Secret thoughts are only half free: they fly undisturbed in the skies of the inner freedom, but they

Samantha&Tanus

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    La città di Besaid era sempre stata un luogo particolarmente resistente ai cambiamenti, complice la sua scarsa pubblicità a livello turistico. Era un luogo in cui, i nuovi arrivati, arrivavano per lo più per sbaglio. La gente sapeva essere amichevole e disponibile ma, in un certo qual modo, nessuno amava troppo gli sconosciuti, non nel momento in cui questi varcavano i confini della città, perlomeno. Perché anche se a lungo andare le persone perdevano la memoria di quel luogo e di tutti i suoi abitanti, c’era comunque sempre una piccola possibilità di venire esposti, una possibilità che quel piccolo mondo venisse scoperto da quello che stava oltre i suoi confini e allora tutti sapevano che non sarebbe arrivato nulla di buono. Quante persone avrebbero scelto di raggiungerli per scoprire quale fosse la loro particolarità? Quanti ancora avrebbero voluto studiarli per capire che cosa accadesse loro? E che cosa poteva assicurargli che la loro casa non sarebbe stata invasa e loro cacciati via? Besaid era come un piccolo mondo a se stante, con le sue regole ben precise, regole che chiunque la abitasse anche soltanto per poco tempo era tenuto a seguire. Era un microcosmo che poteva affascinarti profondamente, tanto da convincerti a restare, ma che allo stesso tempo sapeva intrappolarti, proprio come una meravigliosa gabbia dorata. Ti mostrava ciò che potevi essere, l’eroe che tutti vorrebbero essere all’interno della propria storia, mettendoti però di fronte ad una scelta fondamentale, proprio come, in effetti, accadeva a tutti gli eroi. Se volevi essere parte di quel mondo, se davvero volevi essere l’eroe, allora non avevi più alcuna possibilità di andar via, non se non volevi perdere ogni cosa. Da grandi poteri, dopotutto, derivano grandi responsabilità, diceva qualcuno, e anche grandi sacrifici, avrebbero aggiunto altri. Ma gli abitanti di Besaid, nuovi o vecchi che fossero, erano davvero tutti disposti a compiere quei sacrifici?
    Era questo il genere di domande che Sam si era posta spesso negli ultimi tempi: era davvero disposta a quel genere di sacrifici? Ad una vita legata per sempre a quel posto? Alla continua negazione della propria libertà? Lei che, così legata all’aria, viveva in una maniera così profonda ed intensa la faccenda della libertà. Era sempre stato così, sin da quando era piccola, non aveva mai amato troppo i confini, né l’essere costretta a fare qualcosa soltanto perché erano gli altri a dirglielo. Era stato probabilmente per acciuffare almeno un briciolo di libertà che aveva scelto di iscriversi all’Università di Bergen e non a quella di Besaid, per provare l’ebrezza di andare oltre, sentendosi però una continua Cenerentola, costretta a tornare a casa entro il tempo stabilito, se non voleva perdere ogni cosa. Sapeva che qualcuno, quando partiva da Besaid, portava con sé qualcosa che gli permettesse di ricordare: foto, disegni, pochi appunti. Lei non lo aveva mai fatto. Aveva sempre lasciato che fosse il caso a decidere se sarebbe o meno tornata a casa e cosa e chi avrebbe ricordato. Fino a quel momento tutto era sempre andato per il meglio e, conoscendosi, sapeva che probabilmente sarebbe sempre andata così. per quanto potesse lamentarsi e puntare i piedi, per quanto certe volte dentro quella città le sembrasse quasi di soffocare, in cuor suo sapeva che le sarebbe mancata e non avrebbe rinunciato a quel posto e a tutte le persone che conosceva lì dentro.
    Questo però non voleva certo dire che se ne sarebbe rimasta ferma in un angolino ad aspettare che le cose le piovessero addosso. Non le piaceva restare chiusa in casa a fissare il soffitto, in attesa di chissà quale rivelazione, ed era stato per quello che, quel giorno, aveva acchiappato il suo fedele windsurf dallo sgabuzzino e si era avviata verso la spiaggia. Le piaceva tenersi in allenamento e in continuo movimento, ma le piaceva anche variare i percorsi e le tipologie di sport. Quel giorno aveva pensato che la cosa migliore per il suo umore fosse il mare. Dopotutto per lei era sempre una giornata adatta per il windsurf dato che per quanto riguardava il vento sapeva bene come barare. Si era seduta sulla riva per qualche minuto, lasciando che l’acqua le bagnasse i piedi mentre respirava a pieni polmoni l’odore dell’oceano. Le era sempre piaciuto stare lì, sin da bambina, anche il mare sapeva trasmettergli una certa sensazione di libertà e forse era per questo che era tanto legata a quel paesaggio. Si era guardata attorno per un po’, osservando le persone attorno a lei: le famiglie, le coppie, i gruppetti di amici, le persone solitarie che facevano una corsetta sulla spiaggia o che semplicemente si fermavano a prendere il sole. Si poteva imparare molto sulle persone se si rimaneva fermi in un posto ad osservarle passare e si poteva imparare molto sul genere di persone che frequentavano determinati luoghi, ma lei non era lì per quello. Quindi, dopo quei brevi attimi di pausa, prese l’amico sottomano e iniziò a nuotare per portarsi un po’ più distante dalla riva. L’acqua sembrava ancora abbastanza calma, tutto intorno a lei sembrava anche sin troppo tranquillo. Appoggiò i piedi sulla tavola, iniziando lentamente a sollevare l’albero sfruttando il boma, facendo scivolare l’acqua via dalla vela prima di iniziare a tirarla su, cercando di non sbilanciarsi all’indietro.
    Chiuse gli occhi per un momento, lasciando che la leggera brezza le scompigliasse i capelli, prima di barare un pochino e far sollevare almeno un po’ il vento intorno a sé. Sorrise, mentre la vela iniziava a gonfiarsi e lei a prendere velocità. Da quando aveva scoperto la sua particolarità quello era sempre stato uno degli sport che le era andato più a genio, qualcosa che le permetteva di conciliare le sue passioni e le sue capacità, qualcosa che la faceva sentire, anche se soltanto per poche ore, finalmente davvero libera. Se qualcuno gli avesse chiesto di dargli una descrizione della libertà o della felicità lei avrebbe risposto che si trovava tra l’odore del mare e la sensazione del vento tra i capelli. Un luogo quasi ultraterreno che prendeva possesso dei suoi pensieri ogni volta che ne aveva la possibilità. Quelle erano tra le occasioni in cui amava di più stare da sola, per godersi appieno il momento, perché non ci fosse nessuno a dirle che stava esagerando, che era il momento di tornare indietro, che il vento attorno a lei si stava facendo troppo forte. Peccato però che il fatto di essere da sola non le permettesse di rimanere in contatto con la realtà. Perché in effetti si era avvicinata un po’ troppo ai fiordi e non si era resa conto che, attorno a lei, il vento aveva iniziato a soffiare più forte anche senza il suo aiuto e che il mare si era fatto più agitato. Si ridestò dai suoi pensieri solo quando ormai le onde si erano fatte un po’ troppo impetuose e, troppo distratta per virare in tempo, si ritrovò subito in acqua. Si mosse velocemente, cercando di acchiappare la tavola ed evitare di perderla, ma allo stesso tempo tenendosi lontana dalla vela, per evitare che questa la travolgesse e la facesse finire di nuovo sott’acqua.
    Non le era mai capitato di mettersi in simili guai da sola e all’improvviso si sentì invadere dal panico. Doveva riuscire a tornare a riva, doveva trovare un modo per venirne fuori, ma si sentiva troppo stanca per riuscire ad utilizzare al meglio l’aerocinesi e aveva capito ormai da tempo che le emozioni troppo forti minavano la sua capacità di controllarsi. -AIUTO! - iniziò a gridare, cercando di guardarsi attorno e di capire se ci fossero altri pazzi come lei là intorno. -Maledizione - mugugnò tra i denti, cercando di mantenersi ancora alla tavola per evitare che le correnti la sbalzassero vicino agli scogli. Avrebbe voluto avere le forze e la lucidità adatta per cercare di calmare quella bufera, ma sentiva di non esserne in grado. Forse sarebbe bastato tenere duro, aspettare di stare meglio o che il tempo migliorasse da solo, ma sarebbe davvero riuscita a resistere così a lungo? -EHI! C’E’ QUALCUNO? - gridò ancora, sempre più forte, sperando che qualcuno potesse riuscire a sentirla. Temeva però che fosse inutile, che nessuno sarebbe riuscito a trovarla ormai. Se mai fosse riuscita ad uscire viva da quel pasticcio si sarebbe sicuramente ricordata di non farlo mai più.
     
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    Con il passare del tempo, Tanus si era convinto di una cosa riguardo quella bislacca cittadina e nulla e nessuno lo avrebbe mai dissuaso del contrario: le particolarità attribuite a ciascun cittadino, nativo o acquisito che fosse, avevano una sorta di legame con l'individuo stesso. Se uno era propenso ad abbracciare il lato oscuro del suo animo, la sua particolarità sarebbe stata malevola, se invece di indole buona e pacifica, avrebbe giovato di una peculiarità positiva per lui ed il resto della comunità. Se si aveva una certa passione, come nel suo caso la caccia, guarda caso il destino o qualunque cosa governasse quelle cose aveva deciso di attribuirgli la capacità di rendersi invisibile, molto utile nel suo mestiere. E come in tutte le cose, Besaid aveva fatto in modo che i suoi cittadini non abusassero dei suoi doni, associando a ciascuna particolarità una sorta di limite che una volta superato comportava diversi deficit all'individuo, più o meno gravi a seconda del suo errore. Sin da piccolo Tanus era stato un gran pensatore, senza particolari lodi nè deduzioni trascendentali derivanti dai suoi intricati pensieri, ma di certo non lasciava che le cose scorressero sotto il suo sguardo rapito senza che si ponesse domande. Aveva discusso le sue argomentazioni con amici e conoscenti arrivando a deduzioni nuove che lo avevano stimolato ancora di più, ma avevano trasmesso in lui anche un profondo senso di disagio e rabbia per la sua incapacità di giungere alla verità indiscussa riguardante quella cittadina. Perchè accadeva tutto quello? Vi era un modo per evitarlo? Sarebbe sempre stato così o ci sarebbero state mutazioni, in futuro? Domande che ponevano le basi per nuovi, allettanti quesiti privi di risposta certa. E lui si arrovellava nella solitudine auto-imposta, crogiolandosi in quel misto di soddisfazione ed insoddisfazione che lo rendevano un masochista senza possibilità di redenzione. Da tempo aveva smesso di attorniarsi di gremiti gruppi di persone, forse perchè la sua infanzia presso il villaggio di fanatici nel quale aveva trascorso i primi anni di vita lo aveva portato ad odiare il fatto di avere troppi sguardi curiosi puntati su di sé, troppe fisionomie diverse e troppi caratteri mutevoli, la maggior parte dei quali era meglio non indagare. Da esperienze negative era difficile che nascessero cose belle e molte falle della propria personalità le doveva a quel particolare periodo della sua vita. Forse un controsenso, di tanto in tanto provava piacere nell'osservare le altre persone, ma senza far percepire la propria presenza; sfruttando la propria particolarità poteva rendersi invisibile agli occhi del mondo, agire indisturbato e forse vigliaccamente fare ciò che detestava venisse fatto a lui, uno scanner da capo a piedi da parte di sconosciuti. Questo perchè di base l'animo umano lo incuriosiva e poter essere spettatore di quanto esso riuscisse a plasmare gli individui a seconda delle situazioni lo rapiva. Osservava senza giudicare, somigliando forse ad un bambino che vuole scoprire le cose ma ha paura delle conseguenze se venisse scoperto. Paura forse non era il termine più corretto, forse stizza poteva esserlo: lui non doveva rendere conto a niente e nessuno. Per troppi anni, da giovane, aveva dovuto farlo non solo verso i propri genitori, ma anche verso un gruppo di fanatici religiosi che lo avevano costantemente giudicato per le più piccole azioni. Era tardo pomeriggio e la posizione del disco solare nel cielo scandiva lo scorrere del tempo con precisione millimetrica, se come lui eri abituato a leggere quel tipo di fenomeni. Seduto su degli scogli a picco sulle gelide acque norvegesi, ancora troppo fredde persino per quel periodo dell'anno, guardava rapito la scia di persone che si trastullava con le occupazioni più disparate. Chi s'improvvisava artista di costruzioni di sabbia elaborate, chi tentava un timido tuffo tra le onde, chi oziava all'ombra di possenti ombrelloni, chi non faceva altro che osservare lo sciabordio dell'acqua, un lento movimento ipnotico e ritmato. Quell'immensa distesa d'acqua gli era sembrata un miraggio da bambino, uno di quegli strani scherzi del deserto che aveva riempito le sue iridi appena aveva lanciato il suo primo sguardo sul mondo. Ma qualcosa mutò in quello scenario, proprio quando si era deciso a lasciare quel palcoscenico sul mondo, sbarazzandosi dell'invisibilità e facendo ritorno ai suoi amati boschi dove viveva. Il cielo si tinse improvvisamente d'argento, il sole spavaldo che fino a quel momento con il suo calore aveva invogliato i più a tuffarsi in mare fu oscurato da pesanti nubi ed un forte vento iniziò a spirare da tutti le direzioni. Le pupille di Tanus si dilatarono come piatti. Le schegge di roccia ai suoi piedi, che pendevano nel vuoto come lacrime pietrificate sembrarono muoversi per un buffo gioco di riflessi. Intirizzito da quel rapido cambiamento atmosferico, il cacciatore osservò le persone che, come piccoli burattini in lontananza, si animavano e abbandonavano la spiaggia come se vi fosse un demonio ad inseguirli. -AIUTO!- Una voce femminile inondò i suoi timpani, come l'eco di una sirena lontana. Il suono della voce era impastato dal ruggito del vento, ma lo udì ugualmente, al contrario dei pochi superstiti che avevano comunque già raggiunto il limitare della spiaggia. L'uomo si alzò di scatto, ormai certo che nessuno oltre a lui aveva udito quel suono umano, forse troppo presi dal salvaguardare la propria incolumità, come se un pò di pioggia potesse scorticargli la pelle. Mosse il capo in una direzione ed in un'altra, incapace di scorgere nulla oltre le onde che si erano fatte molto più alte e rapide rispetto a pochi minuti prima. Il cielo si tinse improvvisamente d'argento, il sole spavaldo che fino a quel momento con il suo calore aveva invogliato i più a tuffarsi in mare fu oscurato da pesanti nubi ed un forte vento iniziò a spirare da tutti le direzioni. Le pupille di Tanus si dilatarono come piatti. Le schegge di roccia ai suoi piedi, che pendevano nel vuoto come lacrime pietrificate sembrarono muoversi per un buffo gioco di riflessi. Intirizzito da quel rapido cambiamento atmosferico, il cacciatore osservò le persone che, come piccoli burattini in lontananza, si animavano e abbandonavano la spiaggia come se vi fosse un demonio ad inseguirli. -EHI! C’E’ QUALCUNO?- Questa volta, avendo i sensi maggiormente acuiti, riuscì a captare meglio la voce che condusse il suo sguardo verso i fiordi. Era un punto dove il mare veniva incanalato tra le rocce, assumendo la forma di un fiume. Era non poco distante dalla riva e vista l'impetuosità delle onde e la forza del vento che aumentava di secondo in secondo, se davvero una persona era in quel punto avrebbe rischiato di annegare per spossatezza oppure di sfracellarsi contro le pareti rocciose. Dimenticò persino di essere ancora invisibile, si disfò unicamente delle ciabatte -si, aveva guidato dal bosco sino alla spiaggia in ciabatte- e si tuffò nelle profondità marine senza pensarci un secondo. Nuotò con quanta forza aveva in corpo, incurante dell'emicrania che stava lentamente sopraggiungendo per aver abusato del suo dono così a lungo, cercando di tenere le iridi spalancate e vigili nonostante gli schizzi d'acqua che le lambivano ininterrottamente. Ad un certo punto riuscì finalmente ad individuare una figura immersa tra le onde, una ragazza dai capelli color grano sparpagliati come tentacoli di una piovra ai suoi occhi davvero bella. Notò che si teneva aggrappata a quella che sembrava una tavola da surf, un bene vista la stabilità che quel mezzo poteva offrirle. Tentò di urlare per introdurre il proprio arrivo, ma l'acqua gli inondò la bocca raschiandogli la gola. Sputacchiò, gli occhi arrossati e il cuore che gli martellava nelle tempie come un tamburo assordante. Finalmente riuscì a raggiungerla e, cercando di issare a sua volta una parte di peso sulla tavola, circondò il busto della ragazza con il braccio sinistro. Ancora non ricordava di essere ancora invisibile e che un tale “salvataggio” avrebbe potuto terrorizzarla ancora di più, e se ne ricordò solo quando era da un pezzo che la stava trasportando a riva.
    La fatica del ritorno, raddoppiata dai pesi dei due che, per quanto alleggeriti dall'acqua rappresentavano comunque un impedimento ai suoi movimenti, lo costrinse quasi contro il suo volere a tornare visibile. Corpo e psiche non potevano regge così tanti tumulti e quando si rese conto che fino a quel momento doveva esserle sembrato una forza oscura che la trascinava a riva, cercò di rassicurarla abbozzando un sorriso a denti stretti. Scemo si ma fesso no, col cavolo che avrebbe rischiato nuovamente di bere acqua salata.
    Faticosamente riuscirono ad arrivare a riva.
    Detestava la sensazione della sabbia che s'insinuava in ogni anfratto quando veniva a contatto con la pelle rorida, ma ovviamente in quel frangente aveva ben altro a cui pensare. Respirava affannosamente e continuava a lanciare occhiate angosciate alla ragazza, per sincerarsi che stesse bene. Non era un medico, ma non vedeva graffi o sangue sui suoi vestiti, né sulla sua carnagione nivea, inoltre il lento regolarizzarsi del suo respiro lo portò a credere che si stesse riprendendo. Si lasciò cadere con la schiena sulla sabbia, emettendo un buffo tonfo. Erano soli con le loro emozioni. Dopo un lasso di tempo che gli parve interminabile ma che probabilmente si ridusse ad una manciata di minuti, si issò per controllare che tutto fosse sotto controllo. La tavola giaceva inerte vicino a loro, la sabbia le aveva creato una sorta di giaciglio che l'ospitava. -Non credo tu sia pazza, né che ricercassi la morte, ma che piuttosto come tutti sia stata colta di sorpresa da questo inaspettato cambiamento di clima, mentre cercavi di divertirti tra le onde. Vero?- le domandò, auspicando di essere nel giusto. Il suo tono di voce era tornato quasi normale, così come il respiro, ma gli arti gli dolevano a fronte del grande sforzo appena compiuto. L'oscurità stava iniziando a calare attorno a loro e tra le nubi persistenti si poteva scorgere uno spicchio di luna.
    Mosse l'indice per farle intendere di attendere un attimo, a quel puntò si issò in piedi e raggiunse rapidamente la base degli scogli, dove piccoli ciottoli e legna essiccata si facevano osservatori silenziosi. Ne prese una manciata e tornò dalla ragazza, si mise a sedere e con lestezza ed abilità riuscì a produrre un timido fuoco. Non aveva niente con cui scaldarla e raggiungere in macchina sia la sua abitazione che l'ospedale più vicino ancora così fradici avrebbe potuto procurare ad entrambi malanni che preferiva evitare. Dopotutto, di quel genere di cose aveva una certa esperienza. -Non è molto, lo so, ma per il momento facciamocelo bastare. disse, per poi aggiungere -Devo averti spaventata prima...ti chiedo scusa, mi ero dimenticato di essere ancora invisibile.- seguì una pausa, durante la quale prese con la mancina un ramo e con esso tracciò dei segni pittoreschi nella sabbia. Geroglifici, che altro non rappresentavano che il suo nome, resi ancora più curiosi dalle ombre che gli avvallamenti sabbiosi si creavano grazie alle lingue di fuoco. -Mi chiamo Tanus.- si presentò, lasciando cadere il ramoscello che produsse una specie di sbarramento diagonale sui simboli appena generati. Il braccio si tese, la pelle d'oca visibile sotto quella luce naturale, il palmo della mano si aprì ad invito.
     
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    Samantha aveva sempre avuto un feeling piuttosto intenso con la sua particolarità. Ricordava ancora la prima volta in cui si era resa effettivamente conto di poter interagire con l’aria. Una bimba della sua stessa età le aveva fatto un dispetto che lei non aveva preso molto bene e quando si era arrabbiata tutto intorno a lei aveva iniziato a sollevarsi un vento piuttosto forte. Le foglie del cortile della scuola materna avevano preso a vorticare attorno a loro mentre Sam, sempre più arrabbiata, continuava a fissarla. Matilda aveva cacciato un urlo terrorizzato ed era fuggita via a gambe levate, lasciando perdere ogni cosa. Samantha invece era rimasta lì. Non era riuscita a comprendere, in principio, di essere stata lei a dar vita a quell’improvviso cambio climatico, ricordava soltanto di non aver provato alcuna paura mentre il vento sferzava fiera sul suo volto. Si era sentita felice e libera e, cosa ancor più importante, da quel giorno Matilda aveva smesso di fare la bulla con lei, evitando persino di camminare troppo vicina a lei. Probabilmente era stata la paura di venir inghiottita da quel vortice a farla fuggire, o forse era stato soltanto lo sguardo fiammeggiante di Samantha ad impensierirla, non lo sapeva, ma l’importante era che non le avesse più dato alcun fastidio. Non erano mai diventate amiche, non si erano neanche più rivolte la parola. Ora che ci pensava non sapeva neanche che fine avesse fatto quella bambina dato che era da diverso tempo ormai che non le capitava di scorgerla neanche da lontano. Forse lei e la sua famiglia erano andati via, alla ricerca di una vita tranquilla, lontana da tutte le cose bizzarre che accadevano a Besaid, o forse era ancora lì, soltanto che lei non era più in grado di riconoscerla. In ogni caso sperava che tutto per lei andasse per il meglio. Sapeva che non era una persona cattiva in fondo, soltanto una che non conosceva che i dispetti per attirare l’attenzione degli altri su di sé. Era una bambina come tutte le altre, con i suoi problemi e le sue fragilità, non sarebbe stato giusto portarle rancore per tutto quel tempo. Non ricordava neanche quando fosse arrivata a Besaid, ma aveva come il vago ricordo che i suoi genitori non fossero originari di quel luogo. Era una bambina vispa, ma allo stesso tempo terribilmente capricciosa, tanto che nessuno era mai riuscito ad andarci d’accordo per troppo tempo, finendo per incorrere nelle sue ire. Matilde non sopportava di essere ignorata e non sopportava quando qualcuno, di propria volontà o meno, finiva per rubarle la scena. Ed era esattamente questo che era capitato tra loro, dando vita a più di un litigio che non aveva mai portato ad alcun vincitore. Tornando indietro forse avrebbe cercato di avvicinarsi a lei, di comprenderla, di aiutarla, ma in quel periodo era ancora troppo piccola per potersi accorgere dei problemi di qualcun altro ed era stata felice di essere riuscita a liberarsi del problema così velocemente. Aveva semplicemente lasciato correre, voltandole le spalle e lasciandola da sola.
    All’inizio le sembrò un po’ strano che quel particolare episodio le fosse tornato alla mente proprio in quel momento, mentre lottava contro la corrente per cercare di rimanere a galla e non affogare. Era da anni ormai che non aveva più pensato a lei, quasi credeva di averla dimenticata. Eppure ora eccola lì, perfettamente nitida nella sua mente, con i suoi riccioli arancioni sempre arruffati e il sorriso ironico di chi credeva che nessuno potesse essere alla sua altezza. Anche lei doveva essersi sentita così? in balia delle correnti? Senza neanche un sostegno che le permettesse di proseguire? Si chiese per un momento se avesse trovato qualcuno disposto ad avere pazienza con lei, a starle accanto, come Sam non era riuscita a fare. Di solito era sempre disponibile nei confronti degli altri, ma c’erano delle persone che, a pelle, non riusciva a sopportare, e verso le quali non riusciva ad essere poi così amichevole. Ed era questo che era capitato con lei, dato che si erano sempre trovate ai due lati opposti della classe, senza alcuna possibilità di comunicare davvero. Sperava che qualcuno ci fosse riuscito però, o che Matilda fosse riuscita a cambiare. Cercò di chiedere aiuto, gridando con tutte le sue forze, nella speranza di attirare l’attenzione di qualcuno. Magari qualcuno particolarmente coraggioso si sarebbe buttato in acqua per aiutarla a lottare contro la corrente, oppure avrebbe almeno chiamato qualcuno, magari le forze dell’ordine, magari la guardia costiera, chiunque potesse prestarle un po’ di soccorso. Sperava che, sentendola, le persone non avrebbe fatto finta di nulla, lasciandola semplicemente al suo destino. Sempre che qualcuno potesse davvero sentirla…
    Si sforzò di continuare a tenersi a galla, sputando l’acqua che entrava nella sua bocca quando cercava di respirare. La corrente era così forte che più di una volta le onde mandarono la sua testa completamente sott’acqua, con il rischio di mandare giù una quantità spropositata d’acqua. Avrebbe dovuto controllare le previsioni del tempo, avrebbe dovuto avvisare qualcuno, avrebbe dovuto portare qualcuno con sé. Erano tante le cose che aveva iniziato a rimproverarsi, tanti i pensieri che le affollavano la mente in quel momento. Aveva paura di non farcela, paura di non avere più il tempo di fare tutte le cose che aveva sempre sognato, o quelle che, semplicemente, aveva deciso di rimandare, convinta che ci sarebbe sempre stato tempo, che non fosse necessario fare tutto subito, appena ti veniva in mente. Iniziava a pentirsi di quella sua mentalità a volte un po’ troppo razionale, che la spingeva a meditare troppo sulle cose prima di farle. Con i suoi amici si lasciava andare, si faceva trascinare nei loro guai e nelle loro follie, ma quando si trattava di prendere delle decisioni da sola, di scegliere se fare o non fare qualcosa che avrebbe potuto renderla felice, finiva sempre con il tirarsi indietro. Con un guizzo riuscì a sollevarsi per un momento, cercando di rendersi un po’ più visibile e di guardare, a sua volta, verso la riva. In lontananza non le sembrava di scorgere più nessuno, dovevano essere tutti fuggiti davanti al repentino temporale che si era materializzato sopra le loro teste. Era sola, o almeno così credeva. Ad un tratto le parve di sentire un rumore, ma quando cercò di girarsi non riuscire a vedere nessuno. Poi, all’improvviso, si sentì afferrare per il busto, come se qualcuno gli avesse stretto un braccio attorno al corpo e stesse cercando di aiutarla a tornare a riva. Si mosse di scatto, senza capire che cosa stesse accadendo, continuando a tenersi aggrappata alla tavola e cercare di nuotare mentre, lentamente, si muoveva verso la riva. -Ma che..? - borbottò, tra un’onda e l’altra, senza davvero riuscire a capire. Pensò che potesse trattarsi di qualcuno che poteva usare il suo potere a distanza, o forse semplicemente qualche strano scherzo del destino, fatto sta che dopo un primo momento di agitazione cercò di non opporre più resistenza e lasciare che le cose accadessero e basta. Solo dopo diversi metri un tipo che non aveva mai visto si palesò alle sue spalle, rendendo evidente che doveva trattarsi di qualcuno che aveva l’abilità di rendersi invisibile agli occhi degli altri, o per lo meno qualcosa del genere. Le bastò vedere che c’era qualcuno, che non era del tutto impazzita, per tranquillizzarsi ulteriormente, anche se il cuore continuava a martellarle nel petto per la fatica e per l’angoscia che stava provando.
    Intravide un mezzo sorriso sulle sue labbra, ma anche lei non disse nulla, cercando di concentrare tutte le forze sul nuoto. Ci misero diversi minuti a tornare a riva e una volta fuori dall’acqua, con la tavola ad una distanza opportuna dalle onde che lambivano il bagnasciuga, si lasciò andare sulla sabbia. Chiuse gli occhi per qualche momento, completamente distesa lungo la schiena, cercando di regolarizzare il battito e riprendere fiato. Sentì la sabbia mischiarsi ai suoi capelli e sporcarle completamente la muta a mezza gamba che aveva indossato, ma era così stanca da non riuscire a reggersi in piedi, quindi per una volta avrebbe fatto finta che la cosa non le desse alcun fastidio. Era viva ed era ancora tutta intera, questa era l’unica cosa importante. L’uomo che le aveva salvato la fila si stese accanto a lei, poteva percepire la sua presenza a qualche centimetro di distanza e fu allora che, ancora con il respiro affannato, riaprì gli occhi e si voltò nella sua direzione. Non ebbe però il tempo di dire nulla poiché fu lui a prendere parola per primo, chiedendole una spiegazione per quanto accaduto. -No, non dovrei essere pazza, o almeno non mi risulta. - rispose, trovando un po’ buffe quelle parole per iniziare una conversazione, ma in fondo poteva capirlo: si era dovuto buttare in acqua in condizioni non esattamente piacevoli per salvare una sconosciuta, sperare che non fosse pazza era quanto meno il minimo. -Volevo soltanto stare un po’ da sola e godermi il sole e il mare. Ma credo che ci vorrà un bel po’ prima che io torni qui da sola. - disse, con la voce ancora tremolante per via del respiro affannato, cercando però di abbozzare un sorriso nella sua direzione. Seguì la sua figura con una certa curiosità quando la invitò ad aspettarlo sulla riva, mentre si allontanava alla ricerca di qualcosa. Lentamente anche lei iniziò a risollevarsi, piegando le braccia e sollevando la schiena di qualche grado, reggendosi sui gomiti. Si sedette meglio quando lui tornò con un po’ di legna, con cui riuscì ad accendere un piccolo fuoco. -Wow, io non sono mai riuscita a farlo. - ammise, sfoderando un sorriso decisamente più sincero, mentre con lo sguardo si muoveva tra il volto di lui ed il fuoco. -Ti ringrazio. Non eri tenuto a farlo e credo che non molti avrebbero avuto il tuo stesso coraggio. Mi hai salvato la vita. - disse, a quel punto. Era da appena erano giunti sulla spiaggia che voleva ringraziarlo, tra un respiro affannato e l’altro le era venuto difficile formulare una frase di senso compiuto fino a quel momento. -Già… se posso essere onesta non è un’ottima idea per un salvataggio, avrei potuto dare di matto e finire con l’annegare entrambi. - rispose, relativamente alla sua abilità, ragionandoci su con una certa attenzione. -Ho pensato che si trattasse di qualcuno che poteva muovere le cose a distanza, o qualcosa del genere, non avevo mai incontrato un uomo invisibile prima d’ora. - continuò, spiegandogli quali erano stati i suoi ragionamenti mentre una forza sconosciuta sembrava volerla portare a riva per aiutarla. -Non è stata una bella sensazione comunque, per un momento ho davvero pensato di essere impazzita. - ammise quindi, ridacchiando appena, portandosi una mano davanti alla bocca, prima di rendersi conto che anche questa era completamente piena di sabbia. Con una faccia leggermente schifata cercò di eliminare i granelli di sabbia che si era appena sparsa per tutta la faccia, con scarsi risultati. I movimenti delle sue mani, tuttavia, catturarono immediatamente la sua attenzione, portandola a sporgersi appena in avanti quando lo vide disegnare sulla sabbia simboli che non aveva mai visto e che somigliavano tanto ai geroglifici che si trovavano dentro le piramidi, secondo tutti i programmi storici che aveva visto nel corso del tempo. -Samantha. - si presentò quindi lei, allungando la mano nella sua direzione. La riportò velocemente indietro per via della sabbia, che si pulì sulla muta da surf alla bene e meglio, prima di allungarla di nuovo. -E’ stato un piacere conoscerti, anche se credo che entrambi avremmo preferito circostanze migliori. Cercava di sfoderare il suo ottimismo, fingendo che nulla fosse successo, ma entrambi sapevano che non era così. -E’ il tuo nome? - chiese quindi, indicando i simboli che aveva composto sulla sabbia. -Tu non sei di qui, non è vero? -continuò quindi, abbastanza sicura di conoscere già la risposta. Per quanto la città di Besaid potesse essere grande era impossibile non incrociare tutti i suoi abitanti almeno una volta nel corso della vita ed era davvero strano che non lo avesse mai visto prima.
    -Io posso manipolare l’aria. - rivelò, di punto in bianco, come se pensasse che rivelandogli il suo segreto, dopo che lui aveva fatto lo stesso con lei, potesse farlo sentire maggiormente a suo agio. -Di solito baro un po’ nel gonfiare la vela per farla andare più veloce, è per questo che non mi sono accorta che il clima intorno a me era cambiato, quando ho visto la tempesta sopra di me era ormai troppo tardi. - spiegò, cercando di dargli qualche spiegazione in più riguardo ciò che era accaduto perché avesse un quadro più chiaro della situazione. Il piccolo fuoco che li divideva emanava un calore piuttosto invitante e, quasi involontariamente, si ritrovò ad allungare le mani in quella direzione. -Sto bene, nel caso in cui tu te lo stessi chiedendo, solo un po’ disorientata e ancora un po’ spaventata, ma sono tutta intera, te lo assicuro. - affermò con fermezza, cercando il suo sguardo per essere più credibile. -Tu come stai? Va tutto bene? - chiese allora, rendendosi conto di non essersi ancora interessata alla salute di lei, presa com’era a controllare il suo stato personale. -Che ne diresti se ti offrissi la cena per ringraziarti? Non appena saremo un po’ più asciutti e io un po’ più stabile sulle mie gambe? - chiese, anche se dallo sguardo che gli rivolse era abbastanza evidente che non fosse affatto disposta ad accettare un no come risposta. Ci teneva a ricambiare in qualche modo, anche se ovviamente nulla sarebbe stato abbastanza.
     
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