A walking study in demonology

Lena x Cash

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    La suddivisione di ciò che poteva essere definito come socialmente accettabile e l’opposto era sottilmente labile. Talmente tanto labile che è quasi impossibile rendersi realmente conto di quando le due definizioni si mischiassero tra loro e assumessero i confini indefiniti di un lunedì sera in balia delle incertezze della programmazione televisiva.
    Partecipare al complesso intrico sociale di un centro abitativo più piccolo di Oslo, ma non meno vivace era complicato per chi, come lei, aveva la stessa verve di un essere ameboide, dopo l’intera giornata passata al lavoro. L’essere all’interno di qualcosa, gruppo più o meno eterogeneo, e la consueta aggregazione, o all’Egon o al Bolgen o verso la spiaggia notturna, indicavano la semplice ritualità che aveva contraddistinto i sei mesi passati in compagnia dei due simpatici bifolchi con i quali condivideva casa. Almeno le serate libere dai turni al Utgards o a quelle che a cui aveva deciso deliberatamente di prendere parte, genericamente in disparte, ancora assorbita al lunghissimo processo di ambientamento alla faunistica locale. Non apparteneva pienamente alla definizione alla definizione aristotelica della socievolezza umana, anzi spesso (per non dire sempre) era la razionalità ad abbondare nelle sinapsi norvegesi, assieme a una grandissima dose di comunicazione carente da renderla davvero l’animo delle feste. Ovviamente.
    A quanto pareva, poi, passare la serata della vigilia del giorno di riposo a sbocconcellare avanzi di pollo alle mandorle, a quanto pareva, non rientrava nella categoria del socialmente accettabile. Affatto.
    Lena non era un essere abitudinario, quando voleva, ma la sua insonnia, il lavoro (i lavori), la rendevano reattiva come una simpatica novantottenne in attesa dell’iniezione letale. O della chiamata del Signore.
    La sagoma di Jonas, uno dei due coinquilini, si era frapposta tra lo schermo della televisione sintonizzata e la figura della Næss, accucciata sul vecchio divano e recante tra le mani la confezione bianca del take-away cinese.
    -Se è per l’affitto giuro che appena mi pagano ti do tutti i soldi- avrebbe asserito prima che l’altro avesse potuto anche pronunciare la minima sillaba. Mento alzato, telecomando nella mano libera e sopracciglio alzato accentuarono la mimica quasi perfetta della parte di colei che era stata interrotta nella sua attività definibile come riposo, ma interpretabile come cazzeggio. Il battito di ciglia attonito che seguì l’affermazione successiva ultimò l’espressione dipinta sul volto della ventiseienne, su cui si poteva scorgere il mix contrastante del “perché a me” e l’irritazione dei sui non-piani stroncati sul nascere.
    -Ah, tra parentesi, ci sarà anche Eskild. La scorsa volta ha chiesto perché non sei venuta… cioè ha rotto le palle tutta la sera.- il ragazzo, riacquistata di nuovo una posizione decente (ossia abbastanza lontano da lei da non farle alzare la testa per guardarlo negli occhi) verso la cucina, ultimò il discorso iniziato: non solo l’invito all’Egon, od obbligo a non sembrare una mummia segregata in casa, si estendeva anche a lei, ma anche Eskild, che si stava impegnando ad evitare vista l’insistenza di Jonas a combinarli in non si sapeva bene quali piani e l’espressione, perlopiù assente, che assumeva il ragazzo ogni volta che si ritrovava viso a viso con la natia di Lillehammer. La missione del coabitante dell’appartamento era forse di incollare assieme, con la stessa grazia di un bambino che scopre per la prima volta l’uso della colla vinilica, due cuori spezzati da altrettante relazioni fallimentari. Ardita, si doveva dire, la scelta di prendere proprio lei a campione di questo raffazzonato esperimento per cuori solitari. Ma entrambi, anzi tutti e tre, sapevano che l’unico risultato sarebbe stato solamente un due di picche.
    Il paio di iridi grigio-verdi ruotò drammaticamente verso l’alto, mentre con un colpo di reni la minuta fisicità di Lena si innalzava dalla superficie cedevole del divano per ciabattare, come una novantenne che si rispetti, verso la sua camera.

    ***



    -Una Tennent’s, per favore- disse priva di qualsivoglia flemma comunicante urgenza che non aveva. Un cenno del mento in direzione del cameriere furono il seguito della richiesta espressa in tono neutro, assieme allo scambio di bottiglia e kroner avvenuto con efficiente velocità. Il pub era vivibile quella sera: la concentrazione della clientela non era minimamente paragonabile al week-end, ai flutti del sabato sera e alla ressa del venerdì, garantendo così che lo spazio vitale della freelancer non fosse dannatamente compromesso da sconosciuti con l’ipa locale in mano. Sebbene fosse lì da quasi mezzo anno, ancora non riusciva bene ad inquadrare i gusti e i sottintesi della popolazione di Besaid, che come in una grande famiglia (forse troppo) tutti i membri si conoscevano tra loro. Lo studio delle meccaniche aliene, che le avvenivano proprio sotto al naso, pareva non arrestarsi mai: tra l’isolamento creato dall’essere ancora una forestiera, ancora nel suo bozzolo, e la curiosità intrinseca data dall’essere, effettivamente, anche lei un membro attivo del vivere civile rappresentavano un dualismo particolare, arricchito dalla conoscenza di cosa veramente Besaid ti rendesse.
    I brevi sorsi della birra si alternavano all’ascolto passivo della conversazione della coppia di avventori seduti a due sgabelli più in là unita alla musica soffusa offerta dal jukebox, il cui ritmo era seguito a punta di vans: allontanatasi dalla cricca principale al tavolo da biliardo, Lena era scivolata verso il bancone, lasciata la stecca, alla ricerca di nettare liquido per scampare ai tentativi di abbordaggio di Eskild e l’invadenza di Jonas. Appoggiò il gomito coperto
    Certo che ad illudersi, Lena, era stata eccezionalmente brava. La caduta di ingenuità, una delle pochissime nella sua cinica vita, non aveva considerato il fatto che l’assenza della sua presenza invisibile sarebbe stata presto notata. Da Eskild poi.
    Il capo voltatosi indietro cristallizzò la propria espressione nella solita maschera neutra, mentre la materia cerebrale si preparava al solito diniego da servire con la massima morbidezza possibile. L’ennesimo sorso, questa volta più lungo, venne mandato giù lungo il canale esofageo. La contrazione della laringe seguì il poggiare definivo della bottiglia sul bancone. Il balbettio neonato del ragazzo, che cercava di formare un discorso coerente (pareva proprio volesse da accendere) venne subito interrotto dallo scivolare stizzito sulla voce di Chris Martin in diffusione. E già un ragazzo accoppiato per forza era abbastanza.
    -Cristo, è la quarta volta che mettono Yellow.- accennò, quasi infastidita, a bassa voce. Fastidio anomalo perlomeno per i suoi standard.
    Era forse troppo diretta o elusiva. Stronza o anche figa di legno per i più audaci dei passanti, ma non sapeva come dirgli che quelle di Jonas su di loro erano grandissime stronzate. Maniche del largo pullover color mattone dallo scollo a V alzate fino al gomito, jeans strappati fasciavano la figura che stava macinando i pochi metri che la separavano dall’oggetto (o forse rottame).
    L’unica persona che : troppo simile a un possibile fan di Marilyn Manson, che a uno che passava le serate a piangere la sua ex ascoltando playlist su Spotify. Forse.
    L’apparenza poteva anche essere una sottile cortina ingannatrice, fallace sotto molti aspetti: ma la prima impressione non suggeriva nient’altro a Lena che non fosse per scagionare il giovane dall’attentato alle sue orecchie e un probabile membro di qualche setta che sacrificava le giovani troppo sardoniche come lei.
    -Non credo sia stato tu a mettere i Coldplay.- il volto fermo nella sua neutralità, tranne che per un invisibile guizzo ironico negli occhi, si diresse verso il goth (o aspirante tale) alzando un poco la testa per catturare il divario d’altezza che sussisteva tra i due. La voce, non prima di una sottile punta ironica, si spense subito dopo: la mano infilata in tasca andò alla ricerca di qualche spicciolo per far tacere le casse del dispositivo, per far sostituire la melodia con un’altra. Più decente, si sperava.
    Certo la scusa che aveva usato per allontanarsi dal bancone faceva acqua da tutte le parti, così come l’approccio con l’uomo in nero. Mica doveva farci amicizia, mh.
    -Vuoi favorire?- avrebbe pronunciato, non prima di premere il numero 33 (troppo tardi per qualsiasi richiesta d, forse la più passabile tra il mix di blast from the past dalle tinte pop: Celebrity Skin delle Hole.
     
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    Parigi, 20 Dicembre 2012



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    Arielle non aveva fatto altro che dirgli che si stava prendendo gioco di lei, forse perchè provenivano da due scene differenti, lei dall'elité francese, lui un goth della periferia di Londra, e quindi qualcuno doveva averle inculcato quei pregiudizi sull'impossibilità dell'incontro di due mondi diametralmente opposti. Non aveva scelto lui di perdere la testa per lei, era successo e basta. E mentre le vedeva colare quelle lacrime, il desiderio di baciarla fu più forte di lui: così lo fece, congiunse le loro labbra, zittendola per un secondo, cercando di fermare quelle lacrime che avevano rigato le sue guance lisce e morbide.
    Quando i loro occhi si incontrarono nuovamente, non notò alcuna differenza, come lei gli aveva voluto sottolineare: lei era soltanto umana, sotto le sue dita era calda, viva e profumava come quei fiori dei suoi lontani ricordi a Londra.
    Non sapeva più che cosa doveva fare per farle capire che le sue intenzioni erano serie e che non stava giocando con i suoi sentimenti, e che se solo glielo avesse concesso, avrebbe fatto funzionare quel rapporto.
    Sorrise lievemente nel notare il suo sguardo spaesato, mentre si passava la punta della lingua sulle labbra, come per trattenere il sapore di quella bocca rossa, ormai sbavata di un rossetto che gli era rimasto addosso. Arrête de m'appeler comme ça! Il goth guy si mordicchiò l'anellino sinistro, conficcato nel buco apposito del labbro, vittorioso.
    Altrimenti? La sfidò, punzecchiandole i fianchi che disegnavano una curva perfetta su quel corpo minuto: Nana scorbutica.
    Sei tu che sei troppo alto. La sarta premette l'indice sul naso del ragazzo e lui roteò gli occhi, facendole il verso con la mano leggermente a paletta. Lei rise, divertita da quella scena.
    Allora sai anche sorridere quando vuoi? Vedi? Sei molto più bella quando lo fai, invece di essere tutta imbronciata, poi ti vengono le rughe. Subito, la ragazza partì a mollare schiaffi e pugni sul petto e sulle braccia del moro che non tentò nemmeno di levarsi o parare: era inutile, aveva la forza di un tiratore di coriandoli, non gli avrebbe fatto male nemmeno se l'avesse voluto.


    Besaid, Oggi



    Quel pub stava diventando una tappa fissa, oramai, come era diventato un suo chiodo fisso alcol e droghe, ma in quel preciso istante era incredibilmente sobrio e pulito. La setta lo aveva reclutato, erano passate almeno due settimane da quel giorno, e ora loro volevano metterlo alla prova. Doveva cercare di reclutare qualche elemento, ed era quello che voleva fare, per svagarsi e dimenticare Arielle come faceva ogni santo giorno, ma quella sera aveva deciso di tentare la via della normalità, anche se in effetti normalità non era proprio il termine esatto.
    Non appena mise piede nel locale, fu invaso da Yellow dei Coldplay e gli salì l'istinto omicida perchè odiava veramente quel dannatissimo gruppo. Chiuse gli occhi e fece un lungo respiro, prima di entrare completamente dalla porta. Si portò il vaporizzatore alle labbra e si avviò verso il bancone: con la coda dell'occhio, osservò i presenti, come un avvoltoio in attesa di qualche cadavere da sbudellare.
    Vi erano i ciccioni camionisti diretti a nord, a fare rifornimento di merluzzi, le pettegole del venerdì sera, ragazzini troppo ubriachi per intendere e volere –perfette prede ma non troppo congeniali per l'appetito di Cash–, altri festaioli che confabulavano su varie feste dove potersi drogare con nuovi eccipienti allucinogeni...
    Cristo, è la quarta volta che mettono Yellow. Lo sguardo del goth guy venne catturato dalla presenza di una bruna che aveva appena espresso il più totale disappunto: la guardò senza alcuna espressività particolare, fino a quando non gli si dipinse sul viso un sorriso compiaciuto. Aveva trovato la sua preda, quella che avrebbe dovuto portare nella setta. Bingo
    Fece un passo verso il juke box, restando chino a guardare quale poteva essere una canzone decente senza quello strazio di voce che aveva Chris Martin –ma davvero qualcuno la considerava musica questa?–, notando l'unica speranza di poter alleviare i suoi poveri nervi ormai sbrindellati da quella nenia con Man in a Box degli Alice in Chains. Invece, come aveva sospettato dalla voce della bionda infastidita, fu lei stessa a prendere la decisione, facendo risuonare nelle casse Celebrity Skin degli Hole. Cristo santo, quasi rimpianse i Coldplay: non la sopportava quella puttana di Courtney Love, il suo amore adolescenziale per i Nirvana stava cercando di non ribellarsi. Non credo sia stato tu a mettere i Coldplay.
    Il giovane alzò un sopracciglio, come a voler denotare del sarcasmo: Sei perspicace, non lo avrei mai detto. Le disse con ironia tagliente: Ti chiamano Capitan Ovvio, per caso? Certo, la simpatia di Cash se ne era andata a quel paese quando la sua ex fidanzata lo aveva mollato, di punto in bianco, una mattina con un biglietto. Da lì, la sua discesa verso il lato oscuro –Luke sono tuo padre– era stato inevitabile.
    Vuoi favorire?
    Avrei preferito gli Alice in Chains piuttosto che questa vecchia puttana. Disse liberamente, portandosi il black russian precedentemente ordinato al bancone alle labbra. Lo disse con una tale facilità che nemmeno si sorprese se la ragazza si sarebbe offesa o meno. Doveva reclutarla, non leccarle il culo.

    Edited by type 0 negative - 2/5/2018, 18:08
     
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    La voce roca della cantante delle Hole non ci mise molto a creare un sottofondo passabile all’Egon. Beh, significava che, sebbene l’impianto acustico stesse per collassare su se stesso, quel coso (non poteva chiamarlo diversamente) funzionava ancora per qualche assurdo miracolo.
    La prima impressione nei confronti del giovane uomo, più simile a primo acchito alle sembianze corvine che a quelle umanoidi dello standard del luogo, si rivelò del tutto corretta, se non addirittura perfettamente calzante all’idea che si era potuta costruire nel suo anfratto mentale, giusto il tempo di compiere i pochi passi che la distanziavano dal vecchio, vecchissimo, reperto tecnologico presente all’Egon dal bancone. La perfetta inscrutabilità del volto della venticinquenne espresse solo nell’alzata pregna di scetticismo, e senza la sfumatura irritata che si avvicinava solo a quella nei confronti del pezzo precedente, alla risposta immediata del ragazzo goth. Agli occhi esterni non sarebbe potuto apparire altro come ovvio moto di fastidio, facilmente represso dalle iridi grigio-verdi, ancora concentrate su altro, rispetto alla figura dell’allampanato in nero.
    Il trattenuto a punta di lingua “scommetto che invece tu sei Mr. Simpatia” non venne espresso, per solo tranne che con un pensiero fugace delle sinapsi norvegesi, già atte a sbrogliare l’intrico di Eskild-bancone o tizio strano-jukebox.
    Con ancora il volto rivolto alla schiera di pulsanti e la mano appoggiata alla superficie di rivestimento ligneo del jukebox, sbattendo appena i polpastrelli a ritmo, prima di ruotare l’ovale del viso verso la figura ben poco nota. Trittico di piercing ordinatamente disposti sul labbro inferiore, tatuaggi sulle parti del corpo rese visibili dal vestiario, trucco scuro su base cadaverica, occhi scuri quasi come i capelli, tutti dettagli generici già visti, che ora apparivano inseriti precisamente nell’insieme unitario e altrettanto singolari. Lo chiamava occhio da fotografa questa piccola attenzione per i dettagli, mentre in verità poteva considerarsi solo come approfondita, fin troppo, osservazione del micro-cosmo circondante e dei suoi abitanti. Di sicuro sarebbe stato riconoscibile tra molti, almeno a Besaid. E, soprattutto, facilmente evitabile se si fosse trattata di una compagnia fin troppo molesta. I presagi, almeno, sembravano indicare questo alla norvegese, con ancora il sopracciglio lievemente alzato.
    Lena non intendeva certo quello per una serata all’insegna della socialità, anzi non aveva mai inteso, per se stessa, una serata all’insegna della socialità, lei che era stata sbattuta all’Egon per giocare a biliardo e bere birra in solitaria. Una scelta curiosa quella della Næss, curiosa e quasi imposta, che denotava quasi l’ironia di essersi trovata nella compagnia del goth guy, nel tentativo di scivolare via da un colloquio forzato con l’amico-caso disperato del suo coinquilino. Che poteva pretendere poi, era in un pub circondata da gente.
    Scegliere il silenzio, poi, non era stata la strategia vincente, almeno per non sembrare un’idiota, visto che la pietra miliare di quella presunta conversazione l’aveva scagliata proprio lei. Si poteva dire che avesse esordito come un elefante in una cristalleria.
    -L’anima delle feste.- si ritrovò a sillabare silenziosa e sardonica, volto di marmo ancora perfettamente intatto. E meno male che voleva evitare casini o adottare la tecnica. Beh, aveva sempre una coerenza, e forse una maschera d’ironia (altresì nota come faccia tosta) non troppo invidiabile, da mantenere. Una ciocca corta venne portata dietro l’orecchio, mentre i polpastrelli infilati nella tasca dei jeans estrassero un paio di corone, non sufficienti però per le 10 necessarie per cambiare brano. Ma che peccato.
    -Credo ci dovremmo accontentare.- asserì alzando appena le spalle. Di noi in quel momento, nella frase appena pronunciata, non c’era un bel nulla, se non l’implicito messaggio che chi, in quel momento, avrebbe proprio dovuto accontentarsi era solamente lui. Che ci facesse ancora lì, ferma davanti al vecchio reperto tecnologico, era ancora un mistero, che si risolveva nella speranza che fosse l’altro a levarsi di torno prima di lei.
    -Io trovo quella vecchia puttana apprezzabile, come gli Alice in Chains… ah, e preferisco Sea of Sorrow-
    L’individuato Man in the Box, sfuggito nella marea di Justin Timberlake e gruppi anni 00’ schiacciati dalla pressa del tempo e dell’anonimato, si lasciò sfuggire un rapido e accennato alzarsi di ambedue le sopracciglia, come se si fosse accorta di una svista a cui avrebbe potuto rimediare, ma che era troppo tardi per farlo. Avrebbe potuto, ovviamente, ma non l’avrebbe fatto. Solo l’occhiata in tralice delle iridi metalliche del black russian che veniva scolato giù chiuse il discorso di Lena, abbastanza convinta che fosse finito così. Indovinare che cos’altro avrebbe avuto da dirle, forse niente (ed era probabile), non era ancora nelle sue competenze, ma sentiva la spinta remota del cervello farsi avanti nell’ascoltare (e ignorare) il successivo ribattere del losco figuro in nero, che di losco aveva solo il vaporizzatore stretto in mano. Un’altra cosa premeva la mente della mora: Cristo, aveva dimenticato la sua birra al bancone.
     
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    Non gli era mai piaciuta Courtney, in realtà: pensava da anni che fosse lei la vera responsabile della morte di Kurt e non si sarebbe nemmeno sorpreso se avesse confermato che era stata lei l'assassina. Suicidio un cazzo.
    Comunque, la giovane che gli aveva rivolto la parola non poteva sapere che cosa ci celasse sotto la superficie: in effetti, tutti credevano di poterlo capire, leggere nel profondo, ma il problema era che appena scoperto un piccolo particolare del goth guy, spuntavano molteplici aspetti nascosti sino ad allora. La verità era che Cash era un essere imprevedibile: riusciva ad essere calmo come un laghetto o pericoloso come un mare in tempesta.
    Comunque, era certo di averla scossa, rivolgendole un commento piuttosto pungente: non era di certo un leccaculo, né voleva essere gentile a tutti i costi, e poi era stata lei a rivolgergli la parola, e quasi sicuramente era partita col giudicarlo per il suo aspetto, quindi #noregrets.
    Era abituato ad essere osservato, giudicato, disprezzato, quindi anche quando lo osservò con aria critica, non si scompose: rimase lì, ritto, a ricambiare il suo sguardo, lui, che era più freddo del ghiaccio.
    Per quello che poteva capire, quella che aveva davanti doveva considerarsi una specie di tizia finto-tosta che pensava di essere abbastanza emancipata e dura da potersi accaparrare il diritto di fare la stronza con chi le girava. Beh, sorry not sorry, Cash non glielo avrebbe permesso: non aveva più la pazienza di una volta, e a dirla tutta, nemmeno la socievolezza.
    L’anima delle feste. No, quello non lo era mai stato nemmeno nel suo periodo più felice, quindi quella punta di ironia non gli fece né caldo né freddo; anzi, non valeva la pena combattere guerre d'intelligenza contro gente disarmata. Si portò il vaporizzatore alle labbra e aspirò , rilasciando una piccola cortina di fumo. Credo ci dovremmo accontentare
    Non appena si fu spostata da quel jukebox, infilò una moneta e digitò il numero 152, senza nemmeno aspettare che quella nenia con una donna che manco sapeva cantare finisse. Nessuno ci fece caso, e se avessero contestato, avrebbe dato fuoco al locale. Come avevamo già detto: zero pazienza. Io non mi accontento mai. Chi lo fa, probabilmente vive una vita a metà. E dalle casse risuonò Nutshell degli Alice in Chains.
    Io trovo quella vecchia puttana apprezzabile, come gli Alice in Chains… ah, e preferisco Sea of Sorrow
    Cash roteò gli occhi e posò lo sguardo su di lei, cercando di capire a che gioco stava giocando: Mh, la cosa dovrebbe interessarmi? Le chiese con tono serio, distogliendo successivamente lo sguardo per osservare l'ambiente, notando i due tizi al bancone che stavano fissandoli, increduli. Uno sembrava anche più agitato. Ora capisco: ti stai nascondendo dal tipo ansioso con la faccio da caso umano? Coraggioso.
    Si portò il Black Russian alle labbra, sorseggiando tranquillamente il cocktail, senza nemmeno chiedersi come avrebbe reagito la ragazza. Pff, fanculo anche il reclutamento, ne aveva abbastanza di sta merda. Non dirmi che quella birra è tua. Le disse alzando leggermente il labbro superiore in una smorfia di disappunto. Come faceva ad aver fatto un errore così grossolano? Beh, non doveva essere molto sveglia.
     
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    La nuvola di vapore acqueo fece alzare appena il naso della Næss in direzione della fumata bianca,alla habemus papa, che si disperdeva su per il soffitto del locale. Il volto marmoreo rimase ancora fisso sullo spilungone goth alto quasi due metri con la solita verve contagiosa, quasi come quella del suo interlocutore. Se avesse potuto e definito l’entità di quell’osservazione non avrebbe certamente scelto critico, ma assolutamente neutrale e quasi investigativo, come l’atteggiamento oculato che aveva e stava adottando, come al solito, la venticinquenne dinnanzi a qualcuno di così tanto particolare, come tutti gli abitanti in quel posto dimenticato dal mondo. E così tanto sarcastico.
    I programmi rivoluzionati per la serata erano dunque diventati: pensare di parlare con uno sconosciuto del presunto suicidio (o omicidio) di Kurt Cobain. O della scena musicale anni ‘90. O di Courtney Love o della presunta colpevolezza nel primo caso (che tanto il discorso era facilmente intuibile).
    Insomma, niente di programmato, tutto improvvisato. Come se Lena, nella pantomima quotidiana seguisse un copione, ma da profonda asociale (e forse era solo quello che accomunava i due) analizzatrice silenziosa preferiva lo starter pack standard che la faceva sempre finire a fissare il vuoto con una birra in mano. Eclatante.
    Come quella sera, ovviamente, ma le iridi verde sbiadito avevano deciso di individuare nell’insieme eterogeneo il profondo errore di un jukebox che trasmetteva i Coldplay.
    Doveva ammettere a se stessa che lo sguardo nero onice, assolutamente granitico, avrebbe potuto quasi metterla in soggezione. Quasi, appunto. Non fosse stato per l’atteggiamento di difensivo distacco e la sottile vena passivo aggressiva intrinseca, avrebbe temuto di più la figura del londinese, rispetto a quanto facesse in quel momento. E forse avrebbe fatto pure bene.
    Fargli sbattere accidentalmente la testa contro lo spigolo del bancone non era possibile, come non era possibile che lei entrasse nella sua testa per auto-schiaffeggiare il volto pallido. Ma non era così interessante come prospettiva, visto il mal di testa che l’avrebbe attesa se mai avesse voluto osare a tanto.
    La sua particolarità, avrebbe dovuto spiegare, era quella di perdere i sensi in luoghi a caso e in modo completamente random. Bella fortuna del cazzo, eh.
    Osservò passivamente, quasi come si trovasse a mille miglia di distanza, l’uomo digitare il trio di cifre corrispondenti, ancora assorta nel silenzioso rimuginare mentale con le mani affondate nelle tasche dei jeans. Poteva dire che la canzone le piaceva: non aveva smesso di tenere il ritmo, più sostenuto, con la punta della vans consunta. Beh, erano sempre gli Alice in Chains, dopotutto.
    -”Meglio vivere di rimorsi che di rimpianti”, è così che si dice, vero?- aggiunse, chiedendo con uno scatto di entrambe le sopracciglia in alto all’affermazione del moderno oltre-uomo, glissando sulla domanda (retorica) posta successivamente.
    Le aveva ricordato qualche cazzata detta dal suo ex citando Sid Vicious, o quanto le era stato riferito: vivere una vita sempre un passo oltre. Se dapprima aveva ammirato, più in maniera canzonatoria che in modo realmente partecipato, l’avere un atteggiamento così definito nei confronti della sua vita, aveva poi rimodulato il concetto nelle proprie sinapsi, traendone che aveva detto una grandissima cazzata, così come aveva fatto il goth guy quivi presente.
    La sottile arte dell’arrangiarsi in situazioni avverse o meno, pretendendo anche il minimo per restare a galla, alcune volte (se non sempre) era sufficiente per restare a galla, nella sua personalissima filosofia spiccia coltivata in quei sei mesi di convivenza con la povertà Besaid. Quanto potesse interessare al ragazzo con il vaporizzatore seguire la corrente per non annegare rientrava già nelle risposte scontate. Ergo: meno di niente. Ergo: rimase zitta.
    Perché ci stesse pesando aveva un che di masochista, togliendo tutto il lato curioso della situazione.
    -Quindi posso immaginare che tu non viva una vita a metà, detto questo- le parve di ribadire l’ovvio con quell’affermazione, ma non si trattene di spremere come un limone quella conversazione avanzare l’ennesimo puntiglioso dettaglio ovvio che avrebbe sancito il suo definitivo mandarla a farsi fottere, ma non che quello rappresentasse un vero impedimento per la norvegese.
    Il vero impedimento precedente, però, si era ripresentato alla porta delle due paia di occhi puntati sul bancone, ove facevano bella vista la “coppia coinquilino invadente” e “suo amico disperato da accoppiare”, notati velocemente, fin troppo, dall’altro. Non sapeva cosa le desse più fastidio della sua situazione: la sua situazione infelice, l’essere trattata da pivellina da qualcuno che poteva ascoltare i The Cure piangendo in camera sua o gli occhi da pesce lesso. Qualcuna di più compassionevole avrebbe accennato ai globi acquosi di qualche animaletto abbandonato sul ciglio della strada. La compassione, lei, quella sera non l’aveva proprio tenuta in considerazione. Perché adesso Lena, a quanto pareva, era anche un animale che mordeva una donna con il ciclo?, visto il sillabato eco mentale di Co-rag-gio-so che rimandava alle parole della figura dinoccolata in nero.
    -In verità è una coppia di poliziotti in incognito che ha paura che possa farmi esplodere in diretta- cercò di minimizzare, sarcastica (cosa che avrebbe fregato a tutti zero), prima di aggiungere in uno sconsolato scostarsi di ciocche castane.
    -Comunque, bingo. Ma più che coraggioso lo definirei proprio coglione- si sarebbe limitata a pronunciare senza tanto flemma, intanto che volto vagava senza particolari obiettivi per l’Egon.
    Non che Eskild gliene volesse, ma la semantica in quel caso era più che fondamentale. Lei non si sarebbe definita non ”poco sveglia”, ma solo altrettanto cogliona per il tanto affanno speso dalla sua materia cerebrale.
    Un’ultima precisazione si sarebbe spesa a favore della sua intelligenza mancante. Di certo non si aspettava che le venisse offerta un’altra birra.
    -Quella birra è la mia, sì. Se proprio vuoi aggiungerlo alla lista delle mie sfighe, fai pure-
     
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    Si erano rimasti ad osservare per quelli che sembrarono lunghissimi minuti: qualcuno avrebbe quasi potuto dire che avevano scoperto una nuova lingua basata sul solo contatto visivo, ma la realtà dei fatti è che si stavano studiando.
    Cash era rimasto lì, attendendo che l'alcol facesse il suo effetto, anche se nemmeno la nebbiolina solita che faceva capolino dopo svariati drink; invece, quella sera sembrava non dare alcun segno di vita.
    Le conversazioni che stavano prendendo piede le aveva affrontate numerose volte, quando era fumato o palesemente ubriaco, ma certi argomenti si potevano trattare quando si era appena diciottenni, non quando si sapeva la reale verità. Era palese, no?
    Si chiedeva cosa ci facesse una ragazza come quella senza una birra o un drink alcolico tra le mani in un pub? Chi diavolo entra in un pub e non beve? Era certamente una cosa assurda.
    Sarebbe anche potuta sembrare una tipa carina se non fosse sembrata così scialba, priva di ogni tipo di carisma secondo il goth che teneva i suoi occhi neri come il black russian che aveva tra le mani.
    La bevanda alcolica stava diventando calda, tra le sue mani, e dopo aver puntato le sue iridi sul liquido scuro, pian piano il fondo del bicchiere si ghiacciò quel tanto che gli bastò per raffreddare il drink.
    Meglio vivere di rimorsi che di rimpianti”, è così che si dice, vero? Lo sguardo del goth tornò su quello di lei, mentre l'angolo di un sopracciglio si levava verso l'alto quel tanto da donargli un'espressione incredula.
    Immagino che sì, si dica così... Già, tutto quello che aveva desiderato si era sgretolato come neve al sole. La cosa bella, l'unica rimastagli, era il possedere una sicurezza invidiabile. Non aveva alcun dubbio sulle sue capacità, ma se prima era una persona estremamente felice, ora sembrava essersi trasformato in un essere particolarmente cupo, spesso schivo, che rinnegava il contatto umano se non per sopperire a qualche stimolo.
    Quindi posso immaginare che tu non viva una vita a metà, detto questo
    Annuì lentamente, come se prima non lo avesse fatto intendere che sì, ciò che aveva immaginato era corretto: non si era mai chiesto se ci fossero dei limiti, tranne quando aveva incontrato Arielle. Arielle era stata un limite che aveva scelto di darsi. Arielle era stata il suo mondo. Ed ora quel legame era stato spezzato tanto quei limiti che lei gli aveva posto.
    Virato lo sguardo di qualche grado, notò i due fessi che dovevano essere con lei, visto come li guardavano insistentemente: uno gli parve il tizio più disperato del pianeta, l'altro il nerd segaiolo che si fa le seghe sugli otome della PSP. Come faceva a conoscere certe cose? Il suo ex batterista aveva una fissa per quelle cose ed era identico a quel tale.
    Alla battuta della ragazza, un lieve sorriso apparve sulle labbra del goth guy, mentre avvicinava il bicchiere alle labbra guarnite di metallo: Non sarebbero credibili nemmeno con le divise addosso. Però tu sì, come terrorista affiliata all'Isis potrei quasi crederci.
    Comunque, bingo. Ma più che coraggioso lo definirei proprio coglione
    Senza ritegno, Cash continuava a guardare i due tipi in maniera inquietante, senza staccare gli occhi di dosso da quei poveri coglioni.
    Quella birra è la mia, sì. Se proprio vuoi aggiungerlo alla lista delle mie sfighe, fai pure
    Stavolta fu un sorriso completo a farsi strada sul viso del cupo ragazzo dall'aria malvagia: un'idea malsana gli si era palesata nella mente.
    Ti va una scommessa? Io ti recupero la birra, ed in cambio tu mi fai un favore... Tranquilla, niente di sessuale, non sei il mio tipo... Però, posso esporti la cosa in un secondo momento.
     
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