Life is ours, we live it our way. All these words, I don't just say And nothing else matters

Alexander + Nathaniel, casa di Nathaniel, 15 Aprile

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    Il rapporto con Nate, tra alti e bassi, si trascinava nella vita di Alexander da dopo la morte dei suoi genitori: lo aveva conosciuto una volta riaperto il negozio e iniziato a riacquistare, faticosamente, una parvenza di vita, Nathaniel. Il ragazzo, con quell’aria da sbruffone e il cuore avvolto nella tristezza era un po' come un amico, uno di quelli che avrebbe potuto capire la devastazione che Alexander si portava dietro.
    Sicuramente, avrebbe dovuto riconoscerglielo, aveva pazienza nei suoi riguardi. Su tutto quando il discorso ‘’Eddie’’ spuntava fuori dalle labbra di Alexander e lo sapeva, lui, che l’amico avrebbe voluto simpaticamente suonargliele.
    Beh, immaginava fosse compito degli amici.
    Comunque fosse, quella sera Alex si sentiva solo. Era come se tutto quello che aveva sempre soffocato, quello che nella luce del giorno si costringeva ad ingoiare, come il panico e l’idea che il ricordo di Eddie stesse scivolando via tra le sue dita, emergesse: così, aveva recuperato due birre e si era diretto a casa dell’amico.
    Certo, sarebbe stato più facile vedersi a casa di Alexander, ma Nathaniel aveva una vita propria, un coinquilino e in quel momento il ragazzo aveva un disperato bisogno di uscire dalle mura domestiche, lì dove, anziché trovare protezione e sicurezza, sembrava trovare altri fantasmi, pronti a perseguitarlo.
    Lì dove, anziché la bellezza primordiale della tranquillità, Alexander trovava solo altri sussurri ad accoglierlo.
    Per cui, si, Nathaniel e la sua casa – sperando non fosse a lavoro, ma ricordava dai turni dell’amico che avrebbe dovuto essere tranquillamente nella propria abitazione- sarebbero stati senza dubbio perfetti.
    Si sentiva un po' disperato? Probabilmente si. Alexander riconosceva di esserlo. Era in terapia, diamine.
    Ad ogni buon modo, con due birre Alexander aveva preso anche del fish and chips, essendo quasi ora di cena, e si era diretto appunto a casa dell’altro, la musica nelle orecchie e la rassegnata solitudine nello sguardo mentre camminava.
    ‘’So close, no matter how far/Couldn't be much more from the heart/ Forever trusting who we are/No, nothing else matters’’ cantavano i Metallica nelle sue orecchie. Alexander si tolse le cuffie e suonò al campanello, guardandosi intorno.
    Forse aveva sbagliato ad andare, si tormentò, le sopracciglia aggrottate e un senso di smarrimento nell’anima.
    No, forse si faceva semplicemente troppi problemi. Era stata un’azione dettata dal momento, quella. Poteva andare bene o male.
    Faceva parte della sua spontaneità, era parte del suo carattere, avere i suoi momenti di ‘’colpi di testa’’. Alexander riconosceva razionalmente di essere un ragazzo spontaneo, caratteristica che o piaceva o faceva schifo, ma in ogni caso..
    Scacciò quel pensiero, dondolandosi sui talloni, canticchiando un motivetto, paziente. Poteva e avrebbe aspettato, pazientemente.
    più o meno.
    Gli capitava di pensare spesso a come sarebbe stato avere Eddie lì. Gli capitava di chiedersi.. come sarebbe stato avere la possibilità di potergli parlare dei propri sentimenti. Venire respinto, forse.
    Avrebbe preferito un no, a quell'immobilità. A quel silenzio. Perchè Alexander era nato con l'argento vivo addosso e il silenzio era qualcosa che davvero, non concepiva e non voleva.
    Il silenzio faceva, nella sua testa, più rumore di una strada affollata: Alexander scappava, dal silenzio. E lo stava facendo anche quella sera, attendendo sotto casa del proprio amico che egli si presentasse, piuttosto che affrontare la solitudine e i sussurri silenziosi dei propri fantasmi.
    Che poi, sapeva bene anche lui che ognuno ha le proprie rogne. Anche Nate le aveva. Chi non le ha. Ma Alex.. soffriva e non riusciva ad elaborarlo, accumulando ferite, rimorsi, pensieri
     
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    mentally disturbed llama

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    Sperava che lo scroscio dell’acqua facesse sparire tutta la stanchezza e la negatività da cui era stato assorbito durante la giornata, e per qualche secondo c'era riuscito ma restavano i pensieri a tormentarlo, quei segreti non svelati e le domande senza risposta.
    Erano passati mesi da quando, alla Vigilia di Natale, aveva incrociato per strada suo padre, o per meglio dire l'uomo dalle eguali sembianze. Besaid non era una grande città, perché allora non lo aveva più visto? Possibile che fosse solo un'allucinazione? O veramente suo padre, andando via dalla propria terra, aveva dimenticato persino di possedere un gemello? La realtà era che non avrebbe mai trovato delle risposte a queste domande perché non sapeva nemmeno dove andarle a cercare.
    Aveva passato la mattina al Red Thorns, il fioraio in cui lavorava da ormai cinque mesi. Il locale aveva le sembianze di una piccola libreria, adornata da alte scaffalature in legno d’acero massiccio ricolme di vasi e statue di cemento di ogni dimensione utili solo ad occupare spazio, una parete era dedicata alle sole buste di semi d’ortaggi, un’altra invece era occupata da fiori adornali divisi per ordine alfabetico, era stato lui stesso a sistemarle poco dopo il suo arrivo. Nel retro del locale c’era invece il magazzino, un antro di pochi metri quadri in cui tenevano le scorte di terriccio e fertilizzante che non potevano tenere esposti per mancanza di spazio. Quello era stato il suo posto per l’intera giornata, impiegato a catalogare e risistemare tutti i sacchi per far spazio agli scatoloni colmi di buste di semi di garofano recapitati quella mattina. Un lavoro sfiancante ma che toccava a lui, siccome il proprietario, un uomo prossimo a compiere ottanta anni e dall’aspetto malaticcio, non era più in grado di fare.
    Era tornato a casa poco dopo l’orario di pranzo, aveva mangio un paio di toast al formaggio e si era poi diretto a piedi fino al Vennelyst Park. Avrebbe fatto a meno dell’allenamento per quella giornata, una corsa era bastanza per sfogare tutte le proprie frustrazioni. Percorse dodici chilometri ascoltando in ripetizione Zombies dei The Cranberries.
    In your head, they're still fighting, with their tanks and their bombs and their bombs and their guns.
    Ed era esattamente quello che accadeva nella sua testa ogni giorno da quando suo padre era morta. I demoni combattevano e lo tenevano sveglio la notte, cercava di combatterli ritagliandosi dei momenti per lui, si immergeva nell’arte del disegno, della fotografia, si allenava o, come aveva ormai preso abitudine da qualche mese, andava a passeggiare nei boschi fuori città, ma tutto ciò non serviva perché i mostri lo avrebbe continuato a inseguire e a tormentarlo, ovunque lui andasse.
    Uscì dalla doccia scrollandosi l’acqua di dosso come un cane dopo un bagno al mare, gocce volarono via dei suoi capelli per andarsi a infrangere contro lo specchio appannato sopra il lavandino, si asciugò con l’asciugamano ancora umido dalla doccia precedente. Driin il suono del campanello arrivò così alla sprovvista che lo fece sussultare, legò il panno in vita e andò a rispondere. – Chi è? – pausa – Sali pure –.
    Non aveva nulla in programma quella sera, doveva ancora cenare e non aveva ordinato in nessun ristorante, quando Alex salì lui era ancora in asciugamano, i capelli ancora bagnati e gocce sparse che gli rigavano il petto e la schiena. – Vado a vestirmi, un attimo -. Raccolse il primo paio di boxer dal cassetto, indossò il pantalone a quadri del pigiama e una t-shirt scolorita dal tempo che ora era appiccicata alla sua pelle ancora umida, infilo il paio di ciabatte una volta appartenute a suo padre e si diresse nuovamente nel piccolo salone dell'appartamento che condivida con il proprio coinquilino, quella sera era andato a cena fuori con un paio d'amici, non sarebbe tornato prima delle due di mattina.
     
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