Do nothing secretly; for Time sees and hears all things, and discloses all

Samantha&Adrian

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    La vita è una grandiosa avventura”.
    Così qualcuno aveva detto una volta, oppure in ogni caso era qualcosa di molto simile, anche se Samantha non riusciva a ricordare le esatte parole. Aveva visto diversi film che trattavano argomenti del genere e forse erano stati anche questi, insieme alle favole che suo padre e sua nonna le avevano sempre raccontato da piccola, a spingerla a decidere di voler vivere la sua vita in quel modo. Voleva che la sua vita fosse un’avventura, voleva qualcosa in grado di sorprenderla e di catturare continuamente la sua attenzione, qualcosa che le permettesse di non annoiarsi mai, di essere sempre in continuo movimento. Anche se, ad essere onesti, non era mai stata così tanto coraggiosa da poterci riuscire davvero. Ci aveva provato, aveva cercato di superare le paure che erano sempre riuscite a frenarla, ma non c’era mai riuscita del tutto. Sentiva, nel profondo del suo cuore, che non avrebbe mai avuto davvero il coraggio di abbandonare ogni cosa, di lasciare la sua famiglia, i suoi amici, la sua vita, per vivere davvero quelle avventure che aveva sempre sognato. Amava immergersi nei libri, immaginare come sarebbe stata la sua vita se fosse nata in un periodo storico diverso, se fosse nata in un luogo completamente diverso, lontana da quelle che erano le regole di Besaid, regole non scritte, ma comunque esistenti. Chissà come avevano vissuto i vari popoli che si erano succeduti sulla Terra, come trascorrevano le loro giornate le persone che erano vissute diversi secoli prima e come avrebbero vissuto invece le popolazioni future. Avrebbe voluto avere il potere di viaggiare nel tempo a suo piacimento, per poterlo vedere con i suoi occhi, per poter vivere continuamente immersa in nuove culture, in nuovi “mondi” sotto certi aspetti. Probabilmente era per questo che aveva sempre amato i libri, sin da piccola, quando i suoi genitori, a turno, ne prendevano uno dalla grossa libreria che avevano in soggiorno, e le leggevano qualche pagina per farla addormentare. Ricordava quei giorni come alcuni tra i più bei momenti di sempre e avrebbe tanto voluto che la sua vita fosse sempre rimasta così semplice. Perché tutto è sempre più facile quando si è piccoli, quando ancora non si è in grado di comprendere che quelle storie che ti vengono raccontate non sono altro che quello: delle storie, il frutto dell’immaginazione di qualcuno, solo un posto dove rifugiarsi nei momenti di maggior bisogno ma niente più che un’illusione, oppure ricordi, ormai sbiaditi e offuscati, che non torneranno più. Forse era per questo suo amore per le culture passate che l’archeologia e le lettere antiche l’avevano sempre appassionata molto, anche se, come sempre le era accaduto, non aveva avuto il coraggio di portarla fino fin fondo. Quando si era trattato di scegliere quale ramo prendere e che cosa fare della sua vita, aveva optato per qualcosa di più sicuro. perché studiare archeologia avrebbe probabilmente comportato dei viaggi, andare dove gli studi e gli scavi archeologici avrebbero potuto portarla e lei non se l’era sentita. Aveva avuto paura che quella vita l’avrebbe portata lontana, troppo per poter riuscire a tornare e recuperare se stessa e aveva quindi lasciato perdere. Ma la passione per quel genere di cose, la stessa che da piccola le aveva fatto sognare di diventare un’archeologa, un’esploratrice, insomma, una moderna Sidney Fox di Relic Hunter, erano ancora lì, nascoste come la polvere sotto il tappeto, pronte per essere rivelate. Quando in giro si era sparsa la notizia che Besaid sarebbe stata oggetto di una campagna archeologica aveva fatto i salti di gioia. Aveva trascorso i primi giorni a cercare quante più informazioni possibili: voleva sapere dove avrebbero scavato, quando i lavori avrebbero avuto inizio, che cosa avrebbero cercato. L’ultima era stata una delle domande a cui non aveva avuto risposta, nonostante i suoi sforzi. Non era riuscita a comprendere di che cosa si trattasse e aveva continuato a scavare un po’ prima di arrendersi. L’esaltazione iniziale, che le aveva fatto pensare di scrivere un articolo a riguardo sul suo blog, si era spenta tanto velocemente quanto si era accesa. Sarebbe stato davvero saggio farlo? Voleva davvero buttarsi a capofitto su quella faccenda? Improvvisamente non le sembrò più un’ottima idea.
    Aveva quindi lasciato perdere, cercando di evitare di pensarci, lasciando che fossero i quotidiani locali e in generale le altre persone a farle avere qualche notizia, aveva cercato di far finta che non le importasse poi molto e che non fosse affatto curiosa. O almeno ci aveva provato sino a quel giorno, quando, durante la sua solita corsa giornaliera, il suo corpo si era mosso da solo verso il parco, come attratto da qualcosa di invisibile e impossibile da spiegare. Si era resa conto di aver cambiato percorso soltanto quando era ormai troppo tardi ed era quindi sin troppo vicina allo scavo archeologico per poter rinunciare a dare una sbirciatina. In fondo dare una piccola occhiata che male avrebbe mai potuto farle? Dopotutto l’equipe poteva essere in pausa, non era sicuro che avrebbe incontrato qualcuno, poteva trattarsi di un’occhiata molto veloce, o forse no...
    Le bastò dare un’occhiata per notare un ragazzo che le sembrava di aver già visto da qualche parte, anche se non le sembrava di ricordare esattamente dove. Forse lo aveva semplicemente notato in giro per la città, anche se non le sembrava che si trattasse di una vecchia conoscenza, quindi probabilmente non doveva essere nativo del posto. Continuò ad avanzare fino a quando anche lei non fu all’interno del suo campo visivo, lontana da qualunque fronda avesse potuto offrirle un nascondiglio. -Siete già al lavoro così presto? - chiese, di punto in bianco, anche se in realtà non sapeva bene neanche che ore potesse essere dato che non aveva portato con sé un orologio durante la corsa e non sapeva per quanto tempo fosse andata avanti. -Oh, che sbadata, non ho neanche salutato. - aggiunse poi, posando il palmo della mano sulla propria fronte, dandosi della sbadata da sola. -Ciao, io sono Samantha, Sam… - iniziò, prima di assumere un’espressione vagamente confusa, inclinando appena il capo di lato. -Posso darti del tu… vero? - chiese, non troppo convinta. In effetti poteva trattarsi di qualche personaggio particolarmente noto e importante di cui magari le sfuggiva il nome, magari il capo di quella spedizione, qualcuno che ci teneva ai titoli e quant’altro. -Di che cosa vi state occupando esattamente? Che cosa state cercando? - chiese, sollevandosi appena sulla punta dei piedi per cercare di dare un’occhiata più attenta. Insomma, la discrezione non era esattamente il suo forte, e probabilmente non lo sarebbe mai stato. Si sentiva un po' come una di quelle anziane ficcanaso che fanno un sacco di domande a tutti, ma era davvero troppo curiosa per potersi trattenere.
     
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    Adrian Joel Axelsson|28 y.o.|Archaeologist|Vennelyst Park's excavation 2018, day 27.

    “Nosquoque floruimus, sed flos erat ille caducus.
    Flammaque de stipula nostra brevisque fuit.”

    Ogni cosa è di passaggio in questo mondo. Ogni fiamma brilla per poi esaurirsi brevemente. Ogni cosa nasce e si consuma fino a spegnersi. Persone, cose, luoghi. Ognuno vede la sua età d’oro che mai è eterna, e poi si esaurisce e cade tra le braccia della damnatio memoriae. Ogni luogo, ogni tempo, non diviene che una dimensione costellata da tante piccole fiammelle, di cui nulla resta, se non carboni e segni di bruciature. Il lavoro di Adrian non era che un’attenta osservazione dei segni che quelle piccole fiammelle avevano lasciato, in determinati luoghi e tempi non casuali, e da essi ipotizzare quanto e come quelle lanterne avessero brillato nella storia. Era una caccia al tesoro fatta di dettagli e indizi da mettere in ordine logico, di collegamenti da costruire, un mosaico fatto di tessere sparse che andava ricomposto. Era questo, forse, uno degli aspetti del suo lavoro che amava di più: il dover tenere la mente sempre attiva e aperta a nuove possibilità, il non annoiarsi mai nella ricerca, l’imparare ogni giorno nuove cose e il rendersi conto che spesso, gli antichi, seguivano logiche diverse dalle nostre.
    Le fonti non avevano mai menzionato il nome dell’antica Besaid, segreto custodito gelosamente dalle spire della dimenticanza, lasciando che quel lembo di terra situato sulla costa Norvegese fosse ricordato solamente come “luogo celeste”. Era credenza, secondo i norreni, che in quel luogo cinto da spesse mura circolari dimorassero gli dei e i loro figli, in grado di controllare i fulmini, il fuoco, l’aria e l’acqua, la terra e i suoi frutti, le fiere e il tempo. Attraversare le mura di quella cittadella-santuario era appannaggio di pochi eletti, giudicati degni di dimorare tra gli dei ed ammessi alla loro presenza con la pretesa che una volta abbracciato tale onore, non avrebbero più dovuto lasciarlo. Così, gli antichi, che vivevano all’esterno di quella fortezza e la conoscevano solo dai racconti, interpretavano Besaid e le sue particolarità. Si narra che solo una volta gli dei attraversarono le porte e scesero in battaglia, lasciando ai mortali le loro guerre. Loro erano il sacro, scisso dall’umano e dai tumulti dei popoli, acquietati da sacrifici e captatio benevolentiae.
    Sepolti, i labili resti di quelle antiche glorie, giacevano in attesa di occhi che potessero di nuovo coglierne la solennità e l’importanza. Anche gli dei morivano, quando venivano dimenticati o soppiantati da altri che meglio si adattavano al loro tempo. Ed imperituri, i loro resti attendevano sepolti nell’Averno che qualche eroe giungesse a strappare le loro membra alle rocce – come Ercole fece con Teseo e Piritoo- per riportarli in superficie.
    La mente di Adrian faceva improbabili associazioni tra mito, storia, supereroi e ideologie, mentre la luce del primo mattino illuminava gli strati di terra dura, rendendoli discernibili e individuabili sulla sezione. L’ombra copriva gran parte dello scavo a quell’ora del mattino, disegnando lo scenario ideale per scattare foto atte a far parte della documentazione. Si era alzato di buon mattino, dunque, aveva indossato abiti da scavo e scarpe antinfortunistiche, e si era diretto sul sito prima del resto del team, per togliersi il dente e ricominciare a scavare quando anche gli altri sarebbero giunti. Palina a terra, lavagnetta e freccia che indicava il nord, riuscì a scattare diverse foto, prima che la luce dorata del sole raggiungesse il terreno. Nel frattempo anche gli altri tre studenti giunsero all’appello. “Buongiorno!” Li salutò pimpante. Uno di loro si presentò con un caffè da asporto e glielo porse. Sempre plateale, Adrian si poggiò una mano sul cuore. “Per me?? Vedi? E’ per questo che sei il mio preferito. Venti punti a Grifondoro.” Ovviamente non aveva preferenze, né poteva permettersi di averne. Ma la mattina presto il fabbisogno di caffeina saliva in maniera esponenziale. E dare punti a caso a Grifondoro era ormai diventata un’usanza comune(?). Si divisero in due gruppi. Ai primi due toccò il lavoro di fino, quello con gli specilli e il pennello, per mettere in evidenza i resti ossei di un inumato. A lui e al patatino del caffè toccò invece il lavoro di piccone, per sbancare uno zoccolo di terra e raggiungere il livello buono delle sepolture. Nel frattempo il Vennelyst Park iniziò a popolarsi, di umarells vecchietti che tornavano a casa con le buste della spesa, di gente che portava a spasso il cane e di qualche assonnato che si trascinava a lavoro. Nessuno di loro, comunque, si esentava dal fermarsi ad osservare cosa accadesse in quella buca recintata dalla plastica arancione. Uno scavo archeologico era il Disneyland dei pensionati che non sapevano bene come impiegare il loro tempo. I peggiori erano gli ex operai edili/ ingegneri/ ferrovieri, che si sentivano in dovere di dispensare disposizioni su qualsiasi azione venisse compiuta. “Oh, lì c’è qualcosa, te ne sei accorto?”, “Che è quello? E quello?”, “Ma come lo tieni sto piccone?”, “Quello a che serve?”, “Non è più facile se ci fate dei gradini?” erano solo alcune delle domande più gettonate, insieme a “quanto vale sta roba?” che era sempre un must. Per fortuna il sole che iniziava a picchiare costituiva sempre un buon deterrente per i molesti osservatori del cantiere, che seguivano l’ombra come girasoli al contrario, e di conseguenza si allontanavano. Poco dopo, qualcun altro giunse in quella allegra oasi al limitare del Vennelyst Park. Era una ragazza in tenuta da jogging, che decisamente abbassava l’età media dei visitatori allo scavo, e che sicuramente aveva già intravisto da qualche parte, dato che i tratti dolci del suo viso non erano a lui sconosciuti. Non ricordava di averci mai parlato, né dove l’avesse mai incontrata, ma Adrian non era decisamente un fisionomista. Aveva una memoria impeccabile per quanto riguardava immagini di libri, dettagli, vocaboli e punti geografici, ma per quanto riguardava le persone… beh, con quelle era un’altra storia. ”Siete già al lavoro così presto?” Volse lo sguardo verso di lei, facendo spallucce. “Già. Le prime ore del mattino sono sempre le migliori per lavorare”. In effetti erano già a lavoro da un’oretta buona, con un ritmo tale che avrebbero potuto permettersi di smettere verso l’ora di pranzo e lavorare alla documentazione nel primo pomeriggio, all’ombra magari. “Oh, che sbadata, non ho neanche salutato”. Sorrise, Adrian. Non aveva nemmeno dato peso a quel dettaglio. Di solito era abituato a persone che lo fissavano in silenzio e che –glielo si leggeva in faccia- smaniavano per fare domande, ma attendevano il momento propizio o che fosse lui il primo ad interpellarli. ”Ciao, io sono Samantha, Sam… Posso darti del tu, vero?” Quella domanda sembrava ricorrere nella sua vita. Durante i suoi primi giorni a Besaid tutti si profondevano in formalità esagerate, a volte dando anche del “voi” al povero archeologo che sì, ci teneva ai titoli, ma fino a un certo punto. Ma poi il suo faccino da teenager aveva costituito un deterrente a tutto ciò, e alla fine era diventato, per tutti, solo Adrian. O Adie, ma questa è un’altra storia. “Certo. Sono Adrian”. Rispose gentile. Anche se fosse stata una studentessa del suo corso, comunque, il fatto che lo chiamasse Adrian, o dottor Axelsson, o Adrian Joel Wulfric Percival Brian Silente Axelsson(?), non avrebbe fatto la differenza. Fece per tenderle la mano, ma poi si ricordò di avere indosso guanti da lavoro completamente ricoperti di fango, quindi evitò, accennando un saluto con la manina. ”Di cosa vi state occupando, esattamente? Che cosa state cercando?”Alzò lo sguardo verso di lei, che si trovava di circa un metro più in alto di lui, sopra la sezione. Una domanda piuttosto intelligente la sua, una ventata d’aria fresca in confronto al solito “Si trova la roba d’oro?”, che non poté che fargli piacere. Il fatto che anche i giovani –sempre troppo presi dalla frenesia delle loro vite- si interessassero della storia di quel luogo era un fatto importante, uno stimolo a portare avanti quella ricerca. Le fece cenno di passare dove la recinzione era aperta, e le tese un braccio per aiutarla a scendere. Avevano lasciato un paio di gradini di terra, ma la fanghiglia che l’umidità del mattino creava lo rendeva comunque pericoloso. “Vieni, ti faccio vedere”, le disse. Nel frattempo il suo compagno di piccone(?) ne approfittò per riposare un attimo, ed andare a vedere come procedeva il lavoro dei suoi colleghi alle prese con la sepoltura. La aiutò a scendere e la condusse fino a dove gli altri ragazzi stavano lavorando. “Quella che stiamo scavando è la prosecuzione della necropoli norrena già individuata negli anni novanta. All’epoca gli scavi portarono alla luce alcune sepolture i cui corredi sono esposti al museo, e poi si sono arrestati, probabilmente per mancanza di fondi. Quest’anno abbiamo proseguito il vecchio scavo procedendo verso nord, ed abbiamo individuato altre inumazioni. E’ interessate notare come queste, a differenza delle prime, siano sempre più povere di corredo.” Indicò un punto al di là della strada sterrata che attraversava il Vennelyst Park. “Da quella parte, oltre l’area delle tombe principesche, abbiamo effettuato un saggio e abbiamo individuato una piccola fortificazione, che ci lascia sperare che sia il limite che in antico si aveva tra la città dei vivi, e quella dei morti, che come saprai, dovevano essere separate. Se così fosse, avremmo le sepolture più ricche a ridosso della città, mentre quelle meno ricche sempre più lontane. Queste disposizioni di solito non sono mai casuali. E’ come se, a livello ideologico, i capi guerrieri restassero a guardia della cittadella. Ma questa è solo un’ipotesi fantasiosa.” Si ridimensionò. Quando iniziava a parlare, il suo flusso di pensieri iniziava a percorrere tutte le vie possibili. ”Quella che stanno scavando loro adesso è una sepoltura femminile, priva di corredo anche questa. Ha le mani giunte sul ventre”. Disse indicando compiaciuto(?) le ossa che i ragazzi stavano man mano scoprendo e invitandola ad avvicinarsi. Adrian adorava spiegare in cosa consistesse il suo lavoro, anche ai bambini, anche se nel restante 99 percento delle occasioni quelli non li sopportava. Lo trovava un modo per far vivere qualcosa che in effetti, visto così, non sarebbe rimasto che un anonimo gruppo di reperti. Reperti che secondo lui, invece, potevano raccontare molteplici storie di persone e luoghi.
     
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    Le era bastato incontrare velocemente lo sguardo del ragazzo che sembrava a capo degli scavi per chiedersi come avesse fatto a frenare la sua curiosità così a lungo. Era stata molto paziente e silenziosa in quegli ultimi mesi, tutto il contrario della solita Samantha che i suoi amici avevano sempre conosciuto. Aveva cercato di mettersi così tanti paletti e così tante restrizioni che quasi lei stessa stentava a riconoscersi. Se fosse stata ancora la bambina allegra che correva per le strade di Besaid come se fosse stato un misterioso luogo fatato, popolato da folletti e altre creature dei boschi, sarebbe subito accorsa verso quella improvvisa novità, chiedendo al ragazzo se avesse trovato la casa dei folletti che un tempo abitavano il bosco. Erano queste le storie che sua nonna le aveva sempre raccontato, mentre passeggiavano per il parco o il bosco che circondava la città e lei, da piccola, ci aveva creduto con forza, così tanta che, una volta, aveva creduto di vedere davvero i folletti e le fate di quelle storie. Aveva cercato di rincorrerli per un po’, ma li aveva persi, senza riuscire a capire da dove fossero arrivati, né dove fossero spariti. Solo dopo qualche anno aveva compreso che quella visione doveva essere legata alla particolarità di sua nonna e che quelle creature fantastiche non esistevano davvero e forse non erano mai esistite. Non era stato semplice da digerire e per un po’ di tempo si era rifiutata di parlare di nuovo con la nonna, sentendosi estremamente tradita, ma con il tempo se ne era fatta una ragione e alla nonna era bastato aspettare un paio di giorni e poi preparare i suoi famosi biscotti per farle tornare subito il sorriso e farle scordare il motivo dell’arrabbiatura. Non le era mai piaciuto litigare con gli altri e tanto meno tenere il broncio, certe cose probabilmente non sarebbero mai cambiate. Era cresciuta, almeno fisicamente, e sotto certi aspetti anche a livello psicologico, ma niente sarebbe riuscito a toglierle quella incredibile luce che le invadeva gli occhi davanti alle più incredibili novità, lo stesso sguardo che aveva rivolto a quel ragazzo quando lui aveva risposto a quella frase fuoriuscita quasi di sfuggita dalle sue labbra.
    Aveva temuto di essere stata un po’ troppo invadente, spuntando da dietro un albero così, senza preavviso, per poi prendersi tutta quella confidenza. Si era sentita un po’ come tutti quei vecchietti che popolavano qualunque genere di cantiere e che facevano a gara tutte le mattine per ritagliarsi il posto migliore, quello da cui tutto era sempre più visibile, quello sa cui riuscivi a notare persino quello che gli operai non potevano! Erano persone bizzarre gli anziani, talvolta un po’ troppo chiacchierone, e per questo spesso la gente tendeva a trovarli pesanti da sopportare. C’erano dei giorni, invece, in cui Sam attaccava bottone con qualche anziano di proposito, solo perché sapeva che sarebbe riuscito a trovare degli aneddoti entusiasmanti che nessuno come loro avrebbe saputo raccontare. C’era chi parlava della guerra, chi della donna che gli aveva rubato il cuore quando era soltanto un ragazzo, chi, ancora, parlavo con tenerezza dei proprio figli e di quanto fossero cresciuti. In ogni caso, se si aveva il tempo e la pazienza di ascoltarli, potevano essere una fonte inesauribile di notizie. Non avevano molto altro da fare, per trascorrere le giornate, che stare a guardare la gente che passava, come se volessero tenerne il conto, come se volessero sempre avere sotto controllo tutto quello che accadeva in quella città. Erano un po’ come i guardiani di Besaid ed era così che amava descriverli, quando la vena fantasiosa la assaliva. Se mai avesse deciso di dedicare loro un articolo sul suo blog avrebbe avuto da scrivere per giorni.
    Quella volta, tuttavia, non era lì per ascoltare gli aneddoti degli anziani signori, ma per ficcare il naso nel passato della città in cui aveva sempre vissuto. Sorrise, annuendo appena, quando il ragazzo le spiegò che le prime ore del mattino erano le migliori per lavorare, probabilmente per via del fresco e della calma. Il parco era un posto molto frequentato, ma per fortuna nello spazio attorno allo scavo erano stati posizionati diversi cartelli che invitavano a fare attenzione e non sostare troppo vicini. Qualunque genitore un po’ accorto, se voleva evitare che suo figlio facesse un capitombolo giù nel fosso mentre correva, lo avrebbe portato a giocare un po’ più in là. Conoscendosi, tuttavia, lei sarebbe sicuramente stata una di quelle bambine che non davano retta alle madri in simili occasioni e che avrebbe trascorso tutto il tempo a sbirciare, trattenendosi sempre sull’orlo del precipizio, così da poter vedere meglio. Un po’ come stava facendo anche in quel momento, dopotutto.
    Il buon senso le permise di ricordare di presentarsi, anche se un po’ in ritardo, cercando di rimediare almeno un minimo a quell’inizio un po’ invadente, sebbene non avesse di certo intenzione di mollare la presa così facilmente. Aveva aspettato mesi interi per sapere qualcosa, non se ne sarebbe certo andata a mani vuote. Si presentò come Adrian, invitandola a continuare tranquillamente con il tu. Sebbene fosse più grande di lei, ad occhio e croce non dovevano avere una grossa differenza d’età quindi sarebbe stato un po’ strano doversi rivolgere a lui in maniera formale, ma avrebbe fatto anche quello, se necessario, pur di venire a capo del mistero. Quando lo vide farle cenno di passare dall’apertura nella recinzione i suoi occhi brillarono di felicità. La stava davvero invitando a ficcare il naso molto più vicino? Gli rivolse un’occhiata interrogativa, ma fu solo una questione di secondi. Non pronunciò alcuna domanda, non gli chiese se era sicuro, se poteva farlo davvero, si limitò a muoversi piuttosto velocemente verso lo spazio che le aveva indicato, per poi accettare il suo aiuto nello scendere le scale. Se fosse stata un po’ meno presa da tutta quella faccenda probabilmente se ne sarebbe uscita con un orgoglioso “Posso farcela da sola”, ma era così felice dell’opportunità che le era appena stata data da voler evitare di rovinare tutto con qualche parola detta nel momento sbagliato.
    Si guardò intorno con aria estasiata, sebbene non ci fosse ancora molto di visibile attorno a lei. Il semplice fatto di aver varcato la “barricata”, di aver potuto dare un’occhiata più da vicino al lavoro che stavano svolgendo, le avrebbe probabilmente lasciato addosso un sorriso ebete ed euforico per una settimana. Ascoltò in silenzio, ma con estrema attenzione, mentre Adrian iniziava a spiegarle quale fosse l’oggetto dello scavo. Non ricordava nulla del precedente scavo degli anni novanta a cui lui si riferì, ma cercò di appuntarsi mentalmente di fare una ricerca, non appena fosse tornata a casa, per scoprire qualcosa di più e cercare quindi di capire da che tipo di basi partissero. L’archeologia era un mondo affascinante, ma anche molto complesso. Se non si avevano delle buone basi da cui partire, se non si aveva nulla di nulla, era un po’ come cercare un ago in enorme pagliaio e riuscire a fare delle scoperte poteva rivelarsi quasi impossibile. A quanto pare il loro punto di partenza erano state alcune sepolture ritrovate in anni precedenti. Riflettendoci meglio le sembrava di averne sentito parlare, anche se non ricordava granchè e da piccola non era stata così interessante a quella parte del museo di Besaid. -Ne avete trovate molte? - chiese, in riferimento alle nuove inumazioni da lui citate, mentre continuava a seguirlo lungo il percorso. La Besaid dei vivi e quella dei morti, era un po’ strano immaginarla in quel modo. il loro cimitero non si trovava poi così distante dalla città e di certo non c’erano grosse distinzioni tra le persone sepolte al suo interno. Certo, le persone più ricche tendevano a costruirsi dei mausolei o a voler utilizzare materiali più pregiati, per mostrare a tutto il mondo che potevano permetterselo, ma erano davvero in pochi. <>-Chissà che cosa penseranno delle nostre di sepolture un giorno. - disse, con lo sguardo perso, senza sapere bene neanche lei a che cosa stesse pensando. Dovevano essere passati diversi secoli da quando quelle persone erano ormai sparite da Besaid, chissà se dopo altrettanti secoli ci sarebbe stata ancora vita in quel posto. -Vi siete fatti un’idea di quanti anni possano avere? Di quanto tempo sia passato? - chiese, non sapendo se questa era un’informazione già chiara ai tempi dello scavo precedente. Era come una bambina dentro un gigantesco negozio di giocattoli, dove ogni cosa appariva nuova e incredibile. Si avvicinò un po’ di più alla sepoltura femminile che le aveva appena indicato, piegandosi sulle ginocchia per poterla osservare meglio, mettendo però le mani conserte dietro la schiena, come per assicurargli che non avrebbe cercato di afferrare nulla. sapeva quanto fragili potessero essere delle ossa conservate per tutto quel tempo e non voleva in alcun modo essere la causa della loro distruzione. -Vi sono sembrate tutte morti pacifiche? - chiese, mentre osservava le mani giunte sul ventre di quella che un tempo era stata una donna, non avrebbe potuto dire quanti anni potesse dimostrare quando la sua vita si era arrestata. -O qualcosa vi fa pensare che qualcuno possa averli attaccati? - chiese ancora, senza riuscire a tenere a freno la curiosità. Iniziava già ad immaginare un popolo di antichi guerrieri, vincitori di sanguinose battaglie, oppure un popolo mite e tranquillo, che aveva cercato per tutto il tempo di mantenersi fuori dalle faide e dalle dispute per il territorio, ma che alla fine era stato sorpreso da qualche popolo di bruti e sterminato. La sua fantasia aveva sempre viaggiato troppo e troppo velocemente.
    -E’ davvero affascinante il lavoro che fate. - disse, riferendosi ovviamente a tutto il gruppo, anche se era Adrian quello a cui rivolse lo sguardo, con un sorriso radioso sul volto. -Ci sono delle volte in cui mi pento di non aver fatto anche io questa scelta. - ammise, con aria vagamente malinconica, ripensando alle scelte che aveva fatto nel corso della sua vita, senza tuttavia mai smettere di sorridergli. Era un mondo che continuava ad affascinarla e che avrebbe sempre bussato alle porte del suo cuore. - Tu non sei di qui, non è vero? - chiese, poco tempo, tirandosi un po’ su e allontanandosi quindi leggermente da quell’ultima sepoltura. - Da dove vieni? - continuò, inclinando appena il capo di lato. - Sempre se non sono troppo indiscreta… - si premurò di sottolineare, lasciandogli quindi la possibilità di evitare l’argomento e passare ad altri discorsi. Era sempre stata una persona chiacchierona e curiosa, ma non se la prendeva mai se le persone evitavano le sue domande.
     
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    Adrian Joel Axelsson|28 y.o.|Archaeologist
    C’è un motivo per cui teoria e pratica, nonostante siano spesso complementari, sono scisse. La pratica a ciò che la teoria può solo ipotizzare, fornisce delle conferme, o delle smentite. Al suo primo scavo, Adrian si era reso conto di quanto diversa potesse essere il fare materialmente qualcosa dal leggerlo sui libri. Il suo responsabile, dopo avergli spiegato in cosa, effettivamente, consistesse quel tipo di ricerca, lo aveva incitato a fare domande, anche le più stupide, poiché era proprio la curiosità il motore della scoperta. E proprio quella curiosità lo aveva spinto a non lasciare mai nulla al caso, nulla di intentato. Per anni ed anni, A.J. aveva fatto domande, le più svariate. Le aveva poste a chi ne sapeva di più, a sé stesso, ai libri. Le aveva poste al terreno che scavava, al passato che solo attraverso i suoi lasciti avrebbe potuto rispondere. Ed era stato attraverso la pratica che aveva capito che quello era il lavoro che avrebbe voluto fare. Era bastato un solo giorno, immerso tra polvere e i sassi, per ricevere quella risposta che anni di studio e tanti libri non erano riusciti a fornirgli. La pratica, spesso, era in grado di compensare la teoria. La curiosità invece, la voglia di conoscere, di primeggiare in un qualsiasi campo, invece, era qualcosa in grado di mettere in moto la scienza. Se c’era qualcosa che aveva permesso all’uomo di divenire tanto evoluto, era proprio la curiosità. Poteva cogliere la stessa curiosità negli occhi di Sam, quel motore in grado di spingere verso nuove, personali, scoperte. Si vedeva che la sua era una mente dinamica, sempre pronta a recepire e registrare nuove informazioni da elaborare ed aggiungere al quadro d’insieme. Nonostante fosse una persona sfuggente, Adrian apprezzava davvero molto chi si interessava e faceva domande intelligenti, soprattutto se si parlava di archeologia. E da buon venditore del proprio lavoro, sapeva che coinvolgere la popolazione locale era il primo step della divulgazione, un primo modo per restituire agli abitanti di quella cittadina la loro storia. E toccare con mano la storia, trasmetteva decisamente un messaggio più forte. Aiutò la ragazza a scendere nella trincea, anche se non ce ne fu effettivo bisogno. Se si fosse fatta male però, la responsabilità sarebbe stata sua, ed andare in galera per una che era rotolata nello scavo non rientrava tra le sue priorità. Sembrava affascinata, lei, da quelle ossa sepolte nella nuda terra. Erano in pochi quelli che riuscivano a cogliere il fascino del dimenticato che riemergeva alla luce della conoscenza. E questo, faceva di certo guadagnare un sacco di punti alla ragazza, agli occhi di Adrian. Lo ascoltò parlare senza interromperlo – altri 40 punti a Grifondoro- seguendo con lo sguardo i punti da lui indicati, e senza interferire col lavoro dei ragazzi che, nonostante quella irruzione sul cantiere, avevano diligentemente continuato a lavorare. “Ne avete trovate molte?” Chiese lei, riferendosi alle sepolture, sostando per un momento di fronte a quell’inumazione femminile di cui avevano parlato poc’anzi. Ci ragionò su un attimo, facendo un rapido calcolo mentale. ”Dunque…gli scavi precedenti, nell’altra area, avevano individuato una ventina di sepolture, mentre qui, al momento, ne abbiamo sei individuali e due fosse comuni” La condusse verso una buca rettangolare lunga circa due metri e mezzo, rivestita da lastre litiche dal taglio irregolare, vuota. ”Come questa. Contenevano le ossa di diversi inumati, qui forse erano una decina, non in connessione anatomica, quindi al momento non siamo in grado di individuare quanti per la precisione fossero. Come vedi, sono vuote. Dopo averle documentate le abbiamo portate al dipartimento di antropologia…Ci penseranno loro a fare il lavoraccio di ricostruirle”. Rise, perfido. A ognuno il suo. A loro toccava già la fatica fisica, tutto il lavoro di catalogazione, lo studio delle strutture e dei restanti materiali, la documentazione…ma almeno le ossa polverose sarebbero toccate a qualcun altro. Non che non gli sarebbe piaciuto, studiarle, Adrian ne era dannatamente affascinato, ma quella era una competenza che prescindeva dalle proprie. ”Ed è più o meno lo stesso per l’altra fossa. Ma questi numeri prendili con le pinze. Non abbiamo ancora indagato l’area alle nostre spalle, e conta che sotto alla strada ci sarà sicuramente qualcosa, ma al momento non abbiamo autorizzazioni per intervenire. Maledetti, quando ho chiesto il georadar a quelli di geologia mi hanno riso in faccia”. Borbottò tra sé quell’ultima frase, mentre un vecchietto che passava di lì, udendo le sue parole, pensò bene di evitare di camminare sul sentiero di breccia e calpestare i morti, e così facendo passò per il prato, inciampò in una buca e rotolò a terra. Ad Adrian, che era una persona orribile, non passò neanche per un attimo per la testa di chiedersi se si fosse fatto male, e scoppiò a ridere, da solo. Probabilmente, chi non aveva assistito alla scena, lo avrebbe preso per matto. Non vedendolo rialzarsi, e ridendo con le lacrime, chiese un attimo a Sam di attenderlo, e si avvicinò alla recinzione. ”Signore, sta bene?” Chiese, ancora scosso dagli spasmi delle risate. ”Porca mignotta ladra! Fanculo i morti e i vivi!” Fu la riposta. Che non spiegava nulla in realtà, però poi lo vide rialzarsi e lo salutò, per poi tornare da Sam. Le scene dei vecchi al cantiere a volte erano impagabili. ”Scusami, per un attimo ho temuto che avremmo dovuto scavare un’altra buca” Rise. E niente, ormai era partito. E per lui le cose macabre erano decisamente le più divertenti. Probabilmente la ragazza avrebbe pensato che Adrian fosse una persona orribile. Ed avrebbe avuto ragione.
    ”Vi siete fatti un’idea di quanti anni possano avere? Di quanto tempo sia passato?” Chiese poi lei. Per lui, forse era scontato, ma per i neofiti della materia quella domanda era piuttosto normale. ”Beh, si, a grandi linee. In base ai confronti anche con le sepolture dall’altro lato della strada, per quanto riguarda le modalità di deposizione o i pochi elementi di corredo, la necropoli dovrebbe avere un periodo d’uso che va tra la fine dell’ottavo agli inizi del decimo secolo. Lo studio approfondito dei materiali e delle inumazioni poi potrà restringere l’arco cronologico, per adesso ci basiamo solo su dati preliminari. A conferma di ciò, comunque, c’è il dato che con l’avvento del cristianesimo, la necropoli si sposta del tutto e la superficie della città si dilata, venendo a ricoprire anche quest’area, che doveva perciò già essere obliterata.” Il linguaggio di Adrian era forse un po’ troppo scientifico per essere pienamente compreso da qualcuno non addetto al settore, ma Samantha sembrava una tipa sveglia e intelligente, e la sua espressione non divenne quasi mai dubbiosa, mentre lo seguiva. E le sue domande non risultarono mai inopportune alle sue orecchie. Erano consequenziali, connesse, pertinenti. ”Vi sono sembrate tutte morti pacifiche? O qualcosa vi fa pensare che qualcuno possa averli attaccati? In realtà, almeno sul cantiere, un archeologo non si soffermava a cercare di capire di cosa fossero morti gli inumati, ma semplicemente di documentarli e rimuoverli nel migliore e più completo dei modi, in modo che quel compito poi, fosse risultato più semplice a chiunque fosse toccato. Era bello, in ogni modo, fare ipotesi, dare un filo logico a cose che semplicemente, viste così, non ne avevano. ”Apparentemente no, ma alcune sono così mal conservate che un occhio inesperto -come il mio, lo ammetto- non vedrebbe segni di violenza su quelle ossa. Anche questo è uno dei risultati che attendiamo dagli studi del dipartimento di antropologia. Ciò che mi incuriosisce di più, personalmente, è la fossa comune. Sarebbe bello sapere se siano stati seppelliti lì contemporaneamente, e se sì perché, o se queste fosse siano solo un risultato di una traslazione successiva. Una specie di ossario insomma. Per fortuna, il laboratorio di antropologia di Besaid era davvero ben attrezzato, e chissà come, aveva sempre fondi a disposizione. Almeno qualcosa, in quella città funzionava. In realtà, gli antichi Besaidiani, secondo gli scritti, non erano mai stati un popolo belligerante, ma all’apparenza un pacifico popolo di pescatori e funzionari del grande santuario, che al mondo celavano le proprie capacità. ”E’ davvero affascinante il lavoro che fate. Ci sono delle volte in cui mi pento di non aver fatto anche io questa scelta.” Sorrise, a quell’affermazione. Chiunque incontrasse diceva di aver sempre voluto fare l’archeologo, eppure, nemmeno uno di loro aveva compiuto quella scelta. Era quello il grande ostacolo di quel mestiere: spesso a un archeologo era richiesto di sacrificare tutto, stabilità, ricchezza, fama, rapporti, per avere la possibilità di fare qualcosa che lo rendesse felice. Non tutti, a quanto pareva, avevano il coraggio di scegliere quella felicità che, da sola, non era in grado di farti portare a casa la pagnotta. ”E che hai scelto, alla fine?”Chiese, curioso di conoscere quale meccanismo fosse intervenuto quella volta, ad indurre una scelta più o meno voluta.
    ”Tu non sei di qui, non è vero?” Quella domanda lo colse alla sprovvista, tanto che arrossì leggermente. ”Oh Ishtar…si sente tanto?” Nemmeno considerò il fatto che a Besaid si conoscessero tutti, tanto da riuscire a identificare immediatamente ogni estraneo, dando la colpa al proprio accento danese, che ormai andava affievolendosi. ”Da dove vieni? Sempre se non sono troppo indiscreta…” ”Oh, non sei indiscreta, assolutamente. Sei stata semplicemente una buona osservatrice. Sono danese, di Alborg per la precisione.” In effetti, era la prima volta che parlava della sua città natale in tono amorevole, da quando aveva messo piede a Besaid. Quella non era mai stata la sua casa…probabilmente non ne aveva mai avuta una che considerasse un posto in cui poter restare per sempre. Ma forse, per chissà quale strano meccanismo, ogni volta che si allontanava da un luogo, poi, iniziava a percepirlo in modo diverso, con disprezzo, o nostalgia. ”E tu? Non dirmi che sei di Besaid eh! Altrimenti sappi che verrai interrogata sulla storia della tua città e su tutti i locali migliori in cui mangiare sushi…” Ovviamente scherzava, almeno sull’interrogazione. Ossia, non proprio. In circostanze un po’ più serie probabilmente lo avrebbe fatto davvero, sfoggiando la sua forma finale da Mr. Spocchia, ma al momento ere impegnato in uno scavo, in abiti lerci di fango: decisamente poco credibile.
     
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    Quando Adrian la invitò a raggiungerlo all’interno dello scavo, scendendo quei pochi gradini che li separavano dal resto del parco, si sentì come Alice quando, seguendo un coniglio verso la sua tana, si ritrovò nel Paese delle Meraviglie. Era sciocco da pensare, considerando che, in fondo, si trovava pur sempre dentro i confini di Besaid, a sole poche centinaia di centimetri dalla quota del terreno che calpestava tutti i giorni, all’interno di una zona su cui avrebbe potuto sbirciare anche semplicemente dal parco, ma per lei quella era comunque la conquista più sensazionale della giornata. Mai, prima di quel momento, aveva avuto l’occasione di mettere piede all’interno di uno scavo archeologico, di toccare con mano, seppure in maniera del tutto figurativa, il lavoro di un archeologo. Aveva letto molti articoli a riguardo, aveva seguito con attenzione i report di tantissime campagne di scavo, seguendo passo passo ogni scoperta come se fosse stata una partita del suo sport preferito, dove ogni punto sarebbe stato fondamentale e importantissimo, ma mai prima di quel momento era stata davvero così vicina ad una nuova scoperta. Cercò quindi di soffermarsi su ogni più piccolo dettaglio, senza perdersi neanche una parola di ciò che il ricercatore intendeva condividere con lei. Ogni cosa ai suoi occhi era incredibilmente magica e preziosa e non sapeva quando, né se, le sarebbe capitata mai un’altra occasione simile nella vita. Incuriosita quindi da tutto quello che aveva intorno iniziò subito a tempestare il ragazzo di domande, che sembrò subito abbastanza intenzionato a raccontare tutte le loro scoperte. Era evidente in ogni sua parola quanto fosse appassionato del suo lavoro e per questo stare ad ascoltarlo riusciva ad essere ancora più bello e interessante. Lo seguì con estrema attenzione verso una delle fosse rettangolari che avevano scavato, che le spiegò essere una delle due fossi comuni che avevano trovato, contente le ossa di diverse persone, forse persino una decina, ma a causa delle condizioni in cui le avevano ritrovate non erano ancora riusciti a comprendere di preciso quante persone avesse ospitato quel preciso punto di sepoltura. Tutti i ritrovamenti erano stati portato al dipartimento di antropologia, che avrebbe provveduto alla ricomposizione delle figure e al loro studio. Ridacchiò quasi perfidamente nel dire che studiare quelle ossa sarebbe stato compito di qualcun altro e lei rise appena, di rimando, abbastanza divertita dal suo comportamento. -Ma ve lo comunicheranno poi? O, in ogni caso, ci sarà un modo per scoprirlo? - chiese, quasi preoccupata all’idea di non riuscire a venire a capo di quella faccenda.
    Al sentirlo affermare che sotto la strada dovevano esserci altre sepolture un anziano signore un po’ troppo curioso iniziò a deviare il suo percorso, forse nella speranza di evitare di disturbare l’eterno sonno di qualcuno, finendo però con l’inciampare dentro una buca. Sam si portò le mani alle labbra, strabuzzando appena gli occhi, un po’ preoccupata per la salute dell’anziano signore. Era chiaro che se la fosse cercata e che se avesse prestato soltanto un minimo di attenzione in più avrebbe tranquillamente potuto evitare quel capitombolo, ma era anche vero che forse, vista la sua età, non vedeva più così bene e forse non si era neanche accorto del pasticcio in cui si era cacciato. L’archeologo rise, divertito da quella buffa faccenda, ma quando, dopo alcuni momenti, il vecchietto non accennò a rialzarsi, fu costretto ad andare a verificare che fosse ancora tutto intero. La risposta seccata che ricevette, davanti alla sua preoccupazione, fece trattenere a stento le risate a Sam. Era evidente che stesse bene, se era riuscito a rimettersi in piedi e inveire contro tutto il mondo. Rise, pur sapendo che la cosa non era affatto divertente, quando lui le disse di aver temuto di dover scavare un’altra buca, accompagnando le risate dell’altro. -Ok, lo so che è una cosa seria e che non dovrei trovarla affatto divertente, ma non credevo che una cosa del genere potesse accadere davvero! - disse, tra una risata e l’altra, mentre cercava di riprendere almeno un minimo di contegno e di serietà, senza tuttavia riuscirci davvero. -Credo che questa scena sarà una di quelle cose che non scorderò mai nella vita. - continuò, rincarando la dose. Gli altri vecchietti attorno a loro avevano aguzzato la vista quando avevano notato che uno dei loro aveva quasi perso la vita in battaglia, e avevano iniziato a camminare ben più distanti dal perimetro dello scavo, per evitare di fare la stessa fine. -Pensi che si sia fatto male? - chiese quindi, asciugandosi appena le lacrime che avevano abbandonato i suoi occhi per via di tutte quelle risate, cercando di allungare appena il collo per individuare la figura dell’anziano in lontananza. Sembrava camminare con passo abbastanza fermo, nonostante l’andatura fosse un po’ lenta e controllata. Doveva essere ben più ferito nell’orgoglio che nel fisico. -Ti era mai capitato nulla di simile? - domandò ancora, visto che ormai il pathos era già stato spezzato e che non aveva potuto fare a meno di chiederglielo prima di tornare più seria e riprendere con le domande relative allo scavo e alle loro ultime scoperte. Chissà quanti bizzarri aneddoti avrebbe potuto raccontarle.
    Riprese ad ascoltare le sue spiegazioni, appuntandosi mentalmente ogni data o dettaglio le stesse rivelando, nella speranza di riuscire a ricordarli e poterci scrivere su qualcosa, magari, una volta tornata a casa. -Sarebbe bello poter vedere come era un tempo questo posto, prima che tutto iniziasse a mutare, quando le costruzioni non lo avevano ancora raggiunto. - mormorò, quasi sovrappensiero, mentre il suo sguardo si perdeva per un momento e lei cercava di immaginare come potesse essere la Besaid di quei secoli di cui lui aveva appena parlato. Anche allora gli abitanti di quell’area geografica erano in grado di fare cose impensabili per chiunque vivesse al di fuori del suo confine? Probabilmente nessuno avrebbe potuto dirlo con certezza, a meno che non fosse possibile reperire degli scritti a riguardo. O forse era semplicemente lei a non saperne nulla e a non aver mai udito nulla a tal riguardo. Tenne questa domanda per sé, ad ogni modo. Non tutti erano ugualmente inclini ad accettare quel genere di cose e non a tutti Besaid aveva regalato una particolarità positiva e facilmente utilizzabile come la sua. Non poteva certo conoscere quale destino fosse toccato invece al ragazzo che aveva di fronte.
    Ammise di non essere un grande esperto di ossa e che non avrebbe quindi saputo rispondere con certezza alla sua domanda, anche se, anche lui, era curioso di sapere se si trattava di un ossario creato nel corso del tempo o se le persone al suo interno erano state inumate tutte quante nello stesso momento. il dipartimento di antropologia avrebbe trovato una risposta anche a quella domanda, per fortuna. -Immagino che possa fare una grande differenza, anche per voi. - provò ad ipotizzare. Dopotutto poteva essere importante per i loro studi sapere se un luogo di sepoltura era stato utilizzato per un certo periodo o se lo avevano realizzato di proposito soltanto per un particolare evento, avrebbe potuto aiutarli a ricostruire qualcosa di più sulle usanze e sulla storia di quel popolo antico. -Ho optato per Letteratura e Lettere Moderne alla fine, nel tentativo di diventare una giornalista. - spiegò, senza troppi problemi, quando lui le chiese che scelta avesse fatto quando aveva deciso di non poter fare l’archeologa. -Ho scritto qualche pezzo per il giornale dell’Università di Bergen e nel tempo libero tengo un blog su Besaid e sul mondo, magari potrei parlare del vostro scavo. - la buttò lì, cercando di capire se le informazioni che le aveva rivelato quel giorno potevano essere trasmesse al resto della popolazione o se sarebbe stato meglio attendere i risultati delle loro pubblicazioni prima di scrivere qualunque dettaglio a riguardo. Poteva sempre pubblicizzare una visita agli scavi comunque, oppure organizzare un’intervista un po’ più seria con il ricercatore, per trasmettere almeno parte delle loro nuove scoperte. Ancora non lo sapeva, ma ci avrebbe ragionato su a tempo debito.
    Visto che non aveva avuto alcuna occasione di incontrarlo prima di quel momento si chiese se il ragazzo provenisse da un altro luogo, ricevendo una risposta positiva. -No, in realtà non poi così tanto. E’ solo che non ti ho mai visto da queste parti prima di questo periodo, quindi ho tirato ad indovinare. - spiegò, ridacchiando appena, quando lui diede la colpa al suo accento, spiegandole che proveniva dalla Danimarca. -Sei qui soltanto per questioni lavorative? - chiese ancora, continuando ad indagare sulla sua vita personale, senza neanche farci troppo caso. Rise, quando lui le disse in tono scherzoso che se fosse stata una cittadina doc di Besaid allora l’avrebbe tempestata di domande sulla storia e sui migliori locali di sushi. -Beccata. Pensavo di poter restare in incognito e invece… beh, sono proprio di Besaid. - rispose, sfoderante una finta aria colpevole, come se fosse stata colta con le mani dentro il barattolo della marmellata. -Sulla storia della città non sono certa di essere abbastanza preparata, ma per il sushi… beh, c’è un localino veramente particolare vicino alla spiaggia, che ha davvero del pesce di ottima qualità. Si chiama Sakura, non puoi sbagliarti. Dovresti provarlo un giorno. - continuò, con aria sin troppo pimpante, mentre cercava di dargli quanti più dettagli possibili su quell’argomento. Anche lei quando iniziava a parlare non riusciva più a smettere. -Anzi, facciamo così! Ti ci porto io, uno di questi giorni, per ringraziarti di questo tour super guidato per lo scavo. Che ne dici? - chiese, senza neanche prendere in considerazione il fatto che la sua potesse essere una semplice battuta. - E magari alla fine della visita, se non lo hai già fatto, ti organizzo un tour di Besaid, una guida dettagliata di tutti i posti che devi assolutamente vedere e di tutti quelli da cui tenerti alla larga se non vuoi fare pessimi incontri o avere davvero delle pessime esperienze. Tutto ciò che c’è da sapere su Besaid! - disse ancora, terminando il tutto segnando delle virgolette in aria quando espresse quelle ultime parole, come per fargli capire che era soltanto un modo di dire. In quel momento si sentiva un po’ come una tour operator masi era sempre chiesta come si sentissero i nuovi arrivati, se qualcuno di loro aveva mai avuto bisogno di aiuto e se qualche cittadino glielo avesse mai dato. -Quindi? Affare fatto? Tu finisci di illustrarmi il cantiere e io appena possibile ti illustro la città? - terminò, allungando una mano nella sua direzione, incurante del fatto che portasse dei guanti completamente sporchi di fango, in attesa che lui la stringesse per dare vita a quel loro nuovo patto.
     
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    Adrian Joel Axelsson|28 y.o.|Archaeologist|Vennelyst Park's excavation 2018, day 27.

    Calpestiamo ogni giorno le rovine sepolte del nostro passato, ripercorriamo i sentieri tracciati dai nostri avi. Forse, come loro fecero, compiamo le stesse scelte e inconsapevolmente ripetiamo gli stessi errori, i cui catastrofici esiti sono andati dispersi nel dedalo della memoria. Popoliamo lo stesso territorio che essi stessi scelsero di occupare, per le medesime risorse e con scopi diversi, riadattiamo alle nostre esigenze quei luoghi che gli antichi plasmarono a loro immagine, che resero grande e unico. E a volte ci troviamo a volerne riscoprire le origini, a voler frammentare il tempo per percepire le modificazioni avvenute in ogni scansione. Ci troviamo a voler scoprire cosa siamo stati, e cosa ci ha indotto ad essere ciò che siamo ora. E’ nell’umana natura voler conoscere il nido in cui ci si è originati, comprendere perché lo abbiamo abbandonato o riscoprire i legami che ci tengono indissolubilmente ancorati ad esso. Ci chiediamo spesso, se questa sia a prima volta che camminiamo sui questi sentieri, o se abbiamo già vissuto altre vite che abbiamo dimenticato. Ci chiediamo se riscoprire il passato possa rispondere a questo interrogativo, darci segnali, farci percepire qualcosa, come in un deja vù, che risvegli ricordi sopiti. E così esploriamo, ricerchiamo, ricostruiamo attraverso teorie quel passato che non conosceremo mai a pieno, per riprenderci quell’identità di cui ci sentiamo mutilati, per riempire quel senso di incompletezza che ci portiamo dietro da quando per la prima volta vediamo la luce del Sole.

    Molti affermavano di essere interessati a quel passato dimenticato, ma in erano pochi coloro che si paravano in prima linea per scoprirlo. Erano rare le persone che anteponevano la pura curiosità alla cautela. Sam era in parte estranea a quel mondo popolato di rovine e passati da riscoprire, eppure la sua curiosità era in grado di spingerla oltre quel confine mentale, di muovere la sua coscienza verso l’ignoto, di portarla a chiedersi quando e come tutte le domande avrebbero ricevuto risposta. Ad Adrian piacevano le persone che si mostravano sinceramente interessate non solo al suo lavoro, ma a ciò che esso produceva: risposte. E passare del tempo con persone dalla mente vivace e dalle curiosità per nulla scontate era per lui un nutrimento per l’anima. Erano spiriti affini, quelli, tanto rari da trovare da poter essere definiti essi stessi una scoperta, al pari dei tesori che la terra celava.
    ”Ma ve lo comunicheranno poi? O, in ogni caso, ci sarà un modo per scoprirlo?”Chiese la ragazza, riguardo ai risultati delle analisi affidate al dipartimento di antropologia. ”Si, certamente. Sono sicuro che appena le indagini saranno concluse ci faranno avere un resoconto dettagliato. Sai, l’archeologia da sola non basta. Serve una certa interdisciplinarità per ottenere risultati a trecentosessanta gradi. Comunque, ovviamente poi, in fase di pubblicazione dei risultati di questa campagna di scavo, anche gli antropologi scriveranno qualche articolo per rendere noti i risultati che avranno ottenuto. Quindi sì, dovremo aspettare un po’, ma prima o poi sapremo tutto. Ci vuole pazienza, come in tutte le cose.” Spiegò, l’archeologo, sempre nel suo linguaggio settoriale col quale Sam sembrava avere comunque dimestichezza. ”E comunque anche io non vedo l’ora di saperne qualcosa di più. Restare così in sospeso, con pezzi del puzzle che mancano per ricostruire il quadro generale è snervante” Ammise sincero, sorridendo. Nel frattempo un vecchietto decise di dar spettacolo distogliendo l’attenzione dei presenti dallo scavo e concentrandola sulla sua impresa acrobatica. Non sembrò essersi fatto male, comunque, forse era ilo suo orgoglio la parte più ferita in quel momento. Non che questo avesse pesato sulla reazione di Adrian, che probabilmente sarebbe scoppiato a ridere anche se il vecchio fosse morto. Si, Adrian Axelsson era una personcina adorabile. Alle imprecazioni contro divinità non ben definite, anche Sam scoppiò a ridere, mentre gli altri vecchietti radunati intorno al cantiere iniziavano a prendere per i fondelli il loro sfortunato compare. ”Ok, lo so che è una cosa seria e che non dovrei trovarla affatto divertente, ma non credevo che una cosa del genere potesse accadere davvero! Credo che questa scena sarà una di quelle cose che non scorderò mai nella vita”. Continuò a ridere insieme a lei. ”Si, queste sono quelle perle che ti segnano dentro” Commentò, asciugandosi una lacrima e incrociando per un momento lo sguardo torvo del vecchietto che imprecando si allontanava, con la scusa di dover raggiungere sua moglie per fare in lavori di casa. Probabilmente sarebbe andato a farsi ricucire l’orgoglio ferito e ad affievolire il malumore causato da tale onta con una bella colazione di metà mattinata. ”Pensi che si sia fatto male?” Chiese lei, mostrando una premura che Adrian non avrebbe avuto nemmeno per sua madre. ”Naaah, solo nell’orgoglio. Ora i suoi colleghi osservatori di cantieri lo prenderanno per il culo a vita. E’ condannato!” Continuò, ridendo. In effetti il vecchietto zoppicava già da prima, quindi sarebbe stato impossibile notare la differenza. ”Ti era mai capitato nulla di simile?” Se avesse dovuto elencare tutte le volte in cui la gente –archeologi compresi- faceva gaffes nei cantieri, probabilmente Adrian avrebbe potuto organizzare un intero corso universitario al riguardo, partendo dalle splendide che si recavano in cantiere con i tacchi a spillo alla gente che si sporgeva un po’ troppo e cadeva dentro alle trincee. Il primo premio del disagio comunque, spettava ad uno in particolare. ”Oh si, assolutamente! Queste scene sono all’ordine del giorno. Ammetto che io stesso a volte inciampo nelle recinzioni. Comunque il primo premio lo ha vinto uno che una volta è caduto nello scavo con tutta la macchina.” Tratto da una storia vera. Raga è successo sul serio quest’estate, io se ce penso ancora rido, l’ho visto in diretta. Rise solo ripensandoci. Lui sì che si era meritato il titolo di magico, mitico, campione del disagio in cantiere. ”Ed è riuscito ad uscirne illeso. La macchina era tutta spaccata ma ha comunque fatto finta di niente. Un genio…” La rassicurò, sulle sorti dello sventurato eroe. E niente, in effetti non ci sarebbe stato un cavolo da ridere, ma era proprio quello a renderlo divertente(?).
    ”Sarebbe bello poter vedere come era un tempo questo posto, prima che tutto iniziasse a mutare, quando le costruzioni non lo avevano ancora raggiunto…” Commentò lei, quasi assorta, una volta che ebbero smesso di ridere. In effetti, Adrian condivideva quel suo desiderio. Ogni volta che visitava un luogo, non riusciva a fare a meno di immaginare come in antico potesse essere, cosa coloro che vivevano lì secoli addietro avrebbero visto, affacciandosi dalla finestra o salendo in cima a un altura. Gli sarebbe davvero piaciuto poter viaggiare nel tempo, ma siccome questo non gli era concesso, aveva dovuto optare per l’accumulare un numero di conoscenze tale da fornirgli gli elementi necessari ad immaginare ciò che i suoi occhi non potevano vedere. ”Beh, siamo nel ventunesimo secolo, l’era delle ricostruzioni 3D, della realtà aumentata…credo che presto tutto ciò ci sarà possibile. Ma prima –ed è qui che interveniamo noi direttamente- è necessario indagare per ricostruire tutte le modificazioni che il territorio ha subito, in modo tale da poterle sottrarre poi, per ritornare a quello che era il paesaggio antico. E in questo, ovviamente, bisognerà tener conto anche di modificazioni climatiche e geomorfologiche, come ad esempio il ritirarsi dei fiumi, l’avanzamento della costa, il livellamento delle alture a causa dell’erosione. Ci sono una moltitudine di variabili da considerare, e un sacco di lavoro da fare, ma credo che infine anche questo sarà possibile.” Se le speranze nell’umanità di Adrian erano piuttosto limitate, le sue aspettative nella scienza erano altissime. Nonostante la ricerca non avesse mai navigato in acque quiete, la Norvegia e quella cittadina sembravano all’avanguardia e molto aperte in questo. Era un piccolo paradiso, quello, in cui si investiva nella ricerca e nell’innovazione in tutti i campi, persino in quella nuova scienza che in fin dei conti si curava più dei morti che dei vivi. ”Ovviamente, conoscere più elementi possibili fa la differenza. E ce la stiamo mettendo tutta per non tralasciare nulla.” Sorrise, di nuovo. Amava parlare del suo lavoro e di quello della sua equipe, che proprio tra quella terra dura imparava cosa significasse ridare a un territorio la propria identità. La ragazza infine, si rivelò essere una giovane giornalista in erba. In effetti la sua smisurata curiosità era qualcosa di necessario per il lavoro che si apprestava a svolgere, una dote che probabilmente l’avrebbe portata lontano. ”Ho optato per Letteratura e Lettere Moderne alla fine, nel tentativo di diventare una giornalista. Ho scritto qualche pezzo per il giornale dell’Università di Bergen e nel tempo libero tengo un blog su Besaid e sul mondo, magari potrei parlare del vostro scavo.” Ascoltò le sue parole con interesse. ”Davvero? Beh, sappi che stalkererò il tuo blog. Trovare notizie su Besaid sembra piuttosto difficile. La prima volta che ho messo piede in questa cittadina ci ho messo ore a trovare la mia destinazione perché nessuno era in grado di fornirmi una cartina o di indicarmi le vie. Comunque si, sarebbe fantastico. Sicuramente questo attirerebbe l’interesse dei cittadini, la maggior parte dei quali nemmeno sa quale tesoro si nasconda proprio sotto ai loro piedi. E’ la loro storia che stiamo ricostruendo, in fondo. Ti devo solo chiedere di non pubblicare foto di dettaglio dello scavo almeno fino a quando i risultati non verranno pubblicati ufficialmente. L’università potrebbe avere da ridire, dato che si tratta di dati inediti”. Puntualizzò, felice di quella specie di collaborazione, da parte di quella che scoprì poi essere proprio una cittadina di Besaid. ”Si, principalmente mi trovo qui per il dottorato. In effetti, prima d’ora non avevo mai sentito parlare di Besaid, e la cosa non mi stupisce…” Commentò. Quella cittadina sembrava blindata, una fortezza da cui nessuno e niente usciva. Come gli antichi Besaidiani, anche gli odierni abitanti di quel luogo si erano barricati entro i loro recinti, oltre i quali avevano relegato i comuni mortali che mai avrebbero dovuto equipararsi agli dei. ”Beccata. Pensavo di poter restare in incognito, e invece…beh, sono proprio di Besaid.” Mimò un’espressione bacchettona, ma non potè fare a meno di ridere a quella sua ammissione di colpa. Non era una colpa, non conoscere tutto del luogo in cui si viveva. Era quasi impossibile sapere tutto. Era per questo che esistevano specializzazioni e interessi. Adrian stesso era consapevole di non poter conoscere ogni cosa, e proprio per questo si impegnava ad apprendere il più possibile dagli altri. ”Sulla storia della città non sono certa di essere abbastanza preparata, ma per il sushi… beh, c’è un localino veramente particolare vicino alla spiaggia, che ha davvero del pesce di ottima qualità. Si chiama Sakura, non puoi sbagliarti. Dovresti provarlo un giorno.” Quella sì che era un’ottima notizia. Aveva provato il take away del ristorante cinese, lì a Besaid, ma era dai tempi di Monaco che l’archeologo non provava un sushi degno di tale nome. ”Oh, grazie, lo proverò sicuramente!” Rispose cortese, prima che lei continuasse. Era logorroica quanto lui…probabilmente se fossero diventati amici si sarebbero annientati, diventando una specie di comari che si mandavano vocali di 30 minuti su Whatsapp. ”Anzi, facciamo così! Ti ci porto io, uno di questi giorni, per ringraziarti di questo tour super guidato per lo scavo. Che ne dici?” Adrian restò per un attimo spiazzato da quella proposta. Insomma, di solito lui era quello noioso, che veniva parcheggiato da qualche parte pur di non sentirlo parlare di storia all’infinito. Quella ragazza non solo apprezzava i suoi discorsoni, ma lo aveva addirittura invitato ad uscire. Doveva essere pazza. La Luna Lovegood di Besaid. ”Ehm…wow! Si, accetto volentieri!” Povera stella, nemmeno sapeva a cosa andava incontro. ”E magari alla fine della visita, se non lo hai già fatto, ti organizzo un tour di Besaid, una guida dettagliata di tutti i posti che devi assolutamente vedere e di tutti quelli da cui tenerti alla larga se non vuoi fare pessimi incontri o avere davvero delle pessime esperienze. Tutto ciò che c’è da sapere su Besaid!” Si era decisamente, e la cosa gli piaceva. ”Sarebbe fantastico. Sai, ho mappato tutte le evidenze archeologiche e i monumenti della città, anche quelli che conosciamo solo attraverso le fonti e che ad oggi non sono più visibili. Ma in effetti mi sono concentrato solo sulla Besaid antica, dando poco peso a quella che è oggi. Mi piacerebbe davvero, e sarebbe anche un modo per imparare a non perdermi…” Il giovane archeologo non stava nella pelle. Nessuno prima di allora si era dimostrato tanto incline ad assecondare le sue passioni e a fargli da spalla e da guida in quella cittadina. A parte Malice, che tuttavia aveva anche i suoi impegni ed era spesso troppo impegnata a starsene con il naso all’insù per curarsi di ciò che accadeva a terra. ”Se vuoi poi possiamo fare un giro anche al museo, se non ci sei stata di recente. Hanno aggiunto nuove sezioni, tra cui quella archeologica, e ci sono reperti davvero interessanti che devi assolutamente vedere, tra cui anche quelli pertinenti agli scavi della necropoli che menzionavo prima.” Sicuramente avrebbero avuto il loro bel da fare, quei due, alla continua ricerca dei pezzi di quel puzzle che pian piano prendeva forma. ”Quindi? Affare fatto? Tu finisci di illustrarmi il cantiere e io appena possibile ti illustro la città?. ”Affare fatto!” Rispose convinto, stringendo energicamente la sua mano e sorridendo affabile. ”In realtà non c’è molto da aggiungere riguardo al cantiere, oltre a ciò che hai già visto, ma siamo solo all’inizio della campagna, sono certo che potrò aggiungere dell’altro a breve. E sarai la prima a saperlo.” Accompagnò la ragazza al limite del saggio e la aiutò a risalire, restando nella trincea. ”Direi che è il caso che io torni a lavoro…” Constatò, cercando in una delle tante tasche dei pantaloni da scavo il taccuino degli appunti e una penna. Li tirò fuori e scrisse il suo numero su uno dei foglietti, per poi strapparlo e porgerlo alla ragazza. ”Ti lascio il mio numero. Scrivimi quando vuoi, così ci accordiamo!”. Non c’era alcuna malizia in quel gesto *si sente Adam ringhiare da lontano*, né alcuna aspettativa se non quella di passare del tempo con qualcuno davvero degno della sua attenzione alla scoperta della città. ”E’ stato davvero un piacere, Sam! E passa a trovarci quando vuoi!”. Anche gli altri archeologi gli fecero eco, salutandola. Indietreggiò di qualche passo, osservandola riprendere la propria strada, per poi riprendere in mano la pala e riprendere a lanciare nella carriola la terra che i suoi colleghi avevano già smosso col piccone.

    Camminiamo sui sentieri tracciati dai nostri avi, ripercorriamo la loro storia e le loro vittorie, i loro errori e le loro sconfitte, e da essi impariamo ad essere uomini del nostro tempo. Ricostruiamo la loro storia che è anche nostra, e pezzetto dopo pezzetto, colmiamo quelle lacune con le quali sentiamo di essere nati.

    Conclusa!



    Ci ho messo una vita, ma ce l'ho fatta.Perdonami, sono stati mesi intensi in cui ho dovuto utilizzare l’Adrian che è in me per passare il test più difficile che io abbia mai svolto. <3
     
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5 replies since 5/8/2018, 17:30   237 views
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