a qualche organizzazione benefica e spedire alla famiglia un bigliettino di condoglianze?
    Il funerale di Erik Lundstrøm sarebbe stato celebrato con una cerimonia non religiosa. Annelyse ricordava che Erik era poco più grande di lei e, nonostante le cause della morte le erano sconosciute, quell'elemento che le tornò in mente si trasformò in un'ombra di tristezza che l'accompagnò fino all'arrivo alla sala appositamente predisposta per la cerimonia. L'ambiente era semplice, ma decorato con un'eleganza che sembrava non appartenere agli invitati e alle invitate alla cerimonia, che si stavano riunendo gradualmente nella sala riservata all'evento. Devono aver speso molto... Osservò, provando l'impressione di dover conoscere quella particolare impresa funebre per un motivo. Aveva partecipato a pochissimi funerali nella sua vita ma, se non si sbagliava, quella doveva essere una delle poche imprese funebri presenti a Besaid, tra quelle con più storia alle spalle e, conseguentemente, più rispettate. Annelyse non conosceva né la famiglia di Erik né i suoi amici, e per questo non si avvicinò a nessun altro, nonostante avesse ricevuto all'ingresso dei sorrisi accennati e timidi in segno di saluto. I celebranti se ne stavano stretti in piccoli gruppetti e parlavano sommessamente, permettendo ad Annelyse di afferrare frammenti di conversazioni che si intrecciavano: racconti di momenti condivisi con Erik, le sue passioni, il sonno pesantissimo da cui non si era più risvegliato.
    Nonostante si stesse mimetizzando con le pareti, Annelyse decise che era giunto il momento di farsi da parte prima che qualche celebrante potesse rivolgerle la parola. Sentiva una strana forma di nervosismo pervaderla. Forse era il senso di inadeguatezza fattosi più forte, ma credeva che non sarebbe stata in grado di far altro se non rilasciare commenti sgradevoli. Avrebbe trattenuto le parole più sarcastiche per sé, risparmiando gli animi già tormentati dei celebranti. Prese posto fra le ultime fila di sedie e intrecciò i propri pensieri ad una ciocca di capelli, cercando di guardarsi il meno possibile attorno così da non incrociare lo sguardo di nessuno. Non aveva intenzione di farsi assalire da angosce inutili: il senso di noia e di disgusto erano sufficienti a tormentarla, portandola a chiedersi in modo quasi ossessivo perché si fosse spinta fuori casa per un evento del genere.
    Mentre stava cercando di trovare un modo per distrarsi, una figura familiare comparve nell'angolo della sua visuale. Era Valentin. Non lo vedeva da anni, almeno non da quando era stato allontanato da casa. Ironico, in una città così piccola e chiacchierona come Besaid. Non aveva idea di cosa ci facesse lì: era un conoscente del defunto? Sarà venuto per pietà? Per osservarlo meglio fece in modo di non puntare lo sguardo direttamente su di lui, cogliendo qualche ulteriore dettaglio della figura del gemello che sembrava star conoscendo solo in quel momento. Valentin era radicalmente cambiato dall'ultima volta che Annelyse aveva posato lo sguardo su di lui: aveva una postura diversa, quasi più sicura di sé e autorevole, che non mancava tuttavia di una grazia per lo più sconosciuta agli altri uomini della sua età. Annelyse aggiustò la propria postura, sedendo con la schiena più dritta. Valentin sembrava averla superata in altezza e dava l'impressione di essere in salute, mentre i capelli biondi gli donavano un'area comicamente angelica. Annelyse e Valentin non erano mai stati vicini, tuttavia erano l'una il riflesso dell'altro. Era certa che, se messi l'uno accanto all'altra, i loro volti sarebbero potuti combaciare alla perfezione. Annelyse sentì un groviglio di emozioni inaspettate fiorire all'altezza dello stomaco. Non si stupì di riconoscere una voce più forte fra tutte, il disprezzo, accompagnata dal dolore e dalla rabbia. Valentin aveva scelto la sua verità, ma questa verità aveva costretto Annelyse ad affrontare le conseguenze del loro distacco.
    Ha un odore diverso. Annelyse si domandò se quella distinzione non fosse dovuta al non aver frequentato gli ambienti di casa da anni, e in un automatismo pieno di timore si portò il colletto del vestito fino alla punta del naso. Che odore emanavano i Leray? Pura paura. L'espressione disgustata di Annelyse rimase a lungo sul suo viso e la donna non si preoccupò di celare la smorfia, continuando ad osservare come poteva il fratello. Cosa ci fa qui, esattamente? Poi, come se un lampo l'avesse colpita, Annelyse sgranò gli occhi. Si accorse che Valentin non era solo un ospite al funerale, ma stava lavorando affinché il funerale si svolgesse nel migliore dei modi. Non doveva essere un caso che la signora Anette Rosdahl, proprietaria delle pompe funebri in questione, gli stesse parlando: Valentin doveva essere una sorta di collaboratore della signora Rosdahl, o forse un valletto. A quel punto per Annelyse fu davvero difficile trattenere una risata, che non provò nemmeno a mascherare con un colpo di tosse più rumoroso. Sembrava uno scherzo del destino.
    Ignorando completamente i doveri in cui era immerso il fratello, Annelyse si alzò con una grazia distante dal posto che aveva occupato, mentre passava in secondo piano per la sua attenzione qualsiasi altra persona che non fosse Valentin. Come una malombra si piazzò alle spalle di Valentin, prendendosi le mani nelle mani e rivolgendogli la parola senza nemmeno trovare il motivo per dilungarsi in inutili convenevoli. Non le interessava sapere come stesse o come avesse trascorso la sua vita fino a quel momento: Annelyse credeva si trattasse di una ghiotta occasione per riversare sul fratello un po' di insoddisfazione. Che avesse affilato gli artigli durante quegli anni? Annelyse non vedeva l'ora di poterli vedere scintillare. Se nelle sue vene scorreva ancora il medesimo sangue, sapeva che Valentin non si sarebbe innalzato a paladino di maturità, ignorando le provocazioni della sorella. «Non pensavo che avresti trovato un lavoro tanto... adatto.» Il tono di Annelyse sembrava divertito e il sorriso un filo di veleno. Non poteva distinguere chiaramente la sua espressione ma lo squadrò comunque da testa a piedi, riconoscendo una certa eleganza, addirittura ricercatezza, negli abiti. Tanto fastidio per una giornata di lavoro? Il pensiero non scivolò dalle labbra ma sarebbe stato facile leggere nel viso di Annelyse il dubbio carico di giudizio. «È quasi ironico, ma non mi stupisce. Hai sempre provato un'attrazione per le cose strambe, o le cose morte.» Continuò con leggerezza, stringendosi nelle spalle. «Deve essere molto conveniente, per te. Ti permettono di occuparne una per dormire?» Terminò la frase indicando la bara che conteneva le spoglie di Erik con un cenno della testa, attendendo una risposta da Valentin.

    Edited by Kagura` - 7/10/2023, 11:05
     
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    I've been dying to tell you
    Anything you wanna hear
    'Cause that's just who I am this week

    Se solo le persone si vestissero in abiti da funerale tutto il tempo. Quantomeno il nero ed i colori neutri donano a tutti - l'occhio fine ed allenato di Valentin non fallì nel registrare questa semplice verità. Si destreggiava tra persone scure ed ombrose quasi tutti i giorni, danzando al limitare del loro dolore per onorarlo con il suo lavoro. Era ormai molto tempo che Valentin prestava le sue abilità alla signora Rosdahl: aveva imparato dalla sua grande esperienza, si era qualificato nel migliore dei modi e le doveva il suo più grande impegno. Accompagnare le persone nella morte era per lui un onore ed il proprio peso da portare. Non avendo potuto dare altro a coloro che amava, Valentin trovò senso e scopo in una attività che avrebbe potuto sostenere i piangenti nella loro sofferenza ed i deceduti nel loro atto finale sulla Terra. Era proprio la mise-en-scène a dare un senso a tutto, così come in ogni rituale. Formare gesti, immagini e tempi d'addio era diventata una delle vocazioni più importanti per Valentin, che impiegava la sua cura, il suo ago e la sua destrezza per rattoppare carni, chiudere occhi, trasformare una morte dolorosa e violenta in un pacifico sonno. Doveva ammetterlo, fu sopreso di avere sul suo tavolo di lavoro Erik Lundstrøm. Anche manipolando ed accomodando le forme della morte così spesso, ritrovare qualcuno che conosceva, persino in giovane età, nelle stanze anguste dello studio della signora Rosdahl lo colpì con una fitta di sorpresa. Almeno per un attimo. Devo dire, sei un po' più carino adesso. Commentò lui monotono ed affettuoso, osservando il volto livido del ragazzo prima di mettersi al lavoro. Non molto fu richiesto per completare la preparazione di Erik; il corpo era arrivato in ottimo stato, e Valentin gli fu grato di quest'ultimo (ed unico) favore: nessun liquido da drenare e nessuna lacerazione da accomodare.
    Una morte non traumatica per il deceduto tuttavia non ne esclude una molto più dolorosa per le persone care sopravvissute. Era anche compito di Valentin e della signora Rosdahl assicurarsi che avessero tutto ciò di cui avevano bisogno, dalla cerimonia desiderata allo spazio più adatto ad elaborare il lutto. Poco potevano sapere i conoscenti di Erik delle due serate che il trapassato aveva condiviso con Valentin - si era trattato di una connessione fugace come la fiamma di una candela, bruciante ma facile a spegnersi. Non era difficile per Valentin affascinare, ma subire l'incanto da altri molto meno. Erik era una compagnia piacevole, ma spesso petulante ed a tratti sin troppo spessa per permettere altro al di fuori di espressioni maschili nella media. Non che Valentin ne fosse scevro, ma gli piaceva pensare a se stesso come a qualcuno di meno effimero delle relazioni che intesseva. Nessuno gli arrivava vicino, nessuno poteva intravedere le sue tenerezze, per quanto vulnerabili ed esposte potessero essere, a parte Holden ed Aksell. Il fato di molti era toccato anche ad Erik - un paio di appuntamenti a luce fioca, qualche sussurro basso e l'odore del desiderio, ma niente di più. Lui non era riuscito a trapassare lo scudo di Valentin perchè non gli era stato permesso. Ed ora che riposava così pacifico, Valentin lo reputò una delle sue opere d'arte migliori, e sebbene non fosse solito esternare alcuna preferenza per i suoi singolari ed immobili clienti, si sarebbe intravista un po' più di cura ed un ultimo regalo in quella acconciatura perfetta, nella totale assenza di pieghe nel vestito, l'attenzione nella disposizione dei fiori. Tutto sembrava fare di Valentin il perfetto primo violino in un'orchestra da danse macabre.
    Il ritmo veniva scandito dai passi silenziosi di persone che si avvicedavano durante la cerimonia, e Valentin si insinuava in esso, rispondendo con garbo e delicatezza ad ogni domanda o richiesta. Indossava anche un tocco di bianco, una camicia riccamente decorata che ben si accompagnava al resto degli indumenti neri, impreziositi solo da sobri ma scintillanti pendenti in argento. Certo signora, sistemerò tutto io dopo il rinfresco, ho anche già preso accordi con Kristofer al cimitero, non si preoccupi. Nonostante la sua più che veneranda età, la signora Rosdahl insisteva nel frequentare quante più funzioni potesse, appassionata del suo lavoro anche per tenere viva la memoria di suo marito, che assieme a lei discendeva da generazioni di impresari di pompe funebri. Ahh si, si, già, già. Bravo, molto bravo Valentin, ormai potrei anche stendere i piedi, tu sapresti cosa fare con l'attività e pure con me, hehe! Tipiche le risatine della signora Rosdahl, poichè anche nel più macabro dei contesti riuscivano a riecheggiare come un tintinnio allegro e stridulo, e Valentin ne era convinto, semmai il suo fantasma da lì a cent'anni avesse deciso di lasciare il suo corpo ed infestarlo, si sarebbe considerato fortunato di poter riascoltare quel risolino affettuoso qualche volta di più. Un fantasma però era già arrivato, e sostava in disparte, in carne ed ossa, poco lontano. Se non fosse che nella stanza era già presente un cuore del tutto fermo, Valentin era certo che avrebbe raggiunto Erik nella bara. Annelyse. Erano passati anni, ma Valentin avrebbe riconosciuto quel volto ovunque ed oltre ogni segno del tempo. Il suo riflesso, la sua gemella, bellissima e severa come sempre, un angelo nella sua forma più impietosa e umana. Ironico come per un becchino la visione di un fantasma possa essere sorprendente, eppure nel giro di pochi secondi Valentin sembrò esser diventato ancor più pallido nell'incarnato già di norma cereo.
    Non gli sfuggì la curva delle sue sopracciglia, l'incresparsi della sua fronte e la scintilla di giudizio nel suo sguardo. La famiglia riesce sempre a catapultare anche i più emancipati nella loro forma più indifesa, bambini nel corpo di adulti che desiderano l'amore o l'approvazione che non hanno mai ricevuto. D'un tratto Valentin si sentì inadeguato, piccolo, come se i suoi gesti, i suoi vestiti, e persino la sua stessa esistenza fossero troppo. Eppure si era ripromesso che a prescindere da quanta sofferenza credesse di meritare, la sua famiglia non avrebbe avuto la soddisfazione di reclamarne neanche una sola goccia. Riconosceva però delle differenze fondamentali tra i genitori ed Annelyse: lei proprio come lui era una vittima di Marianne e Thomas che li avevano messi al mondo ed avevano creduto di poter plasmare entrambi a propria immagine. Vicinanza non era proprio la parola che avrebbe scelto per descrivere la qualità delle sue emozioni per la sorella, eppure anche indifferenza sarebbe stata inaccurata. Fino a quel momento credeva che sarebbe stata proprio apatia la reazione più appropriata ma ora che Annelyse era lì in carne ed ossa davanti a lui, Valentin si rese conto che le sue previsioni si erano rivelate del tutto errate. Fu lei ad avvicinarsi, e dopo essersi cortesemente scusato dalla signora Rosdahl, Valentin si preparò all'impatto. «Non pensavo che avresti trovato un lavoro tanto... adatto.» La maschera era su, i muri alti, e Valentin si trovò seppure in una situazione delicata come un funerale, a sbuffare una risata affilata. E io che non ti saresti fatta suora, ma nous voici. Dunque lì Valentin resisteva, in piedi in disparte tra i parenti del deceduto con sua sorella ritrovata. Nel guardarla potè notare segni di tristezza attorno agli occhi, nella curva abbassata delle labbra. In tutti quegli anni con Thomas e Marianne cosa ne era stato di Annelyse? Lei non aveva più nè provato ad aiutare nè a contattare il fratello, e lui l'aveva abbandonata al suo destino.
    «È quasi ironico, ma non mi stupisce. Hai sempre provato un'attrazione per le cose strambe, o le cose morte.» Quasi in sincrono con la sorella Valentin si ritrovò a sollevare le spalle. Le cose strambe... naturalmente. «Deve essere molto conveniente, per te. Ti permettono di occuparne una per dormire?» Conveniente... La fitta di dolore che attraversò lo sguardo del ragazzo non arrivò ad intaccarne l'espressione, giacchè maestro della propria soffocazione, Valentin non si permise di restare in quel sentimento. In fin dei conti una promessa è una promessa - detestava la propria particolarità, ciò che era, ma la sua famiglia ancor di più. Certamente. La mia è foderata della pelle di ferventi cattolici proprio come te. Sibilò velenoso lui, accennando poi con un leggero moto della testa al povero Erik che riposava nella sua bara. Anche tu eri rimasta attratta o quantomeno in contatto con qualcuno di strambo ed ora anche morto. Il commento apparentemente impassibile di Valentin scontrava con lo scambio di fendenti tra lui e la sorella, e nonostante ciò un germoglio di curiosità gli sbocciò nella mente: come conosceva Erik? Che tipo di persona era diventata Annelyse? Simile ai loro genitori come in superficie appariva o resistente a suo modo? Ma dimmi, era il compianto ad affliggerti o eri tu ad affliggere lui? Forse più probabile la seconda. Lo sguardo azzurro si posò nuovamente su Erik, che circondato da parenti ed amici si apprestava ad iniziare definitivamente il suo riposo solitario ed eterno. La scelta di parole era stata molto specifica - persino durante l'infanzia e per quanto Annelyse si sforzasse di essere una figlia modello in un paradigma inumano come quello della famiglia Leray, da quel che ricordava Valentin la gemella era sempre stata una bambina solitaria, isolata in maniere differenti da come Valentin lo era stato dal mondo esterno. Faticava, quindi, a pensare ad Erik come qualcuno che aveva intessuto con Annelyse una relazione profonda e toccante tanto da dilaniarla nel lutto. Era un bravo ragazzo. Per fortuna non ha sofferto. Solo allora Valentin concesse alla propria voce di ammorbidirsi ed agli spigoli delle sue parole di smussarsi. Non conosceva i difetti di Erik, e seppur ne avesse avuti, non importavano. Nella sua semplicità sembrava ricordargli ancora una volta la forza profondamente pacifica della morte. Per quanto inguista ed improvvisa, cancellava ogni bellezza ma anche ogni pena e dolore. Non è stato conveniente prendermi cura di lui. Nè di nessun altro che passa sul mio tavolo di lavoro.
     
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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di Discussioni estese o utilizzo di linguaggio forte o offensivo. Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.

    Life is unfair
    kill yourself or get over it

    Nous voici. Valentin non avrebbe potuto riassumere in miglior modo la casualità del loro incontro, voluto forse da un destino che desiderava poter ridere per qualche momento, dimenticandosi della noia piatta ed eterna. «Nous voici.» Ripeté più a bassa voce e il ghigno soddisfatto non poté nascondere del tutto un'ombra di tristezza. Ann credeva di non doversi abbandonare al sentimentalismo: non aveva ben chiaro dove avrebbe portato la conversazione con Valentin tuttavia non aveva intenzione di alzare dei filtri nel passaggio fra la melma dei sentimenti che provava e le sue labbra, motivata dalla frizione che Valentin sembrava voler alimentare anche con le sue parole. In fondo, almeno una volta nella sua vita, il gemello si sarebbe potuto rivelare utile. Infatti, anche se Valentin non sarebbe stato in grado di arrivarci, Annelyse era convinta che le cattiverie che si sarebbero gettati addosso sarebbero potute essere paragonate agli effetti benefici di anni di terapia e, così, continuò a pungolarlo senza fermarsi. Accolse le sue provocazioni ad occhi aperti, illuminati di interesse e un cupo divertimento, finendo per ridacchiare portandosi le dita davanti le labbra al riferimento ad una bara foderata di pelle di cattolici. L'immagine era disgustosamente divertente. «Ooh... che lusso, Valentin! È un materiale raro in questa terra senza Dio. Come te lo permetti senza i soldi di paparino?» Sibilò mentre lo squadrava con sguardo sottile da testa ai piedi, stringendosi le braccia al petto e muovendo le spalle in modo provocatoriamente sensuale.
    Lasciò volentieri la scena al gemello, assorbendo le sue provocazioni come aria proveniente da un mantice, continuando a gonfiarsi mentre si muoveva leggermente sul posto, l'unghia del mignolo incastrata fra i denti bianchi come perle. "Anche tu eri rimasta attratta o quantomeno in contatto con qualcuno di strambo ed ora anche morto. Ma dimmi, era il compianto ad affliggerti o eri tu ad affliggere lui? Forse più probabile la seconda." Prima che gli occhi di Valentin divergessero sulla bara di Erik, il cui funerale era diventato un comico teatrino di scoccate velenose e patetiche, ad Annelyse non sfuggì una forma di genuina curiosità nello sguardo del gemello. Se avessero avuto una storia diversa alle spalle, Annelyse gli avrebbe gettato le braccia al collo per abbracciarlo. Se avessero avuto una storia diversa, Annelyse non l'avrebbe osservato allontanarsi da casa dalla finestra di camera sua, non avrebbe impedito agli occhi di gettare uno sguardo dentro la stanza occupata da Valentin ogni volta che attraversava il corridoio di quella che era stata la loro prigione, casa loro. Se l'amore fosse stato più forte dell paura, non avrebbe inghiottito i commenti crudeli dei genitori. Purtroppo, Annelyse non avrebbe mai potuto riavvolgere il tempo: il triste spettacolo dei burattini era inevitabile. Dove l'alleanza fra i due gemelli sarebbe stata la più forte forma di resistenza, Annelyse preferiva che fossero dinamiche antiche a muovere i suoi arti, la sua lingua. Amava quel senso di familiarità. Sentirsi finalmente a casa.
    "Era un bravo ragazzo. Per fortuna non ha sofferto. Non è stato conveniente prendermi cura di lui. Nè di nessun altro che passa sul mio tavolo di lavoro." Distratto da qualche forma di film mentale che l'aveva riportato a chissà quale evento nel passato, Valentin sembrava aver abbassato la guardia, ma Annelyse non era intenzionata ad avere la meglio su di lui in quel momento, in quel modo. Se l'altro aveva espresso un pensiero del genere, evidentemente doveva conoscere Erik: quanto e come lo conosceva? Un lungo e basso mormorio di comprensione accompagnò un paio di cenni del capo di Annelyse. «È proprio come dici tu. Hai ragione, Valentin... fortunatamente per lui è morto.» Parlò in norvegese così da poter guadagnare qualche sguardo stranito dalla fila di celebranti seduti a poca distanza da loro, a cui rispose con una velocissima onda delle dita, come a salutarli ma senza distogliere lo sguardo dal gemello. «Mi accompagneresti? Non ce la faccio ad avvicinarmi da sola.» Tornò a chiedergli in francese quando si portò le mani al petto, forzando un singhiozzo e aspettando di ricevere il braccio di Valentin, a cui non diede davvero il tempo di capire le sue intenzioni. A quel punto si incamminò verso la bara aperta, forzando il gemello a farle da sostegno. Strinse con interesse le dita sulla stoffa del gemello, osservando quanto fosse piacevole al tatto, spostando il viso vicinissimo alla sua spalla anche per poter intercettare il profumo di Valentin. «Che bella stoffa, e ti sta davvero bene. Devono pagare bene! Chiunque ti permetta di vivere così, intendo...» Gli sorrise candidamente per poi arrestarsi davanti la bara. Gettò uno sguardo vacuo all'interno, fissando il corpo per qualche lungo secondo, chiedendosi se si sarebbe manifestata una fiamma all'altezza del viso di Erik. Nulla sembrò mutare.
    «L'hai reso più piacevole di com'era.» Osservò, regalando a Valentin una stranissima forma di complimento. Si chinò leggermente sulla bara, raggiungendo con una mano il petto del ragazzo con delicatezza. «Gli uomini hanno più o meno tutti questa espressione dopo che sono venuti. Si svuotano, sono disgustosi.» Sibilò freddamente dopo aver mantenuto il silenzio per una manciata di attimi, per poi ritrarsi velocemente, come punta dalle sue stesse parole. «Senza offesa.» Si affrettò ad aggiungere, questa volta rivolta a Valentin alzando entrambi i palmi, falsamente. «E poi il suo pene aveva una stranissima pendenza a sinistra. Era così buffo.» Sussurrò mantenendo un'espressione seria, per poi guardare di sbieco Valentin, studiandone l'espressione, sperando che non avesse messo su qualche forma di imbarazzo o sgomento davanti alle parole di Annelyse. Valentin non poteva essere diventato tanto (o ancora di più) noioso! Annelyse ricordava che Valentin era sempre stato un po' abbattuto, uno straccetto avvilito, vittima del mondo crudele. Mentre lei aveva preferito sbattere la testa contro la cruda e deludente realtà senza ricorrere a fronzoli di sorta, credeva che Valentin avesse provato a sublimare tutta la tristezza in una forma più gradevole ed esteticamente accattivante, trasformando la depressione in malinconia. Valentin, in fondo, era stato sempre un tipo più romantico di Annelyse. «Mmm... credo che debba aver avuto dei gusti molto specifici. Io... e te? Hah, che tipo.» Soffiò in conclusione, senza sollevare nessun sentimento giudicante se non una sorpresa che avrebbe trovato perfino comica. Permise a Valentin di avere la sua parte, semmai avesse voluto aggiungere qualcosa, e si limitò a chiedergli di passargli un fazzoletto, casomai ne avesse avuto uno a portata di mano.
    In effetti, stavano passando anche troppo tempo vicino alla ara aperta per essere solo un funzionario delle pompe funebri e una ragazza del tutto sconosciuta. Ad Annelyse, però, questo dettaglio non sembrava essere rilevante. Dopo un po', Annelyse tornò a parlare. «Vuoi sapere perché sono venuta a questo stupido funerale? Per me è come fantasticare ai matrimoni. Questa è l'unica possibilità che abbiamo di liberarci di tutto, davvero. Fortunatamente quel giorno non sembra essere molto distante. Ci pensi mai? Alla nostra fine?»
     
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