Every sunset is an opportunity to reset.

Jude, Lena, Adam - imbrunire

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    La brezza marina accarezzava la pelle come una madre che si prendeva cura dei propri figli, con la medesima dolcezza di cui solo una donna con quel titolo poteva donare. Nonostante mancasse il sole a splendere nel cielo, ma fosse al contrario intrappolato tra nubi sparse ed individuabile solo a momenti, gruppi di cittadini si erano distribuiti lungo tutto il perimetro della spiaggia, intenti a fare costruzioni di sabbia, scambiare quattro chiacchiere e i più temerari avevano persino azzardato un tuffo nell'acqua scura. Il poliziotto rabbrividì al solo pensiero mentre con gli occhi dischiusi osservava il loro divertimento, silenzioso e con espressione vacua. Era già primavera inoltrata eppure Jude Mikkelsen non si era ancora recato alla spiaggia di Besaid. Per lui, che era un amante del mare, era una cosa davvero fuori luogo, tuttavia le indagini che stava conducendo circa quella sottospecie di setta formatasi nei quartieri bassi gli avevano sottratto troppo tempo perchè riuscisse a ritagliarsi qualche ora per recarsi in uno dei luoghi che preferiva della città. Non aveva scelto di trasferirsi a Besaid solo per la presenza del mare, tutt'altro, ma quello era stato senza dubbio uno dei fattori determinanti. Che fosse estate o inverno, la spiaggia suscitava in lui una tale attrattiva da rimanere per ore a contemplarne l'orizzonte. Per lui lo sciabordio dell'acqua era paragonabile al canto ipnotico di una sirena dalla coda opalescente, ne era attratto incondizionatamente. L’odore della salsedine gli penetrava nelle narici, al che chiuse gli occhi: era come aleggiare nell’aria, riusciva a vedere lo sconfinare del mare e poteva udire il morbido echeggio delle onde che si infrangevano sulla battigia. Il mare che bagnava la costa della cittadina non era quella massa d’acqua nella quale, avvicinandoti, avevi la possibilità di specchiarti, al contrario nella maggior parte dei casi era scura e torbida, e riusciva a rendere tetro l’intero paesaggio circostante, specialmente in quelle fredde notti in cui i raggi lunari colpivano l’assonnato paesaggio notturno. Era l'imbrunire, tecnicamente era tardi ma in quel periodo dell'anno il sole era solito calare nelle ore più impensabili e ora a tingere il cielo vi era un intenso rosso scarlatto. Sembrava sangue, un'infinita distesa poco più maestosa di quella presente in Shining in una delle parti più movimentate e agghiaccianti del film. Ancora vestito con gli abiti da lavoro (una camicia bianca con le maniche tirate fino ai gomiti, pantaloni su misura, cravatta allentata e giacca appesa al braccio con il distintivo che premeva contro la stoffa), aveva mangiato un take away d'asporto in un negozio di Chinatown, beandosi della compagnia di un collega e poi aveva deviato fino alla spiaggia. Non aveva fretta di tornare a casa, sua figlia Sophie era ospite da un'amica, e sentiva di aver bisogno di un pò di tempo in solitudine, per rimuginare sulla piega che aveva preso la sua vita in quel periodo.
    Anelava a quella spensieratezza di cui ormai non poteva più godere e di quel conforto del quale si stupiva quando si svegliava con sua moglie sdraiata dall'altra parte del letto, pronta ad accogliere un nuovo giorno assieme a lui e delle nuove responsabilità. Per certi aspetti, si era sempre considerato un Peter Pan incapace di crescere invece rimuginandoci un giorno, si era reso conto che il tempo era passato e che i suoi quarantadue anni li portava nello spirito tanto quanto nel fisico: piccoli solchi sulla pelle, qualche diottria in meno -anche se di norma portava gli occhiali soltanto per leggere- e altrettanta sapienza e maturità in più. Ne aveva fatte di cose da ragazzino, alcune impensabili, e ora altro non erano che un mero ricordo, offuscato dalle responsibilità in quanto padre e capo della Polizia di Besaid.
    Non riconobbe nessun volto tra quelli presenti sulla porzione di sabbia che aveva scelto, ma il suo interesse fu catturato dalla figura minuta (per lui) di una ragazza mora che se ne stava a contemplare l'acqua come si apprestava a fare a sua volta. A catturare il suo interesse fu lo sguardo perso che le ricordò il suo in quei momenti di contemplazioni. Lo considerava tipico delle persone profonde e che in qualche modo si sentivano molto vicini a quel mondo segreto, ma forse era solo una sua impressione.
    Calpestò la sabbia ancora tiepida finchè i suoi piedi, privi delle scarpe che teneva oscillanti in una mano, non si arrestarono di fianco a lei. Lo sguardo fisso sulla stessa distesa dorata. «I naufragi sono tutti opera tua, è l’uomo da te vinto, simile ad una goccia di pioggia, s’inabissa con un gorgoglio lamentoso. Senza tomba, senza bara, senza rintocco funebre, ignoto.» citò lentamente una poesia di George Byron risalente al 1812, una delle sue favorite in merito a quell'argomento. Le sue parole si mischiarono al rumore dell'acqua e quasi si persero, come prive di significato. Invece ne avevano e l'aveva spiegato numerose volte ai suoi studenti. «E' difficile resistere al richiamo del mare, non trovi?» domandò questa volta volgendo lo sguardo alla ragazza. Sperò che non pensasse che fosse uno di quegli uomini che andavano ricercando la compagnia di una ragazza più giovane, perché non era questo il suo fine. Lasciò scivolare le scarpe che caddero sulla sabbia emettendo un tondo sordo. Nell'altra mano, sul cui gomito era ancora incastrata la giacca, era incastrata la valigetta da lavoro. Abbandonò anche quella sulla sabbia e con pochi passi raggiunse il punto in cui le onde s'infrangevano sulla battigia e lasciò che i piedi fossero lambiti dall'acqua fresca. Aveva da poco inviato un messaggio al suo amico Adam per invitarlo ad unirsi a lui; il bosco dove risiedeva la sua abitazione non era molto lontano perciò avrebbe impiegato pochi minuti a raggiungerlo in macchina. Era da diverso tempo che non si vedevano, complici i rispettivi impegni lavorativi ed i casini che avevano costellato la vita del poliziotto in quel periodo.
    Nel tratto di strada che lo separava dalla Stazione di Polizia alla spiaggia aveva avuto modo di riflettere sulla propria situazione attuale e ora, vedendo quella moltitudine di cittadini che si beava del medesimo panorama, si era reso conto di essere in vena di fare conversazione, ma non era avvezzo ad importunare la gente o ad insistere affinché gli dessero corda, anche perché normalmente queste lo facevano di loro iniziativa e senza che glielo domandasse. Tanto meno era intenzionato a fare diversamente quel giorno, eppure una figura catturò la sua attenzione: una ragazza intenta a scattare fotografie alla distesa azzurrina. Vista l'attrezzatura di cui disponeva, poté supporre si trattasse di una fotografa professionista, o in sulla strada giusta per diventarlo. Era sempre stato affascinato da chi era in grado di catturare momenti ed emozioni mediante quel mezzo, lui al contrario era il tipico incapace che il più delle volte scattava fotografie sfuocate o troppo scure per poterne rimirare i dettagli. Sophie, la sua dolce piccola figlia, poteva vantare album fotografici decenti solo perchè la maggior parte degli scatti erano stati opera della sua ex moglie, o come avrebbe dovuto chiamare ormai Isil. Senza un motivo preciso, i suoi piedi immersi nella sabbia fine lo condussero vicino a quella figura femminile, cercando con lo sguardo di capire quale fosse il punto scelto dall'obiettivo della pesante macchina fotografica. «Sono in pochi a riuscire ad immortalare tramonti come questo in maniera impeccabile, e sono sicuro che tu rientri tra questi. Ammetto che mi farebbe piacere poterne vedere il risultato.» commentò, quando si fu trovato esattamente di fianco a lei, a pochi passi dal punto in cui le onde si infrangevano sulla sabbia rorida. Inspirò a pieni polmoni, lasciando che l'aria salmastra gli bruciasse il petto e, nell'attesa di una reazione da parte sua, si chinò in avanti e con una mano chiusa a conchiglia raccolse una piccola pozza d'acqua e la respirò. Era un gesto che ripeteva ogni volta che si recava al mare, poiché si diceva che l'acqua salmastra giovasse alla respirazione, specialmente per chi era raffreddato. Nell'aria si avvertiva, oltre al tipico odore della salsedine, quello delle creme solari che di certo orde di cittadini si erano cosparsi durante la giornata. Invidiava chi poteva già godere delle meritate vacanze estive, cosa che per lui rappresentava un miraggio lontano. Di norma in quel periodo dell'anno i cittadini di Besaid si raccoglievano in massa sulla spiaggia per prendere il sole, specialmente durante i weekend, ed erano pochi coloro che si arrischiavano a fare un tuffo nell'acqua ghiacciata. Per quanto lo riguardava, non aveva particolari progetti per quell'estate ed era talmente oberato di lavoro da non averci ancora pensato. Conoscendosi si sarebbe ridotto all'ultimo, magari trascinato dai suoi inseparabili amici in qualche vacanza estrema nella giungla equatoriale o a scalare le montagne del Tibet. Insomma, vacanze che lo avrebbero esaltato e al contempo stremato, facendolo tornare alla sua amata scrivania più stanco di quando l'aveva lasciata. Già, come no; quelle erano cose che faceva quando ancora viveva in Danimarca, senza una figlia a carico e responsabilità annesse. Da diversi anni le sue mete estive erano subordinate alle necessità della bambina ed ai suoi desideri; in più, quella sarebbe stata la prima estate che non l'avrebbe trascorsa assieme alla madre.
    «Mi chiamo Jude Mikkelsen.» si presentò, per un attimo dimentico delle buone maniere. Allungò la mano nella sua direzione e, nel farlo, il rolex -suo gran motivo di orgoglio- ancorato al suo polso scivolò tra le pieghe della giacca. «Non credo di averti mai vista, il che è curioso.» Oddio, detto così pareva leggermente inquietante come cosa, così si affrettò a precisare. «Da poco sono diventato capo della Polizia, quindi tra ronde in città e direttamente alla stazione, bene o male nel tempo ho avuto modo di incontrare la maggior parte dei cittadini. Non sei qui da molto, o sbaglio?» Qualche goccia d'acqua iniziò una pericolosa discesa verso la sabbia e quando una folata di vento lo investì, Jude avvertì la pelle d'oca nei punto lambiti poco prima dall'acqua. Non sapeva di preciso quanto tempo avrebbe impiegato Adam a raggiungerlo, ma in quel momento desiderava unicamente fare un interrogatorio conoscere quella ragazza della quale non aveva mai visto il volto fino ad ora. A breve lo spettacolare scenario che colmava i loro sguardi, un tramonto infuocato, avrebbe abbandonato i suoi silenziosi osservatori, facendo piombare il firmamento nell'oscurità tinteggiata di stelle iridescenti.
    Turni: Jude, Lena, Adam


    Edited by Comet - 11/1/2019, 08:57
     
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    Il mare le era sempre apparso come un miraggio: un qualcosa che esisteva nella sua mente e nei suoi ricordi, nelle foto e nei viaggi, ma non nella sua realtà quotidiana, almeno fino a quando non era giunta a Besaid, sei mesi addietro. La terra ferma era stato il suo elemento, o il suo paesaggio, per la maggior parte della sua vita: che fosse la piccola cittadina in mezzo alle montagne o la metropoli della capitale norvegese, le distese sconfinate di acqua salmastra non rientravano nella conformazione dei luoghi a cui la Næss era avvezza. Un piccolo cambiamento che andava ad incastrarsi assieme agli altri, ben meno trascurabili.
    Le immagini di un paesaggio uguale a quello offerto quella sera, seppure da una diversa angolazione della baia cittadina, apparivano nelle poche foto superstiti dei suoi ricordi fantasma che le erano state riproposte nella casa natia e che avevano sconquassato, seppure per poco ma con la stessa violenza di un fulmineo nubifragio, le sinapsi della norvegese, il cui cervello riusciva solo a fornire una sequela di pagine bianche in risposta.
    Poteva immaginare le risa di due ragazzine intente ad inseguirsi tra le onde, le chiacchiere scambiate tra sussurri a fior di orecchie, i castelli di sabbia, la pelle scottata, non dissimile dalla visuale della massa di bagnanti della domenica. Non sapeva se si trattasse di ricordi tangibili o solo associazioni libere del suo cervello condizionato dagli eventi ed intento a riempire un buco di memoria inspiegabile, ma solo in superficie e per i forestieri come lei era stata, e forse tutt’ora ancora era.
    La bicicletta era stata fermata al sottile confine tra sabbia e cemento nella rastrelliera posta accanto ai parcheggi pieni di monovolume e utilitarie family size, i cui proprietari e occupanti affollavano la striscia sabbiosa di tarda primavera a stendersi sotto il sole, l’ultimo, come lucertole.
    Il giro circolare compiuto per tutta Besaid alla fine l’aveva proprio condotta lì, guarda un po’ che coincidenza. Dal Vennelyst park al limitare dell’area boschiva, costeggiata a pedalate interrotte da qualche scatto furtivo dei giochi di luce offerti dall’infrangersi del sole tra i rami. Di sicuro, a fine giornata, avrebbe eliminato tutto, perfezionista masochista com’era.
    Ed eccola lì, recuperato lo zaino in pelle e la macchina fotografica dal cestello, piedi piantati sulla distesa cedevole ad osservare un punto indefinito dell’orizzonte. Stesso sole che si offriva come manna dorata, in procinto di tingersi di cremisi, per i cittadini che ne catturavano i raggi sparsi e finalmente caldi dopo la stagione invernale. Si poteva dire che anche lei rientrasse nel gruppo di norvegesi accaldati e in procinto di ustione, solo per il gusto di farlo finito il turno lavorativo al pub, solo per ricorrere all’evasione spiccia del catturare il momento con i suoi rudimentali mezzi.
    Il telo mare rosa (un tempo doveva essere stato rosso), preso in prestito a Jonas, steso sulla sabbia conteneva i pochi oggetti personali, un paio di obiettivi ancora religiosamente protetti (niente treppiede o attrezzatura telegrafica per catturare anche il più piccolo degli animali del bosco vicino) e il paio di anfibi neri slacciati.
    Un tempo anche lei era stata lì, solo che non ricordava come. Ma Britt era solo l’immagine sfocata di un passato ormai lontano.
    Labbra strette e occhi socchiusi, Lena fissava il disco solare farsi gradualmente più basso lungo la linea dell’orizzonte, studiando contemplativa l’incidenza della luce sulla superficie increspata dalla brezza salmastra.
    I primi scatti di prova riempirono il silenzio circostante: come un occhio meccanico verso l’esterno l’obiettivo era puntato tutto sull’imminente volgersi della sera. Per la freelancer si trattava quasi di estraniarsi dall’esterno con la malia dell’irrepetibilità del momento che l’attraeva come una falena con la luce. Occhio schiacciato dietro al mirino, il respiro venne quasi trattenuto nell’attimo dello scatto. Era questione sempre di rappresentazioni, di immagini, di scelta cromatica e soprattutto di istanti come quello. No, niente materiale lavorativo: quello lo avrebbe tenuto per sé. Per quanto ne sapesse, potevano essere risultati del tutto mediocri.
    L’acqua color petrolio del mare nordico solcata da riflessi sanguigni e la sua risacca continua, furono interrotti dall’avvicinarsi ovattato di una presenza accanto alla spalla, coperta dalla flanella, di quello che lo stesso Jonas aveva definito pastrano alla Hagrid. Che poi lei, al mezzogigante, bassa com’era, non ci assomigliasse per niente, era un altro discorso.
    Poteva anche non accorgersi della presenza altrui, assorta com’era e immersa nel vociare scemante come sottofondo, ma i versi ignoti per la scatola cranica incontrarono il favore e l’attenzione delle sue sinapsi, sorprese, quanto lei, del nuovo venuto intento a romperle le uova nel paniere, specie per averle rivolto parola.
    Un battito di ciglia meccanico di una Lena colta di sprovvista fu seguito dal leggero ruotare del capo, volto al confine cielo-mare, per scrutare appena con la coda dell’occhio il profilo maschile, con il sopracciglio leggermente alzato. Lo sciabordare marino si mescolò con quello che pareva essere più un sospiro rassegnato che una vera e propria interlocuzione con la Næss. Di certo non aiutavano l’umore ballerino, tendente alla malinconia, della venticinquenne, ma era innegabile che esercitavano un certo fascino a lei ignoto. Bizzarro come approccio, non c’erano dubbi, ma alquanto azzeccato come riferimento.
    -Già, specie quando non si è abituati.- asserì alla domanda postale, rivelando la sua estraneità al luogo, scostata una ciocca di capelli con la mano libera, mentre con la dritta reggeva, come le sfere crociate delle raffigurazioni religiose, quindi quasi in modo delicatamente sacrale, la fotocamera.
    L’ovale scostato dalla fissità lungo la linea d’orizzonte, incontrò i lineamenti appena scavati dal tempo, lungo le linee di demarcazione espressiva, di qualcuno che di anni doveva averne qualcuno più di lei. Si era presentato agli occhi della forestiera come un uomo d’affari, o comunque un uomo elegantemente vestito, a piedi nudi che le citava poesie a lei ignote di un poeta inglese affogato in un fiume in Grecia, sorvolando l’indelicato tasto del forzato lei di convenienza per un approccio ben più amichevole. O forse invasivo. Quasi ironico da farle appena contrarre impercettibilmente il naso spruzzato da lentiggini nel viso pressoché immobile. Ed ora, ventiquattrore e scarpe a terra, con la mano a coppa si stava portando l’acqua salmastra accanto al viso, ricordandole la figura di qualche sommelier intento a analizzare le note di qualche vino. Altra cosa particolare per non dore ancora bizzarra almeno per lei.
    -Grazie, anche se in verità spero che vengano anche minimamente decenti per rendere giustizia a questo momento e a questo posto.- disse, accennando appena un sorriso a labbra strette.
    Beh, la fiducia era il miglior modo per farsi fregare, no? Forse non era qualcosa noto all’uomo o forse confidava veramente che le velleità artistiche (o presunte tali) di Lena fossero talmente tanto marcate, solo al primo sguardo.
    -Magari saranno presto sulle cartoline di Besaid- … o nel cestino del mio pc, dipende dall’umore e dall’editing aggiunse, dunque, con leggera ironia, alzando appena la coppia di spalle. Magari avevano davvero bisogno di cartoline, lì a Besaid, o magari avrebbe dovuto mandare una mail al neo-incontro orgogliosa (o forse no) come una bambina con i suoi lavoretti scolastici.
    La mano allungata, interrotta solo da un latente bagliore dorato sul polso, dell’altro, venne stretta dalla gemella più minuta e pallida pronunciando un -Piacere, Lena.- a cui si aggiunse subito dopo -Lena Næss- da James Bond nordica in gonnella dei poveri.
    Al breve scambio, però, seguì l’accenno alla sua non conoscenza. Accenno al quale la perplessità della giovane si palesò con un battito interdetto delle ciglia, il minimo di mimica che il volto si poteva concedere. Non era difficile per lei dimostrare la non appartenenza al luogo, come se ce lo avesse scritto in fronte di non essere a casa propria, ma da qui a pretendere che tutti si conoscessero… Beh, in fondo era un posto piuttosto piccolo, se ci faceva caso. Piccolo e particolare.
    Magari qualcuno a lavoro o a casa le avevano installato Tinder sul cellulare e quello era il frutto della sua foto schiaffata sul web. Certamente. No, Mikkelesen non pareva quel tipo di persona intenta a provarci, non ancora. Troppo posato.
    Il mistero venne presto svelato, con l’appartenenza del quarantatreenne al corpo di polizia. Meno male era la risposta che spontanea nacque tra le sinapsi. Beh, forse era un bene non aver mai visto l’ispettore capo durante la sua permanenza, che non era certo noto, solitamente, per i pic nic quotidiani al parco, per quanto filantropo potesse essere.
    -Sei mesi. Prima ero a Lillehammer, in montagna, quindi ho sempre visto poco il mare e scene come questa dal vivo. Sembra di stare quasi in un’altra nazione, se non fosse per le casette rosse e i norvegesi.- l’accennato scuotere del capo fu seguito dalla stringata spiegazione delle sue vicende di vita, di certo singolari visto l’anonimato in cui regnava la cittadina costiera. Spiegare con altrettanta velocità cosa l’avesse spinta lì sarebbe stato più complicato e sperò che non volesse indagare oltre giuro che non spaccio, polizia. Assicuratasi il cinturino della macchina fotografica attorno al collo, la coppia di piedi raggiunse la porzione di sabbia bagnata dall’acqua, mentre la superficie affondava sotto le fondamenta del fisico minuto. Le gambe lasciate scoperte, più per comodità che per necessario bisogno, proseguirono un altro passo verso la distesa salmastra e verso il buio incombente, lambendo le caviglie e gli stinchi a seconda del moto regolare delle onde.
    -Non conosco l’origine dei versi che hai citato.- affermò dunque, quasi come se lo stesse richiedendo all’uomo, con ancora il dubbio instillato nel banco di neuroni che navigavano nel cervello. -Non me ne intendo, ma mi sono piaciuti.-
    Voleva ancora capire che cosa avesse spinto il poliziotto fuori servizio a citare poesie e a osservare il tramonto. E specie ad avvicinarsi all’essere asociale qual era la Næss. Quello era ancora il dubbio più grande.
     
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    JUDE
    Hey Adam. Ti andrebbe di raggiungermi in spiaggia dopo il lavoro? E' da un po' che non ci vediamo. Fammi sapere.


    Le iridi castano-dorate di Adam si posarono sullo schermo del cellulare, leggendo velocemente il messaggio di Jude. Era pomeriggio, ed il ragazzo aveva appena controllato il suo iphone per capire che ore fossero, quando trovò anche il nome dell'amico sul display. In realtà, ogni volta che era nel bosco, lui si dimenticava del tempo, perso nel lavoro che tanto amava. A dirla tutta, esso era ciò che gli permetteva di mantenersi emotivamente sano ed equilibrato dopo la partenza di Engel. Era alla foresta che lui apparteneva, ed anche se il pensiero dell'amata ormai lontana riusciva a farlo cedere ad una profonda malinconia ogni singola volta, stare nella natura riusciva a radicare il giovane nel presente e nella realtà. Per una persona istintiva come lui, era importante il legame viscerale che lo univa alla terra e alla selva di Besaid, poichè era solo a contatto con essa che lui si sentiva a suo agio, nel posto giusto, specialmente dopo gli orribili eventi alla Spiegelhaus. Era un po' come tornare al punto di partenza, all'origine - un po' come se le foglie, l'odore di resina, la corteccia, il vento, il rumore delle creature e del mare non facessero che purificare l'animo ferito del guardiacaccia, per quanto possibile. Per questo motivo, il boscaiolo aveva ripreso a lavorare con più dedizione di prima; in un certo senso, era come se sentisse un debito di gratitudine nei confronti della foresta che salvaguardava, ed ogni giorno era adatto per dimostrarlo.
    Presto il turno di Adam sarebbe finito, e la prospettiva di tornare in una casa vuota e silenziosa era una a cui ormai si era rassegnato. La solitudine non l'aveva mai spaventato, anzi si trattava per lui della comfort zone. Era vitale per il ragazzo ricavare degli spazi per sè, in modo da coltivare un'indole schiva ed indipendente come la sua. Eppure, ultimamente non si trattava di sani momenti di distacco dai rapporti umani che la città impone sui suoi abitanti, bensì di un isolamento forzato in cui il giovane si era rinchiuso di proposito, per elaborare traumi e dispiaceri per conto proprio. La già enorme riservatezza del guardiacaccia si era trasformata in una prigione, in cui lui si era volutamente recluso per fare i conti con un cuore spezzato che cercava di battere nonostante le incrinature. Ormai però era passato del tempo, e bisognava anche andare avanti ed aprirsi di più alla vita per non cedere completamente alla tristezza, e questo il boscaiolo lo sapeva. Facendo scivolare nuovamente il cellulare nella tasca dei jeans scuri che indossava, un sospiro abbandonò le sue labbra mentre le sopracciglia gli si aggrottarono. Forse sarebbe stato il caso di recarsi alla spiaggia. Non gli avrebbe potuto fare altro che bene. In più, Adam non vedeva Jude da moltissimo tempo, e quell'uomo era sempre stato un punto di riferimento per lui, un po' come un padre. La sua presenza sarebbe stata rigenerante; il poliziotto aveva sempre rispettato i limiti ed i confini posti dal guardaboschi sul suo modo di fare e di interagire con le persone, e questo non aveva fatto altro che aumentare l'affetto del ragazzo nei suoi confronti.
    Alla fine, Adam non rispose al messaggio, deciso a raggiungere in ogni caso il suo amico. Sarebbe dovuto passare dalla spiaggia comunque. Quando le giornate iniziavano ad essere più calde ed i visitatori si spostavano lentamente dal bosco alla riva del mare, lui andava sempre a controllare anche quella zona prima di tornare a casa, sapendo che sempre più gente sarebbe andata ad ammirare i colori cristallini delle acque che accarezzavano Besaid. Continuando a camminare per le fronde, il giovane proseguì con il lavoro e all'imbrunire, al posto di andare verso la sua abitazione decise di incamminarsi verso la costa. Non c'era bisogno di prendere il pickup; alla fine della foresta si trovava un sentiero boschivo che conduceva proprio dietro il litorale, che probabilmente solo in pochissimi conoscevano, ma che naturalmente il guardiacaccia imboccò senza esitare. D'altronde, lui era tenuto a conoscere la selva come le sue tasche. Dopo svariati minuti, il paesaggio iniziò a cambiare: la flora si fece più rada e sporadica, lasciando il posto a piante e vegetali tipici delle zone marittime, e la terra umida e le frasche che si distendevano sul cammino assieme ai fiori scomparvero, sostituiti da una enorme distesa dorata di sabbia, che fina scricchiolava sommessamente sotto le Timberland del guardiacaccia. In poco tempo, il boscaiolo poteva avvertire con tutti e cinque i sensi il suo arrivo in spiaggia. Il mare scuro e leggermente increspato si offriva prepotentemente alla vista; l'odore dell'acqua salmastra invadeva le narici, così come la salsedine si poteva quasi percepire sulla lingua; il suono scrociante e ripetitivo delle onde ormai non era più solo un'eco lontana, ed infine i granelli di sabbia comunicavano l'ingresso in quella nuova e meravigliosa area naturale.
    Istintivamente, Adam inspirò ampiamente, come se stesse sbloccando ulteriormente i polmoni dalle sensazioni negative che a volte li opprimevano così violentemente da impedirgli di respirare. Poi, il ragazzo si mise una mano in tasca e si avviò con le sue estese falcate verso la parte meno remota della spiaggia, dove sperava di incontrare il suo amico. Le iridi del giovane scandagliavano discretamente lo spazio, cercando il volto familiare di Jude nel numero sempre più abbondante di persone che si intrattenevano sulla costa, che nonostante la brezza fresca sembrava essere già una delle mete preferite dei Besaidiani. Una scena fece fermare il guardiacaccia sui suoi passi: una donna, all'incirca sulla quarantina, stava giocando col suo cane vicino alla riva; il frisbee che lei lanciava a quello stupendo Setter irlandese non era mosso dal vento, bensì dal soffio sovraumano di quella signora, che stava liberando tranquillamente i suoi poteri. Queste erano cose a cui il boscaiolo non si sarebbe mai abituato, anche se ormai era da qualche tempo che viveva a Besaid; lui non sentiva di poter fare proprio come quella donna, non più almeno. Cosa avrebbe significato adesso per lui liberare un tipo di telepatia e di telecinesi innescate dalle emozioni, se le uniche che lui provava al momento erano principalmente negative? Probabilmente, si sarebbe trattato di un costante pericolo, almeno fin quando lui non avesse risolto o elaborato i suoi problemi. Si, quel piccolo comune Norvegese era casa sua, eppure le particolarità degli abitanti erano un continuo mistero, era come avere dei coinquilini di cui non si conosce la fedina penale - più o meno. Un incontro con un Besaidiano rivelava sempre molto di più di uno con un individuo in qualsiasi altra parte del mondo; i poteri erano parte integrante delle persone, e ne tracciavano anche potenziali cicatrici, oltre che motivi di orgoglio.
    Dopo molto pensare e camminare, ecco che Adam ebbe finalmente identificato Jude. Era vicino al bagnasciuga in compagnia di una donna. Lì per lì, il ragazzo si fermò, non volendo interrompere la conversazione tra i due, ma poi si ricordò di non aver nemmeno risposto al messaggio dell'amico, e avrebbe almeno dovuto farsi vedere per fargli notare la sua presenza. Allora, il guardiacaccia si fece avanti sino ad arrivare poco dietro il poliziotto, scorgendo la giovane con cui stava parlando dai dieci centimetri in più di altezza che il boscaiolo possedeva rispetto all'altro. -Non conosco l’origine dei versi che hai citato. Non me ne intendo, ma mi sono piaciuti.- I lineamenti di lei erano fini eppure taglienti, androgini; i capelli castani leggermente svolazzanti per la brezza marina invece parevano quasi biondi a contatto con la luce morente del sole che stava irradiando il posto, e l’abbigliamento che le ricopriva il corpo minuto aveva un che di vintage. Appoggiando una mano ampia sulla spalla dell'altro uomo, Adam attirò la sua attenzione, dopo essersi schiarito sommessamente la voce. Jude, hei. Il tono caldo e grave del ragazzo pareva leggermente esitante - temeva di star interrompendo qualcosa. A giudicare dalle uniche parole della donna che il boscaiolo era riuscito a carpire, doveva trattarsi di un discorso sulla poesia. Scusate... Non volevo interrompere. Affermò infine Adam, alternando lo sguardo tra il volto dell'amico e quello della sua interlocutrice.
     
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    In teoria ciascuno avrebbe dovuto spiccare nel proprio mestiere, eppure da due mesi a quella parte Jude non si sentiva all'altezza del proprio impiego. Era una sensazione torbida che lo seguiva come un'ombra cucita sulla sua psiche, una specie di parassita che non riusciva a staccarsi di dosso nemmeno nei rari momenti di serenità. Non ne faceva colpa a nessuno, nemmeno con Isil con la quale ormai intratteneva solo sporadiche conversazioni telefoniche incentrate principalmente sulla loro bambina. Era accaduto tutto così rapidamente che non aveva avuto abbastanza tempo per fare chiarezza sia sulle proprie emozioni, sia su ciò che tutto quello avrebbe comportato per il loro futuro. Così si era buttato a capofitto nel lavoro, sobbarcandosi di oneri che non gli competevano e seguendo più casi e scartoffie di quante avesse mai dovuto gestire in due anni insieme; totalmente assorbito da ciò e con la mente che passava da un argomento ad un altro come una calcolatrice con i numeri, e nonostante la conseguente promozione che aveva ottenuto, nulla di tutto quello gli aveva portato soddisfazioni. Al contrario, solo pensieri in più e sempre meno serenità. Aspettava con ansia le vacanze estive che avrebbe cercato di gestire nel modo migliore possibile per Sophie, e che avrebbe sfruttato se non altro per ricercare una sorta di pace interiore.
    Almeno in quel momento, in compagnia di una ragazza quasi sconosciuta, gli sembrava di avvertire una sorta di quiete della quale era ampiamente deciso di bearsi il più a lungo possibile. Ovvio che ogni suo pensiero fosse rivolto alla figlia e che quasi ossessivamente faceva scivolare lo sguardo sul rolex, in modo da essere pronto quando fosse stata ora di andarla a riprendere. «Un cognome norvegese. Non se ne sentono molti da queste parti, sebbene ci troviamo nel cuore della Norvegia.» commentò, mentre stringeva con forza calibrata la mano esile della ragazza. La stretta che ricevette fu altrettanto consistente il che gli fece sin da subito un buon effetto.
    «Sembra che questa città attragga più stranieri che nativi; come me, del resto, e visto cosa porta nelle vite di chi vi approda è curioso.» Era più una riflessione a voce alta che qualcosa che forse aveva un senso nella conversazione, ma era una cosa sulla quale si era trovato spesso a riflettere. In molti, capitati a Besaid per caso, decidevano di restarvi soggiogati dalle sue potenzialità. Altri, come sua moglie, non avevano avuto la forza di farlo poiché ciò che le aveva riservato somigliava più ad una maledizione che a qualcosa per la quale valesse la pena piantare radici. Lui non aveva avuto abbastanza accortezza da rendersi conto di quanto quel dono avesse corrotto la vita della consorte, nonostante lei stessa gliene avesse parlato più volte, e quando ci era riuscito era ormai troppo tardi.
    Non era passato inosservato ai suoi occhi di attento osservatore per obbligo e vocazione, l'espressione interdetta della ragazza quando aveva commentato che, visto il suo lavoro, era difficile che non l'avesse vista in giro e ne aveva tratto le sue deduzioni. Deduzioni forse troppo affettate, strane anche per uditi differenti dal suo, eppure se avesse fatto per almeno un mese quello che lui faceva da anni, Lena si sarebbe resa conto che, per un motivo o per un altro, Besaid ed i suoi cittadini finivano per risultare più piccole di quando geograficamente si fosse portati a pensare. Un altro pensiero gli attraversò la mente: i norvegesi ed in generale le popolazioni nordiche erano considerato piuttosto freddi; difficile che un estranio ti si avvicinasse per fare conversazione a meno che non avesse secondi fini. Se tale pensiero fu condiviso anche dalla ragazza, si rese conto che la sua posizione non era delle più rosee e che ci stava facendo una gran bella figuraccia. Eppure era portato a pensare che lui, nato in Danimarca, fosse cambiato anche sul profilo caratteriale da quando si era trasferito in quella cittadina. Sapeva di non essere l'unico che amava interloquire con gli sconosciuti e col tempo aveva attribuito tutto questo alla città stessa: lì tutti condividevano un segreto, erano complici pur non conoscendosi, e facevano uso dei doni della città liberamente -nella maggior parte dei casi- e questo in qualche modo avvicinava anche gli sconosciuti, portandoli a comportarsi in maniera quasi intima anche con chi vedevano per la prima volta. Forse era in errore, ma da tempo era giunto a questa conclusione che, forse, era errata e giustificava solo una suo personale mutamento caratteriale. «Hai ragione. Besaid ha talmente tante particolarità anche sul piano morfologico da apparire notevolmente diversa dalle altre cittadine norvegesi. Forse è la prima cosa che attrae chi vi giunge per la prima volta, prima che subentri un altro aspetto a convincerlo a restarvi.» Ovviamente si riferiva alle particolarità che, ad oggi ancora senza una spiegazione, sorgevano in chi decideva di restarvi fosse anche per qualche giorno. Secondo lui quella città somigliava ad una pianta carnivora: inizialmente ammaliava gli ignari avventori con le sue bellezze, poi quando ci si posava per più di un giorno zac, ecco che le inglobava donando loro cose terribili ed altre meravigliose. Nel suo caso si era trattato di qualcosa di altamente positivo, per sua moglie e per sua figlia le cose sembravano non essere andate allo stesso modo.
    Incrociò le braccia al petto allenato, volgendo lo sguardo verso la distesa marina. Il cielo stava rapidamente mutando di tonalità, lasciando spazio alle tenebre.
    «Mi fa piacere che tu li abbia colti ed apprezzati. Sono versi rubati dal buon vecchio Lord Byron, un poeta e politico inglese. Ammetto che non lo conoscevo, prima di incappare casualmente una sera in un film che mi è rimasto nel cuore, di cui poi ho letto il libro in un secondo momento: Into the wild.» le spiegò senza smussare la propria posizione gesticolando come spesso si sarebbe trovato a fare. Essi detonavano in lui agitazione, mentre in quel momento finalmente si sentiva sommariamente sereno - ad eccezione del rischio di passare per un pedofilo e pervertito all'ultimo stadio. «C'è una gioia nei boschi inesplorati, c'è un'estasi sulla spiaggia solitaria, c'è vita dove nessuno arriva vicino al mare profondo e c'è musica nel suo boato. Io non amo l'uomo di meno, ma la Natura di più.» citò infine, modulando la propria voce in modo che lasciasse intendere che si trattasse di una citazione e non di parole inventate di suo pugno. Non era mai stato un uomo poetico, sebbene in molti fossero stati portarti a pensarlo dalla sua pacatezza e da altre peculiarità del suo essere, nè lui si riteneva tale, ma amava la bellezza del mondo che lo circondava e cercava di anteporre essa agli orrori generati dal genere umano.
    Mentre ricercava in qualche angolo recondito della sua memoria qualche altra citazione di proporre a Lena, fu interrotto dall'arrivo del suo buon amico Adam. Come già detto i due non si vedevano da diverso tempo e, in quell'arco di giorni che avevano separato le loro vite ad entrambi erano successi avvenimenti che gli avevano straziato il cuore. Anche chi non lo conosceva bene come lui avrebbe inteso, da quegli occhi vitrei e spenti e quella mancanza di forza, che era successo qualcosa di molto grave al guardiacaccia. E Jude Mikkelsen sapeva il motivo.
    Tempo addietro colei che era certo fosse il primo ed unico vero amore dell'amico si era presentata nel suo ufficio (x) spiegandogli che per questioni di un certo spessore avrebbe dovuto lasciare la cittadina e con essa non solo Adam ed i progetti che coltivavano, ma anche ogni memoria che aveva di lui. Sarebbe tornata ed era certo, conoscendola, che avrebbe trovato un modo per risistemare le cose, ma gli aveva fatto promettere di tacere con Adam e Jude, che da sempre era un uomo dai forti valori, si era imposto di fare come gli era stato richiesto. Non osava immaginare cosa sarebbe successo che il guardiacaccia, nonché suo ex collega, avesse scoperto che lui era a conoscenza di diverse cose riguardanti Engel. «Hey Adam, ben arrivato! Ammetto di non averti visto arrivare, troppo preso da una piacevole conversazione con questa ragazza. Ti presento Lena, risiede a Besaid da qualche mese.» Fantastico! Ora non solo con quella frase, che gli false un morsico di lingua, sembrava ancor di più un "vecchio" marpione come alcuni suoi colleghi della Centrale, ma pareva volesse proporre Lena come papabile nuova fiamma per il cuore infranto di Adam. Fortuna voleva che solo lui sapeva per quale motivo il suo amico era ridotto in quello stato. Si affrettò ad aggiungere «Lena lui è Adam, mio ex collega e ad oggi miglior guardiacaccia dei boschi di Besaid.» Ma bene, così sembrava pure voler presentare al meglio il moro! Doveva porre rimedio a quella scomoda situazione: l'idea sopraggiunse come un fulmine a ciel sereno. Il cielo si stava scurendo sempre di più ed in alcuni punti era già possibile scorgere uno spicchio di luna. Un pò si sentì in colpa per aver interrotto gli scatti fotografici della ragazza, ma forse la proposta che si apprestava a fare avrebbe posto rimedio alla cosa. Si curvò in avanti per prendere un ramo secco. Ve ne erano diversi, trasportati dal mare sulla battigia e ormai secchi dal sole cocente delle giornate. Qualche giorno prima vi era stato un forte vento che aveva portato alcuni alberi posti sulla scogliera vicina a spezzarsi e diversi rami e arbusti erano finiti tra le acqua. Quando ebbe riempito sufficientemente le braccia, avvertendo al contempo gli sguardi incuriositi dei presenti, si affrettò a spiegare.
    «Lena ti andrebbe di unirti a noi attorno ad un bel falò? Sempre che tu non abbia altri impegni.» rapidamente, in modo da lasciarle il tempo di riflettere sulla proposta, si curvò in direzione di Adam. L'espressione affranta che colmò il suo sguardo gli strinse il cuore, ma si impose di non fare domande altrimenti avrebbe rischiato di tradirsi. «Un tempo trascorrevamo molte serate così, chiacchierano del più e del meno, ma immagino tu non possa ricordarlo...ogni serata aveva un tema, scelto arbitrariamente. Se vi va questa sera potremmo narrarci vicendevolmente miti e leggende che ci hanno raccontato da bambini.» Doveva ammettere che una proposta del genere avrebbe fatto meglio a proporla a sua figlia di sei anni, eppure credeva che ogni essere umano restasse sempre un pò bambino e che narrazioni di quel tipo potevano eccitare tanto in età puerile, quanto in età adulta. Fece scivolare la mancina nella tasca dei pantaloni dove teneva sempre un accendino. Da anni aveva smesso di fumare -e doveva ammettere che in quell'ultimo periodo era stato fortemente portato a ricominciare- ma quell'oggetto restava sempre vicino a lui.
    Non si poteva mai sapere in quali situazioni quel piccolo oggetto gli sarebbe tornato utile.

    Edited by Comet - 15/5/2018, 13:25
     
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3 replies since 6/5/2018, 14:32   216 views
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