Quest: Tempo al tempo

10.03.18

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    *Dlin dlon*
    Si avvisa la gentile clientela che Giuls non riuscirà a postare con Ingrid, come ci ha comunicato poco fa,
    pertanto proseguiremo con il turno di Adam.
    *fa crollare la campana*
    :malefico: :move:

     
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    Adam... Va tutto bene. Ora sono qui... Ti prego, stringimi. Adam l'aveva sentita, quella preghiera silenziosa di Engel, che era stretta al suo petto nonostante le ferite che le costellavano la pelle in spaventose tracce rosse. Eppure, anche se lui continuava a ripetersi di dover muoversi, di fare qualcosa e farle capire di essere al sicuro, non riusciva. Non era lui, la persona che l'avrebbe fatta sentire protetta, a giudicare da quel che aveva appena visto e fatto, lo shock era stato troppo grande. Il ragazzo sapeva che l'allucinazione terrificante che aveva appena vissuto era una materializzazione mentale della sua più grande paura, e non di qualcosa che sarebbe dovuta necessariamente succedere. Eppure quegli occhi, quel corpo senza vita... Erano troppo reali. Le persone che erano attorno a lui, compresa la donna che amava, erano ferite per colpa sua e di nessun altro. La morsa che avvolgeva il cuore del giovane non accennava a smettere di soffocarlo, e di impedirgli di rassicurare Engy. E poi, ecco quelle altre iridi, prima che la luce si spegnesse. Ivar. Lui sapeva, aveva capito, l'aveva vissuto; aveva conosciuto la sensazione che attanagliava anche il guardiacaccia. Entrambi vivevano con delle bestie da domare dentro di loro; erano molto diverse, si manifestavano in maniere terrificanti e inarrestabili, eppure di quello si trattava. Certo, il boscaiolo aveva anche provato grazie alla compagna che c'erano modi di intendere i suoi poteri che fossero benefici, pacifici; quello che era appena successo, tuttavia, non era che nocivo e letale. Il sangue sulla schiena della rossa ne era la prova, il braccio di Fae lo era per Ivar. Il guardaboschi osservò le iridi del suo migliore amico per qualche secondo, prima di scuotere leggermente il capo. Avvertiva qualcosa, o meglio, qualcuno. [- Ivar, sto venendo da te. Sto per toccarti. Sto per toccarti e so che non mi farai del male, perchè non vuoi. Perchè anche se ti faccio fare dei nani assurdi, tu mi vuoi bene. E tu non fai del male alle persone a cui vuoi bene. Tu sei una bella persona, Ivar. Tu non sei il tuo potere.] Elias. Era lui, a voler comunicare e calmare il falegname, cercando di fargli recedere l'ondata di morte che l'aveva avvolto, e ad al tempo stesso di fargli capire che non era stato lui il problema, aveva solo reagito di getto, vittima della crudeltà di quella bambina malefica. Larsen appoggiò la fronte contro quella di Ivar, e Adam si soffermò ad osservarli. Erano tutti vivi. [- Mi senti, Ivar? Sono ancora qui, sono ancora vivo, ti sto toccando e sono ancora vivo. Perchè tu non puoi farmi del male, perchè tu non vuoi. Perchè tu sei forte, sei più forte della morte che ti abita dentro.] Piano piano, i lineamenti del falegname si distesero almeno un po', più calmo e consapevole di avere ancora le persone che amava al sicuro, o quantomeno, ancora vive e vegete. Prima di uscire da quella lugubre stanza, che più che un salone da ballo era stata il palcoscenico sul quale si era svolta una tragedia, la voce di Ivar si scontrò contro l'udito del guardiacaccia in un flebile sussurro. “Scusami”. Fu allora, che le iridi scure del ragazzo furono quasi inchiodate da quelle del suo migliore amico. Lui scosse il capo, lentamente. Non mi hai fatto niente.. Rispose genuinamente il boscaiolo; purtroppo non erano tutte le parole che avrebbe voluto articolare, non riusciva ad esprimersi efficacemente con nessuno in quel momento, ma ci teneva a far capire ad Ivar che sapeva come si stesse sentendo, e che sarebbe stato al suo fianco, se qualcosa in quell'incubo gli avrebbe fatto tornare in mente l'idea di essere un mostro. Probabilmente, chissà, lo erano entrambi, in qualche modo. Questo però non faceva di loro persone meno degne di essere amate.
    Una volta fuori da quella orribile sala da ballo, tutti sporchi di fuliggine e sangue, Adam si soffermò su Jason, sfogando su di lui un mero briciolo della tempesta che lo stava scuotendo. La fronte di Engel gli si appoggiò contro la schiena, ed il ragazzo sollevò appena il capo, e la compagna distolse l’attenzione di lui dalla rabbia che gli imponeva di lottare per le persone che amava, contro quel biondino malvagio. Lentamente, un braccio della donna scivolò attorno ai fianchi di lui, stringendolo quanto bastava per strapparlo alla collera e assopire gli istinti. Il petto del giovane si muoveva ritmicamente in respiri lunghi e profondi, mentre avvertiva la sua inquietudine ritirarsi molto lentamente nei meandri del suo animo. Adam... La voce di Engel, anche in quella situazione di intenso stress, si rivelava sempre il filo tra la realtà e gli impulsi pericolosi che il guardiacaccia avvertiva nel sentirsi minacciato e nel vedere a rischio le persone a cui teneva. Molto piano, lui appoggiò una mano sull'avambraccio della compagna, abbassando lo sguardo. Non si era minimamente pentito di quel che aveva fatto, però aveva capito che non avrebbe dovuto superare il limite, e per quanto difficile, si sarebbe dovuto sforzare di non farlo. Non sfidarlo. Penso che il nostro amico abbia capito. Con un leggero suono che gli fece vibrare il petto, il giovane restò immobile per qualche istante, e solo dopo annuì leggermente, voltandosi verso l'amata. In men che non si dica, la mano di Engy si ritrovò in quella molto più ampia di lui, che la reggeva con facilità, pronti ad affrontare la prossima prova, per quanto possibile.
    L'incontro con Han provò ulteriormente la psiche ed il fragilissimo equilibrio emotivo di Adam, che ne era uscito ancora più distrutto. Non si ricordava di suo padre, eppure rivederlo aveva risvegliato una serie di sentimenti assopiti da tempo, e affrontare le ferite del passato non era esattamente quel che il ragazzo aveva le forze di fare in quegli istanti. Dunque, quella specie di sogno lo frantumò ancora di più, mentre cercava di dare un senso a ciò che stava accadendo ed anche di elaborare l'ondata di tristezza che lo aveva avvolto in quel dialogo doloroso. Tuttavia, le peripezie non terminarono, poichè si trovarono tutti all'ingresso di un labirinto, ed ogni persona – chi più chi meno – era rimasta sconvolta dagli incontri appena terminati nel nido. Per qualche attimo, la curiosità si impadronì del giovane che posò gli occhi sulla sua compagna. Cosa aveva visto lei? Chi aveva incontrato, in quel caldo giaciglio confortevole e falso? Le labbra di lei si schiusero, e gli corse incontro. Lui fece qualche passo avanti, intenzionato a non farla sforzare più del necessario date le sue ferite, e le braccia della donna gli si avvolsero attorno al collo, e gli occhi del guardiacaccia si posarono su di esso. Ti farai m- male. Avrebbe finito la frase, ma l'impronta calda delle labbra della rossa si infranse contro quelle di lui, che restò immobile qualche secondo, prima di spingere molto leggermente il volto verso quello di lei e ricambiare il gesto. La tensione si assopì in quei pochi secondi, era come se almeno un minimo i due si fossero ritrovati. Il tocco del naso di Engel contro quello del boscaiolo era lieve, e le parole della barista gli risuonarono in mente per parecchio tempo. Ti amo. Tu non sei un mostro. Ok? Per qualche secondo, il guardaboschi distolse lo sguardo da quello dell'amata, ancora incapace di credere di non poterle fare del male. Ti amo anch'io. Le rispose, riportando le iridi verso le sue. Davvero, davvero lui non provava altro per Engel se non un amore sconfinato e difficile da gestire da quanto era potente. Tuttavia, la paura lo stava bloccando nuovamente, e lui stava lottando con tutte le forze affinchè ciò non avvenisse. Cos'hai visto... Lì dentro. Le domandò quasi contro le labbra, cercando una risposta negli occhi ambrati di lei, che erano ancora bagnati dal pianto. Tu sei il mio inizio. Il pensiero che investì la mente di lui era quasi impossibile da decifrare, e forse riguardava ciò che la rossa aveva visto nel nido. Di cosa si trattava?
    «Se qualcuno ha un’idea brillante questo è il momento di farsi avanti.» La voce di Tori risuonò forte e chiara alle orecchie di tutti, e forse Adam avrebbe dovuto aspettare, prima di avere chiarimenti sulla situazione di Engel. Forse era davvero meglio non soffermarsi sul trauma di ciò che era appena successo, e cercare di uscire da quell'incubo il prima possibile. “Cerchiamo di non separarci”. Per quanto potesse sembrare un'ovvietà, Ivar aveva ragione. Separarsi sarebbe stata la loro morte, forse. Anche superficialmente, un gruppo sarebbe stato molto più difficile da sconfiggere di singoli individui, per quanto potenti le loro particolarità fossero. Per questo, Adam intrecciò con lentezza le dita con quelle di Engel e si guardò intorno. Tutti erano stati colpiti e feriti in qualche modo, e nonostante fossero tutti in piedi, era evidente che tutti loro fossero malridotti. Tori era costellata da piccoli tagli e lividi, Ivar era sporco di sangue per una lacerazione, Fae aveva gravi problemi col suo braccio, Engel aveva ancora del vetro conficcato nella carne, Jason... beh, aveva il naso rotto e un possibile trauma cranico in corso, Ingrid zoppicava, retta da Elias, che era rimasto anche lui ferito. Man mano, il guardiacaccia potè individuare il sentimento che legava il rosso alla ragazza che teneva vicina a sè, ora più lampante ai suoi occhi. Parallelamente, pensò a se stesso ed Engel. Come sarebbero usciti da quella situazione? Come avrebbero vissuto dopo, se fossero riusciti anche solo ad uscire da quell'orrendità?
    Poco dopo, il gruppo entrò nel labirinto, e Adam non era mai stato così all'erta. Ora che aveva capito quanto pericoloso fosse quel posto onirico, non poteva fare a meno di avere i sensi tremendamente sulla difensiva. Cos'altro sarebbe accaduto? La priorità nell'eventualità di un'altra minaccia era Engel, che era già abbondantemente ferita e scossa. Non sarebbe dovuto succederle più niente, e il ragazzo si sarebbe impegnato affinchè lei fosse stata al sicuro - per quanto possibile – per quanto lui non si sentisse adatto. Poi, proprio per via della sua estrema attenzione, il giovane recepì immediatamente uno sguardo su di sè. Voltandosi appena, trovò ad aspettarlo apprensive le iridi della donna mora che faceva parte del loro gruppo che gli pareva così spaventosamente familiare. Tori. «Potremmo avere bisogno delle abilità di tutti. Cerchiamo di stare all’erta e l’ultimo si guardi alle spalle.» Lui lo sapeva, ne era certo, doveva parlare con lei e capire se fosse o meno una dimenticata. Chi era stata quella ragazza, per lui? Perchè notava dei tratti comuni anche fisici con lui? Faceva parte della sua famiglia? Magari, se fossero usciti vivi da tutto ciò avrebbero potuto davvero fare una chiacchierata a riguardo. Sarebbe stato un minimo passo del boscaiolo verso un passato che non aveva mai avuto voglia di affrontare.
    Proseguendo, quel groviglio di fogliame che pareva finto da quanto surreale fosse l'atmosfera che avvolgeva il luogo, sembrava non avere fine. Ad un certo punto però, il cielo si fece nero, lasciando che le ombre penetrassero di nuovo lo spazio, preannunciando qualcosa di terribile. L'albero che si era esposto alla vista del gruppo fece gelare il sangue nelle vene di Adam. Era spoglio, rinsecchito, come se nessuno se ne fosse mai preso cura. Molto legato alla natura, il ragazzo aggrottò le sopracciglia, avvertendo il germe dell'ansia infettarlo piano piano, nell'osservare quella violenta noncuranza a discapito di quel povero vegetale. Come da manuale, il tronco brullo si mosse, lasciando che i rami spogli si distaccassero da esso come se un corpo umano stesse rigettando degli organi non sani; ecco che apparve uno spaventapasseri inquietante, vestito di tutto punto. Istintivamente, il guardiacaccia fece un passo indietro dopo aver preso un respiro, avvicinando piano Engel a sè, trovando decisamente spaventoso quell'essere innaturale. Raramente il boscaiolo era colto dal timore per le situazioni pericolose, anche quando era poliziotto aveva sempre espresso al meglio questo suo lato di sè. Eppure, qualcosa in quella creatura inanimata lo turbava profondamente. Non appena il Bubak schiuse quella specie di labbra ossute, qualcosa cambiò in tutti loro. Adam non credeva che avrebbe nuovamente provato il dolore lancinante che aveva vissuto solo poche ore prima nella sala da ballo, come se qualcuno gli stesse davvero strappando il cuore dal petto. Eppure, era proprio così che si sentiva, mentre tirò la compagna contro di sè nel tentativo di attutire quelle terribili onde sonore, che più che far male alle orecchie facevano dolere l'anima. Il ragazzo sbattè un paio di volte le palpebre, incapace di sentire altro se non una enorme quantità di sofferenza, cercando di liberare la visuale dalle lacrime che ancora una volta gli si stavano ammassando fastidiosamente negli occhi. I ricordi dell'incubo scatenato da Jason si riversarono ancora nella mente del giovane, che colto dal panico iniziò a far fatica a respirare. Tu non sei un mostro. Ok? La voce di Engel echeggiò tra i pensieri del guardiacaccia, che cercava di guardarla per capire se stesse bene in tutto quell'assordante dolore. Appena il lamento dello spaventapasseri divenne più acuto e pericoloso, lui avvolse la testa della donna con un braccio, posandole una mano sull'orecchio mentre l'altro era contro il petto di lui. “Ti prego smettila” Il grido di Ivar richiamò l'attenzione del boscaiolo, che si ritrovò a raddrizzarsi leggermente dalla posizione lievemente china in cui era stato costretto a stare - un po' per istinto di protezione nei confronti della rossa, ed un po' per il tormento che avvertiva. Fu allora che la donna bruna che gli pareva qualcuno di famiglia si avvicinò molto coraggiosamente alla creatura. «Non piangere…» Quella voce era calmante, un sussurro appena udibile. Dopo un breve cenno di intesa, che il guardaboschi non riuscì a cogliere, anche il ragazzo dai capelli rossicci aiutò la misteriosa mora, nell'intento di calmare il Bubak. Nel frattempo, il panico che Adam stava provando si faceva sempre più intenso, assieme alla tristezza che fluiva direttamente dalla creatura a lui. Scuotendo appena il capo, due pesanti lacrime gli caddero dagli occhi e finalmente permisero al ragazzo di vedere ciò che aveva di fronte chiaramente, seppur per un lasso di tempo limitato prima che se ne formassero di nuove. Il petto gli si muoveva poco più velocemente, mentre lui cercava di gestire l'attacco d'ansia come meglio poteva. «Calmati.» Tori continuava ad avanzare verso il Bubak, e le sue parole erano pronunciate con tale concentrazione da arrivare per una minima parte anche agli altri. «Calmati. Se non ti calmerai non smetterai mai di soffrire.» Proprio in quei momenti, i poteri telepatici di Adam si fecero più vividi per via della paura, e poteva sentire i pensieri delle persone attorno a lui affollargli la mente. [- Accetta il dolore, fallo tuo, e passerà. Noi ti capiamo, anche noi soffriamo con te.] Elias. I suoi tentativi di calmare la creatura supportavano efficacemente quelli della bruna, che man mano si avvicinava pericolosamente allo spaventapasseri scheletrico, per poi accarezzargli il braccio. «Va tutto bene. Va tutto bene. Soffrire è normale, fa parte della vita. Anche noi abbiamo sofferto.» Eccome. Ognuno di loro, in quelle poche ore, aveva probabilmente sofferto tanto o forse più di quanto non avessero fatto in tutta la loro vita. Chiunque fosse stato l'artefice di quell'orrido incubo doveva essere qualcuno di sadico e crudele. «Non combatterlo, accettalo. Se lo accetterai starai meglio.» [- Accettalo, ascoltalo e lascialo andare. Noi siamo qui con te. Noi lo accettiamo, ed accettiamo te.] I due persuasori continuavano nel loro lavoro per calmare il Bubak, e Adam, invece, non riusciva a liberarsi dal dolore che lo stava soffocando; stava affogando in quella sofferenza, e per quanto lottasse nel tenerla lontana, non riusciva a dibattersi più di tanto, come se un losco incantesimo lo tenesse prigioniero in una coltre di tormento e di ansia, accorciandogli il respiro e creando lacrime nei suoi occhi. «Così, bravo. Ti sei sfogato, ora rilassati. Lascia che il dolore svanisca, ritrova la calma. Va tutto bene. Ci siamo noi con te.» Tori si sporse ancora di più, fino ad abbracciare la creatura, che rendeva man mano più sopportabile il suo pianto. [- Non sei solo.] Il guardiacaccia, ancora leggermente raggomitolato attorno ad Engel, sospirò pesantemente nell'avvertire un densissimo silenzio. Il Bubak aveva smesso di lamentarsi, e il dilaniante dolore a cui tutti loro erano stati soggetti si era affievolito, lasciando un bruciore residuo nell'anima del ragazzo. Sollevando lo sguardo, il giovane si rese conto che sia Tori che Elias erano sul punto di svenire, e per fortuna Fae ed Ivar accorsero prontamente per reggere i due, ormai troppo deboli perfino per reggersi in piedi. Rimettendosi dritto, il boscaiolo osservò i due compagni di sventura con occhi preoccupati. Era stato grazie a loro che avevano scampato questo ulteriore pericolo, e il guardaboschi si ripromise che avrebbe vegliato anche su di loro. Ce l'avrebbero fatta tutti? Dovevano. Per forza.
    Superato il varco tra le fronde, Adam aggrottò appena le sopracciglia, passandosi una mano sul volto. Era tutto inspiegabile – quello spiazzo in quel labirinto lo era. Ancor più strana era quella festa, che sembrava essere nel pieno del suo svolgimento. Guardandosi intorno, il ragazzo notò un'abbondante quantità di invitati, tutte persone dall'abbigliamento sfarzoso e dalla bellezza radiosa. Nonostante un terribile sospetto si insinuò nell'anima del guardiacaccia, non potè fare a meno di osservare gli avventori, affascinato da quanto fossero eleganti e regali, ed una serenità improvvisa si fece largo nel boscaiolo. Voltandosi leggermente, tra delle colonne in marmo scorse la più bella degli invitati. Era una donna che emanava quasi luce, sembrava eterea. Con calma, questa figura si avvicinò a Jason. La testa di Adam scattò verso il resto degli ospiti, non appena udì un lamento spaventoso. C'era sempre qualcosa sotto, ormai era inevitabile. Lo sguardo del ragazzo si puntò immediatamente su Engel, cercando di capire come portarla al sicuro. La situazione era terrificante, le persone dapprima meravigliose e raggianti si stavano contorcendo, emettendo suoni laceranti. Man mano, i volti si deformarono e il guardiacaccia si immobilizzò, osservando incredulo lo spettacolo macabro che si stava realizzando sotto i suoi occhi: creature con teste di teschio di cavallo si iniziarono ad avvicinare da ogni parte. Stai vicina a me. Mormorò lui rivolgendosi alla compagna. Se fosse stato necessario, avrebbe fracassato quelle teste a mani nude pur di non vedere persone a cui teneva ferite. Gli altri compagni di sventura condividevano l'ansia del boscaiolo, sorpresi da quella lugubre piega degli eventi. Voltandosi, il ragazzo scorse Fae e Tori insieme, che cercavano di proteggersi da quei mostri. La bruna era terrorizzata, così la donna dai capelli arcobaleno che sembrava aver appena scorto uno dei suoi peggiori incubi prendere vita. Fu allora che, tenendo la mano di Engy, Adam si mise davanti alle due ragazze, mentre teneva a sè l'amata. Non ti preoccupare, Fae. Affermò lui voltandosi leggermente, più convinto di quanto in cuor suo fosse, mentre puntava gli occhi in quelli di Fae per qualche secondo, cercando di infonderle più sicurezza possibile. Se lui aveva temuto il Bubak, forse la migliore amica della sua compagna era più spaventata dalla Cegua. Il giovane sarebbe stato lì anche per lei. Di colpo, Jason inziò a contorcersi, a dimenarsi e perdere il controllo. Il boscaiolo aggrottò le sopracciglia, portando la mano del braccio che non era avvolto attorno ad Engel sul fianco di Fae, per spingere con calma lei - e conseguentemente anche Tori - di più dietro di sè. In una paurosa reazione a catena, il biondino sfiorò la donna spettrale, che a sua volta iniziò a emettere dei versi terrificanti di tormento e dolore, come se qualcosa la stesse ferendo brutalmente dall'interno. Socchiudendo per qualche istante gli occhi, Adam si abituò velocemente a quei disgustosi suoni - troppo velocemente. State dietro di- Non riuscì a finire la frase, e mentre la risata di Tori iniziò a echeggiare alle sue spalle, il guardiacaccia perse la concentrazione, osservando la sua compagna. Restò in silenzio, qualche attimo, immobile per dei lunghi istanti. No.. Non di nuovo.. Li sentiva, chiaramente. I poteri di Adam iniziarono a crescere, e per questo si impaurì moltissimo, terrorizzato di poter distruggere tutto solo con un colpo lieve della mano. Le iridi spaventate del ragazzo si fissarono in quelle ambrate della compagna, mentre lui scuoteva appena il capo, perso. Non voleva rivivere tutto ancora una volta. Eppure, le sensazioni che lo investirono come un fiume in piena erano tutt'altro che distruttive. Era come se nonostante tutto quel pericolo, il guardiacaccia stesse avvertendo una insana voglia di perdersi con Engel, in Engel. Le pupille gli si dilatarono e le labbra gli si schiusero, e divenne sempre più difficile imbrigliare il desiderio che lo aveva avvolto. Non gli importava più niente di niente. I rumori macabri sembravano lontani anni luce, le grida, le risate, la pazzia dei suoi compagni perse completamente di significato, e senza nemmeno accorgersene, senza curarsi delle ferite sui corpi di entrambi, fece scivolare un braccio stretto attorno ai fianchi della compagna, tuffando l'altra mano tra le onde rosse dei suoi capelli. Mentre compiva quel movimento, le labbra di lui si scontrarono decise contro quelle dell'amata, fermandola in un bacio poco gentile, esigente e affamato. Con un leggero suono grave per lo sforzo, Adam rise appena contro le labbra di Engy, mentre la afferrava dal retro delle cosce, per prenderla in braccio e sollevarla in modo che le gambe di lei gli avvolgessero la vita - non aveva importanza il fatto che lei avesse numerosi tagli sulla schiena e che il peso della ragazza avrebbe gravato sulla ferita di lui; non gli importava del sangue sulle mani, del dolore, anzi. Era stranamente piacevole. Avere quelo stupendo corpo di donna contro il suo lo era. Le sue braccia scivolarono prontamente sotto il fondoschiena di lei, reggendola saldamente, prima di riprendere a baciarla con una frenesia calda ed impaziente. Le labbra del guardiacaccia si spostarono lungo la mascella e il collo della compagna, passando su quella pelle martoriata avidamente, e quando uno degli invitati si avvicinò emettendo dei versi spaventosi, il ragazzo sollevò lo sguardo, molto contrariato di essere stato interrotto. Allungando velocemente un braccio, spostò telepaticamente l'invitato di lato, così violentemente da fracassargli la testa scheletrica. Camminando in avanti, ed aiutato - per ironia della sorte - dalla furia omicida di Ivar, Adam – con Engel ancora stretta addosso – si fece strada tra i presenti sino alla lunga tavola che era l'unico grande oggetto presente in quella festa apparentemente ricca e felice: era un banchetto imbandito e pieno di cibo, che doveva essere stato gustoso e invitante fino a poco prima, ma che ora non era altro che un ammasso di putrefazione e morte. Scostando in un gesto noncurante e brutale piatti, posate e bicchieri, il ragazzo aveva creato un piccolo spazio per far sedere Engel, che teneva avvinghiata a sè. I baci sembravano non essere mai abbastanza, la voglia mai soddisfatta. La mano sinistra del giovane, ora sporca del sangue della compagna proveniente dalla sua schiena, si sollevò per accarezzarle il volto, con il sorriso sulle labbra. Baciami. Le ordinò, afferrando con la mano opposta il fianco della donna per tirarla a sé. Nonostante il linguaggio non-verbale dell’uomo, quella sembrava più una richiesta che un'imposizione, prima di lasciare altre impronte di labbra calde sul collo della donna, contro cui il ragazzo respirava. Anche se loro muoiono, tu baciami. Il tono della voce grave e profonda di Adam era bramoso, impaziente, eppure... Eppure felice, in qualche modo smanioso e malsano. Fu così che sollevò la testa, per lambire ancora una volta le labbra di Engel con le proprie, chiudendo gli occhi, mentre intorno a loro Ivar faceva cadere le creature restanti come fossero burattini nelle sue mani. “Smettila di urlare, hai rotto le palle”. Poi, all'improvviso, era come se la quiete fosse tornata dopo aver ascoltato per svariate ore della musica ad altissimo volume. Adam riaprì gli occhi e si rese conto allora di essere attaccato alla sua compagna, col fiato leggermente corto. In quei minuti si era sentito annebbiato dall'istinto, dalla frenesia. Non passò molto tempo prima che si accorse che il sangue aveva ripreso a tingere i vestiti di entrambi, soprattutto quelli di Engel. Gli occhi scuri del guardiacaccia iniziarono a vagare disperatamente sul corpo della donna, cercando di capire la gravità delle ferite, abbassando poi lo sguardo sulla propria coscia, ed i jeans che la ricoprivano erano ormai macchiati di sangue. Scuotendo appena il capo, il ragazzo portò un braccio alla giuntura delle gambe della rossa, per poi prenderla in braccio con estrema cura. Scusa.. Bofonchiò scosso e mortificato, ormai stanco di quelle situazioni così profondamente sbagliate, in cui lui stesso era un tassello importante - specialmente se questi contesti avrebbero investito Engel con la loro violenza. Davvero, io... scusa. Quella richiesta di perdono uscì dalle labbra del boscaiolo in un respiro, mentre le sue spalle si abbassavano per rilasciare la tensione. Guardandosi intorno, il boscaiolo notò che erano tutti vivi, ed Ivar sembrava essere quello più provato, in quegli istanti. Adam aveva pensato di avvicinarsi a lui, ma poteva immaginare come si sentisse mentre rifiutava l'aiuto degli altri, quindi semplicemente si rivolse a lui, portando lo sguardo affranto ma deciso verso quello del suo migliore amico. Io so chi sei Ivar, e non sei questo. Mormorò, era abbastanza vicino a lui affinchè lo sentisse. Elias e Ingrid erano insieme, Jason era molto turbato, Tori era ancora in piedi, così come Fae. L'incubo però non accennava a rompersi.
    Era arrivato il momento di andare avanti, e per quanto Adam si volesse sforzare di essere forte per gli altri, ora davvero iniziava a crollare. Engel quasi non ce la faceva più, avvolta tra le braccia del ragazzo, che per fortuna continuava a conservare la forza necessaria per trasportare con il minimo sforzo la compagna, mentre nel frattempo con occhi vigili sperava che nient'altro assalisse il gruppo, anche se dubitava che i suoi desideri si avverassero. Ormai davanti ad un bivio, la compagnia si spostò verso il sentiero sulla destra, che sembrava essere l'unico percorribile. Che fosse una trappola? Percorsi solo pochissimi metri, un foro nel terreno sembrò essere l'unica via d'uscita. Ci sarà qualcosa lì dentro. Ormai con i poteri all'erta, così come i suoi sensi, Adam lottò con tutte le sue energie contro l'istinto che gli suggeriva che qualcos'altro di orribile sarebbe accaduto. Inutile provare a scrollarsi il fango di dosso, bisognava andare avanti e sopravvivere. Una volta che tutti furono entrati in quel passaggio sotterraneo, il giovane si chinò nuovamente per prendere con sè Engel. L'avrebbe portata in braccio fino a che non si sarebbe ripresa, fino alla fine, se necessario. Dopo qualche metro di cammino, comparvero le ennesime orrende creature, dei Wendigo. Il cuore del guardiacaccia iniziò a battere più velocemente; non aveva paura per sè, ma per le altre persone che lo circondavano ed a cui teneva. Fu Ingrid però ad offrire una soluzione a quel rischiosissimo transito: avrebbe usato i suoi poteri per cercare di rendere tutti invisibili. Mentre quelle bestie maledette si avvicinavano al gruppo, loro erano efficacemente passati inosservati. Quella ragazza bruna era stata davvero formidabile. Adam restò tutto il tempo in silenzio religioso. Un rumore, ed avrebbero attratto l'attenzione dei mostri. Sfortunatamente però, il boscaiolo si rese conto che non tutto stava andando brillantemente. Quella situazione lo fece restare col fiato sospeso, con l'agitazione di essere scoperto con Engel inerme tra le braccia. Non poteva andare così, neanche per gli altri. Un lamento, era di Tori. Voltandosi di scatto, il guardiacaccia aveva capito che lei era stata notata dalle creature, che l'avevano ferita malamente ad un braccio. Bisognava aiutarla a tutti i costi. Fino a quel momento, la donna bruna si era sempre dimostrata molto forte e reattiva, e in questo momento necessitava del supporto degli altri; non doveva essere presa dai Wendigo, non doveva morire, anche in nome di quell'inspiegabile legame familiare che il guardaboschi sentiva lo legasse in qualche modo a lei. Posando attentamente e velocemente Engy per terra, il ragazzo sentì lo sguardo di qualcuno su di sè - era Ivar. Si, Adam capì male e #mlmlml savage. Era bastato un contatto visivo, per quanto breve, e Adam capì che cosa doveva fare. Non doveva arrendersi, avrebbe dovuto continuare a lottare come stavano facendo tutti gli altri. La grandissima intesa con il suo migliore amico funzionava senza lunghe spiegazioni e parole inutili. Non appena il falegname scattò, lanciando un sasso in direzione delle due creature, esse si spostarono selvagge verso la fonte di quel rumore, che si trovava nella direzione opposta della mora. Fu allora che senza pensarci due volte il guardiacaccia dovette seguire del tutto l'istinto, risvegliando non solo la sua particolarità ma anche i ricordi tattili di ciò che aveva imparato in polizia, a suo tempo. Allungando un braccio, il giovane riuscì a spostare uno dei due Wendigo con la telecinesi almeno un minimo, smuovendo le sue radici da terra. La creatura si lamentò, e l'altra corse ad attaccare il guardiacaccia, che aveva ben capito cosa gli sarebbe successo. A quel punto, fu lui a correre incontro alla bestia cannibale, per allontanarla dal gruppo, e riuscì ad avvolgere la vita di quest'ultima quando lo atterrò, graffiandogli il petto con gli artigli taglienti. Assieme alla forza fisica, Adam dovette attingere agli impulsi di rabbia che si celavano sopiti nella sua anima per poter lacerare e sradicare il primo dei due Wendigo, che si spezzò in due. Ora toccava all'altro. Tutto si era svolto così in fretta che il ragazzo non si rese neanche conto del dolore o della fatica, colto da una dose spaventosa di adrenalina per difendersi e annientare quei mostri. Dopo essersi ripreso, il Wendigo rimasto si sollevò, rampante, come se volesse incutere più timore nel suo avversario - un po' come un vero cervo dalle fattezze orribili. Fu allora che il guardiacaccia tentò con lo stesso metodo usato per eliminare la creatura precedente, ma quando si avvicinò, aggressivo più di prima, quell'essere fatto di rami si aggrappò alla schiena del giovane, solcandola con le sue radici. Lasciando andare un lamento, Adam prese un respiro e con tutta la forza che gli era rimasta si staccò l'entità di dosso, allontanandola di un paio di passi da sè. Lanciando un'occhiataccia al mostro, il ragazzo davvero non ci vedeva più dalla collera. Ne aveva abbastanza delle ferite, di quel posto schifoso, di sentirsi un abominio, di vedere la sua donna stare male e i suoi amici soffrire. Perciò, avventandosi su quell'essere, e parte del soffitto del tunnel crollò sulla testa del Wendigo. Nonostante ciò, le zampe anteriori iniziarono a dimenarsi, affilate come rasoi. Nonostante non fosse riuscito a schivare tutti quei movimenti pericolosi lasciandosi graffiare, il guardiacaccia si dovette concentrare più del necessario per controllare i suoi poteri e indirizzarli solo ad una parte del corpo del mostro, abituato a sentire la sua particolarità fluire liberamente in lui verso l’esterno. Con molta fatica, le zampe posteriori vennero sradicate dai poteri telecinetici del giovane che già avevano demolito parte del tunnel; quei nemici spaventosi erano stati messi K, con tanta fatica. Dopo aver capito di aver distrutto entrambe le creature, il boscaiolo raggiunse nuovamente il gruppo e si appoggiò alla parete, cadendo in ginocchio poco dopo per il dolore alla schiena, col fiato corto. Era terribilmente stanco, ed era anche consapevole di quello che aveva appena fatto. “Scusami”. Il sussurro di Ivar arrivò leggermente lontano alle orecchie di Adam, che era talmente spossato che non riusciva a rendersi conto pienamente di ciò che gli accadeva intorno. Il ragazzo scosse appena il capo, cercando di riprendersi il prima possibile, segnalando al suo amico che non avrebbe dovuto preoccuparsi per lui. Il giovane sollevò la testa, cercando immediatamente Engel con lo sguardo. Doveva riprenderla, era troppo ferita per continuare senza supporto. - Non lasciarmi per nessun motivo al mondo, anche se non ti vedo devo sapere che non sei rimasta indietro. Le parole di Elias scivolarono all'udito del guardiacaccia, che però capì che qualcosa doveva essere successo ad Ingrid. In un modo o nell'altro, tutto sarebbe finito presto, il boscaiolo lo sentiva. Eppure, quanto sarebbe costato loro?
    Con fatica, Adam si rimise in piedi anche grazie all'aiuto di Engel, e tutti si rimisero in cammino, per uscire da quel posto orribile. Usciti dal tunnel, il ragazzo prese un grande respiro, per godere almeno dell'aria pulita una volta usciti da sotto terra. Era stato un po' come percorrere una lunghissima tomba, fino a pochi minuti prima. Il luogo in cui si trovavano però non era accogliente: era uno spazio vuoto, delimitato circolarmente da un muro di siepi. Sembrava essere quasi un’arena. Forse, tutti loro avrebbero dovuto affrontare un'altra prova. Il problema era che stavolta il giovane non nutriva le stesse aspettative che aveva serbato fino a qualche minuto prima. Erano tutti stanchissimi, provati, sconvolti e feriti. Se fosse comparso qualcosa di terribile, quanti ce l'avrebbero davvero fatta? Una volta che l'ultima persona varcò il passaggio nello spiazzo, il terreno franò, impedendo a tutti loro di tornare indietro. Il guardiacaccia portò la testa indietro per qualche secondo, ringhiando seccato. Non era ancora finita. Poco dopo però dovette coprirsi gli occhi, poichè il sole che sorse era accecante, come se la compagnia si trovasse in quel labirinto in un tiepido giorno di primavera, con tanto di fiori che sbocciavano. Tornando a guardarsi intorno, il boscaiolo emise un ampio sospiro di sollievo, scosso ma sollevato. Un momento: forse era finita, forse chiunque fosse il sadico che li aveva condotti sin lì aveva deciso di porre fine alle sofferenze di ognuno di loro. Non appena il terreno iniziò a tremare, l'impressione che aveva avuto il guardaboschi mutò, cambiando diametralmente: la fine delle loro sofferenze era stata intesa in tutt'altro modo. Una donna dal collo lunghissimo - #serpentedisagyato - e dall'espressione terrificante spuntò da sotto terra. Colto dal disgusto, Adam fece un passo indietro, cercando Engel e Fae con lo sguardo per poi cercare di avvicinarsi a quest'ultima con la compagna il prima possibile mentre il mostro avvolgeva i presenti tra le sue spire. No! Il grido d'allarme nei confronti di Fae uscì quasi all'unisono dalle labbra di Adam e di Ivar. Il guardiacaccia osservò impotente ed inorridito ciò che stava accadendo, come se fosse in trance per qualche attimo troppo lungo. Quei morsi, il sangue. Fae sarebbe morta se non fossero intervenuti immediatamente. - No, Elasticgirl di merda, la-scia sta-re Fae! Elias iniziò a calciare con forza il corpo serpentino della Rokurokubi e questo destò Adam dal suo momentaneo trasalimento. Tuttavia, Engel aveva avuto un’idea, ossia disegnare un'arma che potesse liberare la sua migliore amica e sconfiggere la creatura. Mentre lei trovava il suo taccuino e disegnava, in fretta, il giovane si avvicinò più attentamente e velocemente che poteva al serpente, che stava pericolosamente nutrendosi del sangue che sgorgava dalle ferite della povera Fae. Quella vista era così terribile ed impressionante che il guardiacaccia dovette davvero far forza su se stesso per salire a fatica sul corpo del rettile e cingere con forza il collo di quella donna demoniaca. Non la voleva soffocare, bensì cercare di tenerla ferma poco più in basso della testa sia con le braccia e con la telecinesi, per permettere a Engy di colpire nel momento e nel punto opportuno. Rossa! Il boscaiolo chiamò la compagna, per farle capire che poteva entrare in azione e che non sarebbe riuscito a trattenere la creatura ancora per molto; sentiva il corpo cedergli man mano alle ferite e alla debolezza di ore di tormento. Eppure, anche se la conosceva poco, Adam aveva visto in Fae una brava persona dall'animo gentile e forte, che era peraltro la migliore amica di Engel. Bisognava tenere duro e salvarla, non doveva soffrire così. Non appena il mostro fu KO, Ivar corse da Fae, che era poco distante anche dalla rossa e il guardiacaccia. Lui era adesso affaticatissimo, e cercò di capire come fosse la situazione, mentre sentiva che l'inquietudine non accennava a lasciarlo. Troppi eventi traumatici erano avvenuti l'uno dopo l'altro; nessuno sarebbe riuscito a rimanere psicologicamente incolume da quell'incubo, e il ragazzo non aveva idea di come fare a gestire un peso così enorme sulle spalle. “Andrà tutto bene vedrai, tu guarisci in fretta”. Fu allora che il falegname si accorse che la debilitazione di Fae era arrivata a livelli tali da non riuscire più a fare uso della sua particolarità. Le ferite erano profonde, usciva troppo sangue. Notando quel che Ivar stava cercando di fare, Adam si afferrò l'orlo della maglia e ne strappò un pezzo, legandolo poi attorno alla coscia esile della ragazza arcobaleno, mentre l'amico le tamponava le ferite con la giacca. Spero che per il momento riesca a resistere. Mormorò il giovane, parlando sia alla compagna che al cugino di lei. Fu allora, che quest'ultimo si rivolse alla donna incosciente. “Andrà tutto bene, ce ne andremo di qui, ok? Resisti.” Neanche qualche secondo dopo quelle frasi le siepi scomparvero, assieme al resto del labirinto, e tutti si trovarono in un luogo spoglio, al centro del quale vi era una figura di uomo. Erano tutti così esausti, come avrebbero fatto a reggere un'altra prova? Il fantasma di un orrendo pensiero si insinuò nella mente di Adam, che si rialzò per osservare la persona che non riconosceva minimamente. E se non fossero mai più potuti uscire? Questo non era ancora dato sapersi, ma ciò che si era dimostrato evidente in quelle ore tremende era che quel gruppo non si sarebbe fermato; avrebbero lottato fino alla fine. I cuori di tutti loro erano stati sottoposti all'analisi del crudele microscopio di uno scienziato pazzo, ma evidentemente chiunque fosse stato l'artefice di tutto avrebbe dovuto capirlo: era solo riuscito ad incrinare quelle anime, non a spezzarle del tutto.

    I'm a survivor
    I'm not gon' give up
    I'm not gon' stop
    I'm gon' work harder
    I'm a survivor
    I'm gonna make it
    I will survive
    Keep on survivin'.

     
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    Ti farai m- Non gli aveva dato modo di continuare, era andata dritta alle sue labbra e le aveva congiunte a quelle dell'amore della sua vita. Sembrò ricambiare, ma non con quel trasporto che vi era di solito tra i due, ed Engel si sentì scivolare nell'abisso di quella paura che ormai la stava invadendo. Volse lo sguardo anche quando gli disse che non era un mostro, esitò, quasi. Ecco. Qualcosa si era irrimediabilmente spaccato. Ti amo anche io. Risuonò così vuoto da incrinare il cuore della barista che cercava di appigliarsi almeno al loro amore.Cos'hai visto... Lì dentro.
    Il futuro... Bisbigliò.

    Holy water cannot help you down
    Hours and armies couldn't keep me out
    I don't want your money
    I don't want your crowd
    See I have to burn
    Your kingdom down



    Se per voi va bene credo che sarebbe meglio non separarsi. Furono le parole della ragazza dai capelli castani che sembrava avere un qualche collegamento con Adam: aveva ragione, l'unica maniera per uscire di lì era collaborare, anche se sperava davvero che quel tale dai capelli biondi schiattasse. Potremmo avere bisogno delle abilità di tutti. Engel non sapeva come potesse essere utile il suo potere, dato che aveva spaccato la matita per non disegnare più, appunto. Se l'era conficcata nel palmo e lì era rimasta, sanguinante, come i chiodi di Cristo, a ricordarle quanto male avesse provocato. Si limitò ad annuire, restando al fianco di Adam e osservando l'entrata del labirinto e sentendo la paura bloccarle le gambe. Non voleva più continuare, si sentiva stanca e sapeva che più sarebbe andata avanti, maggiore sarebbe stato lo sforzo. Cerchiamo di stare all’erta e l’ultimo si guardi alle spalle. Si mosse solo perchè lo fece Adam, di riflesso, tenendo lo sguardo a terra, sperando di non incappare più in brutti incubi. Voleva solo uscire da quell'incubo.
    Man mano che avanzavano, la luce divenne sempre più fievole, come se fosse calata improvvisamente la notte: Engel non aveva paura del buio, ma in un certo senso, in quel momento, con la sua fragilità scoperta come una ferita aperta e da cauterizzare, strinse la mano sana a quella di Adam, stringendola. Tremava, non aveva alcuna voglia di abbandonarlo: lo aveva già fatto e il suo corpo ne era la prova di cosa era successo, ed era tutta colpa sua. Continuava a ripeterselo ad ogni passo. Ogni ferita, ogni goccia di sangue che i suoi compagni avevano subito, era stato tutto causato dalla sua disattenzione. Se solo avesse potuto proteggerlo. Se solo lo avesse fatto anche in futuro.
    Alzò la testa solo quando vide le siepi attorno a lei cambiare forma e formare un arco, una porta ad un nuovo schema, come nei videogiochi: Engel piantò i piedi a terra, lasciando andare la mano di Adam, mentre i suoi occhi sbarrati si fissavano sull'albero spoglio al centro di quel giardino che si stagliava davanti a loro. Una brutta sensazione la colse, come un malessere, e non se lo riusciva a spiegare: ormai aveva subito troppi traumi per capacitarsi di cosa fosse reale e cosa semplice percezione.
    Il suo respiro divenne pian piano sempre più veloce e corto quando i rami si staccarono, uno per uno, prendendo la forma di un inquietante spaventapasseri con un capello di paglia sulla sua testa: che razza di incubo era, si chiese. Restò indietro, ad osservare la scena inorridita, senza riuscire a proferire parola, sentendo la testa vorticarle: forse era il dolore, forse aveva perso troppo sangue, o forse era quella visione d'incubo a farla rimanere ancorata al suo posto.
    Non appena si fu avvicinato al gruppo, questo iniziò a piangere, urlare, disperarsi, e anche Engy sentì quello che le sembrò il più straziante dei lamenti, come se lei stessa si stesse disperando. Chiuse gli occhi, sentendo le lacrime rigarle le guance, bisbigliando velocemente: Non è reale, non è reale, non è reale... Eppure quella cosa non svaniva, e più andava avanti, più sentiva il lamento del Bubak entrarle nelle ossa, nel cuore ormai spezzato in due, nella testa ormai affranta. Raggomitolato di fianco a lei, come a proteggerla, vi era Adam, e così si strinse a lui per accertarsi che almeno ci fosse qualcosa di buono, sano, in tutta quella follia. Non è reale... Non è reale... Non è reale. Non è reale... Non è reale... Non è reale.
    Non piangere… Fu la voce di Tori a ridestarla, a calmarla, anche se quelle parole non erano rivolte a lei: in un certo senso, come se fosse collegata a quella creatura, le lacrime, lentamente riuscirono a smettere di rigarle la pelle. Non piangere, ti prego. Non ce n’è bisogno. Le lacrime si fermarono una volta per tutte: eppure non la stava toccando, allora perchè si era improvvisamente calmata? Calmati. Calmati. Se non ti calmerai non smetterai mai di soffrire. La voce della bruna tremolò, come la salute mentale della rossa che ora spingeva più a fondo la mina sul suo palmo, facendolo sanguinare copiosamente. Va tutto bene. Va tutto bene. Soffrire è normale, fa parte della vita. Anche noi abbiamo sofferto Mollò la presa sulla mina e piano piano la estrasse, guardandola come priva della vita che la caratterizzava tanto. Non combatterlo, accettalo. Se lo accetterai starai meglio Lasciò la presa dalla mina che cadde a terra, ed anche la barista ebbe un lieve mancamento: la vista le si annebbiò per circa cinque secondi, le gambe le si fecero molli, cadendo in ginocchio, mentre respirava a fondo, cercando l'aria, cercando di recuperare le energie per andare avanti. Non aveva più alcuna forza.
    Così, bravo. Ti sei sfogato, ora rilassati. Lascia che il dolore svanisca, ritrova la calma. Io voglio soltanto...
    Va tutto bene. Ci siamo noi con te Soltanto...
    Non sei solo. Morire...
    A quel pensiero, tutti i suoni si fecero neutri, indistinti, distanti. Pace.
    Si rialzò e come un dannato robot, camminò dritta davanti a sé, superando i resti di quello che era stato il dolore.

    Holy water cannot help you now
    See I've had to burn your kingdom down
    And no rivers and no lakes can put the fire out
    I'm gonna raise the stakes, I'm gonna smoke you out



    Superarono il varco tra le siepi, mentre Engy fissava davanti a sé senza provare più alcuna emozione, come svuotata di tutto: sentiva solo dolore, il sangue colava dalle sue ferite come lacrime rosse che il suo corpo ormai rilasciava. Si sentiva debole, come se avesse un grande buco in mezzo al petto.
    Il secondo schema –ormai lei li chiamava così– era ambientato in una sfarzosa festa, dove gli invitati li accolsero applaudendo: lei guardò quelle facce apaticamente, come se non le importasse. Voleva solo uscire, sdraiarsi in una vasca di acqua calda, magari affogare. Pensò che ognuno di loro fosse straordinariamente bello, lasciandosi incantare da questo per non pensare al dolore. Per non pensare a quanto fosse inutile persino al suo fidanzato. Si rese partecipe di quella festa, inebriata da una momentanea aura di benessere
    Quell'aura di benessere durò il tempo necessario per essere raggiunti da una figura ancora più bella, quasi eterea: la donna, questa la sua forma, si avvicinò a Jason e per un secondo, un solo istante, Engel desiderò che quella figura, qualsiasi cosa ella fosse, lo divorasse, come in quei film horror che tante notti insonni aveva guardato assieme ad Adam, tra le sue braccia, dopo quelle notti di passione e sesso ardente.
    Quando ella sporse il viso verso il ragazzo, intorno a loro gli astanti iniziarono a contorcersi, ad urlare: suoni sovrumani uscirono dalle labbra di quelle creature, ma lei non si scompose, né si portò le mani alle orecchie per evitare di ascoltare. Rimase lì, ad osservare la donna e Jason che si contorceva proprio come la gente intorno a lei. La cosa la deliziò non poco, immersa in quel limbo di follia e apatia che tutta quell'avventura le aveva donato. Non sapeva se sarebbe tornata quella di prima, ma che importava? Tanto a breve se ne sarebbe andata, avrebbe dimenticato tutto. La Grecia le avrebbe rimosso quel ricordo, o almeno così sperava.
    Improvvisamente, in un delirio che ancora doveva scivolare in quella giornata da dimenticare, tutti i presenti –eccetto lei e i suoi compagni d'avventura– si trasformarono in bestie raccapriccianti dalle teste di teschio di cavallo. Le ricordò un po' quella scena di Beetle Juice anche se non capì perchè fece quell'associazione. Stai vicina a me Ma le non poteva comprendere, era troppo euforica, aveva già perso il senno, e rideva, rideva come se quella situazione fosse la cosa più divertente del mondo. L'isteria l'aveva portata alla pazzia. Non si accorse nemmeno dello spostamento che fecero lei e Adam verso Fae e Tori, ma fu certa che lui la stava tenendo stretta. No, non lei. Fae. Smise di ridere, mentre il cuore le si dilaniava maggiormente.
    Fu Jason che, assoggettato ad un momento di pazzia, toccò la Cegua, facendola cadere in uno stato di follia e paura in cui trascinò tutti i presenti. State dietro di- La voce di Adam era così lontana, come se si stesse allontanando inavvertitamente. No.. Non di nuovo..
    Lei fu la prima ad essere presa, ormai la sua mente era troppo fragile per combattere quella cosa, non avrebbe potuto nemmeno se l'avesse voluto. Si voltò, alla ricerca di Adam, e non appena lo trovò, lo raggiunse, gettandogli le braccia al collo e lasciando che i loro bassi istinti prendessero il sopravvento. Non sentiva il dolore, e se anche lo avesse percepito, la pazzia l'avrebbe portata oltre il limite di sopportazione. Si fecero strada tra quegli esseri impazziti, lei in braccio a lui, lui che ad ogni rumore molesto, distruggeva la fonte come se non gli importasse. La pelle di Adam si colorò di rosso scarlatto, ed anche i suoi vestiti si inzupparono proprio come stava succedendo a quelli della barista, ormai madidi di quel fluido carmigno. Baciami. Anche se loro muoiono, tu baciami. Ed ubbidì, come se gli fosse succube: non che non lo fosse, alla fine anche senza perdere il senno era sua, mente-anima-corpo. Gli tirò leggermente i capelli, andando a martoriare quelle labbra già di per sé violentate e gonfie, ansimando su di esse.
    Alla fine, essere pazzi non era poi un grande male, se lo poteva essere insieme a lui: ed il mondo smise di girare, e la morte avrebbe potuto attendere sul suo cocchio nero. Seduti su un tavolo dove prima sicuramente vi era disposto un lauto banchetto, i due iniziarono a consumare il loro atto di amore e follia proprio su quel tavolo, davanti a tutti.
    Quando la sensazione di follia si dissolse, il dolore tornò ad essere un compagno onnipresente, e non potè far altro che portarsi le mani verso le ferite, sentendo di non essere più capace di continuare. Aveva la vista annebbiata e le vorticava la testa, aveva anche la nausea: Non ce la faccio più... Lasciami qui, ti prego. Dagli occhi, iniziarono a sgorgare nuovamente lacrime, copiosamente: era stanca, non aveva più la forza di continuare, non ne aveva più alcuna voglia. Aveva bisogno di pace.
    Scusa.. Le aveva detto lui, mentre la rimetteva giù. Era caduta in ginocchio, subito dopo, piangendo sia per la tristezza che per la stanchezza. Davvero, io... scusa.

    Seven devils all around you
    Seven devils in my house
    See they were there when I woke up this morning
    I'll be dead before the day is done
    Seven devils all around you
    Seven devils in your house
    See I was dead when I woke up this morning
    I'll be dead before the day is done
    Before the day is done



    In qualche modo, Adam riuscì a trasportarla verso un nuovo schema: le sembrava di essere ormai in quei videogiochi che ti fanno salire l'ansia, horror game ben curati atti a non farti mai più dormire. E lei ne sentiva tutti gli effetti. Ci sarà qualcosa lì dentro.
    Si ritrovarono ad un bivio: da una parte, venivano condotti ad un vicolo cieco –l'ennesimo–, l'altro conduceva ad un buco nel terreno. Entrare in quel buco non le andava davvero, iniziava ad avere fobie che non pensava di avere: il buio, la claustrofobia. Sentii la nausea pervaderla, mentre si stringeva al braccio di Adam. Non ci voglio entrare, Adam. Ti prego. Tremava, il cuore le batteva forte ed iperventilava per colpa dell'ansia che quella situazione le stava mettendo.
    Sapeva che dovevano entrare in quel buco, sapeva che non poteva sottrarsi: e quando lo vide infilarsi, rimase impietrita per circa un paio di minuti, con gli occhi sbarrati a guardare il punto in cui lui era svanito. Adam...? Lo chiamò: tornò solo la sua voce, così fece qualche passo verso il punto e vi guardò dentro: lui era lì, ad aspettarla, che le allungava una mano per aiutarla. La mosse lentamente, verso di lui, chiudendo gli occhi e facendosi guidare dalla sua voce. Sentiva il fango ricoprirle i vestiti già madidi di sangue e sudore, le ferite si sarebbero molto probabilmente infettate: soffrì, sentendo i frammenti di vetro ancora nella sua carne entrare più in profondità quando passò da quell'apertura, ma strinse i denti, lo fece per lui, per non farlo preoccupare.
    Si osservò intorno, per quanto la luce fioca le permettesse: già, la luce. In fondo a quello che le sembrava un tunnel vi era una luce che doveva star a segnalare l'uscita. Avrebbe corso verso l'uscita se di lì a poco non si fossero materializzati due enormi bestie dall'aspetto grottesco. Si immobilizzò di nuovo, inorridendo alla vista di quelle cose che ricordava di aver letto in un vecchio libro di leggende dei nativi americani. Se non ricordava male erano i Wendigo.
    Ingrid, prima che quegli esseri potessero avvicinarsi, sembrò utilizzare il suo potere per renderli invisibili, o almeno fu quello che capì Engel nel vedere che, pochi istanti dopo, quei mostri non li vedevano. Se ne stavano fermi, senza muovere un muscolo, alcuni di loro trattenevano il respiro, lei compresa.
    E poi, uno dei due si avvicinò a Tori, soffiando su di lei: possibile che riuscisse a vederla?
    Fu Adam a farsi avanti per proteggerla ed, in un certo senso, anche se sapeva che non avrebbe dovuto sentirsi così, si sentì come impotente, senza alcun valore. Come se fosse stata invisibile per tutta la vita.
    Un nuovo inizio. Pensò, abbassando la testa: A lui non importerà. Può cavarsela senza di me. In ogni caso, avrai qualcuno comunque da proteggere.
    Mentre quei mostri si sfaldavano, gli occhi color ambra persero ogni luce, ed il suo sguardo si fissò sul terreno. Lo aveva accettato.
    Avrebbe lasciato Besaid senza guardarsi indietro.
    Quando lo vide debole, in ginocchio, corse verso di lui, sebbene il suo cuore ormai fosse completamente ed irrimediabilmente distrutto: non disse nulla, bastarono le sue lacrime a parlare per essa. Lo sostenne, sebbene non ce la facesse davvero più: aveva visto fin troppo, aveva sentito anche troppo. Si sentiva inutile. Inutile ed affranta.

    And now all your love will be exorcised
    And we will find you saying it's to be better now
    And it's an even sum
    It's a melody
    It's a battle cry
    It's a symphony



    L'uscita era vicina, riusciva a sentire l'aria pulita e fresca pungerle le guance ormai pallide e quasi esangui dall'ingente quantità di sangue che aveva perso. Fu l'ultima a mettere piede in quella radura senza alcun punto di riferimento, sentendo improvvisamente il terreno vibrare e poi franare. Dietro di sé, il passaggio era ceduto, e non sarebbero potuti tornare indietro. Guardò il buio e pensò: Chissà se mi butto... Magari l'incubo finisce. Solitamente, nei sogni funzionava così. Fece un passo verso quel buco, pronta a saltare, quando uno strano odore la fece immobilizzare.
    Quell'odore di fiori.
    Di primavera.
    Mamma? Perchè quell'odore le ricordava sua madre? Perchè non potevano lasciare che cadesse? Che la facesse finita? Doveva tormentarla anche nell'ultima ora? Eppure, sentiva di stare bene, come quando era molto piccola e non vi era alcun genere di problema. Benessere, sicurezza, famiglia.
    Si voltò, in tempo per vedere qualcosa spuntare dal terreno: era serpentiforme, dalla testa antropomorfa, ed aveva lo sguardo di un demonio.
    Fece un passo indietro ma si immobilizzò quando vide prima i suoi amici legati, poi suo cugino, il suo grande amore e Fae. Quest'ultima stava subendo anche i morsi di quella creatura.
    Rossa... Rimbombò lontano, mentre rimaneva imbambolata a fissare quella scena. Sangue, sangue e ancora sangue. Quanto ancora avrebbe potuto andare avanti quella cosa?
    Fae... tutta una serie di memorie che aveva condiviso con la sua migliore amica le passarono davanti come un film ed allora le venne l'idea. Non aveva una mina, e le era rimasto solo un foglio, ma l'importante non era né il materiale, né l'inchiostro.
    Tirò fuori il blocco e con il sangue iniziò a disegnare linee, se pur imprecise per via della debolezza e del tremolio del suo corpo, l'arma che avrebbe potuto salvare la sua compagna di sbronze e disavventure. Tra le sue mani sporche di sangue apparve una sparachiodi: la guardò, decisa a finire quella storia una volta per tutte.
    Si avvicinò, a grandi falcate, barcollando come se fosse ubriaca, e puntò la sparachiodi in mezzo alla fronte del mostro, piegando leggermente la testa di lato. Fine dei giochi.
    Un chiodo fine ed affilato si conficcò nella fronte della bestia rettiliforme che lasciò la presa sui presenti, e si accasciò a terra.
    Si voltò, lasciando andare quell'arma tanto inusuale, e camminò, lontana da loro: la sua mente volava già al futuro, il suo corpo era arrivato al limite.
    Gran bell'inizio. Le forze ed i sensi l'abbandonarono del tutto, svenendo a terra, ai piedi dell'uomo appena apparso davanti a loro.


    They can keep me high
    'Til I tear the walls
    'Til I save your heart
    And I take your soul
    And what have we done?
    Can I be undone?
    In the evil heart
    In the evil soul

     
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    Se qualcuno le avesse detto quella mattina che avrebbe affrontato un pericolo di quella portata, avrebbe mandato a fanculo il sottoscritto e continuato a guidare in direzione del Luna Park. Se solo qualcuno l'avesse fermata, impedendole di mettere piede lì dentro, tutto quel caos sarebbe stato di qualcun altro e non il suo. Ma nessuno glielo aveva impedito, e forse era quello che rendeva le persone adulte, tali. Se solo avesse avuto qualche anno di meno e fosse stata sotto la protezione dei suoi genitori, Fae non ci avrebbe mai messo piede da sola in quel postaccio. Ci sarebbe stata la mano calda di sua madre a stringere quella più piccola di lei ed ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto. Eppure, la vita è così frenetica che neanche ci si accorge quando si mette la testa fuori di casa per davvero, senza che i genitori seguano i passi incerti dei propri piccoli, senza che qualcuno badi a quelle ginocchia sbucciate in cerca di una medicazione. Così, mentre Ivar implodeva assimilando il dolore e trasformandolo in morte, Elias trovò il coraggio insieme a lei di avvicinarsi a lui per cercare di farlo calmare, per medicare quelle ginocchia sbucciate che altrimenti nessun altro avrebbe curato. L'amico di una vita s'inginocchiò dinanzi al corpo tremante di Ivar, poggiando la propria fronte contro quella del ragazzo, provando evidentemente ad usare il proprio potere per eliminare ciò che poco prima lui stesso aveva lasciato che si generasse. Lei restò immobile, alle spalle del ragazzo con cui aveva condiviso più tragedie che altro ciao amico di sfiga, don Matteo ti saluta, mantenendo la propria mano sul suo petto e cercando di creare pressione sul suo corpo. Non aveva idea se quelle dicerie sugli abbracci potessero essere vere, ma aveva sperimentato sulla propria pelle che l'affetto di chi riteneva fosse importante l'aveva bene o male sempre aiutata a gestire i momenti di fragilità che l'avevano abbattuta. Un brivido le scosse la schiena dall'inizio alla fine nel sentire il cuore di Ivar battere all'impazzata all'interno della gabbia toracica che lo proteggeva. Aveva la sensazione che quelle ossa avrebbero potuto rompersi ed andare in mille pezzi, facendola ritrovare con il sangue del ragazzo tra le dita. Ma no, non sarebbe potuto accadere, non era scientificamente possibile e quel ritmo forte ed accelerato che avvertiva era solo la paura di lui che, velocemente, prendeva forma e suono.
    Cosa era accaduto? Come erano finiti in quella situazione, e perché? Perché avevano scelto proprio loro? Era evidente quanto fossero legati gli uni agli altri, anche per piccole cose, ma la ragione di quel gioco era ancora del tutto sconosciuta. Era come se ognuno di loro fosse stato scelto perché aveva l'abilità di contrastare l'altro, proprio come lei era riuscita a fare con Ivar. E sebbene sembrasse tutto appena più logico, i punti interrogativi rimanevano nella testa di Fae come se non riuscisse a formulare altri pensieri. L'unica cosa che in quell'istante avvertiva era il calore del corpo di Ivar contro il proprio. «No che non voglio, pazzo nanomane. Non potrei mai.» disse lui all'improvviso, probabilmente rivolto ad Elias, ancora inginocchiato di fronte a loro. Anche Ivar sapeva della passione di Elias? Oppure il ragazzo aveva proiettato nella mente dell'altro delle immagini di alcuni nani da giardino per farlo tranquillizzare? Non ne comprese quindi il collegamento, ma fu certa che la frase di Ivar fosse realmente indirizzata agli occhi chiari che aveva di fronte, considerando che Elias andò a tirare un gran sospiro di sollievo nell'udirla. Fae sollevò immediatamente il viso, rivolgendo il proprio sguardo alla parte laterale del viso di Ivar che riusciva a vedere, poco prima che la mano di lei venisse afferrata dolcemente da quella di lui. Capì che Elias era riuscito nel suo intento, facendo tornare Ivar alla sua precaria stabilità che teneva sotto custodia ogni singolo giorno della propria vita. «Grazie» le disse lui appena prima di sollevarsi e offrirle una mano per aiutarla a fare lo stesso. L'afferrò, mantenendo fermo lungo il proprio fianco quel braccio malato e ponendo forza nelle gambe per alzarsi dal pavimento e drizzarsi di fronte a lui. Curvò il capo da un lato, andando a ricercare il suo sguardo perso sul braccio di lei. «Non guardarlo, è ok.» gli disse, ricordando della prima volta che avevano scoperto il potere l'uno dell'altra e di come quella volta si impose di fare lo stesso, l'unica differenza è che lo aveva fatto per vergogna, paura d'essere giudicata, mentre in quel momento sembrò preoccuparsi solamente di non arrecargli un senso di colpa per il quale non avrebbe mai dovuto farsi peso. Sapeva che non era stata opera sua, non lo aveva fatto per farle del male, ma il peggio era passato e sempre meglio su di lei e solo momentaneamente, che su Adam ed in maniera permanente. Non avrebbe potuto immaginare come avrebbe reagito Engy se solo lei non si fosse messa nel mezzo. Avrebbe rovinato troppe vite, e malgrado quel tocco le avesse fatto più male di quanto avesse mai potuto immaginare, andava bene così.
    Tutto quello che accadde all'interno della seconda stanza fu come in un sogno incredibile, come se la sua anima avesse abbandonato il proprio corpo per librarsi nell'aria e raggiungere un posto a lei sconosciuto, nel quale ogni cosa sarebbe stata possibile. Possibile come rivedere lo sguardo della propria mamma lì, dinanzi a lei. Quante emozioni avevano attraversato il suo cuore? Quali sensazioni erano prevalse? Non lo sapeva più neanche lei, e tutto ciò che le restava era un buco vuoto nel centro esatto del petto, dove tutto il resto era stato risucchiato e disperso ormai nello spazio. Un varco fra il pianeta terra e il luogo in cui giacciono i desideri; un posto lontano e impossibile da raggiungere da svegli. Era lì che Fae racchiudeva tutte le sue paure, i suoi ricordi, i desideri che mai avrebbero potuto trasformarsi in realtà. Cos'altro aveva da perdere, se anche quelli venivano intaccati da terzi? Ciò che sua madre le aveva detto, tutte quelle parole che aveva udito venir fuori a raffica dalle sue labbra, erano state come un coltello che aveva sgusciato il tappo di quel buco nero, aprendolo e lasciando che la ragazza ne perdesse ancora una volta i contenuti. Le aveva detto di andare via quando, invece, tutto ciò che aveva desiderato era che la donna l'abbracciasse per trascinarla via con sé.

    Il labirinto non avrebbe potuto far altro che nascondere inganni al suo interno, come ben presto ebbero modo di scoprire. «Se per voi va bene credo che sarebbe meglio non separarsi. Potremmo avere bisogno delle abilità di tutti. » la voce di Tori pietrificò il silenzio, rompendolo e risvegliando forse tutti loro da quel limbo in cui erano caduti poco tempo prima. Fae si voltò a guardarla, annuendo lievemente e cercando di indirizzare i propri pensieri al percorso che si apriva loro dinanzi. Non aveva la minima voglia di avanzare e scoprire di che diavoleria avrebbero scoperto dietro quelle pareti di un verde acceso; come lei, gli sguardi di ognuno di loro sembravano essersi spenti, avendo perso quella lucentezza che vi aveva letto non appena aveva messo piede all'interno dell'edificio che non sapeva più come chiamare, se Luna Park o, boh, castello?. «Cerchiamo di stare all’erta e l’ultimo si guardi alle spalle.» aggiunse ancora la ragazza, cercando forse di dare coraggio a se stessa e di spingere tutti gli altri a fare quel passo, a non arrendersi e a continuare su quella strada, con la speranza di trovare una via di uscita quanto più presto fosse possibile per tutti loro e prima che potessero dare quindi i numeri per davvero, magari attaccandosi l'un l'altro senza un preciso motivo. «Cerchiamo di non separarci.» aggiunse Ivar, ricambiando lo sguardo di Tori ed accogliendo quelle che sembravano essere le uniche opzioni per andare avanti. Fae lanciò un'occhiata ad Engy, accertandosi del suo stato e studiandola da lontano. L'amica se ne stava accanto ad Adam, entrambi sfiniti e stanchi di dover prendere parte a quel massacro. La rossa era divenuto un tutt'uno con i suoi capelli, che sembravano essere divenuti il prolungamento delle scie di sangue, le quali inesorabili scorrevano sulla sua pelle candida macchiando anche i vestiti che indossava. Era una tragedia per chiunque, essere finiti lì dentro, ma Fae sperava con tutta se stessa che nient altro sarebbe accaduto, sebbene sapesse in cuor suo che il tour non era finito. La stazione successiva, difatti, presentò dinanzi ai loro sguardi affranti un grande albero rinsecchito, nello stesso momento in cui una folata di vento gelido andò ad investire il gruppo. Si portò la mano sana al viso, coprendolo e lasciando ancora l'altra a riposare: la cancrena sembrava essersi affievolita, il grigiore rimaneva solo dal gomito fino al polso, mentre la mano aveva ancora qualche problema a muoversi. Era viva.
    L'albero diede vita ad un essere che lei non aveva mai visto e che immaginò potesse esistere solo nei libri di racconti dell'orrore. In quel momento, fu stranamente affascinata da esso tanto da osservarlo rapita avvicinarsi a loro, almeno fino a quando quel buco nero che aveva nel petto prese a fare male. Avvertì una strana sensazione di tristezza pervaderle il cuore, stringendolo in una presa stretta e dolorosa e portandola a chiedersi da dove provenisse ancora una volta tutto quel dolore. E mentre il vento sferragliava nella loro direzione, lasciando che i suoi capelli arcobaleno fossero l'unica cosa che aveva parvenza d'essere in vita, lei pensava e ripensava a tutto ciò che fino a quel momento aveva vissuto e visto, alla nostalgia che ogni notte l'attanagliava; che diavolo stava accadendo? Perché avrebbero dovuto subire quelle torture? Era per qualcosa che avevano fatto? Per qualche errore commesso? Una punizione per essere stati così curiosi da metter piede lì dentro? Avrebbe potuto farsi mille domande, la risposta non sarebbe di certo piombata dal cielo. Vide il corpo di Tori avanzare in direzione del Bubak, e così decide di fare anche Elias. Spalancò gli occhi, avvicinandosi appena, quasi volesse fermarsi e dire loro di non fare stupidaggini. Ma in un certo senso, sapeva anche che se nessuno avesse fatto qualcosa, sarebbero morti lì dentro e mai nessuno lo avrebbe saputo. Si coprì le orecchie, tentando di allontanare il caos di quel pianto stonato che emetteva la creatura. Digrignò i denti, cercando di restare calma e provando a pensare ad altro,, invano. Era tutto lì, tutto quello a cui avrebbe potuto pensare in quel momento, tutto quello che per lei aveva importanza. «Non è reale... Non è reale... Non è reale» era la voce di Engy, poco distante da lei. La vide piangere e cuore della ragazza andò istantaneamente in mille pezzi. Avrebbe dovuto salutarla, dopo qualche giorno. Era l'unica a sapere che sarebbe partita e mai, come in quel momento, mantenere il segreto fu così difficile. Ripensò ai momenti trascorsi insieme, alle sbronze del quale spesso neanche avevano conservato memoria. «Non piangere, ti prego. Non ce n’è bisogno. Calmati. Se non ti calmerai non smetterai mai di soffrire. Va tutto bene. Va tutto bene. Soffrire è normale, fa parte della vita. Anche noi abbiamo sofferto.» la voce di Tori risuonò fra di loro, in quel caos che l'essere aveva creato fra di loro. Si lasciò andare alle parole della ragazza, fermando il respiro e cercando di ascoltare, ricordandosi quanto fosse meravigliosa quella sensazione di libertà, di insofferenza, di cui a volte aveva goduto, sopratutto da piccolina. E per un momento tornò bambina: i riccioli dorati che ondeggiavano all'aria aperta di un parco un tempo conosciuto a menadito. La foto di una famiglia unita e spensierata, lontana da quei giorni terrificanti che si erano abbattuti su di essa spazzando via tutto. Avrebbe dato la vita per tornare indietro. «Non combatterlo, accettalo. Se lo accetterai starai meglio. Così, bravo. Ti sei sfogato, ora rilassati. Lascia che il dolore svanisca, ritrova la calma. Va tutto bene. Ci siamo noi con te. Non sei solo.» e fu di nuovo la calma, la quale lentamente inondò i loro sensi e trasse via le forze di Tori ed Elias, i quali barcollarono all'unisono prima di perdere completamente l'equilibrio. Fae si ritrovò esattamente a qualche passo di distanza da Tori, così avanzò in breve annullando quella distanza che la separava dalla giovane per andare a spingere le proprie braccia sotto le spalle di lei e sostenerla nella caduta. «Reggiti a me.» le disse in un sussurro forzato, dato dal peso morto di lei e dalla fatica che provava nel sostenerla con una mano malandata. Inspirò profondamente, ponendo ancora una volta forza sulle proprie gambe e sollevandosi, tirando a se il corpo debole di Tori e sollevandola appena. «Riprenditi, non ce la faccio a reggerti così, mi senti?» le disse, afferrando il mento di lei con una mano e voltando il capo in direzione del proprio. «Portatemi… ah. Via di qui.» biascicò la ragazza, prima di cadere in uno stato di quiete. «Ti porteremo via di qui, usciremo tutti da questo postaccio, ma se non ti riprendi non possiamo farcela. Ci serve anche il tuo aiuto, dai.» le disse Fae, sollevando un braccio di Tori e portandoselo dietro al collo. Avanzò di qualche passo, seguendo gli altri in direzione del varco che sembrava essersi aperto dopo che il Bubak si era cristallizzato, rompendosi in tanti piccoli pezzi. Osservò Ivar trascinare a sua volta Elias, mentre Engy, Adam, Ingrid e Jason proseguivano al loro passo, attenti a non lasciare nessuno indietro. «Grazie.» mormorò Tori ad un tratto, sbirciando il percorso ma non riuscendo ancora del tutto a reggersi in piedi. Fae abbozzò un sorriso, annuendo con il capo senza aggiungere altro. Non voleva sembrarle scortese e neanche farle pesare quell'aiuto che aveva deciso di offrirle. Il corpo della ragazza era però simile al suo, e quindi sicuramente non più leggero; faceva appena fatica a trascinarla, malgrado preferisse farlo invece che lasciarla a qualcun altro e doversi concentrare su ciò che pensava avrebbero trovato nella zona successiva a quella in cui avevano incontrato il Bubak.
    Giunsero in quello che sembrò essere un grande spiazio adibito a festa: un numero di invitati incalcolabile ad occhio nudo li attendeva, e non appena si accorsero del loro ingresso, presero ad applaudire amabilmente, come se li avessero attesi fino a quel momento. Ogni donna e uomo presente in quella piazza indossava abiti meravigliosi, così come il loro aspetto. Rimase estasiata nel vedere quei visi angelici sorridere come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se una risata potesse rendere migliore un'intera giornata. Sorrise a sua volta, Fae, volgendo il capo nella loro direzione e soffermandolo sul viso della più bella di tutte: una donna dall'aspetto idilliaco scese le scale di un piccolo chiosco in marco, trascinando le proprie mani su delle ringhiere in ferro battuto che indirizzavano le scale verso il pavimento in terriccio. Un passo dietro l'altro, la donna raggiunse il gruppo, sotto lo sguardo attento di ogni invitato presente a quella festa. L'euforia esplose nel millesimo di un secondo: Fae avvertì l'adrenalina riprendere vita nel proprio corpo, mentre sotto i propri occhi il braccio riprese vita come per magia. Non capì cosa stava accadendo, ma sapeva solamente di avere una voglia matta di danzare. ma ce la vedete a questa mentre danza?. Anche Tori sembrò riprendersi, smossa da quella carica che sembrava colpire un po' chiunque in quel luogo. Elias si sollevò, avvicinandosi allegramente ad Ingrid ed invitandola a danzare. Fu proprio in quell'istante che il sorriso fresco e gioioso di Fae si smorzò sulle labbra, lasciando che queste disegnassero una parentesi all'ingiù. Tremò, lasciando che Tori accanto a lei si stringesse contro il suo corpo e vi restasse vicina. In due ogni cosa avrebbe fatto meno paura. Osservò Engy, cogliendo nel suo sguardo quella stessa incomprensione che vi leggeva in quello degli altri, intorno a loro. Adam se ne stava serioso, pronto all'attenti e cercando di cogliere tutti i movimenti strani che si espandevano intorno a loro. Fae cercò con lo sguardo la fonte di tutto quell'ennesimo caos, trovandolo sul volto della bella donna ormai trasformatosi nel teschio di un cavallo. Restò per un momento immobilizzata, incapace di togliere il proprio sguardo da quella figura ed avvertendo la paura prendere possesso delle sue membra. Avvertì il sudore rigarle la fronte e la schiena, inumidire i vestiti ormai rovinati. Tremò ancora, incontrollabilmente. Tutti gli altri invitati emisero gemiti strazianti, quasi inumani. Non sapeva cosa fosse, se dolore, se pazzia, se sofferenza. Sapeva solamente che il suo cuore aveva preso ad accelerare come un forsennato, impedendole di ragionare lucidamente. «Cosa diamin-» la voce di Tori le sembrò lontana chilometri, eppure così forte da piombarle nella testa come una martellata. Si portò le mani alle orecchie, cingendo la testa e cercando di tenere fuori ogni cosa, ogni rumore, ogni sensazione, invano. «Non ti preoccupare, Fae.» cercò di tranquillizzarla Adam, mentre cercava di proteggere Engy, facendole da scudo con il proprio corpo. Annuì la ragazza dai capelli arcobaleno, apprezzando oltre ogni dire quel senso di protezione che vedeva in poche persone come Adam. «Mi basta che proteggi Engy.» gli disse lei dolcemente, ricambiando lo sguardo ed annuendo ancora una volta, togliendo le mani dal capo e cingendole davanti al petto. «State dietro di-» voleva continuare il ragazzo, ma qualcosa lo fermò. La risata di Tori esplose al suo fianco, mentre le urla di Ivar si fecero tempesta fra di loro. «Fa male, vero? Oh, non è ancora niente. Smettila di urlare, hai rotto le palle.» la voce del ragazzo si levava sopra le altre, sopra al caos e sopra quel gelo che sferzava tra di loro. I volti degli invitati avevano preso la stessa forma di quello della Cegua, che insieme a Jason sembrava impazzire ed emettere versi incredibilmente spaventosi. Non aveva mai visto nulla di più terribile in tutta la sua vita: il corpo di un essere umano con al posto della testa il teschio di un animale. Che diavolo di maledizione era quella? Le venne istintivamente di fare un passo avanti in direzione di Ivar, pensando di fermarlo, di farlo calmare, ma la frenesia che aveva nelle gambe le impedì di farlo, così come quella sensazione di pazzia che risuonava nella testa. Si coprì il viso, portando entrambe le mani su di esso e accovacciandosi per terra. Non voleva guardare, non voleva vedere ancora una volta quella distruzione intorno a sé, non ne voleva essere parte. Prese però istintivamente a ridere, senza un motivo, alternando quella melodia a delle lacrime che andarono a rigarle copiosamente il viso, bagnandole anche la gola. Voleva che tutto finisse, non attendeva altro. Si sarebbe svegliata da quell'incubo, se solo avesse smesso di prendervi parte?
    Il suono di qualcosa che si infrangeva contro il suolo la riportò al presente, imponendole di sollevare lo sguardo nascosto fra il proprio petto e le ginocchia rannicchiate contro di esso, pronta ad osservare i resti di quella festa. I corpi degli invitati erano riversi sul terreno, così come quello della Cegua. La mano di Ivar ancora protesa verso il punto nel quale poco prima vi si era sostenuta. Tutti gli altri avevano delle espressioni sconvolte, incapaci di produrre sorrisi o segni di contentezza. Era una tragedia, e loro gli attori. L'unico problema stava nel fatto che quelle che indossavano non erano maschere e non interpretavano alcun personaggio di fantasia. Erano reali e recitavano sperando invece che sarebbero arrivati a scoprire di non esserlo.

    Per affrontare il passo successivo avrebbero necessitato di un po' di quel coraggio che avevano perso durante il percorso. «Non ci voglio entrare, Adam. Ti prego.» la voce di Engy tremava, proprio come il suo corpo stanco. «Adam...?» chiamò lei, poco dopo che il ragazzo si fu calato nel tunnel all'interno del quale avrebbero dovuto proseguire. Fae la raggiunse, allungando il passo e posando una mano sulla schiena. «Andiamo, Engy. Sono qui dietro di te.» le disse, senza sorridere, senza fare un minimo accenno. Non sapeva quanto potessero essere vere quelle parole, onestamente. E se invece di uscire prima, avrebbero raggiunto in minor tempo la morte? Se era quella la loro destinazione finale? - Scivolò nel buco, strisciando con i jeans su quella terra umida e sporcandoli ovunque. Ciò che in pochi secondi accadde fu solo l'ennesima parte di quel gioco. I Wendigo apparvero sul loro cammino, impedendo al gruppo di proseguire e tagliando loro quindi la strada. Fu Ingrid a rendere ognuno di loro invisibile, cercando di mascherarli e proteggerli da quelle bestie. Li osservò, cercando di trattenere il respiro e impossibilitata a vedere anche gli altri. Non sapeva se fosse rimasta da sola o se quello fosse davvero un trucchetto dovuto all'abilità di Ingrid. Le creature passarono attraverso di loro, così vicini da poterne annusare il profumo di legno umido e terriccio. Serrò le labbra, cercando ancora di non dare la parvenza di essere lì, quando proprio uno dei due le strisciò davanti, raggiungendo Tori e ricordando che fosse a pochi passi da Fae. Vide il suo braccio e la creatura avventarsi su di esso. Restò immobile, lasciando che fosse Adam ad occuparsene. Ivar lanciò un sasso nella direzione opposta a loro, così che i Wendigo furono ingannati per qualche momento, giusto il tempo di dare ad Adam la possibilità di raccogliere le proprie forze e affrontarli. Una lotta prese vita in quel tunnel, lasciando che Adam si dimenasse per sconfiggere le due creature. Ognuno di loro osservò, senza muovere un dito, senza distrarre il ragazzo e permettere quindi ai Wendigo di avere punti a favore. Fae osservò il ragazzo concentrarsi, incanalare tutta quella forza e spingerla fuori, in direzione delle creature. Quando entrambe furono a terra, ebbero finalmente la possibilità di procedere ed uscire di lì, e solo allora Fae si accorse di Ingrid che appariva e scompariva ad intermittenza. Non aveva idea di cosa le fosse accaduto, l'unica cosa certa era che fosse tutto frutto di quell'inganno in cui stavano vivendo.

    Fuori dal tunnel, ogni sguardo sembrava essere sempre più stanco, nessuno aveva più la forza di stare in piedi, eppure lei sembrava essere quella messa meglio. Le ferite che fino a poco tempo prima si erano stanziate sulla sua pelle, sembravano essersi ormai rimarginate, anche se più lentamente del solito. A differenza di tutti loro, infatti, il sangue sui vestiti sembrava essersi seccato, così come il braccio, che aveva ritrovato il proprio colore pallido e naturale. Sulle loro teste splendeva ora il sole, cocente come non mai e portatore di una primavera che sembrava essere sbocciata esattamente intorno a loro e solo in quel luogo. Si portò una mano alla fronte, coprendo gli occhi dalla fitta luce del giorno e provando ad osservare l'area circostante con vivido interesse. Era un luogo bellissimo, quasi come la grande sala nel quale erano approdati all'inizio. Eppure, tutta quella bellezza si era poi trasformata in un incubo, e forse così sarebbe stato anche in quel luogo. Il terreno franò, riportandola a puntare lo sguardo sul tunnel dal quale erano usciti, e dandole la certezza che non avrebbero mai superato quel luogo senza donare un'altra parte di loro stessi come sacrificio e pegno. «Qui qualcosa puzza, e non sono i fiori.» disse solamente, prima che il terreno prendesse a tremare e si aprisse per dare vita ad una creatura strana. Era il corpo di una donna il cui collo aveva dimensioni abnormi ed una lunghezza indecifrabile. «E basta, cazzo.» disse, poco prima che quella grande testa puntasse in sua direzione. Si lasciò avvolgere, arresa a quegli eventi ed incapace di combattere ancora contro ciò che veniva posto loro sul cammino. Il serpente le sembrò innocuo almeno fino a quando non andò ad infilare i propri denti nella sua carne. Un dolore lancinante la colpì, prima sulla gamba, poi sulla pancia e infine nell'incavo del collo. Spinse la testa all'indietro, schiudendo le labbra e lasciandosi andare ad un urlo incontenibile. Non ce la faceva più, non ne aveva più alcuna forza. Serrò nuovamente le labbra, chiudendo gli occhi e lasciandosi martoriare da quelle labbra sconosciute.
    «No, Elasticgirl di merda, la-scia sta-re Fae!» la voce di Elias fu la prima a giungerle, seguita dallo sgomento di Ivar ed Adam. Tutti loro si avventarono sul serpente, tentando di allontanarlo dal corpo della ragazza arcobaleno, invano. La creatura non sembrava schiodarsi da lei e continuava quindi a sorseggiare quel sangue dolce che fuoriusciva copioso dalle ferite che lei stessa stava procurando a Fae.
    «Fine dei giochi.» sentì dire da Engy, pochi secondi prima che il serpente si districò completamente, lasciandole lo spazio per respirare nuovamente. Si allontanò di qualche passo, zoppicando e portandosi le mani sulle ferite, cercando di fermarne il flusso del sangue. Contemporaneamente si avvicinarono Adam e Ivar, i quali le offrirono pezzi di stoffa con cui provare a tamponare e fermare quindi le emorragie. «Andrà tutto bene vedrai, tu guarisci in fretta.» le disse Ivar, non accorgendosi che le ferite da poco rimarginate tendevano a riaprirsi. «Spero che per il momento riesca a resistere.» la voce cupa di Adam, che cercava a sua volta di aiutarla strappando un lembo della propria maglia e fasciando la parte scoperta della coscia di Fae, nel punto in cui il serpente aveva morso e dal quale usciva la maggior parte del sangue. Ivar invece tentava di coprirle le ferite prima con le mani e poi con la giacca che aveva al seguito, sebbene sembrò non funzionare. «Oh cazzo!» imprecò, difatti. «Brucia.» disse lei, digrignando i denti ed osservando le ferite aprirsi e richiudersi, come se la sua pelle fosse elastica. «Andrà tutto bene, ce ne andremo di qui, ok? Resisti.» cercò di consolarla il ragazzo, mentre le siepi prendevano a ritirarsi nel terreno per lasciare spazio ad un luogo spoglio, del quale a stento si poteva riconoscere la linea dell'orizzonte. La figura di un uomo se ne stava in piedi, osservandoli da lontano. «Spero serva a qualcosa, resistere...» disse lei, alludendo al fatto che probabilmente non ne sarebbero mai usciti, mentre il proprio sguardo scrutava il viso dell'uomo appena apparso. Si portò le mani alla ferita sulla pancia, premendo su di essa e cercando di fermare il flusso del sangue, almeno fino a quando non notò il corpo di Engy senza sensi, accasciato per terra. Provò a camminare, sebbene ad ogni passo il dolore le tagliava il respiro. Raggiunse l'amica, tenendo d'occhio la figura lontana e sperando che tutto quanto avesse una fine. Quanto ancora avrebbero dovuto soffrire? Si inginocchiò accanto al corpo di Engy, posando una mano imbrattata di rosso sul capo della ragazza, spostandole i capelli rossi e scoprendone il viso. «Engy, riprenditi, ti prego. Engy, stiamo tornando a casa... torniamo a casa una lacrima le rigò il viso, attraversando quelle guance sporche di terra e sangue. Sussurrò nell'orecchio di Engy, incapace di urlare quelle parole. Per quanto lo desiderasse, la speranza che fossero vere sembrava essere solo un miraggio.
     
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    La musica del pianoforte non aveva voluto abbandonarli in quella tempesta di emozioni e dolore. Era stata un collante che aveva tenuto insieme le varie sfide e le conseguenti complicazioni che avevano visto quelle giovani vittime preda di un esperimento folle e senza fondo. Chi era quella figura in lontananza che prese ad avvicinarsi sempre di più, fino a raggiungere il gruppo ormai sfinito e preda di un'apatia che una mente malata come la sua aveva generato. Cos'era quella malattia, se non intuizione, studio, genialità? «Fermi. Così, bravi, restate immobili. Vi concedo di poter parlare, se proprio ne avvertite il bisogno.» disse l'uomo con voce setosa, quasi volesse offrire loro il nettare della vita, un elisir che avrebbe ridato ad ognuno di loro la forza di sorridere.
    E mentre quell'ennesima melodia triste, ormai sempre più flebile, accompagnava i passi dell'uomo dagli occhi del colore del mare nella direzione delle sue cavie, gli sguardi stanchi di ognuno di loro si posavano sul suo viso tranquillo; un'espressione soddisfatta su quel volto adulto. «Devo farvi i miei complimenti, dico davvero. Avete svolto un ottimo lavoro, non c'è che dire.» ed applaudì, lasciando che quel rumore rimbombasse nelle loro orecchie come fosse l'unica cosa che potessero udire in quell'istante.
    «Vi ho scelto perché avete delle abilità meravigliose. Basta che vi guardiate indietro per osservare ciò che oggi avete creato, ciò che è stato compiuto. Sapete in quanti vorrebbero essere al posto vostro? Potete solo immaginare in quanti desiderano avere una delle particolarità che voi avete l'onore di controllare?» disse ancora l'uomo, mentre quelle note tristi continuavano ad affievolirsi, come piccoli petali di un fiore che sa di dover attraversare il gelo dell'inverno. Una ninna nanna che nessuno di loro aveva probabilmente udito per davvero, fino a quel momento. Una melodia che aveva scandito ogni attimo trascorso all'interno della Spiegelhaus. «Siete speciali, non dimenticatelo.» disse ancora, fermandosi dinanzi ad Ingrid ed afferrando lentamente la sua mano libera dalla presa del compagno. La guardò negli occhi, sollevando il proprio braccio insieme a quello di lei, le dita ormai intrecciate a quelle dell'uomo, e posando il proprio sguardo sul nulla che apparve da quel contatto. Le mani dei due svanirono nel nulla, divenendo aria per qualche istante. L'abilità di Ingrid si era fatta sua, così come tutte quelle che gli altri controllavano. «Ciò che oggi avete visto è stato possibile solo grazie ad ognuno di voi.» disse ancora, sciogliendo la presa dalla mano della ragazza e allontanandosi da lei, lasciando quindi che le braccia di entrambi riprendessero visibilità. Aveva duplicato il potere di Ingrid, così come aveva tenuto il gruppo sotto controllo per tutto quel tempo. Le abilità di Tori ed Elias erano state quelle che aveva avuto il piacere di usare maggiormente, come aveva appena fatto: aveva ordinato loro di restare immobili, fermi nella posizione in cui ognuno di essi si era ritrovato non appena lui aveva avuto il tempo di avvicinarsi al gruppo. Grazie a Dagmar, ciascuno dei presenti aveva avuto dinanzi agli occhi prima una bambina, poi un maggiordomo e infine creature spaventose provenienti dal folklore. Tramite quelle maschere, aveva guidato il gruppo su un percorso senza possibilità di ritorno, dove il terrore aveva attanagliato i loro cuori. La paura era sempre stata parte del mondo, e sempre lo sarebbe stata: colei che genera coraggio, che spinge ad oltrepassare i confini della ragione, i limiti del pensiero e della razionalità, proprio come era accaduto ad ognuno di loro in quel Luna Park.
    «Quando metterete piede fuori di qui, saprete di essere vivi, saprete che le vostre capacità vi hanno salvato la vita.» proseguì, incrociando le mani dietro la schiena e camminando in mezzo a quei corpi di pietra. «Nessuno, e ripeto: nessuno di voi potrà fare qualcosa contro tutto questo.» aggiunse, annuendo e sollevando lo sguardo per puntarlo in quello di Adam, che sembrava essere il più coraggioso. Di seguito, si fermò dinanzi ad Engy, avvolta fra le braccia del ragazzo. «Evitate imprese eroiche, evitate di raccontare all'amica; evitate di parlare con il vicino, con il poliziotto di fiducia. Potete farlo, siete liberi di farlo. Ma niente cambierà.» affermò, prendendo fra le dita una ciocca rossa dalla folta chioma della donna. «Lo so, ci vuole coraggio per affrontare i propri incubi, non è così, Engel?» le domandò in un sussurro, riferendosi a quel viaggio che presto avrebbe dovuto compiere, all'insaputa di un cuore a lei affine, all'insaputa di un cieco amore. Riprese a camminare, fermandosi di fronte a Fae. «Vi ho studiati, siete parte di un grande progetto, qualcosa che nessuno di voi potrebbe mai neanche immaginare, e malgrado possiate sembrare sfiniti, demotivati... bé, passerà.» allungò una mano ed afferrò il braccio colpito dal potere di Ivar. La pelle si era rigenerata, e ora le uniche ferite che continuavano a sanguinare erano quelle inflitte dal serpente. «Guarda, neanche tu sei invincibile. Non aver paura di quello che sai fare. La morte non è la maledizione di cui tutti parlano.» disse ad Ivar dopo aver posato lo sguardo su di lui e aver sollevato il braccio della ragazza per mostrarglielo. La lasciò, allontanandosi da lei e raggiungendo Tori. «E tu, mia cara.» iniziò, prendendole poi il viso fra le mani ed avvicinandosi a lei. «Tu hai una mente incredibile. La tua abilità nelle mani sbagliate potrebbe essere un gran problema. L'importante è che tu sappia chi mantenere al tuo fianco...» disse, voltando il capo verso Adam per qualche secondo e sorridendole appena una volta posato i propri occhi nuovamente su di lei. Abbassò le mani e fece due passi indietro per allontanarsi anche dalla ragazza, spostandosi e ponendosi alle spalle del giovane Larsen. «Pensavo non ce l'avresti fatta, pensavo che non avresti resistito, Elias. Eri tu il tassello mancante, quel pezzo del puzzle che andava a chiudere ogni cosa. Pensavo avresti ceduto prima di tutti e invece... Ti faccio i miei complimenti, mi hai davvero stupito.» gli disse, posando una mano sulla sua spalla ed annuendo con il capo. Oltrepassò anche quel corpo, giungendo dinanzi a Jason il cui sguardo era ancora tramortito. «Se gli altri poteri sono oggettivamente belli, il tuo è il mio preferito. Tu puoi affondare la tua mente in quella degli altri e scoprirne i segreti, dare luce all'oscurità. Grandioso.» gli disse, sorridendo e scuotendo appena il capo con fare incredulo. Si voltò di scatto, tornando al centro del gruppo ed applaudendo a tutti loro. Per poco non si commosse, l'emozione si muoveva a ritmo nelle sue vene, battendo i passi seguendo le palpitazioni del suo cuore. Sparì nel nulla, nell'esatto momento in cui quelle note sembravano accelerare, composte una dopo l'altra. I ragazzi ripresero possesso del loro corpo poco prima di essere risucchiati in quel vortice che aveva aperto le danze a momenti che avrebbero lasciato il segno dentro ognuno di loro. Il buio cadde dal cielo, fiondandosi sul pavimento e ristabilendo ciò che fino a poco prima era stata finzione, divenendo nuovamente realtà; il pianoforte aveva smesso di suonare e al centro non vi era più quell'uomo dallo sguardo fine e determinato, ma il cadavere di qualcun altro. Dagmar giaceva nel centro esatto della Spiegelhaus: gli occhi aperti ancora puntati sul soffitto illuminato dalle luci fioche di alcune lampadine. Una maglietta grigia e consumata, appena più scura nella parte intera delle maniche. Il sudore l'aveva impregnata, così come aveva imperlato la fronte pallida di quel viso. Se ne stava lì, nel mezzo del disastro, sorridente. I suoi occhi erano altrove, oltre la colte di nubi che aveva offuscato la sua vita.
    Camminava ora, Dagmar, tornato bambino e stretto in un abbraccio familiare, che da sempre aveva ricercato.

    Brevi indicazioni utili:
    -Il Master ha l'abilità di assorbire qualsiasi potere percepisca nelle vicinanze: con la prima frase del post, difatti, l'uomo usa l'abilità di Tori per immobilizzarli. Tutti i pg saranno impossibilitati a muoversi.
    -Il Master ha studiato ognuno di loro prima di sceglierli per questo esperimento, il quale è finanziato dai piani alti dello stato. Facciamo riferimento quindi al punto in cui egli dice loro che non avranno alcuna possibilità di cambiare le cose: intende dire che, nel caso in cui dovessero rivolgersi alle autorità, non verranno presi troppo sul serio. Neanche la polizia di Besaid può qualcosa contro questo progetto e chi c'è dietro, sebbene non ne siano assolutamente al corrente. Le indagini verrebbero immediatamente interrotte.
    -Dagmar ha l'abilità di creare illusioni vivide e di lasciare che gli avvenimenti accaduti al loro interno si protraggano anche nella realtà. Come spiegato nel post d'apertura, infatti, ogni ferita subita all'interno dell'illusione sarà reale una volta fuori. Tutti i vostri pg dovranno tener conto di questo nelle role successive alla Quest.

    -IMPORTANTE: Ultimo turno! – Opzionale: sarete voi a decidere se partecipare o meno, scrivendo l'ultimo post del vostro pg nella Quest. I partecipanti avranno a disposizione un mese per postare la propria risposta, dopodiché la Quest sarà ufficialmente chiusa. Questa volta non ci saranno turni, potrete postare quando riterrete più opportuno o quando sarete più ispirati!

     
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    Gran bell'inizio. Le parole di Engel iniziarono a legarsi in modo spaventoso a quelle che lei stessa aveva pensato appena prima di entrare nel labirinto - tanto misteriose quanto rincuoranti. Ti amo. Tu non sei un mostro. Ok? Tu sei il mio inizio. Tutto sembrava scivolare nel vuoto. Le prove a cui erano stati sottoposti erano state troppe, la corda delle emozioni di tutti tirata così tanto da spezzarla - e Adam aveva sentito. Per via dei suoi poteri fuori controllo aveva sentito tutto, comprese le parole mai dette che erano risuonate nella sua testa provenienti dall'unica persona che avrebbe mai amato; nessuno avrebbe mai dovuto ascoltare il proprio amore arrivare al limite e non poter far nulla per impedirlo. Le richieste della ragazza erano semplici eppure devastanti - voleva morire, voleva andarsene. Come si fa a sopportare un peso simile? Quei pensieri sarebbero rimasti per sempre nell'anima del giovane molto più percepibili delle cicatrici che lui portava sulla pelle ogni giorno. Si sarebbero viste, quelle ferite interne, nel suo modo di vivere, in una quotidianità ormai spezzata. Lui aveva provato con tutte le forze a proteggerla: in quella sala da ballo era stato con lei quando era stata costretta a disegnare contro la sua volontà, strappato dal suo fianco solo dai poteri di Jason - a cui aveva sfasciato il naso anche per Engel; nel labirinto aveva lottato, anche se silenziosamente, contro un istinto di repulsione verso se stesso per continuare a far fluire energie nell'unico intento che contava - tenere la compagna al sicuro: l'aveva stretta a se tutto il tempo contro quei mostri, impazzendo con lei, allontanandosi solo quando sapeva di poter fare la differenza in maniera sostanziale - come ad esempio con i Wendigo. Purtroppo però, era tutto più difficile, poichè si trattava di otto persone, tutte caotiche a modo loro, tutte con dei poteri che erano stati sfruttati al massimo, ed ognuno era stato crudelmente provato dalla follia che si era creata in quelle terribili ore. Fu solo quando la Rokurokubi stramazzò morta per terra che il guardiacaccia si rese conto della verità: per quanto avesse provato, per quanto avesse cercato di difendere colei che amava ed i suoi amici, avrebbe comunque fallito. Il piano fin dall'inizio era mirato a distruggerli, uno dopo l'altro, intaccando le loro debolezze più profonde fino a farli crollare. Chi più, chi meno, erano stati tutti piegati al gioco deviato di un misterioso burattinaio, che li aveva usati per svago.
    Non appena Adam si fu strappato la maglia per cercare di arginare il sangue che usciva a fiotti dal corpo di Fae per aiutare Ivar che si era dedicato alle sue cure, lui si voltò immediatamente per correre da Engel, che proprio in quel momento era caduta al suolo - il tonfo era udibile anche per via dell'arma che aveva tra le mani, ora scivolata poco lontano. Inginocchiandosi al fianco della donna, il ragazzo la osservò in ansia, posandole due dita sul collo per controllare che il suo cuore battesse. Oddio... Ti prego. Nessuna pulsazione. Rossa.. La voce di lui, di solito calda e decisa, era ormai ridotta ad un grave sussurro colmo di agitazione. Con un'attenzione estrema, sporcata solo dal panico che stava attraversando il ragazzo in quel momento, lui avvolse la compagna tra le braccia, reggendola dal torace. La stringeva contro il petto, forse leggermente troppo forte tenendo conto delle ferite che le marchiavano il corpo, mentre altre lacrime gli si accumulavano negli occhi. Il giovane si chinò e le lasciò un bacio sulle labbra, su cui avvertì chiaramente anche il sapore del sangue. Amore.. Resisti, resisti mi dispiace tanto. Mormorò lui, capace di formulare quella frase di scuse. C'erano così tante cose che avrebbe voluto dirle, e altrettante che non era riuscito nemmeno ad articolare a se stesso per via del panico. Appoggiando la fronte contro quella della donna priva di sensi, il guardiacaccia non si accorse nemmeno che qualcuno era arrivato, proprio davanti a loro; percepì solo dopo qualche secondo dopo il flebile eppure stabile respiro di Engy, che quieto gli sfiorava le labbra. Era ancora viva. Un sospiro di sollievo si fece largo lentamente nei polmoni del boscaiolo, che lo emise qualche attimo dopo. I capelli arcobaleno di Fae penzolarono leggermente vicino al volto di Engel, e solo allora Adam sollevò lo sguardo vero l'altra ragazza, inginocchiatasi di fianco a loro accarezzando le ciocche color carota dell'amica. «Engy, riprenditi, ti prego. Engy, stiamo tornando a casa... torniamo a casa.» Il mormorio della donna raggiunse anche le orecchie del giovane, che spostò un braccio attorno al torace del suo amore, per reggerla in modo che le ferite di lei non si aggravassero ulteriormente. Voleva davvero credere alle parole di Fae, con tutto il cuore; tuttavia, non riusciva. Sarebbero mai tornati a casa? E se non fossero mai più usciti? Come avrebbero fatto a curare Engel? Queste domande non smettevano di attanagliare la mente del boscaiolo, che lanciò uno sguardo alla ragazza arcobaleno, prima di prendere la mano non ferita della rossa e stringerla leggermente nella propria.
    «Fermi. Così, bravi, restate immobili. Vi concedo di poter parlare, se proprio ne avvertite il bisogno.» Una voce. Maschile, vellutata, un po' come quelle dei serial killers nelle serie crime si irradiò in quello spazio desolato. Dal modo di articolare le parole sembrava che stesse sorridendo. L'istinto di Adam fu di alzare di più la testa per guardare l'essere in questione, ma non riuscì. Qualcosa che pareva una forza invisibile lo teneva fermo, immobile, come se ogni muscolo del corpo gli si fosse pietrificato. Sollevando solo lo sguardo, il ragazzo notò l'ennesima stranezza di quell'incubo. Si trattava di un uomo ordinario, dal volto leggermente scarno, che li guardava compiaciuto. Si sarebbe trasformato in qualcosa di terribile oppure avrebbe avuto in serbo altro per quel manipolo di sventurati? Di nuovo, la melodia di un pianoforte invisibile invase l'udito del giovane, che si ritrovò a voler nascondere la compagna contro di sè, nonostante fosse impossibile muoversi. Se quello che sembrava un uomo avesse voluto ucciderli avrebbe potuto farlo con una facilità spaventosa. «Devo farvi i miei complimenti, dico davvero. Avete svolto un ottimo lavoro, non c'è che dire.» L'epifania di aver capito di chi si trattasse colpì il guardiacaccia dritto al cuore. Era lui, era quell’uomo l'artefice di tutto, ed era lì vivo davanti a loro che applaudiva per la distruzione di otto esseri umani. Un nodo si formò lentamente nella gola del boscaiolo, che quasi trovò difficile respirare. Come poteva una persona essere stata così perversa da pensare una serie così accurata di torture, sfaccettate su misura per ogni singolo individuo in quel gruppo. «Vi ho scelto perché avete delle abilità meravigliose. Basta che vi guardiate indietro per osservare ciò che oggi avete creato, ciò che è stato compiuto. Sapete in quanti vorrebbero essere al posto vostro? Potete solo immaginare in quanti desiderano avere una delle particolarità che voi avete l'onore di controllare?» Il suono di quelle parole iniziò a rendersi ovattato ai sensi di Adam, che si sentiva come se fosse all'esterno di tutto ciò che stava succedendo, come se si fosse per qualche minuto distaccato dalla realtà. Tutto ciò che era appena avvenuto era stato così tremendamente assurdo. Erano stati considerati delle cavie; lui, Engel, Fae, Ivar, Tori, Ingrid, Elias ed anche Jason. Animali messi in un recinto di dimensioni naturali a lottare per le loro vite. «Siete speciali, non dimenticatelo.» Quelle frasi divennero sempre più chiare, da essere un'eco lontana, erano diventate fastidiosamente cristalline, non appena Adam riprese il filo dei propri pensieri. Il suo cuore, tuttavia, non aveva smesso di battere in quel modo selvaggio nel petto. Una rabbia profonda si era irradiata in lui, che riprese a guardare quell'uomo così distinto e composto. Come sarebbe stato afferrarlo per il collo e sentirlo pregare, esattamente come avevano fatto tutti loro? Come sarebbe stato infliggere su di lui la punizione più giusta per averli distrutti in questo modo? Che diritto aveva questa persona di giocare ad una partita spietata con in palio le vite di otto esseri umani? Ma il guardiacaccia non era mai stato così incline a pensare troppo. Era solo terribilmente addolorato e arrabbiato. Erano tutti costretti dal potere di quell'individuo a restare immobili, ma se solo lui avesse potuto liberarsi... Quei pensieri, quegli istinti non erano da Adam. Non lo erano mai stati. Non aveva mai desiderato ferire qualcuno, uccidere, difendere anche a costo di sopprimere l’altro. Eppure, vedere Engel e le altre persone a cui teneva ridotte in quel modo per colpa di un sadico della peggiore specie non fece che infuriarlo.
    Ora quella creatura camminava tra di loro, prendendo la mano di Ingrid; fu allora che Adam realizzò un secondo punto chiave della faccenda. Quest'uomo era in grado di possedere i poteri degli altri, facendoli propri per utilizzarli come meglio credeva. «Ciò che oggi avete visto è stato possibile solo grazie ad ognuno di voi.» In ansia per Ingrid ed Elias, il giovane osservò come quell'individuo separò i due, prendendo la mano della donna. Ora, le possibilità si riducevano a due, per tutti loro: sarebbero stati liberati o sarebbero morti. Possibile solo grazie ad ognuno di voi... No, la colpa non era stata loro per tutto ciò che era avvenuto, e ora il ragazzo aveva inquadrato l'unico responsabile. La retorica di quest’ultimo era sottile, eliminandosi dal contesto per collocare tutti loro al centro della sua malata messinscena assieme ai loro poteri. No. No! Sei stato tu. Sei stato tu. Solo tu. Facendo eco ai suoi pensieri con la voce, il guardiacaccia lasciò uscire quelle parole dalla gola come fossero gocce di veleno che gli gocciolavano dalle labbra. «Quando metterete piede fuori di qui, saprete di essere vivi, saprete che le vostre capacità vi hanno salvato la vita. Nessuno, e ripeto: nessuno di voi potrà fare qualcosa contro tutto questo.» Non si sottrasse nemmeno per un secondo, Adam, da quello sguardo di ghiaccio. Le iridi castane del ragazzo erano altrettanto eloquenti, intense nel loro disperato tentativo di tenere lontano quel vero mostro dalla compagna, a cui invece quell'uomo si avvicinò. «Evitate imprese eroiche, evitate di raccontare all'amica; evitate di parlare con il vicino, con il poliziotto di fiducia. Potete farlo, siete liberi di farlo. Ma niente cambierà.» Gli occhi del giovane si diressero immediatamente verso Engel, ancora svenuta tra le sue braccia. No! Fermo! Non la toccare! Le parole del guardiacaccia vennero ignorate come fossero acqua che scorreva invisibile su quell'uomo, che afferrò delicatamente una ciocca di capelli della donna. «Lo so, ci vuole coraggio per affrontare i propri incubi, non è così, Engel?» Quelle frasi non fecero che allarmare il boscaiolo, che avrebbe solo desiderato tenere la sua ragazza a sè, dirle che era stato solo un incubo. Eppure era la realtà, una illusione capace di ucciderli tutti.
    «Vi ho studiati, siete parte di un grande progetto, qualcosa che nessuno di voi potrebbe mai neanche immaginare, e malgrado possiate sembrare sfiniti, demotivati... bé, passerà.» Persone spezzate forse sarebbero guarite, ma i traumi e le ferite sarebbero rimasti per sempre. Già alla fine di quel percorso Engel era stata piegata così tanto da farle desiderare di morire con affianco la persona che amava. Quanto oltre bisognava spingersi? Fermatosi davanti a Fae, quel carnefice le afferrò il braccio che faticosamente stava combattendo il potere di Ivar dentro di esso. «Guarda, neanche tu sei invincibile. Non aver paura di quello che sai fare. La morte non è la maledizione di cui tutti parlano.» Gli occhi di Adam si diressero verso il suo migliore amico, e nonostante la collera stesse infuocando il sangue del ragazzo, lui cercava di restare attento per - per fare cosa, poi... Se Ivar, che considerava come un fratello, fosse stato colpito in qualche modo, sarebbe stato tutto inutile. Povero Ivar, anche lui era stato svuotato da quell'esperienza terribile e la consapevolezza di essere stati tutti parte di un inquietante esperimento fece raggelare il sangue nelle vene del boscaiolo. «E tu, mia cara.» La ragazza bruna divenne il nuovo obbiettivo di quell'uomo sinistro, che le prese pericolosamente il volto tra le mani; Adam scrutò quei movimenti difficilmente per via della posizione in cui era e per la stanchezza, ora diventata quasi insopportabile. «Tu hai una mente incredibile. La tua abilità nelle mani sbagliate potrebbe essere un gran problema. L'importante è che tu sappia chi mantenere al tuo fianco...» Gli occhi celesti del burattinaio si fermarono sul giovane qualche attimo, e una terza rivelazione lo colpì. Qualcosa davvero lo legava a quella donna, sembrava averlo intuito anche quel mostro. Bisognava capire di cosa si trattasse, ma in quel momento il guardaboschi era troppo disorientato per ragionarci, e non era il momento per intraprendere una conversazione su legami familiari interrotti - sempreché di ciò si trattasse. Dopodichè, fu Elias a venir preso di mira.«Pensavo non ce l'avresti fatta, pensavo che non avresti resistito, Elias. Eri tu il tassello mancante, quel pezzo del puzzle che andava a chiudere ogni cosa. Pensavo avresti ceduto prima di tutti e invece... Ti faccio i miei complimenti, mi hai davvero stupito.» Infine, Jason. «Se gli altri poteri sono oggettivamente belli, il tuo è il mio preferito. Tu puoi affondare la tua mente in quella degli altri e scoprirne i segreti, dare luce all'oscurità. Grandioso.» Un suono di disappunto fece vibrare leggermente il petto del guardiacaccia nel sentire l'applauso dell'uomo nelle orecchie. Avrebbe solo voluto tappargli quella bocca e fermare per sempre il movimento pigro di quelle mani. Il potere telepatico scatenato dall'uomo misterioso impediva ad ognuno di loro di muoversi, rendendoli impotenti di fronte alla rivelazione del macchinatore di questo progetto di morte.
    Poi, egli scomparve. La frustrazione sul volto di Adam era ben leggibile; si era sentito scivolare tra le dita l'occasione di fermare quel bastardo, che adesso era scomparso come uno spettro in una casa infestata. Dunque, ciò che era realmente successo faceva di loro delle cavie di laboratorio del governo. Sarebbe stato assurdo non poter nemmeno chiedere giustizia per ciò che era appena accaduto. Forse, si sarebbero dovuti tutti far giustizia da soli, ma con quali mezzi? Inoltre, se solo fossero riusciti ad uscire, per prima cosa avrebbero tutti dovuto guarire dalle cicatrici lasciate da quell'inferno in terra. Il guardiacaccia si fermò qualche istante ad osservare la sua compagna, che sembrava solo essersi addormentata tra le sue braccia. Una fitta di dolore passò veloce e tagliente nell'anima di Adam, che sentì che nonostante avesse fatto del suo meglio per proteggere Engy, avesse fallito. Quella era la ferita che gli recava più dolore in assoluto, tanto da fargli male fisicamente. Non era dipeso neanche da lui, eppure si sentiva colpevole. In quelle ore aveva visto dei lati di sè che non avrebbe mai voluto approfondire, e continuava a percepirne i pericolosi strascichi fino a quel momento.

    Non sei sola. Mi prenderò cura di te, fino a farti sparire ogni paura.
    Ti amo. Ricordati sempre di questo, amore mio.
    Scusa io.. Non sono bravo con le parole. Però... quello che intendo dire è che non ti preoccupare di niente. Ti amo anch'io.



    D'un tratto, quell'incanto oscuro si spezzò. Così com'erano arrivati in quel castello, così tutti erano tornati, nella casa degli specchi. Nel buio più totale. Il ragazzo cercò di guardarsi intorno, tenendo Engel stretta a sè. Nel vedere le superfici che distorcevano le loro figure direttamente davanti ai suoi occhi, Adam emise un sonoro sospiro di sollievo e si rese conto di star tremando leggermente. L'adrenalina accumulata nell'incontro con quel sinistro burattinaio si era liberata tutta d'un tratto nel corpo stanco del giovane, che a fatica si alzò in piedi tenendo in braccio la compagna. Bisognava andare in ospedale, velocemente. Guardandosi intorno, Adam realizzò che erano tutti lì, e che sembrava non essere passato neanche un secondo dal loro arrivo, se non fosse per le loro membra martoriate da quella esperienza tremenda. Così, lui avvicinò le labbra ad una tempia della sua ragazza, stampandovi un bacio leggero, convinto che in qualche modo lei potesse sentirlo. Amore... siamo a casa.

    When did I become so numb?
    When did I lose myself?

    I'm paralyzed.

    Where are my feelings?
    I no longer feel things
    I know I should
    I'm paralyzed
    Where is the real me?
    I’m lost and it kills me inside
    I'm paralyzed.

     
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    I’m falling apart, I’m barely breathing. With a broken heart.

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    Sebbene le sembrasse di essere lì dentro da così tanto tempo ormai, Fae era incapace di credere che tutte quelle stranezze poste dinanzi alle sue iridi chiare fossero reali. Aveva avvertito il dolore sul braccio non appena Ivar lo aveva sfiorato, poi aveva sentito il calore della pelle viva di sua madre e infine aveva visto la propria cute lacerarsi sotto i denti affilati di un essere che non avrebbe neanche saputo come etichettare. Quando avrebbe compreso per davvero ogni cosa? Quando avrebbe potuto risvegliarsi da quell'incubo per tornare con la mente alla vita che aveva condotto da sempre?
    «Fermi. Così, bravi, restate immobili. Vi concedo di poter parlare, se proprio ne avvertite il bisogno.» la voce di un uomo si mischiò fra le altre, portando ognuno di loro a tacere forse per la prima volta fino a quel momento. Lo sguardo della ragazza dai capelli arcobaleno si sollevò, abbandonando lentamente il corpo di Engy e proseguendo alla ricerca di quei passi che pian piano avanzavano fra i loro corpi. Restò immobile, incapace di spostare qualsiasi parte del proprio corpo e sentendosi stranamente irrigidita, come se fosse legata da catene invisibili. «Devo farvi i miei complimenti, dico davvero. Avete svolto un ottimo lavoro, non c'è che dire.» continuò a sussurrare quella voce, sempre più vicina. Le lacrime che poco prima si erano fatte strada oltre le palpebre degli occhi di lei, continuarono a scendere percorrendo sinuosamente la pelle del viso, attraversandone le guance e raggiungendo l'incavatura del collo. La pancia e la guancia continuavano a sanguinare, sotto la costante pressione dei pezzi di stoffa che Adam ed Ivar avevano prontamente recuperato per lei, con l'intento di fermare quelle emorragie che sembravano a dir poco ancora inarrestabili. «Vi ho scelto perché avete delle abilità meravigliose. Basta che vi guardiate indietro per osservare ciò che oggi avete creato, ciò che è stato compiuto. Sapete in quanti vorrebbero essere al posto vostro? Potete solo immaginare in quanti desiderano avere una delle particolarità che voi avete l'onore di controllare? Siete speciali, non dimenticatelo.» disse l'uomo ora più vicino, così che Fae potesse scrutarlo attentamente. Non aveva mai visto quegli occhi in giro, così chiari e profondi da infonderle uno strano senso di perdita. Malgrado pensasse che fosse un pazzo o uno squilibrato, quelle parole sembrava averle scelte con cura, così come tutta quella messinscena ben organizzata. Trovava sbalorditivo che avesse congiunto ogni idea, ogni personalità, ogni caratteristica così bene insieme. Da un altro lato, invece, tremava dalla paura, sospettando che quella giornata sarebbe finita ben diversamente, e quei complimenti non avrebbero potuto essere altro che un saluto ormai definitivo. Che ne sarebbe stato di tutti loro?
    L'uomo si avvicinò con fare sicuro ad Ingrid, andando poi a prenderla per mano e sollevando il braccio insieme a quello di lei, così che ognuno di loro avrebbe potuto guardare. I due corpi divennero in parte invisibili, azionando quindi quello stesso meccanismo che Fae aveva già visto all'opera quando erano nel tunnel, in fuga dai Wendigo. Osservò con attenzione quell'uomo, intercettandone le mosse e provando a capire che cosa volesse intendere. Come aveva fatto a piegare sotto il proprio controllo anche l'abilità di Ingrid? Certamente, aveva tenuto ognuno di loro sotto tiro per tutto il tempo e questo ne avrebbe potuto spiegare quindi la particolarità. Era incredibile cosa riuscisse a fare Besaid ai propri cittadini, oltre che distruggerli. Notò lo sguardo allarmato di Elias nel momento in cui l'uomo aveva afferrato la mano della ragazza dai capelli castani, provando per lui una sorta di tumore e preoccupazione, quasi temesse che l'amico potesse fare qualche azione di cui si sarebbe certamente pentito. Ma se lei stessa non riusciva a muovere un muscolo, il fatto che sicuramente neanche Elias ne fosse capace riuscì a tranquillizzarla almeno un po'. «Quando metterete piede fuori di qui, saprete di essere vivi, saprete che le vostre capacità vi hanno salvato la vita. Nessuno, e ripeto: nessuno di voi potrà fare qualcosa contro tutto questo. Evitate imprese eroiche, evitate di raccontare all'amica; evitate di parlare con il vicino, con il poliziotto di fiducia. Potete farlo, siete liberi di farlo. Ma niente cambierà.» continuò, distaccandosi da Ingrid e puntando il proprio sguardo prima su Adam e poi su Engy, ancora stretta fra le braccia del suo uomo. Il cuore prese a batterle ancora più forte, notando quegli occhi glaciali scorrere lungo il profilo della sua migliore amica. «No! Fermo! Non la toccare!» la voce adirata di Adam si sollevò su quella di lui, sovrastandola senza però sconfiggerla. «Lo so, ci vuole coraggio per affrontare i propri incubi, non è così, Engel?» disse l'uomo, rivolgendosi all'amica. Lo fissò, Fae. Attentamente, scrutandolo con attenzione e cercando di capire a cosa si riferisse esattamente. Ricordò delle parole di Engy, di quel viaggio che avrebbe dovuto compiere e di cui nessuno sembrava essere al corrente. Le si gelò il sangue nelle vene, immaginando la reazione di Adam se solo avesse saputo tutto prima del tempo. Ma la quiete tornò e lo sguardo dell'uomo andò a posarsi proprio su di lei. S'irrigidì più di quanto già le fosse possibile, mentre la pelle ruvida della mano di lui andava a chiudersi attorno al braccio di lei, liscio contro il fianco. «Non mi toccare...» sussurrò, puntando i propri occhi nel punto in cui le loro carni sembravano incontrarsi e sperando che in quel momento non avrebbe usato ulteriormente qualcuno dei poteri di cui disponeva in quel gruppetto. «Vi ho studiati, siete parte di un grande progetto, qualcosa che nessuno di voi potrebbe mai neanche immaginare, e malgrado possiate sembrare sfiniti, demotivati... bé, passerà.» constatò, ponendo su quelle ultime parole un accento ben diverso, che sapeva Fae avrebbe colto al volo. Ma la giovane distolse ancora una volta lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore ed implorando a se stessa di non cedere ancora una volta alle emozioni, provando a trattenere quella rabbia che invadeva ogni nervo del suo corpo ormai esausto. Fu allora che il tipo prese a fissare Ivar, allungando il braccio di Fae verso di lui e ponendoglielo sotto gli occhi. «Guarda, neanche tu sei invincibile. Non aver paura di quello che sai fare. La morte non è la maledizione di cui tutti parlano.» gli disse, sorridendo appena con divertimento. Si sentì male nello scovare un sottile sytrato di verità in quelle parole, per questo decise di chiudere gli occhi e non guardare, staccarsi da quella scena e abbandonarsi al buio delle proprie palpebre, dove ogni cosa sembrava essere più sicura. «E tu, mia cara. Tu hai una mente incredibile. La tua abilità nelle mani sbagliate potrebbe essere un gran problema. L'importante è che tu sappia chi mantenere al tuo fianco... » disse allontanandosi finalmente da lei e lasciando il suo braccio, per andare poi a rivolgersi a qualcun altro, intuendo fosse Tori. Continuò a non guardare, alla ricerca del vuoto che avrebbe voluto provare al posto del dolore. Avvertiva ancora la pelle chiudersi e riaprirsi come se fossero le porte automatiche di un supermercato (?). «Pensavo non ce l'avresti fatta, pensavo che non avresti resistito, Elias. Eri tu il tassello mancante, quel pezzo del puzzle che andava a chiudere ogni cosa. Pensavo avresti ceduto prima di tutti e invece... Ti faccio i miei complimenti, mi hai davvero stupito.» il turno di Elias, e poi quello di Jason, che possedeva forse l'abilità più crudele di tutte, anche più triste della morte che avrebbe potuto regalare Ivar. «Se gli altri poteri sono oggettivamente belli, il tuo è il mio preferito. Tu puoi affondare la tua mente in quella degli altri e scoprirne i segreti, dare luce all'oscurità. Grandioso.» gli disse, e fu allora che lei aprì gli occhi, ricercando quella figura con lo sguardo e digrignando appena i denti, furiosa. «Pazzo, tu sei solo uno squilibrato!» urlò lei, cercando di muoversi invano. Fu in quel momento che l'incanto sembrò svanire, liberando i loro corpi dalle catene e lasciandoli liberi di muoversi di nuovo, finalmente. Il corpo dell'uomo svanì nel nulla, e per qualche secondo Fae prese a girarsi intorno alla ricerca di quella figura. Avrebbe voluto fargli del male, impedirgli di muoversi e lasciarlo fermo a guardare la propria vita scorrergli dinanzi al viso. Una rabbia che non aveva forse mai provato prima e che ben presto avrebbe risucchiato via tutta la sua forza, la sua vitalità. Una rabbia che non avrebbe saputo gestire, forse. Calò anche il buio e per qualche secondo tutto fu stranamente normale. Chiuse e riaprì gli occhi un paio di volte prima di rendersi conto di essere tornata nella casa degli specchi, al centro della quale un corpo giaceva per terra senza vita, gli occhi aperti e fissi sul soffitto costernato di piccole lampadine. Non era lo stesso uomo che aveva giocato con loro, questo sembrava essere molto più magro e disidratato. Sorrideva silenziosamente.
    Le vennero i brividi, la vista si annerì per qualche secondo portandola a sistemarsi in ginocchio sul pavimento accanto a quel cadavere. Le mani contro le tempie, gli occhi sigillati. «Perché?» chiese in un sussurro, più a se stessa che a qualcuno in particolare. E per un momento, per un solo ed unico istante, Fae desiderò non dover uscire mai più da quella stanza: non avrebbe saputo come affrontare il mondo ancora una volta.
     
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    | IVAR WESENLUND | 24 Y.O | Death | Broken
    La prima cosa su cui ci informiamo, quando iniziamo a giocare, sono le regole. Ce ne sono sempre, in ogni cosa, atte a mettere ordine al caos, all’anarchia, alle dispute. Per ogni gioco, c'è sempre qualcuno che ha scritto delle regole, che ha deciso cosa è giusto e cosa è sbagliato fare, che ha stabilito penalità e premi. Ci appelliamo alle regole, quando ad un certo punto non sappiamo che fare, consci di non poter prendere decisione alcuna senza aver prima preso in considerazione ciò che per noi è già stato scritto. Siamo schiavi assuefatti da quelle imposizioni, che nel bene e nel male regolano la nostra vita. Siamo burattini in balìa di coloro che, nel gioco, stabiliscono le regole.

    Fissava in lacrime il suo criceto, o meglio, quello che ne restava. Il suo pelo, un tempo lucente, era scuro ed ispido. La pelle sembrava essersi assottigliata, raggrinzita, ed aver aderito alle ossa come un velo. Le zampine erano contratte, rinsecchite, scure. Sua madre gli aveva detto che ciò era normale, che la morte era parte del ciclo della vita. Ineluttabile, imprevedibile, eppure necessaria. Non era che un bambino, Ivar allora, ma non potè fare a meno di chiedersi se non ci fosse un modo per trasgredire a quella regola. Si chiese se ci fosse qualcuno che avesse deciso che quello era ciò che doveva essere, a tavolino. Si chiese se un tempo, in origine, non ci fosse stata un'alternativa. Per tutto ciò che conosceva infatti, c’era sempre qualcuno che aveva scritto delle regole. Doveva esserci, secondo lui, un trucco per vincere quella partita decisa dal fato, per eludere la morte e compiere un percorso alternativo a quello di quel cerchio imposto. Così come c’erano forme diverse, oltre al cerchio, così come esistevano tanti modi in cui spostarsi, tanti modi di percepire i colori, tante parole con cui comporre frasi diverse, tanti tasti per comporre infinite melodie, così secondo lui c’erano tanti modi per aggirare quella regola. Dovevano esserci per forza, qualcuno doveva averli inventati. O magari un giorno, lui che poteva dettare le regole della morte, avrebbe potuto crearne altre, o annullarle. Si costrinse a pensarlo, quel bambino dalla sconfinata fantasia, perché quella semplice regola a cui il mondo intero sembrava obbedire era troppo restrittiva e soffocante.

    Non aveva ancora trovato un modo per annullare quella regola, Ivar, che per tutta la vita non aveva fatto altro che consolidare. Ma avrebbe lottato, con le unghie e con i denti, nonostante tutto, affinché ci fosse anche una sola eccezione. La prima volta che aveva incontrato Fae, lei gli aveva dato l’illusione di essere l’eccezione che cercava, la prima falla in quel sistema di regole che in tutti i modi cercava di sovvertire. Non esistevano più giusto ed ingiusto, non c’erano forti e deboli, laddove ci fosse la possibilità di scegliere. C’era questa sua speranza, ancora viva nonostante il suo animo fosse stato annientato, dietro alla sua richiesta di resistere. Ivar chiedeva a Fae di non cedere a quella regola, di non lasciarla vincere, mentre in tutti i modi cercava di tamponare le sue ferite. Cercava si tenere viva lei, così come faceva con quella speranza.
    “Engy…” Sussurrò con un filo di voce, quando la vide cadere a terra. Adam corse da lei. Ne avrebbe avuto cura, perché forse era quella la causa per cui il guardiacaccia lottava. Ognuno di loro lottava per qualcosa, inconsciamente, ognuno inseguiva una speranza, anche se impossibile da realizzare. C’era qualcosa in grado di riuscire a muovere le loro azioni, nonostante i loro corpi fossero stati dilaniati e i loro animi spezzati. Era questo, forse, che li aveva tenuti in vita fino alla fine di quella battaglia. Era questa, forse, l’unica cosa per cui quel sadico burattinaio avrebbe potuto applaudire. Si volse nella sua direzione, mentre iniziò percepire gli arti irrigidirsi, sfuggire di nuovo al suo controllo e restare immobili, nonostante il suo cervello stesse ordinando loro, con tutte le forze, di muoversi. “Fermi. Così, bravi, restate immobili. Vi concedo di poter parlare, se proprio ne avvertite il bisogno.” La voce tranquilla dell’uomo dagli occhi chiari strideva dannatamente con quella situazione. Li aveva intrappolati, solo per costringerli ad assistere al suo trionfo. Avrebbe potuto ucciderli, uno dopo l’altro, senza che loro potessero muovere un dito per evitarlo. E l’avrebbe fatto come se quella fosse stata la cosa più normale al mondo.
    “Devo farvi i miei complimenti, dico davvero. Avete svolto un ottimo lavoro, non c'è che dire.” Era lui, dunque, il sadico ideatore di quel gioco, che per tutto il tempo aveva dettato le regole. Lui che li aveva mossi come pedine di carta su una scacchiera bagnata, incurante di quanto esse sarebbero arrivate consumate, alla fine del gioco. Aveva vinto, lui, secondo le sue regole apparentemente perfette. Vinceva sempre, colui che dettava le regole, lasciando ai futuri giocatori solo la possibilità di affidarsi alla fortuna. Avrebbe voluto prenderlo per il collo e stringerlo forte, ucciderlo senza che fosse nemmeno la sua particolarità a farlo. Quella sadica partita giocata col destino dai lui mosso l’aveva logorato a tal punto che era l’odio l’unico sentimento che gli era rimasto. Tutto era divenuto odio, voglia di distruggere, di mettere fine a tutto quanto. Non era stato il grido della Cegua ad alimentare la sua furia, non erano stati poteri soprannaturali. Era stato il puro e semplice odio a muovere la sua mano, a spingerlo ad uccidere quelle creature, a farle cadere come birilli. Era stato solo l’odio, che aveva prevalso persino sull’istinto di sopravvivenza; opposti che ora si alimentavano a vicenda. Non era Ivar, quello che in quel momento fissava disgustato il burattinaio col solo desiderio di ucciderlo. Non era quello l’Ivar che aveva tentato a tutti i costi di fermarsi, di disobbedire alla volontà della bambina. Non era quello l’Ivar che era sempre stato, quello che suo padre gli aveva insegnato ad essere, quello che nel profondo aspirava a disobbedire alle regole. Quella che ora era immobile di fronte al suo aguzzino era un’altra persona, che aveva abbracciato le regole imposte, che le aveva incarnate, che si era arresa. Forse non esisteva davvero una via d’uscita. Forse si era semplicemente illuso, per una vita intera. Forse quell’Ivar non sarebbe più tornato. “Vi ho scelto perché avete delle abilità meravigliose. Basta che vi guardiate indietro per osservare ciò che oggi avete creato, ciò che è stato compiuto. Sapete in quanti vorrebbero essere al posto vostro? Potete solo immaginare in quanti desiderano avere una delle particolarità che voi avete l'onore di controllare?” Se si fosse voltato indietro, avrebbe visto solo morte. Se avesse guardato al futuro, forse, sarebbe stato lo stesso. Era quella la costante che segnava le miglia percorse nella propria vita, la maledizione a cui, per una regola scritta da chissà chi, non era ancora riuscito a sottrarsi. Il signore della morte non era che la sua stessa vittima. Non infliggeva solo dolore agli altri, la bestia: lo logorava, lo dilaniava, infliggeva dolorose cicatrici a lui stesso, ogni volta. Solo uno stolto, che ignorava quali fossero le controindicazioni, avrebbe desiderato possedere un’abilità come la sua. Un potere che conduceva alla morte coloro che venivano marchiati dal suo tocco, e che conduceva a un destino ben peggiore il suo possessore. “Siete speciali, non dimenticatelo. Ciò che oggi avete visto è stato possibile solo grazie ad ognuno di voi.” Cosa c’era di speciale in quello? Cosa poteva esserci di meraviglioso nel sopravvivere pagando il prezzo più alto? Non era la particolarità distruttiva di Adam a renderlo speciale, lo era la sua bontà d’animo. Non era la capacità di dar vita ai propri disegni a rendere speciale Engy, ma la sua attitudine a divenire per gli altri una luce, quando tutto diveniva buio. Non era la telepatia la parte più bella della mente di Elias, ma la sua genialità. Non era l’indistruttibilità la forza di Fae, ma la sua capacità di provare paura nonostante tutto, di essere umana. Nessun tipo di persuasione avrebbe potuto prevalere su ciò che Tori lasciava fluire direttamente dal proprio cuore. Era luce, Ingrid, ma non come quella che grazie alla sua particolarità riusciva a creare: era calore, in grado di sciogliere anche il più rigido dei ghiacci. Non erano i canoni creati, così come le regole, da quel sadico burattinaio a renderli speciali. C’era altro che li rendeva ciò che erano, altro che aveva permesso loro di sopravvivere. Ma questo, quel cieco architetto, non avrebbe potuto vederlo. Nonostante tutto, non tutte le variabili che aveva calcolato erano esatte. Si muoveva tra i loro corpi immobili, quel codardo, mostrando loro quale fosse la capacità in grado di fargli credere di potersi elevare al di sopra dei suoi burattini, di muoverli e plasmarli come un superbo giocattolaio. Non era che un parassita, lui, che aveva sfruttato tutti loro per il suo sadico spettacolo, che aveva mosso quelle loro particolarità portandoli all’esasperazione. “Quando metterete piede fuori di qui, saprete di essere vivi, saprete che le vostre capacità vi hanno salvato la vita. Nessuno, e ripeto: nessuno di voi potrà fare qualcosa contro tutto questo. Evitate imprese eroiche, evitate di raccontare all'amica; evitate di parlare con il vicino, con il poliziotto di fiducia. Potete farlo, siete liberi di farlo. Ma niente cambierà.” Eccolo, infine, il sadico colpo di grazia. Nulla avrebbe fatto male come mettere fine alle loro speranze. Affermare che lottare non sarebbe servito a cambiare le cose, ad avere una rivalsa, ad evitare che cose come quelle si verificassero di nuovo, corrispondeva ad uccidere. Perché anche quando la speranza moriva, tutto perdeva di senso. Disse che sarebbe passato, tutto ciò, che sarebbero guariti. Eppure quella grave sconfitta avrebbe lasciato una profonda cicatrice, che aggiunta alle altre che ciascuno possedeva, li avrebbe minati per sempre. Sgranò gli occhi, quando l’uomo si avvicinò a Fae e prese il suo braccio. Chiuse gli occhi, pur di non guardare. Il suo corpo, la sua mente, il suo cuore, imploravano semplicemente che quella tortura finisse. Non aveva più forza di combattere, di vedere l’ennesima speranza infrangersi, di ascoltare l’ennesimo sermone sull’essere speciali. Avrebbe voluto solo sprofondare, dimenticare, trovare quiete, anche solo per un istante. Avrebbe solo voluto illudersi di non essere ciò che in realtà era già diventato. “Guarda, neanche tu sei invincibile. Non aver paura di quello che sai fare. La morte non è la maledizione di cui tutti parlano.” Incrociò il suo sguardo gelido e pieno di soddisfazione. Aveva ottenuto la sua vittoria, che per Ivar non era che una consapevolezza già consolidata. Non si era mai sentito invincibile, non lo era mai stato. La morte non era la maledizione che gli altri potevano conoscere, quella era la sua maledizione. Poteva donare la morte o decidere di non farlo, lasciarla mietere o contenerla. Era quella scelta la vera maledizione, la consapevolezza di poter solo dettare le regole che lui stesso cercava di aggirare. Non era invincibile Ivar, era l’esatto opposto: la sua condanna era quella di essere eternamente sconfitto, e di dover portare il peso delle conseguenze sulle spalle, come Atlante, affinché queste non si abbattessero su coloro che amava. Continuò la sua marcia, il loro aguzzino, beandosi dello spettacolo a cui avevano partecipato mossi da fili invisibili, e il cui copione era già stato scritto. Riacquistare la capacità di muoversi non lo fece stare meglio. Non era solo del suo corpo che aveva perso il controllo. I suoi sentimenti giacevano scomposti e spezzati, come vetri caduti dal bordo del dirupo, frantumati in fondo all’abisso. Alcuni di quei pezzi avrebbero difficilmente ritrovato il loro attacco, altri sarebbero divenuti giochi per la bestia, che li avrebbe sparpagliati ancora più lontano, e li avrebbe dispersi negli oscuri meandri del suo inconscio. Sospirò, sfinito, poi tutto scomparve.

    C’era silenzio. Per un attimo credette di essere morto davvero, che l’agonia fosse finita, o che quello fosse stato solo un brutto incubo. Ma le luci fioche della Spieghelhaus illuminarono abbastanza i volti dei suoi compagni, le loro ferite, le loro lacrime, da dargli la consapevolezza di essere semplicemente tornati nel luogo da dove erano partiti. Il dolore che nel suo corpo sembrava aumentare ad ogni movimento non faceva che rendere più reale quella consapevolezza. Non si sarebbe svegliato, trovando le cose come le aveva lasciate. Tutto sarebbe cambiato, come tragico risultato di quegli eventi. Ciò che si era spezzato, non poteva essere riparato. Lo sguardo corse al cadavere che giaceva riverso sul pavimento, al suo sguardo perso nel vuoto, forse rimasto intrappolato nell’incubo che egli stesso aveva creato, al sorriso di chi aveva vinto. Non sarebbe stato l’unico forse, a rimanere intrappolato in quell’illusione, l’uomo che era stato vittima e carnefice allo stesso tempo. Non riuscì a provare pietà per lui comunque, Ivar, così come non riusciva a provarne per se stesso. “Perché?” Chiese Fae in un sussurro. C’erano mille possibili risposte a quella domanda, mille ipotesi da contemplare, mille modi in cui interpretare quel quesito. Ma la forza di combattere sembrava averlo abbandonato così come la voglia di trovare le risposte alle domande che si era sempre posto. Nulla sembrava avere più senso, nulla seguire più una regola. Si veniva eliminati, quando si contravveniva alle regole del gioco, senza possibilità alcuna di ritentare. E il vuoto che la pedina lasciava sulla scacchiera, non poteva essere colmato. “Andiamocene di qui”. Disse semplicemente, rialzandosi come un automa, senza nemmeno contemplare le espressioni dei suoi compagni di sventura. Avrebbero lasciato che le ferite sui loro corpi si rimarginassero, che divenissero solo segni sulla pelle. Ma le cicatrici e gli spazi vuoti che quella nottata di follia aveva arrecato loro sarebbero rimasti, indelebili, incolmabili, scolpiti in uno spazio del loro animo che prescindeva dal tempo e dalla coscienza.

    Il cuore è un muscolo che non si ferma mai. E’ in grado di pompare di continuo litri e litri di sangue, alimentando l’intero corpo per anni come un motore fondamentale. Ogni piccolo danno su quel muscolo si cicatrizza. Ma nonostante la sua perfezione, e la sua capacità di resistere anche a un ritmo raddoppiato, un cuore pieno di cicatrici alla fine smette di battere.
     
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    I’m falling apart, I’m barely breathing. With a broken heart.

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    Grazie a tutti gli utenti che vi hanno partecipato!
    Sapete benissimo quanto ci abbia entusiasmato e quindi un grazie di cuore va a tutti voi e i vostri meravigliosi pg! :luv:

     
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