Oh, let's go back to the start

Kara&Lynch - tarda mattinata del 31 gennaio 2018 ; Luna park

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    Luna Park di Besaid - tarda mattinata del 31 gennaio 2018


    Kara Andersen

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    Sono d'accordo...non ci ho dormito la notte ma appunto non sarei qui se non volessi provare a dare un senso all'incontro dell'altro giorno.

    Per giorni, Kara non aveva fatto altro che ripensare a quella frase. Aveva passato la mattinata a fissare l’orologio della panetteria, le lancette che sembravano rimanere immobili sotto il suo sguardo vigile. La mattinata era stata molto tranquilla, alle otto il solito gruppetto di signore era venuto a prendere il pane per i prossimi giorni, alle dieci e mezza i ragazzini della scuola media erano arrivati per prendere qualche trancio di pizza per fare lo spuntino di metà mattinata e verso le undici, giusto poco prima di staccare dal suo turno, alcuni impiegati si erano fermati a farsi fare un panino al volo per la pausa pranzo. Adorava lavorare in panetteria, la rilassava. Impastare il pane, sistemare la vetrina con dei bellissimi cup-cake che si era divertita a decorare qualche minuto prima o delle torte ancora calde da un profumino invitate. Ogni volta doveva combattere contro la sua ingordigia per non rubarne una fetta da sgranocchiare. Fuori dalla vetrina, il cielo azzurro era velato di nubi che però non promettevano pioggia o neve. Speriamo veramente che non venga brutto tempo.. Altrimenti il luna park chiuderà e io non avrò le risposte che cerco.. Ma erano veramente solo risposte quelle che la giovane stava cercando? Risposte che avrebbero potuto renderla completa ancora una volta? Oppure voleva qualcos’altro? Lynch, così si era presentato lo sconosciuto del parco, sembrava conoscerla veramente, non era rimasta indifferente alle sue reazioni, ai suoi messaggi su Whatsapp, e ovviamente al fatto che era in possesso del suo numero e che lei stessa lo aveva salvato con un buffo nomignolo sull’applicazione con accanto un cuoricino e un fiocco di neve. Ora uno dei due simboli almeno aveva un significato: a Besaid, tutte le persone, native o chi vi risiedeva per un considerevole periodo di tempo, avevano un dono, una particolarità. Secondo quanto le aveva detto Zoe, una sua ex-compagna di università, lei aveva ricevuto il dono della pirocinesi, l’abilità di controllare il fuoco e il calore. Ora Kara si spiegava le improvvise vampate di calore e perché Lynch le aveva chiesto di accendergli una sigaretta l’altro giorno. Era ancora mortificata al pensiero di aver bruciato alcuni appunti delle ricerche della ragazza: Poverina, deve aver lavorato tanto per arrivare a quei risultati.. Spero si sia salvata una copia sul computer, almeno. Se la Kara di due anni fa aveva salvato Lynch col nome di “Snow Lynx” e un fiocco di neve accanto, non ci voleva un genio per intuire l’abilità dell’altro. Ovviamente tutto questo era una sua speculazione, ma in fondo sentiva di aver ragione, anzi ne era quasi del tutto certa. Anche l’icona del cuore poteva essere abbastanza deducibile ma non voleva speculare sul quel particolare significato. Fra poco Lynch le avrebbe spiegato tutto, era inutile farsi venire le paranoie. Le sue elucubrazioni vennero interrotte dalle campane della chiesa poco distante, che risuonarono 11 rintocchi. Era l’ora, finalmente! Rigovernò il bancone e si diresse verso il retro del locale, la signore Larsen che le sorrise. “Vai da qualche parte, tesoro?” le chiese dolcemente. I suoi modi di fare le ricordavano un sacco sua nonna e la cosa le scaldava il cuore ogni volta. “Si, signora. Un amico mi porta al luna-park. Filo a cambiarmi e scappo” “Se vai al luna-park, non prendere quelle schifezze che vendono là, sono tutte fritte e vi rimarranno sullo stomaco con questo freddo! Prendi pure due focacce calde, le ho sfornate cinque minuti fa.. Imbottiscile pure con cosa più ti aggrada. Immagino che il tuo amico sia Lynch, giusto? Il suo preferito è con la cotoletta, pomodori, buttata e alici! Lo ordina sempre quando viene qui per la pausa pranzo” le suggerì, strizzandole l’occhio. Kara ringrazio la signora per la gentilissima offerta e sparì nel retrobottega a preparare le focacce e a cambiarsi. Il panino di Lynch pesava un sacco, quasi il doppio di quello che pesava il suo che se lo era fatto con stracchino, petto di tacchino e insalata. Non aveva un gran appetito in quel momento, di solito a pranzo le piaceva tenersi leggera, salvo rare occasioni di pranzi in università con le amiche o in qualche locale orientale con Leo. Leo non mollava l’osso e anche nel giorno del suo compleanno era riuscito a far sentire la sua presenza che le stava cominciando a darle molto fastidio. Era stata abbastanza chiara con lui prima di partire. Lo vedeva solo come un amico e basta ma lui niente, nada, nein… Era sordo alle sue parole e testardo come un mulo. Un momento… Ma era il 31?! Dall’ansia mista all’eccitazione per la sua uscita al luna-park si era completamente dimenticata del suo compleanno! Prese il telefono in mano tenuto in silenzioso fino a quel momento e vide i tremila messaggi di sua madre e suo padre (più di sua madre, a dire il vero) che le facevano gli auguri e le chiedevano di connettersi a Skype appena usciva dal lavoro. Kara sbuffò e si affrettò a rispondere che gli avrebbe chiamati nel tardo pomeriggio perché aveva altri impegni, una volta che apparì la spunta che segnalava l’invio riuscito bloccò il telefono e lo rinfilò in tasca. Si vestì e dopo essersi data un leggero ritocco al mascara e al lucidalabbra, si infilò il cappotto e uscì con in mano il sacchetto del pranzo. Non appena richiuse alle sue spalle la porta del negozio, vide Lynch dall’altra parte della strada con in mano una scatola di cioccolatini. Oddio. Oddio. E ora? Che faccio? Sapeva del mio compleanno? pensò, mentre le guance avvamparono. Poco distante un rametto secco prese fuoco. Accidenti!.

    ✧✧✧✧✧


    Il tragitto verso il luna-park era stato abbastanza tranquillo. Lui le aveva chiesto della sua giornata e lei gli aveva chiesto della sua. C’era un leggero imbarazzo di fondo ma nulla di eccessivamente disagiante. Non faceva eccessivamente freddo quel giorno: le nubi avevano creato una sorta di coperta per non far sfuggire nemmeno uno spiffero di freddo dall’atmosfera. Anche stavolta, Kara si era vestita decisamente troppo pesante, o almeno per la sua particolarità. E visto il suo attuale stato emotivo, la situazione si stava facendo sempre più calda. Teneva la mano libera in tasca, non sapendo bene come comportarsi e nell’altra teneva il sacchetto con le focacce che piano piano si stavano raffreddando. Avrebbe voluto tenerle in caldo per dopo ma aveva paura di incenerire il loro pranzo. Mentre avanzavano verso la loro metà, nell’atmosfera si diffuse il tipico profumo da luna-park: zucchero filato, frittelle ricoperte con lo zucchero o con della crema di nocciole, patatine fritte e un forte odore di olio per motori che per quando stonava con il resto della gamma di odori, se non ci fosse stato non sarebbe stata la tipica arie da parco dei divertimenti. In lontananza poteva già scorgere le lucine che decoravano la ruota panoramica (un classico insormontabile) e i vagoni dell’ottovolante che sfrecciavano sulle rotaie. Il viso di Kara si illuminò. Era contenta di aver accettato l’invito del ragazzo, era da una vita che non andava in un luna-park. Non nascondeva il fatto che, soprattutto, ci andava in bella compagnia. Era elettrizzata dal pensiero del bellissimo pomeriggio che stava per passare.

    ✧✧✧✧✧


    Mise da parte i pensieri felici per rivolgersi al suo accompagnatore, mostrandogli cosa aveva in mano. “La signora Larsen mi ha dato questi per pranzo. Ti va se prima di darci alla pazza gioia ci sistemiamo da qualche parte per pranzare… e magari parlare un pochino.” propose, la voce scemando da un tono alquanto entusiasta a una dolce timidezza. Non sapeva bene cosa dirgli, cosa chiedergli. Certo chiedergli direttamente Ma io e te eravamo assieme? Cioè, intendo dire proprio assieme assieme o boh, eravamo solo compagni di merenda non era decisamente il modo migliore per cominciare una conversazione che sicuramente avrebbe preso dei toni anche abbastanza seri. Non era sicura di voler raccontare cosa le era successo ad uno sconosciuto ma per Lynch lei sicuramente non era una sconosciuta. Era rimasto chiaramente sconvolto dalla sua reazione quella mattina al parco e a lei era dispiaciuto così tanto di averlo visto stare così male, reagire così male. In tutt’altra situazione, se uno sconosciuto avrebbe reagito in quella maniera, non sarebbe stata ferma, anzi.. Una sberla non gliel’avrebbe di certo negata. Ma Lynch, la sua reazione, non era stata una reazione di pura rabbia, di fondo nascondeva una profonda tristezza, un amore infinito e una speranza che si era riaccesa in lui, un tiepido fuoco che aveva liberato il suo animo dal gelido inverno della solitudine. Ritornando alla realtà, Kara adocchiò un tavolino da pic-nic poco lontano e, senza pensarci, prese l’altro per mano, dirigendosi verso di esso. Non ci aveva nemmeno fatto caso, era stato un gesto impulsivo, completamente spontaneo. Quando si rese conto di ciò che aveva fatto, le guance si fecero più rosse ma stavolta si concentrò per non far andare a fuoco nulla e, con sua grandissima sorpresa, ci riuscì. Arrivati a destinazione, Kara non aveva il coraggio di alzare lo sguardo verso quello dell’altro. Aveva paura di cosa avrebbe potuto leggere negli occhi di ghiaccio dell’uomo. Sentiva che già sapeva cosa vi avrebbe trovato. Perché… Perché, io non conosco nemmeno questa persona.. Perché allora mi sembra di sapere tutto di lui, di essere in grado di capirlo, di aiutarlo a ritrovare una certa serenità.. Dopo qualche secondo che si era indaffarata a preparare due tovaglioli su cui mettere i due panini apposta per non vederlo in volto, finalmente si decise a rivolgersi a lui: “Ecco qui. Se non sbaglio dovrebbe essere il tuo preferito… Cotoletta, pomodori, buttata e alici, giusto?” gli sorrise, porgendogli il pranzo. Dopo che l’altro prese il panino, lei fece un primo morso. Era veramente buono. Dopo pochi secondi di silenzio, Kara non ne poteva più e decise di prendere l’iniziativa: “Ascolta.. A me dispiace veramente tanto per l’altro giorno ma veramente io non mi ricordo nulla del mio periodo qui a Besaid… Ho avuto un piccolo contrattempo, se si può chiamare così, che mi ha impedito di ritornare qui.. Ho trovato un biglietto aereo con data 27 luglio 2016, aereo che purtroppo persi.. Ma prima di raccontarti tutto ciò che è successo vorrei sapere qualcosa di te.. e magari di me.. So che ero qui per un soggiorno di studio tramite un programma di scambio con la Besaid University ma tutta questa storia assurda dei poteri, delle particolarità.. Che significa? L’altro giorno ho incontrato Zoe, che a detta sua eravamo anche abbastanza legate, e mi ha detto che io sarei in grado di controllare il fuoco e a quando pare so veramente farlo ma.. come è possibile tutto ciò? Zoe ha parlato di cose scientifiche e onestamente non ci ho capito un fico secco.. Speravo potessi spiegarmi meglio tu, con parole che tutti i comuni ignoranti come me possono capire, magari..Sono una completa idiota!

    Edited by _kane;san - 2/2/2018, 23:21
     
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    Nell'arco della sua vita, Lynch non si era mai coricato così nervoso e svegliato tanto agitato; incubi privi di senso apparente avevano vorticato nel suo subconscio, tingendo quella che sarebbe potuta essere una sana dormita delle tinte più scure. Una Kara in procinto di prendere il volo sceglieva di punto in bianco di cambiare meta e di recarsi a casa di Leo, prendendolo per mano e conducendolo verso un'altura sovrastata da un bosco impervio, oltre le cui vette Lynch non aveva più visto le loro sagome. Quello e numerosi altri incubi simili a quello avevano fatto si che il giovane uomo si svegliasse con la fronte imperlata di gocce di sudore, il respiro accelerato e lo sguardo perso nel vuoto. Un paio di occhiaie incorniciavano le sue iridi chiare, spalancate per lo spavento. Da tempo ormai non faceva più quel tipo di sogni, il tempo e la lontananza avevano ricucito brandelli del suo animo sfasato e proprio quando aveva creduto di non poter più rivivere quelle sensazioni, il fato gli aveva giocato un brutto e al contempo bellissimo scherzo. Quella mattina avrebbe rivisto Kara, questa volta non per caso ma in seguito ad un'attenta organizzazione. Si sentiva come un ragazzino al suo primo appuntamento, estremamente agitato ed incapace perfino di decidere cosa indossare perchè si, questa non era una prerogativa unicamente femminile. Almeno per quanto lo riguardava aveva sempre dato un certo spessore al suo vestiario e gli piaceva potersi considerare un individuo che si curava, sebbene non alla stregua del gentil sesso. Alla fine optò per i primi indumenti che gli capitarono sotto tiro, convinto di avere la testa sovraffollata da pensieri più preponderanti per potersi dedicare ad una scelta più marcata. Si rese conto inoltre di essersi svegliato troppo presto e dopo i primi riti mattinieri gli fu chiaro di dover tappare in qualche modo il lasso di tempo che lo separava dal suo incontro con Kara.
    E per questo genere di incombenze, a rispondere sempre al richiamo vi era il suo migliore amico Luke, anche lui nativo di Besaid e avente come Lynch un'insaziabile passione per lo scii e lo snowboard. Gli propose un giro in bicicletta lungo uno dei percorsi che si snodavano nel bosco ad est, non troppo lontano dalle loro abitazioni. Lì in una manciata di secondi si veniva catapultati in una panorama verdeggiante che poco aveva da invidiare a quelli proposti nei documentari.
    Quel breve contatto con la natura diede all'uomo il giusto approccio con quelli che erano i suoi pensieri in quel momento, districandoli e trovando per ciascuno la giusta collocazione.
    «Non hai paura che tornando con lei tu ti possa nuovamente scottare?» Lynch era certo che l'amico non avesse fatto volutamente riferimento alla particolarità di Kara per fare dell'ironia, o per metterlo a disagio, ma ovviamente aveva colto il succo della questione. Effettivamente un cuore infranto può essere curato e tornare più o meno alla normalità, ma finché non avesse chiarito quali erano le reali motivazioni che avevano spinto la ragazza ad abbandonarlo più di un anno prima, non se la sentiva di fare supposizioni di alcun tipo. «Luke onestamente non so se torneremo insieme. Devo ancora capire molte cose e poi, se anche dovesse succedere, lenirò il dolore di un'ipotetica nuova bruciatura congelandomi una parte del corpo.» asserì staccando la mancina dal manubrio, levando il braccio davanti a sé e muovendolo cercando di restare in equilibrio. Una volta capito davvero cos'era successo a Kara in quell'arco di tempo, avrebbe avuto le risposte alla miriade di quesiti che gli vorticavano nella mente e avrebbe saputo comportarsi di conseguenza. Lanciò un'occhiata all'enorme quadrante dell'orologio da polso, constando di non avere più molto tempo.
    Salutò l'amico, il quale aveva deciso di restare ancora un po' nel bosco, e si precipitò a casa, pedalando come un forsennato. Lasciata la bici nel piccolo garage della sua bizzarra abitazione, passò in una pasticceria limitrofa per acquistare un bel pacco di cioccolatini, quelli che sapeva essere i preferiti di Kara. Già, perché quello era un giorno particolare; era il compleanno di Kara e visto com'erano in quel momento i loro rapporti non gli sembrava opportuno farle regali più impattanti. Attento a non fare tardi si diresse verso la pasticceria dove lavorava la ragazza, vedendola apparire sulla soglia del negozio. Quando la raggiunse, ad accoglierlo non fu solo lo storico profumo che si spraiava Kara ogni giorno, ma anche una dolce fragranza di focacce appena sfornate che fuoriusciva da un sacchetto ben ancorato alla sua mano. Istantaneamente lo stomaco di Lynch emetté un suono poco ortodosso, e non gli fu chiaro se fosse per l'appetito risvegliato o per l'agitazione che lo attanagliava da quando aveva posato gli occhi su di lei.
    Tornare dinanzi a quella pasticceria dopo tutto quel tempo fece sorgere in lui una miriade di ricordi, poiché Kara vi lavorava già al tempo del suo primo trasferimento. Non vi aveva più fatto ritorno da quando era scomparsa, certo che la vista di quel luogo avrebbe aumentato la tristezza che già aveva covato a lungo. Rivedere la Sig.ra Larsen, riempirsi i polmoni di quelle dolci fragranze talvolta speziate, sedersi al tavolo sul quale tante volte aveva atteso che Kara terminasse il suo turno per pranzare assieme a lui o per uscire per una passeggiata, sarebbe stato troppo.

    ***

    Aveva parcheggiato poco distante dalle inferriate che delimitavano lo spazio del Luna Park, domandandosi se la vista della sua automobile avesse risvegliato qualche ricordo assopito in Kara, ma a giudicare dal suo silenzio, non fu così. Fu però lei a disintegrare quel silenzio imbarazzante, mostrando quella parlantina che tanto gli era mancata. Lynch, in risposta, sbatté ripetutamente le palpebre ed abbassò lo sguardo sul sacchetto da lei menzionato. «Certo, ci sto.» confermò annuendo con il capo. Ormai erano giunti all'ingresso principale, così pagò i biglietti d'ingresso per entrambi alzando accuratamente il palmo della mano per farle intendere che non avrebbe sentito ragioni, nel caso in cui lei avesse desiderato dare la sua parte.
    Fu nuovamente Kara a sorprenderlo, prendendolo per mano e conducendolo verso un tavolino da pic-nic posizionato vicino ad una delle prime attrazioni, in uno spiazzo d'erba adibito a pausa pranzo per i visitatori, visto l'alto numero di tavolini uguali al loro. Immancabilmente, posizionato di fronte alla prima attrazione, spiccava un baracchino di Hot dog, panini e bevande gassate per tutti i gusti, ma volevano mettere con le focacce appena sfornate che facevano capolino dal sacchetto di carta?! Come se gli avesse letto nel pensiero, Kara gli porse il suo, spiegandogli di aver azzeccato il suo preferito. O forse in questo c'era lo zampino dell'amata Sig.ra Larsen. Lynch addentò il primo boccone, socchiudendo le palpebre e godendosi il momento. Sapeva di avere gusti non propriamente classici, eppure Kara non si era mai lamentata, anche quando doveva cucinare per entrambi e doveva passare a rassegna la lista infinita di ingredienti che sapeva non avrebbe apprezzato. O per i quali era allergico. «Giustissimo, grazie, e per concludere potremmo deliziarci con questi.» le risposte con un sorriso a trentadue denti, sovrapponendo tra loro la scatola di cioccolatini decorata con una grafica frizzante e allegra, sui toni violacei e rossastri. «Oggi è il tuo compleanno, ehm se te lo ricordi, e non volevo presentarmi a mani vuote.» Si grattò la nuca, com'era solito fare nei momenti di profondo imbarazzo. Fino a che punto le stava tornando la memoria? Tecnicamente sapeva da fonti certe che le particolarità tornavano quasi istantaneamente e non sapeva da quanto tempo Kara fosse tornata in città, mentre per quel che riguardava la memoria essa tornava in maniera molto più progressiva e lenta. Ma qualcosa di certo doveva essere tornato a far luce sul buio che erano ormai i suoi ricordi, giusto? Addentò un altro pezzo di focaccia, mentre si concentrava su quei pensieri.
    Fu nuovamente Kara a parlare e lui l'ascoltò con un'attenzione che riservava unicamente a persone speciali e meritevoli di ciò. Quando ebbe finito, si prese un attimo per elaborare la risposta, prima di essere certo che fosse quella più appropriata. «Non fatico a credere che non ricordi nulla, d'altra parte è il prezzo da pagare quando si abbandona Besaid.» Quando si abbandona la persona che si ama avrebbe desiderato aggiungere, ma non lo fece. Strinse piuttosto la presa attorno alla focaccia, come se quel gesto potesse infondergli calma. Era lieto che Zoe le avesse anticipato una parte di ciò che Kara doveva scoprire, dopotutto «Zoe ti ha detto il vero, tu da quando hai messo piede per la prima volta a Besaid hai assunto il controllo del fuoco, possiedi la capacità paranormale psicocinetica di controllarlo e di incendiare un oggetto unicamente con la forza del pensiero, senza bisogno di toccarlo. Chiunque in questa città possiede un dono.» disse proiettando un movimento circolare con il braccio, per indicare la folla che, indisturbata, camminava intorno a loro. A quel punto prese le mani di Kara, unendole a formare una piccola conca. Gli bastarono pochi momenti di concentrazione, durante i quali fissò nella mente ciò che intendeva produrre e dal nulla, come per magia, tra le mani della ragazza si formò una piccola rosa di ghiaccio, la cui forma replicava alla perfezione quella di una rosa vera, con tanto di piccole spine che nonostante la giornata moderatamente fresca, si sarebbero presto sciolte a contatto con il calore corporeo di Kara. Un calore che, nel suo caso specifico, era molto più alto rispetto alla norma. «Questo è il mio.» concluse, fissando prima la propria creazione, poi le iridi screziate di Kara. Quanto gli erano mancati ed ora in essi non scorgeva l'amore sconfinato che vi aveva letto l'ultima volta che l'aveva vista, ma solo un sincero smarrimento. Troppe nozioni tutte in una volta, lo sapeva, ma era giusto che quei ricordi, che comunque le sarebbero tornati naturalmente col tempo, venissero preceduti in qualche modo dalle sue parole.
    «Noi due siamo stati insieme per un lungo periodo, prima che tu te ne andassi per studiare lontano da qui. Tu mi scaldavi il cuore con quel fuoco che ti arde dentro e io lo cristallizzavo in volute di ghiaccio. Inutile che ti spieghi come sia stato dopo che non ho più avuto tue notizie, quando saresti dovuta tornare come stabilito e come mi sia sentito quando, pur cercandoti ovunque, non ti abbia trovata. Ed è passato più di un anno..non mi aspettavo di certo di rivederti, l'altro giorno al parco. Ma ora ti prego, narrami di questo contrattempo e di questo volo che dici di aver perso.» Ormai aveva quasi perso l'appetito poiché ciascuna fibra del suo essere era totalmente catalizzata sulla ragazza e su quello che sperava di sentirle dire. Una spiegazione, non anelava ad altro.
    Da troppo tempo.
     
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    Oggi è il tuo compleanno, ehm se te lo ricordi, e non volevo presentarmi a mani vuote.” disse l’altro, mettendo sul tavolo di fronte a lei la scatola che fino a qualche secondo prima aveva tenuto in mano. “Non è che mi sono proprio dimenticata tutto, sai?” disse, inarcando il sopracciglio destro. Ok che aveva un’amnesia abbastanza grave ma dimenticare le cose proprio basilari della propria vita, anche no. Le era già bastato perdere un anno di ricordi. Lynch si grattò la nuca, visibilmente imbarazzato. Sembra completamente diverso dalla persona che mi ha fermata l’altro giorno al parco. È così… cute pensò, guardando l’altro. L’ilarità del momento svanì quando il ragazzo davanti a lei più serio di prima riprese la parola. “Non fatico a credere che non ricordi nulla, d'altra parte è il prezzo da pagare quando si abbandona Besaid.” A udire quelle parole, Kara emise una risatina soffocata e fissò l’altro allibita: “Cosa? Ma andiamo è impossibile! Come è possibile una cosa del genere, dai! E mi stai dicendo che succede tutto così.. come per magia?!” disse, distogliendo lo sguardo da quello dell’altro e scuotendo il capo, incredula. Ok, quella cosa gliel’aveva detta anche Zoe ma non voleva affatto crederci. Guardò il panino che aveva in mano. Tutta quella storia le aveva fatto passare l’appetito. Ok, i “superpoteri” potevano anche starci per via delle mutazioni genetiche e cazzi e mazzi ma dimenticare il tempo trascorso una volta lasciata la città? Cos’era una prigione di vetro? Una città che legava per sempre i propri abitanti, altrimenti avrebbero dimenticato tutto, di loro, dei propri cari, di quella che da sempre era stata la loro vita? In che razza di luogo era andata a finire?! C’erano parole a cui Lynch non aveva dato voce, ne era sicura. Il suo sguardo era strano. Ma che colpa ne aveva lei se era stata proprio la città a farle dimenticare lui? Ammettendo che la sua amnesia era provocata dalla città e non dall’incidente… Cazzo! Dovrei parlargliene… ? pensò, aggrottando la fronte, indecisa se dirgli tutta la verità o meno. Stavolta fu Lynch a prenderla alla sprovvista. Non registrò nemmeno le sue parole, la sua attenzione era tutta concentrata sulle grandi e forti mani dell’altro. Sentiva i suoi polpastrelli ruvidi contro la sua pelle, quella sensazione le faceva correre dei brividi piacevoli lungo tutta la spina dorsale. A quanto pare è proprio vero che il corpo non dimentica… Brividi di piacere furono sostituiti a brividi di gelo. Una leggera luce azzurra si fece largo lungo le loro dita intrecciate. Quando tolse l’altro tolse le mani, al posto del nulla vi era una piccola rosa di ghiaccio. Perfetta, quasi fosse vera. Poteva sentire l’acqua che cominciava a scorrere fra le pieghe delle sue dita, il suo calore la stava sciogliendo piano piano. Tirò via le mani per evitare di rovinare la creazione dell’altro. “È… È bellissima…” sussurrò, incantata dalla particolarità dell’altro. “E così io controllerei il fuoco e tu il ghiaccio…” rise pensando all’accoppiata alquanto mainstream dei loro poteri. Pochi secondi dopo Lynch riprese a parlarle, chiedendole di spiegare del contrattempo a cui aveva accennato poco prima. Eh… Ora viene il bello… pensò. Ripensò alle parole dell’altro: Noi due siamo stati insieme per un lungo periodo, Inutile che ti spieghi come sia stato dopo che non ho più avuto tue notizie… Oddio, cosa aveva combinato… Come aveva potuto far soffrire in quella maniera una persona così gentile? Si sentiva una grandissima stronza, pur sapendo che di base nessuno dei due aveva la minima colpa in tutta quella storia. La faceva stare male immaginare quelle due iridi glaciali piene di lacrime, spente, sofferenti per un amore che se ne era andato… Forse per sempre? Dopotutto stando a ciò che le avevano detto i dottori era molto improbabile che la memoria le sarebbe tornata così facilmente. Lui deve sapere.
    Da dove comincio a raccontarti tutto… Potrei cominciare dicendoti che sono veramente dispiaciuta di averti lasciato in sospeso per tutto questo tempo. Si vede che non è stato facile per te, aspettarmi, per quasi due anni… Ma tutta questa assenza, credimi, è stata del tutto involontaria da parte mia…” fece un sospiro profondo prima di riprendere la parola. “È successo tutto così in fretta e solo grazie alla particolarità di Zoe sono riuscita a ricordare cosa mi è successo quel giorno.. Il 21 luglio 2017 c’è stato un’incidente in un locale di New York. Nella casa adiacente c’era stata una fuga di gas e nessuno dei condomini se ne era accorto perché proveniva da un appartamento sfitto, destinato alla ristrutturazione. C’è stata una grossa esplosione verso l’una di notte che ha coinvolto anche il locale, locale dove mi trovavo esattamente a quell’ora. È scoppiato un enorme incendio, c’erano fiamme dappertutto. Il locale ha preso fuoco quasi subito a causa delle vecchie travi secche del tetto. Non so perché mi trovavo lì, veramente, non me lo ricordo… Credo fossi andata lì semplicemente per un evento organizzato con delle amiche, dopotutto qualche giorno prima ci eravamo laureate con il massimo dei voti, volevamo solo divertirci. Solo che io fui l’unica ad andare e mi avevano avvisato quando era ormai troppo tardi per prendere l’ultimo treno per tornare a casa. Decisi di rimanere, o almeno così credo. Ricordo solo che c’è stato un grande boato e molti pensavano fosse la musica ad alto volume che veniva dalle casse… Ricordo che improvvisamente l’aria diventò pesante e c’era un caldo quasi insopportabile. Io facevo fatica a respirare così sono andata verso i bagni per sciacquarmi la faccia. Ricordo poi solo un gruppo di ragazzi, poco più grandi di me che si sono avvicinati. Ricordo che hanno cercato di mettermi le mani addosso ma, ironicamente, per fortuna l’incendio era avvampato nella sala principale e la gente aveva cominciato a scappare. Quando sono riuscita ad uscire dal bagno – mi avevano bloccato in una delle cabine – tutto era in fiamme. Non riuscivo a respirare ma ho tentato di farmi strada attraverso la sala in fiamme. Poi improvvisamente si è fatto tutto buio dopo che una trave mi è piombata in testa. Grazie a Dio avevo pensato bene di bagnare un fazzoletto di stoffa che tenevo in borsa e me lo sono messo in faccia, credo sia stato quello che mi ha salvato la vita.” Era pesante per lei raccontare quei ricordi, era passato troppo poco tempo da raccontarli con un certo distacco. “Quando i medici mi hanno trovata ero incosciente a causa delle inalazioni di anidride carbonica e monossido di carbonio, avevo delle brutte ustioni su tutto il corpo e una gamba rotta. Mi hanno presa appena in tempo, secondo i medici il mio recupero è stato veramente un miracolo… Sono rimasta in terapia intensiva per quasi quattro mesi, in coma… Quando mi sono svegliata, non ricordavo nulla di ciò che mi era successo e dell’anno prima… Ho dovuto passare un bel po’ di tempo in ospedale per la riabilitazione e per i trattamenti per le ustioni. I medici mi hanno diagnosticato una forma di memoria lacunare abbastanza grave, visto che un’intero anno è finito letteralmente disintegrato nelle fiamme… Persi il volo del 27 luglio perché ero bloccata in un letto di ospedale attaccata al respiratore...” disse con la voce si faceva via via più debole fino a cadere nel silenzio. Era come se parlandone al ragazzo il suo cuore si fosse fatto più leggero. Si sentì pizzicare gli occhi al ricordo delle mani dei quei porci sul suo corpo. “Quello che è successo, quello che stava per succedere in quel bar… Io… Oddio ogni giorno mi sembra tutto così lontano, così surreale… L’essere qui, l’essere viva e in salute… E poi venire qui è stata la decisione più difficile che abbia mai preso nella mia vita… Ancora non sono sicura di aver fatto la scelta giusta.” disse con un filo di voce, una lacrima le solcò le guance mentre abbassava lo sguardo sulla bellissima rosa di ghiaccio contemplandone le forme aggraziate e il colore cangiante del ghiaccio. Portò poi la destra verso la manica della mancia sollevando la manica e mostrando all’altro una cicatrice delle ustioni. Non voleva farlo veramente ma il suo corpo si era mosso da solo, quasi come a chiedere una sorta di conforto dall’altro, sapendo in fondo di non poter pretendere nulla da Lynch, non aveva il diritto di chiedere il suo affetto, non dopo tutto quello che gli aveva fatto passare. Non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi.

    Edited by _kane;san - 5/2/2018, 13:33
     
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    Il fatto che Kara non avesse perso ogni più piccolo ricordo riguardante sé stessa e la sua vita era positivo. D'altronde, e Lynch ci rifletteva solo in quel momento dopo averla sentita spiegare quel dettaglio, lei non era nativa di Besaid pertanto doveva aver perso unicamente i ricordi legati al periodo trascorso nella cittadina, non della sua intera esistenza. Al contrario, se una cosa del genere fosse capitata a lui, allora si che non avrebbe avuto memoria nemmeno del giorno del suo compleanno. Idiota! pensò tra sé e sé, senza ovviamente palesare quanto quella riflessione lo avesse infastidito e dandosi dello stolto per non esserci arrivato da solo. Si sentiva squagliarsi dentro, intimamente, come la rosa che aveva appena creato. Normalmente si riteneva una persona sicura di sé, che difficilmente vacillava di fronte alle situazioni, ma in quel caso specifico si sentiva fuori luogo ed incapace di trovare la giusta sicurezza che avrebbe potuto condurre quell'incontro ad un esito positivo. Annuì semplicemente, per farle intendere che aveva compreso. Inutile dire parole che avrebbero potuto rendere il suo commento di prima ancora più stupido. Ciò che lo stupì, però, fu l'incredulità di Kara di fronte al segreto che conferiva a Besaid una nota fuori dal comune. Quando si erano conosciuti lei risiedeva in città già da qualche tempo, per cui la reazione di incredulità e negazione che stava vedendo ora doveva essere già avvenuta in lei e ora che non aveva memoria di quel luogo, era come se la stesse rivivendo una seconda volta. Probabilmente era la stessa opposizione che mostrava qualsiasi forestiero che avesse appena messo piede a Besaid; non gli era mai capitato di incontrarne uno, nonostante il suo lavoro rendesse la cosa più che plausibile, eppure tutti gli individui che aveva incontrato avevano già immagazzinato, in un modo o nell'altro, ciò che rendeva così speciale la città ed i suoi abitanti. «Puff.» borbottò facendo uno strano gesto con le mani, come un prestigiatore che si appresta a fare una magia. Infondo era quello, o qualcosa di molto simile, che sapevano fare i cittadini di Besaid benché non era di magia vera e propria che si parlava. «Si, diciamo come per magia. Nessun cittadino o forestiero che capiti qui ne è esente e nessuno ha mai capito quale sia l'origine di tutto questo; almeno per il momento.» spiegò quasi a sé stesso, più che a lei. Aveva appreso da fonti più o meno attendibili, che vi erano degli scienziati che oltre a fare il loro lavoro si occupavano, in segreto, di studiare questi fenomeni al fine di carpirne i segreti e comprendere i motivi che avevano portato da tempo immemore a far si che Besaid non fosse una comune cittadina norvegese.
    Per lui che in quei boschi e quelle case era nato e cresciuto era quasi difficile comprendere lo stupore di chi si approcciava a quel mondo per la prima volta; per lui era la quotidianità e qualcosa di assolutamente normale, sebbene comprendesse che non era una cosa riscontrabile ovunque. Anzi, in nessuna parte del globo si era mai verificato un fenomeno simile. Un giorno avrebbe desiderato incontrare qualcuno in grado di tornare indietro nel tempo, per capire fino a che punto quella sorta di maledizione, o benedizione a seconda dei punti di vista, avesse infestato la città. Era già così dai tempo della Preistoria oppure qualcosa l'aveva scatenato più avanti? Queste erano domante che di tanto in tanto si poneva, assieme ai suoi amici, e per le quali non aveva mai una risposta certa ma solo ridondanti supposizioni.
    Fu lieto di constatare che la sua creazione di ghiaccio aveva sortito l'effetto sperato, facendo spuntare sul volto ovale della ragazza un timido sorriso, così simile a quelli che gli regalava un tempo. Ridacchiò quando la sentì soppesare le loro particolarità, il cui binomio era una delle cose che maggiormente aveva apprezzato di Loro. «Ebbene si.» confermò alzando i palmi al cielo, come a dire: che vuoi farci? Era stato forse uno scherzo del destino anche quello, chi poteva dirlo con certezza. Le nubi si stavano lentamente diradando, lasciando spazio ad un ampia palla infuocata che illuminava ogni angolo del Luna Park e rendeva quella giornata ancora più gioiosa e memorabile.
    Almeno fino a quando Kara non si abbandonò al suo racconto e allora, nell'apprendere ciò che era successo, all'uomo si ghiacciò il sangue nelle vene. Era una cosa che, di fatto, non era così impossibile anche se riusciva a calibrare la cosa in modo tale da non restarci secco e se di base la sua temperatura corporea era piuttosto bassa, il calore di quel sole alto nel cielo non riuscì in alcun modo a riscaldarlo. Finalmente aveva le risposte a tutte le domande che, disperato, si era posto in tutti quei mesi. Il tempo era divenuto una cosa talmente lenta e penosa da avergli fatto credere che non fossero trascorsi quasi due anni dall'ultima volta che si erano visti, ma molti di più. Non fu facile per lui immagazzinare tutte quelle informazioni così rapidamente, e a ciascuna si legava un nuovo sentimento che irrorava in lui come un fiume in piena.
    La rosa di ghiaccio lentamente si squagliava sotto il peso del tempo e del sole caldo, un po' fuori luogo per quel periodo dell'anno. Ed insieme ad essa si liquevafa il vecchio rancore, sostituito da uno nuovo, altrettanto potente, per ciò che Kara aveva dovuto subire per colpa di un infausto fato e per tutto quel tempo che era stato loro sottratto. Sarebbe mai stato possibile riprendere la loro storia? Indubbiamente il fatto che Kara avesse ripreso il lavoro nella pasticceria gli faceva sperare che il suo soggiorno a Besaid non sarebbe stato molto breve, ma chi gliene dava certezza? Probabilmente era lì per scoprire ciò che la sua mente aveva cancellato e ora che sommariamente stava ritrovando ciò che aveva passato in quel periodo, si domandò se non avrebbe deciso di andarsene di nuovo. Infondo ormai cosa la legava a quella città? Lui che rappresentava ora un totale estraneo? La sua particolare affinità con il fuoco? Il lavoro alla pasticceria? Aveva paura a domandarglielo, paura di scoprire una risposta che lo avrebbe distrutto di nuovo.
    «L’essere qui, essere viva e in salute… e poi venire qui è stata la decisione più difficile che abbia mai preso nella mia vita… Ancora non sono sicura di aver fatto la scelta giusta.» Quell'ammissione gli fece più male di quanto desiderasse mostrarle ma quando finì di ascoltarla e vide i suoi occhi cerulei inumidirsi, fece la prima cosa che il suo cuore gli suggerì. Si sporse in avanti e la strinse in un abbraccio che sapeva di felicità, sconforto e speranza insieme. La strinse, attento a non farle male, e udendo con quel contatto la rosa disintegrarsi sotto la pressione dei loro corpi. Poco importava, avrebbe potuto generarne altre mille finché fosse rimasta a Besaid. Rimasero così per un lasso di tempo che a Lynch parve troppo breve, ma che nella realtà fu piuttosto lungo. Nel mentre, le persone camminavano, ridevano e scherzavano nella totale indifferenza della loro attuale condizione. «Non potevo immaginare...ti ho cercata a lungo, anche lontano da qui, così a lungo che non saprei quantificare il tempo della mia ricerca e ora che per te sono un completo estraneo, vorrei solo che mi permettessi di aiutarti; di starti accanto, per il tempo che deciderai di restare qui.» Gli costò molto proferire le ultime parole, ma sapeva che era la cosa più giusta da dire. Per lei, più che per lui. Aveva un profondo rispetto nei suoi confronti, ed in generale di qualsiasi persona, pertanto sapeva quando era il momento di immolarsi per una causa.
    Le sarebbe stato accanto, indipendentemente da come le cose si sarebbero messe tra di loro. Era come se tutto il rancore che in quell'anno, anzi, quasi due anni aveva serbato nella convinzione che lei lo avesse volutamente abbandonato fossero stati sostituiti dalla paura di perderla di nuovo. Dovette comunque staccarsi da lei ad un certo punto, ogni cosa aveva una fine dopotutto, così serrò le mani attorno alle sue spalle e la fissò intensamente negli occhi. «Troppe informazioni in una volta sola, non credi? Dai, siamo qui anche per divertirci ed è proprio un pò di sano divertimento che dovremmo concederci.» le disse mentre la incitava sia verbalmente che fisicamente ad alzarsi dalla loro postazione. Con due soli bocconi finì la sua focaccia, si pulì le mani unte di olio con un fazzoletto di carta e le indicò la prima attrazione che presentava il Luna Park: il minatore senza confini. Un grosso tronco di sequoia era issato ad un potente nastro trasportatore diretto verso un'enorme lama dentata, per evitare una triste sorte si veniva catapultati a testa in giù in un susseguirsi di movimenti adrenalinici. Lynch si voltò verso Kara, e per un attimo ebbe il desiderio di prenderle la mano come aveva fatto prima lei con lui, ma non fu sicuro che fosse la scelta più saggia, così decise di accantonarla. «Te la senti?» le domandò indicando l'imponente attrazione già gremita di una folla di visitatori che non attendevano altro che sentire i cuore in gola.
     
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    Luna Park di Besaid - tarda mattinata del 31 gennaio 2018


    Kara Andersen

    Tell me your secrets
    Ask me your questions
    Oh, let’s go back to the start

    Nobody said it was easy
    It’s such a shame for us to part


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    Improvvisamente senti un movimento d’aria fra lei e Lynch. Due braccia muscolose le cinsero le spalle in un abbraccio caldo, che sapeva di innumerevoli emozioni. Sollievo, perdita, felicità, malinconia e infine speranza. Una speranza calda ma titubante, percepiva la paura dell'altro dell’illusione di quel momento, che tutto quello che stava accadendo fosse come un sogno ad occhi aperti, che lei non era veramente lì, davanti a lui. Kara non realizzò cosa le stava succedendo, troppo presa da quell’uragano di emozioni che provava e percepiva dall’altro. Poi le parole di Lynch la riportarono alla realtà di quel momento: “ Non potevo immaginare...ti ho cercata a lungo, anche lontano da qui, così a lungo che non saprei quantificare il tempo della mia ricerca e ora che per te sono un completo estraneo, vorrei solo che mi permettessi di aiutarti; di starti accanto, per il tempo che deciderai di restare qui.” Era incredibile quanto Lynch riusciva a trasmetterle, quasi fossero collegati da un filo invisibile che legava la loro anima indissolubilmente. Nell’udire quelle parole, parole che attendeva si sentire da quando aveva aperto gli occhi nell’anonima e sterile stanza di ospedale di New York, completamente ignara di tutto ciò che le era capitato, persa nel labirinto della memoria dove ai ricordi piaceva giocare a nascondino, gli occhi di Kara non seppero trattenere le lacrime. Quante volte da bambini Leo l’aveva presa in giro chiamandola piagnucolona e l’aveva derisa per la sua grande sensibilità in tutte le cose che faceva? Non le era mai importato, lei era fatta così, purtroppo o per fortuna. Le mani di Kara vagarono sui fianchi dell’altro, titubanti, non sapeva bene cosa fare. Alla fine, come mossa da una forza sconosciuta, ricambiò l’abbraccio, stringendolo con tenerezza, sollievo ma anche con un filo di disperazione. Aveva trovato chi poteva veramente aiutarla e non solo per la questione della sua memoria perduta. Aveva trovato quello spirito affine che solo in pochi riescono a trovarlo. Ci sono più di sei miliardi di persone al mondo, ed è sciocco pensare di averne bisogno soltanto di una, ma stavolta per Kara era così. La parte razionale della sua mente continuava a ripeterle Ma che stai facendo?? Non lo conosci, potrebbe anche starti dicendo un mucchio di cazzate, sei in un momento di debolezza e non puoi cadere nelle braccia del primo che ti viene a dire “Io so chi sei e ti conoscevo”, sei una stupida, Kara Andersen.. Una ingenua! ma la parte di lei, più profonda continuava a rassicurarla, confermando le parole di Lynch, reagendo alla sua voce, ai suoi modi.. C’erano stai molti momenti in cui la ragazza aveva dato retta alla voce insistente della sua coscienza, quella che ci mette in guardia e ci fa ragionare, quante volte si era pentita di non essere andata fino in fondo per paura.. Stavolta non lo avrebbe fatto. Voleva essere coraggiosa, voleva riuscire a scuotersi via dalla pelle quella sensazione di apatia e di solitudine che da mesi la tormentava. Si sentiva fuori posto a New York, quando stava con i suoi genitori, in compagnia delle sue amiche di una vita, quando stava insieme a Leo.. In quel momento, per la prima volta dopo quasi un anno passato nel disagio e nel fastidio, Kara cominciava a sentire di aver trovato il suo posto nel mondo. Non sapeva spiegarselo, ma era così. A Besaid aveva ripreso in un certo senso a vivere veramente. Fu lui a interrompere per primo il contatto fra loro due, sempre con un po’ di imbarazzo. Era così carino quando è imbarazzato, si ritrovò a pensare, fra gli occhi umidi che velocemente cercò di asciugare. Sentiva che lui non l’avrebbe lasciata a sé stessa, non l’avrebbe abbandonata in mezzo alla tormenta di neve che imperversava silenziosa dentro di lei. Sarebbe stato il suo faro fra le onde, il bengala nell’oscurità della notte. Doveva solo dare tempo al tempo e sicuramente qualche ricordo sarebbe tornato. Dopotutto grazie a Zoe e alla sua fantastica abilità qualcosa era riuscita a recuperare, per quanto brutto e doloroso il ricordo era stato. Guardò Lynch negli occhi, quegli occhi azzurri dove gli sembrava quasi di perdersi, in ampie distese di neve e ghiaccio, lui a sua volta la fissò intensamente. “Io… Graz-” “ Troppe informazioni in una volta sola, non credi? Dai, siamo qui anche per divertirci ed è proprio un po’ di sano divertimento che dovremmo concederci.” disse, interrompendo quello che sarebbe dovuto essere un ringraziamento. Kara annuì, lasciandosi andare a un timido sorriso e finendo di asciugarsi gli occhi umidi. Non riuscì a finire il suo pranzo, aveva ancora un po’ lo stomaco in subbuglio per il racconto di prima. Nei pochi secondi in cui lei aveva rimesso la focaccia nel sacchetto, Lynch si era letteralmente trangugiato la sua. Strabuzzò gli occhi alla velocità con cui aveva finito suo pranzo e si lasciò scappare una risatina: “Sono contenta che ti sia piaciuta.. Trovare qualcuno che apprezza i tuoi manicaretti, questa sì ce è una delle soddisfazioni più grandi della vita, altro che una laurea!

    Dopo essersi alzati dal tavolo per il picnic, Lynch l’aveva portata di fronte alla prima attrazione che il luogo gli offriva “Il minatore senza confini”. Ok, aveva avuto paura fin da bambina dei luoghi bui e chiusi, per cui l’ambientazione mineraria non l’attirava granché, per non parlare poi del fatto che la giostra andasse abbastanza lentamente e a testa in giù. Lynch si girò verso di lei, fece per avvicinarsi ma qualcosa lo trattenne. Optò dunque per l’approccio verbale: “Te la senti?”. Prima che Kara aprì bocca per declinare l’invito, il suo stomaco la precedette, brontolando sonoramente all’idea di essere sballottato su quell’attrazione. Kara arrossì e si portò le braccia al ventre. “Magari più tardi, abbiamo appena mangiato e penso di chiedere troppo alla mia digestione salendo su quello.. Ho visto che ci sono degli autoscontri, perché non andiamo a quelli prima?” contropropose lei, visibilmente imbarazzata dalla situazione comica in cui si era ritrovata. Lynch accettò e si diressero verso l’altro gioco. Arrivati, Kara si mise alla guida di un’auto blu mentre Lynch di una rosso fuoco. I primi giri furono guerra pura, Kara che lo istigava e cercava in tutti i modi di essere sempre lei a tamponarlo per prima. Quando si trattava di giocare, nulla poteva fermare il suo animo competitivo. Dopo due o tre corse, alla fine Lynch lasciò la sua vettura per raggiungerla e prendere il controllo della sua macchinina: “È meglio che prenda io il volante, questo giro, non credi? Ho abbastanza lividi che per almeno una settimana mi ricorderanno questa esperienza. Ora capisco perché a voi donne è meglio non lasciare in mano il volante!” la sfottè bonariamente. Kara, in tutta risposta, tirò fuori la lingua, deridendolo. Dopo qualche giretto in coppia, Kara e Lynch decisero di andare altrove per cambiare un po’ aria. Mentre passeggiavano alla ricerca di una nuova attrazione, l’attenzione di Kara fu attratta da una bancarella del tiro a segno. Fra i premi in palio vi era un bellissimo peluche a forma di lupo bianco dagli occhi azzurrissimi, come quelli del suo accompagnatore. Prese Lynch per la mano e lo trascinò verso la bancarella. L’uomo li vide e propose a Lynch di giocare ma lui declinò, completamente rosso in volto. Kara prese l’iniziativa e disse al proprietario che voleva giocare per vincere il peluche che aveva visto poco prima. L’uomo si congratulò per l’intraprendenza della ragazza e le diede in mano un fucile, alle sue spalle percepì Lynch immobilizzarsi.. Forse non se l’aspettava? Kara aveva un buona mira, durante gli anni del liceo si era iscritta a un circolo di tiro con l’arco e per qualche anno aveva anche gareggiato. Ma con l’iscrizione all’università aveva mollato tutto. Quanto poteva essere diverso centrare delle lattine con un fucile invece che con un arco?

    Kara sorrise gaiamente, stringendo fra le braccia il premio appena vinto. “Questo l’ho preso per te.. Avete gli stessi occhi e siete entrambi così carini!” ridacchiò, porgendogli l’animaletto di stoffa. A riequilibrare la situazione cavaliere-damsel in distress arrivò la corsa nella casa dei fantasmi. Kara odiava i luoghi chiusi e il buio ma non voleva essere di peso per il suo accompagnatore –aveva già detto di no alla prima attrazione che il ragazzo le aveva proposto, dopotutto- e si lasciò trascinare all’interno della casa. Aveva passato tutto il tempo dell’attrazione incollata al braccio dell’altro, in crisi e spaventata dalle strane figure che uscivano improvvisamente da tutte le parti nell’oscurità dell’interno. In un certo senso, tutta quella situazione non le dispiaceva affatto, anzi.

    Avevano appena comprato un waffle con della crema di nocciola per lei e per Lynch quando lo vide scrivere al cellulare, sorridendo. Non c’era nulla di male, per l’amor di Dio ma la cosa la incuriosiva. Non sembrava tipo da stare attaccato al telefono, specialmente quando stava in compagni. La curiosità, si sa, è un brutta bestia quando si insinua nella mente delle persone, nel caso di Kara è un drago a venti teste, più alto dell’Empire State Building, più feroce di Godzilla. Intenzionata a scoprire con chi stava chattando il ragazzo, Kara decise di fargli un piccolo agguato da dietro. Riuscì nella sua impresa, quando silenziosamente era arrivata alle spalle dell’altro e aveva scorto la schermata della chat. Si stava scrivendo con una ragazza bionda, una bellissima ragazza bionda, che usava un po’ troppe emoji per i suoi gusti, specialmente se si scrive a un ragazzo. Le prese una fitta allo stomaco, rimase qualche secondo impassibile davanti a quella scena. Forse Lynch non era proprio rimasto con le mani in mano un quei due anni. Ma chi era lei per giudicare? Sapeva perfettamente che ne avrebbe avuto tutto il diritto di rifarsi ma non poté non provare una forte gelosia nei confronti di quella ragazza. Non riuscì a scorgere il nome, Lynch usava il nickname ‘Mother Russia’ per lei nella chat. Proprio nel momento in cui sul viso di Kara si dipinse un’espressione di tristezza, Lynch si girò. Velocemente cercò di mascherare la sua delusione, riuscendoci almeno per il viso ma quando gli porse il dolce la voce le uscì leggermente rotta e fredda. Sperava con tutta sé stessa che l’altro non se ne fosse accorto, anche se era improbabile.

    Dopo qualche minuto di silenzio fra i due, durante i quali si erano mangiati i caldi waffle, Lynch prese la parola per primo: “Ti va di fare un giro sulla ruota panoramica?” Davanti ai suoi occhi si presentò di nuovo la scena vista poco fa. Aggrottò le sopracciglia ripensando alla bionda della chat. Non sapeva bene cosa pensare. Non aveva alcun diritto di essere gelosa di lui, insomma lo conosceva appena! Le piaceva, non lo nascose a sé stessa, provava qualcosa di forte per lui ed era intenzionate a scoprire cosa il destino aveva in serbo per loro ma… se lo meritava lei? Lei che lo aveva dimenticato… Intrappolata nei suoi pensieri, quasi non si accorse che l’altro la prese –finalmente- per mano e la condusse sull’attrazione.

    Edited by _kane;san - 1/3/2018, 16:11
     
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    Quell'appuntamento stava prendendo una piega del tutto inaspettata. Innanzitutto stava assumendo i connotati di un appuntamento vero e proprio, mentre in principio gli era sembrato più un'uscita tra due estranei legati da un filo invisibile, e in secondo luogo Kara appariva notevolmente più distesa rispetto alla prima volta che si erano rincontrati. Non solo era più distesa ma la sentiva anche più vicina, non ovviamente nei termini in cui lo era stata quando erano stati assieme, ma qualcosa di vagamente simile, seppur più velato. Non era il semplice trascorrere del tempo assieme, incanalando quanto di più gioioso potesse esserci in quello scenario dove donne, uomini, ragazzi, ragazze e bambini perdevano la differenza d'età tornando agli albori, divertendosi con poco e riscoprendo il piacere di condividere qualcosa insieme. Aveva anche dimenticato quanto fondamentale potesse divenire la presenza di Kara al suo fianco, così piacevole sia in termini di sguardi -era indubbiamente una bella ragazza- , di compagnia, di chiacchiere e di presenza vera e propria. Detto questo aveva perso la cognizione del tempo e si era convinto di stare in quel luogo ormai da molte ore. Forse se avrebbe gettato un'occhiata all'orologio da polso si sarebbe accorto che avevano ancora un pò di tempo a disposizione, ma preferì non farlo e di godersi unicamente il presente e ciò che gli stava donando.
    “Sono contenta che ti sia piaciuta.. Trovare qualcuno che apprezza i tuoi manicaretti, questa sì ce è una delle soddisfazioni più grandi della vita, altro che una laurea!” Ridacchiò nel sentirla udire quelle parole. Non aveva capito che li aveva fatti lei, credeva li avesse presi dalla pasticceria poco prima di uscire e che magari li aveva cucinati la titolare, che spesso si dilettava in cucina. Sapere che Kara aveva cucinato per lui generò una piroetta nel suo stomaco già in subbuglio. «Ti assumerò come cuoca personale.» la rassicurò, ricordando i bei pranzetti che un tempo gli cucinava senza che nemmeno dovesse chiederglielo.
    Abbandonare il tavolo da pic nick aveva rappresentato un ulteriore evoluzione di quella giornata, ma mai come vederla così presa da proporgli a sua volta un'attrazione, visto che quella proposta da lui avrebbe potuto seriamente compromettere la loro digestione. In risposta Lynch annuì di buon grado, ben contento di andare su quel diversivo che non si concedeva da anni.
    In effetti quando stavano insieme non erano mai andati al Luna Park e in quel momento il ragazzo se ne chiese il motivo. Univa le persone, questo era chiaro. Si lasciò stracciare un paio di volte, gioendo di veder rispuntare il sorriso sul suo bel viso raggiante. Eppure, per quanto splendido, non era quello che aveva un tempo. Difficile da spiegare ma per quanto Kara mostrasse dei segni di riavvicinamento nei suoi confronti, mostrava anche il segno del tempo passato lontano da lui. In qualche modo ciò che le era capitato l'aveva cambiata, ma Lynch si impose di non dare troppo peso alla cosa; era già tanto che si fosse così riavvicinata a lui.
    Anzi, dire che si fosse riavvicinata a lui come sperava era dir poco, perchè mai si sarebbe aspettato di venir preso per mano di sua iniziativa. Invece sentì la mano morbida come burro di Kara intrecciarsi alla sua in un incastro che sapeva di perfezione, prima di venir letteralmente trascinato alla bancarella del tiro a segno. Un pò in imbarazzo, Lynch salutò il proprietario, restando comunque piuttosto serio ed assorto nei propri pensieri. Al Luna Park non era mai venuto con Kara, ma con i suoi amici per un periodo vi aveva fatto tappa fissa nel mese di promozione in cui ogni attrazione veniva a costare solo una corona norvegese.
    Dovette declinare l'offerta dell'uomo di giocare perchè un'intrepida Kara si era detta desiderosa di tentare la sorte, o meglio, di gareggiare con le proprie abilità.
    «Signorina, le faccio i miei complimenti. Da tempo non vedevo una ragazza vincere a questo gioco.» Lynch abbandonò il suo sconcerto, non solo perchè non riconosceva nella sua Kara quel voler prendere l'iniziativa, ed era già la seconda volta che lo palesava, ma anche per la bravura dimostrata. Quanto ancora non sapeva di lei? Quel quesito lo disarmò non poco: erano stati insieme per molto tempo, questo era vero, ma non conosceva ogni dettaglio della sua vita trascorsa prima che si trasferisse a Besaid, così come non sapeva precisamente cosa le era successo durante quei mesi di degenza ed in generale di lontananza dalla cittadina.
    Un tempo aveva creduto di conoscerla come la sua pila di fumetti giapponesi, perfettamente impilati sulla mensola della sua camera, mentre ora gli pareva di avere al suo fianco una copia verosimigliante di Kara, ma avente caratteristiche e modi di fare a lui nuovi.
    Fosse stata una situazione differente probabilmente questa cosa lo avrebbe preoccupato, ma in quel momento era talmente gasato dal fatto di averla ritrovata dopo innumerevoli fatiche e di vederla così ben disposta nei suoi confronti nonostante non ricordasse nemmeno chi fosse -almeno per il momento- che tutto il resto quasi non lo sfiorava.
    Esultò ogni volta che i finti proiettili del fucile colpirono il bersaglio, intimamente fiero di colei che deteneva il suo cuore, in quel momento come allora. Ma la parte più dolce fu quando lei gli allungò un simpatico pupazzo dalle fattezze animali raffigurante un lupo bianco dalle iridi uguali alle sue. «È bellissimo, grazie!» esultò prendendo tra le mani il peluche, così morbido a contatto con le sue mani che in inverno divenivano dure come sassi. Non sapeva dove sistemarlo, mica era una donna con appresso borsette e zainetti glitterati, quindi lo tenne semplicemente in mano. «Non so se te l'ho mai detto, ma quando ero piccolo mio zio aveva un cane molto simile a questo. Era un bastardino, incrociato con un lupo ed un husky siberiano, o almeno così gli avevano detto al canile, e gli somigliava moltissimo. Me ne occupavo come fosse mio, poi un giorno qualche infame ha gettato delle polpette avvelenate sulla strada che dava sulla porta di casa di mio zio e Amos se scorrazzava senza guinzaglio la mangiò senza che mio zio avesse il tempo di impedirglielo.» Quell'animale era rimasto nel cuore di Lynch, che ancora oggi soleva ripensare a lui come ad una parte importante della sua infanzia e come suo zio aveva sofferto molto per la sua prematura dipartita. A quel pensiero, senza rendersene conto strinse la presa attorno al peluche.
    Nella mancina, dopo che si furono dati ad altre attrazioni, prese il telefono che aveva iniziato a trillare insistentemente da qualche minuto. Lynch sapeva di chi si trattava ancor prima che accendesse il display e visualizzasse il mittente di quei messaggi: Anastasia Aleksandrovna Florenskij. Lei era l'unica persona che conosceva ad avere il brutto vizio di scrivere un messaggio per ogni frase quindi quando gli arrivavano cannonate di segnali acustici sapeva automaticamente che era stata lei ad avergli scritto. Mai una volta si era sbagliato e quando accendeva il display l'intero monitor si riempiva di messaggi di varie grandezze.
    Vedendo Kara impegnata con il suo waffle decise di concedersi un attimo di tempo per vedere cosa gli avesse scritto la strampalata amica russa. Inevitabilmente, quando lesse il contenuto dei messaggi, un sorriso beffardo spuntò sul suo volto. Ahh, Anja era sempre la solita! Pensò un attimo a quale potesse essere la risposta più appropriata ed automaticamente le sue dita scivolarono leste sulla tastiera del telefono cellulare. Premette Invio un'unica volta, rendendosi conto che si, Anastasia avrebbe ricevuto un unico drin a differenza sua, ma anche che quanto le aveva scritto risultava una sorta di papiro reso ancora più lungo dalle ristrette dimensioni del display. Ops.
    Aveva appena fatto in tempo a spegnere il display ed a riporre l'aggeggio nella tasca posteriore dei jeans quando, voltandosi, si scontrò con un'espressione che non si sarebbe aspettato di veder comparire sul volto di Kara. A dire il vero ebbe difficoltà a riconoscerlo, eppure in qualche modo sia la sua espressione facciale che il tono di voce gli provocarono una fitta allo stomaco. Che fosse gelosa del fatto che avesse ricevuto messaggi da un'altra ragazza? Pareva proprio che si fosse appostata dietro di lui per sincerarsene, e ciò avrebbe anche spiegato la sua reazione, ma non capiva per quale motivo dovesse esserlo.
    Aveva sentito una forte vicinanza da parte sua e questo non poteva non tenerlo in considerazione, ma purtroppo la realtà dei fatti voleva che lei non ricordasse ancora nulla né di lui né della loro relazione passata e sebbene avesse sperato che quel pomeriggio trascorso insieme potesse in qualche modo far riemergere in lei qualche ricordo, pareva proprio che così non era stato.
    Aveva abbozzato un sorriso, seguito dalle prime parole che gli erano frullate nella mente. «Anja, la mia confidente numero uno. È una buona amica anche se ti sconsiglio di provare uno dei suoi manicaretti a base di pesce.» Un modo come un altro per avvalorare la cucina di Kara e sdrammatizzare una situazione che, a giudicare dal silenzio che accompagnò i loro passi seguenti, si era fatta oltremodo pesante.
    Se anche fosse stata gelosa di Anja, se anche fosse successo qualcosa tra lui e lei o con una qualsiasi altra ragazza, cosa poteva farci?
    L'aveva cercata, l'aveva aspettata per più di un anno, chiunque al posto suo ad un certo punto avrebbe ceduto al peso dell'arrendevolezza.
    Se anche realmente fosse accaduto qualcosa, Lynch non avrebbe potuto sentirsi totalmente colpevole, e Kara non avrebbe dovuto risentirsene in maniera eccessiva, visto che di fatto la situazione che li aveva allontanati così a lungo non sarebbe potuta essere superata in maniera diversa.
    Preso dal desiderio di non distruggere quanto credeva fossero riusciti a costruire quel giorno, non solo accettò di buon grado la sua proposta, ma la prese anche per mano come un tempo, stringendo energicamente la presa e allo stesso tempo attento a non farle male.
    Pagò l'attrazione, attese che fosse arrivato il loro turno e le fece spazio, aiutandola a salire su una delle cabine circolati smaltate di rosso rubino.
    Le si sedette accanto su una morbida poltrona bordeaux sulla quale erano incise delle scritte in norvegese.
    Le attrazioni cominciarono a divenire sagome indistinte man mano che la cabina saliva sempre più alto, facendo diventare il panorama una tavolozza di colori variopinti e gioiosi. Quel che successe in quella cabina fu dettato dal momento e da tutta una serie di emozioni che avevano incorniciato l'animo di Lynch per tutto il tempo trascorso assieme a Kara. Le circondò le spalle con il braccio, gioendo silenziosamente di quel contatto che un tempo era stato così normale per entrambe. Rimase in silenzio, indeciso se fare o meno ciò che il cuore gli sussurrava, ma alla fine lasciò che fossero le emozioni ad indirizzarlo e con la mano libera prese il volto di Kara e lo condusse verso di lui, baciando quelle labbra di cui aveva sentito la mancanza come un eroinomane con la sua droga favorita. Quel gesto gli provocò quasi le medesime sensazioni e in quel momento desiderò che Besaid gli avesse donato la capacità di bloccare il tempo.
    Ma non era così, tuttavia vi era un'altra cosa che poteva fare.
    Lasciando la presa della mancina sulle sue gote, spostò il braccio sino a toccare una delle pareti della cabina, facendo nascere una spessa coltre di ghiaccio che si propagò rapidamente fino ai tubi e successivamente agli ingranaggi della ruota panoramica, arrestandone il movimento rotatorio che altrimenti li avrebbe condotti nuovamente a terra.
    Rimasero fermi nei movimenti, lasciando però che i sentimenti si rincorressero all'impazzata in un vortice senza fine.
     
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