Find me where the wild things are.

levi x ophelia

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +4   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    222
    Reputation
    +453

    Status
    Anonymes!
    Wv4c2Yj
    Bow your head, they're pious here, but you and I, we're pioneers; we make our own rules, our own room, no bias here.


    « Ricordi cos'è successo l'ultima volta che non sei venuto a lavoro, Kvist? »
    Levi ricordava benissimo a quando risalisse la famosa ultima volta di cui parlava Misha, erano soltanto i ricordi legati a quella serata a risultare un po' annebbiati. San Valentino. Si era preso la giornata libera – con una scusa degna del peggior attore da bettola – per presenziare a quella festa disagiatissima organizzata al Bolgen, alla quale aveva trascinato anche il suddetto collega e, grazie ai video messi successivamente in circolazione, sapeva di aver fatto una figura pessima al karaoke.
    Da allora non aveva preso altri giorni di ferie, immergendosi a capofitto nel lavoro, chiuso fra le quattro pareti del proprio angolino radiofonico; questo era il motivo principale per cui si era intestardito ed aveva di conseguenza deciso di non presentarsi in radio quel giorno.
    Aveva chiamato Misha per avvertirlo, senza immaginare che quest'ultimo gli avrebbe fatto la paternale circa quella condotta così ‘indecente’ e, dopo almeno due minuti di chiacchiere senza senso da parte del suo interlocutore, aveva premuto il tastino rosso sul display crepato del malridotto Iphone 6, interrompendo la comunicazione nel bel mezzo del discorso. Non avrebbe permesso a quel rompiscatole, finto astemio e guastafeste di rovinargli il buonumore, inoltre aveva pre-registrato la puntata di Bedtime Stories da mandare in onda quella sera stessa, in previsione della propria assenza.
    Sdraiato sul letto ancora disfatto dal mattino, con le lenzuola blu aggrovigliate fra le gambe distese ed il ventre premuto contro al materasso foderato del medesimo colore, dal portatile al quale era collegato inviò l'e-mail con il file della registrazione in allegato.
    Avrebbe dovuto impiegare il tempo libero mettendo in ordine la barca che definiva ‘casa’, soprattutto per le condizioni incresciose in cui versava la zona notte, ma dopo un intero pomeriggio passato a Bergen, prima in palestra e successivamente in campo, a causa degli allenamenti resi più intensi in vista di un'importante partita, non riusciva che a pensare allo svago.
    Fece partire una playlist musicale dal computer, contenuta in una cartella denominata egocentricamente con il suo stesso cognome e, seppure controvoglia, scivolò giù dal letto.
    Innanzitutto, si sarebbe cambiato; niente di troppo chic, avendo già deciso di chiudersi dentro al pub, ma non si sarebbe neppure presentato in tuta da ginnastica.
    L'armadio a due ante contenente i vestiti era poco più alto di Levi e, come ogni altro pezzo d'arredamento lì dentro, era incastrato alla bell'e meglio tra la parete e la minuscola scrivania stracolma di cianfrusaglie così da ottimizzare il più possibile lo spazio; aveva dovuto inserire uno specchio al suo interno, dal momento che il bagno risultava pressoché inesistente, perciò non appena fiondò il capo all'interno del mobile, si ritrovò faccia a faccia con il proprio riflesso imbronciato. I capelli, finalmente ricresciuti da quando aveva deciso di spuntarli, cadevano morbidamente su di una parte di fronte, sebbene non raggiungessero più la spessa montatura degli occhiali da vista e la barba, finalmente accorciata, non trasudava più trasandatezza.
    Si lanciò un'ultima lunga occhiata, distorcendo le labbra in una smorfia buffa rivolta a se stesso e prese i capi con cui si cambiò subito dopo, affrettandosi per paura di cambiare idea e rimanere così a poltrire sul divano.
    Sostituì i pantaloni comodi e larghi con un paio di skinny jeans neri stracciati sulle ginocchia e un pesante maglione nero prese il posto della felpa talmente lisa da risultare bucherellata in più punti — prima o poi si sarebbe convinto a buttarla via o a declassarla a pigiama, ne era certo.
    Mentre le Bananarama diffondevano la loro Venus in quella parvenza d'abitazione, costringendolo a cantare, richiuse con un colpo del fianco l'armadio, ormai muovendosi a tempo con la canzone e si mise a cercare le scarpe. Più di una volta si era ritrovato a lamentarsi per aver indossato delle sneakers nonostante la sabbia o la neve, perciò decise di andare sul sicuro ed optò per dei pesanti anfibi neri a prova di intemperie, allacciandone bene le stringhe una volta infilati con qualche difficoltà.
    Sistemò gli occhiali sul naso, spingendoli distrattamente con l'indice — ormai era talmente abituato alle stecche allentate da non fare neppure più caso a quel movimento — ed afferrò il cellulare dal letto assieme alla giacca scura, chiudendo il computer con un colpo ben poco delicato della mano e bloccando così di colpo la musica imbarazzante trasmessa dagli altoparlanti.
    Mentre indossava l'indumento, finì per sbloccare per sbaglio il telefono, premendo l'unico bottoncino presente sul display e per attirare di conseguenza l'attenzione dell'inutile assistente digitale. Borbottò un « Siri, stasera sono un gran figo » con una risata, la quale morì al robotico « Non ho capito », che gliela fece odiare ulteriormente, convincendolo sempre più che fosse stata creata più per perculare che per aiutare.

    Soltanto una volta raggiunto il pub, riprese il cellulare fra le mani. Si era seduto ad uno degli alti sgabelli del bancone, il solito su cui era solito appollaiarsi durante le serate alcoliche e aveva di fronte a sé una pinta di birra scura, insieme ad un cestino di patatine fritte. Alzò lo sguardo dallo schermo illuminato solo quando sentì di fianco a sé una presenza, ritrovandosi di fronte a Søren, il vecchio ubriacone che, solitamente, lo incitava a far baldoria, quindi scosse il capo energicamente arricciando le labbra sottili in sua direzione.
    « Non oggi, Satana » non aveva intenzione di bere come al suo solito, non da quando Dana era nei paraggi a tenerlo d'occhio e soprattutto sentendosi così in forma, per una buona volta, perciò scese dallo sgabello e raccolse le proprie cose, indirizzando un'occhiolino verso l'anziano mentre si allontanava, addentrandosi nel locale. Dopo aver sgomitato per passare tra i vari avventori, si lasciò cadere su di una delle panche sistemate in fondo alla sala, nei pressi dei due tavoli da biliardo ed appoggiò il boccale e il cibo sul piccolo tavolino rettangolare in legno, approfittando dello spazio acquisito per togliersi la giacca e mettersi a proprio agio; si appoggiò con le spalle ampie contro allo schienale alto, utilizzato principalmente come separè tra le varie sistemazioni e si trovò a tamburellare a terra con un piede allo stesso ritmo della musica rock sparata dalle casse, mentre scrutava con aria disinteressata i coetanei o clienti più adulti interagire fra di loro.
    Non era mai stato un problema, per lui, uscire da solo, tuttavia spesso finiva per annoiarsi e di conseguenza per studiare gli altri dal proprio angolo isolato o per attaccare bottone con chiunque, in caso fosse di umore particolarmente decente.
     
    .
  2.     +5   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,188
    Reputation
    +1,555
    Location
    Al di là dei sogni

    Status
    Anonymes!
    tumblr_ou4vjvu2QB1w5vqrno2_250
    Ophelia Jensen-Spector | 24 | proiezione mentale | sheet
    La linea che separa i sogni dagli incubi è sottile come un ago e ben presto le ombre del passato tornarono a presentare il conto.

    Seduta alla scrivania della sua camera, Ophelia guardava la pagina vuota del suo blocco consapevole di non saper cosa disegnare. Il professore, aveva dato loro il compito di studiare un nuovo oggetto di uso comune e lei, aveva deciso di svolgere quella ricerca sfruttando le sue conoscenze e quelle del padre: avrebbe disegnato un nuovo boccale per la birra. Inizialmente l'idea le era sembrata valida, anche perchè poteva effettivamente risultare utile al mondo ma poi, quando si era ritrovata a fare svariate ricerche sul campo, si era resa conto che quell'argomento era stato ormai studiato in più versi. Ogni volta che cercava di disegnare qualcosa, di dare forma a delle semplici linee sulla sua pagina bianca, Ophelia tornava a prendere la gomma da cancellare ed eliminava tutto, come se i suoi schizzi non fossero mai esistiti. Lo faceva raramente, di cancellare le sue idee anche perchè, se non erano tornate utili in quel momento, lo sarebbero potute stare successivamente ma quel giorno, aveva quella sorta di blocco del designer, che le impedivi di fare qualcosa in modo lucido e decente.
    Aahh! Quanto ti odio imprecò la giovane ragazza dai capelli albini, prima di chiudere con un tonfo sonoro il suo diario e dirigersi in studio dal padre, prendendo borsa e sciarpa con sè. E' ufficiale, ho avuto una grande idea di merda! esordì, guardando suo padre vitrea. Erano due settimane che provava a disegnare qualcosa di decente ma niente, era come se la sua musa ispiratrice fosse stata rapita dai folletti e lei, era capace soltanto di fare piccoli scarabocchi storpi non degni neanche di una bambina di cinque anni. Non ci riesco, niente.. KO, la mia fantasia è morta, M O R T A ! scomparsa nel niente, puff! suo padre la osservava con faccia seria, in silenzio. Ophelia sapeva che stava ridendo dietro i baffi, come succedeva ogni qualvolta che la ragazza aveva quelle crisi artistiche che la facevano sembrare semplicemente umana. Tesoro, non tutti i giorni possono essere uguale e tu, non puoi sfornare sempre qualcosa di nuovo e di perfetto. Prima le borse, poi il tuo shop online, poi la scuola.. ognuno ha i suoi momenti critici e tu mi sembri più che destinata a fare questo lavoro e a trovare sempre qualcosa di nuovo! fece una pausa l'uomo, sospirando ed osservando la sua bambina, piegando leggermente la testa, mentre lei si appoggiava con le braccia incrociate, allo stipiti di quella porta che ancora non aveva varcato. Esci, vai a prendere un pò d'aria, smetti di pensare a quel compito che devi fare e lascia la tua mente vagare libera.. è così che ti vengono le idee migliori, quando non ti focalizzi ed impunti per forza su qualcosa!. Oh.. lo so, ma devo consegnare il compito e per preparare una tavola grafica decente ci vuole del tempo, anche a disegnarlo e io... Amore, respira. Ci riuscirai, come fai sempre e se per una volta non otterrai il massimo dei voti, so che la volta dopo ci riuscirai di nuovo! E soprattutto.. cerca altro! se con la tua idea non hai avut fortuna, pensa anche a qualcos'altro, non esistono soltanto i bicchieri su questa terra!. Robert aveva ragione ed Ophelia lo sapeva bene, eppure ogni volta che non riusciva a fare qualcosa, per lei era una sorta di sconfitta. Esco! esclamò infine, sorridendo di un sorriso sconfortato al padre Pasticcino?! Ophelia si girò verso di lui, osservando il padre fare quel gesto di conforto che si facevano da sempre, da quando quel due era divenuto l'unico polo famigliare: indice e medio uniti, poggiati sulle labbra a dare un bacio e poi, indirizzati verso la persona amata. Quel loro gesto intimo, fece sorridere adesso in modo più dolce la ragazza che uscì di casa con un peso diverso sul cuore.

    Non sapeva bene dove andare, Ophelia. Aveva lasciato casa, lasciandosi anche i pensieri alle spalle e adesso si ritrovava a camminare da sola per la strada senza avere realmente una meta. Era abituata lei, a camminare ed adorava farlo, i chilometri non la preoccupavano e quando non aveva voglia di passeggiare, Ophelia si spostava in bicicletta. Non doveva pensare al compito, così che il compito si facesse vivo in lei quando era più opportuno eppure, non avere una meta o una persona da raggiungere non aiutava certo la sua mente a pensare ad altro. Fuori, faceva abbastanza freddo nonostante la primavera avesse ormai bussato alle porte e quando il sole calava, la brezza si faceva più tagliende. Si strinse nelle spalle, cercando di chiudere ancora di più il cappotto scuro e osservò, poco lontano da lei, una coppia bisticciare. Chissà che cosa era accaduto tra i due, lui spavando era appoggiato ad una ringhiera mentre lei, difronte a lui sembrava inveire contro il ragazzo. Certamente lui non aveva l'aria di uno che si sentiva colpevole nei confronti della ragazza mentre lei, aveva le guance paonazze dalla rabbia e a breve, delle lacrime avrebbero cominciato a scorrere sul suo volto, poteva percepirlo Ophelia dal timbro tremolante della sua voce. Probabilmente, erano appena usciti dal pub che era a qualche mentro da loro, l'Egon. Ophelia frequentava quel posto quando stava con Il Moro, uno di quei cocktail bar alla moda, dove riuscivi sempre a trovare qualcuno con cui chiacchierare oppure, se single, qualcuno da approcciare. L'Egon era sicuramente il pub più famoso e frequentato di Besaid ma Ophelia, prima di conoscerlo tramite Il Moro, non c'era mai stata perchè preferiva le caffetterie o le teerie. D'altronde all'epoca della sua prima, vera relazione, era soltanto una ragazzina e facendo esclusioni per le grande feste lussuriose a cui partecipava con la famiglia, la ragazza teneva un profilo abbastanza basso e si divertiva con facilità. Uno dei suoi divertimenti preferiti ad esempio, era fare pigiama party con Astrid a base di pizza, film e musica a tutto volume da ballare e cantare come se non ci fosse un domani, confessioni segrete da regalarsi. Quel posto, era frequentato da persone più grandi dell'allora diciassettenne Ophelia e soltanto quando ebbe compiuto la maggiore età, con l'amica iniziò ad andare di tanto in tanto in quel luogo, alla ricerca di qualche ragazzo da guardare e di qualche risata da fare.
    Lasciandosi alle spalle la coppia che adesso stava abbassando la voce, sembrando ritrovare una certa intesa di pacifica, Ophelia si ritrovò davanti all'ingresso del pub. Esitò qualche secondo, osservando la porta massiccia che gli concedeva un'aria importante, prima di decidere di varcare la porta. Aveva paura, di incontrare Il Moro e nonostante fossero passati ormai due anni dalla fine della loro realazione, Ophelia non si sentiva ancora pronta ad affrontarlo. Troppe cose erano successe in quel periodo di due anni fà, troppe cose che l'avevano distrutta, lacerata dentro e che non aveva avuto il coraggio di affrontare e buttare alle sue spalle, piuttosto aveva preferito fare finta di niente e continuare a camminare per la sua strada. Il dolore per la fine della sua storia, una storia che andava a gonfie vele, con i classici alti e bassi di ogni relazione, terminata per un qualche stupido - ma gigante - motivo, un'amicizia perduta e racchiusa nel ricordo della sola sua persona. Era stato troppo, per lei, troppo sommato alla perdita della madre, così tanto da riaprire ogni ferita che era sepolta in lei e così violenta da farle mancare il fiato e farla cadere in stati di ansia e panico troppo acuti per poterli sopportare. Le capitava avvolte di svegliarsi nella notte urlando, sudata come non mai e l'unica volta che aveva provato a guidare una macchina, il cuore sembrava essere imploso nel suo torace impedendole di andare oltre qualche metro già compiuto. Da allora, Ophelia aveva tenuto un profilo così basso, da essere quasi un fantasma per la cittadina: frequentava l'università, disegnava moltissimo, passava da Ivar per studiare i modelli o leggere un pò di lezioi ad alta voce, così da istruire anche il ragazzo, accompagnava il padre alle degustazioni e, di tanto in tanto, usciva con qualche amica ma Ophelia, non riusciva più a divertirsi e a godersi le cose come faceva un tempo. Era come se un ingranaggio dentro il suo corpo si fosse rotto e, nonostante provasse ad aiìggiustarlo non funzionava comunque bene. Aveva imparato a convivere con quella sua nuova situazione e suo padre, seppur all'inizio la spronasse, ormai ci aveva perso le speranze perchè ogni volta che lei esagerava, gli attacchi di panico o ansia la raggiungevano.
    Una volta carcato l'ingresso, Ophelia fece un restiro cercando di darsi forza da sola e poi, si osservò intorno alla ricerca di lui che, fortunatamente non c'era. Guarda chi si rivede da queste parti! uno dei ragazzi dell'Egon, la salutò mostrandosi stupito. Il Moro era un'abituè di quel posto e conosceva veramente tutti: lì si dirigeva per compiere le sue marachelle, per farsi vedere, per conoscere qualcuno e lì, aveva conosciuto anche Ophelia. Al pub conosceva tutti e aveva sempre il suo posto preferito riservato, lui ed i suoi amici erano degli ottimi consumatori per il pub ed il proprietario, se li teneva cari visto che quello era il luogo dove facevano il pre-serata o dove passavano le sere più traquille, tra giochi a freccette, biliardi e bottiglie su bottiglie di alcolici consumate. Hei ciao! tutto bene? domandò lei, piuttosto imbarazzata di quella situazione, dato che aveva sperato di essere stata dimenticata dal mondo del Moro, cosa del tutto impossibile dato che i due, per tre anni, erano stati inseparabili. Non pensavo che ti avrei rivista qui ammise, osservandola divertito bhè, siete il miglior pub della città, mica posso lasciarmi sfuggire la possibilità di bere i migliori cocktails! affermò, cercando di stemprare quella tensione che si era creata in lei ordina al bar! esclamò, prima di salutarla con un occhiolino e dirigersi verso dei ragazzi seduti ad un tavolo, pronti per ordinare. Fortunatamente i baristi cambiavano, i camerieri cambiavano e quello con cui si interfacciò al bancone, non era nessuno di sua conoscenza fate ancora quel cocktail a base di Gin, Champagne, creme de Cassis e limone? domandò, appoggiandosi al bancone Oh, certo, il M.me Butterfly! esclamò, pronto a mettere in moto gli strumenti per preparare la bevuta chiesta dalla ragazza gliela offro io! urlù il cameriere che poco prima aveva salutato Ophelia, facendole un occhiolino, prima di sparire nuovamente tra i tavoli. Ophelia sorrise, quando il barista la guardò curioso e non proferì parola per sfamare la sua sete di sapere, salutandolo con un semplice Grazie! quando ebbe finito di preparare il cocktail. Con la coppetta alla mano, Ophelia di diresse verso la parte più sul retro del locale, dove c'erano gli intrattenimenti che un tempo l'avevano fatta tanto divertire: il tavolo da biliardo e le freccette; nel secondo era decisamente una schiappa, ogni volta rischiava di sfregiare qualcuno mentre nel biliardo, alla lunga ci aveva preso mano e non era poi così tremenda. Sorrise, ricordando il gruppo che erano un tempo, prima di far fuggire il suo sguardo per tutta la sale ed incontrare la sagoma di una persona che, conosceva. Levi Kvist! esclamò, avvicinandosi a lui, consapevole che altrimenti si sarebbe buttata su di un divanetto a rimpiangere ciò che era stata. Posso? Oppure sei in compagnia? domandò, indicando con un gesto della testa il tavolino e la seduta libera affianco a lui. Ophelia e Levi si conoscevano fin da bambini, quando ancora ragazzini innocenti giocavano a costruire castelli di sabbia o a biglie, nel parco vicino alla zona residenziale di Besaid. Ophelia, andava all'asilo con la sorellina di Levi, Dana e dopo la partenza di questa, il rapporto tra i due ragazzi si limitava all'essere cortesi l'uno verso gli altri, anche nel rispetto delle famiglie che si conoscevano reciprocamente. Come va? A casa tutto bene? La prossima volta che tua madre tornerà in città ci piacerebbe venire a salutarla le classiche domande che si scambiavano, tra Levi, Ophelia e Robert Spector.

    Edited by charmolypi - 12/4/2018, 18:22
     
    .
1 replies since 20/3/2018, 18:42   202 views
  Share  
.
Top
Top