The finger of blame has turned upon itself

Jude & Agnieszka

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    Jude aveva sempre ritenuto grandioso poter vivere in una comunità più o meno nutrita di persone; non riusciva a capire come il suo buon amico Adam fosse riuscito a propendere per una scelta come quella di isolarsi in un'accogliente dimora, nel cuore del bosco. Quella sensazione di più persone che, attingendo ad una pura corrente interiore, raggiungono una straordinaria unione di energia era qualcosa che lo aveva sempre rapito e alla quale non aveva mai rinunciato: da bambino, spendendo ore ed ore a giocare a pallone con altri piccoli danesi riuniti sulle sponde di un lago, da adolescente infiltrandosi a feste dove il numero minimo di partecipanti rasentava la cinquantina e da adulto, scegliendo di vivere nel centro delle città che lo avevano ospitato negli anni. Tale scelta era stata in seguito fortemente criticata dalla sua ex moglie, la quale dopo aver scoperto la sua particolarità aveva addirittura pensato di andare a vivere con Adam, isolata dal resto del mondo. Ovviamente nulla di ciò comprendeva sentimentalismi riposti nel guardiacaccia, motivo per cui Jude ai tempi aveva preso la sua idea con una fragorosa risata e solo in seguito aveva capito come quella richiesta fosse importante per la donna. Era stato uno sciocco, aveva anteposto i propri bisogni finendo per non capire quanta disperazione nascondesse la richiesta di Isil, e dire che nell'ultimo periodo aveva addirittura iniziato a non uscire quasi più di casa, pur di limitare le voci che aveva nella testa e le emozioni di chi la circondata. Era arrivato a detestare Besaid, non appena se n'era andata, reputandola di fatto il motivo per cui la sua donna era cambiata ed il matrimonio era andato in fumo; di fatto la cittadina possedeva solo una fetta di colpa mentre l'altra era riconducibile unicamente a lui.
    L'unica nota positiva in tutta quella situazione era come l'aveva affrontata la sua bambina, un'impavida leoncina dalla criniera costituita da fitti boccoli color ebano e due occhi languidi in grado di intenerire anche la persona più glaciale. Non era stato facile per nessuna delle parti interessate, ma in particolar modo per lei, tuttavia era riuscita a ritrovare il sorriso ed il piacere nella compagnia dei suoi coetanei. A settembre avrebbe iniziato la scuola elementare e sarebbe stata l' ennesima novità nella sua breve vita; Jude avrebbe cercato di essere il più presente possibile per darle un supporto di cui, era certo, avrebbe necessitato.
    Eppure avvertiva ugualmente un pesante senso di impotenza che lo attanagliava ormai più volte nell'arco delle giornate. Aveva persino preso in considerazione l'ipotesi di andare da uno psicologo - un collega gli aveva parlato molto bene di una certa Dott.ssa Laine- ma alla fine aveva desistito perchè, sebbene di recente fosse stato investito di una nuova carica ben più prestigiosa nel corpo della polizia ed i soldi comunque non costituivano un problema, avrebbe sottratto alla figlia ulteriori ore che invece avrebbe potuto trascorrere con lei. Sapeva di essere stato fortunato, nei divorzi nella stragrande maggioranza dei casi il minore veniva affidato alle cure della madre mentre lui aveva avuto la possibilità di continuare a vivere sotto lo stesso tetto con la sua bambina. Ragion per cui, da uomo etico e giudizioso qual'era, cercava di starle vicino più che poteva.
    Ovvio che in tutto quello non doveva mancare del tempo da ritagliare per sé e pian piano stava riuscendo ad integrare anche quello nella sua nuova vita. Ed era proprio per questo che quella mattina di un sabato qualunque, dimentico dei doveri lavorativi e con Sophie occupata ad una festa con i bambini dell'asilo, aveva deciso di fare una passeggiata nel bosco. Ubicato alla base delle montagne a nord della città, quel polmone verde era il suo luogo favorito quando necessitava di trascorrere del tempo in solitaria.
    In quel periodo era ricaduto in un vizio che aveva abbandonato ancor prima di diventare genitore, il fumo, preda dall'ansia di trovare soluzioni impellenti a problemi che spuntavano come funghi sia sul piano lavorativo che famigliare. Portava nella tasca posteriore dei pantaloni marroni una scatoletta dove spegnere il mozzicone una volta giunta la sua ora, un modo come un altro per preservare la sacralità della natura che lo circondava, piuttosto che abbandonarlo sul terreno sassoso.
    Così, con la coltre di fumo che gli impestava il volto sul quale capeggiava una folta barba che non era solito lasciar crescere, camminava apparentemente quieto sul percorso creato artificialmente dalla mano dell'uomo. Non si trovava troppo lontano dall'abitazione di Adam, il quale un tempo era stato suo collega oltre che grande amico, ma si trattenne dall'imboccare la strada che lo avrebbe condotto da lui; lo stato emotivo dell'amico era se possibile peggiore del suo in quel periodo, dopo che anche lui era stato lasciato dalla sua donna.
    Forse avrebbero potuto trovare conforto nel confrontare le reciproche disgrazie assieme a lui, ma Jude Mikkelsen non era un uomo abituato ad esternare i propri sentimenti al prossimo. Anche questo fattore fu determinante nella scelta di non alzare la cornetta ed interpellare la Dott.ssa Laine. Sospirò sonoramente, ruotando il piede che già puntava nella direzione della casetta di legno, ed indirizzandolo davanti a sé.
    La giornata era calda ma non eccessivamente afosa e le fronde degli alberi contribuivano a mantenere stabile quella temperatura. Calzava un paio di scarpe da corsa, quelle che indossava pressapoco tutte le mattine per fare jogging prima di recarsi a lavoro, una maglietta dei The Who (un gruppo del quale, sospettava, la sua bambina non avrebbe mai sentito parlare se non dalla sua bocca) ed un cappello con visiera acquistato ad una partita di baseball.
    Un semplice zaino sulle spalle di medie dimensioni nel quale aveva riposto il portaforgli, una bottiglietta d'acqua ed un maglioncino nel caso in cui il clima imprevedibile della Norvegia gli tirasse qualche brutto tiro.
    Il canto delle cicale ed il cinguettio degli uccelli erano un toccasana per la sua psiche turbata, i colori accesi che fumavano in tonalità sempre più cariche gli solleticavano l'animo. Tutto sommato si sentiva bene in quel momento, non dimentico ovviamente dei propri problemi ma senza dubbio meno agitato. Aveva canticchiato tra sé e sé per buona parte del tragitto, poi aveva lasciato che la natura fornisse la giusta melodia per la sua camminata in solitaria.
    Beh, in solitaria mica tanto.
    Sguardo ed udito furono catturati da una scena per la quale si trovò ad essere spettatore silenzioso. Effettivamente i suoi passi attutiti dal terriccio e dai sassi veniva coperto dai suoni della natura dunque non si stupì che gli altri due personaggi della scena non l'avessero notato. Si trovava oltretutto piuttosto distante da loro e, senza quasi rendersene conto, s'immobilizzò come un animale che fiuta il pericolo.
    Davanti a sé stava accovacciata una donna posta con la schiena rivolta verso di lui: di lei poteva scorgere unicamente gli abiti ed il colore dei capelli, ma tanto bastò. Un genuino sorriso a denti stretti rivelò quale piccola ruga d'espressione quando Jude comprese di chi si trattasse. Vi era un'unica cittadina a Besaid avente quel particolare tipo di capelli. Si sa, per quanto forestieri ci fossero, la maggior parte dei cittadini erano nativi norvegesi ed i capelli color grano rappresentavano la maggioranza; vi era poi una piccola minoranza di mori, neri, grigi e rossi, ma di questi nessuno tranne lei disponeva di quella tonalità specifica.
    Il tempo poi gliene avrebbe dato conferma, ma il poliziotto era certo si trattasse di Agnieszka Lewandowski. Era una donna avente giusto qualche anno in meno di lui che aveva avuto occasione di conoscere diversi anni prima, quando la sua vita non era ancora l'intricato groviglio che era adesso e si trovava a Bergen con la sua famiglia. Era stato durante una fiera di paese che lui e Agnieszka si erano conosciuti. Aveva acquistato da lei prodotti artigianali di sua creazione e di gran fattura, senza minimamente immaginare che le loro strade si sarebbero rincrociate anni dopo proprio a Besaid.
    Ripensando a quell'episodio, senza volere alcuno si trovò a toccare con le mani l'anulare sinistro dove la fede dorata era sparita, lasciando solo un tiepido segno di mancata abbronzatura. Un altro sospiro questa volta più silenzioso, di mera rassegnazione.
    Non poteva dire di avere un rapporto particolare con la rossa. Perlopiù capitava di incontrarsi in città alle Poste o mentre entrambi erano intenti a fare la spesa; si scambiavano quattro chiacchiere sempre molto gradite, ma fino a quel giorno non aveva mai pensato di poter spendere altro tempo in sua compagnia. Non perchè non lo desiderasse, si trattava solo di circostanze che ora erano mutate.
    La osservò silenziosamente, trovando curioso come osservasse una lepre e come questa, di rimando, pareva esserne attratta come incatenata al suo sguardo. I secondi passavano, ma nulla mutava, nessun movimento e nessun suono. Poi, portandolo a sgranare le iridi oltremare, osservò l'animale inclinare il capo e poi, lentamente, sgambettare davanti a sé fino a scomparire alla vista.
    Ora, le lepri notoriamente non sono animali domestici né si lasciano avvicinare così tanto o restano in presenza di esseri umani più a lungo di uno scatto fotografico sfuocato. O la rossa disponeva di qualche affinità animalesca oppure...c'era lo zampino di Besaid.
    Che avesse imparato a comunicare con gli animali? O qualcos'altro che li legava a lei in modo così bizzarro? Certo era che non aveva mai visto nulla del genere.
    «Ogni volta che ti incontro, Agnieszka, riesci in qualche modo a sorprendermi.» sentenziò quando fu certo di non costituire più una sorta di terzo incomodo, avanzando di qualche passo nella sua direzione. Gli bastarono effettivamente poche falciate per raggiungerla; della lepre nessuna traccia.
    L'ultima volta che si erano beccati al supermercato l'aveva stupito elencandogli le proprietà naturali di alcuni alimenti, per non parlare delle sue creazioni hand made. Ora quella specie di imprinting animalesco. Si, senza dubbio quella donna sapeva sempre come catturare il suo interesse.
    «Cos'hai fatto con quella lepre? Riesci...non so, a comunicare con lei?» azzardò mordicchiandosi il labbro inferiore e passando una mano sulla fronte, scoprendola dal berretto ormai madido di sudore. Si era piazzato in un punto scomodo, esattamente sotto al sole così tentò di piazzarsi all'ombra di un albero secolare, senza tuttavia allontanarsi troppo dalla donna. Si sentiva ancora esterrefatto per quanto aveva appena visto, poi ricordò che ormai, dopo tutti quegli anni, era ridicolo rimanere sorpresi di fronte a qualsiasi cosa che di bislacco potesse succedere a Besaid.
     
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    Era stata una placida mattinata per Agnieszka. La prospettiva di abitare in un ambiente così unico, così straordinario, così incantevole - anche a distanza di anni - era un sentore che le permetteva di sentirsi completamente in pace con se stessa. Anche se Besaid si era rivelata essere una cittadina - chiaramente molto accogliente e rassicurante - simile a quella di tanti altri stati; dove non mancarono per la donna occasioni per cui gioire e per cui disperarsi e piangere: con quel risveglio mattutino, sembrava che qualsiasi ricordo, memoria degli anni antecedenti fosse stato cancellato con un colpo di spugna. C'erano giornate in cui, specialmente d'inverno, Agnieszka non poteva fare a meno di ritornare indietro nei ricordi, riflettendo sulle scelte che aveva fatto e in particolar modo a quella, la sola ed unica, che ancora oggi a distanza dì sei anni sembrava incapace di cancellare. Come avrebbe mai potuto, dopotutto? Non poteva far altro che soffermarsi se, liberarsi di quella creatura avesse realmente rappresentato una soluzione ottimale per la sua vita, o se diversamente, averlo fatto l'avesse indotta a commettere l'errore più atroce della sua esistenza. Ma no... Non era questo il giorno in cui i cogiti di Agnieszka si focalizzarono sulla sua creatura, mai nata, mai venuta al mondo, mai conosciuta per suo stesso volere.
    S'era alzata come d'abitudine ad un'ora che alcuni avrebbero potuto considerarla presto, acerba, ma questo faceva parte dell'abitudinarietà della donna. Aveva abbandonato il suo giaciglio e biascicando un poco con i passi, pigiando i suoi piedi completamente nudi - esattamente come la maggior parte degli arti, giacché indosso non aveva che una camicia abbastanza larga, over size che indossava come vestaglia da notte - sul pavimento fresco e scricchiolante - di legno - aveva lasciatosi alle spalle la propria camera da letto: rientrando in quella adiacente, il bagno. Girò il rubinetto del box doccia, avendo avuto accortezza - poco prima- d'aprine le ante di vetro plastificato. Il fiotto d'acqua discese dal soffione creando un suono ritmato, piacevole, conosciuto e quotidiano: il quale però sapeva ugualmente rievocarle alla memoria il suono inconfondibile della pioggia. Aveva da sempre amato la pioggia, anche se come la maggior parte delle persone, aveva trovato molto più stimolante intrattenersi nelle sue attività con un bel sole pronto a splendere nel cielo. C'era assolutamente qualcosa di poetico in quell'acqua che cadeva dal cielo e, mediante questa, grazie ad essa, tutto della natura poteva continuare col suo gioco, con la sua esistenza: apparentemente immobile e immortale. Si privò del solo indumento indossato, che gettò a terra non lungi dai suoi piedi e successivamente entrò nella cabina, lasciando che quell'acqua lambisse il suo corpo tutto: inumidendolo e bagnandolo, partendo dalla cima dei capelli sino alla punta dei suoi alluci.
    Diversi minuti dopo aveva lasciato quella piccola stanza. Indosso, avviluppato al suo corpo c'era solo un ampio asciugamano e sulla testa, un altro, dalla tonalità del prugna sbiadito intento a celarle e liberarla dalle gocce eccessive, i capelli. Provvide alla propria vestizione, optando per un outfits perfettamente adatto alla stagione corrente e alla giornata che prometteva essere quanto più soleggiata e calda. La parte superiore del corpo - dopo aver indossato un comodo reggiseno di cotone - era una tunica, molto leggera e morbida per nulla attillata e aderente. La tonalità del tessuto era d'un intenso blu petrolio, o forse sembrava lievemente sbiadito ma complessivamente il capo non poteva considerarsi così vecchio d'aver ormai perduto la sua originaria vivacità. Gli arti inferiori, vennero invece nascosti dai comodissimi jeans, sottili, anch'essi leggeri abbelliti da qualche strappo sulle ginocchia e sulle cosce, com'era tanto di moda recentemente. Frattanto che provvide a snodarsi il turbante dell'asciugamano dal capo, liberando quindi la chioma scarlatta e intensa, lo stomaco prese a brontolarle senza alcuna moderazione. Per abitudine, faceva sempre colazione. Nulla di esagerato, nulla di troppo carico e corposo. Le piaceva moltissimo sorseggiare un'abbondante tazza di caffè, accompagnandolo a qualche goccio di latte freddo, estratto dal frigorifero: un accessorio che aveva iniziato a possedere dal giorno in cui si trasferì in quella struttura, ch'era divenuta ormai la sua casa. Un elettrodomestico restaurato, giacché dalla forma e dalla moda, richiamava la tipicità degli anni '50 o '60. Oltre alla tazza di caffè, alle gocce di latte d'aggiungerci, c'era chiaramente una bella fetta di pane bianco, sapientemente abbrustolito su ambo i lati: cosparso di burro e confettura. Era sempre in questo modo che riempiva lo stomaco prima d'iniziare con la sua giornata, che fosse di svago o di lavoro.
    Assecondando quel desiderio si mosse nel suo alloggio. Provvide a cibarsi, osservò qualche notifica nuova, comparsa sul suo account facebook - uno dei pochi modi a sua disposizione per tenersi ancora in contatto con la sua famiglia e i suoi amici di Varsavia - e non mancò d'accendersi la consueta sigaretta. Non c'era modo migliore per concludere una colazione o un pasto in generale. Apprezzava davvero moltissimo il profumo, l'aroma, il sapore che quei cilindri farciti di tabacco essiccato - e sostanze non propriamente salutari - erano capace di infonderle nel corpo. Aveva acceso e fumato la sua prima sigaretta a quattordici anni. Non aveva mai avuto segreti con suo padre, e neppure in quell'occasione. Dopo aver comperato accendino, pacchetto e averla gustata - ricordava quanto le vorticò il capo alle prime boccate ma, poi tutto andò scemandosi - passeggiando per il centro storico di Varsavia, incontrandosi col genitore il senso di colpa, l'aver tenuto segreto una cosa così importante e vietata l'aveva spinta a rivelare tutto. Dominik fu comprensivo, anche se le ordinò di non ripeterlo, almeno sicché non sarebbe stata maggiorenne. Abbozzò un sorriso a quel ricordo. Picchiettò la sigaretta sul posacenere, recuperò nuovamente il cellulare. Nessuna email. Nessun ingaggio. Nessuna torta da preparare. Bene: quel sabato sarebbe stato unicamente destinato per sé. Prese una sola bottiglia d'acqua, e si rintanò in quella stanza piccola ma affacciata ad un'ampissima vetrata: dalla quale poteva ammirare in lontananza il bosco e le montagne poste un po' più in là, oltre l'orizzonte. Iniziò a pitturare, scegliendo come tela un quadretto di legno. Mischiò i colori, scelse i pennelli più adatti e lasciò che la sua creatività la trasportasse lontano, permettendole di tingere quanto la sua mente e i suoi pensieri avevano fotografato e rievocato.
    Diverse ore dopo, uscì. Aveva pranzato, aveva concluso quel quadretto e ora poteva immergersi nella natura. Camminò per la via principale di quella cittadina, non mancando di salutare i volti a lei famigliari e conosciuti. Il sorriso, non si spense mai, neppure quando si ritrovò prossima alla boscaglia. Il sole era piacevole, ma caldo. Necessitava di ombra, non desiderava sudare copiosamente. S'inoltrò nella boscaglia, stringendo la borsa a tracolla - molto ampia imbottita di bottiglia d'acqua fredda, lattina di bevanda energetica e qualche snack gustoso e croccante, preparato proprio da lei - s'insinuò in profondità. Camminò, immergendosi in quella natura, il suo habitat naturale, la bellezza ch'era stata capace di ammirarla e affascinarla sin dalla prima volta: dal primissimo sguardo. Poi... Un mutamento. Sembrò un'increspatura, esattamente la medesima cosa d'un sasso, lanciato nello specchio d'acqua immobile. Bloccò qualsiasi movimento, scorgendolo. Un animale selvatico, piccolo, un coniglio, una lepre. Si muoveva leggiadro e quatto, tra il fogliame e il manto smeraldino, ma ombroso. Il musetto e il naso, ondeggiavano, tremolavano insistentemente. Era chiaro, aveva fiutato qualcosa. Agnieszka lentamente s'accovacciò, voltando lo sguardo a suo lato, individuando. Un boccone avvelenato. Non era la prima volta che lo trovava e non era la prima volta che passeggiando in quel punto della vegetazione, aveva scorto finanche i corpi di alcune bestiole: morte per la mera crudeltà umana. L'animale si accorse di lei, la guardò. Fu allora che la capacità di Agnieszka si mostrò. Dilungò lievemente l'arto verso la bestiola. Non disse nulla ma la sua mente gli parlò. "Allontanati. Non lo prenderai né lo mangerai." L'animale l'ascoltò, mise in atto il suo comando e quel boccone, appetibile al suo palato divenne indifferente al suo olfatto e ai suoi sensi tutti.
    Come le succedeva sempre, Agnieszka accusò lo sforzo. La testa prese a girarle, si sentì così debole e molle. Persino gli arti le sembravano troppo pesanti per essere issati o smossi di qualche centimetro. Lentamente, lasciò scivolare le gambe all'esterno della sua figura, ritrovandosi quindi ad adagiare le natiche sul manto erboso. «Ogni volta che ti incontro, Agnieszka, riesci in qualche modo a sorprendermi.» Voltò il capo, lenta certo e anche un po' instabile, ma tutto sommato ancora vigile. Fu una fortuna essersi accovacciata prima. Le sue labbra, però, non persero quell'inconfondibile sorriso. Lo riconobbe. Jude Mikkelsen. Lo aveva conosciuto tempo prima ad una fiera artigianale. Da quel giorno, sporadici incontri per Besaid, saluti, sorrisi, brevi scambi di formale interesse. Il signor Olsen richiese a lei la torta per il compleanno della moglie, grazie a Jude: ovviamente. Le fece buona pubblicità. "Hey..." Lo salutò, oscillando un poco la mano, tenendo le labbra distese. "Beh, fa parte del mio fascino: non lo sapevi? Male, male..." Ribatté, scherzosa, fingendosi anche intenta a rimproverarlo per la mancata osservazione. Jude la vide, poco prima, difatti non perse occasione di domandarle. Sì, l'aveva immaginato. Agnieszka non poteva certamente considerarsi una donna misteriosa o imprevedibile, piena di sorprese come diversamente aveva detto Jude. Dunque era certa che, qualcosa, dovesse averlo stuzzicato. "Sì, in un certo senso. Loro fanno quello che dico." Rispose, annuendo un poco col capo seguendolo con lo sguardo dato che si sospinse al di sotto di alcune fronde d'albero: togliendosi dalla luce battente e calda del sole. "Un'utile capacità, specialmente in tempi come questi. Ci sono sempre dei disgraziati che si divertono nel lasciare in giro bocconcini avvelenati." Comunicò, spiegando quindi anche il perché attuò quel potere: veduto e ammirato silenziosamente da Jude.
     
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    Dall'alto della sua postazione, Jude poté notare un manto di stanchezza sul volto adulto della donna. Altra cosa che, assieme alla sua spiegazione, lo fece propendere per l'ipotesi che si trattasse della sua particolarità. Aveva sempre invidiato chi ne possedeva una da poter usare sul campo, per così dire, individuabile in qualsiasi circostanza e fondamentalmente utile. Non poteva dire lo stesso della propria, ma almeno non aveva causato danni irrepalabili alla sua psiche com'era invece successo alla sua ex moglie. Dunque Agnieszka aveva la capacità di controllare gli animali. Rientrava nella fetta di particolarità a metà tra il buono ed il malvagio a seconda dell'individuo che le possedeva; lei gli era sempre parsa una donna buona e gentile, la quale avrebbe controllato un animale unicamente per il suo bene e non per arrecargli un danno, come invece avrebbe potuto fare un altro tipo di persona.
    Ridacchiò sotto ai baffi all'ironia appena paventata dalla polacca. Ebbene si, qualche sporadica informazione personale era riuscita a carpirla nel corso dei loro incontri di pochi minuti. Non che fosse il classico impiccione tuttavia riguardo le persone che catturavano il suo interesse riusciva a mostrarsi moderatamente curioso. Qualche frase buttata lì quasi per caso, riferimenti generici che portavano ad informazioni specifiche, ormai si rendeva conto di portare il proprio lavoro di poliziotto anche nel suo quotidiano e non è che fosse sempre una cosa di cui andar fiero.
    Una volta trovata un'ombra di fortuna, si sedette a sua volta coprendo il manto erboso con il proprio peso. Aveva messo su qualche chiletto negli ultimi mesi, trovando conforto emotivo nel cibo senza stare a guardare troppo sul sottile; non era stato un buon esempio per Sophie ma trovava più salutare quel rimedio piuttosto che andarsi a devastare di alcool come avrebbero fatto altri nella sua situazione. Un vizio malevolo però che era tornato prepotentemente nella sua vita era il fumo, ma a quello avrebbe pensato più avanti, fintanto che costituiva un buon modo per rilassarsi.
    Riguardo ad altri modi per rilassarsi...beh, nonostante fosse un uomo e dovesse per forza di cose soddisfare determinati bisogni primari, la sua integrità lo aveva portato a mettere in primo piano sua figlia, piuttosto che pensare a come portare avanti la propria vita intima che dall'allontanamento di Isil era passata in secondo piano, azzerandosi totalmente.
    Non sarebbe riuscito ad abbandonarsi ad avventure di poco conto, si trattava di cose riconducibili ad un Jude adolescente e che rappresentavano il suo passato, ciò che era stato prima di metter su famiglia; quello adulto che conosciamo tutti avrebbe pazientato finché il suo cuore non lo avesse condotto verso sentimenti saldi e si fosse sentito pronto a rimettersi in gioco, anche perchè adesso ogni sua scelta, questa più che altre, ricadevano anche sulla sua bambina dunque andavano ponderate a lungo e con meticolosità.
    Stava per replicare quando Agnieszka riprese la parola, dandogli conferma di quanto fosse fondamentalmente buona tanto con gli esseri umani quanto con gli animali. A conti fatti, dedusse che doveva aver intimato a quella lepre di modificare il proprio percorso per evitare di scontrarsi con qualche tagliola, bocconcini avvelenati ed altri pericoli di matrice umana. Annuì col capo, come a farle intendere che era d'accordo con la sua condotta.
    «Non mi è mai capitato di avere sotto tiro elementi simili, ma se dovesse accadere, penso proprio che li sbatterei in cella e getterei la chiave nel water.» le confidò ostentando un'espressione seria che lasciava intendere quanto veritiere fossero quelle parole. Specialmente ora che aveva ottenuto una promozione, sapeva di avere i poteri per fare una cosa simile senza andarci di mezzo come lavoratore. Ora che ci pensava, non era certo che la donna conoscesse la sua professione, poi gli venne in mente un breve incontro tenutosi tra i due presso una zona centrale della città, mentre lui era di pattuglia ed indossava la divisa con distintivo in bella vista. Probabilmente non sarebbe servito parlarle in quel momento del suo lavoro, visto com'era spiccatamente intuitiva ed attenta, era facile che l'avesse già intuita. Lui conosceva già la sua, e durante quelle sporadiche chiacchiere scambiate aveva avuto modo di intuirne i vari dettagli, senza contare che Sophie adorava le sue torte.
    «Vieni spesso da queste parti? Personalmente reputo questi boschi una sorta di rifugio, dove potermi isolare per fare una sana camminata e riflettere.» Su cosa fosse propenso a riflettere in quel periodo era un argomento che, ora che ci pensava, in pochi conoscevano.
    Isil Debenham da molti mesi aveva smesso di frequentare la comunità locale, isolandosi nella loro abitazione ed uscendone solo di rado, per occuparsi di qualche mansione o accompagnare la figlia da qualche amica. Nulla di più. Ed era per questo che nessuno, almeno che lui sapesse, aveva sospettato un suo allontanamento dalla città. Semplicemente i cittadini di Besaid avevano pensato che la sua condizione, nota ai più per via di vistose manifestazioni di risentimento e liti che avevano avuto in luoghi pubblici l'avesse portata a barricarsi in casa lasciando al marito tutti gli oneri che comportavano le quelle quattro mura domestiche.
    Quanto si sbagliavano...Jude non aveva parlato nemmeno con i colleghi più stretti della situazione che stava passando -erano delle comari, inavvertitamente avrebbero sparso la voce e lui non desiderava la pietà di nessuno- così avevano preso il suo essere così serio, scazzato e taciturno come un periodo da crisi di mezz'età che grazie a Dio non aveva ancora raggiunto.
    «Hai figli, Agnieszka?» le domandò di punto in bianco, come se non si trattasse di una domanda intima e personale, ma qualcosa della quale discorrere senza problemi.
    Sapeva che, con ogni probabilità, oltre a rispondergli sarebbe stata portata a porgli la stessa domanda, eppure vi era qualcosa in lei a spronare il danese ad aprirsi, come una forza che lo invitava a mettere da parte i distacchi e ad aprirsi a lei come fosse una persona a lui vicina. In effetti, per qualche strana ragione gli sembrava di conoscerla da tempo anche se di fatto nonostante fossero trascorsi anni dal loro primo incontro poteva di avere di avere una conoscenza davvero sommaria della sua persona.
    Avrebbe lasciato che le cose facessero il loro corso senza stare a porsi troppe domande o indagare il proprio comportamento. Sapeva solo che, per quanto disponesse di una buona parlantina, non era una persona che si apriva facilmente agli altri e che se in compagnia di Agnieszka si sentiva spronato a farlo, era una controprova di quanto fosse positiva per lui. Se avesse incontrato un qualsiasi altro cittadino probabilmente non avrebbe fatto quelle scelte così decise unicamente di godere ciò che di positivo poteva esserci in quell'incontro. Il cappello madido di sudore giaceva immobile di fianco a lui, pigiando contro una stuola di trifogli. Una leggera brezza giungeva da ovest, solleticando la pelle madida di Jude, i cui vestiti gli si erano incollati addosso come un secondo derma. Era abituato a sudare, d'altronde il suo lavoro non lo lasciava stare sempre accoccolato sulla poltrona del suo ufficio cullato dall'aria condizionata. Il più delle volte era in città o sulla spiaggia, o nei boschi, stanando figure che minavano la serenità cittadina; quella era la sua missione quotidiana e gli piaceva pensare di farla al meglio delle proprie possibilità.
    I minuti passavano, ma non avrebbe saputo dire da quanto tempo fosse in compagnia di Agnieszka. Gli sembrava che il tempo si fosse improvvisamente dilatato e non vi fossero più confini temporali che racchiudessero quel momento in cui, semplicemente, stavano scambiando qualche parola come avevano già fatto in passato. Ma la differenza stava nel fatto che questa volata non avevano altre occupazioni a separarli, potevano disporre del proprio tempo come preferivano e pareva avessero scelto di farlo cercando vicendevolmente una compagnia piuttosto apprezzata.
    Jude non sapeva leggere nella mente però era bravo a leggere dentro le persone e se anche non sapeva cosa frullava nella mente della polacca in quel momento, era certo che anche lei provasse simpatia nei suoi riguardi.
    Sapeva poco o niente sul suo conto ed allo stesso modo poteva dire lei, eppure si sentiva divorato da un'invisibile sete di conoscenza, forse vinto dall'occasione di non avere occupazioni più piacevoli con le quali dilettarsi, oppure dal fatto che trovasse quella donna misteriosa ed interessante allo stesso tempo.
     
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    Agnieszka rimase per qualche istante con lo sguardo fisso su Jude. Aveva avuto occasione di conoscerlo la primissima volta a quella fiera artigianale. Ricordava di quel giorno la bella giornata, anche se l'aria risultava un po' fresca a contatto sulla pelle, anche perché la bella stagione stava ormai lasciando spazio a quella più rabbrividente dell'autunno. Alla donna non dispiaceva affatto. Le piaceva l'autunno, specialmente il mutamento che scorgeva nella vegetazione circostante. Le foglie cambiavano gradualmente colori, giungendo a raggiungere sfumature più riconducibili alla terra. Rosso mattone, marrone, giallo intenso e scuro, macchiate leggermente lungo tutta la loro forma e poi, come svogliate, si lasciavano ricadere sul suolo, al primo soffiare di vento. Chiaramente, per quanto una stagione simile possedesse un che di affascinante, romantico persino: qualcosa la spingeva a bramare spasmodicamente le belle giornate estive. Il sole che spaccava le pietre, il venticello che soffiava sulle coste e la possibilità di inumidirsi la pelle gettandosi per una nuotata o in qualche lago circostante, oppure nell'acqua salata del mare. Amava il mare. Amava l'odore della salsedine, forse perché in fanciullezza mai ebbe occasione di potersi intrattenere e divertire con quell'elemento. A Varsavia non mancavano le piscine, ma non era la medesima cosa. Per poter guardare quella distesa d'acqua salata, occorreva spingersi a nord per moltissimi chilometri: un viaggio che la sua famiglia mai aveva affrontato per diversi motivi. I più però potevano tutti ricollegarsi a questioni meramente pratiche e finanziarie. La vita non era molto cara nella sua nazione di origine, però per affrontare viaggi così lunghi e sfiancanti, occorreva comunque spendere una bella porzione di denaro e loro, non potevano considerarsi un gruppetto poco numeroso. Complessivamente erano cinque, compresi lei e i suoi genitori nonché sua sorella e suo fratello, dunque la spesa aumentava notevolmente.
    Comunque si ricordava quel giorno. Era stato infinitamente piacevole e si sorprese finanche delle vendite che aveva ricavato. Rimase piacevolmente stupita, immaginando che quel genere d'oggettistica non andasse per la maggiore ma, come annunciato solo qualche secondo prima: le sue aspettative furono sanate totalmente. Inizialmente Jude l'era sembrato come tanti altri presenti a quella fiera. Ipotetici e probabili clienti. Successivamente però, quando aveva notato gli occhi dell'uomo scivolare sulla merce messa in esposizione, Agnieszka non poté fare a meno di tagliare una fettina di crostata: - preparata da lei ovviamente - permettendogli d'assaggiarla. Un ottimo espediente per incoraggiare la vendita, anche se infine, Jude preferì acquistare qualche oggetto di ceramica creato dalle mani creative della polacca. Qualche scambio di parole, frammezzate da sorrisi e successivamente, quando la compera giunse al termine: si salutarono affabili. Poi... Poi si incrociarono anche a Besaid. Non poterono soffermarsi troppo con le chiacchiere, ma in qualche modo, quel semplice salutarsi, quella sorpresa che spuntò sul volto di Agnieszka - ma sospettò anche in Jude, sia pure seppe mascherarla meglio agli occhi della donna, o almeno queste furono le sensazioni della stessa; quindi del tutto confutabili o contestabili - la indusse a credere che, quell'incontro primissimo, avesse lasciato un ricordo e adeguatamente piacevole comparato alla circostanza. Ne seguirono altri, altrettanto brevi. Ad esempio, non poté non ricordarsi immediatamente quando lo vide camminare per la strada, con indosso quella divisa da poliziotto. In quel particolare evento, Agnieszka era appena uscita dal market della città. Un buco se comparato a tanti altri in altre località, decisamente più popolose. Però, andava detto: in quel market era possibile trovare di tutto. Si salutarono, Agnieszka fece anche una battuta su quella divisa, successivamente lo pregò di non ammanettarla a causa della stessa. Rise, però non si rammentava se lo fece anche lui... Che dire, semplicemente rammentò d'essersi fatta riconoscere anche in quel momento.
    La donna aveva seguito i movimenti di Jude. Lo vide sedersi sul manto erboso, categoricamente all'ombra. Sì, le notò le chiazze di sudore inumidirgli la t-shirt esattamente come probabilmente, sarebbe capitato a lei se avesse camminato per ore e ore, sotto il sole cocente: ma a dire la verità, anche se avesse passeggiato a passo spedito all'ombra. Lei e l'attività fisica... Però notò la struttura dell'ufficiale di polizia. Era solida, robusta, salutare ma non tendente alla pinguedine. Sembrava modellato, dettaglio di cui non si stupì: essendo appunto un poliziotto. Occorreva possedere una certa prestanza fisica per adempiere ad un lavoro simile. Sinceramente non si ricordava l'ultima volta in cui aveva soffermato lo sguardo su un uomo. La sua vita era così piena, interessante, piacevole e leggera, da non indurla a ricercare distrazioni e complessità di questo genere. Beh, come ogni altro essere umano aveva avuto esperienze ma... Dopo quell'ultima, le cose si erano raffreddate molto su quel versante. Come sarebbe potuto essere diversamente? Era difficile giungere al punto di desiderare, volere e sperare nel darsi completamente ad un altro essere umano, mettendo i suoi bisogni al primo posto, finanche al di sopra dei propri e poi scontrare il naso contro il muro della verità: scoprendo che quanto era stato costruito, instaurato corrispose unicamente ad una menzogna. Uomini... Alcuni facevano davvero schifo. Ignobili, immaturi, ipocriti e bugiardi.
    Distolse lo sguardo, dilungando il braccio e andò a recuperare una lattina fresca. La sua bevanda energetica. Riuscì ad aprirla, alzando e pigiando la linguetta e velocemente se la portò alla bocca: sorseggiando con gusto e con voracità. Sì, quel liquido che le discendeva nella gola, la fece sentire subito meglio. Ovviamente quella fu solo una sensazione, era necessario che prima raggiungesse lo stomaco e venisse digerita ma... Quello già fu più che sufficiente. "Vuoi un po'? Mi sembri particolarmente accaldato!" Domandò, non avendo scorto sul momento lo zaino dell'uomo. Poco male, al massimo che sarebbe potuto succedere? Avrebbe rifiutato la sua gentilezza. "Fantastico. Certo che fare il poliziotto ti da' un sacco di soddisfazioni. Se mai ti capitasse l'opportunità, fammelo sapere sarò felicissima di presenziare." Dichiarò, lasciandosi scappare una ridacchiata leggera, facendo tremolare le spalle sottili ma poi, ritornò a sorseggiare la bibita fresca. Un piacere assoluto.
    Jude prese velocemente parola, facilmente a dire il vero. Agnieszka non poté che esserne compiaciuta. S'era fatta un'opinione di lui. Ad esempio, oltre a ritenerlo una persona educata e cordiale col prossimo, l'era parso anche... Riservato e poco dedito alle chiacchierate superficiali, quindi prive di scopo specifico. Con questo non intendeva certamente asserire che fosse scorbutico, ma che preferisse restare sulle sue e mostrare alcuni lati della sua personalità - forse più festosa e gioviale - a chi conosceva da tempo, sì. "Sono sempre qui, per un motivo o per l'altro. Mi sono riscoperta innamorata di questo paesaggio e di questa cittadina, sin dal primo giorno in cui ci ho messo piede quindi... Ogni occasione è buona per esiliarmi qui. E poi... Non sono neanche sola, insomma: come posso dire, con la particolarità che posseggo... Il che mi porta a domandarmi quale possa essere la tua." Parlò, schiettamente, onesta, esponendo i suoi pensieri e dando loro voce senza modificarli o abbellirli in alcun modo. Esattamente come si formarono nella sua mente, presero vita a versi. Issò lievemente il braccio, riportando la lattina alla bocca e, sorseggiò ancora quella bevanda ma, per poco, non le andò di traverso. L'allontanò velocemente, facendo cadere alcune gocce sul labbro inferiore che arricciò come quello superiore: mentre i suoi occhi si sgranarono. Non si aspettò quella domanda, così dal nulla. "Wow! E pensare che in città si vocifera di quanto tu sia uomo così silenzioso." Commentò, scherzando ovviamente ma non mancando di dimostrargli il suo stupore. Agnieszka poi, distolse lo sguardo da lui, lo volse distrattamente alla fronde di quell'albero prossimo loro, respirò profondamente e poi, semplicemente, scosse il capo: negativamente. Il pensiero di quel bambino o quella bambina mai nato/a, non l'abbandonava mai. Di lei o lui, non disse mai niente ad alcuno, neanche al suo ex. Prese una decisione pensando di fare bene, di agire con razionalità... Ma ancora adesso, si domandava se fosse stata quella la scelta più giusta. "No, non ho figli." Sussurrò, ritornando a guardarlo, gli sorrise ancora ma lo sguardo della polacca un poco si rabbuiò. Il dubbio, il tarlo, era ancora così pungente e vivido. Anche a distanza di anni. "E tu? Hai figli?" Domandò, risvegliandosi da quello stadio di blando torpore, rendendosi conto anche d'essersi sporcata. La goccia sfuggita dal labbro inferiore si era distaccata dalla pelle della donna, insinuandosi e bagnando le fibre del tessuto del suo indumento. Chinò il capo, condusse la mano sulla piccola macchia e la sfregò col palmo e le dita, ma ormai non c'era niente da fare. Appena si sarebbe asciugata, sarebbe rimasto quell'alone e, doveva solo sperare che con un ciclo di lavatrice fosse scomparso completamente.
     
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    Gli fu offerta una bibita fresca, una di quelle energizzanti che Jude aveva visto acquistare spesso agli sportivi che come lui si recavano nel negozio più fornito della città. Non era uno spazio eccessivamente grande, ma vantava ben due piani ed i corridoi erano suddivisi per settori, una specie di paradiso sia per gli atleti di un certo livello sia per amanti dello sport come lui che lo praticavano per diletto e non per professione. Essendosi trasferito a Besaid in età adulta non aveva visto quel luogo con gli occhi fanciulleschi e sgranati di chi vi entrava senza nemmeno conoscere tutti gli sport vagliati, come i bambini, e nemmeno ci aveva pensato finché non aveva portato la sua bambina e visto con i suoi occhi quanto un luogo simile potesse entusiasmare qualcuno. «Non hai tutti i torti.» le confidò, ringraziandola subito dopo ed afferrando la lattina dalla sua mano aggraziata. Fredda la tatto, bastò già quella sensazione a rinfrescare il corpo accaldato del poliziotto. Quando la portò alle labbra serrò le palpebre, beandosi di quel momento e gustando la sensazione di frescura che la bibita gli donò. «Ci voleva proprio!» aggiunse asciugandosi labbra e baffi con il dorso della mano, riallungando a sua volta la lattina alla sua proprietaria. Gli dispiacque separarsene e se pensava alla sua bottiglia d'acqua la cui temperatura ormai doveva aver raggiunto quella del mare alla riva, il gesto gli risultò ancora più complicato. Doveva avere una borsa termica o qualcosa di simile per essere riuscita a mantenere la lattina così fresca; si appuntò mentalmente di comprare qualcosa di simile anche lui, magari una di quelle borse di piccole dimensioni che si possono inserire all'interno degli zaini. Ammesso che esistessero. Nemmeno si domandò se potesse darle fastidio il contatto con la medesima superficie -non che avesse una qualche malattia- ma giunse alla conclusione che, se gliela aveva offerta, voleva dire che da buono scout non la schifava bere dalla stessa bottiglia di qualcun altro. Ascoltò con vivo interesse la spiegazione della donna circa il motivo per cui si trovava in quel luogo. Annuì col capo, specialmente quando Agnieszka glie spiegò quanto per lei passeggiare da quelle parti non costituisse un esser soli. La cosa lo incuriosì non poco visto che lui, a conti fatti, non aveva mai considerato le creature del bosco come delle compagnie mentre passeggiava nella vegetazione. Ed era una considerazione stupida, al contrario di quella della corsa, che invece denotava una grande sensibilità ed un amore verso le creature che lo stupì. Forse era stata affinata dalla particolarità che la città le aveva donato, oppure era una cosa intrinseca nella sua personalità. Chi poteva dirlo?
    «Non avevo mai visto la cosa da questo punto di vista.» ammise con un sorriso disteso, grattandosi i capelli spettinati. «Denota una grande sensibilità da parte tua. Poi certo, la particolarità renderà ancora più interessante la tua interazione di quanto potrebbe accadere per esempio a me, che più che limitarmi ad ascoltare i suoni degli animali, vederli di sfuggita o cercare di avvicinarli, non posso fare.» Terminò la frase con un'alzata di spalle, ostentando l'aria mesta di chi sta invidiando qualcun altro. Per un attimo desiderò essere Agnieszka Lewandowski, poter parlare con gli animali (cosa che, se non aveva inteso erroneamente, era in grado di fare) e controllare il loro volere in virtù della loro salvaguardia. Non era una cosa da poco e rientrava nella lista di particolarità che ogni volta che ci pensava lo facevano sentire ancor più fiero di vivere lì, piuttosto che in un qualsiasi angolo di mondo, nonché grato e con un maggiore senso di responsabilità nei riguardi del proprio lavoro e delle vite che salvaguardava. In senso lato lui e Agnieszka potevano dire di avere la medesima fortuna e l'obbligo morale di salvaguardare l'incolumità lei degli animali e lui delle persone che risiedevano a Besaid. Una similitudine che poteva in qualche modo avvicinarli, per quanto lo riguardava, e che sicuramente gli faceva apprezzare ancora di più la sua persona ancora tutta da scoprire.
    Era per natura un buon chiacchierone, su questo non ci piove, però vi erano persone che lo spronavano in tal senso mentre con altre finiva presto sia gli argomenti di conversazione che la voglia di continuare a discorrere con loro. Carpire l'interesse di Jude non era così facile come si potrebbe pensare ed era un uomo piuttosto esigente; non sapeva se fosse un pregio o un difetto ma a differenza di altre peculiarità caratteriali non si era preso la briga di smussarlo ritenendolo una cosa negativa.
    Trasse dallo zaino un fazzoletto di carta col quale si asciugò la fronte e la parte interna dei gomiti, i punti più critici per quanto riguardava il sudore accumulato. Notò che la pelle stava rapidamente assumendo una colorazione ramata, segno di una sicura abbronzatura -nonostante il suo incarnato fosse naturalmente chiaro, di rado si scottava- e rammentò tutte le volte che aveva correttamente imposto a Sophie di mettere la protezione solare, senza darle però il buon esempio. Come la maggior parte degli uomini, detestava coprire la pelle con cose appiccicosi come le creme solari; al massimo aveva adoperato degli spray specifici, anche se la commessa gli aveva confidato che non erano efficaci quanto le creme che, spalmate, penetravano più in profondità nella cute, proteggendola maggiormente.
    Quando le domandò se avesse figli, però, fu come se il clima disteso delle loro chiacchiere si fosse oscurato da un manto invisibile ma opprimente. Vide qualcosa calare sui tratti per disegnati della donna, come un'ombra, e notò il cambio repentino di espressione nonostante fu chiaro che ella cercò di non palesarlo. Pensò che forse, vista l'età che gli era capitato di apprendere durante uno dei loro incontri, forse sentisse quello che formalmente veniva denominato orologio biologico. Rammentò una sera, quando ancora le cose con Isil non erano andate distrutte, di aver visto assieme a lei un programma televisivo nel quale veniva spiegato che già a trent'anni una donna poteva dirsi leggermente meno fertile di quando ne aveva una ventina (oltre a qualcosa legato al numero di ovuli che però non ricordava) e che superati i trentacinque le probabilità di restare incinta non solo calavano drasticamente, ma si potevano presentare anche problemi durante la gravidanza. Sperava non anche per il feto, di quello il conduttore televisivo non aveva parlato, ma comunque si evinceva che le donne arrivate a quell'età avevano una sorta di campanello d'allarme, rendendosi conto che ormai o si giocava o si rischiava di perdere la partita.
    Qualunque fosse il motivo di quel cambio di umore, di certo se Agnieszka non desiderava avere figli non avrebbe avuto quel cambio di umore. Forse non poteva, forse ne aveva avuto uno ma lo aveva perso in gravidanza, innumerevoli potevano essere le motivazioni ma se non gliele aveva fornite, affrettandosi invece a controbattere con la stessa domanda postagli da lui, voleva dire che non desiderava metterlo al corrente ed ovviamente rispettava tale scelta.
    A quella domanda, la sua mente andò alla sua bambina, probabilmente intenta in quel momento a fare qualche gioco di gruppo assieme agli altri bambini. Alcune madri erano rimaste alla festa per controllare la situazione e scambiare quattro chiacchiere, Sophie non aveva visto la sua presenziare a quel piccolo evento, e ciò si sarebbe ripetuto in qualsiasi altro evento analogo. Lo rattristò quella mera verità, ma non poteva farci niente se non starle vicino. «Si, ho una bambina di cinque anni.» Avrebbe potuto limitarsi a quella semplice rivelazione, condita di un sorriso che lasciava intendere quanto fosse orgoglioso di lei. Invece qualcosa si smosse dentro di lui, come un flusso invisibile, che lo portò nuovamente ad aprirsi con Agnieszka, rivelandole dettagli ignoti anche a persone che vedeva quotidianamente, come i suoi colleghi. «Si chiama Sophie, un nome francese come la madre.» intrecciò le dita delle mani, fattesi improvvisamente più sudate di prima. Di tanto in tanto staccava lo sguardo da quello della sua interlocutrice, per perdersi in visioni visibili solo a lui. «Questa città cambia tutti, ma non è scontato che accada in positivo. La mia ex moglie, ad esempio, dopo il trasferimento aveva assunto una particolarità che la stava letteralmente facendo impazzire...» abbassò lo sguardo, conficcandolo su un ammasso d'erba ingiallita dal caldo. «Non ha retto negli anni ed alla fine ha abbandonato sia questa croce che portava addosso come un cancro, sia noi.» Seguì una pausa prima che tornasse a guardare dritto negli occhi multicolore di Agnieszka, quel mattino verdi come tutto ciò che li circondava.
    «Stiamo cercando di superare il colpo, forse Sophie ci riesce meglio di me. Ma è dura.» ammise infine con un'alzata di spalle. Erano passati ormai diversi mesi e tutte e tre avevano trovato una specie di equilibrio, tra visite e questioni prettamente burocratiche. Il cuore però è un organo che si ripara lentamente, di pari passo con i sentimenti perduti. Deciso a non far si che le loro chiacchiere sfociassero unicamente in cose negative come la questione figli, l'uomo pensò di farle una proposta, che avrebbe permesso ad entrambi di beneficiare ancora della reciproca presenza. «Ti andrebbe di seguire il percorso X-234? Dovrebbe condurre ad un lago naturale davvero suggestivo. Non dovrebbe mancare molto, ma se si prosegue per quel sentiero si arriva da tutt'altra parte.» le spiegò indicando con l'indice il sentiero che probabilmente stava seguendo Agnieszka prima di incontrarlo.Non desiderava cambiare i suoi piani e sebbene il sentieri dove probabilmente era diretta conduceva ad una piccola baita e ad un succulento pasto montanaro, era impagabile rispetto alla visione di quel lago dove spesso era andato assieme ad Adam.
     
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    Agnieszka non poteva considerarsi una donna schizzinosa. Naturalmente vi erano delle cose che riuscivano ad infastidirla, irritarla, o semplicemente disgustarla, ma complessivamente - forse l'aver sempre vissuto in una famiglia particolarmente unita, per di più moderatamente numerosa e quindi; (mero esempio) capace di lasciare le bottiglie di acqua nel frigorifero e servirsene, berne il contenuto direttamente dalla bottiglia, senza neanche recuperare un bicchiere ad ogni singolo sorseggio - questo frangente non rientrava nell'insieme. Sostanzialmente, non poteva né doveva considerarsi tale. Chissà quanti altri avrebbero reagito nel medesimo modo. Chiaramente, il tipo di confidenza con una persona, avrebbe potuto indurre e incoraggiare un determinato tipo di comportamento. Persino le persone più schizzinose potevano dimenticarsi di questo genere di nefandezze, se dinnanzi a loro avevano amici, parenti, intenti a soffrire terribilmente di sete e loro, possessori della sola fonte capace di confortarli e dargli ristoro. Tra Agnieszka e Jude, però, non era in atto e non si era instaurato nulla di simile, in sostanza, tra loro non scorreva il medesimo sangue - o quasi - nelle vene. Non erano legati da alcun tipo di parentela, sia pure alla lontana e, certamente, non potevano neanche considerarsi amici di lunghissima data e quindi, molto in confidenza. Pur tuttavia, Agnieszka aveva reagito e provveduto a comportarsi, esattamente come avrebbe fatto nei confronti di un individuo conosciuto da moltissimo tempo: quasi da una vita. Il suo essere poco schizzinosa, c'entrava esattamente come no. Era strano, semplicemente bislacco e apparentemente inspiegabile. Le circostanze in cui Jude e lei, avevano avuto modo di relazionarsi, conoscendosi o semplicemente scambiando qualche parola, potevano effettivamente contarsi sulle dita di due mani, o forse una e mezza. Come precedentemente illustrato, il loro primo incontro era avvenuto durante quella fiera d'artigianato e susseguentemente, gli altri, avvennero proprio nel cuore di Besaid. Saluti, strette di mani, alcune domande di circostanze, qualche ridacchiata, qualche istante trascorso insieme, nel bel mezzo di un marciapiede con tante altre persone che passavano accanto a loro e, da non dimenticarsi, anche qualche rivelazione e raccomandazione in merito al suo lavoro: dato che Jude le fornì i nomi di alcuni clienti. Stilando queste occasioni e quantificandone anche il tempo di trascorso, non si potevano certamente considerare amici. Essere amici, per Agnieszka, significava trascorrere insieme il tempo, intrattenendosi in attività più o meno intese, conoscersi, parlarsi, esponendo i propri pareri, le proprie considerazioni sul mondo e sulle questioni di grande levatura così come di piccola. Entusiasmarsi per i successi dell'altra o, diversamente, essere sempre pronti a risollevarsi vicendevolmente l'umore davanti ad eventi angoscianti, dubbiosi e poco motivanti. Queste due cose, mai successero né li unirono. Quella, effettivamente, poteva considerarsi la primissima volta in cui, Jude e Agnieszka si ritrovavano a chiacchierare, senza commissioni che li spronavano a concludere velocemente quell'incontro. Nulla avrebbe mutilato o gustato quegli istanti e... Ed era strano, peculiare, atipico, il modo in cui Agnieszka si sentì. Pur conoscendosi poco, si atteggiarono entrambi con innata disinvoltura. La donna aveva offerto da bere all'uomo, porgendogli la propria lattina di bibita e lui l'aveva accettata. Aveva bevuto, dissetandosi e successivamente l'aveva porta a lei, la legittima proprietaria... E Agnieszka, aveva bevuto dalla stessa, come se niente fosse. Tutto questo non poté che farla sorridere e, quello slancio delle labbra, venne aumentato e mostrato ulteriormente, dallo sguardo che assunse Jude. Osservò quella lattina a malincuore, come se mai avesse voluto liberarsene e separarsene. Assomigliò tantissimo ad un bambino, deluso di non poter restare ancora a giocare in qualche parco giochi, in compagnia del nuovo amichetto: conosciuto qualche ora antecedente. Agnieszka non disse niente, chinò semplicemente il mento, e - prima sistemò la lattina non lontano dal suo fianco, appoggiandola sul suolo - con entrambe le mani, andò a recuperare un'altra lattina, intatta e fresca come la precedente.
    "Tieni..." Dichiarò, porgendogli quella nuova lattina, cosicché l'uomo potesse dissetarsi senza doversi moderare in alcun modo, spinto ovviamente dall'educazione e dalla circostanza. "Se hai qualcosa con te, puoi darla a me. Questa borsa permette di mantenere le cose al fresco. L'ho presa in quel negozietto del centro, non so se hai presente... Non è costata neanche troppo, in effetti!" Disse, illustrando forse dettagli ai quali Jude avrebbe fatto volentieri a meno. Però, fu un ottimo espediente per proseguire nella loro conversazione; anche se tali strategie non fossero necessarie. Sia lei che l'uomo, sembravano molto a loro agio nel parlarsi. «Non avevo mai visto la cosa da questo punto di vista. Denota una grande sensibilità da parte tua. Poi certo, la particolarità renderà ancora più interessante la tua interazione di quanto potrebbe accadere per esempio a me, che più che limitarmi ad ascoltare i suoni degli animali, vederli di sfuggita o cercare di avvicinarli, non posso fare.» Recuperata la sua lattina, svuotata per buona metà, Agnieszka la portò vicinissima alla bocca, ma non si dedicò ancora a sorseggiarne il contenuto. Si bloccò, semplicemente, perché interessata d'ascoltare quanto Jude desiderava dirle. Rimase ad osservarlo per tutto il tempo, catturando quindi alcune gestualità o particolarità tipiche, incredibilmente personali, una sorta di minime sfumature che chiunque possedeva e attuava, del tutto inconsapevolmente: quando ad esempio, si ritrovava intento a discorrere con qualcuno. Alcuni, gli esperti a dire la verità, asserivano come la comunicazione verbale non fosse che una piccolissima fetta. Esisteva la comunicazione non verbale, mediante la quale, due persone ne facevano uso, senza intenzione di sorta, ma riuscendo ugualmente a lanciare all'altra messaggi inequivocabili. Un piccolo esempio, l'assumere la posizione delle braccia incrociate durante una conversazione. Indubbiamente esplicava un atteggiamento di chiusura, un'intenzione inconscia nel non volersi lasciar immischiare dalle argomentazioni trattate o semplicemente, un mezzo per manifestare la propria timidezza. Dunque, Agnieszka, guardò quello in Jude. Atteggiamenti, lievi gestualità che potessero descriverle qualcosa: anche se ovviamente non possedeva le competenze e le basi tali da giungere ad una rivelazione esaudiente. Il suo sarebbe rimasto nient'altro che ipotesi. "Qualora vorrai provare ad avvicinarti ad un animale che ti affascina ma che, in natura, eviterebbe qualsiasi contatto con te, sarò felice da permetterti e avvantaggiarti nell'incontro." Disse Agnieszka, fornendogli quindi la possibilità di provare anche se in lievissima forma, un contatto ben più ravvicinato e diretto con la particolarità stessa della donna e le possibilità che da questa potevano sfruttarsi. Naturalmente, bonarie e nel totale e completo rispetto per l'animale.
    Agnieszka non avrebbe mai voluto essere così chiara, di facile comprensione ma, non poté evitare di sentirsi addosso lo sguardo scrutatore - anche se non indisponente - di Jude, appena aveva replicato alla sua domanda e, conseguentemente, la reazione che aveva avuto alla stessa. Non poteva farci niente, quell'argomento rappresentava ancora per lei una sofferenza, un tarlo, un dubbio e un'incertezza. Si chiedeva se avesse agito bene, pur avendo avuto tutte le basi per avvalorare e supportare la sua scelta e decisione. Si era ritrovata in una situazione difficile. Economicamente, aveva perduto il lavoro - dato che la caffetteria fu chiusa dal proprietario - e pur avendo dei soldi in banca, quelli, sarebbero scesi velocemente fino a scomparire del tutto: specialmente per le varie spese che l'arrivo di un bambino avrebbe causato. Poi, c'era da considerare il fatto che, si sarebbe ritrovata completamente sola a crescerlo. Il padre, lo aveva lasciato - dopo averlo visto sbattersi la giovanissima assistente ventenne - e per quanto riguardava la sua famiglia, erano tutti a Varsavia. La vita di Agnieszka era invece a Besaid. Non avrebbe mai potuto chiedere ai suoi genitori di trasferirsi, esattamente come lei non avrebbe mai potuto lasciare quell'angolo di mondo, quel paradiso così atipico quanto pittoresco. Per concludere, c'era quell'aspetto così vincolato alla sua natura. Agnieszka non aveva mai immaginato di vedersi madre, sapeva essere un ruolo a lei totalmente sbagliato. Solo immaginarsi tale, una palpitazione la colpiva e l'ansia la dilaniava. Ma poi... C'era anche quel fatto, piccolo, latente, sottile, impercettibile ma abbastanza forte... Sarebbe mai stata capace d'amare un bambino, o una bambina, che per sempre le avrebbero ricordato quell'uomo? Fattori, tutti importanti, tutti concatenati che l'avevano spinta ad abortire. Però il tarlo non la lasciava mai. Pensò bene di ribattere, ribaltando la domanda a Jude. Sorseggiò la sua bibita, e si ritrovò anche a giocherellare lievemente con la lattina, facendola ondeggiare col semplice ruotare del polso: mentre la voce dell'uomo raggiungevano le sue orecchie. Agnieszka scoprì quindi che il poliziotto era padre di una bambina di cinque anni, Sophie. Il nome era francese, come quello della madre. "Chissà che donna è, che aspetto ha?" Domandò immediatamente a se stessa, lasciando risuonare la voce nella sua mente. Presumibilmente capitava solo a lei, però, talvolta la sua curiosità o semplicemente il suo estro creativo, la portava e l'influenzava nel porsi questo genere di domande. Spesso si domandava che genere di persona, quale aspetto potessero avere in particolare, coloro che stavano al fianco dei suoi conoscenti ed amici: quando ad esempio, la loro relazione era ancora agli esordi e quindi, si rifletteva bene prima di presentarli a famiglia e compagnia. Per cui, prontamente cercò di raffigurarsi nella mente la compagna del poliziotto. La immaginò scura di capelli, moderatamente lunghi, dal corpo tonico e femminile. La dipinse nella sua mente, come una donna poco più giovane di Jude e dalla figura lievemente slanciata: quindi non particolarmente alta. Agnieszka, schiuse lievemente le labbra volendo esternare tanta curiosità ma... Quanto aveva detto e proferito Jude di seguito - ossia le difficoltà che avevano riscontrato quando misero piede a Besaid, di come la particolarità della moglie l'avesse spinta a lasciare lui e la figlia, oltre che la cittadina e, di come - forse a distanza di alcuni anni - ancora la ferita non era stata rimarginata - l'aveva costretta a tacere. Sì, conosceva poco Jude, sì erano circostanze per nulla nuove e talvolta, segnavano profondissimamente un mucchio incalcolabile di gente ma... Agnieszka si dispiacque. Jude, dopotutto, sembrava una persona buona, genuina e onesta. Dispiaceva sempre quando tali delusioni toccavano animi sensibili e affabili. Dilungò l'arto mancino, quello libero e con esso andò a sfiorare lievemente il ginocchio dell'uomo. Gli diede solo una pacca, leggera e neanche troppo prolungata dove, il palmo della donna, sfiorò anche il tessuto dei pantaloni sportivi del poliziotto: quindi, non si prese confidenze eccessive. Fu un modo per dimostrargli il dispiacere provato. "Ti conosco poco ma, sono sicura che ne verrai fuori." Disse semplicemente, esplicando proprio ciò che pensò. "E se no... Beh, ti farò la scorta di queste bibite così sarai costretto a correre come un'indemoniato per tutta Besaid e finirai così stanco e stremato da non aver tempo di rimuginarci su!" Commentò, tentando di fare dell'ironia, di spezzare quindi quella tensione e quell'atmosfera poco giocosa.
    Agnieszka ridacchiò, leggermente, squassando le spalle, ma quello sbuffo ilare scemò gradualmente e velocemente: esattamente come si era palesato. I suoi occhi ritornarono su Jude e le sue orecchie, ascoltarono la sua proposta. Mosse il capo, annuendo con entusiasmo! "Sì, certo! Ben volentieri! Non penso d'esserci stata, anche se potrei dire una sciocchezza..." Esclamò la donna, finendo la bibita e sistemando la lattina all'interno della borsa, cosicché non l'ambiente non venisse inquinato. Quando e se avesse trovato un cestino, avrebbe avuto cura di gettarlo lì. "Ehm... Solo una cosa, Jude!" Iniziò dicendo, dilungando entrambe le braccia verso di lui. "Un aiutino? Ti spiace?" Domandò, porgendogli e mostrandogli i palmi. Agnieszka era scivolata priva di energie, dimezzata dalle stesse, a causa di quella particolarità sua, personale e, avvertiva un po le gambe pesanti. Una spinta verso l'alto, sicuramente l'avrebbe aiutata alquanto.
     
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    Jude Mikkelsen non era mai stato un gran bevitore, né di super alcolici né di bibite che si discostassero per sapore a della semplice acqua. Da ragazzino era stato schernito per questo, ma allora così come adesso il giudizio altrui non gli aveva importato. Avrebbe dunque garbatamente rifiutato la nuova lattina offertagli, ma la sete era troppo impellente perchè potesse farlo, così si beò di quel nuovo liquido fresco senza esitazione. Solo quando si trovava in quelle situazioni si rendeva davvero conto di quanto la forte calura fosse facilmente contrastabile dai liquidi ghiacciati; ti facevano riprendere quasi istantaneamente, rinvigorendo non poco, seppur per poco tempo. La ringraziò nuovamente, trovando nell'organizzazione di Agnieszka una nuova nota positiva del suo carattere. Certo, era piuttosto convinto che anche la componente maturità avesse avuto la sua parte, ma conosceva alcune mogli dei suoi colleghi che, al contrario, pur avendo ancor più anni della rossa si mostravano disorganizzate alla stregua di quindicenni ancora sotto il tetto genitoriale. Dunque si, era facile che fosse una cosa propria della sua compagna di camminata.
    Alla sua domanda picchiettò sullo zaino ancorato alle sue spalle, facendolo vibrare leggermente. «Con me ho solo una bottiglietta d'acqua ormai della stessa temperatura delle acque termali, dei fazzoletti ed una cartina. Nonostante i lunghi giri fatti in questi boschi negli anni, nutro sempre un barlume di timore di perdermi.» ammise con una scrollata di spalle, come se la cosa non lo ponesse sotto una luce meno virile. Era una persona che ammetteva senza troppi problemi i propri limiti, così come le proprie colpe, a volte errando nel giudicarsi con troppa severità. Adam gli aveva mostrato sentieri che solo i nativi del luogo conoscevano ed il più delle volte le passeggiate alle quali Jude aveva appena alluso erano state fatte proprio in sua compagnia. Si domandò se Agnieszka lo conoscesse, cosa non così scontata nonostante le ristrette dimensioni di Besaid. Adam Kane non era un uomo di mondo e come un cacciatore di sua conoscenza, era difficile vederlo attorniato dalla folla. Non che avesse una repulsione o paura delle masse, ma amava la propria privacy ed i suoi amati boschi. Una cosa che Jude gli aveva sempre invidiato poiché lui, sia alla centrale sia in qualunque aspetto del proprio lavoro, si trovava costretto ad avere a che fare con molte persone anche quando avrebbe anelato l'isolamento. E nell'ultimo periodo trascorso con Isil, più volte aveva avuto tali segreti desideri irrealizzabili.
    «Volentieri!» disse annuendo col capo, come un bambino al quale è stato appena promesso l'ingresso al luna park. «Ci sono tantissimi animali che vorrei vedere da vicino, toccare se possibile. In primis l'orso polare. Mi affascina sin da quando ero bambino, con la sua imponenza e quell'aria bonaria e giocherellona...ecco, sempre se me lo rendi un tantino docile.» aggiunse ammiccando nella sua direzione. Aveva sempre detestato andare allo zoo e anche Sophie l'aveva portata una sola volta. Non poteva vedere gli animali in gabbia o drogati per essere resi più docili e mansueti; la particolarità di Agnieszka era ai suoi occhi una naturale manna dal cielo. Un altro animale che sa sempre Jude aveva adorato era il panda. Dio solo sapeva quanto quell'animale, giocoso quanto l'orso bianco, ma di dimensioni ed indole più avvicinabile, lo entusiasmasse tanto! Spesso i suoi amici lo avevano paragonato a quell'animale, perché Jude era un bonaccione dall'aria un pò pigra come un bradipo ma che se preso per il verso giusto poteva rivelarsi un amabile giocherellone. La sua stazza, inoltre, piuttosto impattante e ben tornita da anni di allenamenti in Centrale, aggiungevano quel tocco pandoso al tutto. Avrebbe desiderato poterne abbracciare un esemplare, sentendosi finalmente realizzato.
    Quel pensiero generò un sorriso sui suoi tratti stanchi, subito assopito quando si trovò a doverle confidare la sua situazione familiare. Non ne aveva parlato con persone che vedeva praticamente ogni giorno, tra colleghi e commercianti che poteva dire di conoscere da una vita, eppure trovava più facile confidare quel genere di cose a persone poco conosciute, come nel caso di Agnieszka, piuttosto che con quella cerchia di conoscenti intimi.
    Apprezzò il tentativo della donna di rendere la conversazione più distesa, anche se purtroppo quell'ambito della sua vita ultimamente quasi mai lo portava a distendere le membra, abbandonandosi ad un sorriso ad esempio. Aveva trovato nell'idea del lago il pretesto non solo per cambiare discorso, ma anche di proseguire il suo cammino beandosi della sua compagnia. Le strinse i palmi delle mani attento a non farle male e la issò come se avesse tirato su un ramoscello. Aveva il suo peso, per carità, ma per uno come Jude abituato a pesi ben maggiori era qualcosa di talmente minimo da non pretendere da lui il minimo sforzo. Si sincerò di non averle fatto male e, ancorato alla salda presa della mancina ciò che restava della bevanda, riprese il cammino questa volta non in solitaria. Siccome lo spazio non mancava, fece in modo di non superare la rossa -non voleva passare per colui che si improvvisava conoscitore di luoghi che in verità credeva di conoscere appena.
    Il sentiero era ben delineato, grazie a piccoli segni colorati tracciati da mani esperti su dei massi o cartelli intagliati nel legno che offrivano anche le sommarie distanze per raggiungere la meta. Il caldo non accennava a diminuire, d'altronde si avvicinava l'ora di punta e lui avrebbe dovuto tenerne conto per il rientro. La madre dell'amichetta di Sophie gli aveva assicurato di poterla tenere anche a pranzo, ma siccome quel giorno aveva un turno pomeridiano a lavoro avrebbe desiderato trascorrere qualche ora con la sua bimba prima di doversi assentare di nuovo. Sentiva che la stava trascurando, anche se in verità aveva ben poco da recriminarsi, quindi sperava di poter sistemare presto le cose in un modo o nell'altro.
    Di tanto in tanto si udivano i cinguettii degli uccelli ed il canto delle cicale a fare da contorno sonoro non solo al loro cammino, ma anche alle chiacchiere che non si sprecavano, come fossero amici di vecchia data. Di norma Jude aveva un'indole e dei modi che gli permettevano di trovarsi a proprio agio più o meno con tutti gli individui che gli andavano a genio, ma restava sempre stupito di fronte a determinate categorie di persone, delle quali Agnieszka faceva parte, in grado di stupirlo positivamente. Come predetto il lago non era eccessivamente distante da dove si erano incontrati e colmò il loro sguardo con tutta la sua magnificenza.
    L'acqua aveva assunto le tinte verdeggianti della folta vegetazione, somigliando ad una pietra smeraldina ben cesellata, ed era immobile come se non tirasse un filo di vento. Jude provò ad immergere la mano, provando un brivido a contatto con il freddo. Si sedette sulla sponda, poggiando il busto contro ad una roccia sporgente ed invitando l'artista a fare altrettanto. «Sebbene l'idea mi alletti, l'acqua è troppo gelida per permettere un tuffo. Sono una persona freddolosa, sai? Abituarmi al clima rigido di queste parti non è stato facile.» le confidò, non ricordando se le avesse mai rivelato quale fosse il suo paese d'origine. La Danimarca prevedeva inverni rigidi, ma mai come quelli polacchi, russi o norvegesi e vi si era dovuto abituare suo malgrado.
    «Purtroppo non potrò restare molto.» proferì osservando il rolex ancorato al suo polso. Non era una persona che amava sbandierare il fatto che non avesse difficoltà economiche, ma che al contrario nutrisse un gran patrimonio, ma non si precludeva qualche vizio costoso come quello. Gli orologi da polso, specialmente dal quadrante enorme, erano una delle sue più grandi passioni e ne aveva una quantità industriale a casa, tutti diversi per colori e forme. «Devo andare a prendere Sophie che ho lasciato a casa di un'amica e poi mi aspetta il turno in Centrale.» si affrettò a spiegare, trovando troppo riduttiva la frase precedente. Avrebbe dovuto tener conto anche del tempo da impiegare per fare ritorno al pick up, dunque a conti fatti non gli restava molto tempo. Allungò una mano e trasse dallo zaino il telefono. «So che potrà sembrare una cosa un pò puerile, ma ti andrebbe di immortalare questo paesaggio ed il nostro simpatico incontro con una foto?» le domandò un pò imbarazzato. Okay era una cosa da ragazzini però Jude credeva nel potere delle fotografie e quando era sprovvisto della Canon sfruttava quel minuscolo mezzo tecnologico per immortalare i momento che riteneva piacevole poter ricordare non solo tramite il ricordo, ma anche visivamente.
     
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    «Con me ho solo una bottiglietta d'acqua ormai della stessa temperatura delle acque termali, dei fazzoletti ed una cartina. Nonostante i lunghi giri fatti in questi boschi negli anni, nutro sempre un barlume di timore di perdermi.» In qualche modo il commento e la considerazione di Jude portarono Agnieszka alla riflessione. Non c'era assolutamente niente di male, chiunque poteva portarsi appresso qualsiasi cosa desiderasse e di cui abbisognasse, tuttavia, andava anche detto - o quanto meno Agnieszka era libero di pensarlo - come questo aspetto di Jude le risultasse alquanto nuovo. Chiaramente, non si conoscevano così tanto da poter indurre la rossa ad affermare cosa fosse dal poliziotto e cosa invece lo descrivesse poco, ma talvolta con le persone che si conoscono poco, si cade nell'errore di considerarle in un modo, facendosi delle idee che in seguito poi, si dimostrano completamente diverse dalla realtà. In questo caso, Agnieszka, aveva immaginato Jude quale un uomo e una personalità capace di orientarsi senza alcuna difficoltà, nonché quindi, capace di uscire dalla propria casa per andare da qualche parte, disinteressandosi di quelle peculiarità che avrebbero potuto indurlo ad un errore di direzione o tragitto. C'erano tantissimi uomini così. Loro sapevano tutto, loro erano consapevoli di cosa facevano e quando invece, si ritrovavano davanti ad un cartello stradale nuovo o alla viabilità modificata - magari grazie all'insorgenza di una circonvallazione costruita nel corso del tempo - erano capaci di perdersi in un bicchiere d'acqua. Lo aveva vissuto personalmente.
    Agnieszka non avrebbe mai potuto dimenticare quella sorta di gita romantica, per il weekend con quello che al tempo fu il suo compagno. Lei era così emozionata, eppure, non mancò di preparare tutto quanto il necessario per rendere piacevole quel distacco dalla città. Diversamente, l'uomo, aveva speso davvero molto poco per la preparazione di ogni peculiarità interessante il viaggio. Agnieszka lo aveva ribadito molte volte: "Prendi la cartina mi raccomando!, Guarda meglio la strada, controllala su internet, su google maps!" e tutto quello che aveva ricevuto era un annuire di capo, con fare superficiale e disinteressato, nonché qualche esclamazione un poco più decisa, ove, la intimava d'impicciarsi degli affari suoi, perché lui sapeva. Seh, sapeva! Usciti dalla strada principale, quella che ben si ricordava, l'autista e suo compagno, infine si ritrovò a guardare continuamente i cartelli, perdendosi e allungando di diverse ore il loro viaggio. Fu persino Agnieszka che, giunta sull'orlo dell'esasperazione, preferì notevolmente chiedere indicazioni ad un vecchietto in bicicletta: tutto, purché quel tragitto in macchina venisse meno. Dunque... Sì, quel dettaglio di Jude la lasciò un poco stupita - perché sapendolo poliziotto aveva avuto un'immagine specifica di lui - ma al contempo, si ritrovò finalmente davanti ad una persona coscienziosa e per nulla incline ad ammettere le cose esattamente come stavano. Un po' di coerenza, sostanzialmente. "Dammi pure, dai! Almeno l'acqua così si raffredda un poco!" Disse la donna, incoraggiandolo quindi a porgerle la bottiglietta cosicché potesse sistemarla dentro la sua borsa frigo. Quando ciò accadde, provvide a richiuderla e successivamente, non mancò di dissetarsi ancora un poco: svuotando sostanzialmente la lattina di bibita energetica. Fu un'autentica manna dal cielo. Non poteva assolutamente vivere senza di questa, almeno, specialmente nelle circostanze più specifiche e speciali.
    «Ci sono tantissimi animali che vorrei vedere da vicino, toccare se possibile. In primis l'orso polare. Mi affascina sin da quando ero bambino, con la sua imponenza e quell'aria bonaria e giocherellona...ecco, sempre se me lo rendi un tantino docile.» Abbozzò poi un sorriso, lasciandosi scappare una ridacchiata. Scosse anche il capo, ma non volle prendersi gioco di Jude, non si sarebbe mai permessa, quanto più le piacque semplicemente il modo in cui espose il tutto. Il tono, la gestualità. Piccolissimi dettagli, in sostanza. "Se mai avremmo la possibilità, cercherò di fare del mio meglio. Tanto è più grande l'animale e l'uso della particolarità tanto più l'assorbimento dell'energia diventa considerevole. Però, prima provvederò a ricaricarmi per bene e poi... Ti permetterò di realizzare questo piccolo desiderio. Lo prometto, sì sì." Dichiarò la rossa, non mancando anche di mimare il tutto, semplicemente facendo strisciare il polpastrello del dito indice sul petto - appena poco più su del seno - formando una croce invisibile. Lo aveva visto da qualche parte da bambina, forse in un cartone animato e d'allora, l'era rimasto il vizio: specialmente quando dava la sua parola e prometteva qualcosa. In seguito si alzarono, o meglio, Agnieszka fu aiutata da Jude esattamente come richiese. L'issò, con apparente semplicità. La donna fece anche un saltello e accompagnò quel gesto con un'esclamazione giocosa "Oplà", neanche si fosse trasformata per magia in una vecchietta che trova difficile compiere un gesto semplicissimo, come ad esempio alzarsi o sedersi. Recuperò la sua borsa, che portò a tracolla e successivamente andò a gettare la lattina nell'apposito contenitore, non mancando assolutamente, di recuperare anche quella sorta di bocconcino avvelenato. Non voleva che durante la sua assenza qualche altro animale potesse sentirsi tentato dall'odore del cibo e quindi cadere in quella trappola decisamente inumana e insensibile. Queste persone che provvedevano e facevano tanto, meritavano di ricevere la medesima punizione. Sì, Agnieszka poteva diventare molto crudele e sadica nella ricerca della giustizia - specialmente per quanto riguardava il maltrattamento degli animali - ma chiaramente, le sue restavano unicamente pensieri e fantasie. Presumibilmente a parole era capace di sperare e augurare le peggiori cose ad individui tanto crudeli, ma chissà... Se vedendoli in faccia, o semplicemente inginocchiati supplicanti clemenza, sarebbe stata in grado d'infliggere a loro il medesimo male procurato a quelle bestiole. Bah... Una parte di lei non poteva che affermare l'eventualità, ma l'altra, pareva decisamente più titubante, sia pure la voce della seconda fosse molto meno echeggiante e limpida della prima. Per quanto riguardò invece quell'altro discorso, quella rivelazione pronunciata proprio dal poliziotto, quel proferire di argomenti così personali e privati: dopo quel semplice tentativo di Agnieszka di alleggerire l'atmosfera non ne fecero più menzione. Dopotutto, persino la rossa sapeva che determinati momenti e situazioni, potessero risultare estremamente difficoltosi da superare. Ci voleva semplicemente del tempo, poiché era vero quanto gli anziani proferivano: "Il tempo guarisce tutto", però appunto, l'unica controindicazione era riuscire a pazientare, permettendo quindi che le lancette scorressero e trasformassero i giorni in mesi, i mesi in anni e così via. Con le faccende di cuore, con le relazioni durature, il tutto diventava ancora più delicato. Agnieszka lo sapeva benissimo. Persino adesso a distanza di anni se ritornava con la memoria e il ricordo a lui alcune emozioni si risvegliavano, anche se dopo il dolore adesso l'era rimasto indosso solo la rabbia.
    Camminarono, allontanandosi e raggiungendo - tra una chiacchiera e l'altra - il luogo. Agnieszka lo ammirò, lasciando vagare lo sguardo e compiacendosi dello spettacolo che si ergeva e l'avviluppava in ogni dove. Era assolutamente meraviglioso, risplendente, sognante. Provò le medesime sensazioni che anni prima, aveva provato e sentito nascerle nel petto quando contemplò per la prima volta i boschi e le spiagge di Besaid. Persino quando osservò il paese, rimase folgorata e ammaliata da quel che vide. In quell'esatto momento, le sensazioni furono intense come nel passato. Le labbra si sollevarono in un sorriso incantato, affascinato e i suoi occhi divennero lucidi dall'emozione. Presumibilmente, neppure se avesse avuto davanti a sé il suo attore preferito, avrebbe reagito nel medesimo modo. «Sebbene l'idea mi alletti, l'acqua è troppo gelida per permettere un tuffo. Sono una persona freddolosa, sai? Abituarmi al clima rigido di queste parti non è stato facile.» Volse lo sguardo a Jude, il quale nel frattempo si era avvicinato al piano d'acqua. Era verde, uno smeraldo e nel punto in cui si trovava la rossa, sembrava quasi impossibile comprendere dove iniziasse il cielo e dove finisse la terra. Un connubio assolutamente perfetto. Neppure la sua bella Varsavia, la città in cui nacque e visse, in cui aveva lasciato famigliari e persone sue amiche, avrebbe mai potuto raggiungere ed eguagliare tanta beltà. Besaid l'aveva conquistata. Esattamente come sarebbe stato capace di farlo un latin lover nei confronti di una giovanissima ingenua e inesperta. Ma Besaid era senza inganno, era puro, era vero. "Un vero peccato, dopo una sudata come queste, un tuffetto sarebbe stato perfetto. Ma... Sì, beh sarei anche senza costume quindi... Meglio che sia fredda! I primi tempi, o meglio il primo inverno è stato difficile anche per me. Però poi mi sono abituata, non sono particolarmente freddolosa, il che senz'altro è un bene. Ho sempre le mani calde, inverno ed estate." Dichiarò Agnieszka lasciandosi sfuggire una ridacchiata sottile, avvicinandosi al fianco di Jude, ma unicamente per tastare con le sue stesse mani la freschezza di quell'acqua. S'accovacciò e immerse i palmi sino ai polsi. Rabbrividì, ma al contempo lo trovò estremamente piacevole. "Effettivamente è molto fresca. Accaldati come siamo corriamo il rischio di beccarci qualche malanno. Comunque il posto è fantastico, davvero. Non mi ero mai spinta sino a qui." Disse la rossa, sorridendo a Jude, il quale però sembrò momentaneamente perdersi nei suoi pensieri. Lo vide poi controllare l'orologio da polso - un bestione enorme - e difatti, pochi secondi dopo tutto le fu più chiaro e limpido. «Devo andare a prendere Sophie che ho lasciato a casa di un'amica e poi mi aspetta il turno in Centrale.» Doveva andare a recuperare la figlia. Agnieszka mosse il capo, annuendo. "Se devi andare vai, non ci sono problemi, anzi. Suppongo di riuscire a trovare la strada per tornare indietro." Commentò non volendo intrattenerlo più del dovuto, dato che la figlioletta lo aspettava. La rossa certamente aveva compreso, quindi, non avrebbe mai potuto avere nulla da ridire. Complessivamente, rispetto ai loro incontri passati, ebbero maggiormente tempo per scambiarsi qualche chiacchiera in più; anche se mai avrebbero eguagliato quegli incontri che spesso organizzava con la sua carissima amica Helen. Ovviamente, con lei era tutto diverso. Erano donne entrambe, erano amiche da diverso tempo e si era instaurato un rapporto particolarmente affiatato e complice. Anche se, non potevano incontrarsi sempre, come avrebbero desiderato. Jude... Jude era una conoscenza, una persona che si inserì nella sua vita incoraggiato da una compera, e che la città di Besaid nella sua piccolezza le aveva permesso di incontrarlo spesso: scambiandoci qualche saluto e qualche breve chiacchiera, sul bordo del marciapiede o in qualche corsia del market. «So che potrà sembrare una cosa un pò puerile, ma ti andrebbe di immortalare questo paesaggio ed il nostro simpatico incontro con una foto?» La proposta di Jude, la portò nuovamente a sorridere. Scosse anche il capo, negativamente. "Mi pare un'idea eccezionale! Non si può non immortalare il momento, insomma, guarda che spettacolo!" Commentò giocosa e frizzante Agnieszka, la quale si alzò dalla sua postura accovacciata e si voltò: dando le spalle al lago cosicché Jude potesse scattare la loro foto, non mancando di catturare anche lo scenario dietro di loro.
    Quando la foto fu scattata, Agnieszka chiede di poterne avere una copia. Dunque, diede il numero del suo cellulare a Jude, in questo modo, avrebbe potuto inviargliela quando avrebbe avuto del tempo a disposizione. Infine, si salutarono. Agnieszka inizialmente con un poco d'imbarazzo, non seppe esattamente come comportarsi; era meglio agitare solo la mano accompagnando il tutto con un saluto informale - il più comune tra tutti -, oppure provvedere nel dargli i comunissimi baci sulla guancia, stringendogli la mano?, adottando quindi per un congedo ben più formale e distaccato? Scelse per una via di mezzo. Lo salutò con un informale e amichevole "Ciao" ma appoggiò la mano sulla spalla di Jude, completando il tutto con il soffice contatto della guancia contro quella del poliziotto. Sì, forse così poteva andare.
     
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