Magic tricks.

Lucien&Tori, primo pomeriggio.

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    fly away ♥

    Group
    Member
    Posts
    8,416
    Reputation
    +712

    Status
    Anonymes!
    tumblr_inline_noryb9wzQ21ql0qbb_500

    VICTORIANNE FAWNIE ÅRUD ☾

    Con l’arrivo della primavera e di temperature piacevolmente miti, il limpido azzurro del cielo sopra Besaid, accompagnato dal gradevole calore dei raggi del sole, rappresentava un invito troppo attraente per gli abitanti della cittadina norvegese. Così, il piccolo agglomerato di case e negozi sembrava essersi scrollato definitivamente di dosso le spoglie grigie e lugubri dell’inverno, improvvisamente animato dal chiacchiericcio e dalle risate di coloro che, per godersi il bel tempo, avevano ricominciato a trascorrere ogni momento libero a loro disposizione all’aperto. Sulla spiaggia, al luna park, al parco… ovunque – e in particolar modo nei giorni di festa – si potevano scorgere bambini giocare, sorvegliati da genitori o babysitter intenti a leggere pigramente qualche tipo di rivista, anziani passeggiare e riposarsi sulle panchine, coppiette godersi qualche momento di quotidiana intimità. In particolar modo, il Vennelyst Park sembrava essersi tramutato nella meta preferita di moltissimi bambini, luogo in cui desideravano trascorrere il pomeriggio al termine delle noiose ore trascorse a scuola, costretti su una sedia e relegati ad un banco. A sua volta, Victorianne ricordava perfettamente l’impazienza con cui, anni prima, attendeva la fine delle lezioni per poter finalmente giocare e dare sfogo alla sua sterminata fantasia ed energia, non troppo appezzata in ambito accademico.
    Seduta su una panchina poco distante dalle altalene, la giovane si godeva i primi raggi di sole, alzando di tanto in tanto lo sguardo dal libro che teneva tra le mani per assicurarsi che Alexandra non si fosse allontanata troppo. Quella mattina aveva terminato presto il turno al bazar e, potendo rimandare le commissioni ad un altro giorno, aveva deciso di approfittare del bel tempo per trascorrere il pomeriggio all’aperto con sua figlia e, soprattutto, permetterle di giocare con i suoi amichetti. Sebbene cercasse di comportarsi in maniera matura e di non farle mai mancare nulla, per Tori non era mai stato semplice riuscire ad instaurare un rapporto amichevole con gli altri genitori. In particolare, la maggior parte delle madri dei coetanei di Lexi sembrava mantenerla a distanza, forse a causa di profonde differenze caratteriali, forse per i pettegolezzi che da anni – secoli, forse? – circolavano sulla famiglia Årud, per il fatto che fosse una giovane ragazza madre e dunque esistesse una sensibile differenza di età o, forse, per un misto di tutto ciò. Ad ogni modo, Tori aveva avvertito una sorta di disagio legato alla sua presenza – come se, semplicemente sostando nella medesima stanza, riuscisse a emanare energia negativa – per lo più a causa delle conversazioni bruscamente interrotte quando passava loro accanto davanti all’entrata dell’asilo o ai sorrisi di mera cortesia che le venivano rivolti durante i banali – ed inutili – convenevoli. L’unica mamma che sembrava fidarsi di lei era Isil ma, purtroppo, quel pomeriggio sua figlia Sophie, una delle amichette preferite di Lexi, aveva appuntamento dal dentista e Tori si era ritrovata priva della sua compagna di chiacchiere. «Mamma!» La voce acuta di Lexi la riscosse dal suo momentaneo intorpidimento. Abbandonando la lettura, Tori alzò lo sguardo appena in tempo per vedere la bambina correre nella sua direzione, le guance leggermente arrossate per la foga. Sembrava incredibilmente eccitata, come se non vedesse l’ora di rivelarle qualcosa di straordinario. «Ehi, mostriciattolo! Hai già finito di giocare?» Le domandò, chiudendo il libro e posandolo accanto a sé sulla panchina vuota. La bambina scosse il capo. «Elise mi ha detto che c’è un signore che fa le magie. Posso andare a vederle?» Il tono supplichevole con cui pronunciò le parole venne accompagnato da una nota di entusiasmo e impazienza, evidente nel modo in cui Alexandra continuava a guardarsi alle spalle, verso un punto poco distante dove si era radunato un gruppetto piuttosto nutrito di gente. Sorpresa, Tori tardò qualche istante a darle una risposta, prima di annuire con il capo. «Va bene. Ma non correre e aspettami prima di avvicinarti troppo.» Rispose, infilando il libro nella borsa e alzandosi a sua volta. Dopotutto, che male c’era in un po’ di magia? «Grazie!» Eccitata, Lexi iniziò a precederla, a passo svelto – ma senza correre – sino a fermarsi quando solo un paio di metri le separavano dalla folla radunata attorno al presunto prestigiatore. Visto il suo carattere razionale e la scaltrezza con cui aveva usato il suo potere per tornaconto personale durante l’adolescenza, Tori era sempre stata piuttosto scettica nei confronti dei trucchi di magia. Poteva apparire assurdo, date le sue origini gitane e le leggende che vertevano attorno alla sua famiglia, ma da sempre aveva considerato i prestigiatori come abili ingannatori. Non che li giudicasse, era semplicemente convinta che l’inganno fosse insito in quel tipo di artificio. «Possiamo avvicinarci?» Afferrandola per mano, Lexi la trascinò verso il campanello di gente, facendosi largo tra gli adulti con tanta decisione da arrivare in prima fila, dove altri bambini stavano osservando il trucco in corso, gli occhi fissi sul prestigiatore per non perdere nemmeno una mossa e le bocche semi-aperte, talmente erano affascinati e meravigliati da ciò che accadeva sotto il loro naso.
    Seguendo Alexandra, Tori si soffermò accanto ad altre madri, i cui visi le erano piuttosto familiari. Rivolse loro un breve cenno del capo, in segno di saluto e, infine, rivolse la propria attenzione verso il ragazzo al centro del gruppo, il quale stava facendo pescare una carta ad un ragazzino in prima fila. Solo in quel momento notò, con una certa sorpresa, che – a dispetto dei colori chiari di occhi e capelli – la sua carnagione era insolitamente abbronzata, troppo scura per essere quella di una persona esposta unicamente al debole sole norvegese. Lei stessa, dopotutto, impiegava l’intera estate per raggiungere un colorito vagamente simile a quello dello sconosciuto.
    Pochi passi più avanti, Lexi si voltò verso di lei, facendole cenno di avvicinarsi. Facendosi largo tra i presenti, Tori si inginocchiò accanto alla figlia, domandandosi ora cosa avesse attratto la sua (instancabile) curiosità. «Guarda, mamma!» La bambina indicò il giovane che stava loro davanti, gli occhi color nocciola che brillavano per l’emozione. «Ha una scimmietta sulla spalla!» Ed effettivamente, sulla spalla sinistra del giovane faceva bella mostra di sé una scimmietta vera, abbigliata con tanto di gilè e cappellino. Sorpresa, Tori inarcò appena un sopracciglio. Quando Lexi le aveva detto che c’era un signore che stava facendo delle magie, si era immaginata un ragazzino aspirante prestigiatore o un anziano in pensione che si divertiva a stupire i bambini, non certo uno spettacolo simile. Chissà, forse il giovane sarebbe riuscito a stuzzicare anche la sua curiosità.
     
    .
  2.     +4   +1   -1
     
    .
    Avatar

    All hype, no heart

    Group
    Vice
    Posts
    1,452
    Reputation
    +2,808
    Location
    kensington gardens.

    Status
    Anonymes!
    Pan L. Pendragon But hold me fast, hold me fast
    'Cause I'm a hopeless wanderer


    tumblr_ory3pgxGVB1vkskqwo2_250

    Lucien aveva imparato un paio di cose nelle prime ventiquattro ore passate in quel paese. "Cosa numero uno":I norvegesi dovevano essere creature notturne discendenti dai vampiri, demoni tanto cari al folklore europeo. Dalla loro però - e dovevano a Darwin e ai tanti anni di processo di adattamento della specie un gran favore- i norvegesi potevano ritenersi, per così dire, fortunati. Era pur vero che non si polverizzavano agonizzanti al minimo raggio di sole tuttavia, la loro pelle doveva aver conservato qualche debolezza nei pigmenti perché si abbrustoliva come carne alla brace. E non si parla del colorito scuro e uniforme di certe donne spagnole. No, si parla di pallidi cotechini che si rosolavano al sole trasformandosi, in poco più di una manciata di secondi, in pomodori maturi punti da mangiare. Erano tanti ed erano ovunque: sulle panchine, sui muretti e sui prati che tappezzavano come dozzine di coriandoli colorati. Lucien aveva avuto di che ridere mentre li osservava incurante di risultare indiscreto, persino invadente. Era genuinamente affascinato da quegli esemplari che giuravano d'essere umani ma che se ne andavano in canottiera e pantaloncini con tredici gradi di massima al sole. Quello che per lui era l'inizio stiracchiato di una primavera ancora in letargo, per loro sembrava essere piena estate. "Cosa numero due": i Norvegesi non sapevano cos'era la vera estate.
    Nonostante avesse viaggiato abbastanza negli ultimi anni, il circo s'era sempre tenuto lungo le coste mediterranee, come se anche il complesso itinerante necessitasse di sole e calore per andare avanti, proprio come i suoi artisti. Qualche eccezione raccattata in giro per l'Europa a parte, i circensi del Pendragon erano stati sfornati e cresciuti sulla costa spagnola o, almeno, ci avevano passato più della metà della loro vita. C'era qualcosa a proposito di quel mare, del suo a Tenerife, qualcosa di affascinante e allo stesso tempo spaventoso che Pan non aveva trovato in nessun altra zona. Gli mancava, nonostante avesse creduto di non volercisi bagnare mai più da quando si era preso suo padre. E come una droga dalla quale si vuole sfuggire senza poterne fare a meno, Lucien non solo si portava sempre qualcosa di casa dietro, ma ne ricercava anche un po' ovunque andasse. I miti sulle leggendarie sirene, i racconti, la magia o forse anche solo quella pelle che non sembrava mai tornare rosea nonostante la lunga astinenza dal sole; gli infiniti braccialetti sfilacciati sui polsi, i tatuaggi esotici, quei lunghi capelli neri che sembravano avere incastonato tra essi l'odore della salsedine marina, Monk, la scimmia che viveva con lui da quando era bambino: Lucien era la personificazione vivente del luogo in cui era cresciuto. In contemporanea, però, andava anche in cerca di qualcosa che lo riportasse a casa nonostante ne fosse a mille miglia di distanza. Per questo la prima cosa che faceva, arrivato in una nuova città, era scovarne il mare. Come un segugio in cerca di tartufi, Lucien sembrava venire attratto dalla distesa blu, eco di ricordi lontani che mai sarebbero potuti davvero svanire. Era la prima volta che i circensi si allontaniamo dalle acque temperate che bagnavano gran parte dell'Europa e, sebbene ben più freddo e aspro di quello a cui era abituato, era pur sempre mare e, per Lucien, ossigeno. Era così che tutto era iniziato, con un obbiettivo che, come spesso accade quando si tratta di Lucien, non sarebbe stato raggiunto - non quel giorno almeno-. Zigzagava fra quei polli arrosto - innumerevoli forse per via del weekend - attraversando le vie sterrate ma bene delineate del parco della città che lo avrebbero condotto al mare. Come faceva a saperlo? Non lo sapeva affatto, piuttosto se lo sentiva nella pancia. La maggior parte delle decisioni che prendeva - se non tutte - erano dettate da quella parte del suo corpo in cui per lui risiedeva l'istinto. Che si trattasse di decidere cosa mangiare per pranzo o dove dirigere i prossimi passi, lo stomaco aveva sempre la risposta: non era di certo infallibile, ma non avrebbe affidato a nessun altro organo quel compito così importante. «Tutte le strade portano al mare, lo sanno tutti.» Aveva detto con allegria a Monk, la scimmietta il cui sguardo non sembrava comunque troppo convinto. O forse aveva solamente fame, vallo a capire. Di chiedere informazioni non se ne parlava, complice principalmente quello stupido orgoglio che gli faceva credere di potersela sempre cavare da solo. Se ne stava lì, rannicchiato sulla sua spalla a coprisi alla bell'e meglio con i lunghi capelli neri dell'uomo, tremante di freddo nonostante la folta pelliccia che ricopriva per intero quel corpicino. Erano creature dal sangue caldo, loro due, e Monk avrebbe indossato volentieri una giacca come faceva Pan, se solo ne avesse posseduta una. Abituati a climi ben più miti, ai due non era passato neanche per l'anticamera del cervello di poter aver bisogno di vestiti più adeguati al nord Europa. E lui che si credeva un uomo di mondo! Per questa sua mancanza di genio il piccolo amico peloso ce l'aveva con lui da quando avevano messo piedi fuori dalla roulotte, non erano serviti a niente i tentativi dell'uomo di tirargli su il morale. «T'ho detto che ti faccio fare un maglioncino da Trudy! Bisogna solo sperare che tu non muoia assiderato prima, visti i tempi biblici che impiega per fare qualsiasi cosa » Trudy era la sua bis-bis nonna o chissà cosa, ma veniva chiamata da tutti i circensi 'ma, nonostante avesse messo al mondo solamente due persone. Trudy gli era sempre apparsa sin da bambino essere ultra-centenaria, anche se sotto quell'intricata ragnatela di rughe che le accartocciava il volto erano sempre spiccati due vivaci ed intelligenti occhi azzurri. "Gli occhi di una ragazzina", li chiamava lui beccandosi ogni volta un sorriso accompagnato da un leggero scrollo di quelle e fragili spalle. Trudy era la persona a cui voleva più bene al mondo. In tutta risposta Monk gli aveva voltato le spalle, il sedere quasi spiaccicato sulla guancia destra dell'uomo. «Sai proprio essere permaloso, quando ti ci metti! » Quell'animata conversazione andava avanti mentre file di alberi e siepi ordinati sfilavano al loro fianco insieme agli sguardi dei mattinieri e momentanei abitanti del parco. C'era chi li guardava con interesse e curiosità, domandandosi se quella fosse una vera scimmia, e c'era chi invece sembrava decisamente infastidito dalla presenza di due soggetti così strani e, per di più, chiassosi. Arrabbiato con il suo migliore amico, infastidito dal non essere ancora giunto in presenza dell'oggetto dei suoi desideri e alla disperata ricerca del sole i cui raggi non riuscivano a lambire il viale coperto dalle fronte di alti alberi, Lucien virò verso il centro del prato e diresse la poppa verso il terreno dandola vinta alla forza di gravità. Rimasero così diversi minuti, un uomo e una scimmia imbronciati seduti su un verde prato norvegese, finché ben presto alcuni bambini li accerchiarono. Erano per lo più incuriositi da Monk che, forse per via del calore che iniziava a scegliergli via il freddo dal pelo e l'incazzatura dal cuore, sembrava stare tornando, lentamente, di buon umore. Bastò uno sguardo complice e pace fu fatta! L'uomo si alzò di scatto spolverandosi dai vestiti una sabbia inesistente - l'abitudine è dura a morire - e tirò fuori da una delle tante tasche della giacca multicolore un minuscolo dizionario tascabile dalle pagine consunte che aveva rubacchiato da una fiera di paese. Durante il viaggio che lo aveva condotto lì (che era durato un bel po', dalla Grecia), Lucien aveva cercato di imparare il più possibile della lingua Norvegese, sopratutto grazie alle lezioni di Nikole, una delle trapeziste del circo che veniva da Oslo. Aveva imparato le frasi standard a memoria, anche se continuava ad avere una pronuncia terribile e a confondere i suoni come fossero parole crociate. Lo sfogliò alla ricerca di qualcosa, ma presto cambiò idea e lo gettò di lato. C'era una lingua universale che non conosceva nessuna barriera, e quella era la magia. «Hallo!» quella era, di fatto, una delle poche parole che riusciva a pronunciare come fosse un autoctono, grazie alla sua somiglianza con il saluto inglese. Si legò i capelli in una piccola coda, gesto che era ormai diventato un rito da compiere prima di ogni esibizione. Un mazzo di carte era apparso nelle sue mani che lo mischiavano con movimento talmente fluidi e leggeri da farlo sembrare inconsistente. Era chiaro che sapeva quello che stava facendo e, sopratutto, che era ciò che amava fare. Allungò le braccia, chinandosi di fronte ad un bambino dai capelli quasi platino che lo fissava in prima fila. Lo spinse a scegliere una carta e si coprì gli occhi con le piccole manine di Monk per non sbirciare, cosa che fece ridere non solo i bambini ma anche gli adulti che si erano aggregati intorno a lui. Gli piaceva dare spettacolo, era un maestro nel controllare e dirigere l'attenzione del pubblico dove gli facesse più comodo. Molti prestigiatori credevano di dover semplicemente distogliere l'audience dalle loro mani, ma il vero mestiere era quello di indirizzare i loro sguardi dove voleva lui, dove gli faceva più comodo. "Far vedere ma non postare". Non importa che fosse un piccolo spettacolo improvvisato o uno più organizzato, gli insegnamenti di Juán si ripetevano nella testa di Lucien ogni volta che si esibiva. "Fagli vedere cosa vogliono, non di cosa hanno bisogno. Il desiderio più profondo di ogni uomo è di essere ammaliato, ingannato, di credere. Non vogliono davvero vedere il trucco". il bimbo inserì la carta nel mazzo che Lucien prese a mischiare nuovamente. Diede un buffetto sulla pancia di Monk, che subito si mosse e sparì tra la folla. Intanto l'uomo stava sfogliando le carte, fingendosi confuso e insicuro su quale carta fosse quella giusta. L'uomo allora, come se avesse appena ricordato qualcosa di destramente importante, si colpì teatralmente la fronte con il palmo della mano, avvicinandosi di nuovo al bambino ma concentrando l'attenzione sulla piccola figura che gli stava accanto, indicandola. Si tastò le tasche per fare capire alla bambina che avrebbe dovuto controllare le proprie da cui ne fuoriuscì, sotto lo stupore di tutti, una carta. La bambina la sollevò in aria «Il cinque di cuori! Era la tua carta!!» Ci fu uno scroscio di applausi e Lucien si prostrò in qualche inchino, alla fine dei quali strizzò l'occhio alla bambina con complicità. Si dilettò in qualche altro trucchetto e lo spettacolo si concluse con qualche moneta che fuoriusciva dall'orecchio di una bambina dai capelli ricci. Anche quel giorno aveva fatto sognare qualche giovane mente.

    Monk girovaga tra i presenti, il cappellino e le tasche pronte a ricevere piccole ma preziose offerte da parte di chi aveva apprezzato lo spettacolo. Lucien intanto raccattava le sue poche cose che contavano solamente il piccolo dizionario e la giacca che aveva finito per togliersi a metà dello show, facendo sfoggia di una maglietta verde sbiadita dal tempo e con qualche piccolo buco all'altezza del lato inferiore dell'orlo. C'era una scritta gialla dalle lettere paffute che citava "I'm MagicPan",un vecchio tentativo di far soldi vendendone il più possibile in giro per il mondo. Purtroppo l'intento era miseramente fallito per via della mancanza di soldi sufficienti a stamparne un numero consistente, e aveva voluto conservarne il primo esemplare tutto per sé. L'adrenalina scorreva ancora nelle sue vene, rendendo la giornata molto più calda di quanto gli era sembrato una ventina di minuti prima. In fin dei conti non era poi così fredda, quella Norvegia! Aveva socchiuso gli occhi protendendo il volto verso l'alto alla ricerca del calore di quei raggi di sole che tanto aveva agognato. Insospettito dall'estranea sensazione di non avere il peso di Monk sulle spalle Lucien aprì gli occhi chiari, voltandosi a cercare con lo sguardo la piccola scimmia. Dove s'era cacciato? Alla fine non erano poi così tante le persone a cui chiedere gli spiccioli, ed erano già tutte fuggite via, di ritorno alle loro vite prive di magia. Tutte tranne una donna e una bambina che Lucien riconobbe come quella che aveva usato a mo' di inconsapevole aiutante. Era proprio sulla spalla di lei che riposava Monk, aggrappato ai suoi capelli sottili. Alla vista di quell'assurdo spettacolo l'uomo aveva tanto inarcato le sopracciglia che un immaginario treno a vapore vi sarebbe potuto passare sotto come fossero due ponti levatoi. Mosse qualche passo verso di loro, lo sguardo tutto concentrato su quel piccolo spettacolo di magia in corso. Sfogliava febbrilmente il piccolo dizionario, desideroso come non mai di far uscire quelle parole dalla sua bocca «D-evi... No, wait. Se-sei una maga anc-anche tu?!» Sperava di aver pronunciato le parole abbastanza decentemente da farsi capire nonostante il marcato accento straniero. «Non va d'accordo con tante persone... non così!» Indicò con un gesto della mano Monk che sembrava tutto concentrato a giocare con un filo del suo gilet. La bambina sorrideva di un sorriso così ampio da arrivarle alle orecchie. Poi gli tese la carta, il cinque di cuori, che aveva estratto dalla tasca. Se l'era completamente dimenticata. «Tienila, te la sei guadagnato. Guadagnata.» Solo allora alzò lo sguardo distogliendo l'attenzione da quella conversazione a tu per tu con una bambina sconosciuta e sollevandola sulla donna con la quale doveva avere qualche parentela per via della chiara somiglianza tra le due. Per quanto apprezzasse sempre certe conversazioni d'alto livello che poteva avere solo con i bambini, desiderò aver posato gli occhi su di lei con largo anticipo. A conti fatti non poteva avere più di ventiquattro anni, il che lo avrebbe spinto a pensare fosse una tata piuttosto che la genitrice della creatura a cui Monk sembrava essere così interessato. Aveva gli occhi scuri, così come i capelli mossi che tuttavia rispecchiavano certe sfumature più scure in cui i raggi del sole si tramutano nel confondersi con l'ombra. Sembrava in qualche modo diversa da tutte le altre mamme che aveva visto nel parco, sia nel modo di vestire che nel portamento. Avrebbe potuto benissimo appartenere alla sua comunità. «Babysitter, sorella, mamá?» Aveva snocciolato, l'ultima parola detta in spagnolo. Dal modo in cui le sfiorava le spalle però, Lucien aveva già la risposta. «Io sono Pan, quel forræder* è Monk.» Disse accennando a Monk con un sorriso storto e pendente a sinistra. Perse qualche secondo a sfogliare il piccolo dizionario - che fosse LODATO chi l'aveva inventato - «Mi sai dire da che parte è il mare?» Alzò un braccio e lo avvicinò all'orecchio della donna, tornando poco dopo indietro con una piccola margheritina tra le dita abbronzate che sembrava proprio fuoriuscita dal suo orecchio. «Please?» Un sorriso a trentadue denti, gli occhi brillanti e il piccolo fiore in mezzo a loro.



    *traditore in norvegese.

    Edited by constellations - 6/5/2018, 12:25
     
    .
  3.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    fly away ♥

    Group
    Member
    Posts
    8,416
    Reputation
    +712

    Status
    Anonymes!
    tumblr_inline_noryb9wzQ21ql0qbb_500

    VICTORIANNE FAWNIE ÅRUD ☾


    Il sorriso sulle labbra di Victorianne si addolcì ulteriormente mentre, chinata accanto a Lexi, osservava le espressioni di stupore e sorpresa susseguirsi ed alternarsi sul viso della bambina, completamente rapita ed affascinata dai trucchi di magia del giovane prestigiatore. Il modo in cui la bambina seguiva i suoi movimenti, facendo scorrere gli occhi castani sulle mani dell’uomo e attendendo con malcelata trepidazione il finale della performance la divertiva, spingendola a pensare che forse – con involontario egoismo – il non averla mai portata ad uno spettacolo di magia prima di quel casuale incontro, eccezione fatta per le illusioni realizzate da Lucille, era stata una leggerezza. Durante l’infanzia, Victorianne non ricordava di aver mai assistito a simili spettacoli e, conseguentemente e al contempo per svariate ragioni, era cresciuta sviluppando una sorta di distacco da tutto ciò che riguardava i prestigiatori. Come madre single, Leonor non aveva mai avuto abbastanza tempo libero da dedicare ai figli, con il solo risultato che i pochi momenti di svago nell’infanzia dei giovani Arud erano costellati unicamente dalla presenza dei nonni. Al contrario delle altre famiglie, Tori non possedeva alcun ricordo di un piacevole pomeriggio passato al parco mangiando quintalate di gelato, di serate al cinema in famiglia o di fiere e feste organizzate apposta per i bambini. Per lei, la magia era da sempre unicamente racchiusa nelle leggende che Edith le aveva raccontato, anno dopo anno, e negli affettuosi buffetti con cui, sino ai cinque anni d’età, nonno Joakim riuscì a farle credere di averle “rubato” il naso. Il resto lo considerava unicamente puro intrattenimento descritto “poeticamente”. Non che per tale motivo non riconoscesse che, dietro un trucco ben riuscito, fosse necessaria dell’abilità e del talento adeguatamente sviluppato - stupire il prossimo non era un compito semplice – tuttavia, l’elemento cardine rimaneva pur sempre una buona dose di bravura ed ingegnosità.
    Continuando a intrattenere il pubblico – e, soprattutto, ad affascinare i più giovani tra i presenti – il ragazzo porse il mazzo di carte ad uno dei bambini, invitandolo a sceglierne una e a rimetterla nel mazzo senza mostrargliela. Quindi, apparentemente confuso, ne sfogliò diverse sino a quando, fingendo un’improvvisa illuminazione, indicò Lexi, mimando il gesto di controllare la tasca dei pantaloni. Portando istintivamente lo sguardo su Tori, la bambina le chiese un silenzioso permesso. Divertita – e in parte incuriosita – la ragazza annuì, dandole un piccolo buffetto d’incoraggiamento. Non potevano certo deludere tutti gli spettatori presenti!
    Infilata la manina pallida nella tasca, Alexandra estrasse una carta che, sollevata, venne riconosciuta come quella che, qualche istante prima, il suo coetaneo aveva casualmente scelto dal mazzo. «Mamma! Hai visto?! Era nella mia tasca!» Gli applausi da parte del pubblico coprirono appena la voce emozionata di Lexi, entusiasta di essere stata resa partecipe – seppur indirettamente – di quel trucco. Tori le scompigliò affettuosamente i capelli, lasciandole un bacio sulla tempia. «Sei stata bravissima, mostriciattolo.» Mormorò, mentre l’attenzione della piccola, così come per il resto dei presenti, era ormai nuovamente indirizzata al giovane prestigiatore.
    Dopo un altro paio di trucchi lo spettacolo terminò con l’ultimo applauso da parte del nutrito gruppetto di spettatori che, dopo aver lasciato qualche moneta alla scimmietta che si intrufolava agilmente tra loro tendendo il cappello, iniziarono a disperdersi in varie direzioni, chi di ritorno al parco e chi, probabilmente, sulla via di casa. Dopo aver messo in mano a Lexi qualche moneta da versare nel cappellino della scimmietta, Tori si rialzò, spolverandosi le ginocchia nude. Recuperò il maglioncino di cotone di Lexi dalla borsa e fece per sistemarlo sulle spalle della bambina quando, alzando lo sguardo, la ritrovò intenta a giocherellare con la piccola scimmietta. Tutt’altro che infastidito, il primate le si arrampicò agilmente lungo il braccio, sistemandosi poi all’altezza della spalla con aria soddisfatta. In tutta risposta, Alexandra si lasciò sfuggire una risatina deliziata, volgendo il viso in direzione del mammifero mentre quest’ultimo si reggeva delicatamente ai suoi capelli. «Guarda che carino!» Colta alla sprovvista, Tori esitò per un istante. Nella sua breve esperienza diretta come madre non le era mai capitato di dover avere a che fare come una scimmietta né, ne era certa, quell’ipotetica situazione era compresa nelle guide del perfetto genitore che comparivano di tanto in tanto nelle vetrine delle librerie. Con un gatto o un cane avrebbe saputo cosa fare, ma una scimmia… quella era senza dubbio una situazione quantomeno inusuale. «Mi raccomando Lexi, sii delicata.» Si raccomandò, mentre la piccola allungava una mano a sfiorare delicatamente il fianco dell’animale. Per quanto strano – o forse addirittura irresponsabile – potesse apparire, Tori non era particolarmente ossessionata dai “pericoli” che avrebbero potuto derivare dal contatto con un animale sconosciuto. Quella scimmietta era chiaramente addomesticata – e regolarmente vaccinata, se era giunta sino a Besaid attraverso i dovuti controlli – e Alexandra aveva sempre dimostrato una profonda sensibilità nei confronti degli animali. La maggior parte dei cani e gatti – persino i più selvatici – si lasciavano tranquillamente toccare da lei, scodinzolando freneticamente o ringraziandola con testatine e rumorose fusa. Per qualche tempo Tori aveva persino pensato che, in qualche modo, quella simpatia reciproca fosse da ricondurre alle prime avvisaglie dell’abilità della bambina ma, dal momento che nulla sembrava essersi ancora manifestato, non ne aveva mai avuta la certezza.
    Notando la loro presenza, il prestigiatore – e probabilmente anche il proprietario della scimmietta – le raggiunse con un paio di passi, sfogliando freneticamente un piccolo dizionario. «D-evi... No, wait. Se-sei una maga anc-anche tu?!» Nonostante l’accento chiaramente straniero – una intonazione assieme gutturale e sibilante, che Victorianne non avrebbe associato ad alcun paese del Nord Europa – la sorpresa nell’assistere a quella scena era evidente. «Non va d'accordo con tante persone... non così!» Accompagnò la frase con un movimento della mano, indicando l’animaletto. Nell’udire quelle parole il sorriso sul viso di Lexi si ampliò ulteriormente, come se avesse appena ricevuto il più bel complimento del mondo. «Mi piacciono gli animali.» Rispose, con un piccolo moto di orgoglio, sfidando l’iniziale timidezza che generalmente provava nei confronti degli adulti sconosciuti. Il giovane le regalò la carta estratta dal mazzo – il cinque di cuori – e Lexi la afferrò prontamente, rivolgendogli un sorriso sdentato. «Grazie!» Cinguettò, facendola sparire in tasca e ringraziandolo prima che Victorianne le ricordasse le buone maniere. Poi, con l’attenzione fugace dei bambini rivolta unicamente alle novità, tornò a volgersi in direzione della scimmietta nel medesimo istante in cui il ragazzo alzò lo sguardo verso Tori che, fino a quel momento, si era limitata ad osservarli con silenzioso divertimento.
    Se in precedenza non vi aveva fatto cosa, Victorianne si accorse che era decisamente più imponente visto da vicino – non che fosse difficile risultare alti in confronto al suo scarso metro e settanta, di un paio di centimetri sopra alla media femminile ma ben poca cosa rispetto ai suoi fratelli – e che il contrasto tra la pelle abbronzata, i capelli scuri e gli occhi chiari faceva risplendere l’azzurro di questi ultimi in maniera impressionante. La sua domanda la colse alla sprovvista: in pochi, di solito, giungevano alle giusta conclusione riguardo al suo legame di parentela con Lexi; vista la sua età – nonché l’evidente somiglianza fisica - chi non le conosceva la scambiava spesso per una sorellina minore. Annuì appena. «Si, Lexi è mia figlia.» Ammise, accennando ad un sorriso e sfiorando il braccio della bambina per assicurarsi che non avesse freddo. La sua pelle era fresca, ma Lexi non sembrava turbata, presa com’era dalla scimmietta – Monk, come il suo proprietario aveva appena rivelato – che le sedeva sulla spalla. Pan sparì nuovamente dietro il dizionario tascabile, sfogliando velocemente le pagine. Sulla copertina usurata, Victorianne riconobbe i colori della bandiera spagnola, affiancata da quella norvegese. Riportò lo sguardo su di lui, intuendo la ragione della sua abbronzatura. I geni mediterranei – così come il sole dell’Europa del Sud – tendevano ad essere più marcati di quelli nordici. Lei e Lexie, d’altronde, ne erano l’esempio lampante. «Mi sai dire da che parte è il mare?» In un ennesimo trucco di prestigio, Pan avvicinò la mano al suo orecchio, facendo comparire una piccola margherita. Irrigiditasi istintivamente, i lineamenti di Tori si sciolsero in un sorriso nel momento in cui mise a fuoco il fiore, teso dinanzi a lei ed accompagnato da un ampio sorriso. «Grazie.» Mormorò, afferrandolo. Ridacchiò, senza riuscire a trattenersi. Si sentì persino piuttosto stupida, come un’adolescente impacciata di fronte alla sua prima cotta. Dopotutto, in un contesto differente, avrebbe associato un simile approccio ad un tentativo sornione di fare colpo ma, data la presenza di Lexi e l’esplicita rivelazione del loro legame, dubitava fortemente che quello fosse il caso. La questione “ragazza-madre” generalmente faceva fuggire i suoi coetanei a gambe levate. «La spiaggia non è distante.» Rispose poi, indicandogli la direzione con un cenno del capo. «A piedi ci vogliono circa quindici minuti per arrivare al primo chiosco e all’inizio della passeggiata.» Quella era la stessa strada che aveva percorso qualche ora prima quello stesso pomeriggio, diretta alla scuola di Lexi. Al contrario di casa di Leonor, che si trovava nella periferia distante dalla costa, l’abitazione di famiglia in cui viveva Edith risaliva alle origini di Besaid ed era situata vicino al litorale, non direttamente sulla spiaggia ma in prossimità degli scogli, abbastanza da respirare l’odore di salsedine e, durante l’inverno, assistere alla furia implacabile con cui le tempeste si abbattevano sul mare. Da lì, le distanze a piedi erano abbastanza brevi: in una trentina di minuti a piedi si giungeva al centro, al parco e nei luoghi storici principali. L’auto era necessaria più che altro per la spesa, raggiungere un quartiere differente, nei giorni di maltempo o per portare in giro Lexi quando era troppo stanca per camminare. «Noi dobbiamo andare da quella parte per tornare a casa. Possiamo farti vedere la strada.» Propose, stringendosi appena nelle spalle e gettando una rapida occhiata a Lexi. Non era ancora ora di rientrare – mancavano almeno tre ore all’orario di cena e in una giornata così bella sarebbe stato uno spreco rinchiudersi in casa anzitempo – ma aveva promesso a Lexi di prendere un gelato e se avesse voluto evitare di essere rimproverata da Edith per averle fatto mangiare schifezze invece della cena, avrebbe dovuto prenderglielo per merenda il prima possibile. Inoltre Monk non sembrava intenzionato a scendere dalla spalla di Alexandra.
    Si volse nuovamente verso Pan, il movimento del capo accompagnato da quello più leggero dei capelli e degli orecchini, tendendogli la mano libera. «Io sono Tori.» Si presentò infine, rendendosi conto di non averlo ancora fatto. «E lei è Lexi.» Aggiunse, riferendosi alla bambina che, nel sentirsi nominare, rivolse a Pan l’ennesimo sorriso.
     
    .
  4.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    All hype, no heart

    Group
    Vice
    Posts
    1,452
    Reputation
    +2,808
    Location
    kensington gardens.

    Status
    Anonymes!
    Pan L. Pendragon But hold me fast, hold me fast
    'Cause I'm a hopeless wanderer

    tumblr_ory3pgxGVB1vkskqwo2_250


    Alla vista del fiorellino, Tori sorrise. Ne aveva visti di squarci sui denti, ma Pan pensò che quello fosse uno dei più belli, testa a testa con quello della bimba. Lui sorrideva spesso - se non sempre - perché credeva nel linguaggio universale del mondo che poneva i limiti che invece i diversi idiomi imponevano. Lo faceva anche perché non voleva contagiare gli altri con i mali trasportati silenziosamente nel suo cuore, un vaso di Pandora ben custodito. Afferrò la mano che Tori gli porgeva, piccola e affusolata, stringendola per un tempo forse troppo lungo rispetto al dovuto. Quando la lasciò finalmente andare distolse anche lo sguardo, concentrandolo qualche spanna più in basso. «Due belle ragazze che si offrono di accompagnarci al mare... Che dici, Monk? Accettiamo? » Si era piegato sulle ginocchia fino ad arrivare con il viso alla stessa altezza di quello di Lexi e le strinse la manina. Dopotutto, era una sua pari. Evitava sempre le stupide pacche sulla testa o le vocine acute che di solito si adottavano tanto con i bambini quanto con cani e gatti. Non gli piaceva trattarli con condiscendenza, come se l'essere più piccoli li rendesse, in qualche modo, inferiori o stupidi. Al contrario, Lucien era uno sfegatato sostenitore della supremazia di quest'ultimi, capaci di cose che i grandi avevano dimenticato insieme ai loro sogni nel cassetto. C'era da portare rispetto. Monk aveva fatto un verso che Lucien interpretò come d'assenso, aggrappandosi di più ai capelli della bimba come se temesse che potessero portargliela via. Lucien inarcò le sopracciglia, l'ennesimo, crescente sorriso che si apriva a mezzaluna sul viso. Si tirò su, tornando finalmente a guardare Tori. «Direi che ci farebbe molto piacere! » Con la giacca multicolore arpionata all'indice della mano sinistra. e penzolante dietro la schiena, Lucien sembrava un animale esotico nel bel mezzo dell'Antartico. In effetti, quell'assortimento di individui tanto diversi dagli autoctoni poteva appariva ai loro occhi come una curiosa combriccola uscita da un film di Tim Burton. Ciliegina sulla torta? Una scimmia con tanto di gilet e cappellino.
    Quelle persone che poco prima l'avevano acclamato ora tornavano a fissare non solo Lucien, ma la stessa compagnia, con sguardi diffidenti e inquisitori. Non bastava quel sorriso perennemente presente sul suo volto per sciogliere i loro muscoli facciali.
    Ben presto si stufò di sfogliare il vocabolario per ogni minima cosa e lasciò perdere, lasciando che il piccolo librino scomparisse di nuovo all'interno di quella giacca dalle mille tasche magiche. Non si sarebbe detto ma era pesante. C'erano tante di quelle cose nascoste dentro che Lucien ne aveva dimenticato il numero e l'esatta collocazione. Quando qualcosa vi entrava poteva riapparire anche settimane o mesi dopo.
    «Ma sono tutti così?» Domandò, affidandosi solamente alle sue scarse conoscenze della lingua e fregandosene degli errori grammaticali. Aveva indicato con il capo ad un paio di persone che li stavano fissando come se fossero appena usciti da un night club in compagnia di una bambina e di una scimmia. Aveva dato per scontato che Tori non fosse di quelle parti, almeno non d'origine. In primis per i colori scuri che la distinguevano da quella marea di sfumature di biondo. « E sono sempre tutti così biondi? Non sapevo neanche che esistessero così tanti tipi di giallo! - Parlava come i bambini, un po' per via della lingua sconosciuta e un po' perché gli avevano fatto da maestri, passandoci la maggior parte del suo tempo. Avevano un modo stupendo di essere diretti, senza curarsi delle convenzioni che il mondo degli adulti richiedeva. - Hey Lexi guarda! Giallo chiaro, giallo scuro, giallo cenere e giallo cacarella » Aveva abbassato la voce ma non troppo, non sforzandosi neanche di reprimere una risata soffocata. Forse era anche per quello si beccavano tante occhiatacce! Lucien era così. Uno spirito libero dalla bocca larga, senza freni inibitori, quasi ingenuamente inconsapevole di ciò che diceva la maggior parte del tempo. Non a caso si era fatto parecchi nemici nel corso dei suoi trent'anni di vita. Ma gli amici andavano sempre per la maggioranza, era questo l'importante. «Non sei di queste parti, o sbaglio?» Chiese concentrandosi di nuovo su Tori. « I tuoi - i vostri - colori mi ricordano casa.»
    Casa . Da quanto tempo non la vedeva? Gli mancava come l'aria e al contempo la temeva come un incubo ricorrente.
    Capì di essere arrivato ancora prima di vederlo. Avrebbe riconosciuto l'odore salmastro del mare ovunque, persino dall'altro capo del mondo. E difatti eccoli lì, in quella vastità che rimane sempre la stessa, non importa da che punto lo si osservi. Per lui il mare era indispensabile, nonostante gli avesse portato via suo padre. Aveva passato anni ad odiarlo e a temerlo, incolpandolo di tutti i suoi mali. Aveva persino cercato di fuggire il più lontano possibile da esso, nella speranza di riuscire così a placare il dolore che gli inquinava il cuore. Si era ben presto rivelato chiaro, però, che non poteva vivere senza. La grande distesa blu era l'unica che riusciva a portare ordine nella sua testa quando troppi pensieri confusi la accerchiavano, minacciando un esplosione. Si era anche reso conto che era proprio lui, il mare, l'ultimo ad aver abbracciato il corpo abbronzato di Juan. Si era convinto che bastasse immergersi nelle sue acqua per sentire la presenza del papà. E aveva così imparato ad amarlo di nuovo a tal punto da ricercarlo ovunque andasse. Si era fatto più silenzioso, in estatica contemplazione del suo migliore amico allungando persino il passo per raggiungere la riva più in fretta. Passarono alcuni chioschi, per lo più di gelati e panini, e il suo stomaco emise un brontolio affamato. Promise al suo corpo un bel pranzetto futuro, ma prima c'era una cosa che doveva fare. Anzi, dovevano. «Seguitemi, miei prodi!» Alla vista del mare Monk aveva momentaneamente abbandonato la spalla di Lexi per rifugiarsi sulla sua - premurandosi di passare sulla testa di Lori per arrivarci. A differenza di Lucien, Monk non aveva mai perdonato del tutto quel mare che amava osservare senza però avvicinarcisi mai troppo. Ora era Lucien che guidava il gruppo, una bizzarra guida turistica diretta verso la spiaggia. Certo le temperature non sfioravano neanche lontanamente quelle dell'estate spagnola, ma non si sarebbe fatto spaventare per nulla al mondo. Iniziò a spogliarsi mentre impartiva una lezione di vita alle sue accompagnatrici di cui una, era sicuro, avrebbe protestato per la pazzia che stava per compiere. « Se c'è una cosa che ho imparato è che la vita è troppo breve per sprecarne anche solo un secondo. Bisogna fare qualsiasi cosa ti salti per la testa, senza perdere nessuna occasione. A parte fare il bagno dopo aver mangiato un intero pollo arrosto con patate, broccoletti e con tanto di torta della nonna. Quello no, non lo fare se non vuoi finire a pancia all'aria come tutti ii pesci rossi che ho avuto. Non so quale fosse il problema onestamente, mi sarò dimenticato di dargli da mangiare si e no un paio di volte... » Come al solito aveva perso il filo del discorso ma ormai era in mutande - arancioni fosforescenti - non sarebbero servite più di sette, ultime gloriose parole. Lanciò uno sguardo a Tori e uno ad una Lexi già senza pantaloni. I due sembravano acconsentire a qualcosa, come se si fossero letti nella mente e prima che il coscienzioso lato materno di Tori potesse prendere il sopravvento, Lucien afferrò Lexi - o forse fu Lexi che saltò in braccio a Lucien « Chi arriva ultimo è un verme molliccio e paga il gelato!» Si lasciò andare in una corsa perdifiato, bruciando i pochi metri che lo separavano dalla riva. Monk saltò saggiamente per terra prima de gelido impatto con l'acqua.
    Il respiro si bloccò da qualche parte nella sua gola mentre il corpo cercava di reagire al freddo pungente di quel placido mare.
    «PER MAGO MERLINO QUANTO E' FREDDA!» Tornato a galla non poté reprimere quell'urlo che fece volare via alcuni gabbiano infastiditi. Le risate di Lexi riecheggiarono mischiate alle proprie. «Dai Tori, che aspetti?! Tanto ormai il pranzo tocca a te!» Agitò le mani facendole segno di raggiungerli. A stento si poteva dire chi fosse il bambino fra i due.

     
    .
  5.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    fly away ♥

    Group
    Member
    Posts
    8,416
    Reputation
    +712

    Status
    Anonymes!
    tumblr_inline_noryb9wzQ21ql0qbb_500

    VICTORIANNE FAWNIE ÅRUD ☾

    Dopo un contatto sorprendentemente prolungato, la mano calda di Lucien lasciò delicatamente la presa sulla sua e Victorianne lo osservò chinarsi all’altezza di Lexi, la voce allegra resa ancora più gradevole dal roco accento mediterraneo. Inutile negarlo, la gentilezza con cui si premurava di rivolgersi a Lexi, assicurandosi di non escluderla e trattandola in maniera tutt’altro che infantile era qualcosa di raro che, sino a quel momento, Tori aveva rivisto unicamente in sua nonna Edith e, al di fuori dei suoi consanguinei, nella sua amica Lucille. Se nel caso delle due donne tali accortezze si erano ben presto tramutate in sincero e disinteressato affetto da parte di Lexi, difficilmente persone appena conosciute – per di più di sesso maschile – si erano soffermate ad interagire con sua figlia, piuttosto che con lei. Generalmente, il fatto di aver avuto una figlia durante l’adolescenza era qualcosa che, in un certo senso, aveva sempre ostacolato le sue relazioni con l’altro sesso. Da un lato perché a quell’età – e nei limiti geografici di Besaid – non era facile incontrare ragazzi abbastanza maturi da essere in grado di rispettare (o quantomeno accettare) il suo ruolo di madre e la priorità che Lexi rappresentava; dall’altro, Victorianne stessa aveva scelto di dedicarsi completamente a sua figlia, mettendo momentaneamente in pausa la sua vita amorosa – una pausa che ormai durava da almeno cinque anni, eccezione fatta per flirt-lampo basati unicamente sulla mera attrazione fisica che, nel caso sopravvivessero ad una sola notte di follia, Tori si premurava di troncare senza mezze misure quando la relazione passeggera iniziava a mostrare le prime preoccupanti avvisaglie di una vera e propria frequentazione – premurandosi di tenere Alexandra all’oscuro di qualunque individuo di sesso maschile che aveva messo piede nella sua vita; lei poteva sopportare una delusione sentimentale ma non voleva rischiare che sua figlia si affezionasse a qualcuno e che, nel caso in cui le cose non avessero funzionato, restasse ferita. Talvolta le capitava di avvertire la mancanza di una figura che le stesse accanto, una persona a cui avrebbe potuto confidare ogni suo piccolo timore, certa di trovarvi un porto sicuro, qualcuno che avrebbe amato e che l’avrebbe ricambiata per più di un semplice incontro di superficiale ed effimero piacere carnale. Ciò accadeva soprattutto quando si ritrovava a dover affrontare da sola una complicazione inaspettata o nei suoi rari momenti di sconforto, quando si permetteva il lusso di scivolare in pochi minuti di autocommiserazione, salvo poi ripetersi con ruvida schiettezza che, in realtà, non era mai stata innamorata. Non sapeva davvero com’era, come ci si sentiva ad amare qualcuno a tal punto da metterlo al di sopra di tutto e di tutti; la sensazione di pace e completezza che si doveva provare, nell’aver trovato la propria metà – o, per lo meno, un’anima profondamente affine – era qualcosa di sconosciuto eppure, nei momenti più inaspettati, Tori bramava tale malinconica sensazione con sbigottimento impressionante. Ancor più che per sé stessa, spesso si sentiva in colpa nei confronti di Alexandra. Era talmente severa da rimproverarsi intimamente di averla privata di una figura paterna, di essere stata talmente avventata ed incosciente da non considerare che, per esperienza diretta, il bisogno di conoscere le proprie origini e riconoscersi nel volto dei passanti, alla disperata ricerca di qualche tratto comune, era pressante e incredibilmente difficile da sopprimere. Rassegnarsi, dopotutto, non faceva parte del DNA degli Årud.
    Colse con la coda dell’occhio il movimento di Lucien e ritornò alla realtà, mascherando i propri pensieri dietro un sorriso meno spontaneo del precedente. Avrebbe potuto apparire sincero, se non fosse stato per le piccole rughette agli angoli delle labbra e allo sguardo scuro, meno caldo del solito. Iniziarono ad avviarsi verso l’uscita del parco, Lexie che li precedeva di qualche passo, confabulando sottovoce con Monk, ancora saldamente sistemato sulla sua piccola spalla. Vedere Pan alle prese con il minuscolo dizionario la divertiva ma, una volta stanco di sfogliare febbrilmente le pagine, il giovane lo fece sparire, deciso ad esprimersi come meglio poteva, incurante di eventuali errori. «Ma sono tutti così?» Victorianne scrollò le spalle e si guardò attorno, notando solo in quel momento che erano divenuti il centro dell’attenzione di buona parte dei presenti. In realtà ormai ci era talmente abituata da non farci più nemmeno caso: quando non era il suo aspetto a suscitare curiosità, si poteva star certi che il suo cognome ne attirasse altrettanta, se non di più; dopotutto, in una cittadina piccola come Besaid, i pettegolezzi erano all’ordine del giorno e gli abitanti si conoscevano tra di loro, se non personalmente quanto meno di vista. «Non sempre, dipende. A volte non lo fanno con cattiveria, credo che siano semplicemente curiosi.» Rispose, prima che le parole seguenti del ragazzo le strappassero una sincera risata. Non si aspettava di certo un commento simile! Tentando inutilmente di darsi un contegno, Tori si coprì le labbra con una mano, mentre la risata senza freni di Alexandra faceva da eco a quella dei cosiddetti “adulti”. Inutile dirlo, tanto clamore attirò ulteriori occhiatacce.
    Calmata l’ilarità, Tori si passò il dorso della mano sotto gli occhi per asciugarli. Talvolta, quando rideva troppo le capitava di piangere qualche lacrima. Il sorriso sul suo volto, tuttavia, cancellava ogni dubbio riguardo al suo attuale stato d’animo. Tentò di schiarirsi leggermente la voce – o meglio, di recuperarla - prima di rispondere alla domanda di Pan. «Io sono nata qui e anche Lexie.» Iniziò, indicando la bambina con un cenno del capo. «Ma parte della mia famiglia proviene dall’Europa continentale. Erano nomadi, quindi non saprei dirti da dove, di preciso, ma mia nonna lo sa con certezza. Credo si tratti della zona costiera, tra quella mediterranea e l’adriatica.» Rispose, aggrottando lievemente le sopracciglia. Edith non le aveva mai detto con certezza quale fosse stato il luogo di origine della sua antenata Jaelle, forse perché per una simile nomade nessun luogo aveva rappresentato davvero “casa” prima di decidere di stabilirsi definitivamente a Besaid per amore. «Però so che erano scuri – sicuramente non biondi. E colorati, soprattutto nel vestire.» Aggiunse, anche se si trattava di informazioni di ben poco conto. Certo, se gli Årud spiccavano già considerevolmente rispetto al resto della popolazione locale nonostante i loro tratti mediterranei fossero stati diluiti grazie a una parte di sangue norvegese, allora i membri della sua famiglia all’epoca di Jaelle dovevano apparire particolarmente esotici agli occhi dei norvegesi, generalmente abituati a tratti angelici, capelli biondi, pelle chiara e occhi azzurrissimi. Si voltò verso Pan, studiandolo per un istante. Eccezione fatta per l’abbronzatura, avrebbe potuto integrarsi abbastanza bene tra gli abitanti di Besaid; i suoi occhi erano chiari e i capelli, sebbene scuri all’origine, presentavano molte sfumature di biondo, probabilmente a causa del sole e della vita all’aperto. «In parte credo sia anche colpa mia se ci fissano. Besaid è una cittadina minuscola e nel corso degli anni la mia famiglia ha fatto…» S’interruppe, tentando di spiegare il tutto sotto una luce meno negativa di ciò che si diceva in città. «…beh, diciamo semplicemente che non sempre viviamo secondo le regole o le convenzioni della società.» Concluse, lasciando ricadere lo sguardo scuro su Lexie che, ignara di tutto, continuava a intrattenere Monk con una ciocca dei suoi capelli. Fecero ancora un paio di passi e la scimmietta abbandonò la spalla della bambina, utilizzando Tori come “ponte” per riprendere la sua posizione originaria, saldamente ancorata sulla spalla del suo proprietario. E in effetti, senza che Tori se ne rendesse conto, le loro chiacchiere avevano coperto la breve distanza tra il parco e i primi lembi di spiaggia sabbiosa, dove gli scogli scivolavano nel mare sino a formare una sorta di rientranza protetta dalle correnti più forti che si agitavano al largo della terraferma. L’aria era ormai intrisa dell’odore del mare, la salsedine accarezzava la pelle e vi si depositava, persistente sulla cute e tra i capelli. Quello era un odore di cui Tori non si sarebbe mai stancata: ne conosceva ogni sfumatura, con qualunque condizione metereologica e durante ogni stagione. L’odore più acre in previsione del maltempo, quello più delicato quando era prevista una nevicata intensa, il sentore ancor più salato durante l’estate. Inspirò profondamente, dopo aver superato alcuni chioschi di cibo presenti lungo la passerella che costeggiava il lungomare, mentre Pan li incitava a proseguire in direzione della riva.
    Come misero piede sulla spiaggia, gli stivali di Tori affondarono nella sabbia, costringendola a rallentare il passo rispetto al resto del gruppetto. Un paio di metri più indietro, riuscì così ad avere un’ottima visuale sullo spogliarello (?) niente male di Pan. Interdetta, inarcò un sopracciglio. Il tempo era sicuramente bello e l’aria calda per gli standard norvegesi ma il mare… beh, l’acqua era gelida persino in pieno luglio e se il ragazzo aveva intenzione di fare un tuffo avrebbe avuto un’amara sorpresa. «Non credo sia il caso di…» Tentò di avvertirlo, raggiungendoli, ma le sue parole vennero completamente ignorate, coperte dalla voce bassa di Pan che, tentando di produrre una frase dal senso compiuto, ne distorceva involontariamente il suono. Si voltò verso Lexie, pronta ad intimarle di bagnare solo i piedi, ma prima che potesse aggiungere altro la bambina si era sfilata completamente i pantaloni e, aggrappata a Lucien, si stava facendo trascinare in acqua con aria vittoriosa. Impossibilitata a fermarli, Tori prese un profondo respiro e si massaggiò le tempie. Nulla di buono sarebbe venuto fuori da quel bagno nell’acqua gelida. L’ordine delle probabilità includeva una sgridata da parte di Edith e, conseguentemente, un bel raffreddore per Lexie. Non che ormai potesse fare molto al riguardo dato che sua figlia stava già allegramente sguazzando a pochi metri dalla riva assieme ad un perfetto – o quasi- sconosciuto che la incitava a raggiungerli. Sospirò, scuotendo il capo. Era davvero una madre modello e nessuno avrebbe potuto dire altrimenti.
    Indecisa, spostò il peso da un piede all’altro, spostando lo sguardo dalla riva al mucchio di vestiti abbandonati sulla sabbia. Almeno uno dei due adulti presenti avrebbe dovuto fare la parte della persona responsabile. Tuttavia le urla di Pan e Lexie avevano già attirato l’attenzione dell’intera spiaggia e restare fuori dall’acqua non avrebbe certo risparmiato ad Alexandra una probabile influenza. Inoltre un po’ le mancava agire senza pensare, mettere momentaneamente da parte il suo bisogno di essere una madre responsabile per lasciarsi andare ad un po’ di innocente ed innocua spensieratezza. «E va bene!» Esclamò, sfilandosi la borsa a tracolla e lasciandola cadere sulla sabbia. Scalciò via gli stivali e si sfilò i calzini, ben presto seguiti dal cardigan leggero e dalla canottiera. Slacciò il bottone degli shorts di jeans e li scalciò via, restando con indosso solamente l’intimo, fortunatamente piuttosto sobrio. Quella mattina non si era certo alzata con l’idea di fare un tuffo in mare ed era semplicemente un caso che non avesse indossato qualcosa di assai più imbarazzante – come una delle sue tante paia di mutande con rane o porcellini stampati sopra – o volgare di un semplice completo nero.
    La brezza marina le accarezzò la pelle e Tori rabbrividì appena. Si sfilò un elastico dal polso e raccolse i capelli in uno chignon disordinato in cima alla testa, sperando così di evitare di bagnarli troppo, prima di avvicinarsi alla riva. Bagnare i piedi uno ad uno fu una pessima decisione. L’acqua gelida la costrinse a ritrarsi istintivamente, dandole un’idea di quale sarebbe stato il primo impatto. «Oh, al diavolo!» Borbottò, indietreggiando di un paio di passi per prendere la rincorsa. Si tuffò in acqua a mezzo metro da Pan, con l’unica accortezza di non immergere la testa, in un movimento tutt’altro che aggraziato. La sensualità che avrebbe dovuto mostrare una giovane donna nell’immergersi nell’acqua cristallina venne completamente sostituita da una serie di imprecazioni in fitto norvegese e da schizzi d’acqua in tutte le direzioni, rendendola più simile a una foca desiderosa di giocare che a una elegante sirena. «MERDA!» Sbottò, perdendo momentaneamente il contegno che la caratterizzava in presenza della figlia. «E’ gelida.» Aggiunse, sollevandosi in piedi e sfregandosi le braccia con il palmo delle mani. Incurante della bassa temperatura, Alexandra continuava a sguazzare allegramente, nuotando in maniera assai impacciata. «Non alzarti, mamma. Devi stare sott’acqua altrimenti avrai più freddo!» Come diavolo facevano i bambini a non sentire il freddo? «Se non morirò prima!» Replicò Tori, tentando di schizzarla con un po’ d’acqua. In tutta risposta la bambina si allontanò appena, ridendo. Girandosi, la giovane notò solo in quel momento la presenza di Pan al suo fianco. Inclinò lievemente il capo, fissandolo per qualche istante. Era un uomo indubbiamente attraente – dire il contrario sarebbe stata una mera menzogna – e se mentre si spogliava Tori aveva scorto appena i dettagli di un fisico scolpito e ben allenato, ora che la distanza tra loro era tanto esigua, non potè fare a meno di pensare che, in una situazione differente, non le sarebbe dispiaciuto affatto rivederlo con indosso così pochi indumenti.
    Divertita, prese ad avvicinarsi lentamente, mantenendo lo sguardo scuro fisso in quello di lui, le iridi persino più chiare dell’acqua gelida in cui erano immersi. Dovette fare un certo sforzo per evitare di seguire il percorso delle piccole gocce d’acqua che, dai capelli bagnati, scivolavano lungo il basso, sul viso e la barba, sino al collo, le spalle ed il resto del corpo abbronzato. Il suo avanzare verso Lucien venne accompagnato dal morbido movimento dell’acqua, fino a che Tori non si fermò, a una decina di centimetri da lui. La differenza d’altezza tra di loro era talmente evidente che la ragazza fu costretta ad alzare il viso quindi, mentre un sorriso sornione si allargava sulle labbra rosee, posò entrambe le mani sul petto di Pan e lo spinse all’indietro con tutta la sua forza, tentando di farlo ricadere in acqua. «Lexie, all’attacco!» Esclamò, consapevole che nonostante i rinforzi della bambina, Pan avrebbe potuto facilmente opporre resistenza ad entrambe. «Così impari a chiamarmi “verme molliccio”!» Scherzò, tentando nuovamente di affondare Pan, stavolta prendendo addirittura una piccola rincorsa e buttandoglisi addosso con tutto il suo peso. Male che vada sarebbero finiti sotto in due.
     
    .
  6.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    All hype, no heart

    Group
    Vice
    Posts
    1,452
    Reputation
    +2,808
    Location
    kensington gardens.

    Status
    Anonymes!
    Pan L. Pendragon But hold me fast, hold me fast
    'Cause I'm a hopeless wanderer

    tumblr_ory3pgxGVB1vkskqwo2_250



    Per lui i bambini avevano sempre rappresentato una fonte inesauribile di curiosità. Era un po' geloso della loro immaginazione e della meraviglia con cui affrontavano ogni cosa nella vita. Credere gli veniva facile come mangiare caramelle. Dal canto suo, Lucien aveva sempre evitato la contaminazione con cui gli adulti inquinavano la mente dei bambini. Li considerava gli untori del nostro secolo. Nonostante apprezzasse una o due cosine del loro mondo - il sesso e la birra in pole position - Pan credeva fermamente che i bambini non avessero niente da invidiare ai grandi, bensì il contrario. "Ti comporti come un bambino", "Sei peggio di un poppante" erano alcune delle frasi con cui le donne lo bersagliavano dopo l'ennesima cosa sbagliata che aveva fatto. Accoglieva con un sorriso quelle parole messe l'una dietro l'altra con l'intento di ferirlo, forse cambiarlo. Nessuno sembrava capire la frenesia che lo attanagliava, la lotta feroce che combatteva per conservare il più possibile in sé il bambino che era stato.
    Questa sua eterna lotta contro il tempo non aveva aiutato nessuno dei rapporti interpersonali in cui Lucien si era buttato, con un'esuberanza e irrequietezza che inizialmente entusiasmavano ma che, alla lunga, finivano per spaventare. Era sempre stato così, Lucien andava a pelle in ogni situazione. Senza soffermarsi troppo a razionalizzare, se c'era un click, se una persona lo interessava, l'uomo si lasciava prendere dall'entusiasmo più incontrollato. Ogni amore per lui aveva le stesse probabilità di essere eterno, e vi ci si dedicava con tutto l'impegno possibile finché durava. Contenevano tutti delle infinte possibilità e Pan non si tirava mai indietro. Termini come andarci piano e passo dopo passo non gli erano molto chiari. Era tutto e subito o niente e arrivederci. Non solo non gli piaceva aspettare, non ne capiva proprio la ragione. Aspettare cosa, poi? Che il momento svanisca sommerso dalle paure del domani? Erano tutti così dannatamente spaventati dal futuro tanto da dimenticarsi di vivere il presente. Come ogni fuoco d'artificio però, quei folli amori di cui bruciava finivano presto per estinguersi. Sarebbe semplice addossare tutta la colpa al circo che lo spingeva a cambiare città ogni paio di mesi, finendo per distruggere ogni rapporto che instaurava. La verità è che Lucien era un bambino in tutto e fino in fondo. Non c'erano solo la fantasia sfrenata e l'irrazionalità che lo rendevano un amante passionale e travolgente. C'era anche la quasi totale incapacità di decidere, di scegliere razionalmente e a mente lucida. Era bravo a decantare il suo essere uno spirito libero come il vento, bisognoso di nient'altro che di fiato nel petto e del suo mazzo di carte. Nonostante detestasse il circo e le rigidissime regole famigliari che affliggevano ogni persona che ne faceva parte, Lucien non era ancora riuscito a staccarsi da esso. Non era sicuro del perché, ma affrontare suo nonno non era mai stata un'impresa facile per lui. Preferiva assentarsi per la maggior parte del tempo, fingere che quel problema non esistesse affatto.
    Ciò che rimaneva di quegli amori era una leggera coltre di fumo e il dolce odore del fuoco ormai spento. Lucien era il primo a rimanervi deluso, giudicando quanto ci aveva provato. Erano comunque stati importanti, ogni persona che incontrava aveva contribuito a plasmarlo e non se ne sarebbe mai dimenticato. A suo parere, era meglio essersi lasciati che non essersi mai incontrati. Sarebbe rimasto volentieri amico con tutte le sue ex, alla fine c'era un posto infinito nel suo cuore. Purtroppo la maggior parte di loro non ne voleva più sapere di lui, avviluppate com'erano nella coltre di orgoglio che gli impediva di ragionare lucidamente. Contro ogni apparenza, Lucien non era un Don Giovanni nell'accezione classica del termine. Pur quando perdeva la scintilla iniziale, Lucien non amava far soffrire gli altri. Il suo vero problema era il non riuscire ad accontentarsi e ad accettare i cambiamenti nei rapporti. Avrebbe voluto che l'eccitazione iniziale, l'incontrollabile voglia di fare l'amore rimanessero per sempre tali e quali. Era quando ciò iniziava a cambiare che Lucien si tirava indietro. Non voleva ritrovarsi imprigionato in una vita mediocre e piatta, ma la desiderava sempre piena di avventure e meraviglia.
    Le supposizioni di Pan furono confermate dalla breve spiegazione sulla genealogia della sua famiglia che Tori gli fornì. «Non è incredibile quanta memoria e conoscenza si portino dietro le nonne? Cerco sempre di non dimenticare mai niente, di tenere ogni secondo vivo nella mia mente. Vorrei fare una chiacchierata con tu abuela, prima o poi. Se ti va. » Quella frase che sembrava buttata lì per caso, quasi senza pensarci, in realtà sanciva la tacita speranza di un secondo incontro. «Mi piacciono le cose colorate. Il bianco e nero è per chi è stanco di vivere. » Sorrideva sempre, ma in loro compagnia non avrebbe potuto davvero fare altrimenti. Lo sentiva - non chiedetegli come - ma quelle due erano state messe sul loro cammino per una ragione. Lucien non era un uomo di fede, ma credeva nel fato e nel destino e sapeva riconoscere quando c'era di mezzo il loro zampino.
    La vista del mare non fu l'unica cosa ad indurlo a lasciar perdere l'argomento "famiglia". Non era sicuro che la ragazza volesse approfondirlo e addentrarsi in certi territori l'avrebbe portato ad esporsi di rimando. Ora tutto ciò che voleva fare era dedicarsi al mare.
    A vederlo corrergli incontro così spensierato non si sarebbe di certo detto che un tempo ne fosse stato tanto terrorizzato. L'oceano si era portato via tutto ciò che aveva e solo recentemente aveva osato affrontarlo di nuovo. Aveva ancora qualche problema a rimanere troppo a lungo sott'acqua. Gli sembrava che i polmoni gli si riempissero d'acqua nonostante fossero passati solo pochi secondi. Anche andare a largo senza la tavola da surf, dove i piedi non toccano il suolo sabbioso, era un'esperienza che ancora non riusciva liberamente a fare. A dispetto della stazza che ora possedeva, Lucien temeva sempre di poter essere trascinato via come quando, ad otto anni, aveva cercato di correre dietro a suo padre.
    Fortunatamente in quella circostanza c'erano ben altri fattori a cui dedicare la più totale attenzione. Come l'imperdibile spettacolo di Tori che correva verso di loro in biancheria intima. Non ne perdette neanche un istante, gli occhi azzurri che seguivano ogni curva di quel corpo, il solito sorriso che non ne voleva sapere di perdere intensità. L'impatto con l'acqua e l'esclamazione di Tori - non proprio da signorina- lo costrinsero a rianimarsi. «Hey hey, linguaggio per favore. C'è un bambino qui. » Scherzò tappandosi le orecchie, come se fosse lui quello il cui udito doveva essere protetto. Odiava il modo in cui gli adulti ritenevano necessario dover sempre rimarcare ai bambini la loro condizione di piccoli. Era ingiusto.
    Lucien si innamorava spesso, senza controllo. Amori che duravano l'attimo di uno sguardo scambiato per caso, altri che resistevano per una cena condivisa sulla spiaggia. Era successa una cosa simile quando aveva visto Tori e Lexi. Uguale e diversa allo stesso tempo. C'era qualcosa di mozzafiato nel modo in cui le due sembravano muoversi in sincronia, ognuna attenta alla semplice esistenza dell'altra.
    Più le osservava, più gli sembrava ridicolo aver anche solo potuto pensare che Tori fosse la babysitter di Lexi.
    La temperatura sembrava alzarsi di pari passo ai centimetri che si bruciavano tra i due. Quando il palmo delle mani di Tori toccò il suo petto, Lucien scommetteva l'avrebbe trovato bollente. Non era sicuro di cose volesse fare, ma ogni centimetro del suo corpo era consapevole della vicinanza di quello di Tori. Di certo non si sarebbe mai aspettato di venire ingannato in quel modo. Alla prima spinta Lucien mosse appena un passo indietro, più per la sorpresa che per effettiva perdita di equilibrio. «Puoi rifarlo per favore? Stavolta un po' più su. Quella specie di solletico era quasi piacevole. » La provocò mentre con aria divertita aspettava di scoprire la sua prossima mossa. Intanto si riavvicinò a lei e alzò le braccia ai lati del corpo. «Tutto qui quello che sai fare?!» Ci provò di nuovo, con tanto di rinforzi questa volta. Lottarono per qualche minuto, durante i quali fece prima finta di soccombere alla loro forza. Si lasciò spingere sott'acqua ancora quasi ridendo per ciò che stava accadendo. Le sentiva agitarsi sopra di lui e cercare di tenerlo giù con il loro peso sulle spalle. Per qualche secondo non successe nulla, poi Pan ebbe la cattiva idea di aprire gli occhi. Prima ancora del bruciore del sale, avvertì quello pungente della paura. Intorno a lui c'erano bollicine senza fine e la sabbia mossa dai piedi di Tori e Lexi rendeva la visione opaca. Sembrava un mare in tempesta. Era un terrore subdolo e crescente, del tutto irrazionale per un uomo della sua età. Sapeva di avere ancora molto tempo a disposizione, ma i polmoni iniziarono a far male come se fossero a corto di ossigeno. Fece leva sui polpacci e spinse in sù, riguadagnando la libertà. Inspirò forte come se non respirasse da quattro minuti anziché da pochi secondi. Dalla spiaggia Monk emetteva suoni agitati, muovendosi nervosamente da sinistra a destra ma senza avere il coraggio di entrare in acqua. Sembrava preoccupato per il proprio padrone. Lucien cercò di ricomporsi ed evitare di tremare. Fu una questione di una manciata di secondi che sperò fossero passati inosservati. Per recuperare il sorriso le issò una su una spalla, una sull'altra. «Due contro uno! Gioco sleale ragazze, non si fa!» Esclamò mentre uscivano dall'acqua somigliante ad una creatura marina con strane appendici crescenti dalla schiena. Le lasciò andare solo quando furono in salvo e a debita distanza dal mare. «Mi servono cinque minuti di recupero... Mi avete distrutto!» Disse a Lexi che subito lo aveva preso per mano chiedendogli di costruire qualcosa con la sabbia. Si sedette sulla sabbia, i gomiti poggiati sulle ginocchia e lo sguardo rivolto verso la distesa blu. Monk era subito saltato sulla sua spalla e l'uomo lo accarezzò in testa, sussurrandogli qualcosa in spagnolo per tranquillizzarlo. Quando Tori gli si sedette al fianco Lucien le sorrise ma senza guardarla. «Conosci l'incipit del Liber di Catullo? Odi et amo?» chiese all'improvviso. «"Odio ed amo. Perché lo faccia, mi chiedi forse. Non lo so, ma sento che succede e mi struggo". Mia nonna me lo leggeva sempre, era l'unica a sapere qualcosa di latino nella nostra famiglia. Era l'unica a saper leggere, se è per questo. Ho sempre pensato che quella frase si adatti al rapporto tra me il mare. » Stava tentando di giustificarsi, sentiva di doverglielo in qualche modo. O forse voleva solo aprirsi, perché alle volte è più semplice confessarsi con uno sconosciuto. Si spinse indietro con la schiena, poggiando il peso sulle mani che aveva allungato poco dietro. Le gambe distese, ora la guardava con il classico sorriso di sempre. La tempesta era passata e c'era di nuovo il sole. «Riguardo quello che hai detto della tua famiglia prima, lo capisco. Neanche la mia ha mai vissuto secondo le regole o le convenzioni della società.» riprese all'improvviso il discorso che prima aveva volutamente lasciato cadere, le iridi chiare piantate ore in quelle scure di Tori. «Sono cresciuto in un circo itinerante dove tutt'ora svolgo la professione di pagliaccio. Mio padre era un prestigiatore e cantastorie, dedito più a piccoli furti che a meravigliare i bambini, sopratutto verso l'ultima parte della sua vita. » Non poteva fare a meno di osservare piccoli frammenti di luce risplendere nelle goccioline d'acqua sparse su tutto il corpo di Tori. « Non ho frequentato le scuole pubbliche, non avevo amici al di fuori degli altri componenti del circo, ho imparato a rubare prima di saper andare in bicicletta e ho dormito in una baracca sul mare d'inverno e d'estate. Mi sono perso molte cose normali per gli altri bambini, ma ho vissuto tante altre esperienze che loro non avrebbero mai potuto neanche immaginare. Ho avuto un'infanzia piena di magia e di storie, con sirene che rapiscono le mamme e fattucchiere che trasformano la sabbia in oro. » Osservò per qualche secondo Lexi poco più in là armeggiare con una piccola torre di sabbia bagnata, decisamente pendente a sinistra. « Se potessi tornare indietro nel tempo e scegliere: cambieresti il tuo passato o la tua famiglia?» Chiese con un mezzo sorriso sulle labbra e gli occhi ridotti a due fessure per proteggersi dai raggi solari. «Immagino comunque che per te sia diverso. Hai Lexi, la tua personale famiglia a cui pensare. Vi conosco da due ore è assurdo, ma una bambina così eccezionale può essere stata partorita solamente da una madre altrettanto speciale. »Non era sicuro di come fosse la famiglia di Tori o quale vita aveva vissuto in loro compagnia. Siamo quel che siamo, così diceva suo padre. Ma c'era sempre qualcuno che sfuggiva alla maledizione che scorreva nel loro sangue.Juan - suo padre - non era riuscito a sfuggirgli, ormai perso nelle storie da lui stesso create. E Lucien? Non era troppo sicuro di poter riuscire nell'impresa. Ma andava bene così, in fondo non lo voleva davvero. «Così speciale che avrei una gran voglia di baciarti.» Come al solito Lucien non riusciva a trattenere un pensiero per più di mezzo secondo dal momento in cui il cervello lo formulava. Non intendeva necessariamente in quel momento, nonostante la bambina fosse distante non avrebbe mai voluto che assistesse a qualcosa che non avrebbe potuto ancora capire. Era stata più una genuina affermazione, l'infantile intento di farle capire che la trovava davvero sorprendente.

     
    .
  7.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    fly away ♥

    Group
    Member
    Posts
    8,416
    Reputation
    +712

    Status
    Anonymes!
    tumblr_inline_noryb9wzQ21ql0qbb_500

    VICTORIANNE FAWNIE ÅRUD ☾

    Mentre camminavano, Tori avvertì lo sguardo di diversi passanti soffermarsi su di loro per qualche secondo di più del necessario. Probabilmente, agli occhi di chi non li (ri)conosceva, dovevano apparire come una famiglia giovane e spensierata, decisamente stravagante grazie alla presenza di Monk, saldamente ancorato alla spalla di Lexi. Se al principio quel pensiero la divertì, man a mano che osservava Lexi interagire con Pan, ridere e stare allo scherzo, una sensazione di profonda malinconia iniziò a farsi largo nel profondo del suo animo, procurandole uno spiacevole nodo all’altezza dello stomaco. Pur tentando ogni giorno di essere la versione migliore di sé stessa – e, soprattutto, una buona madre – sapeva che, prima o poi, la sua sola presenza non sarebbe bastata a colmare il mondo di sua figlia. Se fino a quel momento Tori era stata tutto ciò di cui Lexi aveva mai avuto bisogno, la giovane era consapevole che, con le sue scelte, l’aveva privata della possibilità di conoscere parte del proprio passato e, forse, persino parte di sé stessa.
    Nulla di tali turbamenti riuscì a risalire in superfice, se non un lampo di colpevolezza che oscurò le iridi nocciola per un breve istante. Per il resto, i lineamenti del suo viso presentavano la medesima espressione sorridente ed allegra con cui, al parco, si era presentata a Pan. Le parole del prestigiatore la strapparono ai suoi pensieri e Tori annuì, istintivamente. Riconosceva una profonda verità in ciò che lui aveva appena detto: ai suoi occhi, nessuno avrebbe potuto eguagliare Edith e l’insieme di leggende, rimedi, nozioni, credenze o conoscenze con cui, giorno dopo giorno, era ancora in grado di sorprenderla. «Nemmeno io riesco a spiegarmi come facciano. Forse è solo per aver vissuto a lungo o, semplicemente, in un’epoca diversa ma tutto ciò che dicono e raccontano è quasi… magico.» Replicò, stringendosi appena nelle spalle. Forse non aveva usato il termine più appropiato ma era certa che Pan avrebbe capito ciò che voleva dire. «Sanno sempre cosa dire e quando dirlo, quasi fossero in grado di leggerti nella mente.» Aggiunse, senza riuscire a nascondere una piccola smorfia all’idea che sua nonna potesse frugare indisturbata tra i suoi pensieri. Non che ne avesse davvero bisogno, considerando che riusciva a comprendere cosa la turbava con un semplice sguardo. Insieme a Lucille, Edith era la persona a cui Victorianne non sarebbe mai riuscita a mentire davvero. Rivolse un piccolo sorriso a Pan, inclinando lievemente il viso nella sua direzione. «Credo che un incontro con mia nonna sarebbe interessante… anche se è piuttosto particolare. Perciò a tuo rischio e pericolo.» Lo avvertì, ironica. In passato, aveva tenuto le sue conoscenze – e le sue fiamme– il più lontano possibile dalla sua famiglia. Non che se ne vergognasse, semplicemente era consapevole che le loro dinamiche erano più complicate e “particolari” rispetto a quelle a cui la maggior parte delle persone erano abituate. Senza contare che i suoi fratelli, così come nonna Edith, sapevano risultare particolarmente intimidatori nei confronti degli individui di sesso maschile – i primi per un vero e proprio istinto di protezione, la seconda per il dono (o la convinzione?) di poter comprendere con una sola occhiata se si trattasse di qualcuno spiritualmente affine a lei o meno. Non sapeva quale opinione Edith potesse avere di Pan – o quali vibrazioni il ragazzo emanasse – ma era certa che l’avrebbe colpita positivamente. Chissà perché poi si era soffermata su quel pensiero, anche se doveva ammettere almeno a sé stessa che le avrebbe fatto piacere rivederlo. C’era qualcosa di particolare in lui, un che di indefinibile che l’attirava come la luce per le falene.
    Dalla passerella, la vista del mare si aprì dinanzi a loro come un limpido dipinto e, prima che Tori potesse fare qualosa per fermarli, Pan e Lexi stavano già correndo verso le deboli onde che lambivano la riva, schizzandosi con l’acqua gelata ed incitandola a raggiungerli. Il primo impatto fu tutt’altro che piacevole, ma ben presto si lasciò contagiare dall’ilarità generale, sentendosi particolarmente a suo agio in quell’istante, cullata e protetta dai piacevoli raggi del sole, dal rumore delle onde in sottofondo e dalle risate di Lexi, frammentate dal rumore degli schizzi d’acqua. Era un momento come tanti, un frammento di vita quotidiana. Eppure, al contempo, era perfetto. Tori ne avrebbe fatto tesoro per sempre e, ne era certa, anche Lexi l’avrebbe ricordata a lungo prima di sostituirla con qualche ricordo migliore, nella sua ingenuità infantile.
    Nell’istante in cui Tori si concentrò su Pan, avvicinandosi lentamente con l’intento di spingerlo in acqua, divenne improvvisamente più attenta alla sua presenza. Sin dal principio si era accorta di quanto fosse attraente – non che fosse possibile non notarlo, tra il sorriso smagliante, i penetranti occhi chiari ed il fisico robusto e scolpito – ma lì, con le onde che lambivano le gambe di entrambi, lasciando un leggero strato di salsedine sulla pelle nuda e calda, la sua presenza aveva un peso diverso e quella breve distanza tra i loro corpi emanava un vago sentore di intimità. Era qualcosa di bizzarro, che non le era mai capitato prima d’ora.
    Posando le mani sul suo torace, avvertì la solidità del suo corpo, i muscoli allenati nascosti sotto la pelle liscia e incredibilmente calda, a dispetto delle innumerevoli goccioline di acqua gelida che, ostinate, continuavano a scivolare verso il basso. Come aveva previsto, la sua spinta fu troppo debole per farlo inciampare e solo con l’aiuto di Lexi – nonché una perfetta recita da parte di Pan – riuscirono ad avere la meglio quel tanto che bastava per spingerlo in acqua. Come lo vide immergersi, Tori cessò di spingere, lasciandolo libero di ritornare in superficie senza alcuna fatica, qual’ora avesse voluto. Tentò di contenere anche Lexi, che continuava ad agitarsi attorno a Pan e, quando il ragazzo riemerse, si volse istintivamente verso la spiaggia, distratta dal comportamento allarmato di Monk. «Tutto be-» Iniziò a chiedere, prima che Pan la cogliesse alla sprovvista, sollevandola senza alcuna fatica. Dimenandosi istintivamente sino a quando non riuscì ad aggrappars meglio a lui, Victorianne scoppiò a ridere. Erano anni che non le capitava di essere sollevata a quel modo, forse sin dalla prima adolescenza, quando il rapporto con i suoi fratelli era inevitabilmente cambiato. «Mi servono cinque minuti di recupero... Mi avete distrutto!» Con i piedi nuovamente immersi nella sabbia, riportò lo sguardo su Lexi, facendole un piccolo cenno con il capo. «Inizia a scegliere uno spiazzo e a lavorare sulle fondamenta. Noi arriviamo tra poco.» Le disse, dandole un leggero buffetto sulla spalla, prima che la bambina si allontanasse di qualche metro, iniziando a scavare nella sabbia. Tori si accomodò accanto a Lucien, immergendo le dita nella sabbia fina. La sua domanda la colse alla sprovvista. «Sì.» Rispose, accompagnando l’affermazione con un piccolo cenno del capo. Era una delle poche cose che ricordava con certezza di aver studiato a scuola, forse perché in un certo senso la trovava adatta a sé stessa, ad alcune sfaccettature della sua esistenza. Ascoltò ciò che l’altro aveva da dire senza interromperlo, mantenendo lo sguardo fisso sull’orizzonte di fronte ad entrambi. Non avrebbe saputo dire perché ma le sembrava più educato non fissarlo, lasciargli la possibilità di rifugiarsi in una parvenza di intimità durante quell’inaspettata confessione. Non voleva che si sentisse a disagio o in alcun modo giudicato. Sulle sue labbra era già presente il sorriso quando infine si voltò, avvertendo che quel profondo momento di introspezione era svanito, in favore di pensieri meno malinconici. «Riguardo quello che hai detto della tua famiglia prima, lo capisco. Neanche la mia ha mai vissuto secondo le regole o le convenzioni della società.» Rimase stupita, sorpresa. Era certa che in pochi potessero davvero comprendere cosa significava crescere in una famiglia come la sua. In passato, altre persone avevano detto di capirla eppure, chissà perché, Tori aveva sempre avuto la sensazione che non fosse così. Con Pan fu diverso, ancor prima che lui le raccontasse la sua storia. Forse glielo lesse negli occhi, nello sguardo limpido e sincero, o nel modo in cui ne parlava, senza presunzione alcuna, quasi stesse raccontando una fiaba. Ascoltarlo era piacevole, a tal punto che Tori quasi si incantò, rivedendo nella propria mente immagini di tutto ciò che le stava narrando. Doveva essere stata una vita particolare, unica. E non sempre facile. «Se potessi tornare indietro nel tempo e scegliere: cambieresti il tuo passato o la tua famiglia?» Quella domanda interruppe bruscamente il racconto. Tori ci riflettè per qualche istante, lo sguardo fisso su Lexi in lontananza. «Non saprei. Qualunque cosa scegliessi finirebbe per influire su ciò che sono ora. Sia la mia famiglia che il mio passato mi hanno portato sino a qui. Cambiarli avrebbe delle conseguenze sul presente… su tutto ciò che ho.» Non ebbe bisogno di specificarlo, bastò un leggero cenno del capo in direzione di Lexi. Forse avrebbe semplicemente desiderato meno complicazioni, magari un reddito più alto. «Immagino comunque che per te sia diverso. Hai Lexi, la tua personale famiglia a cui pensare. Vi conosco da due ore è assurdo, ma una bambina così eccezionale può essere stata partorita solamente da una madre altrettanto speciale.» Le parole di Lucien fecero da eco ai suoi pensieri. Tori arrossì appena, risollevando lo sguardo su di lui con un leggero sorriso. Si sentiva strana, emozionata e stupidamente impacciata. Quelle parole le facevano piacere eppure non sapeva cosa dire, né se davvero presupponevano una risposta. «Così speciale che avrei una gran voglia di baciarti.» Bastarono quelle poche parole a farle battere il cuore più velocemente. Nei suoi occhi si propagò una luce sorpresa, prima che Tori ne registrasse realmente il significato. Ridacchiò, nervosa. In una situazione differente, la prospettiva era più che allettante ma in quel momento si sentiva un’adolescente alle prese con la prima stupida infatuazione. Alzò lo sguardo, tentando di aggrapparsi ad una risposta spiritosa, ma prima che potesse parlare la suoneria del cellulare, proveniente dalla borsa alle sue spalle, li interruppe. Tori si passò una mano tra i capelli, imbarazzata. «Scusami un attimo…» Mormorò, allungandosi e ripescando lo smartphone. Il nome sul display recitava “Giudice supremo”. Notando l’orario in alto a destra, Tori soffocò un sospiro. Sapeva a che cosa sarebbe andata incontro rispondendo. Dopo un istante di decisione, deviò la chiamata. Si voltò verso Pan, nuovamente con il sorriso sulle labbra. «Mi dispiace ma dobbiamo iniziare ad andare. Non mi ero accorta fosse così tardi. A casa ci aspettano e beh… sai anche tu come sono le nonne.» Scherzò, alzandosi e spolverandosi dalla sabbia. Gli porse le mani, per aiutarlo a fare altrettanto. «Lexi, inizia a vestirti. Nonna Edith ci aspetta.» La avvisò, porgendole i vestiti e iniziando ad indossare i propri. Quando ebbero finito si volse verso Pan, sistemandosi la borsa a tracolla sulla spalla. Allargò leggermente le braccia, senza sapere bene cosa dire. «Spero che vi siate divertiti. Per tornare verso il centro della città vi basterà seguire le indicazioni.» Fece un cenno con il capo in direzione dei cartelli posizionati lungo la passerella, mentre Lexi salutava Monk con affettuose carezze sulla testolina pelosa. Tori esitò un istante e rovistò nella tasca esterna della borsa, ripescando un bigliettino che recitava i recapiti del bazar. «Io lavoro qui. E quando non ci sono io c’è mia nonna, perciò… se ti va di passare.» Scrollò le spalle, lasciandogli il bigliettino e richiamando Lexi all’ordine. La bambina si gettò tra le braccia di Pan. «Grazie ancora per la carta. La metterò sul comodino!» Promise, lasciandosi arruffare i capelli, prima di voltarsi e iniziare a correre verso la scalinata che conduceva al marciapiede, anticipandoli. Quando anche loro giunsero in cima alle scale, Tori rivolse un ultimo buffetto a Monk. Si sporse verso Pan e gli depositò un piccolo bacio sulla guancia, sollevandosi sulla punta dei piedi. Quando si ritrasse, Lexi li aveva raggiunti. «Allora alla prossima.» Li salutò, tendendo una mano a Lexi che la bambina afferrò prontamente. «E grazie per il fiore.» Aggiunse, mentre ormai si incamminavano verso casa, nella direzione opposta rispetto al centro, volgendo loro un ultimo saluto con la mano, sullo sfondo dei primi raggi rosei del tramonto.

    - terminata -

     
    .
6 replies since 15/4/2018, 22:35   382 views
  Share  
.
Top
Top