Somewhere only we know

Nora*Levi

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    Il timido sole di mezzogiorno illuminava la spiaggia di Besaid, battuta dal vento come sempre in quel periodo.
    Una pioggia di capelli d'oro, liscissimi, svolazzava come una bandiera piuttosto curiosa, attaccata ad una testolina ed un corpicino da fatina, che quasi a fatica restava fermo sotto l'effetto dell'aria.
    Lei, d'altro canto, sembrava non badarci affatto, rapita com'era dalla cartolina che teneva ben salda tra le dita affusolate. Con l'altra mano, invece, disegnava il profilo della montagna che arrivava fino al fiordo, cercando di capire se potesse corrispondere. A cosa, da fuori, non lo si sarebbe potuto intuire.

    La cartolina era ingiallita, i colori erano sbiaditi con il tempo e la dedica era rimasta immobile e criptica come la prima volta che l'aveva (ri)letta.
    Suo padre le aveva detto che era una località di cui non ricordava il nome, dove erano stati in villeggiatura poco prima dell'incidente. Diceva anche che quelle parole le aveva scritte sua madre, perché per la prima volta l'aveva vista avvicinarsi a dei ragazzi e aveva temuto di perderla, vedendola crescere troppo in fretta. Possibile?
    Le rilesse per la milionesima volta, nella speranza che potessero rivelare qualcosa di più rispetto a quello che avevano sempre nascosto.

    Per favore non dimenticarmi e non scordare tutte le cose che abbiamo fatto insieme.

    Aggrottò le labbra in una smorfia di dubbio, sempre più convinta (su nessuna base logica) che quella non fosse una grafia femminile e di certo che non fosse quella di sua madre.
    Si morse il labbro, cercando di fidarsi ancora una volta di suo padre: perché avrebbe dovuto mentirle?

    Ciò che era certo, comunque, era che non si sarebbe mai separata da quel rettangolo di cartoncino, che aveva sempre tenuto come una reliquia, senza saperne spiegare effettivamente il perché: cosa aveva di così magnetico quel posto? Perché infestava i suoi sogni con una certa frequenza?
    Sentiva una connessione strana con quell'oggetto, come se fosse la chiave di qualcosa, come se per qualche oscuro motivo le avrebbe permesso di recuperare i primi sei anni della sua vita.
    Aveva quindi deciso di intraprendere un viaggio lungo le coste della Norvegia, cercando il profilo di quella montagna: ammesso che all'epoca in cui l'aveva ricevuta la foto fosse recente, era comunque un'immagine di quindici anni prima, ed i paesotti tutti piuttosto simili lungo la nazione di certo non l'aiutavano ad avere riferimenti certi, se non - appunto - il profilo della montagna, sempre ammesso che non fosse stato eroso dal vento o modificato in qualche modo dall'uomo nel frattempo.

    Era partita ormai quasi sei mesi prima, alla fine del primo quadrimestre di Erasmus ad Oslo, con la precisa intenzione di ritrovare quel luogo: forse non avrebbe avuto nessuna risposta alle domande che si era sempre posta, ma valeva la pena tentare, nella speranza di recuperare anche un briciolo di ricordo di sua madre.

    Ecco dunque perché il ditino diafano sferzava l'aria nel tentativo di rintracciare dei riferimenti simili alla foto sbiadita: sembravano essercene alcuni, ma non era del tutto sicura. Che fosse scattata da una prospettiva diversa da quella in cui si trovava? O era lei a sperare finalmente di aver trovato la cittadina dei suoi sogni?

    Abbassò sconfitta le braccia, poco fiduciosa dei suoi sensi, ripetendosi che l'indomani avrebbe tentato da un'altra angolazione: da lì poteva sembrare qualcosa, ma non voleva illudersi di aver finalmente trovato il posto giusto, solo perché credeva di vedere delle somiglianze.
    In fondo, era arrivata da troppo poco e nel frattempo non aveva resistito alla tentazione di cercare subito una sistemazione, riuscendo ad ottenere anche una settimana di prova al negozio di dischi. In questo modo avrebbe visitato ben bene la cittadina, chiesto a qualcuno se riconosceva quel posto e, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe ripreso le valigie di lì a poco proseguendo il suo viaggio.

    Sbuffò rumorosamente, cercando di riporre la cartolina all'interno del libro che aveva in borsa, ma questa, complice una folata più impetuosa di vento, le scivolò via dalle mani.
    - Nooo!!
    Urlò in preda al panico, lasciando tutto per inseguire il pezzo di carta, terrorizzata all'idea che finisse nell'acqua. Fortunatamente però il vento puntò verso la costa, spostandola verso il lungomare. Corse a perdifiato, finché non si ricongiunse con la sensazione familiare della parte liscia della foto e di quella ruvida del retro, del tutto incurante di aver travolto qualcuno nel frattempo.

    - S-scusami. La mia cartolina...
    Si voltò lentamente, spostandosi con attenzione i capelli dal viso, incrociando per la prima volta gli occhi del malcapitato.
    Abbozzò un sorriso e sbattè le lunghe ciglia in direzione del ragazzo, arrossendo appena. Era una faccia in qualche modo familiare: l'aveva vista in uno di quegli strani momenti in cui vedeva della gente a lei sconosciuta fare delle cose del tutto normali, lui - nello specifico - insegnava ad una biondina a pattinare.
    Si sporse leggermente, delusa di non vederla, prima di puntate di nuovo il blu dei suoi occhi su quelli di lui, nella speranza di rabbonire lo sguardo truce che stava ricevendo.
    - Perdonami, perdonami davvero. È troppo importante per me.
    Aggrottò anche un po' il labbro inferiore, facendolo sporgere in una morsa dispiaciuta. Si sarebbe ammorbidito?

    Edited by ginger fox - 17/2/2018, 18:03
     
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    Si era svegliato male. Della nottata precedente, passata per metà in bianco, ricordava soltanto il dolore accecante dell'emicrania che gli martellava nelle tempie, lasciandolo senza fiato mentre si estendeva lungo tutta la fronte. Aveva provato quel dolore soltanto tre volte nella vita, perciò non lo collegava a niente di buono, visti i precedenti. Era rimasto sveglio per un paio d'ore, cercando di rimettere insieme i pezzi della visione avuta, perché di quello si trattava, ma non era riuscito a cavare un ragno dal buco; la pagina del suo ‘diario dei sogni’ – un vecchio moleskine nero – era rimasta vuota, tralasciando qualche parolaccia scribacchiata con grafia incerta.
    Era riuscito a sonnecchiare un altro po', ma aveva dovuto rinunciarvi a causa dei capogiri da voltastomaco, per i quali la stanza sembrava volteggiare senza controllo. A poco sarebbero serviti gli antidolorifici, quel mal di testa se ne sarebbe andato soltanto con lo scorrere del tempo.
    La doccia mattutina lo aveva attenuato leggermente, ma al suo posto aveva lasciato un profondo senso di stanchezza, assieme all'irritabilità scaturita dal sonno rovinato.
    Prevedeva una giornata proprio di merda, di fronte a sé. Almeno di questo era sicuro, senza aver bisogno di premonizioni.
    Scagliò la tazza del caffè bevuto all'interno del lavandino, macchiandone il fondo con i residui della bevanda e si appoggiò contro di esso con entrambe le mani, chiudendo gli occhi per un lungo istante. Se non fosse uscito di casa entro breve, probabilmente avrebbe ribaltato qualsiasi cosa, ritrovandosi a dover compare mobilio ed arredamento da un giorno all'altro. Inspirò profondamente e drizzò la schiena incurvata; i muscoli delle spalle e dei bicipiti guizzarono sotto alla stoffa nera della t-shirt aderente e logora, ma per quel giorno non si sarebbe cambiato, non in quello stato mentale. Se qualcuno lo avesse incontrato, avrebbe dovuto sopportare la visione di due occhiate profonde e della barba lasciata, già da qualche giorno, crescere incolta su mento e guance. Non era proprio nelle sue condizioni migliori, non da quando era stato squalificato dall'ultima partita di hockey per condotta antisportiva. Si era ritrovato con la divisa e il viso macchiati di sangue, a causa di una steccata che aveva restituito con più forza e molto volentieri. Le era costata l'espulsione dal campo e, dopo la partita fuori dagli spogliatoi, uno zigomo livido ancora in via di guarigione. Non ne andava fiero, okay, ma almeno non era stato lui ad iniziare per una buona volta.
    Calciò un paio di Converse lasciate in mezzo al breve corridoio che divideva la camera dall'ingresso ed afferrò al volo una felpa dalla sedia della scrivania, utilizzata più come appendiabiti che per sedervisi. Il freddo per lui non era problematico, quasi non lo sentiva, perciò quei pochi indumenti che aveva indosso sarebbero stati più che sufficienti a tenerlo al caldo durante la sua 'passeggiata'; optò per lasciare il cellulare sulla barca, non volendo che qualcuno potesse disturbarlo e una volta calzate un paio di sneakers, si affrettò ad uscire all'esterno, venendo immediatamente investito da una folata di vento. Risolse calcando il cappuccio della felpa sui capelli scuri già scompigliati e si issò sul molo, dirigendosi verso la spiaggia a grandi passi; con un tempo del genere, in quel luogo non sarebbe incappato in nessuno.

    La sabbia era compatta sotto alla suola delle sue scarpe, che vi sprofondavano a malapena, perciò immaginò che durante la notte avesse piovuto. E lui non se n'era accorto, invischiato com'era nell'emicrania e, successivamente, nella smania di ricordare. Aveva pensato a Dana, ad un certo punto, ma se gli avessero dato un centesimo per tutte le volte in cui la sognava, a quest'ora avrebbe avuto uno yacht e non una schifosissima barca verde menta. Affondò le mani arrossate dal vento nelle tasche dei jeans ed abbassò il capo in seguito ad una folata più forte e ghiacciata, storcendo le labbra in una smorfia — si stava già pentendo di essere uscito, anziché essere rimasto a rompere qualche soprammobile. Non si accorse della biondina più bassa di lui di qualche spanna, che si accingeva a correre nella sua stessa direzione per poi finirgli contro. Inarcò un sopracciglio con stizza ed alzò lo sguardo verso quel turbinio di capelli biondi; a causa della differenza di stazza, era riuscita a spostarlo di forse un millimetro, nell'impatto, ma trovava comunque irritante la cosa.
    « Guarda dove vai, ragazzina » non era solito prendersela con le donne, tantomeno con delle diciassettenni e per sciocchezze del genere, ma il sonno mancato mischiato al solito temperamento ardente, riuscivano a renderlo più antipatico e musone del solito.
    Si scostò dalla sua traiettoria e le lanciò un'occhiata di fuoco, dal momento che la cartolina che la ragazza aveva afferrato al volo durante il loro scontro, non era certamente di sua competenza. « La spiaggia non è il luogo adatto per scrivere cartoline » sentiva la sabbia infilarsi lentamente nelle scarpe e dio, ci avrebbe messo una vita a pulirle, chi gliel'aveva fatto fare?

    Edited by woodlandfairy’ - 19/3/2018, 12:20
     
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  3. ginger fox
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    Restrinse le iridi in risposta alla rabbia di lui, affogando gli occhi nel blu del cristallino.
    Richiamò anche all'ordine il labbruccio inferiore, tenendolo saldo con i denti, piegando leggermente la testa di lato come i gatti quando si incuriosiscono. Perché tutta quella rabbia? Cosa ci faceva da solo, senza nemmeno una giacca propriamente degna di questo nome, con quel freddo e sotto quel vento?
    - Non la stavo scrivendo, cercavo solo di capire se questa cartolina è di quì.
    Detto così, sembrava che ne volesse sondare la provenienza, come se un pezzo di carta avesse una cittadinanza o cosa. Represse un risolino al pensiero, troppo stupido per essere espletato, cercando di far leva sulla sua eventuale cavalleria.
    - Credi che questa possa essere quella montagna?
    Indicò con il dito il promontorio dietro di lui, incerta se sarebbe stato abbastanza signore dal limitarsi dal mandarla a quel paese.
    Eppure, probabilmente dal modo in cui lo aveva visto prodigarsi per insegnare alla sua ragazza a pattinare, intravedeva della gentilezza in lui. Gentilezza a cui avrebbe fatto appello molto volentieri, anche se più probabilmente lo aveva beccato in una giornata no.
    - Lo so, sembra stupido arrovellarsi per riconoscere una montagna ma potrebbe essere importante.
    Annuì in maniera piuttosto decisa con la testolina bionda, allargando la bocca e gli occhi in un sorriso.
    Aveva senza volerlo intercettato lui su quella spiaggia, lui e non un altro, perciò il moretto avrebbe dovuto avere pazienza con lei. D'altronde alla fortuna non si comanda, figurarsi alla sfiga.
    Gli piantò la cartolina sotto gli occhi, nell'attesa di un secondo parere, da un occhio sicuramente più abituato al profilo di quel monte rispetto al suo.
    - Gli somiglia più di molte altre che ho visto più a sud, ma ci sono dei punti che sembrano non combaciare.
    Si girò per metterglisi accanto, vicina abbastanza perché i loro corpi schermassero un po' il vento ma al tempo stesso potessero guardare il promontorio accasciato sul mare, continuando a disegnarne la forma nell'aria.
    - Vedi lì, quella specie di gobba? In realtà sembra essere molto più piatta, ma non capisco se sia un problema di prospettiva o se non c'entra niente con la foto...
    Aveva iniziato a parlare a raffica, impedendogli di fatto di allontanarsi se non in maniera piuttosto maleducata. Non che - scontroso come appariva quel giorno - non avesse il coraggio di farlo.
    Conscia del fatto che aveva bisogno del parere di un autoctono, continuò imperterrita a parlare, voltandosi per guardarlo, da quella distanza ravvicinata.
    Aveva una strana sensazione accanto a lui, quasi una sorta di dejavu. O magari, quel suo sentirsi protetta nello stargli vicino era solo dovuto al fatto che in qualche modo gli ricordava suo papà: i colori, forse, e leggermente la forma degli occhi, un po' allungata in fondo. Aveva anche quella fossettina a lato della bocca, a renderlo simpatico, nonostante la scontrosità.
    - Hai idea da dove possa esser stata scattata? Se dal mare o in qualche altro punto?
    Lui, o almeno lei così sperava, le avrebbe dato corda, perché quando un mistero è così sovraccarico, non si osa disubbidire, si diceva nel Piccolo Principe. Sperò fosse vero, riponendo tutta la sua fiducia in quell'ammasso di rabbia.
    Tornò a chiedersi il perché di tanto nervosismo, che avesse litigato con la biondina? Sperò in cuor suo di no, erano così carini insieme, ma poi si rese conto di non essersi nemmeno presentata e dunque corse ai ripari.
    - Ah, comunque, io sono Nora, molto piacere.
    Sì beh, il suo nome era molto più lungo ma erano anni che aveva deciso di farsi chiamare Nora: Dana era il nome scelto da sua madre, provava una terribile malinconia nel sentirsi chiamare a quel modo.
    - Nora Årud. E tu come ti chiami?
    Allungò di poco la mano per raggiungere la sua, nella speranza che quantomeno l'educazione gli imponesse di rispettare certe indicazioni.

    Edited by ginger fox - 17/2/2018, 18:03
     
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    Dio lo odiava. Ormai lo aveva capito e, con il tempo forse, sarebbe persino riuscito a farsene una ragione. Al momento però non gli andava giù; non era una cattiva persona, tralasciando l'abuso di risse ed alcolici. Per meglio dire, non aveva mai ammazzato nessuno — nonostante avesse pensato di farlo parecchie volte — perciò perché dovevano capitare proprio tutte a lui? A cosa doveva questa punizione divina?
    Era uscito con l'intento di isolarsi dal resto del mondo, sfruttando il tempo da cani, e si era ritrovato incastrato in una situazione a dir poco frustrante. Non solo si era imbattuto nell'unico essere vivente presente sulla distesa deserta della spiaggia, ma era pure stato coinvolto in un contatto umano che in quel momento riteneva indesiderato. Quante colpe avrebbe dovuto espiare ancora, prima che la sua esistenza ritrovasse il giusto equilibrio nell'Universo? Forse gli avevano fatto il malocchio, oppure aveva un'altra sorta di sfiga addosso.
    Signore Onnipotente, se mi stai guardando, sappi che sto per compiere la mia buona azione giornaliera. Non dimenticartene.
    Innanzitutto, si chiese cosa ci facesse una ragazzina di quell'età – dedusse che avesse suppergiù sedici o diciassette anni dai lineamenti delicati e quasi bambineschi del suo viso – in un luogo del genere e, soprattutto, con un tempo del genere. Una volta ottenuta una risposta a quella domanda, senza che avesse avuto il tempo materiale di formularla, pensò che parlasse fin troppo.
    « Fa vedere.. » con tono rassegnato, cercò di sbirciare la cartolina che la biondina teneva ben stretta fra le dita affusolate. Si sentiva esausto, non tanto a livello fisico, quanto a livello mentale. La nottata precedente aveva risucchiato tutte le sue energie, lasciandolo stanco e spossato; se ne sarebbe stato volentieri a letto, se non si fosse trattato del luogo preferito dai fantasmi del suo passato e, ultimamente, dall'emicrania.
    Seguì con lo sguardo l'indice della ragazza, che puntava verso le montagne note a tutta Besaid ed aggrottò la fronte con aria concentrata, mentre studiava con attenzione il profilo delle creste innevate. Aveva lanciato occhiate disinteressate a quel paesaggio per anni, lo aveva sotto gli occhi da sempre, eppure si trovava a scrutarlo seriamente forse per la prima volta in vita sua. Ridusse gli occhi castani a due fessure e, tramite quel gesto meccanico, si accorse solo in quell'istante di aver lasciato, oltre che il cellulare, anche gli occhiali a casa. Era una fortuna che gli mancassero poche diottrie. Abbassò lo sguardo sul pezzo di carta, non potendo fare altrimenti e lo mise a fuoco: la cartolina era decisamente vecchia, lo si poteva notare dagli angoli leggermente arricciati e dal colore non più splendente, ma opacizzato dallo scorrere del tempo e tendente al giallognolo. E poi, a volerla dire tutta, chi diavolo comprava più le cartoline nel 2018? Doveva essere, minimo, di una decina di anni prima. Fu una sferzata di vento probabilmente più vigorosa delle altre, a farlo rabbrividire mentre continuava a scandagliare la fotografia con rinnovato interesse.
    « Dove l'hai pescata questa? » si trattenne dall'aggiungere un ‘schifezza’ in coda alla domanda, non volendo urtare la sensibilità della fatina e rimase ad osservare l'immagine; che si trattasse di Besaid era palese, almeno per un abitante fisso, perciò decise di attribuire a quel motivo la sensazione di familiarità scaturita dalla vista della cartolina.
    « Devi spostarti più in là di qualche chilometro per avere la visuale giusta » indicò con il capo verso la direzione dalla quale era arrivato, non trovando il coraggio di tirare le mani arrossate fuori dalle tasche e si maledisse per quel semplice gesto, dal momento che il cappuccio scivolò in una posizione più fastidiosa che utile. Malocchio. Era di sicuro malocchio.
    Rimuginò su quel semplice rettangolo di cartoncino e, ancora sovrappensiero, decise di tirar fuori una mano dal tenue calore dei jeans in modo da sistemare prima l'indumento e poi, sotto di esso, le ciocche arruffate.
    Non che gliene importasse qualcosa, ovviamente, ma si chiedeva a chi fosse appartenuta quella sottospecie di reliquia. Poteva esserle stata data dai genitori, oppure dai nonni; era troppo vecchia e malridotta – ma soprattutto vecchia – perché le fosse stata regalata da un ipotetico fidanzato.
    Sentiva gli occhioni azzurri della ragazza incollati su di sé, mentre venne pervaso dalla classica 'strana sensazione', quella a cui non si riesce mai a dare un nome ben preciso. Presentimento, forse, ma neppure. Partiva dalla punta delle dita, accendeva ogni terminazione nervosa, persino la più insignificante e si insinuava nelle ossa. La sentiva crepitare lungo la colonna vertebrale, risalirla lentamente per poi diffondersi nel petto. Sperò si trattasse d'ipotermia e non di qualcosa di serio – ovvero di legato alla propria abilità. Questa cosina diafana e fiabesca sembrava mettere a dura prova i suoi nervi già abbastanza alterati, standogli così vicina.
    Strapiombò nella realtà soltanto quando sentì nominare il proprio cognome, o meglio, quello di suo padre, quindi inarcò un sopracciglio sentendosi improvvisamente interessato. Årud era un cognome parecchio diffuso in quelle zone, così come in città, perciò non c'era da meravigliarsi nel sentirlo nominare spesso. Certo, la sfiga non smetteva di perseguitarlo, ma che doveva farci? Afferrò la mano che la bionda gli stava porgendo, ritrovandosi a studiarla con maggior cura ora che si era presentata e la strinse con risolutezza nella propria.
    « Levi Kvist, piacere » incurvò un angolo delle labbra verso l'alto, rivolgendo alla sua interlocutrice la prima parvenza di sorriso della giornata. No, il malumore non si era dissipato, quello sarebbe durato ancora a lungo; si sentiva semplicemente obbligato a comportarsi in maniera decente verso una ragazza in difficoltà, così da far girare finalmente il karma positivo dalla propria parte.
    « Sbaglio o hai parlato di sud, prima? Quante montagne ti sei vista, prima di imbroccare quella giusta? » e va bene che tutti hanno delle idee strane ogni tanto, basti pensare alla storia dello spostare nani con Larsen, ma davvero quest'esserino si era messo alla ricerca di uno sputo di città come Besaid?

    Edited by woodlandfairy’ - 19/3/2018, 12:21
     
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    Era evidentemente scocciato, ma comunque l'aiutò. E fu più utile lui di tutte le persone che aveva incontrato fino a quel momento, avendole dato la conferma che l'aveva finalmente trovata.
    Era felice, così tanto da non riuscire a contenersi: la gioia dilagò dalle labbra e fino agli occhi blu, sfociò nel rossore delle sue guance e giunse alle mani che si portò alla bocca prima e che poi agitò in aria, mentre saltellava sul posto. Finì per abbracciarlo, in maniera del tutto inopportuna e sconsiderata.
    L'avrebbe picchiata? Probabilmente si, ma era così felice di aver trovato quel posto che niente l'avrebbe preoccupata, nemmeno le potenziali legnate di un ragazzo burbero appena conosciuto.
    D'altronde, non riusciva a non pensare che doveva esserci un segno, un motivo, un perché.. se il destino l'aveva messo sulla sua strada, lui doveva avere qualcosa di speciale.
    - Kvist? Come mia zia!
    Si era ritirata nella maniera più discreta possibile e aveva quasi riportato il tono di voce a regime, anche se restava ancora più acuto del solito.
    Fino a che un pensiero la rabbuiò.
    - Era anche quello di mia madre, a dire il vero. La cartolina, me l'ha data lei, o almeno così mi ha detto papà. Io ricordo solo di averla da sempre...
    Si morse il labbro inferiore, guardandosi le scarpe. Era giusto screditare le parole di suo padre di fronte ad uno sconosciuto? Perché si sentiva di dire a lui cose che non aveva confessato a nessun altro?
    - Ho sempre saputo che c'era qualcosa per me, in quel posto. Lo cerco da mesi e ora finalmente l'ho trovato, grazie a te.
    Sollevò la testa, puntando il blu nel castano devastato dal sonno di lui: doveva aver passato una nottataccia, o una notte fin troppo movimentata... Magari aveva davvero litigato con la biondina?
    Si chiese perché si stesse interessando così tanto a lui: era come se avvertisse una connessione, una sorta di propensione quasi fisica verso di lui, come se ci fosse un filo rosso lungo un miliardo di chilometri a legarli.
    Non aveva mai provato una sensazione del genere, così forte e al tempo stesso candida: non era attrazione, né sottintendeva alcun tipo di doppio fine. Era semplicemente come se il suo corpo le stesse dicendo che sarebbero dovuti stare vicini.
    E sembrò metterci lo zampino il vento, con un'ulteriore folata troppo forte, che la fece sbilanciare verso di lui, anche se stavolta fu molto attenta a non toccarlo. Non voleva irritarlo più di quanto quell'abbraccio spontaneo aveva fatto, ed ancor prima lo scontro che li aveva fatti incontrare.
    - Lascia che ti offra qualcosa di caldo, qui si gela e io devo ringraziarti in qualche modo, Levi.
    Sottolineò il concetto, sorridendo mentre pronunciava il suo nome. Non gli avrebbe permesso di rifiutare, doveva conoscerlo meglio, capire perché gli avesse scatenato quel tepore nell'animo.
    Prese a camminare in direzione della cittadina, c'era poco lontano un caffè che si affacciava sulla spiaggia.
    Coprì i pochi metri che li dividevano dal locale in silenzio, attenta a non inciampare, a non perdere di nuovo la cartolina che teneva ancora stretta nella mano destra, lanciandogli occhiate di tanto in tanto, come se ad un secondo colpo d'occhio avrebbe dovuto capire qualcosa di più su Levi Kvist, il ragazzo che una mattina aveva girato un nodo intorno al filo della sua vita.

    Il campanello trillò sotto la spinta della sua mano gelida sulla maniglia, se possibile ancor più fredda. Battè i piedi ripetutamente per togliere la sabbia sotto le scarpe, prima di entrare e venire investita da una temperatura gradevole. Sentì le guance avvampare sotto l'effetto del calore e individuò il primo tavolo libero su cui sedersi: prese posto su una panca, appoggiando la cartolina capovolta sul tavolo per potersi liberare del cappotto con più comodità, attendendo che il moro si si accomodasse a sua volta.
    - Dovrei andare quindi verso quella direzione per trovare l'angolazione giusta, vero?
    Guardò ancora fuori dalla finestra, del tutto incredula di esser riuscita nel suo intento, ma poi la sua attenzione fu catturata dalla cameriera che usciva dal retro cucina. Agitò in alto una mano per richiamarla: avevano urgente bisogno di qualcosa di molto caldo per scaldarsi la pancia, soprattutto lui, che ancora tremava per il freddo.

    - Buongiorno ragazzi, cosa posso portarvi?
    La signora era sulla quarantina, non era eccessivamente curata ma aveva l'aria di una mamma, perciò Nora decise di dare ascolto anche al brontolio della sua pancia, nella speranza che fosse una brava cuoca, come l'aspetto sembrava suggerire.
    - Io vorrei un tè caldo, per favore. Ed anche una fetta di torta, se possibile.
    Appoggiò entrambe le mani sul tavolo, congiungendole, mentre le regalava un sorriso cordiale. Abbassò lo sguardo verso Levi, poi, attendendo che anche lui facesse il suo ordine e lei raccogliesse i menù, congedandola con un - Grazie mille.
    Rimasti soli, lasciò che calasse il silenzio tra loro, mentre cercava di intravedere sotto la barba un po' troppo lunga i lineamenti del ragazzo che aveva di fronte, come se fosse un altro dettaglio che avesse importanza per lei, anche se non aveva idea del perché.

    Edited by ginger fox - 25/2/2018, 21:10
     
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    Il fatto che il clima freddo non rappresentasse un problema per Levi, non significava che il suo corpo non rispondesse agli stimoli ricevuti dalla temperatura esterna. Le mani erano sempre più intorpidite, per cui ogni movimento delle dita, anche il più impercettibile, gli dava l'impressione di essere sotto l'effetto di slow-motion. Se provava a muovere quelle dei piedi, poi, la dose veniva rincarata ( si sarebbe dovuto ricordare di non indossare più sneakers in spiaggia, in futuro ) e ad essa si aggiungeva la frustrante sensazione data dai granelli di sabbia appiccicati perfino ai calzini. Probabilmente li avrebbe gettati per via diretta nella pattumiera, una volta rincasato, così da non avere l'incubo di ritrovarli ancora insabbiati a distanza di settimane.
    Incrociò le braccia sul petto nel vano tentativo di farsi scudo dal vento e – ancor più vanamente – di apparire distaccato.
    C'era la remota possibilità che la visione avuta durante la notte fosse strettamente correlata a quell'incontro. Gli sembrava la spiegazione più logica da dare a quel senso di déja-vu e familiarità in cui annaspava ogni fibra del suo corpo. E, sebbene continuasse a pensare di aver ricevuto uno scherzo non proprio divertente dal destino, vista la giornata, non poté restare del tutto impassibile di fronte alla gioia scaturita in Nora grazie al suo aiuto; bastava guardare il rovescio della medaglia, andando oltre la sua facciata da burbero, per riuscire a godere della sua indole fin troppo gentile e premurosa.
    Capì di aver reso migliore la giornata alla biondina, intanto dai magnetici occhioni azzurri, che illuminarono tutto il suo viso delicato, ma soprattutto dall'abbraccio spaccaossa ( per così dire ) in cui si trovò stretto. Il sorriso che ne scaturì, un semplice guizzo delle labbra, morì non appena il proprio cognome venne collegato a quello di una zia. Quell'innocente osservazione diede forma a uno dei tanti pensieri assurdi a cui era avvezzo.
    Possibile che quel coglione che si era preso sua madre e tutte le sue stranezze, avesse una figlia – di cui nessuno aveva fatto parola con lui – e che questa la chiamasse 'zia', piuttosto che mamma o matrigna? No, era impossibile, oltre che improbabile. Innanzitutto, sua madre apparteneva a quella vasta categoria di persone che devono renderti partecipe a tutti i costi di ogni loro cagata fatta, perciò gli avrebbe dato la notizia di una figlia acquisita subito dopo quella del suo imminente trasferimento.
    In più, Nora aveva accennato anche alla madre ed era certo di non avere una zia, che dal tono usato sembrava avesse fatto per giunta una brutta fine.
    « Che coincidenza.. » tentò di liquidare così quelle poche informazioni, ma ormai il dubbio aveva fatto capolino e avrebbe faticato a reprimerlo.
    Borbottò un « Mi dispiace per tua madre », non volendo passare per il mostro di turno, ma ancora si sentiva scosso. Quante donne potevano dire di fare Kvist di cognome, in Norvegia? O, peggio ancora, in tutta la Scandinavia? Eppure.. Possibile che la sua mente e il suo corpo si divertissero a giocare così diabolicamente con lui?
    Per quanto volesse rischiare la sorte, rivolgendo a Nora domande più personali che avrebbero potuto azzittire la sua vocina interiore, decise di evitare dal modo in cui si era rabbuiata, avendo probabilmente imboccato il ‘viale dei ricordi dolorosi’. Capitava spesso anche a lui, perciò era conscio di quel che si provava.
    « Certo, ti stavano aspettando giornate ripetitive e abilità da circo » non avrebbe voluto apparire così cinico, ma ormai il danno era stato fatto. Non odiava Besaid, ma non vi vedeva sbocchi soddisfacenti e, soprattutto, vi si sentiva imprigionato. Se se ne fosse andato, avrebbe perso la propria capacità e i mal di testa che portava con sé, ovvio, ma al tempo stesso avrebbe perso anche tutti i ricordi e questo proprio non gli andava giù. Ne aveva di schifosi, okay, ma non avrebbe mai potuto lasciar andare quelli belli per sempre.
    Districò rapidamente la presa delle braccia non appena vide la figura esile traballare a causa del vento – se i riflessi erano sempre all'erta doveva ringraziare anni di allenamenti – e tirò un sospiro di sollievo quando riprese l'equilibrio senza bisogno del suo aiuto. Si ritrovò ad osservarla di rimando con attenzione e, mentre si perdeva nel blu dei suoi occhi, pensò di dirle di scappare. Avrebbe voluto metterle le mani sulle spalle e scuoterla, dirle che lei era ancora in tempo per andar via e lasciarsi quel posto alle spalle senza rimorsi, prima che venisse inglobata nel circolo vizioso che rappresentava la vita in città. ‘Sembrerò protettivo e stupido, ma prendi le tue cose e corri via senza voltarti.’ Dalla 'boccia delle abilità' Nora ovviamente non aveva estratto il bigliettino della telepatia, perché gli chiese di rifugiarsi in un bar, per scaldarsi e sdebitarsi.
    « Qui si vola via vorrai dire. Mi sei sembrata sul punto di prendere il largo, con l'ultima folata. »
    Da una parte si sentiva come teletrasportato in Saw, l'enigmista. Una versione molto meno truculenta, logicamente, ma in cui doveva comunque espiare le proprie colpe — in quel caso, andando al bar seppure volesse scomparire dalla faccia della Terra. Dall'altra accettò volentieri l'invito, più che altro per scrollarsi di dosso tutti i dubbi che, altrimenti, lo avrebbero lasciato insonne per un'altra notte.
    Riuscì a reprimere il desiderio di affondare nuovamente le mani all'interno delle tasche dei jeans, dovendo percorrere soltanto un breve tragitto e rimase al suo fianco, chiuso nel proprio mutismo meditabondo. Le stava ancora lanciando occhiate di sottecchi, quando raggiunsero il locale sulla spiaggia.
    Sbatté le scarpe sul tappetino pulito ma logoro, lasciando che si impregnasse di sabbia e rabbrividì alla differenza di temperatura fra l'esterno e l'interno, per cui le guance presero un colorito più salutare e meno cadaverico. Salutati alcuni degli altri clienti, conoscendoli dal momento che viveva in quella zona, si accomodò al tavolo scelto dalla ragazza, sistemandosi di fronte a lei ed annuì, senza neanche il bisogno di seguire il suo sguardo fuori dalla finestra.
    « Abito da quella parte, perciò posso accompagnarti per un tratto di strada, se vuoi » sbirciò verso di lei, rivolgendo prima lo sguardo sulla cartolina 'incriminata' e successivamente sulla sua figura, mentre l'attenzione ricadde sulla mano protesa.
    Diede la propria ordinazione alla cameriera senza neanche degnarla di uno sguardo, con un secco « Masala chai, grazie » e non appena se ne fu andata, immaginando non prima di avergli lanciato un'occhiataccia, allungò rapidamente una mano verso il braccio della bionda, afferrando l'avambraccio con fermezza e al contempo delicatezza, per avvicinarlo a sé, causa miopia, e studiarlo meglio.
    Senza lasciare la presa su di esso, picchiettò con l'indice libero contro al braccialetto legato attorno al polso esile e piantò gli occhi nocciola su di lei, ringraziando di essere seduto in quell'istante e non a portata delle gambe cedevoli.
    « Da quanto tempo hai questo? » stava passando per visionario e, forse, anche per pazzo. Probabilmente Nora lo avrebbe visto come un matto, agganciato per fortuna-sfortuna sulla spiaggia e di cui si sarebbe dovuta liberare il prima possibile. Lasciò andare la sua mano, immaginando di essere risultato inopportuno con quel gesto avventato e tentò di non perdere il controllo in un luogo pubblico, di fronte ad una mezza sconosciuta.

    Edited by woodlandfairy’ - 19/3/2018, 12:21
     
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  7. ginger fox
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    Gli occhi di Levi, illuminati da un sorriso, erano decisamente più belli. Sorrise ancor di più con i propri, constatando che sotto quella scorza di rabbia (chissà per cosa, poi), c'era un animo gentile.
    Lei si sentiva affine agli animi gentili e, almeno a quanto diceva suo padre, aveva uno straordinario talento per individuarli in mezzo alla folla.
    Non era del tutto vero, o Tom non avrebbe lasciato tanti graffi sul suo cuore.
    Si morse un labbro, comunque, nel vedere il moro davanti a lei raggelarsi in un attimo, come se il vento lo avesse congelato con una sola folata. Che avesse un brutto rapporto con la famiglia Kvist e odiasse chiunque ne portasse il nome?
    Lasciò che la parte rosea della sua bocca fuggisse dalla morsa dei denti, facendo spallucce al suo dispiacere per sua madre, come se ormai non avesse poi così tanta importanza.
    - E' successo tanti anni fa.
    Abbassò per la prima volta gli occhi, fissando le sneakers di Levi come se avessero un qualcosa di interessante, badando poco al tono cinico su ciò che Besaid avrebbe potuto offrirle.
    - Non lo puoi sapere, magari questo posto ha qualcosa da offrire anche a te. Magari è già davanti ai tuoi occhi, solo che non lo vedi.
    Accennò alla biondina dei pattini, era evidente che ci fosse qualcosa tra di loro, ma - pensandoci bene - non sembrava fosse del tutto sbocciato. Lui non poteva sapere che lei li aveva visti (ammesso fosse davvero accaduto), ma sperò che oltre al buon cuore, avesse anche un buon fiuto per accogliere i consigli.
    Gli propose poi qualcosa di caldo ed ebbe una strana sensazione, come un brivido, del tutto diverso dal freddo che provava, quando lui allungò le braccia per sorreggerla, se fosse caduta sotto la morsa del vento.
    Fu qualcosa di dolcissimo, così gratuito e protettivo nei suoi confronti, e Nora ebbe la sensazione che quello stesso brivido l'avesse già avvertito prima, senza sapere quando. Incontrò il suo sguardo per un attimo, chiedendosi cosa ci fosse di così magnetico in quel ragazzo del tutto ordinario: non che non fosse attraente, nè che si fosse dimostrato noioso, ma non riusciva a spiegarsi un interesse così forte verso un ragazzo che però non le ispirasse alcunchè in quel senso.
    Lasciò da parte quei pensieri, permettendo allo schiaffo del vento di riportarla all'hic et nunc, e fece attenzione su dove metteva i piedi, cercando di arrivare sana e salva alla struttura sulla spiaggia, sebbene sapeva che c'era qualcuno che copriva i suoi passi, pronto a farsi avanti se ne avesse avuto bisogno. E lei, senza nessun motivo al mondo, si sentiva più sicura per questo.

    Entrarono e fu molto meglio: almeno la temperatura li agevolava e i rumori di sottofondo erano meno fastidiosi dello sbatacchiare delle cime sugli alberi di metallo delle navi. Gli chiese da dove avrebbe potuto trovare la giusta angolazione, ricevette una risposta e una proposta di accompagnarla, almeno per parte del tragitto. Sembrava che anche lui non volesse lasciarla andare.
    Era strano, Levi Kvist, passava dall'essere burbero e scorbutico a dolce e disponibile, per poi tornare scontroso con la povera cameriera che non aveva nemmeno degnato di uno sguardo. Stava quasi per dirgli qualcosa, ma lui le aveva preso il braccio, lo studiava come se fosse qualcosa di incredibilmente prezioso. Fu tentata di ritrarlo, ma ricevette una domanda, una domanda specifica sul braccialetto che la incuriosì, tanto che non si disturbò a muovere il braccio, ancora in mezzo al tavolino, a completa disposizione del ragazzo che ora la guardava con le iridi dilatate.
    Non ebbe la forza di sostenere quello sguardo, abbassandolo sulle mani di lui, mentre rispondeva.
    - Ce l'ho da quando mi sono svegliata dopo l'incidente, quindi, prima dei miei sette anni ma non saprei dirti b-
    Tacque, prendendo stavolta lei la mano di lui, sollevando la manica e trovando un braccialetto esattamente identico al suo, solo poco più grande.
    Aprì la bocca per la sorpresa, girando il polso perchè potesse ripercorrere con il dito quel nodo piano, simbolo dell'infinito e della forza, sullo stesso caucciù che indossava lei. Lo ridisegnò con la punta dell'indice senza dire una parola, sollevando poi il palmo della mano di Levi, dove andò ad inserire la sua, perchè ogni parte delle loro mani aderissero e si ricongiungessero.
    - Sarà come se ti tenessi la mano per tutto il tempo.
    Pronunciò quella frase sottovoce, con lo sguardo perso nel vuoto.
    Non era un'immagine precisa, non riusciva a distinguere il posto, il contesto, il momento. Non sapeva incastonare niente delle immagini che piano prendevano forma nella sua testa, vedeva solo due manine, molto più piccole di quelle che aveva davanti agli occhi e sentiva le lacrime bagnarle il viso.
    - Non voglio andarci senza di te, Lev.
    Era la sua voce, ma molto più bambina, aveva fatto i capricci e non si sentiva pronta a lasciarlo davanti a quella classe nuova, con quei bambini nuovi. Lui era la sua certezza, non voleva giocare con nessun altro.
    Prese forma davanti a sè, gli stessi tratti scuri, quegli occhi nocciola così teneri nei suoi confronti, mentre si toglieva lo zainetto dei power rangers e apriva il taschino in alto.
    - Ecco, tieni. Quei braccialetti erano nuovi, nuovissimi. Troppo grandi per entrambi, ma così perfetti agli occhi di Dana.
    - Allora non è vero che la macchinetta ti ha rubato la moneta... Lo disse sottovoce, come se fosse un segreto inconfessabile, qualcosa che sarebbe dovuto essere custodito solo tra loro due.
    - Ho mentito per averne due, così... le prese la mano e le strinse il suo, con i cordini che ciondolavano fin troppo lunghi.
    - così sarà come se ti tenessi la mano per tutto il tempo.

    Sollevò gli occhi su quelli di Levi, sentiva di nuovo le lacrime annacquarle la vista, stavolta mentre guardava un Levi adulto che sapeva di conoscere, anche se non sapeva chi era. Strinse le dita attorno alle sue, sentendo il suo corpo iniziare a tremare. Chi era Levi Kvist? Perchè, da bambini, si prendeva così cura di lei? Cosa non le era stato detto degli anni di cui non aveva più ricordi? Cosa, davvero, le aveva portato via la memoria?
     
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    « Non lo puoi sapere, magari questo posto ha qualcosa da offrire anche a te. Magari è già davanti ai tuoi occhi, solo che non lo vedi. » le parole di Nora lo avevano fatto riflettere, seppure non si fosse che soffermato a pensarvi mestamente, mentre la seguiva con cautela verso il bar, pronto a coglierla al volo in caso di necessità. Quella ragazzina così sognante era riuscita a fargli mettere in discussione le convinzioni che aveva sempre professato cocciutamente, nonostante l'idillio non fosse poi durato che poco più di una lunga manciata di secondi.
    In quel breve lasso di tempo, si era davvero convinto di poter essere destinato a qualcosa di migliore e che quella città, prima o poi, gli avrebbe positivamente riservato grandi sorprese; immaginando si fosse trattato semplicemente di un pensiero scaturito dall'aura di positività che aleggiava intorno alla bionda e dagli zaffiri blu e limpidi che continuavano a scrutarlo vivacemente, si era deciso ad abbatterlo sul nascere.
    « Hai una visione del mondo molto fantasiosa ed ingenua, devo ammetterlo. » Nora non lo conosceva. Non sapeva delle notti insonni, delle nocche doloranti, delle labbra tumefatte e della voragine che si apriva in lui giorno dopo giorno, da quasi vent'anni. Non aveva idea delle cose che portassero a fare il risentimento e la rabbia covati così a lungo. Di certo non si sarebbe mai aspettato di doversi ricredere a neanche dieci minuti dal suo monologo interiore, di fronte ad una prova inconfutabile come quel braccialetto.
    La cameriera del bar in cui si erano rifugiati li servì poco dopo aver annotato sul suo taccuino la loro ordinazione, non lasciando neppure che passassero cinque minuti dal momento in cui si allontanò per raggiungere il bancone. Tornò con il vassoio occupato da entrambe le tazze di tè ed un piattino a fiorellini in stile retrò su cui era adagiata una fetta di torta ben guarnita, ma stavolta non si soffermò al tavolo, facendo dietrofront con passo spedito; che si fosse offesa per il comportamento scostante con cui era stata trattata? O forse si era semplicemente imbarazzata per il modo in cui si scambiavano sguardi. Non che a Levi importasse di averla maltrattata o di come si sentisse, avendo altro per la testa in quel momento.
    Si sentiva attirato da Nora in maniera del tutto puramente mentale, legato a lei da un filo invisibile che lo spingeva a comportarsi in maniera bizzarra rispetto al solito, motivo per cui le aveva proposto di accompagnarla. L'aveva incontrata per caso, sulla spiaggia deserta e non aveva la benché minima idea di chi fosse — per modo di dire — ma le si era interessato comunque, sentendosi affine a lei. Se si fosse trattato di un'altra ragazza, probabilmente, l'avrebbe mandata a quel paese senza neppure perdere del tempo.
    E adesso era spuntato quel braccialetto in caucciù lavorato, sfibrato e liso quasi quanto il proprio, ancora nascosto sotto alla manica della felpa e stretto intorno al medesimo polso attorno al quale la ragazza aveva il suo.
    Non poteva trattarsi di un'ulteriore coincidenza, proprio no, sarebbe stato fin troppo surreale; Nora aveva parlato di un incidente e l'età in cui era avvenuto coincideva, più o meno, con quella in cui si erano presi i bracciali identici.
    Abbassò a sua volta lo sguardo quando la mano esile della ragazza afferrò la propria, scoprendogli il polso e di conseguenza l'accessorio. Osservò mentre la punta delle dita sottili lo sfiorava e trattenne il fiato, non appena le loro mani si cercarono, finendo per toccarsi ed appoggiarsi l'una contro l'altra.
    Ricordava benissimo le parole che pronunciò subito dopo, per il semplice fatto che si trattava di una frase detta da lui stesso. Si ritrovò catapultato nel tempo, nell'esatto istante in cui le aveva fatto dono di quel piccolo oggetto.
    Aveva dodici anni, mentre Dana ne aveva compiuti soltanto sei. Si era intestardita di non voler frequentare la scuola, per nessuna ragione al mondo, non potendo stare più a contatto con Levi nonostante si trovassero nello stesso stabilimento. Aveva fatto i capricci tutta la serata precedente, così come poi anche il mattino prima delle lezioni e mentre la teneva per mano sul marciapiede, per impedirle di scappare ed essere investita, si erano imbattuti in una di quelle macchinette contenente gadget all'interno delle palline. Aveva infilato i soldi della merenda al suo interno e, quando Dana si era distratta, aveva nascosto la pallina nello zainetto. Finse con sua madre, inventandole che la macchinetta si fosse mangiata la moneta e ne ricevette quindi un'altra, dopo una strigliata. Le fece ricomparire soltanto di fronte alla sua classe, sapendo quanto avrebbe pianto al momento del distacco se non si fosse inventato qualcosa. Sorrise nel vederla così sorpresa, non s'immaginava avesse detto una bugia.
    « Ho mentito per averne due così sarà come se ti tenessi la mano per tutto il tempo » le aveva agganciato il bracciale troppo grande attorno al polso ed aveva stretto la mano nella sua con dolcezza, prima di lasciarla andare nella sua nuova classe, in mezzo agli altri bambini spaesati.


    Si ritrovò a guardarla, mentre lei stessa si estraniava dal presente, trattenendo quella mano così piccola rispetto alla propria, proprio come aveva fatto sedici anni prima. Quei capelli così biondi, gli occhi azzurrissimi, il nasino all'insù.. erano tratti che aveva considerato comuni nel loro paese, ma che adesso riconduceva a sua sorella. Ecco il motivo di tutta quella familiarità provata nei suoi confronti, della dolcezza riservatale nonostante fosse una sconosciuta e, soprattutto, della visione avuta durante la nottata.
    « Oh, Dana.. » probabilmente l'aveva soltanto farfugliato, sapeva di avere un tono più soffice di una ventina di minuti prima, ma in quel momento rischiava un infarto fulminante. Le riservò un'occhiata dolce e sopraffatta dall'emozione, senza neanche preoccuparsi minimamente di star passando per pazzo agli occhi altrui, proteso com'era verso di lei, che ancora teneva stretta.
    Avrebbe voluto saltare il tavolino per raggiungerla, stringerla fra le proprie braccia e non lasciarla andare mai più, ma capiva di non poterla spaventare a quel mondo.
    Chiuse gli occhi, nascondendo per un attimo il viso dietro alla mano libera, strofinando la fronte alla ricerca del giusto modo di parlarle e sospirò piano, prima di tornare a guardarla.
    « Il mio vero nome è Levi Årud e quello – indicò il braccialettino con un cenno – te l'ho regalato io.. avevi soltanto sei anni, ma grazie alle lacrimucce sapevi sempre come conquistarti le mie eroiche gesta da fratellone» accennò un sorriso nostalgico, prima di complimentarsi con se stesso per il bel modo trovato per sganciare la bomba-parentela.

    Edited by woodlandfairy’ - 19/3/2018, 12:22
     
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    Una paura la assalì, un terrore folle, una rabbia, un panico, un qualcosa che la scuoteva dall'interno, facendo tremare le fondamenta del suo essere, della sua storia, della sua vita. Vedeva tutte le cose che sapeva di sè stessa ciondolare come un palazzo in preda ad un terremoto ondulatorio, dondolare lentamente, da un lato, poi dall'altro, finchè qualcosa alla base sprofondava sotto il peso e la scossa e - inevitabilmente - crollava, portando con sè tutto il resto. Sentiva l'onda d'urto investirla, il boato della terra, il vento caldo, la polvere ad attutire quella visione orrida e a toglierle il fiato, a lasciare tutto nell'indefinito di quel momento oltre il quale tutto sarebbe cambiato.
    Lo vide accadere un secondo prima che accadesse davvero, lo distinse chiaramente anche con la vista appannata dalle lacrime, ben definito nelle pupille sempre più larghe di Levi.
    Chi era Levi Kvist?
    Un peso immane ma caldo si era materializzato sulla bocca del suo stomaco, mentre la mano delicata tremava ancora su quella più grande, più forte, di quel ragazzo che aveva incontrato.
    Sentì le dita intrecciarsi ed il suo nome, l'altro nome, venir pronunciato.
    Stranamente, stavolta, non le evocava dolore.
    Chiuse gli occhi, liberando le lacrime dalla prigione delle sue ciglia, lasciandole fluire sulle sue guance, nella speranza che lavassero via un po' della polvere delle bugie che le avevano raccontato, quelle bugie a cui lei non aveva mai creduto fino in fondo.
    Suo fratello.
    Aveva un fratello?
    Perchè le avevano taciuto di avere un fratello? Perchè li avevano separati, se erano così legati? Quali mostri avevano potuto fare a due bambini una cosa del genere?
    Non riusciva a pensare, non riusciva a credere a niente di tutto quel che stava accadendo, sebbene sapeva che fosse tutto vero.
    Si sollevò, esitando, andando a sedersi di fronte a lui, sulla stessa sua panchina, portando le mani sul suo viso, tirandone i tratti, lisciandone la barba, sistemandogli i capelli nel modo potenzialmente più simile al bambino della sua visione, del suo ricordo.
    Non era riuscita a pronunciare più alcuna parola, non stava minimamente pensando a chi al momento potesse guardarli: così diversi, così antitetici, a studiarsi da sempre più vicino.
    Intravide la pagliuzza d'oro nell'iride destro, la stessa che c'era negli occhi di suo padre: con le mani coprì i capelli, più scuri, e la barba... sì, erano proprio gli occhi di suo padre. E la fossetta? Lasciò che la sua mano destra la scoprisse, andando a percorrerla con la punta dell'indice per accentuarla, nell'esatto punto in cui si formavano a sua zia.
    Deglutì, non essendo capace di dire altro, avendo una certezza in corpo, una soltanto, sul fatto che Levi Årud non le stesse mentendo, sul fatto che Levi Årud era suo fratello.
    Lasciò che una nuova generazione di lacrime sgorgasse dai suoi occhi limpidi, sollevando entrambe le gambe sulla panchina e facendo l'unica cosa che, a suo avviso, potesse avere senso: abbracciarlo.
    Un miliardo di domande affollavano la sua mente, per nessuna delle quali avrebbe davvero voluto affrontare la risposta, concedendosi il lusso di un silenzio affogato nel tepore che quella persona le infondeva nell'anima.
    Si fece piccola, infilandosi tra le sue braccia, affondando il viso nel bavero della sua felpa, scossa dai singhiozzi, che tentava di rendere il più silenziosi possibili.
    Come poteva confessargli che aveva solo quel ricordo di lui?
    Come poteva dirgli che tutto ciò che aveva, da quel momento in poi, era solo quel momento, quel braccialetto e quel lumicino nel cuore ora che gli era vicina?
     
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    Avrebbe dovuto cercare un modo più delicato per comunicarle quella notizia, ne era consapevole, ma l'agire con tatto non era annoverato tra le sue capacità, inoltre non sarebbe riuscito a continuare a far finta di niente, sapendo di avere Dana di fronte.
    Dana. Sua sorella lo guardava con occhi lacrimosi dall'altra parte del tavolino, era reale, in carne ed ossa, non si trattava più di un frutto della sua fantasia. Aveva immaginato quel momento talmente tante volte da aver perso il conto, ormai, ma nessuna delle illusioni vissute si avvicinava minimamente a ciò che stava provando in quel preciso istante.
    Il battito del cuore si era tramutato in un frenetico martellio, dandogli l'impressione che da un momento all'altro sarebbe balzato via dal petto e le mani gli sembravano sempre più accaldate, mentre la scarica dell'adrenalina andava scemando, lasciandogli soltanto un lieve sentore di stordimento.
    Una volta arrivato a casa avrebbe dovuto fare i conti con sua madre e quella sarebbe stata la prima di chissà quante altre telefonate litigiose; metterla alla gogna sarebbe stata la giusta punizione per averlo tenuto all'oscuro dei suoi incontri clandestini ed ingannevoli con la sorella, che in fin dei conti aveva preso in giro spacciandosi per una zia, certamente di comune accordo con il padre.
    Almeno Levi era conscio di non essere figlio unico, Dana invece non aveva neppure la benché minima idea della sua esistenza, quindi restava la vittima principale dei sotterfugi di due genitori troppi egoisti.
    Ma non voleva pensarci proprio adesso, si sarebbe chiuso nella propria bolla di risentimento più tardi, non appena si fosse trovato solo sulla barca; e allora, forse, qualche coccio lo avrebbe fatto, a dispetto delle buone intenzioni avute quel mattino.
    Seguì con lo sguardo la sorella e, per la prima volta, ebbe il timore che si fosse alzata per andarsene. Era conscio del fatto che non lo ricordasse, quando l'aveva vista per l'ultima volta era così piccola, mentre ora aveva davanti una donna a tutti gli effetti, inoltre una notizia del genere non sarebbe stata semplice da digerire, avrebbe fatto crollare ogni sua certezza.
    Si sentì più tranquillo soltanto quando si sedette al suo fianco e le permise di toccargli il viso, scostare i capelli e la barba a suo piacimento, indugiare sulla fossetta come se volesse scoprirlo sotto una nuova luce, vedendolo davvero per la prima volta.
    La accolse fra le braccia, cingendola delicatamente ma con fermezza e chiuse gli occhi, perdendosi in quell'abbraccio agognato per anni e finalmente a portata di mano.
    « Non piangere, va tutto bene.. andrà tutto bene » affondò il viso nei suoi capelli e, nonostante avesse dimenticato il suo profumo, aveva comunque la giusta nota di familiarità che lo fece sentire di nuovo a casa, trascinandolo a sedici anni prima, quando tutto sembrava ancora idilliaco agli occhi di un bambino.
    Tirò su con il naso, intenzionato a non farsi vedere debole proprio nel momento in cui avrebbe dovuto mostrarsi il più forte, per il bene di entrambi e le accarezzò la schiena per farla calmare, nonostante fosse il primo a tremare in quel momento, incurante del fatto che le loro tazze giacevano ancora intatte a raffreddarsi sul tavolino, mentre la scena doveva apparire surreale, agli occhi dei presenti.

    Edited by woodlandfairy’ - 19/3/2018, 12:22
     
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    Sentì le braccia di Levi stringerla, sentì il suo viso che affondava tra i capelli biondi e le sue labbra sussurrarle qualcosa all'orecchio.
    Sarebbe davvero andato tutto bene?
    Strinse tra i pugnetti la felpa gelida, si aggrappò a lui come se fosse una roccia o qualcosa che rischiava di scivolare via dalle sue mani ancora una volta, del tutto incapace di frenare le lacrime. Probabilmente le avrebbe versate tutte, finché non sarebbe rimasta arida come chi l'aveva cresciuta, come chi le aveva mentito.
    Levi era lì, in carne ed ossa, sentiva il proprio sangue ribollire anche nelle sue vene, aveva condiviso con lei, anche se non lo sapeva, le stesse disgrazie di genitori.
    Eppure, nella rabbia, nel dolore, una domanda si fece spazio nella sua testa, una domanda che forse avrebbe tirato su tutti i muri di cui era solita circondarsi.
    - Se sapevi della mia esistenza, perché non mi hai cercata?
    I singhiozzi si erano interrotti, mentre le lacrime ancora non accennavano a sparire. Si sollevò un poco per poterlo guardare, vedendolo davvero per quel che sembrava: la barba lunga, la felpa troppo leggera, gli occhi iniettati di sangue.. perché si lasciava andare a quel modo? Quali erano i fantasmi che si portava dietro? Probabilmente, uno lo aveva davanti proprio in quel momento.
    Si morse un labbro, sentendosi in colpa per quella stessa domanda, forse non aveva potuto farlo, forse non era stato abbastanza forte per farlo, forse la vita aveva riservato a suo fratello qualcosa di peggiore rispetto a ciò che aveva propinato a lei. In fondo, prima di quel momento, a parte la perdita della memoria e una vita senza una madre, non avrebbe potuto lamentarsi di ciò che aveva vissuto: i tour, la gente interessante, i viaggi nel mondo, zio Paul... Anche Tom, a modo suo, era qualcosa di cui essere grata, qualcosa che -se fosse rimasta a Besaid- avrebbe solo potuto immaginare, magari guardandolo dal poster in cameretta. Non avrebbe conosciuto il sapore delle sue labbra, o il modo strano che aveva di stiracchiarsi la mattina..
    Al tempo stesso però, sapeva che non avrebbe potuto non avere quella risposta, o non si sarebbe mai potuta fidare di Levi fino in fondo.
    Gli diede il tempo di pensare, di formulare una spiegazione che fosse minimamente soddisfacente, anche se alla fine dei conti il suo istinto aveva già deciso che non lo avrebbe abbandonato: incredibile come sentisse una sorta di responsabilità nei suoi confronti, un bisogno innato di prendersi cura di lui, ora che sembrava meno in grado di farlo. Una necessità di esserci, da quel momento in poi, per lui, come lui c'era stato per lei quando erano bambini.
    Era anche vero che nella sua visione aveva un aspetto molto migliore, era con qualcuno che evidentemente gli voleva bene, e di questo non poteva non essere felice.. ma guardandolo in quello stato, non potè non preoccuparsi per lui.
    - Dobbiamo andare a tagliare questa barba, devi essere più riconoscibile.
    Nel mentre, il suo cervello stava portando avanti la loro personale vendetta, architettando il modo migliore per affrontare i loro genitori.
    - Dobbiamo farci una foto, insieme. Per noi, e per loro.
    Non nascose il lampo di rabbia nei suoi occhi, era certa che anche lui li odiasse per quello che era successo.
    Non avrebbe potuto immaginarsi una cosa del genere, sebbene in cuor suo aveva sempre sentito odore di bruciato rispetto alle cose che le avevano detto. Sentiva il rancore montarle dentro: l'avevano costretta a sentirsi orfana, mentre sua madre era molto probabilmente sua zia e le avevano nascosto Levi, con cui c'era evidentemente un legame forte, che nemmeno sedici anni e l'amnesia avevano intaccato. Il tutto perchè? Tornò di nuovo a incrociare lo sguardo di suo fratello, chiedendosi se aveva mai avuto una spiegazione a questo. Certo, non poteva aspettarsi che al momento in cui li avevano divisi avesse potuto impedire loro di fare quella scelta, ma poi? Aveva mai chiesto spiegazioni? Aveva mai chiesto di lei? Le era mancata?
    Raspò il fondo di quegli occhi umidi, leggendoci un'ostinazione ad essere forte inutile: cercava di trattenere le proprie emozioni per lei, scatenandole un moto di gratitudine. É questo era prova di un vero affetto, per cui era impossibile che non avesse sentito la sua mancanza.
    - Levi.
    Gli carezzò dolcemente una guancia, ne vedeva la fragilità e voleva sapesse che - a dispetto dell'immagine che aveva dato di sè - era una tipa tosta e che gli sarebbe stata accanto sempre.
    - Non ci crederai, ma sono diventata grande. Ci proteggiamo insieme, adesso. Le lacrime smisero finalmente di scendere sul suo viso: l'ostinazione era qualcosa che li accomunava. Ancora avvinghiata a lui, prese la sua mano e la strinse ancora.
    - Sono qui e non ti lascerò, puoi lasciarti andare, se vuoi.

    Edited by NanoLove - 11/3/2018, 08:20
     
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    I got you and after all that we've been through, we've been through some things
    but it's okay, there's no way I'm leaving.


    Piangere per una situazione come quella in cui si trovavano era più che comprensibile, ma Levi si chiese comunque se per caso non avesse irrimediabilmente guastato anche sua sorella, portandola al proprio stesso livello di distruzione. Sembrava riuscire a trovare, senza neppure farlo apposta, il giusto punto di rottura di ogni dannatissima cosa; gli bastava avvicinarsi a qualcuno, o a qualcosa, per udirne il ‘crack’ definitivo.
    Ed era impossibile non aver fatto in mille pezzi anche Dana, dandole una notizia così delicata in modo del tutto inadatto; si era reso conto soltanto dopo, quando ormai era troppo tardi per rimangiarsi le parole, di averle cambiato la vita senza prima preoccuparsi di sapere ciò che lei avrebbe sentito o preferito.
    Eppure, per quanto la preoccupazione del ragazzo in quel preciso istante fosse concentrata sul benessere psicologico della sorella, riuscì ad insinuarglisi comunque in mente un pensiero puramente egoistico; ora che aveva avuto l'opportunità di vomitarle addosso quella rivelazione, senza premurarsi di abituarla prima all'idea girandovi attorno, si sentiva un po' più leggero. Era finalmente riuscito a dimezzare il peso che da sempre si era portato sulle spalle, nonostante avesse significato condividerlo a scapito dell'altra.
    Contro ad ogni previsione invece, Dana era ancora lì, stretta tra le sue braccia, a tenere la felpa ormai umida di lacrime tra i pugni serrati come se potesse sfuggirle da un momento all'altro. Che cosa assurda. Perché mai avrebbe dovuto allontanarsi proprio adesso che, a distanza di ( quasi ) venti lunghissimi anni, l'aveva ritrovata? Chi, sano di mente, sarebbe scappato di fronte ad una circostanza così miracolosa?
    Il suo viso arrossato e rigato dalle lacrime salate pareva ancora più bambinesco in quelle condizioni, mentre gli occhi cerulei, resi più profondi dalle lacrime, lo facevano sentire sempre più piccolo ed insignificante, per niente in linea con quell'assurdo pensiero di essersi finalmente liberato di uno dei tanti pesi scaturiti dalla propria esistenza.
    La sua domanda, poi, non fu del tutto inaspettata. Non poteva che essere una questione di tempo, prima che gli venisse formulata, perciò suppose che sarebbe stato meglio togliersi subito quel dente e risponderle nel modo più onesto possibile, così da non dover tornare in futuro su quel discorso o, ipotesi ancora peggiore, innescare un'ulteriore serie di dubbi e parole non dette. La loro famiglia era già fin troppo fonte di sfiducia e incertezze, perciò non avrebbe permesso al loro rapporto di prendere quelle medesime caratteristiche.
    « È complicato, ma proverò a spiegarmi. Mettiti nei panni di un ragazzino di dodici anni a cui, da un giorno all'altro, portano via la sua ragione di vita. Lui sapeva già da molto tempo prima che sarebbe accaduto, ma anche che non avrebbe potuto cambiare le cose. Cosa avresti fatto al suo posto? » con un sospiro, allentò la presa di un braccio sul suo corpo ed incastrò le dita sottili fra le ciocche brune per spingerle via dalla fronte, nel disperato tentativo di riportare un minimo d'ordine almeno ai capelli « Tuo padre voleva soltanto proteggerti, sebbene non giustifichi né tantomeno condivida il metodo usato per farlo. Ti ha portata via per darti una vita normale, che qui non avresti mai avuto e alla fine ho preferito pensare anch'io che fosse la soluzione migliore. A volte bisogna fare delle scelte pur sapendo che le conseguenze non ci piaceranno. So di essere uno sconosciuto e che quindi non puoi capirlo, ma avrei preferito sacrificare altre mille volte me stesso, piuttosto che te. »
    Fu in quel momento che si sentì in dovere di distogliere lo sguardo, per lasciarlo vagare sull'ambiente circostante senza in realtà preoccuparsene minimamente.
    Con il suo carattere refrattario al sentimentalismo, quella chiacchierata a cuore aperto l'aveva lasciato svuotato, infondendo in lui solo una sensazione di vulnerabilità che non gli piaceva affatto.
    Era la prima volta che si trovava ad affrontare ad alta voce il proprio passato; non aveva dovuto farlo con sua madre, né tantomeno con gli amici — soltanto Larsen, probabilmente, era a conoscenza del suo disagio interiore, per il semplice fatto di non poter bloccare i pensieri — ma per Dana? Questo ed altro, pur di non perderla di nuovo.
    Si rese conto che, nonostante gli anni passati lontani, per lei avrebbe continuato a fare qualsiasi cosa, qualunque fosse il prezzo da pagare; mentre da piccolo era disposto a sacrificare per lei l'ultima forchettata di una torta o il regalo compreso nella scatola dei cereali, adesso avrebbe volentieri messo da parte il proprio orgoglio e il proprio mutismo, per tenerla stretta a sé.
    Venne riportato alla realtà dalla sua voce e quell'uscita sulla barba diede il via ad una profonda risata d'imbarazzo.
    Arricciò il naso, sciogliendosi contro allo schienale della panca e si mordicchiò il labbro inferiore, indirizzandole un'occhiata divertita e al contempo affettuosa.
    « Perché voi donne avete dei problemi con la mia barba? Non è poi così male.. anche se ora inizio ad avere dei dubbi » inclinò il capo di lato, scuotendolo appena e rimuginò su quel tratto fisico che, effettivamente, riscuoteva giudizi positivi, così come anche delle critiche — vedi Anastasia e i suoi nomignoli.
    « Dobbiamo farci una foto, insieme. Per noi, e per loro. »
    Conosceva fin troppo bene il risentimento e la rabbia con cui si erano accesi i suoi occhi e la sua voce, perciò sperò che non iniziassero a diventare compagni fissi anche della sorella.
    Probabilmente si sentiva frustrata in quel momento, presa in giro e raggirata dai genitori ed aveva tutto il diritto di arrabbiarsi con loro, ma non avrebbe dovuto fare la sua stessa fine o non ne sarebbe mai più uscita.
    « Prometti solo che non te la prenderai con loro, non finché non avrai sbollito la rabbia.. si dicono tante cose stupide quando si è arrabbiati »
    Ed era ovvio che Levi non avrebbe mai seguito il proprio stesso consiglio, ma che male c'era a darle un consiglio fraterno, per indirizzarla verso il giusto?
    Appoggiò la guancia contro al palmo della sua mano, consapevole che la barba incolta e scura l'avrebbe pizzicata, perdendosi nel suo sguardo agguerrito, ma comunque tenero.
    « Non mi lascerò andare in un bar » le bisbigliò quel ‘segreto’ con un mezzo sorriso ad incurvargli le labbra, ugualmente grato del suo sostegno ed affondò la mano fra i suoi capelli biondi, arruffandoglieli con dolcezza « Cercherò di non vederti più come una bambina, giuro, dovrò solo farci l'abitudine. E ora.. mangi quella torta o no? » indicò la fetta ancora integra sul piattino con un cenno, cercando di non ridere per quella riscoperta cocciutaggine da fratellone.
     
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  13. ginger fox
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    Oh5ZGp9

    Oh simple thing where have you gone?
    I’m getting old and I need something to rely on
    So tell me when you’re gonna let me in
    I’m getting tired and I need somewhere to begin
    I came across a fallen tree
    I felt the branches of it looking at me
    Is this the place we used to love?
    Is this the place that I’ve been dreaming of?


    Aggrappata negli occhi nocciola di suo fratello, Dana Nora Gretel Årud prendeva lentamente coscienza del fatto che ogni certezza della sua vita era miseramente crollata, lasciandola inevitabilmente tra un mucchio di macerie. Una però, una soltanto, era ancora lì a salvarla, come sempre avrebbe fatto.
    Sentì gli archi iniziare a suonare, una voce delicata e forte ed eterea cantare, dentro la sua testa.

    All these accidents that happen follow the dot, coincidence makes sense only with you, you don't have to speak, I feel.
    Emotional landscapes, they puzzle me and confuse, then the riddle gets solved and you push me up to this State of emergency.


    Da che ricordasse, ogni istante della sua vita era stato accompagnato dalla musica e questa era l'unica cosa che sembrava fosse rimasta una costante per lei, l'unica su cui poter fare affidamento.
    Nella sua testa c'era sempre stata una canzone a sottofondo dei propri pensieri, addirittura i suoi sogni avevano una colonna sonora. Aveva sempre creduto che fosse il suo personalissimo modo di interpretare sé stessa e le proprie emozioni, di sottolinearle perchè potesse viverle al meglio o di placarle rispetto a ciò che avrebbe voluto essere.
    Certamente, questo suo aspetto derivava dal lavoro di suo padre, che l'aveva cresciuta in quell'ambiente, esposta più di ogni altro bambino alle melodie, ai reef, alla ricerca certosina della giusta sfumatura, a giorni interi di discussioni per una sola strofa: la musica era qualcosa di imprescindibile ed irrinunciabile per lei, l'unica cosa al mondo che davvero la rendesse libera, completa.
    Per questo, ne era certa, si era innamorata di Tom. Fra tanti musicisti ed appassionati di musica che conosceva, lui era l'unica persona a condividere questa necessità così totalizzante: sembrava quasi che solo sui tasti bianchi e neri riuscisse a mostrare il vero sé stesso e che solo cantando fosse in grado davvero di esprimere i suoi pensieri, i suoi sentimenti.
    E, sebbene Nora non amasse cantare né fosse in grado di comporre come lui, non poteva fare a meno di interpretare il mondo attraverso le canzoni, esattamente come lui.
    In quel momento infatti, quegli archi delicati la cullavano sulle parole di Levi, parole difficili da accettare, parole che la ferivano come mai era stata ferita: l'aveva definita la sua ragione di vita?
    Strinse ancora il pugnetto sulla felpa, per fargli capire che era ancora lì, saldamente attaccata a lui, e che non aveva nessuna intenzione di andar via.

    All that no-one sees, you see, what's inside of me.
    Every nerve that hurts, you heal, deep inside of me. You don't have to speak, I feel.


    Bloccata com'era nell'esternare alcunchè della giungla che le abitava dentro, sperò che quel pugnetto chiuso sulla stoffa potesse esprimere lo strazio e l'affetto che genuinamente provava per lui, come lei ne percepiva l'essenza nello sforzo che Levi non riusciva a nascondere nel pronunciare quelle parole. Probabilmente, la difficoltà di ammettere i propri sentimenti era parte del loro corredo genetico.
    Si staccò, solo per guardarlo negli occhi, occhi ancora umidi ed ammorbiditi da quella tenerezza che lui le infondeva, pronunciando con voce piccola delle parole, accarezzandogli i capelli per toglierglieli dal viso: - Avresti potuto cercarmi poi, da grande. Io ti avrei preso con me...
    Non era un'accusa, non era nemmeno una constatazione, era quel che avrebbe voluto, anche se, alla fine, si erano ricongiunti in un modo o nell'altro. - Ma siamo insieme, non importa più.
    Gli fece un sorriso, cercando di rincuorarlo: non voleva che si sentisse in colpa, non voleva che provasse altro che felicità dal loro essersi ritrovati.
    Cambiò dunque discorso, a sottolineare che quella era una questione chiusa, che l'avevano affrontata per la prima e ultima volta, perciò sarebbero dovuti andare avanti. E andare avanti significava dover affrontare i lori genitori. Gli disse della barba, che dovevano sistemarla, e lui sembrava essersi disteso, parlando del più o del meno, finchè non capì perchè volesse che diventasse più riconoscibile.
    Ebbe la sensazione che il consiglio che le stava proponendo non fosse seguito nemmeno da lui e lasciò che il blu dei suoi occhi si facesse fermo e deciso, mentre scuoteva ritmatamente la testolina.
    - Questa rabbia non passerà mai, come non è passata la tua, non è vero? L'hai chiamato mio padre, ma fisicamente gli somigli di più tu...
    Sentiva il rancore montarle dentro, fare a gara con la sua ansia per emergere, contrastare anche la gioia che provava nell'aver ritrovato il fratello che non sapeva di avere.
    Gli disse quindi che non era solo, che ora si sarebbero protetti l'un l'altra e si trovò a sorridere quando lui le confessò che non si sarebbe lasciato andare in un bar.
    - Suppongo tu abbia una reputazione da difendere eh? Rise, andando a prendere la fetta di torta e staccandone un pezzo, che portò inevitabilmente alla bocca di Levi.
    - La finisco solo se mi aiuti tu... mise un broncetto scemo, andando ad assaggiare il secondo pezzetto di torta. Era una torta della nonna come tutte le altre, non era la migliore nè la peggiore al mondo, ma di certo da quel momento in poi sarebbe stata la sua preferita.

    Edited by aNANOtherLove - 28/4/2018, 15:17
     
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