We come around here all the time.

ingrid x garrett

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    We're never done with killing time,
    can I kill it with you?
    'Till the veins run red and blue


    Ci aveva provato. Aveva tentato di riaddormentarsi quando aveva notato l'orario nell'orologio appeso alla parete, le cui lancette bianche segnavano le 8:30, tuttavia non era riuscita a riprendere sonno.
    Decise, quindi, di rimanere a crogiolarsi fra le lenzuola; il turno all'Everyday, Spring non sarebbe iniziato prima di mezzogiorno ( motivo per cui avrebbe continuato a dormire molto volentieri ) perciò perché non coccolarsi ancora per un po'? Affondò il viso nel cuscino, strofinando la guancia contro alla stoffa morbida della federa e lasciò che il profumo di pulito le avvolgesse i sensi, stiracchiandosi a lungo e beandosi del tepore delle coperte; nonostante avesse tirato le tende della vetrata, la luce proveniente dall'esterno filtrava fastidiosamente nella stanza, motivo per cui si vide costretta ad aprire gli occhi una volta per tutte. Avrebbe potuto assorbirla o attenuarla, certo, ma già soltanto ricordarsi il proprio nome di prima mattina rappresentava un dramma, perciò perché sprecare energie inutilmente?
    Cercò di sbuffare via un ciuffo ribelle dagli occhi dopo essersi rotolata sul fianco opposto e, andando a tentoni per non doversi sollevare, afferrò il cellulare dal comodino, tirandolo così da scollegarlo dal caricabatterie; si rannicchiò comodamente, ignorando il primo debole miagolio di Vincent proveniente dal salotto ed iniziò a scorrere a turno le varie applicazioni. Passarono all'incirca trenta secondi prima che il gatto saltasse sul letto, miagolando più insistentemente e le si acciambellò vicino alla nuca in cerca d'attenzioni — ovvero incastrando le zampe all'interno dei lunghi capelli sparsi sul cuscino.
    « Vincent.. sei un micio maledetto, un figlio di Satana e tua madre era una gatta disgraziata » tentò di divincolarsi dalla sua presa e di disincastrare le piccole unghie dalle ciocche, rimediando soltanto qualche graffio sul dorso della mano, quindi sbuffò sonoramente e socchiuse gli occhi per non perdere la calma, contando fino a cinque prima di voltarsi.
    « Vuoi la pappa? » inarcò un sopracciglio mentre studiava le iridi verdi del felino, il quale aveva iniziato a fare le fusa e, dopo un sospiro sonoro, si issò sui gomiti, sollevando il busto. Scese dal letto continuando a borbottare insulti rivolti ai gatti, nonostante Vincent non potesse capirla davvero e prima di varcare la porta della parete in vetro e ferro blu che divideva la camera dal resto dell'abitazione ( ovvero sala / cucina, trattandosi di un bilocale ), infilò un imbarazzante paio di pantofole comprate ad Oslo anni prima, di un acceso color rosa maialino ed estremamente soffici. Facevano schifo, ma erano comode, inoltre non le avrebbe mai viste anima viva, non considerando il postino.
    Con il gatto a trotterellarle fra i piedi, facendole rischiare la vita ad ogni passo, raggiunse la piccola cucina e, mantenendo lo sguardo sul cellulare, riversò una manciata di crocchette nella ciotola in plastica sul pavimento.
    Una volta aperto Whatsapp, scese sulla conversazione con Garrett — rinominato nella sua rubrica come 'G; casa' — e gli inviò un ‘Colazione, non rompere, al solito’, non essendo ancora abbastanza sveglia per messaggi più articolati e di senso compiuto. Senza attendere una sua risposta, abbandonò lo smartphone sul bancone che fungeva da divisorio tra i fornelli e la 'zona giorno' e tornò verso la propria stanza, in modo da iniziare a prepararsi. Garrett era stato colui che le aveva trovato quell'appartamento quando aveva deciso di trasferirsi a Besaid. Si erano visti svariate volte, in modo da visionare ogni opzione al meglio ed erano riusciti ad instaurare nel corso del tempo un rapporto di amicizia, grazie ai loro caratteri molto simili e alla poca differenza d'età. Il ‘solito’, invece, era un piccolo bar situato nel Vennelyst Park, scovato ovviamente a causa della vicinanza con l'abitazione che alla fine aveva scelto.
    Stando ai loro soliti orari, avrebbe avuto un'abbondante quarantina di minuti prima di doversi incontrare, perciò si sfilò la maglietta che aveva utilizzato come pigiama, la gettò sul letto e raccolse i capelli castani in uno chignon alto, così da non bagnarli durante la doccia.
    Una volta in bagno, abbandonò le pantofole e, di fronte allo specchio, prese ad esaminare il proprio corpo mentre attendeva che l'acqua si scaldasse; osservò con attenzione le cosce morbide, punzecchiandole ai lati con entrambi gli indici e fece lo stesso con i fianchi, prima di indirizzare verso il proprio riflesso una smorfia buffa, così da non concentrarsi troppo sulle critiche che quel giorno avrebbe mosso particolarmente volentieri a se stessa. Si sarebbe dovuta appuntare di comprare uno specchio più piccolo, così da concentrare l'attenzione soltanto sul viso e non trovarsi più a divagare su tutto il resto.
    Iniziò a preoccuparsi di cosa indossare soltanto quando si ritrovò di fronte all'armadio aperto, ancora avvolta nell'accappatoio e reduce da una doccia rigenerante, che l'aveva svegliata quasi del tutto – mancava ancora una tazza di caffè, per completare l'opera. Passò in rassegna tutti i vestiti appesi ordinatamente alle grucce in plastica, prendendo anche in considerazione il fatto che poi le sarebbe toccato il turno al negozio ed estrasse i capi che più le parvero adeguati, ovvero un paio di vecchi jeans a vita alta ed un maglione oversize a collo alto che l'avrebbe tenuta al caldo in caso la temperatura esterna fosse stata troppo bassa. Dopo essersi vestita di fretta, avendo passato più tempo del previsto sotto al getto d'acqua bollente, sciolse i capelli, lasciandoli ricadere morbidamente sulla schiena e saltellò in un paio di stivaletti neri con il tacco, cercando di infilarli senza perdere l'equilibrio o finire rovinosamente sul pavimento.
    Si protese verso lo specchio ‘da toeletta’ posto sulla scrivania, in modo da riuscire ad allungare le ciglia con un po' di mascara senza accecarsi – unico trucco che avrebbe utilizzato quel giorno – e una volta indossato un piccolo anellino dorato al medio della mancina, sul quale era posizionato un minuscolo brillantino triangolare, si apprestò ad uscire dalla stanza, ticchettando coi tacchi sul parquet. Si accovacciò per accarezzare il micio rosso sul capo, grattandogli l'orecchio tagliato e una volta borbottatogli un saluto, prese cellulare e borsa, infilò il cappotto e si apprestò ad uscire, mentre abbottonava distrattamente l'indumento.
    Si strinse nel cappotto non appena raggiunse l'esterno dell'edificio, ringraziando il fatto che non nevicasse nonostante l'aria fosse ghiacciata e si affrettò ad attraversare la strada così da raggiungere il parco di fronte a sé, accelerando il passo per non rischiare di venire investita o di fare tardi all'incontro.
    Una volta preso uno dei vialetti secondari in ghiaia, si accinse a raggiungere il bar e cercò con lo sguardo Garrett, rimanendo nei pressi dell'ingresso in modo da attenderlo fuori.

    Edited by woodlandfairy’ - 5/3/2018, 01:10
     
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    "Will you still love me
    When I'm no longer young and beautiful?
    Will you still love me
    When I've got nothing but my aching soul?
    I know you will
    I know you will
    I know that you will
    Will you still love me
    When I'm no longer beautiful?"


    Si era svegliato da poco, la luce del giorno flitrava dalla finestra forte e accecante, guardò l'orologio posto accanto al letto, proprio sul comodino bianco e lucido che aveva comprato quando si era trasferito in quel'appartamento. L'orologio segnava solo le 8 del mattino, di solito lui si svegliava verso le dieci, doveva essere in ufficio sempre per l'ora di pranzo. Ormai aveva preso il vizio, e proprio come quel giorno, ogni volta che aveva il giorno libero, si ritrovava a svegliarsi presto, cosa che odiava letteralmente. Non aveva voglia di alzarsi dal letto ma sapeva che prima o poi l'avrebbe dovuto fare, di prendere sonno proprio non se ne parlava.
    Si alzò dal letto barcollando, aveva poggiato i piedi per terra e, nonostante i calzini che portava al piede, sentì la fredda temperatura del parquet in noce americano. La prima cosa che faceva appena sveglio era andare in bagno, aveva bisogno di rinfrescarsi e soprattutto di svuotarsi, ma certi particolari meglio non dettagliarli. Andò dritto in cucina, in realtà era una sorta di open space, cucina e salotto insieme, aveva scelto personalmente il suo appartamento tra quelli che lui stesso affittava, in fin dei conti era anche l'unico che poteva permettersi, ma era un appartamento piuttosto spazioso, forse anche troppo per una sola persona. Si avvicinò alla macchina del caffè e la mise in accensione, era raro che facesse colazione con qualcosa di diverso dal caffè non ne faceva un vizio, ma adorava il caffè forse più della sua stessa vita, gli dava abbastanza energia per iniziare al meglio la giornata, senza si sarebbe sentito piuttosto giù fisicamente. Ciò che adorava fare dopo il caffè era fumarsi una sigaretta, fumava troppo secondo la sua famiglia, gli amici di solito non ci facevano molto caso, quasi non gliene importava nulla, ma non c'era un momento in cui la madre non gli ricordasse che il fumo faceva male e che si stava rovinando i polmoni. Sapeva bene a quali conseguenze portavano le sigarette, eppure, nonostante ci avesse provato più e più volte, non era mai riuscito a smettere, era un vizio che non riusciva a togliersi, gli toglievano lo stress da dosso, lo rilassavano, lo facevano stare bene, quindi in teoria a lui facevano più che bene. Si avvicinò alla finestra, non fumava mai lontano dalla finestra, il fumo avrebbe fatto impuzzolentire i muri, così come i mobili, quindi fumava sempre in un posto della casa che fosse piuttosto arieggiato. Prese una sigaretta dal pacchetto e l'accese, inizio ad aspirare ed espirare il fumo che gli entrava nei polmoni, nuvolette grigie/bianche uscivano dalla sua bocca formando dei movimenti sinuosi nell'aria. Il telefono si trovava a pochi centimetri da lui, di solito non gli scriveva nessuno di prima mattina e non si sarebbe certo aspettato un messaggio da Ingrid ‘Colazione, non rompere, al solito’, sapeva benissimo cosa intendeva l'amica, erano anni che si conoscevano ed erano anche anni che si conoscevano, così come erano che, quando capitava, andavano a fare colazione o a prendere un semplice caffè sempre nello stesso bar. 'Ok! Arrivo!' probabilmente entrambi erano ancora troppo assonnati per inviare dei messaggi di senso compiuto, ma Gart era sicuro che, proprio come lui aveva capito lei, anche lei avesse capito lui.
    Non si può dire che corse, ma con passo molto affrettato si diresse verso il bagno, fece partire la doccia, solo dopo essersi accertato che la temperature dell'acqua fosse giusta si mise sotto al getto che scendeva giù forte, velocemente e caldo, uscì dalla doccia che il bagno era pieno di vapore, il vetro dello specchio appannato, l'aria afosa e la sua faccia era rossa, ma era stata una doccia rigenerante, si era svegliato del tutto, ne aveva proprio bisogno. Non ci mise molto a preparasi, teneva sempre i panni ben ordinati nella sua cabina armadio, aveva gli abiti divisi per colore e per genere, abiti invernali e quelli estivi. Non aveva il lavoro dopo la colazione, quindi decise di vestirsi in modo casual, andò vicino alla finestra in accappatoio, fuori era bel tempo anche se probabilmente faceva molto freddo, ma non voleva aprire la finestra e sentire l'aria gelida prima di essersi vestito. Tornò nella cabina armadio dove prese una maglietta a maniche lunghe di cotone bianca, un paio di jeans strappati sul ginocchio, per le scarpe scelse degli stivaletti di camoscio beige da abbinare al cappotto lungo che aveva preso per coprirsi dal freddo, a vedersi non sembrava, ma quel cappotto era così pesante da tenere calde anche due persone. La scelta dell'outfit finì quando decise di mettersi anche una sciarpa di lana nera, in modo da coprirsi il collo dal freddo. Aveva appena passato un periodo tra fazzoletti, mal di testa, mal di gola e vari antibiotici, un periodo che di certo non desiderava ripetere. Scese finalmente dall'appartamento e si diresse verso la sua auto, non era un auto costosa, un umile auto nera opaca che, pur non facendo parte di quelle possedute dalle star, faceva la sua gran figura quando passava per la strada di Besaid. Da casa sua all'appartamento non ci voleva molto, saranno stati si o no 10 minuti a piedi, ma con il gelo che c'era nell'aria era meglio farsela in auto, ci avrebbe messo all'incirca meno della metà del tempo che ci avrebbe messo a piedi, e questa era una cosa positiva.

    Era appena arrivato al bar, non aveva trovato parcheggio proprio davanti ad esso, perciò aveva parcheggiato un po' più giù. Mentre camminava si guardava intorno alla ricerca di Ingrid, ma appena arrivò davanti la porta del bar, la vide lì che lo stava aspettando, non c'era bisogno di urlare data la poca distanza ma appena la vide, per farsi notare fece un segno con la mano salutandola e indicandosi -Ingrid eccomi!-
     
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1 replies since 4/3/2018, 13:46   127 views
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