Big ideas have small beginnings

Jørgen & Agnieszka

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    "Aaaah! E' tardi, dannazione!" La voce di Agnieszka irruppe e si propagò come olio riversato sul pavimento, riempiendo quindi tutti gli ambienti del suo appartamento. Aveva semplicemente dormito troppo.
    La sua mattinata fu decisamente intensa e la settimana, si era dimostrata altrettanto impegnativa. Aveva ricevuto un boom di ordinazioni e quindi, fu costretta nel restare vincolata alla cucina, preparando pancake, cupcake, torte e tutto quello che sostanzialmente i suoi clienti le avevano chiesto di creare. Indubbiamente questo non poteva che farle piacere. Ciò significava molto semplicemente che le sue capacità e abilità in quanto pasticcera stavano migliorando e che i suoi preparati risultavano non solo gradevoli agli occhi ma anche molto gustosi a palato. Inoltre, un altro aspetto decisamente importante - specialmente per individualità pragmatiche - era l'aumento e l'incremento del suo conto bancario. Ciò non poteva che farle piacere, anche perché s'era ritrovata in un periodo in cui, le sue entrate si erano decisamente dimezzate. Miracolosamente, la sua situazione economica non era tale da indurla a qualche fase di allarmismo e panico, in un modo o nell'altra se la sarebbe cavata - come faceva sempre - ma fu decisamente piacevole e liberatorio: osservare quel ricavato messo da parte aumentare e risalire, abbandonando quindi quella cifra straordinariamente bassa rispetto ai consueti estratti conto.
    Compiaciuta d'aver ultimato tutte le ordinazioni, avendo avuto anche modo di portarle direttamente e personalmente ai diretti interessati, Agnieszka, si era ritrovata improvvisamente e felicemente libera da mansioni da svolgere. Avrebbe potuto sfruttare quelle poche ore del pomeriggio - prima che iniziasse quel raduno straordinario nel parco della cittadina - dipingendo o costruendo qualche oggettino o arredo in ceramica oppure d'argilla ma; che dire, aveva necessariamente di risposare un poco. Proprio per questo, dopo aver lanciato e lasciato cadere la borsa sul tavolo della cucina, aveva camminato lentamente per il piccolissimo corridoio e, giungendo nella sua camera da letto si era lasciata letteralmente cadere sul comodo giaciglio. Sobbalzò, a causa del suo peso - non eccessivo ma era normale che quel piano risultasse un po' molleggiato - distendendosi e abbracciando il guanciale provvide a socchiudere gli occhi. Si dimenticò di puntare la sveglia, adagiata sul comodino ma era sicura che il suo sonnellino non sarebbe stato eccessivamente prolungato. Ovviamente si era sbagliata di grosso!
    Fu un passerotto un po' vivace a svegliarla. Aveva inizialmente percepito un leggerissimo ticchettio alla finestra, ma ancora obnubilata dal sonno pensò si trattasse di qualche goccia di pioggia. Una vera sfortuna, perché se avesse piovuto e copiosamente, l'evento al parco non avrebbe avuto luogo: sarebbe stato sicuramente cancellato. Ecco, fu proprio in quel momento che le palpebre si aprirono, schiudendosi immediatamente, come se gli effetti del sonno ancora spasmodico fosse stato cancellato e avesse ritrovato tutte le energie. L'evento! Il parco! L'ora! Si alzò immediatamente e facendosi prendere un poco dall'agitazione, spostò la sveglia cercando di leggere i numeri riportati. Dannazione, era in ritardo! Celere, casinista, sbattendo finanche su ogni maledettissimo angolo della casa, Agnieszka dovette lottare contro il tempo. Aveva atteso con entusiasmo e impazienza questo giorno. Chiaramente, per un'amante della natura e degli animali come lei, l'opportunità di ritrovarsi in un luogo gremito di personalità che condividevano il suo medesimo interesse; nonché finalizzati nel ricercare qualche fondo per la creazione d'una recentissima associazione - no profit - interessata alla tutela di alcune specie animale autoctone e prossime al pericolo d'estinzione: non poteva non farla sentire coinvolta. Non sarebbero mancate manifestazioni, chiaramente pacifiche, alcuni incontri con esperti e ovviamente tutto ciò che avrebbe potuto rendere piacevole e allegra un'occasione come quella: aperta chiaramente a chiunque e senza l'obbligo di fornire o mostrare qualche sorta di biglietto o tesserino. Ed ora, stava per perdersela.
    Corse, raggiungendo il tavolo della cucina, prese la consueta borsa a tracolla - la indossava quasi per ogni occasione - e sistemandosi alla bene e meglio, fermandosi davanti allo specchio posto sulla parete nel piccolissimo e strettissimo corridoio che conduceva alla soglia principale, si ravvivò la chioma scarlatta: tentando quindi di darle un aspetto quanto meno decente. Solo allora, frettolosa, col cuore tamburellante nel petto, aprì la porta del suo appartamento; ne varcò la soglia e la richiuse alle sue spalle, non mancando di far scattare il meccanismo col girare della chiave. La intascò e poi... Poi non le restò altro che correre.
    Miracolosamente non fu costretta - o incoraggiata - a cambiarsi abito. Quello che aveva indossato quel mattino era più che adatto, dopotutto, nessuno avrebbe giudicato o valutato la forma del suo outfits. Aveva indossato una semplice e comodissima t-shirt da maniche corte, completamente bianca. Dalla linea richiamava alquanto la moda degli anni '80, per via della forma non eccessivamente attillata e per l'ampiezza delle maniche. Al centro, altezza del seno, c'era solo una piccolissima scritta - nera - la quale riconduceva alla marca dell'indumento. L'abbinò a dei semplici jeans, questi dalla linea più attillata ma decisamente casual, sportivi, resi tali dagli strappi sulle ginocchia. Ai piedi, invece, aveva una sorta di mocassini, i quali però, possedevano la medesima forma e specificità dei sandali.
    Il parco della cittadina non distanziava troppo dalla sua casa. In effetti, Besaid non poteva certamente considerarsi un luogo estremamente ampio, gremito o dispersivo. Le vie erano tutte collegate le une alle altre e le case, che sfoggiavano la tipicità architettonica del luogo, della nazione, parevano tutte ammassate ma l'effetto complessivo risultava più che piacevole: altamente pittoresco. Correndo, slanciandosi ad ogni passo sfruttando anche la lunghezza delle sue gambe, Agnieszka si trovò di tanto in tanto costretta a salutare chi la individuava e la conosceva. Non le piaceva comportarsi in quel modo con le persone, diversamente, avrebbe preferito fermarsi, ricambiare il saluto e magari scambiare qualche chiacchiera: ma era veramente in ritardo. Tante paranoie comunque, era lei a farsele, dato che gli altri comprendendo non la rimproverarono né rimasero troppo offesi o infastiditi dal suo comportamento. Il fiato, questo sì che le mancava. Fisicamente risultava essere una donna in forma, piacente certo, adatta ai canoni della società corrente. Era slanciata, salutare nell'aspetto ma... Sì, adesso comprendeva cosa si intendeva per fiato corto. Le sigarette ovviamente non la stavano aiutando e anche, quella sua naturale predisposizione a non interessarsi troppo all'attività fisica. Lo aveva sempre considerato inutile e seccante, noioso e decisamente tempo buttato via: quando diversamente avrebbe potuto sfruttarlo per svolgere qualcosa di più appropriato ai suoi gusti. Beh... Nonostante l'aspetto generale, sì... Si era resa conto d'essere davvero un po' fuori forma. Camminare, fare lunghe passeggiate a quanto sembrava, non era la medesima cosa di correre a perdifiato per le vie strette di Besaid.
    Bruscamente si fermò. Piegò le ginocchia e arcuando verso il basso la schiena e le spalle, adagiò i palmi proprio sulle articolazioni inferiori. Il petto continuava ad alzarsi e abbassarsi ripetutamente, spasmodicamente, ritmicamente. Alcune goccioline di sudore le colarono lungo le tempie, fortunatamente i capelli avrebbero nascosto quel segno di affaticamento. Era riuscita però, a raggiungere il parco. Benché, come precedentemente ribadito, Besaid non fosse una di quelle cittadine particolarmente popolose, il flusso riunito in quell'antro verde, in quel parco moderato e curatissimo; abbellito e reso festoso nonché vivace - grazie anche alla presenza di chioschi mobili, intenti a vendere gelati, granite, macedonie ecc... - sembrava aver animato ulteriormente il centro. Trasse un respiro profondo, rialzando la schiena: tentando quindi di darsi un minimo di contegno. Si domandò se avesse trovato alcuni amici o conoscenti, dopotutto era domenica pomeriggio. Lasciò vagare distrattamente il suo sguardo, decidendo di avvicinarsi ad uno dei primi chioschi. "Ciao, Duke!" Lo salutò, il proprietario di quel localino vagabondo e mobile. "Agnieszka! Hai la faccia stravolta. Cosa ti do'?" Domandò, cogliendo immediatamente lo sforzo fisico appena affrontato dalla donna. Agnieszka avrebbe preferito che nulla si notasse, ma... Pazienza. "Puoi dirlo forte. Io e la corsa a quanto pare non siamo più amiche. Lo so, lo so... Dovrei smettere di fumare, sarebbe senz'altro un ottimo punto di partenza ma, non ci riesco. Comunque se non ti dispiace, vorrei una lattina ghiacciata di limonata. Scegli tu la marca, per me non fa differenza, basta che sia bella fredda!" Disse, continuando a sorridere e a respirare, tentando di far scemare quell'abbassamento e rialzamento ritmato del petto. Duke non disse nulla a riguardo e come avrebbe potuto. Anche lui era solito concedersi questo genere di vizio, tutt'altro che salutare. Per quanto potesse sembrare un paradosso, tutti i fumatori erano perfettamente consapevoli che accendersi quel cilindro di carta farcito di tabacco, era come privarsi di alcuni istanti di vita; come - metaforicamente parlando - provvedere personalmente all'amputazione di un dito. Eppure, non c'era verso di smettere o di abbandonarlo. Il che la diceva assai lunga. Le diede quanto richiese, Agnieszka ovviamente pagò e si salutarono. Si distanziò dal chiosco, di alcuni passi tenendo il capo basso e concentrandosi sull'apertura della lattina. Le unghie lunghe di alcune donne avrebbero senz'altro fatto a caso suo. Agnieszka non era incline a tingerle con lo smalto, mai usato in tutta la sua vita e non aveva mai visto in faccia un'esperta di manicure. Chiaramente curava il proprio aspetto ma, le unghie provvedeva a limarle, tenendole sempre corte: erano pratiche, dopotutto. Pratiche, certo... Non in situazioni come queste. Alla fine ci riuscì. "Ah, Duke! Hai una cannuccia per ca-..." Solo questo disse, rivolgendosi al conoscente mentre si voltò, roteando col corpo e anche col braccio: agitando quella lattina e scontrandosi con essa con un passante.
    Agnieszka rimase bloccata. Le motivazioni non furono che due, semplicissime, naturali persino. La prima, la consapevolezza d'essere stata quasi la causa del rovesciamento e svuotamento della lattina, la quale anziché spargere il contenuto ai suoi piedi avrebbe potuto sporcare l'indumento di un perfetto sconosciuto. La seconda, lo sconosciuto stesso. Rimase letteralmente abbagliata dagli occhi. Una peculiarità decisamente nordica, alla quale non sembrava essersi abituata nonostante gli anni di vita lì. Tenne le labbra schiuse, bloccate ma poi sbattendo le palpebre si convinse di dire qualcosa. "Mi scusi..." Disse, distendendo le labbra in un sorriso, amichevole certo ma anche dispiaciuto. "Non l'avevo vista, ero distratta." Concluse dicendo. Certo non poteva considerarsi una valida giustificazione ma, se mai le fosse successo a lei, avrebbe sicuramente perdonato quella mancanza d'attenzione.
     
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    In una bella e calda giornata d'estate come quella, la folta barba di Jørgen Haag non poteva di certo restarsene al chiuso. Il professore decise di andare a dare un'occhiata al parco, consapevole del fatto che vi avrebbe trovato qualche piccolo stand in merito alla nuova iniziativa di cui aveva sentito parlare qualche giorno prima e al quale era stato invitato a prender parte da un amico che, come lui, si interessava per tutto ciò che avesse a che fare con il rispetto dell'ambiente e degli esseri umani in generale. Jørgen aveva acquisito quella consapevolezza da non molto tempo: prima di partire per l'Africa, tutto ciò che aveva conosciuto lo aveva assimilato tramite libri, riviste, televisione; eppure, le cose che gli erano rimaste impresse nella mente, le aveva viste solo dopo, dal vivo. Aveva iniziato a scoprire lati del mondo che nel profondo non aveva mai davvero compreso e conosciuto, e si era lasciato trasportare all'interno di quelle novità come se non ci fosse molto altro di importante al mondo. Aveva iniziato ad avere una consapevolezza diversa, dedicando maggiore attenzione ai suoi modi da essere umano, all'educazione che sapeva di aver avuto e attento nel calpestare la terra stessa, cosa che in molti ritenevano superfluo. Ogni essere umano avrebbe dovuto ringraziare d'esistere ancora, di poter respirare ossigeno incontaminato, di poter nuotare in un oceano ancora pronto a mostrare le proprie bellezze. Per cui, quando si era ritrovato al parco e aveva visto la portata di quella manifestazione, per un momento aveva sorriso senza neanche un vero e proprio motivo, forse contento di vedere talmente tanta affluenza. Si era fatto strada tra la folla, salutando più di qualche sua conoscenza e rimanendo stupito di quanto la gente si interessasse ancora per la salvaguardia degli animali. Certo, non era una delle sue priorità tanto da farne il proprio mestiere, ma quando si trovava in luoghi come quello e dinanzi a gente che parlava di come poter migliorare le condizioni di vita di altri esseri viventi, Jørgen cercava sempre di dare il proprio contributo, anche solo ascoltando ciò che avevano da dire. Fu così che restò in piedi davanti al piccolo palchetto sul quale una donna dai capelli castani stava spiegando alcune cose riguardo l'associazione no profit che avrebbero voluto fondare e per il quale cercavano fondi. Si trattava di un'associazione che aveva l'intento di proteggere specie animali autoctone in via d'estinzione. Applaudì al termine del discorso della donna, la quale annunciò anche una piccola pausa durante il quale sarebbe stato possibile fare un piccolo giro degli stand per informarsi riguardo al caso di cui si discuteva e magari, perché no? Rinfrescarsi la gola con una bella granita o un gelato.
    Si diresse perciò verso uno dei chioschetti aperti dinanzi al quale una donna dai lunghi capelli rossi stava ordinando una limonata ghiacciata, a sentir dire lei. Ne scrutò l'aspetto, notando quanto sembrasse affaticata, forse dal caldo o forse da una corsetta appena intrapresa per raggiungere il posto. Era vestita in maniera molto semplice: le lunghe gambe avvolte in un paio di jeans chiari, sovrastati da una t-shirt bianca e larga rispetto alle sue forme più minute. Attese che la donna terminasse di parlare con il tipo all'interno del vagoncino, per poi avvicinarsi appena ed ordinare una granita all'amarena. Il tipo gliela porse quasi immediatamente, afferrando la banconota che il professore aveva appena posato sul bancone e salutandolo con un gesto della mano, prima di allontanarsi di soli due passi dal chiosco ed essere letteralmente travolto dall'uragano con i capelli rossi. "Ah, Duke! Hai una cannuccia per ca-..." aveva iniziato a dire lei, probabilmente rivolta ancora una volta al tipo del chiosco dal quale aveva acquistato una lattina di limonata che qualche secondo dopo essere stata aperta, si era in parte riversata sulla t-shirt grigia di Jørgen, rimasto fermo dietro di lei non appena questa si era voltata per ottenere una cannuccia. Il liquido freddo della bibita della donna entrò in contatto con la pelle di lui in pochissimo tempo, provocandogli un brivido leggero dietro la schiena, data la temperatura fresca della limonata. Sollevò appena le braccia, Jørgen, mantenendo ancora saldo il suo bicchiere di plastica contenente la granita violacea. Abbassò lo sguardo sulla maglietta, inarcando istintivamente le sopracciglia e curvando appena il capo da un lato, per constatare i danni. "Mi scusi... Non l'avevo vista, ero distratta." si scusò la donna, visibilmente mortificata da quanto era appena accaduto. Sollevò il proprio sguardo su di lei, il professore, cercando di sorridere gentilmente e scuotendo il capo con lentezza. «Non c'è bisogno di scuse, può capitare a chiunque.» sentenziò l'uomo, sorridendole ancora e sollevando appena le spalle. «Non voglio di certo credere che lei se ne vada in giro con le lattine di limonata aperte solo per svuotarle sulla maglietta di qualche sconosciuto.» aggiunse lui, ridacchiando ancora. Si allontanò da lei di qualche passo, raggiungendo nuovamente il chiosco, all'interno del quale l'uomo aveva assistito all'intera scena e che aveva preparato per lui qualche tovagliolo di carta pronto all'uso, posati sul bancone in loro direzione. Posò quindi il bicchiere su di esso, sollevando appena il viso in direzione dell'uomo per ringraziarlo ed afferrando a sua volta la pila di tovaglioli per poi adagiarli sulla macchia scura che si era creata sul tessuto della maglia. Tamponò appena, risolvendo poco o niente e gettando poi la pila bagnata di tovaglioli all'interno di uno dei cestini posti lì vicino. Sarebbe andato in giro con la sua maglietta maculata e i jeans azzurri che, per fortuna, non erano stati colpiti in pieno dalla bibita. Tornò al chiosco subito dopo, rivolgendosi all'uomo che aveva udito chiamarsi Duke. «Un'altra lattina di limonata, per favore.» ordinò all'uomo, lasciando nuovamente una banconota sul bancone e portando la lattina alla donna. Duke sorrise divertito, avendo assistito all'intera scena senza neanche aver trattenuto una risatina divertita nel momento esatto in cui la giovane donna aveva fatte retro-front senza neanche accorgersi dell'imponente figura di Jørgen dietro di lei. «Prego.» disse gentilmente, porgendogliela e prendendole di mano quella ormai vuota, che andò a restituire a Duke, prima di afferrare il proprio bicchiere di granita e voltarsi quindi nuovamente in direzione di lei. «Il mio nome è Jørgen, piacere di conoscerla.» si presentò poi, allungando la mano con gentilezza e attendendo che lei gliela stringesse. «Mi lasci indovinare, questa non è una delle sue migliori giornate, o sbaglio?» scherzò Jørgen, riferendosi anche all'aspetto strapazzato che aveva avuto fino a poco prima, quando lei stessa aveva ordinato una limonata. Cercava di essere sempre gentile, provando a non superare quei limiti che in molti avrebbero preferito marcare con gli sconosciuti. Lui era un po' diverso, dato che spesso trattava chi non aveva neanche mai visto come se ci si conoscesse da diverso tempo. Non aveva mai visto la donna, eppure da come aveva parlato con quel Duke, aveva intuito fosse ormai una cittadina di Besaid a tutti i livelli, forse anche più di lui. Si era perso molto, Jørgen, da quando era andato via, e nel momento in cui aveva fatto il proprio ritorno, ogni cosa era stata diversa, per i suoi occhi divenuti ormai estranei. Per questo motivo, aveva cercato di conoscere quanto più gli riuscisse di quella cittadina che lo aveva visto nascere e che lui stesso aveva però deciso di abbandonare dopo poco. Molti visi che un tempo aveva conosciuto perfettamente erano poi divenuti un punto interrogativo, così come le voci e il rumore di quelle onde che si infrangevano contro gli scogli che un tempo aveva anche conosciuto a menadito. Anche per queste ragioni, non batteva mai una porta in faccia a chi incontrava e non conosceva, poiché la sua mente non gli avrebbe mai potuto dire se in passato fossero stati occhi conosciuti o meno. Chi era lei? Avrebbe fatto parte del passato o del futuro?
     
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    Miracolosamente Agnieszka non era una donna eccessivamente emotiva e timida, anche se come tutti possedeva una moltitudine e una gamma di sentimenti, i quali potevano liberamente spaziare da uno stadio all'altra. Comunque la donna, non era incline ad arrossire per un nonnulla, ma questa situazione sarebbe stata capace di far accalorare le guance di ogni individuo - maschio o femmina - dalla punta dei capelli sino alla punta delle dita dei piedi. Aveva semplicemente creato un bel trambusto, unicamente perché distratta non aveva visto dove metteva i piedi, le braccia e anche quella stramaledettissima lattina. Quasi le dispiacque vederla colare dall'apertura - riuscita a schiuderla dopo alcuni istanti di autentica fatica - poiché già aveva sentito quel sapore caratteristico, fresco e anche frizzante, solleticarle la lingua e il palato tutto. Diversamente da come sarebbe potuta andare la situazione, buonissima, forse anche tutta, parte di quel liquido aveva abbandonato l'involucro di lattina e si era spalmata completamente sulle fibre di quella t-shirt: indossate da quell'uomo. La faccia e l'espressione di Agnieszka rimase immutata. Sino a qualche secondo prima, quando si accorse della presenza di quell'individuo e del pasticcio appena fatto, i suoi occhi rimasero lievemente sgranati, le labbra un poco schiuse - le quali assunsero quasi la forma della lettera O - e trattenne anche un poco il fiato. Una pessima, pessima, figura.
    Le iridi e anche le pupille della donna, scivolarono letteralmente sulla striscia umida del tessuto di quell'indumento: mascolino ma anche femminile, se avesse provveduto ad indossarla una donna. Era questo che piaceva ad Agnieszka della moda casual, era possibile essere quanto più versatili e al contempo, si riusciva anche ad essere quanto più comodi possibili. Onestamente, non riusciva a comprendere come certe donne, preferissero sempre mettersi a puntino, indossando abiti striminziti, decisamente ed eccessivamente attillati, completando il tutto con altissimi tacchi vertiginosi - rischiando anche di prendersi una bella storta alla caviglia - e per cosa? Unicamente per essere considerate degli oggetti sessuali agli occhi di uomini zotici e decisamente superficiali? Ma non era tanto meglio sentirsi bene con se stesse, vivere liberamente e se l'occasione lo permetteva e si presentava, riuscire a conquistare l'interesse dell'altro - uomo o donna che sia, a preferenza del proprio orientamento sessuale - unicamente per le beltà e la moltitudine delle emozioni, pensieri e sfumature del proprio carattere e della propria personalità? Questa però non era certamente l'occasione e il momento più adatto per lasciarsi insabbiare da riflessioni tanto interessanti quanto profonde e seriose. Aveva decisamente altro a cui pensare.
    Arricciò le labbra, mostrando anche un poco la dentatura perlacea. Chiaramente i suoi lineamenti espressero altro imbarazzo e anche disagio, nonché un autentico dispiacere per quanto appena attuato e causato. A differenza di Duke, Agnieszka non fu così incline nell'osservare la faccenda, lasciandosi scappare anche una ridacchiata, ma questo perché fu coinvolta personalmente. Diversamente, se avesse assistito esattamente come fece il proprietario di quel piccolo chiosco, ciò sarebbe senz'altro accaduto. «Non c'è bisogno di scuse, può capitare a chiunque.» Disse quel ragazzo, uomo?, chissà! Agnieszka scosse il capo, accettando chiaramente la sua gentilezza e cortesia - chissà quanti avrebbero reagito nel medesimo modo - ma, ciò non toglieva che si sentiva ancora in colpa. "Beh, insomma! Cioè nel senso... Avrei dovuto guardare dove andare, ma stavo sinceramente maledicendo quella dannatissima linguetta della lattina. Sono davvero costernata, non può neppure immaginare quanto." Disse, lasciando ancora discendere lo sguardo su quella chiazza che diventava sempre più grande. Duke, fu svelto. Aveva prontamente preparato alcuni fazzoletti, più simili a tovaglioli grezzi - come quelli che accompagnavano le coppe e i coni di gelato - sul bancone metallizzato. «Non voglio di certo credere che lei se ne vada in giro con le lattine di limonata aperte solo per svuotarle sulla maglietta di qualche sconosciuto.» Abbozzò un sorriso. Le piacque quella frase, diede l'impressione d'essere un uomo - o ragazzo chi poteva saperlo con certezza - molto ironico. Un'altra ottima caratteristica. "No, le lattine no ma con una bella sac-a-poche potrei sinceramente vincere qualche primato." Ribatté Agnieszka, scostandosi di qualche passo e continuando a guardarlo, dispiaciuta. "Non c'è niente che possa fare? Ha un ricambio? Se vuole posso comperargli una t-shirt sono sicura che qualcosa si troverà qui e, provvederò a lavargliela io questa, pagherò la tintoria non si preoccupi." Continuò dicendo, sperando di potersi dimostrare un poco utile, dato che il danno lo fece lei.
    Frattanto l'uomo si allontanò. Tentò di tamponare le fibre del tessuto con quei pezzetti di carta assorbente ma non risolse molto. Nuovamente Agnieszka arricciò le labbra. Ritornò poco dopo, appropinquandosi al chiosco e provvide nel comperarle un'altra lattina di limonata. "Oh no, per carità. Non è necessario..." Iniziò dicendo, ma tutto sembrò passare inosservato. Duke fece l'ennesima vendita, la sua lattina vuota fu presa dalle sue stesse mani dalla parte lesa e sostituita con quella nuova. "Grazie, davvero non era tenuto ma... Grazie!" Esclamò Agnieszka, dilungando entrambe le mani oltre la sua figura, di lato e chiaramente lontana dal ragazzo. Semplicemente andò a smuovere la linguetta della lattina, aprendola ma stando anche attenta a non commettere errori come il precedente. «Il mio nome è Jørgen, piacere di conoscerla.» Lo ascoltò, allorché stringendo la lattina nella sola mano sinistra, allungò la destra: stringendo la sua. Un saluto formale. Adatto tra due persone civili, nonostante l'esordio non fu propriamente ordinario. "Molto piacere di conoscerla. Agnieszka Lewandowski." Si presentò, accompagnando a quelle semplici e brevi parole anche un sorriso gigantesco, molto contagioso e alquanto spontaneo nonché amichevole. Non appena la stretta della mano venne meno, Agnieszka poté concedersi un sorso della sua limonata, finalmente. Mentre continuò a sorseggiare la bibita, Agnieszka inarcò entrambe le sopracciglia. Questo non fu un gesto istintivo e del tutto privo di fondamento, ma venne incoraggiato dalle parole pronunciate da Jørgen. Allontanò quella lattina e ridacchiò di gusto. Non si sentì presa per il naso e neanche fatta oggetto di scherno. Dopotutto, Jørgen aveva capito tutto, era giunto alla conclusione giusta senza neanche sforzarsi troppo ma... Insomma, dopo quanto accaduto, sarebbe stato palese a molti. Eppure, alcuni, sembravano vivere perennemente con le fette di salame - o qualunque altro insaccato - sugli occhi - metaforicamente parlando - giacché distratti dalle più disparate cose, mancando però di prestare riguardo a ciò che avevano proprio davanti a loro. "Oh beh... Prima di rovinare un capo sicuramente di marca di un perfetto estraneo, avrei potuto considerare questa giornata come una delle tante ma assolutamente piacevoli e tranquille. Non potrei affermare lo stesso di lei, però. E' stato davvero molto sfortunato, si è ritrovato prossimo ad un ciclone delle figuracce come la sottoscritta. Comunque... Darle del lei mi sembra così... Uhm.. Antiquato. Possiamo darci del tu, se vuole!?" Disse, spontanea e loquace come sempre. La sua chiacchiera era così, sempre molto vivace, scattante e spontanea. In quel momento sfiorò con le dita la tempia e, s'accorse. Il sudore non era ancora scomparso e aveva sicuramente parte del viso e anche dell'attaccatura dei capelli inumiditi. Ah, ecco... Adesso comprese l'allusione di Jørgen. Rise ancora. "Ah, lei stava parlando de... Seh, io e la corsa non siamo amici, purtroppo." Disse, con tono sconsolato ma anche scherzoso. "Dopo un'intensa mattinata di lavoro sono crollata sul letto, pensando di riposare giusto un'oretta ma... Sono crollata di brutto e dato che - finalmente aggiungerei - hanno deciso di organizzare un evento simile, non potevo perdermelo. E' una tematica che mi sta molto a cuore per cui... Sono uscita di casa come una furia, peggio di come mi ha incontrata e, sono corsa sino qui!" Illustrò, parlando fluidamente, sembrando un fiume in piena. "E' bravo nell'osservazione... Cos'è un osservatore di professione?" Domandò schiettamente, ritornando a bere la sua bibita, appoggiando direttamente le labbra sull'insenatura aperta dopo averne staccato la linguetta.
     
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    Non aveva mai avuto la parvenza d'esser goffo, lui questo lo sapeva. Ricordava come a Monaco, diversi anni prima e quindi nel pieno della sua giovinezza e di quegli anni in bilico, aveva fatto di tutto per apparire interessante agli occhi di una donna. Spesso ci era riuscito, spesso no, ma guardandosi allo specchio, con il passare dei giorni, aveva capito che no, non era una persona goffa, ma aveva i suoi difetti così come ognuno, e molti di questi erano la chiave che rendeva il tutto così personale, diverso dal resto del mondo. Così, quella sbadataggine che la donna dai capelli rossi aveva mostrato di poter fare sua, si era naturalmente rivelata in un'ottima presentazione di se stessa agli occhi chiari del professore, il quale considerava certi aspetti caratteriali e fisici un importante caratteristica da scoprire a seconda delle personalità che si trovava dinanzi. La donna dal fisico slanciato e ben delineato aveva al contempo una voce simpatica e un sorriso incontrollato, come se ridere alla vita fosse uno dei suoi hobby, e in certi versi non avrebbe potuto esserci nulla di meglio da contemplare.
    "Beh, insomma! Cioè nel senso... Avrei dovuto guardare dove andare, ma stavo sinceramente maledicendo quella dannatissima linguetta della lattina. Sono davvero costernata, non può neppure immaginare quanto." si scusò ancora la donna, mortificata per ciò che era appena avvenuto. Il professore sorrise gentilmente, dispiaciuto a sua volta per la situazione imbarazzante nel quale pensava di essersi cacciata lei. Rimase immobile, lei, cercando di constatare i danni apportati alla t-shirt di Jørgen ed incapace di fare un solo passo, forse per paura di combinarne un'altra. Fortunatamente, il ghiaccio venne frantumato immediatamente con il susseguirsi di battutine divertenti al riguardo. "No, le lattine no ma con una bella sac-a-poche potrei sinceramente vincere qualche primato." scherzò lei, quindi, di rimando a ciò che lui aveva detto appena prima. Rise, Jørgen, immaginandosela per qualche breve istante con una di quelle bustine di plastica che i pasticceri usavano per decorazioni e non di torte. Questo gli permise di intendere che, probabilmente, era una donna amante della cucina e della pasticceria in generale. Conoscere il termine specifico di alcuni oggetti culinari non era sicuramente una cosa comune, e il fatto che il giovane professore dovette stare lì a pensare per qualche secondo a cosa volesse riferirsi precisamente la donna, ne era la prova esattissima. «Oh, non è da tutti!» commentò il giovane, ridacchiando divertito dalle parole di lei. Tentò quindi di asciugare la t-shirt ormai inzuppata, usufruendo dei tovagliolini che Duke aveva messo a disposizione per lui, sul bancone poco distante da loro. «A questo punto sono curioso: se è capace di fare questo con una lattina mezza aperta, il primato con la sac-a-poche cosa prevede?» domandò ancora lui, ironico e con tono decisamente cordiale. Non avrebbe voluto crearle maggior disagio, ma anzi, provava a farle mettere da parte ciò che invece leggeva nei suoi occhi, contorno di un sincero imbarazzo. Ma lui non era il tipo che dava addosso a qualcuno per incidenti di quel genere. Era un professore, e di pazienza con i suoi studenti ne aveva coltivata a volontà, divenendo capace di fare possesso e uso anche al di fuori delle mura scolastiche. D'altro canto, non era neanche mai stato il tipo dall'ira facile: ricordava poco e nulla della sua adolescenza, eppure degli anni dopo l'abbandono di Besaid, Jørgen si era riconosciuto nella tranquillità della parola usata per chiarirsi, e nel lasciar andare ciò che, visto da vicino, aveva le vesti di altro e non del caos che in teoria, invece sembrava avesse l'aspetto. "Non c'è niente che possa fare? Ha un ricambio? Se vuole posso comperargli una t-shirt sono sicura che qualcosa si troverà qui e, provvederò a lavargliela io questa, pagherò la tintoria non si preoccupi." continuò lei, cercando ancora di rimediare al danno. Ma Jørgen non avrebbe mai lasciato che lei spendesse del denaro per una nuova t-shirt o che addirittura si prendesse carico delle spese di lavanderia. Nossignore, avrebbe potuto giurarlo fino alla morte, non sarebbe avvenuto. Si voltò in sua direzione, sorridendo ancora e scuotendo il capo. «Mi creda, mi è capitato anche di peggio. Non è importante, è una maglietta come tante altre e non c'è bisogno che lei si dispiaccia così tanto. Ora mi sento più fresco!» ripeté ancora lui, allargando appena le braccia e sollevando le spalle. Si voltò poi verso il chiosco per ordinare nuovamente una lattina alla donna, alla quale successivamente si avvicinò per porgergliela gentilmente. "Oh no, per carità. Non è necessario..." prese lei, rimasta forse appena stupita da quel gesto.. la sua espressione contrariata, però, ebbe vita breve, poiché qualche secondo più tardi un gran sorriso apparve sul suo volto, pronto ad accogliere forse, una volta per tutte, la stessa tranquillità che quello di Jørgen, in piedi di fronte a lei, emanava. "Grazie, davvero non era tenuto ma... Grazie!" disse ancora lei, questa volta più cauta nel sollevare la linguetta del contenitore di metallo. La osservò con curiosità, il professore, trattenendo una risata divertita anche nel vederla lentamente avvicendarsi con la nuova lattina. Dopodiché si presentò a lei, porgendole una mano ed attendendo che questa fosse stretta da quella più esile ma comunque dalla presa decisa di lei. "Molto piacere di conoscerla. Agnieszka Lewandowski." rispose la donna dai capelli color rame. La guardò appena, il professore; un'espressione curiosa apparve sul suo viso nel momento in cui lei gli ebbe rivelato il proprio cognome. «Lewandowski.» ripeté quasi in un sussurro. «Non mi è nuovo. Sono sicuro sia lo stesso cognome di un calciatore.» sentenziò, dopo qualche secondo in cui lo sguardo aveva raggiunto un posto lontano, perso nel vuoto. Non seguiva il calcio, ma qualcosa gli ricordava stranamente dei tizi che rincorrevano un pallone, e il tutto aveva a che fare con la Germania, che lo aveva adottato per almeno dieci lunghi anni. Scherzò poi riguardo all'aspetto stremato di lei, che aveva avuto modo di appurare fino a qualche istante precedente allo scontro con lei e la sua lattina. "Oh beh... Prima di rovinare un capo sicuramente di marca di un perfetto estraneo, avrei potuto considerare questa giornata come una delle tante ma assolutamente piacevoli e tranquille. Non potrei affermare lo stesso di lei, però. E' stato davvero molto sfortunato, si è ritrovato prossimo ad un ciclone delle figuracce come la sottoscritta. Comunque... Darle del lei mi sembra così... Uhm.. Antiquato. Possiamo darci del tu, se vuole!?” esordì lei, quasi senza respirare. Sì, era decisamente interessante e probabilmente avrebbe voluto conoscere anche altri aspetti di lei. Dopotutto, se si trovava lì, era già la conferma del fatto che condividessero -anche in piccola parte- gli stessi interessi. Scosse quindi il capo, bevendo un sorso della propria granita e ritornando a sorriderle gentilmente, lasciando che terminasse di parlargli. «Hm, indosso ben poco di marca. Fosse per me andrei in giro nudo.» cominciò lui, sollevando appena le spalle e rendendosi conto solamente dopo che, riguardo certi argomenti, non proprio tutti erano accordanti ed accondiscendenti. A lui capitava spesso di uscire completamente nudo nella terrazzina dietro la propria casa, noncurante del fatto che qualcuno potesse affacciarsi, dalle case vicine, ed ammirarne le forme. In tutto ciò, avrebbe anche dovuto ammettere che spesso gli veniva anche la felice idea di uscire scalzo, quando il tempo estivo glielo permetteva. «Oh, sì, certamente. Sarebbe più comodo anche per me darti del tu, Agnieszka. Ormai direi che la parte dei convenevoli è superata.» affermò, riferendosi allo scontro di poco prima. "Ah, lei stava parlando de... Seh, io e la corsa non siamo amici, purtroppo. Dopo un'intensa mattinata di lavoro sono crollata sul letto, pensando di riposare giusto un'oretta ma... Sono crollata di brutto e dato che - finalmente aggiungerei - hanno deciso di organizzare un evento simile, non potevo perdermelo. E' una tematica che mi sta molto a cuore per cui... Sono uscita di casa come una furia, peggio di come mi ha incontrata e, sono corsa sino qui! E' bravo nell'osservazione... Cos'è un osservatore di professione?" partì lei, veloce come un treno, mentre il suo interlocutore se ne stava lì e l'ascoltava con insolita curiosità e piacere. Non aveva idea del posto dal quale lei sembrava essere sbucata, ma se gli Dei avevano voluto che si incontrassero, allora quella limonata finita sulla sua maglietta non avrebbe potuto essere altro che la rappresentazione di ciò che il destino aveva voluto per loro. Era quella la visione della vita che aveva Jørgen, sempre pronto ad abbracciare ciò che la vita gli poneva dinanzi. «No, non mi piacerebbe esser pagato per osservare. Cogliere i particolari dovrebbe essere l'hobby di chiunque. È nelle piccole cose che risiede ciò che dovremmo vedere e non vediamo.» disse lui, sollevando appena le spalle. «E poi, credimi, non c'è bisogno d'essere un osservatore per capire che hai fatto ritardo.» aggiunse, ridendo. Sperò che non la prendesse male, dato che cercava solamente di scherzare e conquistarsi la sua fiducia. «Facciamo due passi?» le domandò, allargando appena un braccio nella direzione opposta alla loro, dove erano presenti diversi stand riguardanti l'evento a cui stavano partecipando. «Cosa ti ha spinto a partecipare? Sei un'attivista?» le domandò curioso, cercando di capire principalmente il motivo del loro casuale incontro. Fra le mani stringeva ancora il bicchiere plastificato contenente la granita, ormai quasi sciolta completamente. «Io sono capitato qui per caso. Di solito Besaid non organizza molte manifestazioni di questo genere, e se lo fa sicuramente non le pubblicizza come si deve. Sono un professore, credi che qualcuno dei miei studenti sappia di questa organizzazione o di questo evento? Naturalmente no, sono tutti impegnati a mantenere i loro nasi sullo schermo degli smartphones.» disse, sospirando appena. Una generazione ingestibile, ecco cosa pensava di loro. Eppure, non perdeva ancora mai la voglia di credere che le cose prima o poi potessero cambiare.
     
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    In qualche modo la donna si sentì osservata e studiata. Chiaramente lo sguardo soffermato di Jørgen non alludeva o tralasciava qualcosa di maligno, eppure, Agnieszka non poté proprio placare le sensazioni che sentiva scombussolarle dentro. Naturalmente, sapeva che tanto studio visivo fosse causato principalmente da quello ch'era appena accaduto e finanche, da quello che stava avendo luogo proprio in quell'istante specifico. Non c'era nulla di bislacco o innaturale, non c'era neanche un fine recondito. Niente di tutto questo, ma solo ed unicamente, una visione di una persona, mai conosciuta prima di quel momento, che aveva deciso - volente o meno - di rovesciare il contenuto della propria lattina indosso ad un completo estraneo. Era quindi semplice, palese, come gli occhi del giovane uomo - Agnieszka non poteva attribuirgli più di trent'anni - si soffermassero su di lei. Onestamente, se la situazione fosse avvenuta diversamente, al contrario, anche Agnieszka non avrebbe mancato di attuare la medesima accortezza visiva nei confronti della controparte. Aveva fatto una figuraccia, una pessima presentazione di se stessa e, l'agitazione mista ad imbarazzo - sensazioni che ancora sembravano incapaci di discostarsi dal suo animo - l'avevano portata a parlare senza moderazione alcuna, dando fiato alla bocca e soprattutto palesando i suoi pensieri col verbo: evitando tuttavia, d'apportare mutamenti, belletti o censure. Esattamente come vennero pensati, furono esplicati; con quell'estrema, brutale, spassionata semplicità e schiettezza: una caratteristica che le apparteneva e che la seguiva sempre, ovunque andasse e qualunque cosa facesse. Sapeva come talvolta, un minimo di controllo sarebbe stato maggiormente gradito, ma tutto dipendeva anche dalla persona che si ritrovava davanti, dalla situazione in generale e dal momento: persino. Un conto era attuare una movenza goffa, contribuendo ad un danno, con un perfetto estraneo - errore ovviamente gravoso - ma ritrovarsi in un ambiente libero e quindi svincolato da responsabilità e; ben altra cosa era effettuare qualcosa di quanto meno analogo ma ritrovarsi vincolata a questioni e situazioni legate al suo lavoro. Lì, sarebbe stato peggio. Lì, le conseguenze, avrebbero anche potute essere peggiori.
    Andava detto però, come Jørgen l'avesse indotta a sentirsi completamente a suo agio, nonostante tutto. Provvide immediatamente a parlare, ad accettare le sue scuse, le ricomprò anche la lattina della bibita ghiacciata - sia pure - non fosse assolutamente tenuto a farlo. Talvolta, erano le gestualità, le movenze, le dimostrazioni più pragmatiche a rendere chiara e identificativa l'indole di una persona. Jørgen quindi, non le diede l'aria d'essere un uomo(?) incline a risentirsi subito, scorbutico, iracondo, vendicativo o menefreghista. No, diede l'aria d'essere totalmente opposto: con l'aggiunta di un pizzico di polvere amichevole che, rese assolutamente perfetto il tutto. Sì, nonostante il piccolo guaio. Si dimostrò anche scherzoso, dalla battuta facile. Ad Agnieszka piacque, decisamente. Non mancò neanche lei di ricambiare e, scoprì come la mente di Jørgen fosse incredibilmente vivace, pronta e sempre scattante. «A questo punto sono curioso: se è capace di fare questo con una lattina mezza aperta, il primato con la sac-a-poche cosa prevede?» Agnieszka allontanò la lattina dalla bocca, sbattendo un poco le ciglia e conseguentemente le palpebre. "Oh, sarei capace di farle un incantevole cappellino sul capo, delle ciglia ad ali di farfalla e naturalmente dei baffettoni di tutto rispetto!" Dichiarò la donna, ridacchiando ancora, scuotendo poi il capo. Non poté proprio farne a meno, si immaginò esattamente quanto aveva appena annunciato, notando e immaginandosi di vedere sul viso di Jørgen quei belletti circoscritti. "Un vero peccato che con questo caldo durerebbero pochissimo... Faremo la prossima volta, che dice?" Domandò retoricamente, continuando quindi con quello scambio di battute ilari, sia pure, la sua intenzione non fosse assolutamente quella di metterla davvero in pratica. Indubbiamente, un uomo intelligente e vivace di mente come si era dimostrato esserlo Jørgen, questo avrebbe potuto facilmente intuirlo e comprenderlo. «Mi creda, mi è capitato anche di peggio. Non è importante, è una maglietta come tante altre e non c'è bisogno che lei si dispiaccia così tanto. Ora mi sento più fresco!» Distendendosi un poco, placandosi da quell'immagina buffa avuta nella sua mente sino a qualche secondo prima, Agnieszka ripose il suo riguardo e la sua attenzione a quanto proferito da Jørgen. Sì, fu davvero gentile. Molto. "Va bene, allora... Non insisterò più, ma qualora cambiasse opinione e pensiero, me lo dica immediatamente. Sarà mia premura provvedere." Disse la donna dalla chioma rossa come il fuoco, volendo quindi concludere quella questione ma al contempo, tentò unicamente di lasciarne uno spiraglio aperto. Dopotutto, il danno lo aveva combinato lei. Era giusto, doveroso, poter rimediare.
    In seguito, si presentarono. Agnieszka non perse tempo. Non c'era niente da dire, per quanto riguardava la formalità, lei era sempre in prima fila a far in modo che questa avvenisse nel modo più consueto e ortodosso possibile. Chiaramente, l'educazione che le avevano impartito i suoi genitori aveva attecchito benissimo nel suo animo, ma finanche una naturale inclinazione nel prestarci tanto riguardo: l'avevano sempre incoraggiata a non trascurarla. In effetti, Agnieszka, odiava terribilmente avere a che fare con personalità e individui capaci di non badare a queste cose. Alcuni lo facevano solo per svogliatezza, altri per mancanza di educazione e altri ancora, unicamente perché questo - secondo loro - era il modo più personale di comportarsi. Orride, orride persone. Non le sopportava, anche se in cima alla lista c'erano chiaramente chi uccideva o maltrattava gli animali o, finanche, coloro che non riponevano l'adeguata accortezza per la tutela dell'ambiente. Maturando con gli anni, Agnieszka fu sempre più convinta come il genere umano, rappresentasse similmente un parassita; bravo unicamente ad aggrapparsi ad un essere, prosciugarlo sino a renderlo cenere o morto. Ed era pressapoco la medesima cosa che stavano attuando e facendo nei confronti della madre terra. Un uso spropositato di maltrattamento e sevizie, le quali avrebbero portato la natura stessa sul punto del collasso e, una volta arrivati a quel punto: nulla, assolutamente nulla sarebbe stato possibile da fare per migliorare o salvarsi. «Non mi è nuovo. Sono sicuro sia lo stesso cognome di un calciatore.» Aggrottò lievemente le sopracciglia, inclinando di lato anche il capo. "Uhm... Mi fido della sua parola. Purtroppo non sono una smaniosa di calcio e di sport in generale. O meglio, ci sono quelli che mi piacciono più di altri ma, difficilmente li seguo accanitamente in tv. Lei? E' uno sportivo?" Disse, non mancando anche di domandare. Quello aveva pensato e quello disse, semplicemente.
    Fortunatamente Jørgen aveva accettato la di lei proposta di parlarsi un po' meno formalmente, dandosi quindi del tu. Molto meglio in questo modo, anche perché a lungo andare, discorrere con quella forma, poteva divenire eccessivamente pomposo e glaciale. Agnieskza non la era, anche se molti non mancarono di affibbiarle anche quelle caratteristiche che poco le appartenevano. Forse, non riuscivano a comprendere la differenza d'essere socievole a quella d'essere un'immatura, capace solo di mettersi in situazioni di grande pericolo o dispiaceri. Agnieszka era felice della sua vita, esattamente così com'era ma, non tutti sembravano condividere il suo pensiero. La gente, disgraziatamente, era sempre pronta a giudicare gli altri. Chi per un motivo o fattore e chi per un altro. «No, non mi piacerebbe esser pagato per osservare. Cogliere i particolari dovrebbe essere l'hobby di chiunque. È nelle piccole cose che risiede ciò che dovremmo vedere e non vediamo. E poi, credimi, non c'è bisogno d'essere un osservatore per capire che hai fatto ritardo.» In effetti, non disse una scemenza. Bastava guardarla per comprendere che qualcosa doveva aver fatto. Aveva uno stato pietoso. Proprio per questo, Agnieszka, abbassò lo sguardo su di se, dandosi una veloce controllata. Sospirò poco dopo, issando e abbassando le spalle. "Addio alla mia dignità. Sono ridotta davvero tanto male, dunque? Grazie, grazie, molto gentile. Apprezzo davvero molto la tua schiettezza e sincerità: una dote ormai perduta da diverso tempo!" Esclamò la donna, arricciando le labbra ma immediatamente ci tenne a dimostrare come, tutto quello, corrispose unicamente ad un gioco, uno scherzo, una battuta. Un modo, il suo di strappare un mezzo sorriso o, se era riuscita davvero bene nel suo intento: anche uno completo.
    Accettò di buon grado l'invito di fare due passi con Jørgen, difatti non mancò di dimostrarlo senza troppe misure e rigidità. Si allontanarono di pochi passi dal chiosco, vicino al quale tutto aveva avuto inizio e; si spostarono un poco più al centro dove tecnicamente c'erano più persone e partecipanti. Agnieszka si distrasse giusto qualche secondo, per guardarsi attorno. Era bello il parco ma così, era decisamente più interessante. Certo, i luoghi eccessivamente gremiti e stretti non facevano per lei, ma era all'aperto e quindi, tanta confusione e così tanti partecipanti e curiosi, non poterono che farle piacere. «Cosa ti ha spinto a partecipare? Sei un'attivista? Io sono capitato qui per caso. Di solito Besaid non organizza molte manifestazioni di questo genere, e se lo fa sicuramente non le pubblicizza come si deve. Sono un professore, credi che qualcuno dei miei studenti sappia di questa organizzazione o di questo evento? Naturalmente no, sono tutti impegnati a mantenere i loro nasi sullo schermo degli smartphones.» Distolse lo sguardo da un gruppetto molto carino, una famigliola con tanto di bambini. Sì, a guardarli così felici per strada e nel parco era sembrava una prospettiva niente male per Agnieszka, ma il solo immaginarsi in quella veste di madre: qualcosa sembrava ribollirle dentro. Non era rabbia, disgusto, sì, forse quello un poco sì ma... Ma sentiva prevalentemente ansia, angoscia, come se avvertisse quello scorrere irrimediabile del tempo, aumentare notevolmente le lancette, accrescendole un disagio interiore mai provato prima. Comunque si concentrò su quanto richiesto da Jørgen. Gli sorrise. "Diciamo che mi interessano queste tematiche. Sono particolarmente sensibile all'ambiente e alla tutela degli animali quindi, sono stata richiamata come un'ape col miele." Rispose, lasciandosi sfuggire un'altra - l'ennesima - ridacchiata. "Cerco di fare del mio meglio per contribuire, ovviamente. A mio avviso non sarebbe male che questo messaggio intaccasse un po' le menti e il cuore di tutti. Pensa, ho persino smesso di seguire i telegiornali alla tv. Quando ascolto e vedo quei servizi, mi verrebbe voglia di tirare a tutti quanti quelle maledettissime orecchie! Mi chiedo come possano continuare ad inquinare, come possano proseguire a trivellare, spaccare, seviziare proprio questa terra. E' incredibile! La natura sta dando i suoi segnali di vacillamento e, nessuno sembra interessarsene!" Commentò, esplicando molto schiettamente quello che sentiva, quello che provava e anche quello che avrebbe voluto poter fare, per smuovere e cambiare un poco le cose. Sapeva però, che bussare di casa in casa e tirare le orecchie, non era certamente il modo migliore per sensibilizzare le persone sull'argomento. Anzi, molti erano aumentati, tanti sembravano finalmente aver compreso ma, se eguagliati ai restanti - specialmente chi era a potere - erano ancora una fetta piccolissima di quella torta. "Già è vero. Quest'anno è la prima volta che hanno organizzato qualcosa del genere. Quindi capisci perché non potevo perdermela. Anche a rischio di... Ehm... Beh, combinare qualche guaio! Mi dispiace, ti sei dovuto sacrificare per la causa!" Scherzò ancora, inumidendosi la gola e la lingua con la bibita ghiacciata. "Quindi sei un professore. Dovevo immaginarlo... E cosa insegni di specifico? Qual è la tua materia?" Domandò poco dopo, inclinando un poco il capo inarcando entrambe le sopracciglia. Bevve ancora un altro sorso, ma infine, allontanò quell'oggetto dalla sua bocca.
     
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    Le prospettive relazionali di Jørgen erano sempre state dalle larghe vedute. Capitava ormai raramente che qualcuno potesse non andargli a genio. Le sue esperienze personali, tutto ciò che aveva visto, lo avevano modellato ed ammorbidito, lasciando che la parte prima più cocciuta di lui divenisse col tempo una sorta di spugna morbidissima, all'interno del quale ogni reazione e caratteristica diversa dalle proprie potessero immergersi, restando per lungo tempo anche nella sua memoria. Ne avrebbe elaborato i significati, modellandoli a suo piacimento e cercando di capire fino in fondo quanto gli animi umani potessero essere differenti gli uni tra gli altri. Gli anni della sua giovinezza trascorsi in Germania erano il risultato di ricordi alquanto strani, come se avvertisse in pieno il peso della sua crescita, dell'esser diventato finalmente più maturo ed essersi lasciato quindi dietro quel caos che, ricordava, avesse regnato nella sua mente. Di conseguenza, si ritrovò a pensare che, se solo quel piccolo incidente fosse accaduto anni prima, sicuramente la sua reazione sarebbe stata conseguentemente ben più accesa e poco remissiva. Ringraziò per il cambiamento che aveva visto in sé, contemplando il fatto che in quella maniera, gli era più facile restare in pace con il resto del mondo, cosa che assiduamente cercava e ricercava. "Oh, sarei capace di farle un incantevole cappellino sul capo, delle ciglia ad ali di farfalla e naturalmente dei baffettoni di tutto rispetto!" scherzò quindi Agnieszka, riferendosi al primato con la sac-a-poche. Rise divertito, il giovane professore, immaginandosi per davvero cosa la donna potesse esser capace di fare. Evidentemente era quello il suo mestiere, o almeno una delle sue grandi passioni; cosa che, di lui, sicuramente non avrebbe potuto dirsi. Più che cucinare o pasticciare in cucina, il professore amava mangiare, da bravo golosone qual era. "Un vero peccato che con questo caldo durerebbero pochissimo... Faremo la prossima volta, che dice?" continuò lei, ugualmente divertita e pronta a stare al gioco. Jørgen sollevò appena le spalle, allungando appena un braccio nella sua direzione ed indicando la figura della donna con il solo dito indice, lo sguardo ugualmente ancora puntato su di lei. «Glielo concedo, per questa volta. Alla prossima dovrà necessariamente mostrarmi di cosa è capace in cucina, però. Mi pare di capire che sia una delle sue passioni o, forse, il suo mestiere? Comunque, quando si tratta di zucchero o cibo in generale divento facilmente pressante.» rispose lui, facendo ugualmente riferimento al fatto che, magari pià in la Agnieszka avrebbe davvero potuto lasciargli assaggiare qualcosa di speciale interamente preparato da lei.
    Dopo aver chiarito finalmente la questione della t-shirt e aver accantonato la questione con semplicità e gentilezza, i due iniziarono a conversare del più e del meno, ritrovandosi quindi a presentarsi informalmente. Il cognome di Agnieszka gli ricordò immediatamente i tempi trascorsi in Germania. Non era un nome tanto comune in quel territorio, per questo fu quasi certo che la donna avesse altre origini, più occidentali rispetto alle sue, diramate nell'antichità della Norvegia. Fu anche proprio per quel motivo che abbozzò un riferimento al nome di un calciatore tedesco. "Uhm... Mi fido della sua parola. Purtroppo non sono una smaniosa di calcio e di sport in generale. O meglio, ci sono quelli che mi piacciono più di altri ma, difficilmente li seguo accanitamente in tv. Lei? E' uno sportivo?" domandò la donna dai capelli color rame. Scosse il capo, Jørgen, dovendo ammettere a se stesso che, malgrado amasse praticare sport di ogni genere, non ne seguiva mai costantemente uno in particolare. Rise quindi all'affermazione della donna, scuotendo ancora il capo con decisione e sollevando appena le proprie spalle, prima di portare il bicchiere della granita all'amarena alle labbra e sorseggiarne un altro po'. «Non esattamente. Mi piace praticarlo, potrei immedesimarmi in attività di ogni tipo, ma no. Non ne seguo nessuno in particolare. Il calciatore mi è venuto in mente perché ho vissuto in Germania, per qualche anno, e sono quasi sicuro che il suo nome non abbia origini norvegesi. Mi sbaglio?» le domandò, gentilmente, cercando di capire da dove lei provenisse e sperando di non aver appena toppato con le supposizioni. Continuarono a passeggiare, riuscendo ad abbattere le barriere della formalità e cominciando a darsi del "tu", evitando di mantenere quindi quell'astratta distanza di parola fra di loro. Così, quando il giovane professore prese a scherzare riguardo al modo in cui si erano appena incontrati e la faccia di lei sconvolta da una probabilissima corsa contro il tempo, al fine di giungere lì all'evento, ebbe lui stesso il modo di constatare quanto lei, in un certo senso, fosse simile al suo modo di vedere e vivere le cose. Agnieszka difatti, accettò di buon grado le battutine del tutto prive di malizia e cattiveria da parte di Jørgen, rispondendo per di più a tono e facendo scherno di se stessa. "Addio alla mia dignità. Sono ridotta davvero tanto male, dunque? Grazie, grazie, molto gentile. Apprezzo davvero molto la tua schiettezza e sincerità: una dote ormai perduta da diverso tempo!" scherzò lei, di rimando. L'uomo sorrise gentilmente, scuotendo appena il capo e cercando di non farla sentire poi così in difetto. «Oh, ma certo che no! Vorrei poter correre io così veloce ed apparire poi, alla fine, ancora fresca e in forma.» affermò lui, pensando a quanto ormai iniziasse ad avvertire il peso degli anni sui muscoli e sulla pelle. «Però ti ringrazio, essere sincero e schietto è sempre stato uno dei miei principi fondamentali.» disse lui, chinando appena il capo in avanti e accennando quasi ad un gesto di ringraziamento nei suoi confronti. Si spostarono poi appena più nel centro del parco, dove intorno a loro un gran gruppo di persone chiacchierava e mostrava un insolito interesse per gli stand posti a promuovere la causa. Continuarono a chiacchierare in maniera del tutto naturale e fluida, come se effettivamente si conoscessero da diverso tempo. Il professore, incuriosito, le domandò come mai lei avesse deciso di presenziare a quell'evento. "Diciamo che mi interessano queste tematiche. Sono particolarmente sensibile all'ambiente e alla tutela degli animali quindi, sono stata richiamata come un'ape col miele." rispose la donna. Annuì, Jørgen, sapendo di condividere esattamente ognuna di quelle parole da lei appena pronunciate. Erano gli stessi interessi che custodiva lui, gelosamente. "Cerco di fare del mio meglio per contribuire, ovviamente. A mio avviso non sarebbe male che questo messaggio intaccasse un po' le menti e il cuore di tutti. Pensa, ho persino smesso di seguire i telegiornali alla tv. Quando ascolto e vedo quei servizi, mi verrebbe voglia di tirare a tutti quanti quelle maledettissime orecchie! Mi chiedo come possano continuare ad inquinare, come possano proseguire a trivellare, spaccare, seviziare proprio questa terra. E' incredibile! La natura sta dando i suoi segnali di vacillamento e, nessuno sembra interessarsene!" spiegò lei, il fuoco nello sguardo. Sorrise, il professore, contento di aver trovato finalmente qualcuno che provava un interesse viscerale per quelle questioni. In molti le affrontavano, ma con estrema passività e pigrizia, come se il mondo potesse aggiustarsi da solo con un paio di attrezzi da lavoro. No, non era quello che la gente avrebbe dovuto aspettarsi, poiché a furia di attendere e attendere, le future generazioni non avrebbero potuto godere di quella bellezza che, i loro stessi occhi, ancora riuscivano a scovare. «Io sono completamente d'accordo. Parliamo di danni irreparabili, di specie animali che stanno per scomparire e, la cosa che trovo sia peggio di tutto, peggio di qualsiasi cosa, è il disinteresse dell'essere umano. Siamo noi i veri colpevoli, facciamo giustizia qua e la, ci proclamiamo superiori ad ogni altro essere vivente e poi... poi ci distruggiamo l'un l'altro, noncuranti del fatto che la terra sotto i nostri piedi non ha una linfa vitale infinita.» disse lui, questa volta il viso colmo di un dolore che a molti sembrava essere sconosciuto. Era dispiaciuto, Jørgen Haag, e si sentiva immobile e incapace di poter fare qualcosa, da solo contro il resto del mondo. Aveva visto diversi posti, diverse bellezze naturali, e i suoi occhi avevano quasi pianto dinanzi a tanta meraviglia; così, solo il pensiero di non poter godere di una pace comune era qualcosa che lo colpiva in faccia con la potenza di un fulmine a ciel sereno. "Già è vero. Quest'anno è la prima volta che hanno organizzato qualcosa del genere. Quindi capisci perché non potevo perdermela. Anche a rischio di... Ehm... Beh, combinare qualche guaio! Mi dispiace, ti sei dovuto sacrificare per la causa!" scherzò lei, sorridendo, e altrettanto fece il professore, sollevando appena le spalle. «Felice di essermi sacrificato!» esclamò, sollevando appena il bicchiere contenente la granita e portandolo nuovamente alle labbra, bevendone ancora un sorso fresco e rigenerante. "Quindi sei un professore. Dovevo immaginarlo... E cosa insegni di specifico? Qual è la tua materia?" suppose correttamente la donna, in attesa della sua risposta. Per lui era ormai una routine di cui ancora non si era stranamente stancato. Amava stare in mezzo agli studenti, cercare di scovare in loro un senso di responsabilità che lui stesso, diversi anni prima, non aveva avuto. Era ciò che lo aveva spinto a diventare professore, ciò che lo stimolava ogni giorno a metter piede all'interno di quell'università e combattere contro l'inerzia della vita che trascinava i suoi studenti nella direzione sbagliata. «Centro. Insegno all'Università di Besaid da non troppo tempo. Filosofia è la mia materia.» confermò lui, contento. Era sempre così, quando parlava del proprio mestiere. Aveva studiato tanto per raggiungere quella posizione, così come aveva provato e riprovato a migliorarsi ogni giorno, cercando di capire cosa fosse giusto insegnare e cosa invece fosse da metter da parte. Cercava di avere un approccio diverso con i suoi studenti, volendo essere più che altro una figura di supporto, che un professore. «So che in molti la trovano noiosa o addirittura inutile- si bloccò, roteando gli occhi al cielo e pensando a quanto potesse essere stupido un pensiero di quel tipo, dato che lui stesso adorava tutto ciò che con la Filosofia avesse a che fare. -ma per me è qualcosa di diverso da tutto il resto. Se compresa, se desiderata, se inaspettata... la filosofia può rivelare tante cose.» aggiunse. Solo che, ovviamente, non tutti sembravano pensarla come lui, soprattutto fra i suoi studenti, i quali fra le pagine dei libri ci vedevano solamente fiumi di parole senza un vero e proprio senso. «Ma non mi pare il caso di fare lezione ora, che dici? Piuttosto, ti va di mangiare qualcosa di buono? Conosco un chioschetto, più avanti, che vende Hot Dogs della migliore specie.» disse, sorridendo e bevendo l'ultimo sorso di granita all'amarena, prima di avvicinarsi ai cestini rivolti alla differenziata e buttare quindi il contenitore in plastica all'interno dell'apposito spazio. Si cominciava dalle piccole cose e forse, solo forse, il mondo sarebbe divenuto un posto migliore.
     
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    Agnieszka prese a bere il contenuto della limonata ghiacciata, la seconda, dato che la prima era finita irrimediabilmente indosso a Jørgen: merito ovviamente della sua disattenzione. In effetti, era qualcosa di particolare e nuovo, inusuale per la donna rossa, la quale stava sempre molto accorta a ciò che le era attorno. Era riguardosa nei confronti del suo prossimo e ovviamente, ambiva e pretendeva che lo stesso fosse riserbato a lei, anche se non sempre questo accadeva. Il tutto, naturalmente, dipendeva dall'educazione - secondo lei - ricevuta nel corso dell'infanzia e per quanto la riguardava, i suoi genitori non furono troppo esenti dall'impartirgliela. Forse, si dimostrarono un poco più clementi con i gemelli, essendo i più piccoli, ma con Agnieszka dimostrarono immediatamente il pugno di ferro. Non furono particolarmente incisivi, ma seppero sempre miscelare un po' di dolcezza alla rudezza. Chiaramente, oltre a questo aspetto, andava anche miscelato e unito un pizzico di carattere individuale. Vi erano persone che pur avendo ricevuto alcuni insegnamenti, riuscivano ugualmente a farne a meno: disinteressandosi troppo delle conseguenze. Non era il caso di Agnieszka, ma quella giornata sembrava essere iniziata con un piede tutto strano. La fretta, il desiderio di non tardare, il ritardo - cosa che mai succedeva a lei, essendo una di quelle persone inclini a presentarsi ad un appuntamento con mezz'ora d'anticipo piuttosto che due di ritardo - l'avevano scombussolata parecchio. A farne le conseguenze fu Jørgen, ma si era dimostrato una brava persona, incline a non colpevolizzarla troppo. Si dimostrò essere anche molto scherzoso e giocoso. Agnieszka non era eccessivamente timida o riserbata, tuttavia, le necessitava ugualmente del tempo prima di conquistarsi confidenza col suo prossimo. Con Jørgen era stato tutto estremamente immediato, incredibilmente semplice, e difatti su questo sarebbe stato opportuno riflettere qualche altro istante. Presumibilmente, il tutto, era da collegarsi proprio a quello che successe poco prima, ossia quella bibita rovesciata sulla t-shirt del ragazzo, o uomo (?) che dir si voglia. A volte, erano necessari, per due temperamenti uguali oppure eccessivamente opposti, l'intervento di qualcosa di estraneo. Un mezzo, un fine, un caso, che potesse semplicemente incoraggiare entrambe le figure a spezzare - metaforicamente parlando - il ghiaccio. Ed, effettivamente fu quello che accadde.
    «Glielo concedo, per questa volta. Alla prossima dovrà necessariamente mostrarmi di cosa è capace in cucina, però. Mi pare di capire che sia una delle sue passioni o, forse, il suo mestiere? Comunque, quando si tratta di zucchero o cibo in generale divento facilmente pressante.» Le labbra di Agnieszka si ampliarono ulteriormente in un larghissimo sorriso, dal quale scappò anche una ridacchiata. Sì, Jørgen si dimostrò e venne valutato dalla rossa una persona davvero molto simpatica. "Sono sempre pronta a mettermi alla prova." Commentò lei, non smettendo di ridacchiare e avanzò anche una gestualità molto simili e associabili alle emoticon così tanto utilizzate sui social - nella chat - oppure nelle conversazioni di app installabili gratuitamente sul cellulare. Sostanzialmente issò leggermente il braccio, ovviamente quello sprovvisto dalla bibita e lo piegò; contraendo un poco i muscoli dei bicipiti - decisamente poco allenati anche se non molli - mostrando quindi la propria tenacia e volontà. Agnieszka era capace anche di questo, di giocare, di prendersi quelle fanciullesche libertà dove, alcuni, avrebbero potuto considerarla decisamente immatura. Non sarebbe stata un'eccezione alla regola. Molte persone erano dell'opinione che la mentalità della rossa fosse ancora troppo acerba, proprio perché incline a non prendersi quelle responsabilità che generalmente coinvolgevano i suoi coetanei. Eppure, lei non faceva alcun mistero e non aveva alcuna intenzione di cambiare, neanche per accontentare o accettare qualche suggerimento ricevuto da individui che, seppur più anziani di lei e conseguentemente più saggi; potevano dimostrarsi ben più conoscitori di mondo e delle varianti di vita. "Quindi è di ottima forchetta? Meraviglioso! Finalmente qualcuno che mangia senza trattenersi troppo. Ho avuto modo di conoscere delle persone eccessivamente alienate in fatto di alimentazione. Per carità, ognuno è libero di mangiare e pensarla come lo considera opportuno ma, davvero, alcuni cadono in estremi a me del tutto incomprensibili." Dichiarò poco dopo, lasciando ricadere il braccio, dando ora una visione ben più realistica e anche seriosa dell'argomento. Anche se non lo fu troppo. "Se vuole potrei prepararle qualcosa. Se incorre un evento particolare, un compleanno, oppure... Un anniversario (?), sarei ben lieta di stupirla e dimostrarle di cosa sono capace. L'assaggio sarà del tutto gratuito!" Concluse, parlando esattamente come avrebbe fatto nei confronti di un nuovo cliente, anche se il tono fu decisamente meno professionale del consueto.
    Continuando a muovere i loro passi, passeggiando placidamente e apparentemente senza meta, la loro conversazione toccò molti punti diversi. In primo luogo, Jørgen la informò del suo praticare gli sports. Agnieszka non era assolutamente una sportiva o se proprio la cosa valeva, a lei piaceva camminare e passeggiare nel bosco: restando sempre molto a contatto con la natura. Riusciva a rilassarla, a farle vedere il mondo e la vita sotto un'ottica completamente nuova e diversa, rigenerante. Oggi giorno, era necessario se non basilare, trovare un qualcosa che riuscisse a mantenere la mente distesa, gli occhi aperti e sempre pronti a scorgere qualcosa di cui entusiasmarsi dell'esistenza, proprio per la società: la quale, di generazione in generazione, col prodigare e scoccare dei secoli stava andando sempre più a catafascio. C'era una globale crisi di valori, almeno, sempre secondo il pensiero di Agnieszka. La superficialità stava regnando sovrana e molti di quelle importanti questioni, valori, stavano lasciando spazio a stupidità e disinteresse. Il mondo stava diventando eccessivamente cinico, spietato e competitivo e staccare la spina, in alcune occasioni, non poteva che rinvigorire lo spirito. "Per me il massimo dell'attività è passeggiare." Commentò, esternando quindi il suo pensiero e la sua abitudine. Alcuni sports erano belli da vedere, ma non si era mai applicata, non a livello agonistico e abitudinario, almeno. "No, infatti. Polacca." Esclamò poco dopo, issando nuovamente l'arto mancino, indicandosi. Presumibilmente la sua carnagione e anche la tonalità dei suoi capelli, le permettevano di confondersi bene con gli abitanti del luogo - i quali seppur in maggioranza biondi - conoscevano anche presenze fulve o biondo scuro, ma il cognome - e chissà se ancora valeva per l'accento - erano chiaramente un biglietto da visita. «Oh, ma certo che no! Vorrei poter correre io così veloce ed apparire poi, alla fine, ancora fresca e in forma.» Scherzosamente Angieszka lo guardò, inarcando il sopracciglio. Si dimostrò alquanto diffidente, ma sempre per burla e lievemente si ritrovò ad annuire col capo. "Seh seh... Ormai il danno è fatto!" Commentò, ridacchiando ancora una volta, dando quindi una visione facile e palese della sua scherzosità e della poca veridicità di quel sotteso rimprovero. Bevve la sua bibita, svuotandone la lattina ma attese di raggiungere un cestino prima di liberarsene. Frattanto quindi, poté ascoltare con vivo interesse le considerazioni e i pensieri di Jørgen: i quali riguardavano proprio l'argomento che maggiormente le stava a cuore e la sensibilizzava sopra ogni altro. Mosse il capo tutto il tempo, concordando. Era piacevole per la rossa, potersi finalmente concedere uno scambio di pareri, con un individuo che comprendesse prontamente cosa lei stessa intendeva dire, come rifletteva sulle cose e che visione avesse del mondo; senza essere in qualche modo mal interpretata e quindi fraintesa. Era alquanto rigenerante e soddisfacente.
    Fermò il suo passo, la rossa. Un breve secondo quello che le permise di poter gettare la lattina nell'apposito contenitore, ovviamente differenziato. Ovunque, in città e anche fuori, erano presenti questi cestini, i quali permettevano una tutela e riguardo maggiore dell'ambiente. «Centro. Insegno all'Università di Besaid da non troppo tempo. Filosofia è la mia materia. So che in molti la trovano noiosa o addirittura inutile- ma per me è qualcosa di diverso da tutto il resto. Se compresa, se desiderata, se inaspettata... la filosofia può rivelare tante cose.» Inarcò istintivamente le sopracciglia, mordendosi un poco il labbro inferiore. "Molto interessante. Disgraziatamente non ho avuto l'occasione e l'opportunità di presenziare ad una sola lezione di filosofia, ma dev'essere molto interessante e curioso. Anche se, personalmente, sono sempre stata portata sulle scienze sociali, o sull'arte. Storia dell'arte era quella in cui eccellevo molto al liceo e anche in comunicazione me la cavavo piuttosto bene." Commentò la rossa, partecipando in qualche modo alla conversazione e alla tematica appena presa in esame. «Ma non mi pare il caso di fare lezione ora, che dici? Piuttosto, ti va di mangiare qualcosa di buono? Conosco un chioschetto, più avanti, che vende Hot Dogs della migliore specie.» "Certo, molto volentieri. Dopo quella corsetta qualcosa sotto ai denti sarebbe strepitoso. A proposito, offro io eh? Quindi niente scherzetti." Mise prontamente in chiaro, sorridendo e con un cenno del capo lo invitò a farle strada: cosicché potessero raggiungere il chiosco di hot dog.
     
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