Is there anybody who can help me?

Libera

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. :Jaci:
        +5   +1   -1
     
    .

    User deleted


    OHr7vp8
    Kirsten Haugen ▸ 29 ▸ Idrocinesi


    Il viaggio verso Besaid si stava dimostrando più lungo e faticoso del previsto per coloro che lo stavano intraprendendo, soprattutto per una vecchietta come Bassy. Ormai prossima a raggiungere i 200000 kilometri, la povera auto di Kirsten sembrava aver deciso di iniziare a fare i capricci proprio durante quell’impresa titanica che la vedeva accingersi a raggiungere, guidata dalla sua inseparabile proprietaria, la cittadina norvegese.
    “Ti prego, ora si può sapere che problema hai? Cosa significa quella lucina accesa? La benzina non ti manca, la cintura la porto, i fari sono accesi, cosa vuoi?”
    Abile nel maneggiare sostanze chimiche, Kirsten non era mai stata una grande appassionata di auto e il fatto che negli ultimi dieci anni avesse affidato tutti i suoi spostamenti alla vecchia Bassy ne doveva essere il chiaro indice. Sapeva che aveva quattro ruote, un motore da qualche parte e funzionava con il carburante, facile no? In molti, una volta raggiunta un’agiatezza economica, le avevano fatto presente che forse era arrivato il momento dell’ultimo viaggio verso la rottamazione per l’utilitaria rosso fiammeggiante, tuttavia il veicolo in questione aveva un valore affettivo per la giovane. Bassy era la sua prima auto e, per molto tempo, anche la sua migliore amica. A chi confidare, se non a lei, tutti i suoi problemi e le sue preoccupazioni? Chi in un mondo fatto di sciacalli e opportunisti non ti giudicava? Semplice, la tua auto e tutto per il semplice fatto che essenzialmente non aveva il dono della parola.
    “Resisti ancora un po’, appena arriviamo cerchiamo un dottore che ti dia un’occhiata.”
    Con lo sguardo fisso sulla strada, la ventinovenne portò la mano verso la vecchia radio per spegnerla, non ne poteva più di sentire di nuovo quell’orrenda canzoncina portoricana, a furia di sentirla su ogni stazione radio possibile e immaginabile si era ritrovata a canticchiarla! Sperava solo di spurgarsi il cervello prima di tornare a lavoro, non ci teneva proprio a ritrovarsi a sculettare sotto il camice per quella roba che le aveva fottuto il cervello. Don’t judge me, people!
    Il silenzio che ora regnava nell’abitacolo dell’utilitaria la portò a poggiare la nuca contro il poggiolo del sedile e a rilasciare un leggero sospiro, era da troppo che non staccava la spina dal lavoro e questo l’aveva portata a vedere sempre più di rado anche Elektra.
    Senza la voce decisa e autoritaria della madre dell’amica a colpirle i timpani, Kirsten iniziò a pensare a quanto le aveva detto la donna, non la stupiva che l’ex avvocato si fosse mossa in prima persona per sistemare la situazione di quella che sembrava, da quanto aveva capito, un’eredità inattesa, tuttavia, il fatto che stesse indugiando tanto a fare ritorno la impensieriva e la turbava al tempo stesso. Non riusciva, la giovane dai capelli di luna, a catalogare quella notizia tra le buone o le cattive, non ancora, ma lo avrebbe fatto presto. O almeno così sperava.
    Il suonare del cellulare la spinse ad abbandonare qualsiasi riflessione facendole comparire, non appena inquadrato il nome sul display, un sorriso felice. Portare la mano all’orecchio e premere il pulsante dell’auricolare fu il preludio di quella che sarebbe stata una lunga chiacchierata ristoratrice, senza offesa per Bassy, un rituale che si consumava ormai da anni, per la precisione da quando aveva abbandonato la sua dimora a Stavanger.
    “Mor, non sono ancora arrivata, come è stata la tua giornata?”

    “Alcune strade portano più ad un destino che a una destinazione”



    Quando Kirsten oltrepassò i confini di Besaid la sera stata ormai calando sulle terre norvegesi. L’insegna riportante il nome della cittadina venne degnato appena di una carezza dagli occhi di nocciola della viaggiatrice che, rallentando, si inoltrava lungo le strade sconosciute ma non per questo meno apprezzabili. Non avrebbe mai potuto pensare, dalla normalità che le si parò dinanzi, che quella città celasse un grande segreto, qualcosa che l'avrebbe cambiata o semplicemente completata.
    Non ci volle molto, una volta superata la linea invisibile che divideva Besaid dal resto del mondo, per trovarsi all’interno di una deliziosa cittadina che, almeno a un primo studio da parte di occhi stranieri, sembrava possedere tutto quello di cui si aveva bisogno.
    Facendo saettare lo sguardo in giro la straniera non poté fare a meno di confutare quella che era stata la sua prima teoria sul posto, non era il luogo sperduto e dimenticato dalla civiltà che Kirsten aveva pensato potesse essere anzi, al contrario, quelle casette colorate sembravano avere un’aria deliziosa così come i vari negozietti nulla avevano da invidiare a quelli di Oslo. Sicuro erano meglio di quelli di Stavanger.
    Un rumore metallico sinistro la portò a interrompere la contemplazione del posto e farle abbassare lo sguardo verso il quadro della macchina sul quale la luce – fedele compagna di gran parte di quel viaggio – sembrava aver assunto un’aria più minacciosa che mai specialmente quando, dopo un paio di singhiozzi strozzati del motore, la vecchia Bassy decise di abbandonarla e spegnersi.
    “No, no, NO. Dai, siamo arrivati, un altro piccolo sforzo, non so dove andare, non puoi abbandonarmi così!”
    Vani furono tutti i tentativi di riavviare la vettura, era sola, in mezzo a una città sconosciuta senza la più pallida idea di dove fosse esattamente – no, ok, quello in realtà era facilmente risolvibile grazie allo smartphone ma non era quello il punto – e con la macchina rotta.
    Recuperata la borsetta e il cellulare, non le rimase altro che scendere iniziare a guardarsi un po’ intorno per trovare aiuto o almeno un briciolo di indicazione su dove andare.
    Chiuse la macchina, come se qualcuno avesse mai potuto pensare di rubargliela, fermo restando che tanto al momento non sarebbe comunque riuscito a metterla in moto, per poi avviarsi verso quello che aveva l’apparenza di essere un pub.
    I lunghi capelli lunari oscillavano dietro la schiena fasciata da un giacchetto di pelle nera sotto il quale, senza troppi sforzi, era possibile scorgere una magliettina bianca a stampo nerd sulla quale era stampata una serie alfanumerica “1N73LL1G3NC3 15 7H3 4B1L17Y 70 4D4P7 70 CH4NG3 – 573PH3N H4WK1NG” con caratteri neri, non appena l’aveva vista in un mercatino rurale ad Oslo, non aveva potuto fare a meno di acquistarla. Ad essere sincera, ora che si era trovata in quella situazione, era più contenta di indossare quella rispetto alla gemellina che recitava “Not cute, just psycho”.
    Con le bikers nere un po’ consunte e i jeans saggiamente strappati in punti strategici, Kirsten si guardò un attimo intorno per poi entrare all’interno di quello che sembrava un locale notevolmente affollato.
    Guardarsi intorno fu pressoché istantaneo, il pub in questione era davvero molto carino, l’ambiente aveva qualcosa di calamitante ma non per questo ebbe il potere di farla sentire meno in soggezione, insomma nella sua testa il piano era semplicissimo: entri, chiedi indicazioni, prendi qualcosa da bere per ricambiare la cortesia, chiedi anche di un meccanico, prendi un altro bicchiere, vai via.
    Peccato che l’attuazione potesse dimostrarsi più difficoltosa del previsto, guardandosi intorno con fare sperduto, Kirsten cercò di individuare qualcuno cui chiedere notizie ma, come era prevedibile, quello doveva essere l’orario di punta e a giudicare dai cartelli che annunciavano un qualche incontro sportivo in diretta la situazione non avrebbe fatto altro che peggiorare.
    Fallendo miseramente nel provare a intercettare una cameriera con vassoio colmo di bicchieri di birra al primo tentativo e vedendo scemare anche il suo secondo approccio che l’aveva vista provare ad avvicinarsi a un tizio seduto a uno sgabello salvo arrestarsi e demordere non appena lo aveva visto singhiozzare su un bicchiere di non sapeva bene cosa, Kirsten si avvicinò al bancone sperando di riuscire almeno a far pena al proprietario, voleva solo una dannata informazione
    “Mi scusi…”
    Forse doveva alzare un po’ la voce giacché il tizio pochi passi più in là aveva deciso di urlare a squarciagola il nome di qualcuno appena entrato
    “Mi scusi… non è che potrebbe…”
    Era forse diventata invisibile o muta? E pensare che di tipe con i capelli silver non ce ne erano molte in giro! Per una volta che le sarebbe stato utile saltare nell’occhio, questo non accadeva. Che mondo crudele!
    “Qualcuno può darmi un’informazione? Voglio solo un meccanico e un’indicazione… solo questo! E sono rimasta a piedi...”
    Il tono più deciso utilizzato per la prima parte della frase andò scemando diventando una sorta di supplica sul finale mentre, togliendosi la borsa da tracolla, Kirsten si sedette su uno degli sgabelli con tanto di sospirone abbattuto.

    Edited by :Jaci: - 6/5/2018, 14:08
     
    .
  2.     +5   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    6,114
    Reputation
    +423

    Status
    Anonymes!
    tumblr_inline_oj8jjrNcPo1tvu499_400
    Aveva ancora un altro appuntamento, prima di chiudere quella giornata dissacrante: l'ultimo suo paziente era quel ragazzino che aveva all'incirca 22 anni e parlava un sacco. Gli rendeva sempre il lavoro molto semplice, mentre registrava le loro conversazioni e si appuntava le cose sul suo block notes. Jesper adorava il suo lavoro, e si appassionava anche ai suoi pazienti a cui prescriveva sempre terapie personalizzate senza l'uso di psicofarmaci, se non ai casi più estremi. Nella sua carriera, comunque, aveva prescritto le benzodiazepine solo un paio di volte, essendo contro ai molteplici effetti collaterali che quelle sostanze davano, e poi, come ogni bravo psicoterapeuta, quello era solo un palliativo al problema reale.
    La porta bianca si spalancò e un tipetto dai capelli tutti ritti sulla testa di colore nero come il carbone entrò, facendolo sobbalzare sulla sedia.
    Uè, Doc. Alzò un braccio, scuotendo energicamente la mano e sorridendo al dottore che per poco non si era beccato un infarto. Jesper odiava la gente rumorosa, ma Espen no. Era impossibile odiare quel coso smilzo, pieno di tatuaggi con la faccia da sedicenne che sembrava essere amico di qualsiasi abitante e di avere una sorta di predilezione per i film trash e il giornalismo.
    Jes sospirò, pigiando sulla penna per far uscire la punta per scrivere: Quante volte ti ho detto di non entrare qui in quel modo, Esp? Vuoi farmi prendere un infarto? Il suo tono calmo e basso andò ad ammonire il ragazzino che, senza aspettare che lo psicologo gli desse il permesso, si era lanciato sul divanetto.
    Il dottore alzò le sopracciglia, con fare che tradiva una certa sorpresa: in realtà, se lo aspettava, solo non voleva che il suo adorato divano venisse distrutto.
    Il ragazzo iniziò a parlare del più e del meno, mentre Jesper scriveva sul suo taccuino, annuendo e talvolta dando qualche consiglio o ponendo altre domande al paziente. Si era anche dimenticato che era quasi ora di cena, ma quando diavolo mangiava quel coso mezzo finlandese? Gesù... Ma sei venuto da me tre giorni fa... Dannazione, sei il coso più logorroico e attivo che conosco. Nemmeno io alla tua età... Ed ecco che gli partivano le paturnie che magari stava invecchiando se si faceva questi discorsi nella testa.
    Esp, dormi la notte? Era una domanda atta a capire come facesse a stare sveglio tutto quel tempo.
    Mh, sì. Due o tre ore a notte, che non ho tempo da sprecare. Devo studiare, andare alle feste, poi studiare ancora, un concerto di qua, uno di là... Le solite cose.
    Il dottore aveva alzato un sopracciglio, sconvolto: ma come faceva ancora ad essere in piedi? E dire che sapeva che si impegnava in tante cose. Lui si sentiva già stanco dopo una corsa la mattina e una giornata passata al lavoro, figuriamoci andare ad una festa.
    Allora, Doc, qual'è il consiglio del giorno? Si ritrovò il ragazzino seduto a gambe incrociate sul tavolo: Jesper allontanò leggermente la sedia dalla scrivania per fissare il viso del suo paziente che sembrava elettrizzato e sovraccarico di energie, invidiandolo. Lui voleva solo andare a morire a casa.
    Trovati una ragazza, Esp. Si alzò ed andò verso la porta, aprendola: non capiva perchè quel ragazzo continuasse a importunarlo, dal momento che gravi problemi non ne aveva. E dire che ne aveva di amici.
    Non appena Espen fu uscito, Jesper mandò a casa la sua segretaria, Jacqueline, si mise il cappotto e spense le luci. Chiuse l'ufficio e fu proprio lì che il suo cellulare squillò. Guardò lo schermo del cellulare e...
    Ma che vuole ancora? Che hai dimenticato, Esp? Chiese con tono calmo e gentile, anche se era letteralmente esasperato dopo una giornata di lavoro intenso.
    Uèèèèèèèèè, Doc... Ci viene ad una festicciola? Beviamo due birre, o tre... E su, vengaaaaaaa!!!
    Oh, Gesù... Solo una, ok?



    tumblr_inline_oj8jkqmN5G1tvu499_400
    Come sospettava, l'Egon era stracolmo di gente: un vero habitat urbano dove lui avrebbe potuto studiare la fauna locale, pezzo per pezzo. C'erano quelli che giocavano a biliardo, i malati di freccette, quelli che dovevano dimostrare di essere “uomini veri” scommettendo tutto sulle gare di braccio di ferro, squinzie varie che spettegolavano sulle varie e improbabili conquiste e poi c'era la combriccola di Espen che continuava a molestarlo con un “Hey, DOOOOOOOOOOOCCCC” palesemente tipico delle persone ebbre di alcol. Jesper, ad ogni “hey, doc” alzava il braccio, piegando il gomito, e mostrando il palmo aperto in un saluto cordiale, mentre un sorriso tirato ma pur sempre gentile si formava sulle sue labbra. Era pur sempre suo paziente, sebbene di tanto in tanto dovesse ricordarsi che lo era.
    Se ne stava lì a bersi una IPA amarissima e ad osservare le persone, come un silenzioso filantropo, o molto probabilmente per deformazione professionale.
    Finché il suo sguardo non cadde su una ragazza che non aveva mai visto a Besaid: aveva lunghi capelli color argento e aveva lo sguardo sperduto. La osservò avvicinarsi al bancone, sul punto di disperarsi, pensò lui.
    Mi scusi… Mi scusi… non è che potrebbe… Qualcuno può darmi un’informazione? Voglio solo un meccanico e un’indicazione… solo questo! E sono rimasta a piedi...
    In quel momento, lo psicologo si alzò, afferrando la sua birra e buttando giù l'ultimo sorso, si avvicinò al bancone e attirò l'attenzione del barista con una banconota da cinque corone, poi si voltò verso la ragazza e le sorrise.
    Se posso aiutarla, sarò felice di farlo, signorina. Un meccanico non credo sia possibile trovarlo a quest'ora. Se è rimasta a piedi, qui vicino c'è un bed and...
    Vennero interrotti dal suo paziente che sembrava euforico per qualcosa che lo psicologo ignorava: Jesper guardò il ragazzo sbattendo un paio di volte le palpebre, serio: Uè, doc, Marky ha tirato fuori il beer bong... vuole farsi una... Quando Espen si accorse della bella ragazza, rimase in silenzio, mentre la mandibola gli scivolava verso il basso. Io l'avevo detto... Gli basta una ragazza...
    Scusami, si emoziona nel vedere una bella ragazza... Esp, non è educato fissare la gente.
    Espen non sembrò riprendersi, a parte il riporre la mandibola al suo posto, così Jesper tornò a conversare con la bella fanciulla davanti a loro due. Mi chiamo Jesper. Jesper Debenham. Sarei felice di mostrarti il...
    Sei bellissima. Mormorò Esp, con gli occhi fissi ancora sulla ragazza, così Jes si voltò e ordinò un'altra birra, porgendola al ragazzino, così che si dedicasse a qualcosa. Niente, nemmeno l'alcol sortiva l'effetto sperato.
    Sì... Disse, incerto, guardando il suo paziente, per poi tornare sulla ragazza con un sorriso smagliante. Vuoi che ti accompagni al bed & breakfast?

    Allora, mi scuso per il disagio ahahah Espen è un mio pg in costruzione (ora sai che avrà una cotta per Kirsten uaahahaahah) e niente spero che anche se breve questo post ti sia piaciuto. Se c'è qualcosa che non va, fammi sapere, tesoro


    Edited by type 0 negative - 10/4/2018, 01:58
     
    .
  3. :Jaci:
        +3   +1   -1
     
    .

    User deleted


    OHr7vp8
    Kirsten Haugen ▸ 29 ▸ Idrocinesi

    L’Egon pub, questo era il nome del locale in cui la giovane si era avventurata in cerca d’aiuto, era davvero un bel posto, tutto sommato. L’eterogeneità della clientela era palese all’avventore e lo rendeva probabilmente un ritrovo assai quotato per la popolazione locale, peccato per tutto quel baccano.
    Gli ambienti troppo rumorosi non erano mai stati affini all’animo della norvegese che, da sempre, preferiva luoghi meno caotici. L’esplosione di rumori, voci e odori che si percepiva lì quella sera poteva quasi essere definita disturbante per chi, come lei, aveva trascorso gli ultimi mesi della propria vita con la testa china su volumi e volumi scientifici. Forse, quel periodo di esilio forzato non aveva giovato troppo a quel velato accenno di misantropia che sovente la avvolgeva.
    Kirsten non si definiva un’asociale, al contrario, amava la compagnia, il discutere e il confrontarsi con gli altri, che fosse per argomenti di comprovata importanza o per sciocchezze, come l’ultimo paio di cuffiette con gli arcobaleni che aveva visto in una vetrina, poco importava; tuttavia, non amava troppo il sovrapporsi di suoni e rumori in un ambiente chiuso come quello. Meglio i concerti all’aperto, dove il suono era libero di vibrare nell’aria e il cielo faceva da impalpabile tetto illusorio, quelli le erano sempre piaciuti nonostante l’affluenza di uditori, magari in un bel parco, era da tanto tempo che non andava a vederne uno e sperava di porre presto rimedio a questa mancanza.
    Conscia, purtroppo, di non aver attirato l’attenzione dell’addetto ai lavori, la scienziata stava quasi valutando l’idea di appendersi al primo collo di passaggio, importunandone così il proprietario, e riuscendo forse nell’impresa non tanto di avere risposte ma almeno di provare a fare le domande. Il fine giustificava i mezzi no?
    Fortunatamente, per lei e per il mondo, non vi fu la reale necessità di mettere in atto quel teatrino, tutt’altro che edificante per la sua persona, poiché l’avvicinarsi di un aitante uomo al bancone e il suo rivolgersi proprio a lei, le fece ben sperare che forse qualcuno lassù si era impietosito nell’osservarla - Grazie, Far.
    Gli occhi di nocciola si posarono sui lineamenti dell’uomo e un sorriso spontaneo comparve sul suo viso nell’immediato attimo successivo al metabolizzarne le parole, un volto amichevole disposto ad aiutarla, alla fine entrare in quel pub era stata una buona idea quindi.
    Il sopraggiungere, proprio nel mezzo del discorso, di un giovane dalla chioma scura e dai tatuaggi artistici interruppe l’accenno di conversazione che si stava consumando portandola, in maniera speculare all’uomo che le era di fronte, a battere le palpebre confusa. Da dove sbucava fuori lui? Lo sconosciuto numero uno le serviva! Niente scherzi! Era talmente disperata che se fosse andato via probabilmente gli si sarebbe aggrappata dietro la schiena a mò di zainetto solo per potergli fare le sue due fottute domande.
    Tuttavia, l’euforia iniziale mostrata dal giovane sembrò scemare improvvisamente non appena i suoi occhi si posarono su di lei. La reazione di per sé non era nuova alla straniera, non era così raro che le persone si fermassero a fissarla per i suoi capelli e molte erano state le espressioni che Kirsten aveva potuto leggere sui loro volti ma quella le era nuova, tanto da portarla a sollevare un sopracciglio e rivolgere uno sguardo interrogativo al suo aspirante salvatore.
    “Sta bene? È normale che faccia così? Dobbiamo chiamare un medico? Forse è in overdose alcolica.”, queste erano le domande che vorticavano nella mente della giovane mentre faceva oscillare lo sguardo da uno sconosciuto all’altro e, a onor del vero, quel fissarla da parte del ragazzino iniziava a provocarle un certo turbamento.
    Non che non fosse abituata a essere fissata, lo era e non poco, però quello sguardo imbambolato la stata mettendo un po’ in soggezione, per fortuna lei non era un tipo timido, ma “Doc” - così lo aveva chiamato il tizio dei tatuaggi- le diede una sorta di spiegazione a quanto stava accadendo accorrendo ancora una volta in suo soccorso.
    “Mh…capisco. Credo. Non sono proprio sicura ma penso di doverne essere… lusingata.”
    Il tono incerto e dubbioso abbandonò le sue labbra, tinte di bordeaux in quella serata, accompagnando l’ennesimo scambio di sguardi tra lei e i due prima che le presentazioni procedessero nonostante il ragazzo rispondente al nome, o forse era un nomignolo, di “Esp” continuasse imperterrito la sua osservazione.
    Jesper Debenham, Kirsten non avrebbe saputo dire il perché così su due piedi ma quel nome le risultava familiare, forse lo aveva già sentito in un qualche convegno o congresso? O magari era un collega di cui aveva letto qualche articolo? Fatto sta che, mentre la mente cercava di rimembrare dove quella combinazione anagrafica avesse già sfiorato le sue sinapsi, la scienziata si accinse ad allungare la mancina porgendola all’uomo allo scopo di stringere la gemella apollinea tentando, a sua volta, di presentarsi - “Piacere di conoscerla, io sono…” - fallendo però a metà dell’opera.
    Il sussurro proveniente da un rianimato osservatore la portò, non con poco stupore, a voltare il capo verso il diretto interessato, non era solita Kirsten a ricevere complimenti così spassionati. Solitamente, superate le barriere costituite dal suo aspetto fuori dai comuni canoni, le persone si complimentavano per la sua capacità intellettiva, la padronanza di argomenti scientifici ma di rado per il suo aspetto.
    Il suo colore di capelli spaziava tra le cromie più strane, rosa, azzurro, viola, indaco, probabilmente neanche lei ricordava più quante ne aveva sfoggiate, aveva iniziato presto a tingerli e poi non aveva più smesso. L’adolescenza non era stato un bel periodo per lei, si vestiva con abiti troppo grandi per non far notare le sue forme, aveva paura degli sguardi, delle parole pronunciate a mezza voce, delle risatine che ne seguivano. Odiava tutto quello e così aveva deciso di prendere in mano la situazione e i capelli erano stato il primo dei cambiamenti che aveva apportato su se stessa. Aveva bisogno di uno scudo, di un’altra pelle, di qualcosa che abbagliasse – o sbaragliasse- così da lasciare interdetti e/o congelati coloro che la osservavano. Era iniziato tutto così, si era vestita di finta sicurezza e aveva iniziato a camminare a testa alta per la strada poi, pian piano, tutto aveva preso nuova forma e spessore. Amava i suoi capelli, amava i colori, amava la follia che rappresentavano perché grazie a loro aveva imparato ad amare un po’ se stessa.
    Ci vollero un paio di battiti di palpebre per allontanare quei pensieri dalla sua mente e riacquisire così l’uso della parola. Con un sorriso gentile, seppur non privo d’imbarazzo e incredulità, a distenderne i lineamenti delicati, non seppe cos’altro fare se non ringraziare per quel complimento ricevuto dal più giovane che sembrava non essere minimamente distratto neanche dalla bottiglietta che ora stringeva in pugno - “Grazie, sei molto gentile, Esp. Davvero”.
    Fortunatamente, Jesper avanzò una proposta che la tirò fuori dalla situazione d’impasse che era venuta a formarsi senza ferire i sentimenti del giovane che sembrava seriamente intenzionato a non distogliere lo sguardo da lei neanche il tempo di un battito di ciglia. Come ci riusciva? Non era normale!
    “Oh, sarebbe perfetto. La ringrazio davvero molto, non sono del posto e mi sento un pochino sperduta vista l’ora.”
    Le buone maniere, a quel punto, avrebbero probabilmente richiesto che lei si proponesse di offrire un giro di bevute a Jesper ma il sospetto che Esp non si sarebbe mosso dalla sua posizione, la fece desistere, si sarebbe scusata in seguito o magari proposta di sdebitarsi in una seconda occasione per l’aiuto che le stava fornendo.
    Distendendo nuovamente la gamba verso il basso, lasciando che la punta dei bikers toccasse il pavimento liscio, la voce di Mor le riecheggiò per un attimo nella testa ricordandole una delle infinite raccomandazioni che era solita farle ogni qualvolta era a conoscenza di un suo impegno mondano: “Mi raccomando, stai attenta agli sconosciuti.”
    Il repertorio di sua madre era ampissimo e spaziava dal “non dare confidenza agli sconosciuti” salvo poi sottolinearle un “mi raccomando divertiti e fai nuove conoscenze”, Kirsten si era sempre chiesta come fosse possibile soddisfare entrambe le annotazioni e, doveva ammetterlo, nonostante la mente devota al metodo scientifico, ancora non aveva raggiunto una teoria valida.
    La rimembranza di quella voce preoccupata e dolce la portò comunque a considerare la cosa e a ricordarsi in quale scomparto della borsa avesse messo lo spray al peperoncino regalo fino ad allora mai utilizzato di un collega a lavoro.
    Tecnicamente parlando Jesper era uno sconosciuto, oggettivamente però era anche la sua unica speranza di ricevere qualche indicazione quindi, mettendo tutto sulla bilancia, per Kirsten i due piatti sembravano bilanciarsi a dovere.
    Solo in quel momento la giovane prestò più attenta osservazione all’uomo che le era dinanzi.
    Non sembrava di certo un criminale pronto ad accoltellarla all’uscita del pub, né tantomeno aveva l’aria di un violentatore seriale di straniere con i capelli argentati anzi, al contrario, sembrava un gentleman composto e educato. Una persona con uno stile un po’ troppo serio forse, però un tipo apposto. Capelli in ordine, occhialetto da intellettuale, barba ben curata e un nome familiare anche se non sapeva il perché.
    “Bene, Esp, è stato un piacere. Trascorri una buona serata e fatti onore al Beer Bong, mi raccomando.”
    Dopo un cenno con il capo a Jesper, come a volergli comunicare che per lei potevano andare, Kirsten si spostò di un paio di passi dando così modo ai due di congedarsi nella riservatezza dedicata a un rapporto sicuramente profondo, vista la confidenza mostrata.
    Una volta raggiunta dal “doc”, la chimica percorse lo spazio che la separava dall’uscita guadagnandola e lasciandosi così abbracciare dal fresco clima serale di Besaid.
    “È stato… particolare. Sicuramente un incontro particolare. È un suo amico?”
    Il tono della donna era tutto fuorché di scherno, sicuramente vi era una dolce nota di divertimento bonario a risuonarle nella voce mentre, con non poca difficoltà, estraeva dalla tasca del giacchetto di pelle un pacchetto di sigarette decorato con delle margherite disegnate a penna, era una cosa che faceva sempre quando era pensierosa o aveva dei momenti di riflessione in ufficio. La aiutava a concentrarsi.
    “Ne vuole una? È un brutto vizio, lo so.”
    Sollevate le spalle minute a mò di scusa, le dita sottili avrebbero eventualmente porto la dose di nicotina al giovane per poi estrarne una per se e mettere nuovamente via il pacchetto, dove aveva infilato l’accendino? Sperava che la collega in laboratorio non glielo avesse fregato di nuovo per accendere il suo Becco Bunsen. Trovato finalmente nella tasca dei jeans quanto ardentemente ricercato, Kirsten accese la propria sigaretta per poi dar modo all’altro di fare lo stesso, fermo restando che avesse accettato la proposta.
    Espirata la prima boccata di fumo verso il cielo e messo via anche l’accendino perché, diamine, era davvero sicura di non averne altri con sé e doveva quindi preservarlo come un bene primario, la straniera ricordò che non aveva ancora avuto modo di presentarsi a dovere, cosa che non mancò di fare nell’immediato
    “Ah, dimenticavo, sono Kirsten Haugen, è un piacere conoscerla e la ringrazio infinitamente per l’aiuto che mi sta dando. Spero non le dispiaccia l’aver perso una possibile gara con il Beer Bong”
    Anche se, doveva ammetterlo, a guardarlo non le sembrava proprio il tipo da infilarsi un tubo in bocca mirando al coma etilico prima del sopraggiungere dell’alba, però l’abito non fa il monaco no? Del resto lei per prima non era facilmente inquadrabile dal proprio aspetto, più o meno.
    L’uscita di un paio di clienti dal pub la portarono a spostarsi di qualche passo lasciando così libero il passo dinanzi alla porta del locale e facendole ricordare di doversi appropriare del necessario per la notte lasciato nella vettura accostata poco distante da lì
    “Le dispiace se passiamo prima a recuperare una borsa dalla mia auto? È quella rossa laggiù. Ha deciso di abbandonarmi e da quanto ho capito dalle sue parole, a quest’ora, non ho speranza di trovare un meccanico aperto. Mi dispiace lasciarla qui ma non ho molta scelta, magari se è del posto può indicarmi un buon meccanico da contattare domattina?!”
    Qualora avesse ricevuto un cenno positivo alla sua proposta, Kirsten si sarebbe mossa in direzione dell’auto. L’oscillare naturale e sinuoso dei suoi fianchi accompagnava l’incedere verso la meta designata. Attraversando nuovamente la strada, in osservanza a quella socialità che era solita ostentare in ogni circostanza, Kirsten decise di avviare un accenno di conversazione cordiale con quell’uomo sconosciuto che aveva avuto il buon cuore di giungere in suo soccorso.
    “In realtà, se non mi faccio investire, sono venuta fin qui per raggiungere una mia amica, ha ereditato una casa a Besaid e vorrei darle una mano." - facendo una piccola pausa, la trentenne portò lo sguardo sul volto dell'uomo, non riusciva a ricordarne i lineamenti eppure il suo nome continuava a suonarle familiare - "Mi scusi se posso sembrarle sfacciata ma, ci siamo già incontrati? Ho come l'impressione di aver già avuto modo di sentire il suo nome, lavora per caso nella ricerca scientifica?”
    La domanda invero poteva ritenersi alquanto strana, specialmente se posta da una ragazza dalla discutibile estetica incontrata per la prima volta, affranta, in un pub, motivo per cui Kirsten portò le mani avanti sorridendo con divertimento
    "Giuro che non ci sto provando con la tecnica più banale e vecchia del mondo.”
    Una risatina divertita abbandonò le sue labbra carnose mentre le mani pallide si sollevavano come in segno di resa. Forse era meglio fargli quel paio di domande prima che fuggisse via a gambe levate pensando di aver incontrato una pazza psicopatica o qualcosa di simile.

    Edited by :Jaci: - 6/5/2018, 14:08
     
    .
  4.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    6,114
    Reputation
    +423

    Status
    Anonymes!
    tumblr_oi08yfjjNh1sgaqfho1_400
    Non appena si ritrovò vicino alla ragazza, avvertì una certa riconoscenza nello sguardo di quella ragazza così carina: beh, d'altro canto, lui fin da bambino voleva aiutare le persone, e quello gli sembrava un ottimo pretesto. Chissà cosa le era successo per essere rimasta a piedi.
    Di certo, non poteva essere di Besaid –ma che arguto–, ma qualcosa gli diceva che era sicuramente norvegese, sia per l'accento con cui la sentì dire quelle richieste d'aiuto, sia per i lineamenti. Era una bella ragazza e si sorprese nel pensare che fosse sola, che non ci fosse un qualche ragazzo pronto ad aiutarla. Soprattutto: dove diavolo era finita la galanteria tra gli uomini presenti?
    A conferma della sua tesi, arrivò Espen che, non solo notò la bella ragazza, ma ne sembrò anche abbagliato da tale bellezza: il suo paziente era di certo troppo giovane per non essere mandato in crisi da una bellezza di quel calibro, lui ormai non si faceva più abbindolare di certo. Ne aveva viste anche troppe, a Monte Carlo, quando ci aveva abitato.
    Mh…capisco. Credo. Non sono proprio sicura ma penso di doverne essere… lusingata. Jesper ridacchiò: il fatto che l'espressione di Espen la mettesse a disagio e, in un certo senso, la imbarazzasse, lo divertiva. Guardò prima Espen ancora imbambolato e poi lei, inumidendosi le labbra, senza smettere di sorridere: Non faccia la modesta: è normale che più di un ragazzo sia rimasto pietrificato nel vederla. Non abbiamo tutte queste gran belle ragazze a Besaid, sa? La maggior parte di loro sono frivole ed Esp è... come dire... Debilitato di vederne una che catturi il suo interesse. E non gli do torto, fondamentalmente. Proprio un'ora fa gli avevo detto che il modo migliore per smettere di fare una vita così frenetica era trovarsi una ragazza, e poi spunta lei, in questo bar. Jesper tornò a guardare il suo paziente che, nel sentire quelle parole, si era rianimato e lo guardava con sguardo serio: Sì, decisamente un caso fortuito.
    Quando la ragazza si presentò con un: Piacere di conoscerla, io sono… Espen tornò di nuovo a rimirarla come si fa con le opere d'arte, e lo psicologo pensò fermamente che ogni donna meritava di essere guardata in quel modo dal ragazzo che le amava, perchè era uno di quegli sguardi che avrebbero di certo guarito un cuore spezzato. Come quello di Jesper che non aveva alcuna intenzione di essere sanato da una donna, in effetti. Non si fece nemmeno tanto attendere il ragazzo che con un complimento, riuscì a zittire la ragazza e Jes si ritrovò con due che si guardavano imbambolati e, per qualche istante, optò per lasciarli soli. Era quasi certo che Esp le avrebbe offerto un passaggio, o le avrebbe portato la macchina dal meccanico. Insomma, conosceva quel ragazzo come le sue tasche e sapeva che sì, era un gran rompi palle, ma fondamentalmente era una bravissima persona che si sarebbe fatto in quattro per i propri amici. E poi, in un certo senso, trovava che i due sarebbero riusciti a completarsi se solo si fossero dati una possibilità.
    Beh, chi può mai dirlo...
    Grazie, sei molto gentile, Esp. Davvero Lo psicologo guardò Esp, mentre questo sorrideva e abbassava lo sguardo: era la prima volta che lo vedeva così in imbarazzo e silenzioso, in un certo senso.
    Non ci ha detto il suo nome, signorina. Proferì lo psicologo, tentando di far avere qualche altra informazione al suo paziente: #jespershippatoresilenzioso
    Così le propose di andare a piedi al bed & breakfast, magari sarebbe riuscito a capire qualcosa in più di quella bella e misteriosa ragazza: in un certo senso, gli ricordò la versione più timida e impacciata di una sua paziente. Fae Lynae Olsen. Nel ricordare Fae, un sorriso gli si dipinse sul viso.
    Oh, sarebbe perfetto. La ringrazio davvero molto, non sono del posto e mi sento un pochino sperduta vista l’ora. Forse non aveva sentito la domanda? Beh, a Jesper non importava, lui lo faceva solo per Espen. Non sarebbe potuto uscire dal bar proprio perchè doveva fare la recensione di quel locale per conto di Oystein, perciò avrebbe fatto lui “l'interrogatorio” alla ragazza, già immaginandosi lo studente balenare la mattina seguente nel suo ufficio solo per chiedergli i dettagli. Dio, che strazio.
    Bene, Esp, è stato un piacere. Trascorri una buona serata e fatti onore al Beer Bong, mi raccomando Lo salutò lei, ed Esp, guardando il Doc mentre la ragazza era voltata, gli fece segno di raccogliere informazioni. Jesper gli fece l'occhiolino e annuì, seguendo fuori la sua nuova amica, portando con sé i suoi buoni propositi da buon samaritano.
    È stato… particolare. Sicuramente un incontro particolare. È un suo amico? Gli chiese, quando furono fuori: beh, uno psicologo era anche un amico, forse il migliore. Era colui che volente o nolente manteneva i segreti, qualsiasi cosa questi fossero. E poi, per il Doc, anche quelle piccolezze erano il raggiungimento di una buona terapia.
    Sì e no. Diciamo che sono il suo psicologo. È un tipo a posto, anche se sembra non esaurire mai le energie. Se hai intenzione di fermarti per molto tempo, ti consiglierei di uscirci... in amicizia. Ti farebbe davvero svagare. Con me ci riesce sempre. Ridacchiò, stringendosi nel suo lungo cappotto sale e pepe.
    Ne vuole una? È un brutto vizio, lo so. Gli porse un pacchetto di sigarette con delle margherite disegnate sopra: una persona estrosa, creativa, che non riusciva a stare ferma, a volte nervosa, forse anche lunatica (?). Ah, ancora la sua deformazione professionale. Lo aveva detto lui che si sarebbe trovata meglio in compagnia di Esp che di lui.
    Sorrise e scosse la testa: No, ma la ringrazio per averci pensato. È carino da parte sua. La osservò accendersi la sigaretta, per poi guardare il cielo pieno di stelle.
    Ah, dimenticavo, sono Kirsten Haugen, è un piacere conoscerla e la ringrazio infinitamente per l’aiuto che mi sta dando. Spero non le dispiaccia l’aver perso una possibile gara con il Beer Bong
    Jesper ridacchiò, divertito nell'immaginarsi a fare gare di beer bong come quando era all'università e si divertiva a fare cose di ordinaria follia. O almeno, era così che lui e il suo ex socio le chiamavano. Beer bong, staffette alcoliche... Tutte cose che vedeva fare anche agli universitari di quel luogo. Kirsten, eh? È un bel nome, proprio come la sua proprietaria. E non ti preoccupare, dammi pure del tu, credo di non essere ancora così vecchio. Per il beer bong, invece, sì. Tu fai quelle cose là? Il beer bong intendo... La osservò ancora: sicuramente, dietro quell'aspetto così alternativo e misterioso, si celava tutto un mondo che lo incuriosiva. E no, non era una curiosità del tipo “questa ragazza mi interessa per portarmela a letto”. Pura curiosità in nome della psicologia. Che tipo era? Cosa le piaceva? Quanti anni aveva? Pensò che doveva avere l'età di Esp dal suo aspetto, ma poteva anche sbagliarsi e ritrovarsi una ragazza coetanea.
    Le dispiace se passiamo prima a recuperare una borsa dalla mia auto? È quella rossa laggiù. Ha deciso di abbandonarmi e da quanto ho capito dalle sue parole, a quest’ora, non ho speranza di trovare un meccanico aperto. Mi dispiace lasciarla qui ma non ho molta scelta, magari se è del posto può indicarmi un buon meccanico da contattare domattina?! Lo psicologo si sporse per vedere l'autovettura della ragazza e pensò a chi poteva chiedere, visto che non partiva più. Si portò una mano al mento, grattandosi la barba ben curata, e poi tornò a guardare Kirsten.
    C'è il signor Jens che è in pensione, ma lui, suo figlio ed il nipote riparano qualsiasi cosa su quattro ruote. Hanno un'officina proprio vicino al mio ufficio. Domani mattina puoi chiamarli, Jens apre alle 6.
    Dopo quell'informazione, Kirsten attraversò la strada e andò a prendere la sua borsa nella macchina rossa e tornò indietro senza farsi investire –anche perchè a quell'ora vi erano ben poche auto a circolare. In realtà, se non mi faccio investire, sono venuta fin qui per raggiungere una mia amica, ha ereditato una casa a Besaid e vorrei darle una mano
    Se mi dici dove abita questa tua amica, ti accompagno personalmente. Sapeva che poteva suonare dubbia come proposta: insomma, non lo conosceva, e se ne sentivano tante di stupri e assassini.
    Mi scusi se posso sembrarle sfacciata ma, ci siamo già incontrati? Ho come l'impressione di aver già avuto modo di sentire il suo nome, lavora per caso nella ricerca scientifica?
    No, nella ricerca scientifica no. Però ho fatto varie conferenze e tenuto qualche corso sulla psicanalisi. Spiegò lui con un sorriso gentile: non gli era sembrata invadente, e poi se avesse voluto provarci, avrebbe letto un linguaggio del corpo differente.
    Giuro che non ci sto provando con la tecnica più banale e vecchia del mondo.
    Non preoccuparti, in tal caso, me ne sarei accorto. È il mio lavoro decifrare le persone, Kirsten.
     
    .
  5. :Jaci:
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    OHr7vp8
    Kirsten Haugen ▸ 29 ▸ Idrocinesi
    Muoversi, da straniera, all’interno di quella cittadina, con molta probabilità equivaleva al correre in un labirinto privo di qualsiasi punto di riferimento e, per tale motivo, Kirsten aveva bisogno di qualche indicazione prima di avventurarsi all’interno di Besaid, giusto per non ritrovarsi nel cuore della notte a vagare in un quartiere a luci rosse come accadutole durante un viaggio di lavoro a Praga.
    Quello che l’aveva spinta, all’interno del locale, a non soffermarsi troppo sulle parole di Jesper era stato a conti fatti del vero e proprio opportunismo, le serviva l’aiuto di quell’uomo dall’aria gentile, seppur parte delle sue parole era risultata talmente melensa alle orecchie della chimica da offuscarne l’aura da cavaliere impavido, per trovare un meccanico e raggiungere Elektra, non obbligatoriamente in quest’ordine.
    Una volta fuori dall’Ebon Pub, senza lo sguardo di Esp posato con insistenza sulla propria figura, Kirsten si accese una sigaretta offrendone una anche all’uomo che però diniegò l’invito, il passo successivo fu quello di intavolare una conversazione con quello che si rivelò essere uno strizzacervelli completamente scoppiato, almeno a giudicare da quanto le rispose. L’aveva presa per una nave scuola per giovani esagitati? Sì perché lei ed Esp dovevano avere – a occhio e croce - poco meno di dieci anni di differenza, per non parlare poi del consiglio del tutto discutibile che aveva dato al ragazzino: cercarsi una ragazza, neanche fossero l’ultimo cd autografato di un celebre gruppo musicale.
    Lo aveva sempre detto lei che la “Psicologia” era tutte chiacchiere ipotetiche e poche competenze reali, un po’ come tutte le discipline che non si basavano su conoscenze solide frutto del metodo scientifico.
    “La ringrazio per il pensiero ma non penso di fermarmi per molto. Ho intenzione di aiutare la mia amica e poi tornarmene a casa ma, anche in caso contrario, non sarei interessata. Le persone troppo esuberanti mi innervosiscono.”
    Sollevando le spalle minute Kirsten sottolineò quella che per lei era un’ovvietà, non voleva fomentare inutili speranze, se così poteva chiamarle, verso un suo possibile ruolo nell’operazione “troviamo qualcuno che metta in riga Esp”, Absolutely not.
    Nel frattempo il fumo che saliva lento dalla sigaretta accesa, leggero nei suoi movimenti ipnotici, svaniva nell’aria frizzante di quella serata norvegese.
    Kirsten ne osservò l’incedere verso il cielo per qualche secondo prima di portare nuovamente quell’insieme di tabacco e nicotina alle labbra ascoltando le parole dell’altro.
    Fumare non le piaceva, detestava quel sapore aspro che le invadeva la bocca, eppure non aveva mai seriamente pensato di smettere. Quel gusto particolare, unito alla sensazione che le dava il tenere la sigaretta tra le dita di seta, era in un certo senso un monito per se stessa, non voleva dimenticare, la norvegese, il passaggio dai tempi più bui della sua esistenza a quelli in un certo qual modo più sereni, voleva che tutto ciò che aveva vissuto rimanesse ben impresso nella sua mente, i dolori, le gioie e i dispiaceri. Tutto. Respirare quelle boccate di fumo era come un promemoria a non dimenticare da dove proveniva e chi era.
    L’ennesimo complimento sciorinato nel corso del breve intervallo che li stava vedendo dialogare serenamente, fece ridacchiare Kirsten con divertimento e, accettando in pieno la proposta dello psicologo sul mettere da parte convenevoli e onorificenze, la voce mite ma non per questo insicura della chimica non tardò a risuonare ancora nell’aria
    “Scommetto che son tutte belle ragazze quelle che ti capitano davanti agli occhi, Jesper.”
    Un sorrisino malizioso accompagnato da un occhiolino ammiccante accompagnarono quelle parole pronunciate al solo scopo di rendere chiaro e noto all’altro che non servivano tutte quelle moine o complimenti perché, a conti fatti, non attecchivano su una personalità come la sua.
    Non più.
    C’era stato un tempo, non troppo lontano, in cui avevano funzionato; era stato quello il motivo di uno dei suoi oblii – relativamente - più recenti, quello dovuto all’amore. In cerca d’affetto e desiderosa di sentirsi completa grazie a quel ragazzo dagli occhi di cielo con capelli d’oro e un sorriso che sapeva d’estate, aveva deciso di privare la mente dall’egemonia indiscussa che deteneva favorendo il battito turbolento di un cuore bisognoso d’amore.
    Sciocca e stupida ragazza, aveva pagato caro il prezzo del suo azzardo perdendo ogni giorno un’oncia di se stessa; era stato allora che aveva capito che non ci sarebbero state più lusinghe che potessero penetrare e attecchire nel suo cuore, mai più.
    Un leggero alito di vento più fresco la distolse da quei pensieri facendola rabbrividire e portando la sua mente nuovamente alle parole dello psicologo che non mancò di farla nuovamente sorridere serenamente
    “No, il beer bong non è il mio genere di divertimento, ho visto un po’ di persone giocarci anni fa durante una festa universitaria, è stato divertente vederli arrancare solo per ottenere un’approvazione effimera e inconsistente da parte dei coetanei che continuano a fomentarli.”
    Kirsten si era ritrovata a quella festa solo perché vi era stata trascinata a forza e – soprattutto - il suo essere una ragazza le garantiva l’ingresso gratuito. Non si era divertita, non conosceva nessuno, non sapeva le regole dei giochi proposti e chiedere a qualcuno di spiegargliele era decisamente fuori discussione, si era sentita fuori posto, inadatta, inadeguata e inutile. A distanza di anni era giunta alla conclusione che l’assenza di esperienze pregresse aveva minato l’esperienza universitaria fino a cambiarne la natura da piacevole a spiacevole.
    Recuperata la borsa dall’autovettura in panne e chiuse nuovamente le sicure, Kirsten tornò indietro verso l’uomo con un borsone di modeste dimensioni a tracolla. Nonostante fosse una donna, era sempre riuscita a quantificare in maniera impeccabile quelli che erano i beni materiali di cui aveva bisogno durante i viaggi, il fatto che in passato non potesse permettersi un taxi – cosa che la portava a camminare con bagagli al seguito – aveva probabilmente influito in positivo sulla questione.
    “Eccomi. Allora mi dicevi che posso rivolgermi a un certo signor Jens e famiglia? Dici che ho possibilità di trovare il numero dell’officina su internet? Così domani mattina lo chiamerò, tanto la macchina temo che debba venire a caricarsela perché non ne vuole proprio sapere”
    Estraendo l’iPhone dalla tasca Kirsten aprì una nota del cellulare per appuntarsi il nome del meccanico da contattare per la sua cara macchina, sperava davvero che potesse fare qualcosa per rimetterla in sesto e allungare così la vita del mezzo.
    L’incontro con quell’uomo era stato un caso assai fortuito per la giovane chimica, i suoi modi di fare erano gentili e cortesi e la galanteria con cui imbeveva i complimenti formulati, evitava che potessero risultare viscidi a chi li riceveva.
    La proposta successiva lasciò Kirsten interdetta per un attimo. Il problema non risiedeva nella fiducia che poteva riporre nello sconosciuto, posto che un’attenta valutazione dei pro e dei contro era già stata effettuata con vittoria dei primi, ma nella reale entità di disturbo che poteva arrecargli l’accompagnarla fin non si sa bene dove
    “Sicuro che non sia di troppo disturbo? In fin dei conti sembrava essere la tua serata libera, alcol, musica, belle ragazze ed Esp. A dire il vero poi non ho un indirizzo, però so il nome della precedente proprietaria che si chiamava…”
    L’apertura di un’altra delle tante note presenti sul cellulare colmò quel piccolo momento di stasi, in effetti avrebbe potuto chiedere alla madre di Elektra di darle un indirizzo, anche se non era propriamente sicura che quest’ultima lo avesse, l’unica cosa che aveva a suo disposizione era un nome e un cognome
    “Hedda Nyman. Dovrebbe essere defunta da poco… cioè è sicuramente defunta ma non saprei dirti da quanto, non moltissimo comunque visto che Elektra – la mia amica – ha ereditato la proprietà ed è venuta circa una settimana fa per sistemare le cose”
    Forse non era molto per trovare una casa, in effetti non era detto che l’anziana zia fosse conosciuta, non sapeva neanche che lavoro facesse, magari era una casalinga la cui massima interazione con il mondo era il thè con le anziane del quartiere.
    “Posso mandare un messaggio a Elektra per chiederle di mandarmi l’indirizzo però”
    La frase, pronunciata con tono colpevole e faccino speranzoso, precedette un paio di dita che si muovevano frenetiche sullo schermo dello smartphone per comporre il messaggio.
    “Aspettiamo un paio di minuti, di solito risponde subito. Forse ho letto il tuo nome sui tabelloni organizzativi in qualche sala di conferenza, non è il mio campo ma spesso capitano più eventi nel medesimo giorno e struttura, il tuo deve essermi rimasto impresso.”
    Kirsten ebbe per qualche secondo la voglia di chiedergli cosa pensava di aver decifrato di lei, come se le persone fossero solo un insieme di atteggiamenti visibili dall’esterno e tutto si potesse sviscerare grazie alle parole e ai metodi formulati in via ipotetica da altri visionari dalle manie di grandezza. Come si poteva pensare di poter “decifrare le persone” quando essenzialmente ogni individuo è una matassa infinita di percezioni ed esperienze personali e uniche?
    “Non sono mai stata una grande fan della psicologia e dell’empirismo insito in questa disciplina. Ho sempre preferito lo studio sistematico e razionale delle cose. Tuttavia, non posso negare che alcuni aspetti siano affascinanti a modo loro.”
    Con il cellulare ancora nella destra e la speranza di ricevere una risposta quanto prima, la sigaretta venne consumata con un ultimo tocco delle morbide labbra della norvegese che, espirato il fumo, si premurò di spegnerla in uno degli appositi posacenere posti dinanzi all’uscita del pub prima di tornare nuovamente da Jas e portare il proprio sguardo in quello dell’altro
    “Mentre aspettiamo che Elektra mi risponda ti andrebbe di raccontarmi qualcosa di questa città? Cosa c’è di bello e particolare da vedere e cosa invece dovrei evitare, è strano ma non ho mai sentito parlare di Besaid prima di stamattina.”
    La gestualità che accompagnò le parole fu un chiaro segno dell’innocenza delle stesse, non vi era reale intenzione di ficcanasare ma solo voglia di conoscere un po’ quel luogo che sembrava aver attirato l’attenzione della sua amica più di quanto lecito, almeno a giudicare dal tempo che stava impiegando per sistemare e mettere in vendita la proprietà ereditata.
    Il vibrare dell’iphone non avrebbe tardato poi molto nel comunicare la ricezione di un messaggio.

    Edited by :Jaci: - 6/5/2018, 14:08
     
    .
  6.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    6,114
    Reputation
    +423

    Status
    Anonymes!
    hgWSg7Z
    Jesper era abituato ad una vita più frenetica, non era certo uno fatto per stare in una cittadina piccola come Besaid: aveva abitato a Parigi, Monte Carlo e poi ad Oslo, che già di per sé, per i suoi standard, corrispondeva ad una piccola cittadina. Besaid era un piccolo buco felice, aveva trovato un po' di pace dopo un periodo travagliato della sua vita. Un periodo che lo aveva cambiato: un tempo in cui era stato un folle, un creativo, uno che amava. Ora, rimaneva solo un filantropo che guardava l'umanità sotto la lente d'ingrandimento e a malapena si ricordava cosa fosse davvero divertirsi. Aveva votato la sua vita al lavoro, eppure, quando era fuori di casa, non si metteva a giudicare le persone. Non gli importava. Come per quella ragazza: sarebbe potuta essere una stalker o una frigida infelice, chi era lui per giudicarla? Sebbene nella sua testa, lui avesse già qualche idea su che persona fosse Kirsten, lasciò le note da scrivere su un taccuino all'uomo che di solito sedeva su quella poltrona, nel suo ufficio.
    La ringrazio per il pensiero ma non penso di fermarmi per molto. Ho intenzione di aiutare la mia amica e poi tornarmene a casa ma, anche in caso contrario, non sarei interessata. Le persone troppo esuberanti mi innervosiscono. C'erano pochissime cose che facevano innervosire Jesper, forse le si poteva contare sulle dita di una mano: la prima, fondamentalmente, era la maleducazione. Qualsiasi persona che non usava l'educazione per approcciarsi a lui veniva bellamente ignorato. La seconda era la prepotenza. La terza erano i bugiardi, ed era certo che ognuna delle persone che aveva conosciuto mentisse in una maniera particolare, riconoscibile. Lui era un osservatore, gli piaceva studiare i movimenti, la postura, il linguaggio del corpo. E, infine, odiava i pregiudizi: lui era il primo a pensare che l'abito non facesse il monaco, aveva conosciuto delle persone meravigliose di cui molti non si sarebbero nemmeno avvicinati, chi perchè seguiva uno stile musicale, chi per il suo passato o chi per la sua famiglia. Non si poteva giudicare il libro dalla copertina, o senza aver camminato nelle stesse scarpe di una persona.
    La capisco. Io ho alcuni pazienti che sono piuttosto esuberanti. A volte, sono davvero stressanti. È lavoro. Alzò le spalle, stringendosi nel cappotto. Ho accumulato troppa pazienza negli anni per permettere all'esuberanza degli altri di innervosirmi. Lei come riesce ad ovviare al problema?
    La osservò in silenzio: notò un leggero arricciare del naso, quasi impercettibile per un occhio poco allenato. Il gusto non le piaceva o qualche cosa l'aveva turbata, ma sospettava che la vera motivazione fosse la prima. Comunque, non era affar suo.
    Scommetto che son tutte belle ragazze quelle che ti capitano davanti agli occhi, Jesper.
    Le sue labbra si allargarono in un sorriso: non gli erano capitate più molte belle ragazze, in effetti proprio nessuna... Fino ad un pomeriggio in cui si era teletrasportato con la sua gatta nel suo ufficio, e poco dopo, era entrata lei. Effettivamente, Fae Lynae Olsen era una bella ragazza. Una.
    In realtà, da quando sono qui tu sei la seconda. Il mio era un complimento sincero, ma se pensavi che ci stessi provando, allora mea culpa. Il sorriso divenne più grande, alzando le braccia in segno di resa: ed era vero, ormai non era poi tanto allenato nel flirtare con le ragazze, e non ci stava nemmeno più pensando. Aveva espresso un complimento oggettivo, che avrebbe potuto fare chiunque.
    Per dimostrarle tale cosa, fermò un passante con garbo: Scusi, vorrei solo portare insieme a lei un fatto. Secondo lei, questa ragazza non è bella? Jesper indicò la ragazza dai capelli grigi e sorrise in maniera bonaria e rassicurante allo sconosciuto che lanciò uno sguardo a Kirsten e rispose: Sì, certo. Che domande... E se ne andò sorridendo, salutando lo psicologo.
    Visto? Un complimento sincero. ed aggiunse: Tranquilla, poi lo pago. Lo disse con una tale serietà che per un momento ci avrebbe creduto pure lui.
    La conversazione si spostò sulle attività che piaceva fare loro: Jesper non era tipo, oramai, da beer bong e bravate simili. Magari un tempo, nei suoi fiorenti vent'anni, si sarebbe anche potuto rivedere nelle stesse cazzate fatte da Esp e compagni, ma ora le sue uniche passioni rimanevano il golf, il polo, la musica classica e la narrativa di qualsiasi genere. Jesper leggeva fin troppo, a volte anche cinque o sei libri a settimana: gli piaceva starsene comodo sul divano o sulla poltrona in compagnia della sua siamese. Sì, stava decisamente invecchiando, ma dopo la batosta con la sua ex non ne voleva davvero più sapere.
    No, il beer bong non è il mio genere di divertimento, ho visto un po’ di persone giocarci anni fa durante una festa universitaria, è stato divertente vederli arrancare solo per ottenere un’approvazione effimera e inconsistente da parte dei coetanei che continuano a fomentarli.
    Jesper non disse niente su quel giudizio dato probabilmente dal pregiudizio che i giovani debbano bere esclusivamente per ottenere giudizio altrui. Lui, per esempio, aveva fatto quelle cavolate solo per puro spirito goliardico, non per sembrare un fico. Conosceva tanti ragazzi di quella città che lo facevano esclusivamente come gioco. La motivazione stava sempre sotto alla crosta, dove chi non aveva i mezzi per scavare riusciva solo a vedere uno strato di apparenza, ma lo psicologo aveva sempre saputo che sotto al pelo dell'acqua, da dove spunta la punta dell'iceberg, c'è ben altro che dello strato di ghiaccio.
    Cosa ti piace fare, quindi? Le chiede sinceramente curioso: non le piaceva andare a fare festa con gli amici, non le piacevano le persone troppo esuberanti, perciò doveva essere una persona che amava dei passatempi tranquilli e rilassanti. Lui dipendeva da chi si trovava davanti: non voleva dire che se lui era una persona tranquilla e rilassata, allora lo dovevano essere tutti.
    Rimase ad attendere la ragazza vicino all'entrata del pub e non appena lei fu tornata, le diede una mano coi bagagli. Era sempre stato un gentiluomo e per lui l'educazione e il rispetto erano i due fondamenti della sua vita: aveva sempre aiutato le donne in difficoltà, non perchè pensasse che fosse il sesso debole, ma sua madre glielo aveva insegnato, e pensava che facesse sentire meglio una persona.
    Eccomi. Allora mi dicevi che posso rivolgermi a un certo signor Jens e famiglia? Dici che ho possibilità di trovare il numero dell’officina su internet? Così domani mattina lo chiamerò, tanto la macchina temo che debba venire a caricarsela perché non ne vuole proprio sapere
    Jens che apriva un sito internet della sua officina lo fece ridere, ma trattenne quella risata e tirò fuori un bigliettino da visita dal suo portafogli: Scusi se rido, ma non me lo vedo proprio Jens ad aprire una pagina web. Quando lo conoscerai, capirao perchè. Ti lascio il bigliettino da visita, così domani puoi contattarlo.
    Jesper aveva chiesto a Kirsten di accompagnarla non per provarci o per portarsela a letto: era vero che credeva nella poligamia, ma non si sarebbe mai spinto a tanto senza una cena. Si preoccupava: giravano strane voci su una setta e chissà che tipi loschi ci fossero in giro: perciò, non si fidava a farla girare per Besaid, di sera e per lo più da sola.
    Sicuro che non sia di troppo disturbo? In fin dei conti sembrava essere la tua serata libera, alcol, musica, belle ragazze ed Esp. A dire il vero poi non ho un indirizzo, però so il nome della precedente proprietaria che si chiamava…
    Lo psicoterapeuta ridacchiò nel sentire “la tua serata libera”: non era proprio così che passava la sua serata libera, anzi, avrebbe preferito mettersi davanti alla tivù, guardare un film dalla lista di Netflix, con in mano un bicchiere di Chardonnay e il gatto sulle ginocchia. Lavorava troppo ed era troppo stanco per fare festa. Abbiamo due concetti di serata libera all'opposto, io e te, allora. Disse, mentre la ragazza controllava le note che vi erano sul telefono: almeno non era l'unico a farne sempre duecentomila, anche se aveva buona memoria, ma con il lavoro, sua nipote e le convention, a volte si dimenticava sempre almeno di una cosa.
    Hedda Nyman. Dovrebbe essere defunta da poco… cioè è sicuramente defunta ma non saprei dirti da quanto, non moltissimo comunque visto che Elektra – la mia amica – ha ereditato la proprietà ed è venuta circa una settimana fa per sistemare le cose
    Il nome non gli diceva niente, lui poi era lì da poco meno di sette mesi ed era già un miracolo che conoscesse metà della popolazione –che in realtà erano tutti suoi pazienti, ma dettagli–. Je suis désolé. Disse in un perfetto francese: non aveva mai dimenticato la sua lingua, come non aveva mai dimenticato il tedesco, lingua che amava alla follia, ed aveva imparato il norvegese al tempo che fu senza implementare l'accento parigino; invece, quando tirava fuori la sua lingua madre, tutta la bellezza del suo accento tornava.
    Posso mandare un messaggio a Elektra per chiederle di mandarmi l’indirizzo però. Aspettiamo un paio di minuti, di solito risponde subito. Forse ho letto il tuo nome sui tabelloni organizzativi in qualche sala di conferenza, non è il mio campo ma spesso capitano più eventi nel medesimo giorno e struttura, il tuo deve essermi rimasto impresso.
    Le dita si mossero sullo schermo dello smartphone, mentre lo psicologo cercava di farsi venire un'idea: come poteva farle una proposta da non risultare un marpione seriale? Non poteva. Qualsiasi cosa avrebbe fatto sarebbe potuta essere fraintesa. Così, chiese e basta.
    Senti, Kirsten...
    Non sono mai stata una grande fan della psicologia e dell’empirismo insito in questa disciplina. Ho sempre preferito lo studio sistematico e razionale delle cose. Tuttavia, non posso negare che alcuni aspetti siano affascinanti a modo loro
    Si bloccò con un l'indice a mezz'aria, sbattendo un po' le palpebre, incredulo: aveva appena citato tutte le più grande stronzate che si continuavano a dire sui social network riguardo alla psicologia o lo aveva solo immaginato.
    Kirsten... Lo sai vero che la psicologia non è solo quello, vero? Cioè, voglio dire: sai che il nostro lavoro è capire perchè scattano certi meccanismi, cosa può turbare la psiche di un certo individuo, attraverso processi cognitivi, affettivi e mentali, e che questo richiede uno studio lungo e dettagliato, vero? Perchè non siamo fatti tutti con lo stampino, altrimenti ti posso assicurare sarebbe il lavoro più rilassante del mondo. Sorrise, amichevolmente, come quando spiegava ai suoi alunni che gli chiedevano che cosa fosse per lui la psicologia: Purtroppo, l'essere umano non è una macchina, non è sistematico e non è razionale il più delle volte. Ognuno di noi è un individuo che reagisce in una maniera tutta sua, con dei meccanismi di difesa unici e ha bisogno di tempi di reazione differenti per guarire.
    Era normale che lui difendesse il suo campo, dato che di tanto in tanto insegnava all'università, ma soprattutto era la sua vocazione. Era un modo come un altro di aiutare le persone.
    Mentre aspettiamo che Elektra mi risponda ti andrebbe di raccontarmi qualcosa di questa città? Cosa c’è di bello e particolare da vedere e cosa invece dovrei evitare, è strano ma non ho mai sentito parlare di Besaid prima di stamattina.
    In realtà, non c'è granchè da vedere, se non il bosco che si affaccia poi sul mare. Il signor Adam Kane è una persona squisita ed il guardiacaccia di quel luogo, quindi se vorrai chiedere indicazioni sui vari percorsi per visitare il luogo, non ti fare alcuno scrupolo e chiedi pure a lui. Il centro città è piccolo e lo girerai sicuramente in meno di un'ora.
     
    .
  7. :Jaci:
        +2   +1   -1
     
    .

    User deleted


    OHr7vp8
    Kirsten Haugen ▸ 29 ▸ Idrocinesi
    L’incontrastabile frenesia che scandiva le giornate di Oslo era stata una delle prime note dolenti di quella città che era divenuta la sua casa dal trasloco. Nonostante Stavanger fosse una delle metropoli più grandi della Norvegia, nonché importante centro culturale, non era riuscita a soddisfare le sue ambizioni accademiche, Kirsten però non aveva potuto fare a meno di sentirne la mancanza ogni singolo giorno.
    Non era raro per l’allora aspirante chimica, mettersi a osservare le stradine gremite di persone, visti dal quel buco del suo appartamento non erano poi tanto diverse da quelle che si era lasciata alle spalle, avrebbe dovuto sentirsi in un certo senso a casa eppure non vi era mai riuscita.
    Le mancava il silenzio contemplativo che abbracciava sul Preikestolen, i kilometri consumati solo per raggiungere quell’angolo di paradiso, per avvertire ancora una volta quel granito così freddo da risultare quasi bruciante sotto i polpastrelli guantati, per poter ammirare tutta la bellezza del Lysefjord che si stendeva sotto i suoi occhi.
    Kirsten non aveva mai dimenticato la pace che provava in quel luogo, l’aveva agognata con ogni fibra del suo essere, quel silenzio era parte di lei, la completava. Di contro, la gazzarra le logorava i nervi fino a renderla irrequieta, riusciva a sopportarla perché le necessità economiche e lavorative che l’avevano perseguita negli anni l’avevano temprata, portando ogni giorno la tacca della sopportazione un pochino più in alto.
    Poteva pienamente comprendere dunque come, chi aveva fatto dell’ascolto il proprio lavoro, avesse incrementato nel corso degli anni il proprio bagaglio di pazienza, in fin dei conti che lo si facesse per necessità o virtù la cosa importante era il risultato dei propri sforzi
    “Non lo faccio. Solitamente mi espongo alle fonti di esuberanza a piccole dosi. Quando non posso evitarlo, ho avuto modo di lavorare con colleghi decisamente soverchi, cerco di dar fondo all’enorme pazienza maturata nel corso degli anni.”
    Come Steve, il fisico nucleare con cui l’avevano messa in coppia per un progetto semestrale a Oslo, lui e la sua parlantina senza fine, un giorno lo aveva cronometrato, o meglio aveva cronometrato il suo silenzio massimo, 3 minuti e 12 secondi di pace dei sensi prima che riprendesse a parlare dell’ennesimo concerto a cui era stato e del quale a lei non importava decisamente nulla.
    Voleva bene a Steve, era un bravo ragazzo ma decisamente troppo casinista ed esuberante per i suoi gusti, ogni tanto ancora la chiamava e capitava che uscissero per una delle loro serate “All you can eat” a base di sushi. Piccole dosi, quello era il segreto.
    “Non sono però così masochista da andarmeli a cercare. Amo la tranquillità anche se non disdegno le serate all’insegna della follia e del divertimento, purché sia follia e non stupidità.”
    Kirsten fondava tutta la sua vita sulla logica e sulla razionalità, esporsi volontariamente e non senza coercizione a qualcosa che con molta probabilità non avrebbe fatto altro che sfibrarla andava dunque contro ogni ragionevolezza, almeno per lei. Doveva però ammettere di essersi trovata un paio di volte a valutare – dietro consiglio di un grillo parlante alquanto fastidioso – sui contro del suo sistema, note negative che erano riassumibili sotto la voce di “possibili occasioni ed esperienze di vita perse”. Stava ancora valutando bene la questione ma per ora rimaneva ben ancorata alle proprie argomentazioni seppur non si precludeva – come tutti coloro che abbracciavano la ricerca e la scienza come forma mentale – eventuali migliorie o moderazioni future al proprio agito.
    La conversazione con Jesper, consumatasi di pari passo con la sigaretta accesa, era piacevole, i modi di fare dello psicologo erano, almeno fino a quel momento, garbati ed educati, non vi era cafoneria ad animare il suo comportamento e di questo Kirsten doveva dargliene atto. Nonostante l’atteggiamento da piaccione lo stile non era venuto meno neanche una volta e la chimica venne sfiorata dal pensiero che forse poteva essere uno dei pochi individui ad aver fatto della propria vocazione una carriera seppur continuava a risultarle alquanto difficile prendere seriamente in considerazione la psicologia come disciplina effettiva.
    Uno dei sopraccigli della norvegese si arcuò leggermente verso l’alto alla proclamazione di sincerità sul complimento precedentemente promosso in suo favore anche se era più corretto dire che fosse quel cospargersi il capo di cenere con quel “mea culpa” a lasciarla interdetta, seppur per poco.
    L’avvicinarsi di un nuovo cliente al pub attirò l’attenzione della giovane dai capelli di luna la quale assistette a una scena che ebbe il potere di farle risuonare le corde vocali in dolci note musicali chiaro sintomo di tutto il suo divertimento inaspettato.
    “Sarà meglio per te se non vuoi trovarti i creditori a bussare alla porta del tuo studio!
    A quel punto non le rimase che pensare che probabilmente Jesper doveva essere conosciuto all’interno della città se poteva permettersi di fermare così le persone senza passare per un pazzo. Del resto il confine tra psicologo a paziente era assai labile, o almeno così aveva sentito dire. Si era chiesta, a volte, come potessero affrontare quotidianamente i resoconti di vite provate, problematiche o addirittura spezzate e rimanere ancorati alla loro realtà senza lasciarsi trascinare in baratri scuri e senza fondo, il pensiero aveva però solo sfiorato la sua mente laboriosa per poi scivolare via, accantonato da problematiche o quesiti che più premevano alla sua persona.
    La domanda successiva sfiorò quello che per Kirsten poteva essere definito uno strato leggermente meno superficiale rispetto a ciò che solitamente diceva di se, neanche nel suo curriculum aveva inserito i suoi reali hobby e interessi, né tantomeno cosa le piaceva fare, ricordava di aver passato ore a fissare quel campo bianco sul display del proprio pc con il cursore per la scrittura che lampeggiava ricordandole lo scorrere del tempo e la necessità di scrivere qualcosa.
    Alla fine aveva compilato quel campo con le solite sciocchezze che tutti inserivano, qualcosa di così comune da poter quasi risultare banale, generico al punto da non esporla eccessivamente ma mai falso; aveva sempre pensato che non vi fosse nessun vantaggio a mentire sulle proprie competenze o attitudini, anzi al contrario lo trovava in un certo senso degradante per la persona stessa che lo faceva. Colpa di sua madre, probabilmente, lei che fin da piccola non aveva mancato di ricordarle che la verità prima o poi emerge e che tutte le menzogne si dissolvono come neve al sole lasciando solo la sfiducia a regnare dietro di se. Bisognava porsi degli obiettivi e raggiungerli, impegnarsi costantemente per migliorare e raggiungere realmente tutto ciò che si voleva sfoggiare, perché le verità profumano di fiori mentre invece le menzogne di erba marcia.
    “Sono un tipo molto versatile a dire il vero, amo la tranquillità di una passeggiata primaverile o un buon libro da leggere sul divano con una bottiglia di vino appena aperta. Non disdegno una buona serie tv e un film o un concerto al parco. Anche fissare il soffitto alle volte può essere interessante, specialmente con un paio di cuffie a pomparti la musica nelle orecchie”
    Le spalle minute si sollevarono ancora una volta avvolte nella giacchetta di pelle scura mentre, la testa ornata d’argento si mosse appena in un gesto disinvolto. Non era raro che l’aspetto della chimica donasse a chi la osservava un pensiero completamente irrealistico di lei, Kirsten era essenzialmente una ragazza di ordinaria follia e straordinaria normalità che permetteva solo a pochi eletti di avvicinarsi al punto da saggiare la sua vera essenza.
    Allontanarsi per recuperare i propri effetti dalla macchina fu il passo successivo che la vide abbandonare temporaneamente lo psicologo che venne però rapidamente raggiunto ancora una volta e, seppur fosse un tipo indipendente, non disdegnò affatto l’aiuto offertole dall’uomo per portare il borsone, premurandosi di ringraziarlo cedette il singolo borsone in suo possesso all’uomo, infondo il viaggio era stato decisamente lungo e abbastanza faticoso visto anche il pensiero continuo per Bessy e quella maledetta spia luminosa, ora che ci pensava era stata davvero fortunata che l’autovettura non l’avesse abbandonata nel bel mezzo del nulla.
    La leggera risatina che seguì la divulgazione del suo piano d’azione per completare la missione “Alla ricerca del Meccanico Sconosciuto” le fece assottigliare lo sguardo per qualche secondo, il tempo necessario all’altro per allungarle un biglietto da visita e spiegarle i motivi di quell’ilarità improvvisa
    “Ehm, grazie. Devo dedurne che quindi anche l’ipotesi di tenersi in contatto con lui per email sia fuori di discussione. Temo che il problema richiederà qualche giorno in più, Bessy non è proprio una giovincella. Ah, Bessy è la mia macchina.”
    Essere a conoscenza della professione dell’altro non la portò neanche per un secondo a censurare l’aver dato un nome alla propria auto, non era quello del resto che facevano gli psicologi? Prendere ogni dettaglio della tua vita, strumentalizzarlo per ottenere ciò che secondo loro era un valido scenario scatenante e poi iniziare a riempire l’aria di parole vuote come se loro potessero davvero avere le cure per ogni male e problema, come se tutto potesse risolversi con una chiacchierata consumatasi una volta a settimana in uno studio in centro.
    Kirsten aveva sempre preferito gli psichiatri. Seppur per ristrettezze economiche nel momento del bisogno non aveva avuto modo di poterne usufruire, cosa che l’aveva portata a tirarsi fuori dai propri tormenti da sola, raccattando i pezzi e rimettendoli insieme come meglio poteva con le sue sole forze e doveva ammettere che a volte non era poi tanto sicura che il risultato ottenuto fosse poi così buono, prediligeva loro ai cugini di secondo grado, alias “psicologi”.
    Loro utilizzavano schemi scientificamente valutati e approvati con il supporto di un’ottima conoscenza farmacologica che, qualora il caso lo ritenesse non si facevano scrupolo a impiegare per il raggiungimento dell’obiettivo finale del trattamento che altro non era se non il benessere psicologico del paziente, inoltre possedevano una base medica a tutto tondo. In breve, li riteneva più affini alla sua forma mentale.
    Afferrato il bigliettino e riposto al sicuro nella borsetta, Kirsten tornò a prestare attenzione all’uomo sorridendo appena nel sentirgli dire che avevano idee opposte in merito alle serate libere, non ne era poi così sicura ma preferì tenere per se questo piccolo dettaglio.
    C’era qualcosa di particolare in Jesper, nascosta sotto quella parvenza di giovialità ostentata Kirsten ebbe l’impressione che vi fosse molta più consapevolezza del mondo rispetto a quanta un possibile trentenne – anno più o anno meno – dovesse avere. Non sapeva se fosse per il suo lavoro, se fosse per le storie che ogni giorno ascoltava o perché nessuno avesse mai ascoltato qualcuna delle sue, ma si ritrovò a pensare che vi fosse più profondità di quanta volesse mostrarne con quell’aria scanzonata che sfoggiava. Una ipotesi, la sua, che in fin dei conti non era intenzionata ad avvalorare o confutare, fermo restando che con molta probabilità non l’avrebbe neanche più rivisto dopo quella sera.
    Lo studio dei particolari, delle trasformazioni, delle più piccole forme della materia era una sua competenza, l’osservazione e l’ipotesi era la sua vita, la confutazione una sua passione. Dinanzi a quel pub, quella sera, non era presente un solo osservatore, ma due studiosi di arti diverse, fondate su metodi complementari, che raccoglievano - volenti o nolenti - ogni piccolo particolare con minuziosa attenzione.
    Il fatto che Jesper non conoscesse la zia di Elektra non la stupì molto, sperava – a quel punto – che l’amica le inviasse l’indirizzo o davvero non aveva idea di come fare a raggiungerla. Chiamare Mamma Dahl era fuori discussione, piuttosto avrebbe preso una stanza in un Bed & Breakfast per ricominciare la ricerca l’indomani, non aveva intenzione di scatenare la terza guerra mondiale tra madre e figlia.
    Inviato il messaggio all’ex avvocato, Kirsten capì di aver toccato un tasto dolente riguardo la disciplina praticata dall’altro, non era di certo sua intenzione offenderlo o denigrare la sua materia di studi, semplicemente lei preferiva la consistenza basata su prove scientifiche all’ipotesi che non sarebbe mai potuta divenire teoria
    “Se ho…mh.. ferito… il tuo animo da psicologo me ne dispiaccio, non era di certo mia intenzione denigrare la tua area di competenza o sminuirla. Ho solo espresso una mia preferenza da ricercatrice scientifica.”
    Sincerità, questo avrebbe dovuto leggere – se tutta quella roba sul “leggere le persone” era vera – l’altro sul volto e nelle movenze della chimica. Kirsten non ci trovava niente di assurdo nell'avere una visione completamente diversa su un argomento rispetto a qualcun altro, il fatto poi che da quanto avesse capito provenissero da due mondi diversi, l’uno facente parte dell’area umanistica e l’altra di quella scientifica, non faceva altro che rendere ancora più ovvia la possibilità che ciò accadesse.
    “So che la tua disciplina richiede uno studio approfondito a livello personale, ambientale e sociale al fine di raggiungere un obiettivo clinico prefissato. Tuttavia, la mia forma mentis predilige un altro tipo di metodica. Il mio preferire la razionalità e la sistematicità non implica né tantomeno mette in discussione la validità del tuo approccio.”
    Le sembrava estremamente semplice come ragionamento, la sua precedente affermazione non aveva infatti posto un giudizio assoluto sulla disciplina “Psicologia” anzi, al contrario, aveva espresso quello che era un parere personale, del tutto sindacabile, e per di più neanche totalmente negativo.
    Non comprendeva dunque a cosa fosse dovuta quella che poteva essere presa come una arringa a difesa di qualcosa mai posto sotto accusa.
    Fortunatamente l’argomento sembrò estinguersi abbastanza in fretta, non aveva intenzione di mettersi a disquisire su quali fossero, a suo dire, i limiti della psicologia, troppo spesso aveva sentito parlare di psicologi che non riconoscevano i propri limiti terapeutici o la fallibilità dei metodi a loro disposizione, chi ne andava a discapito era sempre e comunque il paziente che non solo si vedeva depredato delle proprie speranze, dei soldi investiti nella guarigione ma spesso non riceveva neanche l’indirizzamento presso uno specialista più indicato per il trattamento dei suoi disturbi. Non avrebbe mai capito questa lotta silenziosa che esisteva tra psicologi e psichiatri ma sperava vivamente che Jesper non rientrasse nella categoria, le sembrava un tipo appassionato e dedito al proprio lavoro almeno a giudicare dal modo in cui aveva difeso la sua professione. Qualcuno che lavorava per vocazione e non solo perché schiavo del vile denaro.
    “Adam Kane. Lo terrò a mente. Magari mi fermo qualche giorno in più, i boschi mi piacciono e anche la vista del mare. La natura ha sempre un fascino particolare se ci si ferma ad apprezzarla per un po’. Le zone verdeggianti sono le prime aree di Oslo che ho apprezzato dopo il mio trasferimento lì.”
    E, a proposito di trasferimenti, non era sfuggita a Kirsten l’esclamazione in francese che l’altro aveva pronunciato per metterla al corrente della sua mancata conoscenza della zia di Elektra, che fosse uno straniero anche lui o forse era meglio dire un abitante impiantato a Besaid?
    “Ora che ci penso, non ho potuto fare a meno di notare che parli il francese, hai una passione per la terra dei vini e dei formaggi o hai origini francesi? Sempre se la domanda non ti è molesta, ovviamente”
    Nonostante amasse viaggiare Kirsten non aveva avuto modo di coltivare questa sua passione quanto avrebbe desiderato. Se nei momenti antecedenti all’affermazione nella sfera lavorativa il problema era stato assoluto e anche solo l’idea di spendere dei soldi per tale hobby era proibitiva, con il passare a un regime economico benestante le cose erano cambiate seppur fosse molto scrupolosa sugli investimenti che effettuava e non le piacesse spendere e spandere senza criterio.
    Il suono, proveniente dal cellulare che teneva in mano, le comunicò l’aver ricevuto un messaggio attirando così la sua attenzione. Le dita sottili sbloccarono il dispositivo incontrando una notifica da parte di Elektra, rincuorata dall’aver ricevuto una risposta.
    Kirsten aprì la chat e – osservandone il contenuto – non poté fare a meno di sorridere, divertita dalle parole dell'amica che a quanto pare sembrava conoscere già lo psicologo.
    Allontanare temporaneamente quei pensieri non richiese alcuno sforzo da parte della mente laboriosa della ventinovenne che non tardò nel mettere al corrente l’uomo delle buone nuove appena ricevute. Con un sorriso gioioso a ornarle le labbra scure, Kirsten fece risuonare ancora una volta la propria voce nella fresca aria serale di Besaid
    “Abbiamo l’indirizzo! Per fortuna ha risposto o avresti davvero dovuto indicarmi quel Bed & Breakfast che avevi accennato”
    Invero la chimica non aveva alcun problema nel dormire in locande, ostelli, B&B o alberghi, però aveva davvero fatto un lungo viaggio per vedere l’ex legale e capire cosa stava succedendo, cosa la stesse trattenendo in quel luogo così lontano dalla sua casa natale e, nel caso in cui avesse bisogno di un paio di braccia operose, prestarle aiuto ben volentieri.
    “Elektra abita al n° 7 di Elvegaten. È molto lontano da qui? Non vorrei abusare troppo del tuo tempo e mi dispiacerebbe farti perdere tutta la serata. Anche se devo ammettere che l’avventurarmi da sola di notte in una nuova città non mi rasserena molto.”
    Quando era arrivata, intenta com’era allo studio di quella sconosciuta cittadina norvegese, non erano sfuggiti agli occhi nocciola i graffiti disseminati qua e là per la città, niente di nuovo o che non avesse mai visto, anche Oslo era piena di frasi, murales o dediche, però con il passare degli anni della capitale aveva scoperto tutti i segreti. I vicoli da evitare, le strade pericolose, le scorciatoie sicure, i locali affidabili e quelli invece che ospitavano individui più loschi, tutte quelle informazioni erano state essenziali per non cacciarsi in guai più grandi di lei quando la sera, dopo ore massacranti a lavoro, si ritrovava a rincasare a orari improponibili.
    La conoscenza che padroneggiava quando si muoveva per Oslo non le era però utile a Besaid, certo, osservando un gruppo di persone poteva benissimo comprendere se avessero intenzioni bellicose o meno, così come era in grado di correre via come un gatto selvatico, però non sempre questo era sufficiente.
    “Quando sono arrivata non ho potuto fare a meno di notare il ripetersi di frasi sparse in giro sul “non lasciarsi ingabbiare” o qualcosa di questo tipo, devo preoccuparmi? È un filosofo in erba o c’è un qualche gruppo di protesta attivo, o qualche banda criminale che opera sul territorio, non saprei, insomma … c’è qualcuno dal quale stare alla larga?”
    La frase venne accompagnata dal sollevarsi della mancina in direzione di una parete posta dal lato opposto della strada, vicino a quella che doveva essere una fermata degli autobus, in una tinta scura che svettava sul muro candido erano state vergate poche parole, prive di un significato tangibile per Kirsten ma non per questo meno prepotenti nel loro ripetersi più e più volte: “Non ci ingabbierete mai!”.
    “Sai non vorrei ritrovarmi a correre via da un gruppo di ragazzi che sventolano mazze da hockey inneggiando a una qualche personale forma di libertà o a chissà cos’altro”
    Le parole, sciorinate con tranquillità e tono mite, scivolarono fluide tra i boccioli di rosa mentre un sorrisino leggero compariva sui lineamenti femminei allo scopo di stemperare un po’ la serietà dell’argomento appena portato in ballo.
    Nel caso in cui Jesper le avesse fornito qualche informazione utile per comprendere meglio come evitare grane che di sicuro non cercava, Kirsten avrebbe prestato attenzione a ogni singolo lemma pronunciato dalla voce dell’uomo, così come non si sarebbe lasciata sfuggire eventuali reazioni mimiche al fine di capire qualcosa in più su quel luogo che l’avrebbe probabilmente vista soffermarsi più di quanto preventivato, visto che Bessy non era giovanissima e i pezzi di ricambio non proprio facili da trovare.
    Senza ombra di dubbio, comunque, avrebbe preferito non doversi muovere da sola tra quelle strade sconosciute e, se lo psicologo si fosse dimostrato intenzionato a guidarla lungo il tragitto, non avrebbe protestato mostrandosi invece grata, del resto aveva avuto conferma che non fosse neanche uno Psyco-Killer.

    Edited by :Jaci: - 6/5/2018, 14:08
     
    .
  8.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    6,114
    Reputation
    +423

    Status
    Anonymes!
    tumblr_ovvby5M9611qkt655o5_400
    Parigi era stata la sua prima casa: la culla degli artisti, dell'amore romanzato e del buon vino; poi, vi era stata Montecarlo, con le sue innumerevoli follie e i casinò aperti fino a tardi che se anche non volevi giocare, potevi sempre scolarti qualche liquore e rimorchiare qualche ragazza troppo esuberante per i proprio standard. Oslo, infine, era stata la sua terza meta, quello che l'aveva rovinato: un tempo era stato un uomo che amava divertirsi, l'esuberanza e il trasporto che certe piccole follie ti portano, ora si sentiva solo stanco ed affranto, proprio perchè non sapeva come e se fidarsi ancora delle persone. In un certo senso, ancora lo faceva, ma non era più la stessa cosa. Non riusciva nemmeno a fidarsi pienamente dei suoi amici, visti i suoi trascorsi.
    Non lo faccio. Solitamente mi espongo alle fonti di esuberanza a piccole dosi. Quando non posso evitarlo, ho avuto modo di lavorare con colleghi decisamente soverchi, cerco di dar fondo all’enorme pazienza maturata nel corso degli anni La ragazza lo riportò alla realtà, lontano dai brutti ricordi: a differenza di lei, Jes aveva maturato fin troppa pazienza, difatti era raro che si arrabbiasse. Era possibile che si scocciasse, ma non che lo si potesse vedere realmente arrabbiato; quindi, anche personalità frizzanti ed invasive come Espen o molto scosse come quelle di Adam non gli davano realmente fastidio. Jesper era una persona empatica, riusciva a immedesimarsi abbastanza bene a chi si trovava davanti a lui e si adattava alla circostanze.
    Quello si chiama quieto vivere, Kirsten. Precisò lui: c'era una netta differenza tra l'esporsi e il farlo realmente. Per chi non aveva alcun pregiudizio come lui, uscire con personalità sempre diverse non era un problema. Ma quel “piccole dosi” significavano un voler intendere proprio quello che aveva appena specificato. Lo faceva per quieto vivere, non perchè davvero si lasciasse andare. Sembrerà che ti stia psicanalizzando, forse è anche così, e ti chiedo umilmente perdono, è deformazione professionale. Solo mi è venuto un dubbio: Non è che hai paura di lasciarti andare, in un certo senso?
    Continuò a raccontargli delle sue preferenze, e più continuavano, più sentiva che era quasi uguale a lui, sotto alcuni aspetti: certo, lui era notevolmente più paziente e non rifuggiva il caos. Lui il caos aveva imparato a sistemarlo, con i suoi metodi e i suoi tempi. Stava ancora cercando di risistemare il suo, di caos. Preferiva, di gran lunga, mettere in ordine il disastro altrui, era più semplice e c'era più abituato. Era stato fin troppo diligente e accurato, senza mai sbagliare, procedendo con sicurezza guardandosi attorno troppo spesso e, alla fine, proprio la sua stabilità lo aveva tradito.
    Non sono però così masochista da andarmeli a cercare. Amo la tranquillità anche se non disdegno le serate all’insegna della follia e del divertimento, purché sia follia e non stupidità
    Dove inizia secondo il tuo metro di giudizio la stupidità? Ed era una domanda che effettivamente gli interessava: quella conversazione stava divenendo sempre più simile ad una sua seduta.
    Pensava davvero che a quella ragazza servisse dello svago: sembrava una molto impostata, quasi rigida. Eppure, era dell'idea che gli sarebbe servito qualcuno che la facesse divertire, qualcuno che le mostrasse che si poteva essere un po' incoscienti, alle volte. Non per forza l'incoscienza portava a qualcosa di male. Escludendo l'innamorarsi incoscientemente, come aveva fatto lui, le piccole bravate erano sempre una buona cosa, facevano bene all'animo. Se non le si viveva apertamente, si finiva alla fine per perdersi un'occasione: e poi lo sapevano tutti che la felicità si trova dove meno ci si aspetta. Forse Kirsten stava solo guardando in una sola direzione quando quella stessa strada portava in mille altre con molteplici altri finali.
    L'unica cosa che gli dispiaceva e che non considerasse la sua vocazione come una cosa seria: lo sapeva che chi ha una metodica scientifica e non psicoanalitica tende ad essere scettico su determinati argomenti come la psicologia, ma essa aveva dato degli ottimi risultati sul benestare delle persone, quindi non si poteva dire che non fosse, in effetti, una vera e propria disciplina.
    Sarà meglio per te se non vuoi trovarti i creditori a bussare alla porta del tuo studio! Rise, dopo lo scherzo che lo psicoterapeuta fece, lui stesso sorrise, piacevolmente divertito dalla sua battuta ben riuscita.
    Non mi piace avere debiti. Quindi, dopo lo chiamo e gli do i suoi soldi. Era ovvio che pensava il contrario, suvvia... Aveva lo sguardo serio, per un momento, ma poi era scoppiato a ridere non appena si accorse che forse la ragazza dai capelli argentati ci stava credendo. Non ci trovava nulla di male a fermare le persone per fargli una semplice domanda: certo, magari metà dei suoi clienti non l'avrebbero mai fatto, ma lui aveva vissuto a Parigi e Montecarlo, come detto sopra, e spesso e volentieri le persone si mettevano a parlare con perfetti sconosciuti. Ne aveva incontrate di ragazze in quella maniera, e altrettante volte se ne era portato a letto. Non si stupiva di una cosa così, perciò.
    Le aveva fatto una domanda semplice, perchè voleva realmente sapere che cosa piacesse ad una donna così, come lei, con gli occhi di chi è affranto, in un certo senso, e cerca di nasconderlo dietro una vaga aria di tranquillità, come se andasse tutto bene.
    Sono un tipo molto versatile a dire il vero, amo la tranquillità di una passeggiata primaverile o un buon libro da leggere sul divano con una bottiglia di vino appena aperta. Non disdegno una buona serie tv e un film o un concerto al parco. Anche fissare il soffitto alle volte può essere interessante, specialmente con un paio di cuffie a pomparti la musica nelle orecchie
    Alzò un sopracciglio: quella poteva sembrare una perfetta descrizione dei suoi hobby, abitudini e vizi. Anche lui amava i libri, le passeggiata, il vino e la buona musica. Aveva quasi dell'incredibile, eppure doveva aspettarselo: nei suoi occhi vi era qualcosa che gli suggeriva che era una tipa placida, come quei laghetti piatti e senza nemmeno un'onda che si scatenano non appena butti un sasso.
    Quando poi la ragazza svanì per andare a recuperare le sue cose, le aveva poi chiesto se le servisse una mano e le aveva portato il borsone, così da alleggerirla: credeva nel vero potere delle donne, ma aiutarle lo faceva stare un po' più tranquillo, più in pace. Era fatto così, probabilmente la filosofia zen era ciò che gli si addiceva più di tutti.
    Ehm, grazie. Devo dedurne che quindi anche l’ipotesi di tenersi in contatto con lui per email sia fuori di discussione. Temo che il problema richiederà qualche giorno in più, Bessy non è proprio una giovincella. Ah, Bessy è la mia macchina.
    Oh, attenzione... Abbiamo una sentimentale qui. Lo psicologo sorrise in maniera amichevole, prendendo un po' in giro la ragazza per il fatto che avesse dato un nome ad un oggetto: Quante sorprese che mi riservi.
    Una tra queste, quello che lo colpì come un dardo in pieno petto, fu il denigrare la sua professione: quante volte aveva sentito quelle parole, quante volte con gentilezza aveva spiegato che non era così. Probabilmente era l'ennesima tizia che pensava che gli psichiatri erano meglio, dato che curavano le persone con farmaci che si potevano definire al pari delle più potenti droghe pesanti. Ah giusto, ma loro erano medici. Fa niente se poi gli stessi barbiturici ti creavano dipendenza, effetti collaterali e non risolvevano il problema. Jesper li chiamava “i peggiori palliativi”, perchè rintronavano il paziente ma non faceva nulla per curarlo. Preferiva spendere molto più tempo coi suoi pazienti, creare una vera terapia, aiutare seriamente, piuttosto che drogare una persona. Il Prozac, il valium e tutti questi farmaci erano fuori discussione e lui stesso non li utilizzava pur essendo sia psichiatra che psicologo. Psicoterapeuta c'era scritto sulla sua diavolo di laurea.
    Se ho…mh.. ferito… il tuo animo da psicologo me ne dispiaccio, non era di certo mia intenzione denigrare la tua area di competenza o sminuirla. Ho solo espresso una mia preferenza da ricercatrice scientifica. So che la tua disciplina richiede uno studio approfondito a livello personale, ambientale e sociale al fine di raggiungere un obiettivo clinico prefissato. Tuttavia, la mia forma mentispredilige un altro tipo di metodica. Il mio preferire la razionalità e la sistematicità non implica né tantomeno mette in discussione la validità del tuo approccio.
    E' inesatto. Io sono uno psicoterapeuta. C'è una metodica nel mio lavoro e c'è anche dell'interesse nel paziente. Non ci tengo a vederli rintronati a causa di farmaci che comunque non sono una vera terapia. Sapeva di essere stato noioso, ma prima le persone capivano la differenza tra psicologo, psichiatra e psicoterapeuta e prima avrebbero compreso che si sbagliavano sul suo conto. Glielo disse con serenità, come quando gli studenti dell'università gli facevano quelle stesse domande, palesandosi col dire “gli psichiatri sono meglio perchè possono prescrivere gli psicofarmaci”. Niente di più sbagliato, pensò. Non faceva di te un buono psichiatra il prescrivere barbiturici di vario genere, ma se sapevi dove andare a parare.
    Adam Kane. Lo terrò a mente. Magari mi fermo qualche giorno in più, i boschi mi piacciono e anche la vista del mare. La natura ha sempre un fascino particolare se ci si ferma ad apprezzarla per un po’. Le zone verdeggianti sono le prime aree di Oslo che ho apprezzato dopo il mio trasferimento lì.
    Sbattè le palpebre un paio di volte: allora anche lei veniva da Oslo? Perchè non l'aveva detto subito?
    Oh, ho lavorato per un po' di tempo nella capitale. Avevo un mio studio, insieme al mio socio. Conosco quasi tutte le zone verdi di quella città. Aveva adorato Oslo, eppure ora non riusciva a non odiarla. Una di quelle pochissime cose che non sopportava, ma che nel contempo non poteva smettere di dimenticare, un po' come lei. La sua ex.
    Ora che ci penso, non ho potuto fare a meno di notare che parli il francese, hai una passione per la terra dei vini e dei formaggi o hai origini francesi? Sempre se la domanda non ti è molesta, ovviamente
    Jesper sorrise: non era la prima volta che gli veniva chiesto, sebbene fosse abile nel nascondere il suo vero accento, quindi non si sentiva poi molto, e sin da quando si era trasferito in Germania aveva rimosso addirittura la sua erre leggermente moscia che ormai veniva fuori solo quando parlava nella sua madrelingua. comment as-tu compris??
    Essenzialmente, era rimasto lì per sua sorella e sua nipote, ma poi Isil se ne era andata, lasciando Jude da solo a crescere la figlia. Solo col suo dolore. Così era rimasto, facendo il suo dovere di io e cognato, anche se annusava nell'aria il divorzio ormai imminente. Per lui, Jude sarebbe rimasto un amico, in ogni caso.
    La ragazza scattò, non appena lesse la chat sul suo cellulare: Abbiamo l’indirizzo! Per fortuna ha risposto o avresti davvero dovuto indicarmi quel Bed & Breakfast che avevi accennato. Elektra abita al n° 7 di Elvegaten. È molto lontano da qui? Non vorrei abusare troppo del tuo tempo e mi dispiacerebbe farti perdere tutta la serata. Anche se devo ammettere che l’avventurarmi da sola di notte in una nuova città non mi rasserena molto.
    A quelle parole, lo psicoterapeuta guardò dentro al locale e vide che Espen se ne era andato: beh, lo avrebbe sicuramente rivisto il giorno dopo. Si voltò nuovamente verso la ragazza e sorrise, scuotendo il capo.
    Nessun problema, non ti lascerei comunque andare in giro per strada senza protezione... Si bloccò, ricordandosi quel nome: Elektra Dahl? Parliamo della stessa persona?
    Oddio, ancora quella tipa? Elektra era un tipetto niente male, catturava la sua curiosità ma metteva a dura prova la sua pazienza, in certi momenti. Fortuna che contava sempre fino a venti prima di parlare, ed era uno molto ponderato. Ricordava ancora il loro scontro a Chinatown.
    Quando sono arrivata non ho potuto fare a meno di notare il ripetersi di frasi sparse in giro sul “non lasciarsi ingabbiare” o qualcosa di questo tipo, devo preoccuparmi? È un filosofo in erba o c’è un qualche gruppo di protesta attivo, o qualche banda criminale che opera sul territorio, non saprei, insomma … c’è qualcuno dal quale stare alla larga?
    Jesper si morse il labbro inferiore, mentre camminava vicino a lei: non era semplice rivelarle tutta la verità, e vista la sua razionalità e un vistoso scetticismo, non era certo che ci avrebbe creduto. Forse avrebbe dovuto metterla in terapia dopo una tale confessione.
    Diciamo che è complicato, ma se rimani qui, capirai molte cose. Non penso di essere la persona più adatta a darti tale spiegazione, in effetti. Non vivo qui da così tanto tempo da poter essere così esplicativo.
    Tagliò corto, perchè in effetti non c'erano modi corretti per dirle tutta la verità su Besaid, anche lui c'aveva messo mesi prima di comprendere ed accettare, e capiva che per persone di scienza come loro apprendere una cosa come quella. Le particolarità. E ora vi era una setta che voleva farne un vanto, come se non fosse già assurdo doverlo accettare e conviverci.
    Sai non vorrei ritrovarmi a correre via da un gruppo di ragazzi che sventolano mazze da hockey inneggiando a una qualche personale forma di libertà o a chissà cos’altro
    Oh, non preoccuparti: se mai fossi in pericolo di vita, qualcuno accorrerà, te lo assicuro. In effetti, era quasi sicuro che Espen, in un certo qual modo, avrebbe trovato il modo di vegliare su di lei. Tanto dormiva due ore al massimo a notte. In effetti, la cosa iniziava ad essere inquietante.

    Edited by type 0 negative - 25/4/2018, 23:08
     
    .
  9. :Jaci:
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    OHr7vp8
    Kirsten Haugen ▸ 29 ▸ Idrocinesi
    Quella che poteva sembrare una puntualizzazione da parte di Jesper non riuscì a cogliere alla sprovvista la norvegese che, in tutta risposta, si limitò a sollevare leggermente le spalle minute con tanto di sorrisino malandrino ad ornarle i lineamenti delicati.
    La vita era un susseguirsi infinito di compromessi e Kirsten lo aveva imparato ormai da tanto tempo, non si può avere tutto e spesso il poco che si ha non è esattamente come dovrebbe o si vorrebbe che fosse. C’erano stati episodi nel suo passato in cui avrebbe preferito poter fare scelte diverse ma non aveva potuto alla ricerca di quella serenità futura che aveva inseguito per metà della sua vita. Non sempre era andata fiera delle scelte perpetrate, avrebbe preferito – a distanza di anni - tornare più spesso a casa per avere più ricordi di suo padre e abbracciare più spesso sua madre, invece di accontentarsi della telefonata della buona notte e, a volte, quando riusciva a permettersi di caricare la chiavetta internet, di una videochiamata, non era la stessa cosa ma alleviava un po’ il peso di tutti quei kilometri. Le sarebbe piaciuto poter accendere un po’ di più i riscaldamenti in quella bettola che aveva chiamato casa durante i primi anni di studi a Oslo ma questo avrebbe significato non poter comprare gli approfondimenti per l’importante esame da dodici crediti di una qualsiasi sessione d’esame; aveva desiderato con tutto il cuore di poter finalmente dire alla sua padrona di casa che no, non le andava di portare tutte le sere anche la sua spazzatura giù dal condominio, ma questo avrebbe significato indispettirla e solo lei sapeva quanto le servisse un po’ di clemenza quando i soldi per l’affitto tardavano ad arrivare di quella manciata di giorni. Non erano state poche le scelte che aveva fatto per il quieto vivere, rinunce, sacrifici, compromessi, non le era mancato nulla e, nonostante qualche rimpianto, probabilmente avrebbe rifatto tutto o quasi allo stesso modo, con la stessa determinazione e speranza per il futuro.
    Il sorriso non si spense, seppur cambiò sfumatura facendosi più divertito, neanche nel momento in cui l’altro giocò d’anticipo scusandosi per una presunta psicanalisi fuori orario, Kirsten si chiese per un momento se Jesper pensasse davvero che bastassero quelle poche chiacchiere per comprendere la persona che aveva davanti, il linguaggio del corpo, un paio di parole chiave individuate in un discorso molto più ampio e complicato, la risposta che si volle dare fu un secco e netto “No”.
    Se davvero il trentenne era uno psicologo di un certo livello, non tutti venivano chiamati a discutere in convegni e congressi, con tanto di carica da psicoterapeuta, doveva essere sicuramente consapevole di quanto profonde e radicate fossero, nell’animo umano, le cicatrici che portavano al mutamento di un individuo. Non vi era uomo o donna, nel mondo, che non fosse stato segnato in vita sua da ferite o tormenti, nessuno era immune al dolore e la gioia spesso era solo un sedativo che assopiva la sofferenza donando nuova carica anche all’animo più martoriato, una ragione per andare avanti, sognare ancora, desiderare ancora qualcosa.
    “Fin quando non mi chiedi di pagarti la seduta e non osi troppo non ci sono problemi, puoi provare a psicanalizzarmi quanto vuoi”
    Il tono di Kirsten non era saccente né tantomeno potevano essere udite note di fastidio nelle sue parole, non pensava di essere speciale né tantomeno di poter vantare particolari complessità, era però consapevole di tutto ciò che l’aveva portata a essere ciò che era.
    Gli eventi della sua vita l’avevano segnata duramente nel corso dei suoi ormai quasi trent’anni, l’avevano plasmata, come la creta sotto le mani di un artista inesperto o forse un po’ goffo, aveva perso parti di se stessa e ne aveva guadagnate di nuove, amalgamandole con ciò che era, facendole sue e rendendole un tesoro inestimabile, si era vista cambiar forma tante volte senza sapere mai cosa stava diventando ma alla fine si era ritrovata ad accettarsi come il risultato di una serie di reazioni e azioni cosmiche. Come l’acqua, Kirsten cambiava continuamente rimanendo essenzialmente se stessa. Jesper poteva provare a scrutarla con i suoi occhi in quiete, cercare di comprendere i sensi di ogni suo movimento, ogni sfumatura o cadenza della sua voce ma non avrebbe mai potuto capirla, non senza conoscerla e questo lei non lo avrebbe permesso di certo a uno sconosciuto, alcune parti di se erano un mistero anche per coloro che le erano davvero vicini e non bastava un pezzo di carta e tante storie ascoltate per poter comprendere l’arazzo caotico che costituiva la sua essenza più profonda.
    “Mai avuto problemi a “lasciarmi andare”, ho imparato ad andare in bicicletta senza rotelle per prima tra i miei coetanei, mi fanno ancora male le ginocchia al pensiero ma per il dolce che ho guadagnato ne è valsa decisamente la pena”
    Tipico della Haugen non parlare di sé, socievole e affabile con tutti, si mostrava sempre cordiale e spontanea con gli altri ma glissava con agilità e insondabile maestria gli argomenti troppo personali, in pochi erano riusciti a ghermirla e stringerla al punto da farle vomitare gli infiniti arcobaleni e gli oceani oscuri che si portava dentro, il resto erano parole espresse con cordialità ma setacciate con minuziosa attenzione.
    “Questa è una domanda intrigante, Jesper. Il mio concetto di stupidità e follia può essere definito come una interpretazione personale elaborata nel corso degli anni, non è dunque verità assoluta ma è il mio metro di giudizio”
    La premessa, prima di rispondere alla domanda riguardante la stupidità posta dallo psicologo, era dovuta a fronte della possibilità di incomprensione che aleggiava quieta all’interno dello spazio di una conversazione. Silenziosa e letale essa non aspettava altro che aggrapparsi con le sue dita grigio fumo a parole o concetti, andando a modificarne i contenuti per l’ascoltatore e mietendo così vittime inconsapevoli del vero significato di quanto enunciato.
    “La stupidità altro non è che lo sfoggiare una forza che si fonda sul friabile terreno di una fragilità occulta, è conoscere il proprio limite e, invece di spostarne il confine man mano un po’ più in là, provare a saltarlo piè pari con l’unica conseguenza di sprofondare nel baratro pericoloso che celava trascinando forse altri con te”
    Ravvivandosi la chioma d’argento con la destra, Kirsten cercò il pacchetto di sigarette con la mancina estraendolo dalla tasca e appropriandosi di un’altra sigaretta, i morsi della fame iniziavano a stringerle lo stomaco e il pensiero di aver anche preso due fette di dolce – una per lei e una per Elektra – non l’aiutava a contrastarlo. Nessun brontolio o rumore sinistro si sarebbe udito partire dalla norvegese, le intense ore di studio o lavoro prima e le ricerche in laboratorio dopo l’avevano addestrata a un regime alimentare del tutto sregolato che l’aveva ormai da tempo privata della sensazione di fame, era un leggero bruciore silenzioso alla bocca dello stomaco che a distanza di ore gli ricordava la necessità di nutrirsi e, la dose di nicotina di una sigaretta riusciva a contrastarlo benissimo dandole il tempo di temporeggiare.
    “ Il confine tra Follia e Stupidità è labile e troppo spesso le persone sguazzano nella seconda, convinti di essere nella prima. La Follia, intesa nell’accezione positiva del termine, è un’esperienza che risuona irrazionale nella mente di chi la compie ma, al tempo stesso, dona una scarica di adrenalina che fa sentire vivi, fa fare nuove esperienze che faranno da bagaglio per il futuro ma non mette a rischio nessuno. Né se stesso né coloro che li circondano”
    Recuperato l’accendino all’interno del taschino in cui lo aveva messo in sicurezza poco prima, le mani si chiusero a coppa intorno all’accessorio completamente nero e con un piccolo BabySkull bianco in rilievo, un movimento del pollice e la fiammella iniziò a brillare nella notte norvegese bruciando l’estremità della sigaretta prima di essere spenta.
    Sorrise divertita all’ennesima goliardica battuta riguardante il tizio bloccato poco prima, quell’uomo saltava tra argomenti di diverso spessore con estrema facilità ma lei non aveva alcun problema a seguire quell’andamento né tantomeno si sentiva disorientata, era abituata a quello stile che poteva in un certo senso ritenere anche un po’ suo.
    Con il borsone ormai nelle mani dell’uomo, Kirsten sperava che non lo shakerasse troppo vista la presenza delle due vaschette con la fetta di dolce al loro interno, la norvegese scosse la testa divertita ci avrebbe scommesso che l’altro non avrebbe mancato dal sottolinearle il suo aver dato un nomignolo alla sua auto
    “Hey, ho un cuore di caramella Mou io sai e sono una sorpresa continua, modestamente.”
    L’ilarità con cui espresse quelle poche parole era contagiosa tanto da far sorridere una giovane che, passando vicino al duo, aveva udito probabilmente quella parte di conversazione.
    Terminato il momento di allegria, una serena serietà riprese spazio sul volto delicato della chimica che non tardò, dopo aver lanciato un ultimo sguardo a Bessy, di fare le dovute precisazioni
    “ E comunque lei merita un nome più di molte persone, sempre disponibile e pratica, ogni tanto fa qualche capriccio ma ha una certa età, ha macinato tanti di kilometri e soprattutto è molto più fedele e riservata di molti esponenti della razza umana”
    Lo spostamento della conversazione verso lidi più professionali andò a toccare quello che per Kirsten era un tasto assai dolente e che mal concepiva specialmente se a divulgare un simile erroneo verbo era proprio un discepolo della cura della Psiche umana.
    La medicina aveva fatto passi da gigante negli ultimi anni, lei stessa aveva potuto monitorare durante il periodo di dottorato diverse ricerche in area medica e tutte si basavano sul formulare nuove composizioni e principi attivi di nuova generazione con lo scopo di ridurre in maniera drastica effetti collaterali debilitanti per l’individuo che li assumeva. Era il caso di nuovi preparati chemioterapici, farmaci psicotropi o antidepressivi ma anche di sostanze salvavita come farmaci per le emergenze, tutto veniva migliorato e l’ancoraggio a vecchie credenze popolari era un macigno pesantissimo che continuava a ostacolare il progresso scientifico.
    “Non ho mai detto che la tua disciplina non si basi su una metodica, ho semplicemente detto che sono portata a prediligerne un’altra. Mi trovo però completamente in disaccordo con la tua posizione riguardo i farmaci di uso psichiatrico”
    Kirsten non aveva mai seguito una terapia della mente né di tipo farmacologico né di semplice supporto colloquiale, non ne aveva avuto modo visto che quel tipo di prestazioni non erano esattamente economiche e a quei tempi non aveva potuto permettersi una spesa così ingente, tuttavia l’argomento le era divenuto assai caro nel momento in cui Elektra aveva visto la sua vita andare in frantumi e ogni certezza e sogno sgretolarsi tra le sue mani che avevano provato a contenere quei granelli sottili il più possibile prima di doversi arrendere all’evidenza che forse era meglio lasciarli andare e ricominciare a costruire.
    “I farmaci non sono necessariamente negativi se prescritti da individui aventi reali competenze in materia. Le molecole sono combinate e studiate per fare in modo da ridurre al minimo gli effetti indesiderati, sta al prescrittore il compito di far valere i propri studi e scegliere dosaggi adeguati. È l’abuso o l’erronea somministrazione a causare le problematiche da te enunciate. Non è la molecola ma chi la usa in maniera impropria ad arrecar danno”
    La scienza era qualcosa di esatto e concreto, questo era uno degli assiomi della vita stessa di Kirsten, una teoria era confutabile e poteva cadere sotto il peso di nuove evidenze ma tutto si basava su certezze provabili e dimostrabili in laboratorio. Ci voleva dedizione, determinazione ma la norvegese era sempre stata convinta che qualsiasi cosa potesse far male, ma questo non la portava necessariamente ad assumere una connotazione obbligatoriamente negativa. Così era per i medicinali, solo perché un farmaco se dosato in maniera erronea poteva arrecare complicanze, non significava che il suo utilizzo si dovesse ostracizzare in toto, il problema era sempre nella mano che li utilizzava o – in questo caso- che li prescriveva.
    “Ogni area della tua disciplina abbraccia diversi contesti, è unica e caratteristica, dimostra la propria efficienza ed efficacia sul campo e affronta diverse realtà. Dire che l’uso di farmaci non è una vera terapia atta alla soluzione è erroneo e incompleto. Ci sono patologie del sistema nervoso, come sai sicuramente meglio di me, che non possono essere davvero curate ma solo arginate o contenute, le sedute di psicoterapia risultano dunque inefficaci se non supportate da farmaci in quanto hanno alla base un problema funzionale che esula da traumi o vissuti ma può avere anche connotazioni genetiche”
    Avere un Dottorato in Scienze Chimiche e Molecolari aveva aperto alla mente laboriosa di Kirsten una infinità di nuove conoscenze grazie specialmente ai lavori in equipe che aveva avuto modo di seguire prima come dottorando e dopo come dottorata di ruolo, il dover partecipare a importanti congressi sugli argomenti più disparati la metteva poi in condizione di apprendere molte più cose di quante necessitasse davvero conoscere.
    Nel proseguo della conversazione, lo scoprire che anche Jesper venisse da Oslo la stupì, Besaid non era esattamente dietro l’angolo anche se a dirla tutta se poteva essere giunta lei fin lì potevano arrivarci probabilmente tutti per le motivazioni più disparate
    “Davvero? Il mio preferito è il Sofienberg Park con quei lunghi viali costeggiati da alberi, trovo che in autunno sia uno spettacolo per gli occhi”
    L’ennesima frase in francese fluido le fece comprendere che quella di Jesper probabilmente non era semplice passione ma esperienza di vita che però non si soffermò a confermare visto l’arrivo dell’indirizzo di Elektra che la fece sorridere divertita e comunicare l’indirizzo e tutte le sue perplessità allo psicologo che però risultò essere stranamente svicolante sull’argomento, cosa che le fece arcuare un sopracciglio e lanciare un’occhiata sospettosa nella sua direzione.
    Il fatto che comunque la Dahl avesse già avuto modo di avere a che fare con lui, anche se non aveva ben capito il discorso del bicchiere e non avrebbe di sicuro mancato a chiedere succose notizie in proposito all’amica, accompagnato dall’aver comunque detto all’ex avvocato con chi era le fece accantonare per il momento l’evasività dell’altro in favore di argomenti più neutri
    “Sì, Elektra Dahl. Mi ha scritto di dirti che sa dove hai lo studio e quindi devi fare il bravo. Ambasciator non porta pena. A proposito, le rispondo un momento e poi ci avviamo se non è lontano e per te va bene, ha detto che è in una casetta rossa di quelle a schiera che danno sulla spiaggia.”
    Con una nota di divertimento ad abbellirle il volto d’alabastro, Kirsten portò la sigaretta ormai a metà nella dritta prima di sbloccare di nuovo il cellulare iniziando a digitare rapidamente con le dita sul display, terminato il tutto inviò quanto scritto rivolgendosi di nuovo a Jesper.
    “Bene! In marcia? Altrimenti Elektra si è offerta di venirmi a prendere se per te è troppo lontano, decidi tu, in caso contrario, ti seguo fai pure strada mio capitano!”
    Qualora Jesper si fosse messo in marcia, Kirsten lo avrebbe seguito tenendo il passo senza nessuna difficoltà, abituata a camminare per Oslo e a praticare sport in generale non le mancava di certo il fiato o l’energia per una camminata notturna.

    Edited by :Jaci: - 6/5/2018, 14:09
     
    .
  10.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    6,114
    Reputation
    +423

    Status
    Anonymes!
    tumblr_oh82srG7wB1vr11n8o1_400
    Fin quando non mi chiedi di pagarti la seduta e non osi troppo non ci sono problemi, puoi provare a psicanalizzarmi quanto vuoi Il sorriso della ragazza dai capelli argentati divenne improvvisamente più divertito e lui si sentì leggermente più sollevato: non lo faceva di proposito di psicanalizzare le persone, in realtà era una cosa che faceva di default, come se ormai la sua persona fosse settata perennemente in fase lavorativa e quasi tutte le persone le recepisse come pazienti. Inutile dire che si odiava un po' per questo, cosa che invece non era accaduto con Elektra, la quale sembrava metterlo abbastanza a suo agio, stranamente, viste le frecciatine che si lanciavano. Mai avuto problemi a “lasciarmi andare”, ho imparato ad andare in bicicletta senza rotelle per prima tra i miei coetanei, mi fanno ancora male le ginocchia al pensiero ma per il dolce che ho guadagnato ne è valsa decisamente la pena Suonava più come un volersi scagionare dalle “accuse” rivoltele da Debenham, che invece la stava ascoltando senza interromperla, facendosi le sue supposizioni su chi ella fosse e se effettivamente si divertisse come diceva. Le sue, d'altronde, erano solo sciocche supposizioni, in effetti, che avrebbe tenuto per sé, senza svelarle a nessuno.
    Però, effettivamente voleva scoprire quale fosse il confine tra stupidità e follia, quindi le pose quella domanda per levarsi quel dubbio. Questa è una domanda intrigante, Jesper. Il mio concetto di stupidità e follia può essere definito come una interpretazione personale elaborata nel corso degli anni, non è dunque verità assoluta ma è il mio metro di giudizio. La stupidità altro non è che lo sfoggiare una forza che si fonda sul friabile terreno di una fragilità occulta, è conoscere il proprio limite e, invece di spostarne il confine man mano un po’ più in là, provare a saltarlo piè pari con l’unica conseguenza di sprofondare nel baratro pericoloso che celava trascinando forse altri con te, Si accorse che loro due usavano due termini distinti per dire la stessa cosa: lei lo usava per stupidità, lui per incoscienza, che capiva che potevano essere sinonimi, ma a suo dire non volevano dire la stessa cosa. Si poteva essere persone con la testa sulle spalle ed essere incoscienti nel fare determinate cose, essere stupidi era proprio il non rendersi conto delle proprie azioni. Essere ciechi a ciò che ci passava davanti nonostante tutto. Come lo era stato lui con Guy e Camille. Il confine tra Follia e Stupidità è labile e troppo spesso le persone sguazzano nella seconda, convinti di essere nella prima. La Follia, intesa nell’accezione positiva del termine, è un’esperienza che risuona irrazionale nella mente di chi la compie ma, al tempo stesso, dona una scarica di adrenalina che fa sentire vivi, fa fare nuove esperienze che faranno da bagaglio per il futuro ma non mette a rischio nessuno. Né se stesso né coloro che li circondano Tornò ad ascoltarla, abbandonando per un momento le sue stigmati del passato, ritrovandosi con un borsone tra le mani, che mise con cura sulla spalla, cercando di non sbatterlo troppa per paura di rovinare qualcosa di valore. Effettivamente, sarebbero potuti arrivare in minor tempo con il suo teletrasporto, forse poteva distrarla in qualche modo: doveva pensare ad un piano il più in fretta possibile, quindi guadagnò tempo.
    Hey, ho un cuore di caramella Mou io sai e sono una sorpresa continua, modestamente. Lo psicoterapeuta ridacchiò, pensando che, in fondo, poteva anche essere vero. Però c'era qualcosa di strano negli occhi di quella ragazza e prima o dopo avrebbe scoperto che cosa fosse.
    Oh, non lo metto in dubbio. Disse, con tono gentile e carino: per lui, qualsiasi persona era un'eterna sorpresa, chi più di altre. Persino il ragazzo con cui aveva condiviso quella serata poco prima sembrava esserlo. Gli si poteva dire tutto, ma non che fosse scontato e poco interessante, a differenza di Jesper che era arrivato a definirsi un “vecchio di merda”.
    E comunque lei merita un nome più di molte persone, sempre disponibile e pratica, ogni tanto fa qualche capriccio ma ha una certa età, ha macinato tanti di kilometri e soprattutto è molto più fedele e riservata di molti esponenti della razza umana
    Potrei dire la stessa cosa della mia gatta, sai? In effetti, Moka era per lui una sorta di migliore amica, la migliore assistente del mondo: Anche se è piuttosto giovane, è già molto più saggia di tante persone di mia conoscenza. Sorrise, sperando che non lo prendesse per uno di quegli uomini o donne single che si riempivano di gatti e andavano in giro a dire che erano tutta la loro vita. Gesù santo...
    Non ho mai detto che la tua disciplina non si basi su una metodica, ho semplicemente detto che sono portata a prediligerne un’altra. Mi trovo però completamente in disaccordo con la tua posizione riguardo i farmaci di uso psichiatrico. I farmaci non sono necessariamente negativi se prescritti da individui aventi reali competenze in materia. Le molecole sono combinate e studiate per fare in modo da ridurre al minimo gli effetti indesiderati, sta al prescrittore il compito di far valere i propri studi e scegliere dosaggi adeguati. È l’abuso o l’erronea somministrazione a causare le problematiche da te enunciate. Non è la molecola ma chi la usa in maniera impropria ad arrecar danno. Ogni area della tua disciplina abbraccia diversi contesti, è unica e caratteristica, dimostra la propria efficienza ed efficacia sul campo e affronta diverse realtà. Dire che l’uso di farmaci non è una vera terapia atta alla soluzione è erroneo e incompleto. Ci sono patologie del sistema nervoso, come sai sicuramente meglio di me, che non possono essere davvero curate ma solo arginate o contenute, le sedute di psicoterapia risultano dunque inefficaci se non supportate da farmaci in quanto hanno alla base un problema funzionale che esula da traumi o vissuti ma può avere anche connotazioni genetiche
    Lungi da me dal fare polemica, o di averti dato l'impressione di volerne fare. Non credo nella terapia basata esclusivamente sui farmaci. Essendo dei derivati da sostanze inibitorie, tendono a rendere i pazienti apatici, oltre che insensibili o ipersensibili –a seconda del caso specifico– e dipendenti da una sostanza a cui, come ho già detto, dovrai lavorare con ennesime terapie. Sì, è vero che ci sono patologie che non possono farne a meno, e anche qui è scorretto affermare una cosa simile, perchè io per primo cerco di curare anche i casi più gravi con terapie alternative agli psicofarmaci, e nel novanta per cento dei casi funzionano. I barbiturici credo di aver chiesto la prescrizione della mia più vecchia collega solo un paio di volte in tutta la mia carriera e di questo ne vado molto fiero. La terapia, a mio parere, e questo puoi prenderlo come mio personale parere di professionista, è un percorso che bisogna fare assieme al paziente per fargli capire dove deve riparare, come curarsi affinchè in un futuro sia più forte. I barbiturici dovrebbero essere usati solo nei casi più estremi, quando nemmeno la terapia è servita a qualcosa. Comunque, anche la cannabis da ottimi risultati anche nei più gravi stati d'ansia o panico. Io non sono un consumatore, ma l'ho consigliata, sotto prescrizione della mia collega. E così, terminò il suo discorso riguardante gli psicofarmaci e il suo sdegno nei loro confronti, pur rispettando il parere altrui.
    Oslo gli era piaciuta, ma ormai aveva di quella città un pessimo ricordo, quindi si limitò ad ascoltare ciò che la ragazza gli diceva: Davvero? Il mio preferito è il Sofienberg Park con quei lunghi viali costeggiati da alberi, trovo che in autunno sia uno spettacolo per gli occhi
    Mh, ho sempre preferito gli inverni, qui in Norvegia. Viene da Oslo?
    Non appena sentì nominare Elektra, una leggera risata uscì dalle labbra di Jesper, ricordando quel pomeriggio in compagnia con l'ex avvocatessa. Si inumidì le labbra, scuotendo il capo: era quasi certo che avrebbe detto all'amica peste e corna su di lui.
    Sì, Elektra Dahl. Mi ha scritto di dirti che sa dove hai lo studio e quindi devi fare il bravo. Ambasciator non porta pena. A proposito, le rispondo un momento e poi ci avviamo se non è lontano e per te va bene, ha detto che è in una casetta rossa di quelle a schiera che danno sulla spiaggia.
    Non appena sentì la frase, ridacchiò silenziosamente, immaginandosi la Dahl che diceva qualcosa a riguardo il proprio ufficio. Ah, d'accordo, ma dille che l'aspetto con del vino nel mio ufficio, in caso volesse l'ennesima doccia enologica. Questa volta ho preso il Montepulciano, così non può dire che sono fissato col Chianti.
    Scherzò lui, allargando il sorriso: sì, decisamente, Elektra era l'unica che al momento lo faceva andare al di là degli schemi da psicoterapeuta, riusciva addirittura a scherzare.
    Bene! In marcia? Altrimenti Elektra si è offerta di venirmi a prendere se per te è troppo lontano, decidi tu, in caso contrario, ti seguo fai pure strada mio capitano!
    Prima di andare, vorrei chiederti una cosa che ti sembrerà strana, ma ti prego di non ridere: chiudi gli occhi e pensa ad un colore.
    Quando l'avrebbe fatto, le avrebbe toccato la spalla e si sarebbero teletrasportati all'inizio di Elvegaten. Conosceva quella strada perchè era la stessa via in cui abitava Espen e più di una volta gli aveva chiesto di riportarlo a casa, viste le sue pessime condizioni dopo le serate alcoliche.
    Quando avrebbe riaperto gli occhi, avrebbe ritratto la mano dicendo semplicemente: Elektra ti spiegherà tutto.
     
    .
  11. :Jaci:
        +2   +1   -1
     
    .

    User deleted


    OHr7vp8
    Kirsten Haugen ▸ 29 ▸ Idrocinesi
    Uno dei cinque assiomi fondamentali della comunicazione umana, per la precisione il primo, afferma che “non si può non comunicare” in quanto qualunque comportamento comunica essenzialmente qualcosa e, l’impossibilità al non- comportamento, rendeva automaticamente altrettanto impossibile anche la non- comunicazione.
    Conseguentemente a tale principio qualunque azione, che sia essa verbale, gestuale o espressiva, comunica qualcosa all’altro di se stesso, silenzio compreso. Kirsten era profondamente convinta della veridicità di tale pensiero tanto da aver reso nel corso degli anni l’osservazione, un cavallo da battaglia in quella guerra a tempo che prendeva il nome di vita.
    Gli occhi ricolmi di storie inespresse di Jesper, un grande amore per il proprio gatto, l’affabilità nei modi e la passione con cui probabilmente irrigava la mente di coloro che gli si rivolgevano, in cerca di armonia, cura o rinascita poco cambiava, avevano fatto intendere molto più di quanto si potesse immaginare sullo pseudo Virgilio dantesco della serata.
    Più di tutto aveva parlato proprio il silenzio e la capacità di ascolto che lo psicologo stava mostrando, una cosa che purtroppo troppo spesso veniva data per scontata ma che tale non era. Non vi erano state interruzioni brusche o prepotenti atte a spezzare le argomentazioni di entrambe le parti né tantomeno si erano presentati momenti di pausa morta, ciò che aveva scandito il loro scambio di battute erano stati veri attimi di attenzione per quelle parole che fluide scivolavano fuori dalle labbra dei due.
    Il discorso riguardante le scelte e convinzioni riguardo all’approccio farmacologico dell’uomo erano intriganti a detta della chimica. Lo spaccamento che ormai da decenni divideva l’opinione pubblica sull’utilità di farmaci psicotropi e sul loro utilizzo aveva continuato ad allargarsi nel corso degli anni portando, in alcuni periodi, addirittura a un rallentamento nell’area dello sviluppo e della ricerca di nuove molecole e principi attivi, del resto si sa, i fondi vengono stanziati laddove si prevede poi un ritorno monetario in positivo per l’investitore.
    Nonostante le diverse posizioni assunte sull’argomento, Kirsten dovette rilevare con una certa nota di soddisfazione che l’uomo, seppur in un primo momento aveva reagito – a detta della norvegese – in maniera troppo permalosa, manteneva toni calmi e quieti mantenendo una comunicazione efficace come ponte tra loro. La scienziata aveva troppo spesso notato, anche in alcuni suoi colleghi, quanto fosse facile ricoprire le proprie convinzioni e verità con toni bruschi e saccenti che si rivelavano tutt’altro che produttivi ai fini del raggiungimento di qualsiasi obiettivo, lavorativo o semplicemente comunicativo, che si era preposto.
    Fedeli alle dinamiche che durante quel loro primo incontro li aveva visti saltare da un argomento all’altro con estrema semplicità, la giovane dalla chioma d’argento rilasciò l’ennesimo soffio di fumo prima di rispondere alla domanda di Jesper riguardo la sua provenienza.
    “Anche l’inverno ha il suo fascino ma quella stagione per me sarà sempre legata a Stavanger, la mia terra natia, i paesaggi invernali sono uno spettacolo per gli occhi. Mi sono trasferita a Oslo per studiare Chimica, la triennale, la magistrale, poi il dottorato e il lavoro, la capitale è diventata un po’ la mia seconda casa”
    Quanti anni aveva passato lontana dalla propria casa e famiglia? L’inverno a Stavanger lo ricordava ancora, uno spettacolo per gli occhi con i riverberi luminosi di un sole troppo spento per sciogliere la neve e il ghiaccio che copriva ogni cosa, le corse con lo slittino su per la collina in quell’infanzia dove non erano i locali o i soldi a dare la gioia e il sorriso, poi tutto si era fatto buio e solitario con gli hobby di coloro con cui era cresciuta che cambiavano e le priorità economiche e famigliari diverse. La partenza aveva poi spazzato via ogni cosa e alle stradine di Stavanger si erano sostituite quelle di Oslo, il sorriso della vicina stoica era stato rimpiazzato dallo sguardo inquisitorio della proprietaria del suo monolocale, tutto era cambiato.
    L’arrivo dell’indirizzo di Elektra e l’organizzarsi per avviarsi verso la nuova dimora dell’amica distolse l’attenzione della scienziata da quei pensieri e lo sguardo nocciola si posò ancora una volta sul volto dell’uomo e su quel sorrisino sghembo che era comparso a ornargli il volto.
    “Quindi era a questo che si riferiva quando mi ha detto che non hai una buona presa? Le hai davvero rovesciato del vino addosso? Non vedo traumi evidenti però. Dovete avere un ottimo medico da queste parti”
    La nota di divertimento che risuonava in quelle parole non poteva sfuggire all’udito di Jesper così come lo sguardo della scienziata sembrò illuminarsi al ricordo di chissà quale conversazione o episodio condiviso con l’ex avvocatessa. Quanta spietata fantasia avevano investito nell’immaginare gli scenari più cruenti aventi come vittime i docenti universitari o gli assistenti infami? Sedute a quel tavolo alla mensa o in quella caffetteria dal caffè orrendo ma dal wi-fi gratuito avevano riso e immaginato le più improbabili situazioni tra un pettegolezzo e l’altro sull’assistente che se la faceva con la docente che però era sposata con il rettore… che al mercato mio padre comprò
    “Aspetta un attimo, vedo se è Elektra con qualche altra indicazione”
    Il trillare del cellulare la portò a estrarlo nuovamente dalla tasca per controllare i messaggi e non poté esimersi dal ridere sonoramente all’idea di Elektra che impugnava una padella con aria minacciosa, con la sigaretta ancora a metà digitò la risposta rapidamente prima di mettere nuovamente via l’iphone e fare un altro tiro. L’idea iniziale era quello di finire la sigaretta e riferire l’invito a cena all’altro durante il tragitto, la richiesta di Jesper però bloccò i suoi intenti portandola nuovamente a tuffare il proprio sguardo in quello dell’altro con una nota di curiosità sul volto
    “Chiudere gli occhi e pensare a un colore? Vuoi dimostrarmi di essere anche un prestigiatore indovinando il colore?”
    Con un sorrisino divertito Kirsten si strinse leggermente nelle spalle minute prima di fare quanto richiesto, del resto se avesse avuto cattive intenzioni avrebbe sempre potuto dargli una testata nelle gengive ben assestata. Calate le palpebre a coprirle le iridi nocciola, il primo colore che affiorò nella sua mente fu il blu intenso del Lysefjord visto dall’alto
    “Ok, sto pensan…”
    Le parole le si smorzarono in gola dal momento che, nell’attimo successivo all’aver avvertito un tocco leggero all’altezza della spalla sinistra, una sensazione di vuoto la avvolse di pari passo con il serpeggiare di una sensazione di strappo proprio all’altezza dell’ombelico. Il tutto durò però il tempo di un battito di ciglia, gli occhi si spalancarono immediatamente e Kirsten fece un paio di passi indietro scostando la mano dell’uomo dalla sua spalla con un movimento repentino.
    Che diavolo le aveva fatto?
    Che avesse in mano uno di quegli aggeggi che rilasciano una piccola scossa elettrica al contatto? In tal caso poteva essere sicuro che glielo avrebbe fatto ingoiare, ovviamente dopo averlo attivato.
    Non si rese subito conto dello spostamento di ambientazione né tantomeno dell’assenza della musica proveniente dall’Egon Pub se non quando, un leggero capogiro dovuto al movimento rapido la fece barcollare nel suo tentativo di allontanarsi dallo psicologo.
    La sensazione di nausea unita al sapore acido che le salì in gola portò alla comparsa di una smorfia sul volto pallido mentre la collera iniziava a vorticarle dentro
    “Cosa hai in mano?”
    Lo sguardo, fino a quel momento come smarrito nel vuoto, si spostò verso l’arto libero dell’uomo notando che effettivamente non vi era nulla nel palmo chiaro, eppure lei era sicura di aver sentito uno strano formicolio percorrerle il corpo, solo in quel momento si rese conto che i piedi di entrambi non erano poggiati più sul legno antistante al Pub e questa non era l’unica cosa mutata nell’ambiente circostante.
    L’odore che percepiva era più salmastro e le auto, il cui rumore di fondo aveva accompagnato tutta la loro conversazione, non scorrevano più placide sull’asfalto scuro anzi al loro posto l’infrangersi non troppo lontano di onde contro gli scogli faceva da accompagnamento a City of Angels, un pezzo dei The Distillers vecchio di diversi anni.
    Ci volle qualche secondo prima che ogni pezzo del puzzle andasse al proprio posto e Kirsten iniziasse a guardarsi intorno sconvolta. Elektra aveva detto di abitare vicino al mare, di aver messo su i Distillers e di sicuro lei non era più davanti all’Egon Pub né quella parcheggiata lungo il viale poco più in là era Bessy.
    “ Cosa hai fatto? Mi hai ipnotizzata con qualche giochino da strizzacervelli? Come diavolo facciamo a essere qui se poco fa eravamo davanti al Pub?”
    Soqquadro. In quel momento i pensieri della scienziata erano completamente a stravolti e la meccanica razionale che muoveva ogni singolo impulso elettrico all’interno del suo apparato neuronale la portava automaticamente a ricercare quella che era la soluzione più logica agli avvenimenti appena consumati.
    E cosa diavolo significava “Elektra ti spiegherà tutto”? Aveva fatto qualcosa del genere anche con lei? Perché non ricordava niente di tutto il percorso e il tempo che li aveva visti arrivare fino a Elvegaten? Jesper doveva averle fatto qualcosa, non c’erano altre spiegazioni, non aveva bevuto nulla al locale né tantomeno aveva accettato qualcosa da sconosciuti, non le sembrava di aver neanche sentito particolari odori sospetti di possibili sostanze volatili, quindi, di conseguenza, la causa del suo problema mnemonico doveva essere lo psicologo.
    Scuotendo il capo e facendo rilucere la chioma chiara sotto i raggi di una luna splendente, Kirsten cercò di schiarirsi le idee notando solo in quel momento di stringere ancora tra le dita la sigaretta accesa poco prima o forse no? Con un gesto automatico sfilò il pacchetto dalla tasca del giacchetto contando il numero di cilindri di tabacco al suo interno, non poteva essere.
    Quella che aveva in mano era davvero ancora la seconda sigaretta che aveva acceso davanti al locale e questo era assurdo, era come se il tempo non fosse trascorso, il che andava contro ogni dannatissima legge della natura.
    Aprire la chat con Elektra fu il passo immediatamente successivo man mano che il dubbio s’insinuava nella sua mente e la razionalità veniva meno, scacciata da uno sconvolgimento che andava ben oltre lo stupore. Era impossibile, stando all’orario di invio del suo messaggio confrontato con l’ora attuale, erano passati solo due minuti dalla risposta all’amica.
    “Questo – non – è – possibile. È folle, noi eravamo al pub e non possiamo essere arrivati qua in meno di due minuti! Non è umanamente possibile.”
    Il palmo della mancina, caduta ormai la sigaretta che lentamente aveva iniziato a rotolare lontano da loro, si portò sul capo e le dita sottili affondarono nei crini argentei come in cerca del cavillo per risolvere un enigma che sembrava non avere soluzione. Il cellulare ancora nella dritta e tante domande che si rincorrevano senza sosta nella sua scatola cranica, non era possibile spostarsi così rapidamente da un luogo all’altro, era come parlare di teletrasporto! Pura utopia.
    Non era possibile, si parlava di fisica quantistica ad alto livello che per di più al momento vedeva solo una teoria ipotetica sulla possibilità remota di poter teletrasportare oggetti e informazioni non certo creature viventi. Impossibile stava vaneggiando però dannazione lei era davvero lì mentre una manciata di minuti prima era in tutt’altra zona. Salvo che la casa di Elektra non si trovasse dietro l’angolo ma avrebbe comunque dovuto avere memoria del camminare, la sigaretta si sarebbe dovuta consumare, per non parlare poi della strana sensazione che aveva avvertito subito prima di riaprire gli occhi
    “Che cosa mi hai fatto, Jesper? E non dirmi di chiederlo a Elektra, rispondimi TU.”
    Gli occhi nocciola che si inchiodarono irremovibili in quelli dell’uomo, così decisi da risultare quasi feroci seppur, senza neanche rendersene conto, Kirsten stesse continuando a mantenere una distanza di sicurezza di un paio di metri tra lei e lo psicologo. Un meccanismo di difesa inconscio che avvertiva l’altro come un possibile nemico e reagiva di conseguenza.
    Poco più in là, sull’asfalto di quella stradina di periferia, il fumo argenteo di una sigaretta ormai dimenticata continuava a salire verso il cielo, unico spettatore di una discussione che poteva risultare quasi irreale. L’invito a cena era ormai perso all’interno dei meandri della sua mente e la scienziata non era neanche sicura di voler sentire cosa l’altro potesse dirle, forse avrebbe dovuto prendere il suo zaino e andare via il più lontano possibile da lui e da qualsiasi cosa le avesse fatto. Eppure, nonostante lo conoscesse così poco, non riusciva a immaginare che quello psicologo dall’aria scanzonata e dall’immensa passione per il proprio lavoro potesse aver fatto un qualsiasi giochino con la mente, sarebbe troppo anti- etico per uno come lui no? E comunque questa ipotesi non avrebbe comunque spiegato il mancato scorrere del tempo, un tempo che – Kirsten ancora non lo sapeva – non si era fermato ma semplicemente non era trascorso.

    Edited by :Jaci: - 6/5/2018, 14:09
     
    .
  12.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    6,114
    Reputation
    +423

    Status
    Anonymes!
    tumblr_p6w5rrYUnD1vr11n8o2_400
    Kirsten era una persona piacevole, secondo il punto di vista di Jesper: non era certo il suo tipo –non che avesse mai avuto l'idea di trovarsi una ragazza, né aveva visto la possibilità di sedurre quella sconosciuta, se aveva fatto quello che aveva fatto era per una semplice questione di gentilezza e niente più–, però la trovava piacevole, e sicuramente era una ragazza molto posata e femminile, molto diversa da una Fae Olsen molto eccentrica o da una Elektra Dahl molto indomita. Kirsten sembrava come un laghetto placido, che aveva tutte le carte in regola per agitarsi non appena le si lanciava un sasso al suo interno... O forse, dal suo aspetto così quieto, celava nelle sue profondità i cadaveri di problemi e sofferenze di un passato che sicuramente non avrebbe rivelato ad uno sconosciuto, e quello sconosciuto non avrebbe chiesto informazioni, perchè semplicemente non era affar suo.
    Così come il loro dialogo era stato senza ombra di dubbio placido e calmo, così sarebbero rimasti quelli futuri: gli bastavano le frecciatine della ex avvocatessa, alle quali rispondeva sempre con un sorriso sulle labbra, un sopracciglio leggermente arcuato all'insù e un tono pungente, se pur educato e disteso.
    Anche l’inverno ha il suo fascino ma quella stagione per me sarà sempre legata a Stavanger, la mia terra natia, i paesaggi invernali sono uno spettacolo per gli occhi. Mi sono trasferita a Oslo per studiare Chimica, la triennale, la magistrale, poi il dottorato e il lavoro, la capitale è diventata un po’ la mia seconda casa Aveva visto Stavanger: era una città molto bella e caratteristica, doveva ammetterlo, forse gli era piaciuta più di Oslo che continuava a dargli solo ricordi negativi che avrebbe voluto cancellare dalla memoria. Se fosse stato possibile, lo avrebbe fatto all'istante.
    Oh, ora capisco molte cose. I puntini si congiungono perfettamente. Devo dire che non avrei mai pensato che tu fossi una chimica. Scelta interessante, lo ammetto. Lo aveva sorpreso, cosa che succedeva alquanto di rado, visti i trascorsi, il suo lavoro e ciò che gli era capitato a Besaid. Tutti questi fattori avevano cambiato la percezione che aveva sul mondo e sulle persone, rimanendo comunque sempre fedele a se stesso e alla sua vocazione.
    Quindi era a questo che si riferiva quando mi ha detto che non hai una buona presa? Le hai davvero rovesciato del vino addosso? Non vedo traumi evidenti però. Dovete avere un ottimo medico da queste parti
    Gli scappò una breve risata, ricordando quel pomeriggio a Chinatown in cui aveva conosciuto la bella ex legale: una mente brillante unita ad una lingua piuttosto affilata, cosa che non sembrava offenderlo neanche per un secondo e che, in un certo senso, lo aveva affascinato. Non sedotto, solo affascinato.
    Ho delle ottime doti diplomatiche, tutto qui. E per la sfortuna della signorina Dahl, mi ha colto in una giornata in cui avevo la testa altrove ed ero sbadato, cosa che in effetti non mi capita così spesso, te lo assicuro. Era quasi certo che la mora avesse detto qualcosa di meschino alla ragazza che ora si trovava vicino a lui, visto il tono divertito di quest'ultima, ma la cosa non lo infastidì: alla fine, quello era il loro giochino. Sapeva che, sotto sotto, lo rispettava come lui faceva con lei, quindi le lasciava questo suo prenderlo in giro, se poi lui poteva fare lo stesso.
    Aspetta un attimo, vedo se è Elektra con qualche altra indicazione Le diede il tempo di rispondere, mentre pensava a come distrarla e portarla a destinazione il prima possibile, così che si sarebbe rilassata. Aveva macinato parecchi chilometri, no? Forse era anche affamata, quindi perchè consumare energie quando lui aveva il dono del teletrasporto? Ah, quanto tempo gli aveva fatto risparmiare, quella sua particolarità... In effetti, però, avrebbe dovuto spiegarle come aveva fatto a farla arrivare in così breve tempo a destinazione.
    Chiudere gli occhi e pensare a un colore? Vuoi dimostrarmi di essere anche un prestigiatore indovinando il colore? Le sorrise, annuendo senza dire nient'altro: Ok, sto pensan…
    Il salto fu brevissimo, la durata di un battito di ciglia, in effetti: anche a lui, inizialmente, i vari teletrasporti creavano nausee, leggere emicranie e semplice abbassamento di pressione, quindi non appena la ragazza ebbe riaperto gli occhi e lui ebbe ritratto la mano, aspettò di vedere tali reazioni. Nelle tante possibili opzioni vi era anche quella di una crisi isterica.
    Di lì a poco, oltre all'allontanarsi da parte della ragazza e di un'espressione disgustata sul volto, la domanda successiva lo sorprese: Cosa hai in mano?
    L'uomo aprì entrambe le mani e gliele fece vedere, parlando con tono calmo e pacifico: Stai tranquilla. Ora ti spiego. Cerca di fare dei respiri profondi, altrimenti finirai per vomitare proprio sul marciapiede.
    Poco più lontano da loro, sentì della musica punk rock, e le cose potevano essere due: o vi era qualche pazzo in quella strada che aveva gli stessi gusti musicali di Esp –e probabilmente lo stesso potere di rompere i coglioni– o era il suo paziente dai capelli sparati in aria che aveva deciso di spostare la festa a casa sua. Sì, era Elvegaten, non aveva sbagliato.
    Cosa hai fatto? Mi hai ipnotizzata con qualche giochino da strizzacervelli? Come diavolo facciamo a essere qui se poco fa eravamo davanti al Pub?
    Si inumidì le labbra, sospirando e sorridendo: E' vero che so praticare l'ipnosi, ma non è la risposta corretta e non userei mai una pratica da terapia per questo. Ed era vero, al di fuori del suo studio non aveva mai applicato tali pratiche: l'ipnosi rientrava nel suo lavoro e solo lì doveva rimanere. Ti ho semplicemente teletrasportato dove mi avevi chiesto di portarti, perchè immagino sarai stanca e affamata dopo tanta strada. Farti camminare mi sembrava meschino. Le disse semplicemente, come premessa, ma sapeva che non poteva cavarsela solo con una frase del genere, se era tanto testarda quanto lo era Elektra.
    La vide andare in escandescenza, cosa totalmente normale, lui pensava di essere pazzo la prima volta che si era smaterializzato da un pub all'altro. Aveva dato la colpa all'alcol finchè la cosa non si era ripresentata nel momento stesso in cui era maggiormente lucido. Ci conviveva: o così o il diventare pazzi.
    Questo – non – è – possibile. È folle, noi eravamo al pub e non possiamo essere arrivati qua in meno di due minuti! Non è umanamente possibile. Che cosa mi hai fatto, Jesper? E non dirmi di chiederlo a Elektra, rispondimi TU.
    Sospirò di nuovo, dovendo iniziare da capo a spiegarle le cose: Qui a Besaid, nativi e non che vi risiedono più di un tot di tempo –premetto che non succede a tutti nello stesso momento della propria vita–, possiedono una particolarità unica. Un potere. So che sembra assurdo e che mi prenderai per pazzo, ma lascia che ti dia una dimostrazione.
    Detto questo, si smaterializzò davanti agli occhi della ragazza solo per un paio di minuti, tempo che gli servì per controllare un paio di cose. Quando si teletrasportò di nuovo davanti a lei, con lui vi era Espen, palesemente brillo e con un mal di testa allucinante dovuto da quel salto. Si mise gli occhiali da sole, dato che le luci dei lampioni gli davano leggermente fastidio e si imbambolò per una decina di secondi quando vide Kirsten, poi si voltò verso il dottore che la stava guardando come a dirle: Ora mi credi?
    Oh, dannazione, Doc. Stavo vincendo a Beer Pong. Perchè mi hai bididibodidibumizzato a casa?
    Le confermeresti la questione delle particolarità, Esp? Vivi qui da molto più tempo di me e sai come funziona il tutto.
    Il ragazzo fece un respiro lungo, assumendo un'espressione seria, nonostante avesse in corpo più alcol che fluidi corporei: sembrava essere terribilmente a suo agio anche con l'ebrezza che creava quei liquidi.
    Ogni persona che mette piede qui e vi rimane per un periodo di tempo prolungato, ottiene una particolarità unica. O almeno, solitamente anche se si somigliano, hanno sempre qualcosa di diverso. Esci da Besaid e perderai poteri e tutti i ricordi che hai vissuto qui. Probabilmente, anche tu stai iniziando ad ottenere una particolarità, come è successo a me, a Doc... Alla tizia che ci sta guardando che ha un ottimo gusto musicale. Se non credi a questo, ti consiglio di fare dietrofront e tornare da dove sei venuta, perchè ne vedrai di cose assurde qui. E vi è la remota possibilità che tu possa imbatterti in soggetti pericolosi, che usano la loro particolarità per secondi fini.
    Jesper gli mise una mano sulla spalla per bloccarlo: aveva già detto abbastanza per la mente di quella povera ragazza.
    Con il tuo permesso, riporto Espen alla sua festa e ti lascio alle cure di Elektra. È stato un enorme piacere conoscerti, Kirsten. Buonanotte. Disse il dottore con un sorriso gentile, e in parte colpevole; invece, Espen alzò la mano, salutando come facevano i reali inglesi, prima di scomparire assieme allo psicologo, una volta per tutte.
     
    .
  13. :Jaci:
        +2   +1   -1
     
    .

    User deleted


    OHr7vp8
    Kirsten Haugen ▸ 29 ▸ Idrocinesi
    Le decantate doti diplomatiche accennate da Jesper poco prima sembravano essere temporaneamente andate in vacanza o magari erano rimaste all’Egon Pub e dovevano ancora raggiungerlo, chi poteva saperlo? Lei di sicuro no, non si stava capendo niente. L’unica cosa di cui era effettivamente certa era quel senso di nausea che continuava a turbinarle all’altezza dello stomaco, poteva vomitargli addosso? Magari con un’occhiata alla “Ben ti sta, Freud dei miei stivali”. Nulla di tutto ciò però accadde, non mentre la mente analitica della norvegese costruiva e smontava teorie su quanto accaduto e, quando il possibile viene meno, tutto ciò che ti resta, non è altro che l’impossibile. Il teletrasporto rientrava decisamente nella seconda scelta, eppure il tono serio e tutt’altro che canzonario, con cui Jesper stava parlando, dava un certo tono a quello che le aveva appena detto, forse doveva davvero prendere in considerazione quanto lo psicologo le stava dicendo e probabilmente lo avrebbe fatto se la propria memoria non avesse richiamato alla mente lo scambio di battute avute poco prima proprio dinanzi al pub in cui si erano incontrati.
    Non era passato molto da quando, in tutt’altra circostanza e situazione, l’uomo l’aveva guardata negli occhi mentendo spudoratamente riguardo il tizio e i complimenti che le aveva fatto, se Kirsten non fosse stata un’ottima osservatrice, o magari avesse avuto una fiducia più spassionata per le persone, probabilmente avrebbe potuto credere a quanto le era stato detto. In quella circostanza però la menzogna aveva vibrato lampante sul volto dell’accompagnatore eppure, in quel momento, fermi in mezzo a quella strada con la musica a riecheggiare nel silenzio circostante, non riusciva a catturare la stessa nota nell’espressione del teleporter, sembrava davvero sincero mentre le riferiva cosa aveva fatto e il perché della scelta.
    La richiesta di ulteriori spiegazioni provenienti direttamente dalla fonte venne soddisfatta contro ogni aspettativa da parte di Kirsten che già s’immaginava a dover combattere con le unghie e con i denti per sapere la verità e, per quanto assurda, priva di base scientifica e fantascientifica quella che Jesper le stava raccontando aveva tutta l’aria di una verità incredibile ma non per questo meno vera.
    Un potere? Una particolarità? Come? Perché? Che cosa significava?
    La chimica non fece in tempo a formulare neanche una di quelle domande che, proprio sotto il suo sguardo incredulo, Jesper svanì nuovamente lasciandola stupita e per la prima volta da quando aveva messo piede a Besaid anche leggermente impaurita.
    Guardarsi intorno cercando di capire dove l’uomo fosse finito fu istintivo ma, scandagliando con lo sguardo la zona circostante, la scienziata non ebbe successo nell’individuare la figura dello psicologo, tutto quello era assurdo e il pensiero volò immediatamente a Elektra. Lei stava bene? Le era successo qualcosa? No, la Dahl le aveva risposto ai messaggi con la solita tranquillità quindi doveva essere tutto ok, però lo psicoterapeuta aveva detto che tutti – seppur in momenti diversi – sviluppavano questa cosa strana e l’avvocato era lì già da diversi giorni, era per questo che ancora non era tornata indietro? Mille e più domande si susseguirono nella sua mente in quei pochi secondi che la separarono dal sentire nuovamente la voce dello psicologo che la fece sussultare dallo spavento
    “Cos…”
    Ed Esp - si chiamava così il ragazzino tatuato vero? – da dove era arrivato?
    Un sopracciglio si arcuò verso l’alto mentre gli occhi nocciola di Kirsten si posavano sul volto del presunto ventenne con aria tra lo stupito e lo sconvolto, aveva bisogno di sedersi, di bere un grosso bicchiere d’acqua, anzi no meglio qualcosa di più forte, e fare un attimo mente locale per quell’eccesso di informazioni che le stavano tartassando il cervello.
    Beer Bong? Vero, il ragazzo aveva parlato di una gara e a giudicare dalla postura un po’ barcollante doveva averci dato dentro con l’alcol tanto da doversi calare gli occhiali da sole sul viso rifuggendo così alla luce dei lampioni.
    “Bididibodidibumizzato”? – non sapeva per quale arcano motivo, forse il suo ultimo neurone si era completamente bruciato, ma quella parola la fece ridacchiare leggermente, da Psicologo a Bididibodidibumizzatore il passo era stato breve!
    L’ilarità durò però solo una manciata di secondi che scalfirono l’espressione della norvegese il tanto da farle comparire un piccolo sorrisino sul volto pallido che venne prontamente spazzato via nell’udire la conferma del ragazzo a quanto detto poco prima dal maggiore.
    Per la mente scientifica della donna era già difficile concepire l’esistenza stessa di simili poteri e la loro comparsa random in coloro che rimanevano in città per un periodo di tempo prolungato; se a questo poi si aggiungeva anche quella che Esp le aveva descritto come una sorta di amnesia selettiva la cosa si faceva ancora più assurda e sfidava non solo ogni principio della fisica e della chimica ma anche le basi stesse della fisiologia umana.
    Il tono del ragazzo ebbe il potere di innervosirla, la faceva facile lui, magari per lui e lo strizzacervelli suo compare era normale comparire e scomparire a piacimento ma di sicuro da dove veniva lei non era così. Le persone non lo facevano, prendevano il taxi, l’autobus, la macchina o andavano a piedi, ma non sparivano nel nulla per ricomparire altrove!
    Il discorso riguardante i soggetti pericolosi ebbe però il potere di convogliare tutta l’attenzione della scienziata, se loro avevano questi poteri allora – in teoria- tutti gli abitanti di Besaid dovevano averli, questo significava che così come in tutte le società vi erano persone buone e cattive, lo stesso era probabilmente anche lì con la differenza che sia gli uni sia gli altri possedevano dei bonus speciali che rendeva al momento quel luogo il più pericolo in assoluto per una come lei che era normale. Perfetto, di male in peggio! La prossima volta che Mamma Dahl la chiamava si dava per morta.
    Non era sfuggito, in tutta quella marea di assurdità, l’arrestare del giovane Esp da parte di Jesper, doveva essere un argomento molto scomodo quello che il ragazzo stava introducendo con estrema leggerezza. Qualcosa di importante che però meritava decisamente di essere conosciuto se, così come aveva preventivato a causa del guasto a Bessy, si fosse trattenuta per più giorni in quella città.
    Non ebbe modo però di avanzare domande nei confronti dei due perché Jesper, probabilmente consapevole della grande quantità di informazioni già concessa e sulla difficoltà della psiche umana di metabolizzarli in così poco tempo, decise di terminare lì quella piccola e stramba riunione augurandole buona serata e sparendo nuovamente nel nulla insieme al corvino sotto lo sguardo ancora stralunato della scienziata che, più per meccanica che altro, si ritrovò con espressione stupita a sollevare la mancina facendo un cenno di saluto ai due nell’attimo antecedente alla loro partenza.
    Con la testa bombardata da mille pensieri, Kirsten rimase a fissare il punto vuoto dove poco prima erano svaniti i due e a raccogliere il borsone che Jesper aveva poggiato al suolo. Inforcato il bagaglio sulla spalla la giovane fece un paio di passi incerti tornando però a voltarsi nella direzione dove si era consumata quella rivelazione inaspettata, era assurdo eppure lo aveva visto con i suoi occhi e non c’erano botole o altre scemenze da prestigiatore in giro, o almeno lei non le vedeva inoltre era impossibile organizzare un simile teatrino per strada.
    Scuotendo il capo e facendo oscillare i capelli argentei in quella notte buia, Kirsten prese l’ennesima sigaretta della serata, di solito non fumava così tanto, quel posto la stressava, quella verità la inquietava. Come se non bastasse il pensiero di sviluppare lei stessa qualche abilità sconosciuta la portava a provare un misto di paura e curiosità. Accesa la sigaretta, la scienziata alzò lo sguardo verso il cielo stellato di Besaid, che enorme segreto celava quella città, quale grandioso mistero evoluzionistico era racchiuso in quei territori.
    Con le stelle a fare da spettatrici al suo incedere lento, Kirsten si avviò alla ricerca della casetta descrittale da Elektra, tante domande, poche risposte e un guizzo di realizzazione e incredulità ad alternarsi nel suo sguardo. Non ci volle molto, con l’aria fresca della notte a sfiorarle i lineamenti delicati, a raggiungere l’abitazione dell’amica, un ultimo sguardo a quel manto celestiale che si stagliava sul suo capo e la scienziata entrò nel vialetto che l’avrebbe condotta all’uscio di casa Dahl, un paio di rintocchi vennero posati sul legno. Aveva tante domande e un interessante racconto per l’amica ma non quella sera, quella serata era per loro, ci avrebbero pensato l’indomani, quando i pensieri si sarebbero fatti più chiari e la mente più lucida.
    “Indovina indovinello chi ha portato la torta in questo paesello?”

    Edited by :Jaci: - 6/5/2018, 14:09
     
    .
12 replies since 7/4/2018, 15:37   639 views
  Share  
.
Top
Top