Take on me.

Malice x Wade

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    Il lavoro al Perception, per Wade, era stato una rivelazione. Non soloriusciva ad arrotondare la già non trascurabile somma di denaro che guadagnava con il suo lavoro da mercenario, ma aveva anche iniziato a tessere molte più relazioni di quanto pensasse. Isie era stupenda, e farle da guardia del corpo era praticamente il migliore incarico che Wade avesse mai avuto: lei era bellissima, brillante e tosta; in più flirtavano di continuo, e lui si divertiva un mondo. Di fatto, era diventato amico della donna in brevissimo tempo, e cosa non avrebbe fatto per quei bei ricciolini biondi! Dato che lei era impegnata a parlare con Magnus, che Wade malsopportava, la dolce Isie si era rivolta a lui. Wade caro, penso di essere al sicuro, stai tranquillo, puoi anche fare una pausa! Gli aveva detto lei, con quel suo tono sempre gentile, mentre cercava di acquietare gli sguardi assassini che il mercenario ed il sicario si scambiavano ogni volta che erano nella stanza. Okay baby, chiamami se The Social Network depravato prova a metterti le mani addosso, ho il walkie talkie apposta! Squittì il Merc with a mouth, prima di dare un tenero bacio sulla testa alla donna e rivolgere un evidente dito medio a Magnus, ed uscire dal caveau per farsi un giro per il Perception. Il caldo era insopportabile, ma nonostante questo, restò con la sua amata tutina di spandex, maschera inclusa, addosso. Non gli piaceva mostrare il suo vero volto sul lavoro - tuttavia, anche se fossero riusciti a rintracciarlo, l'istinto di conservazione - e la particolarità - del mercenario gli impedivano di morire. Dunque, a passo sicuro, armato fino ai denti e con il volto coperto, Wade continuò a barcamenarsi tra le persone che occupavano gli spazi dei privè, per poi superare la sala poker ed arrivare al lounge bar . Isie aveva messo su un gioiello della vita illegale notturna di Besaid, e più o meno tutti conoscevano Deadpool, anche perchè avendo lui il compito di proteggere la proprietaria, aveva messo bene in chiaro che nessuno si sarebbe dovuto avvicinare, pena la perdita di qualche arto o, nei casi più seri, della vita. Hey tizionorvegesedalnomechenonricordo, come stai? Sei uno schianto! Domandò il mercenario, amichevole, appoggiando rilassato una delle sue due pistole automatiche sul bancone. Hey Deadpool! Quante volte te lo devo dire che sono Arvik? Ridendo, il bartender si muoveva con enorme destrezza dietro il bancone. Lui era uno dei pochi che parlava normalmente con Wade, intrattenendo con lui brevi conversazioni e servendogli ogni sera da bere. Tutto bene, che ti faccio? Domandò quindi l'omone con tanto di baffi hipster, mentre agguantava lo shaker. MMM. Allora. Io voglio due blowjob. Sollevando entrambe le sopracciglia, Arvik osservò il suo interlocutore con aria perplessa. Ma come, lo so che stai lavorando tanto, però uno non basta? Ridendo fragorosamente, il barista sollevò i pollici in segno di aver capito l'ordine - di sicuro equivoco - e prese due bicchierini da shot, in cui versò granatina, Kahlua, Baileys, per poi guarnine una spruzzatina di panna su cui sventagliò del cacao in polvere. Grazie Arvy, toglimeli dallo stipendio, ci si vede in giro! Oh e fighi i baffi! Affermò infine il mercenario, prima di riporre la pistola, lasciandola scivolare nel fodero lungo la coscia, per poi prendere i due drink ed avviarsi fuori dal bar, la cui atmosfera era decisamente diversa dallo strip club adiacente, separato dal resto da una tenda di velluto che nascondeva una porta spessa.
    Wade sapeva benissimo dove stava andando, o meglio, da chi. Appena staccato dal lavoro con Isie, ormai da un mesetto era un assiduo frequentatore di quell'ala del Perception; certo, gradiva non poco gli show delle ragazze, ma soprattutto la compagnia di una in particolare, Malice. Non appena lei ebbe iniziato a lavorare al Perception, si era ritrovata senza un passaggio dopo il lavoro, e per quanto strano ed esplicito fosse, Wade era anche un gran cavaliere, e quindi si era offerto di accompagnarla a casa una sera. Da quel momento, i due parlavano più o meno ogni giorno dopo il lavoro. Certo, il mercenario non poteva dire di conoscere a fondo la stripper, ma gradiva molto la sua personalità, trovando in Malice una persona affine a lui, interessante. Per questo, non perdeva quasi mai l'occasione di farle capire le sue intenzioni, passando di tanto in tanto dallo Strip Club, per ricordarle della sua presenza. «Ottima idea, quella dei blowjob!» Esultò White Box, al che Wade annuì con vigore, ridacchiando. «Se poi la prende come un invito sconcio?!» Domandò preoccupato Yellow Box, al che il mercenario rise, alla fine, a se stesso. Stai tranquillo, quante pare ti fai! Borbottò il giovane, divertito, per poi fermarsi davanti all'enorme buttafuori al limitare tra il lounge bar ed il club. Che vuoi. Gnugnì il gorillone pelato dalla pelle pallidissima. Entrare, Humpty Dumpty? Rispose sarcastico Deadpool, al che fece un passo in avanti. Si sentivano già i bassi intensi provenire dall'interno del club, sintomo che la serata lì era ancora nel vivo. Fanculo, Deadpool. Borbottò la guardia, non potendosi esimere nel far entrare Wade proprio perchè era una specie di persona passpartout nel Perception. Anche tu amore! Rimbeccò il mercenario con un tono troppo melenso ed acuto per essere sinceramente gentile, per poi entrare finalmente nel locale.



    I'm out here grinding, all we do is work, all we do is work.

    Rise of the underdog, I don't like none of y'all
    I'm not like one of y'all
    I'm from the jungle, I run with the son of God
    Yeah, what is you running for?
    They should be running from me!


    La musica ad alto volume pervadeva gli spazi, e le iridi castane ricoperte dalla maschera di Wade iniziarono a scandagliare il posto, in cerca di Malice, mentre proseguiva, schivando abilmente le persone, che non si curarono minimamente di lui. Da un lato, in posti del genere passava inosservato perchè sembrava un membro della comunità BDSM, dall'altro lui aveva delle abilità fisiche non indifferenti, e sapeva come fare per non attirare l'attenzione - nonostante la tutina in spandex color rosso sangue. Dopo un po' di ricerche tra quelle luci soffuse, ecco che la vide. Malice era stupenda, con quei capelli castani che cadevano come una cascata di luminose onde castane lungo le spalle. Le luci fioche del posto le accarezzavano la pelle scoperta, accentuando gradevolmente le curve femminili del suo corpo, ricoperto solo da un set di intimo succinto ma elegante, con l'immancabile presenza di guanti a coprirle le mani, stavolta di seta nera. Per qualche secondo, Wade si sentì come uno stupido pesce lesso, fissandola senza nemmeno compiere un passo, prima di farsi avanti con decisione sino a sotto il palco. C'era qualcosa, nel modo di muoversi di Malice, che la rendeva attraente come una calamita agli occhi del mercenario, che avanzava lentamente tra la folla del club. Non era come le altre stripper, manteneva una fierezza che la rendeva carismatica. Continuando a camminare, il giovane si fermò proprio sotto il palco leggermente rialzato, su cui danzava la donna. In pratica c'era solo lui, a fermare la visuale tra gli avventori e la spogliarellista. Ciao sexy Elsa. Ci ho portato da bere! Balla per me, mh? Domandò allora lui, gentile, in una specie di dolce richiesta Wade-style, inclinando appena la testa, ricoperta di tessuto rosso. Sin da sotto la maschera, era possibile intravedere il sorriso sincero che si era stampato sulle labbra di lui nell'osservare la ragazza. Hey! Sex Toy gigante, togliti non vedo! Protestò un uomo dall'accento apertamente Russo, rivolgendosi a Wade. Al che, senza curarsi minimamente degli occhi assassini di quello che sembrava essere un pesce piccolo dello spaccio a giudicare dal vestire, il mercenario posò i drink sul tavolino su cui l'altro era seduto, in primissima fila. Dopodichè, agguantò una delle sue pistole, e la puntò verso di lui. Shoo shoo, Masha e orso, devo sedermi. Spostati tu, per piacere, altrimenti non vedrai più niente in vita tua, baby boi. Minacciò Deadpool, con un tono di voce tranquillo, ma non per questo poco credibile. Dato che un altro paio di clienti stavano facendo segno al criminalotto di non discutere, lui grugnì qualche parolaccia e si spostò lasciando il posto migliore al mercenario, che sprofondò sulla sedia, portando infine lo sguardo su Malice. Fu allora, che si portò una mano guantata dalla tutina dietro la nuca, per poi slacciare il velcro della maschera e sfilarsela. In questo mdo, sarebbe riuscito davvero a guardare negli occhi - e anche da altre parti - la sua nuova amica.
     
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    Malice Elara Falk
    ▶︎ How could you dance if no-one was watching and you couldn't even care if they were?

    Malice ballava, intorno a lei solo musica. Le persone, i loro sguardi compiaciuti mentre immaginavano le sue curve fra le mani, Malice semplicemente non li vedeva. Ballava per sé stessa, un riscatto per tutte le cose che non riusciva a fare, per tutto ciò che non era mai stata. Quel a Magnus aveva stupito persino lei, lei da cui ci si poteva aspettare cose imprevedibili. Strane erano le ragioni che l'avevano mossa a accettare quel lavoro, forse non ce ne erano neanche davvero di abbastanza solide da poter giustificare quel gesto sconsiderato. I soldi, certo, fanno comodo a tutti, sopratutto ad una ragazza di venticinque anni il cui unico ingresso è scandito dalla quantità di feci canine raccolte giornalmente durante le sue mansioni di dog sitter.
    Era seria, mentre si muoveva sul palco del quale era la regina. C'erano due o tre ragazze più belle e brave di lei, ma Malice non se ne curava. Non si guardava intorno, non controllava i movimenti delle altre ragazze, non aveva paura di sbagliare perché, nonostante lavorasse lì da poco più di un mese, Malice aveva la musica nel sangue. Se solo si fosse soffermata su uno di quei volti barbuti, sorridenti, seri, sfregiati, poco raccomandabili, avrebbe letto la conferma nei loro occhi. Si limitava però ad accarezzarli con lo sguardo indico, senza vederli davvero. Erano tutti uguali per lei, animali bramosi, tenuti in gabbia dal "guardare ma non toccare", dogma a cui le spogliarelliste si riferivano come se fosse un passo della bibbia. C'erano le salette private per i piaceri fisici, quel genere di servizi che Malice non avrebbe mai acconsentito a dare. Era divertente, danzare seminuda, c'era un qualcosa di confortante nel sapere di non poter essere sfiorata. Esaudiva il desiderio intrinseco in Malice di essere vista, apprezzata, immaginata tanto intensamente da far male, senza tuttavia ricevere carezze indesiderate, contatti non richiesti. Non sempre le era possibile salvaguardarsi nel mondo reale, fuori dalla sala semi oscura del locale, lontana dalla protezione di quel tetto tanto promiscuo quanto paradossalmente per lei sicuro. Molte volte era stata definita fredda, frigida, sopratutto dopo che le ragioni della rottura con Kai erano dilagate come una diga dai battenti consumati. Un anno insieme e si erano semplicemente baciati, era una vergogna, povero ragazzo, costretto a soffrire la condanna di avercelo sempre eretto per colpa una ragazza che non meritava il suo amore, la sua passione. «Come se non possa masturbarsi di fronte ad un porno.» Quelle le parole che aveva sputato fuori durante una conversazione con Samantha. Aveva lasciato perdere le critiche, aveva continuato a sorridere con la bocca anche quando erano solo denti, nient'altro. Se ne sarebbero dimenticati, la gente è fatta così, Betty Cooper sarebbe stata ritrovata in classe ubriaca e Malice sarebbe diventata un ricordo. Il problema non era tanto l'etichetta frigida ancora attaccata sulla fronte, piuttosto il fatto che certi ragazzi avevano pensato di prendere in mano la situazione, salvarla dalla stalattite di ghiaccio che credevano la circondasse e farle tornare, a loro dire, la passione. Capitava che la abbracciassero, cercassero di stringerla, persino toglierle quei guanti che, parole loro, erano la colpa di tutto. Non potevano sapere, invece, che quella protezione era ciò che di più prezioso avesse, un lasciapassare per una vita il più normale possibile.
    Il vero problema non era la mancanza di eccitazione, di desiderio - alcuni di quei ragazzi erano stupendi, idioti, ma bellissimi - piuttosto il semplicissimo fatto che Malice non voleva toccare né essere toccata da chiunque. Avere i guanti era una garanzia per lei, una difesa contro il mondo esterno, ma temere quel contatto per anni l'aveva inevitabilmente allontanata dalle persone, alimentandone la paura. Erano volati schiaffi, insulti, pestate con il tacco sui piedi, e quelle reazioni non proprio da principessa Disney avevano rafforzato le voci che giravano su di lei. Poi era comparso Magnus, tanto inquietante quanto fuori luogo nella vivacità del centro commerciale la domenica mattina, che l'aveva lasciata con un numero di telefono e pochissime parole. La prima reazione di Malice fu quella di ridere, sbottare senza ritegno, accantonare la faccenda, inutile pensarci, quanti pazzi c'erano a Besaid! Poi però il pensiero vi era inevitabilmente tornato sopra, lo osservava, rigirandosi il dolce suono di quelle parole sulla punta della lingua: sei perfetta per questo lavoro.
    Ora ballava tutte le settimane, giovedì, venerdì e sabato sera, dalle 22 alle 4am. Le occhiate, le parole sconce, la rendevano forte, sicura di sé, ma non le restavano addosso, non si insidiavano dentro di lei, non c'era uno sguardo che Malice volesse davvero sostenere. A parte quello di Wade, il personaggio strano che sembrava uscito da un film della Marvel. Se ne andava in giro con la sua tutina rossa, attillata, a fare cosa Malice ancora non l'aveva ancora capito bene. Si era informata, aveva chiesto a Magnus una volta, beccandosi una risposta abbastanza seccata in cui lo definiva un pagliaccio che proteggeva Isolde. Il suo primissimo incontro con Wade era stato particolare.
    Se l'era ritrovato dietro, non l'aveva sentito arrivare - era più silenzioso di una fatina quando voleva- l'aveva colpito con una ginocchiata in mezzo alle gambe. Provate voi ad intravedere una figura mascherata ad un centimetro dall'orecchio, chiunque reagirebbe così!
    Quell'inusuale incontro aveva dato il via ad una serie di altri a cui presto Malice finì non solo per abituarsi, ma per non riuscire a farne più a meno. Ne attendeva l'ingresso, il momento in cui l'avrebbe visto dirigersi verso di lei, l'avrebbe guardato immaginandosi di incontrare gli occhi castani al di sotto della maschera che spesso indossava, l'unico di quelle persone di cui si portava lo sguardo addosso anche fuori da quella sala scura. «Ciao forestiero mascherato, sei venuto a salvarmi? » Era aggrappata al palo, una gamba piegata a reggere il peso del corpo, la schiena ricurva all'indietro, le iridi chiare che guardavano a testa in giù la maschera rossa dell'uomo qualche centimetro al di sotto di lei. Un sorriso si era allargato sulle labbra di Malice, una reazione decisamente spontanea e senza controllo. Non mancava mai un "appuntamento", e se mancava sapeva come farsi perdonare, di solito semplicemente aprendo bocca e facendola ridere. Con un guizzo di muscoli Malice raddrizzò la schiena, la valanga di capelli castani che schizzava in avanti come un'onda di fili mossi. Poi la situazione sembrò essere sul punto di degenerare, un uomo massiccio faceva storie, vedere Wade sotto quella luce la colpì. Solo un'altra volta prima di allora era stata testimone di qualcuno che puntava l'arma contro un'altro, non era finita bene.
    Nonostante il tono fosse tranquillo, in quel momento Malice non ebbe il minimo dubbio che l'amico fosse capace di premere il grilletto. Se da una parte il pensiero le stringeva lo stomaco per la paura, dall'altra lo faceva d'eccitazione. Fortunatamente la situazione sembrò tornare calma, e Wade si sistemò sulla sedia proprio in prima fila, sfilandosi la maschera. Finalmente lo sguardo che aveva atteso per tutta la serata.
    Era scesa dal palchetto ignorando un paio di mani maschili protese per aiutarla. Se l'avesse fatto con chiunque altro, quel gesto sarebbe stato scambiato per un invito ad andare in una delle salette adiacenti, ma si trattava di Wade, era al sicuro. Ondeggiò per qualche secondo davanti a lui, le mani che dai suoi capelli scivolavano sulle spalle, sul seno, sulla pancia, in una cascata fluida e sensuale. «Vuoi che balli per te? Va bene.» Girò lentamente intorno alla sedia su cui era seduto, una mano sul petto dell'uomo, tra lo strato della sua tutina e i guanti Malice era protetta. Una volta alle sue spalle la ragazza si chinò, i lunghi capelli che scendevano a sfiorarlo, le braccia che dai lati del suo collo scivolavano pericolosamente verso il basso, verso la pancia e l'inguine. « Non dirmi che mi hai portato un blowjob! » Le mani si fermarono all'altezza dell'ombelico, o almeno lì dove Malice presumeva esserci, a occhio e croce, la piccola rientranza cutanea di Wade. « Sei il mio super - strano - eroe preferito, grazie vanilla bean! » Gli aveva scoccato un bacio sulla guancia tutta eccitata, raddrizzandosi e passandogli oltre per afferrare il drink dal nome alquanto ambiguo. Girò una delle sedie in modo da essere di fronte a lui, con le spalle alle ragazze che ballavano. Non gli interessavano, voleva concentrarsi tutta sull'amico. Vi si sedette pesantemente dimenticandosi per un momento il suo ruolo da femme fatale e assumendo quello, nella sua testa, di elefantessa stanca. Fece scivolare i piedi fuori dalle fastidiosissime scarpe tacco 12 che calzava, le odiava, le mancavano i suoi anfibi neri, e allungò le gambe poggiandole su quelle di Wade. Succhiò una bella sorsata dalla cannuccia rossa, roteando gli occhi verso l'alto in una divertente espressione di godimento. « Secondo te l'hanno chiamato così perché quando lo succhi su dalla cannuccia è così buono da farti venire? » L'aveva detto con un sorrisetto sulle labbra, di quelli furbi di chi sa e non sa che cosa vuole dire. Malice era così, tutto un esteriorizzare di atteggiamenti pur mantenendo una certa ingenuità. D'altronde, non aveva mai fatto sesso in vita sua, figuratevi se potesse sapere cosa si provava a ricevere un blowjob. Apparentemente però era una grande conoscitrice del corpo maschile, tanto a suo agio con esso da volerne attirare gli sguardi mentre ballava su un palco. Muoveva i piedi sul grembo di Wade a ritmo di musica, lo sguardo che vagava nella sala mentre beveva il drink, il viso leggermente accaldato,che si portava dietro il movimento della danza , le guance rosse, gli occhi truccati di nero che facevano risaltare il chiarore delle iridi come se fossero cosa viva, pulsante, brillante. Una mano le si posò improvvisamente sulla spalla destra, costringendola Malice a girarsi di scatto. Un uomo sulla cinquantina, grosso come un armadio, le sorrideva languidamente, voleva essere attraente ma otteneva l'effetto contrario. Si scrollò da quel tocco, conosceva bene quell'individuo. « Non fai mai un privè con nessuno e ora stai con questa supposta umana? Quanto ti ha dato, cento, centocinquanta corone?» Aveva tirato il portafogli dalla tasca e estratto diverse banconote e glie le aveva infilate nel reggiseno. Dopo aver lanciato uno sguardo a Wade, della serie "ci penso io", Malice aveva sorriso, si era alzata e aveva colmato la distanza che la sperava dall'uomo. « Hai ragione, dovrei stare con te invece.» L'uomo sorrideva passandosi la punta della lingua sulle labbra disgustosamente storpiate in un sorriso viscido. All'improvviso però si irrigidì, lo sguardo allarmato che si abbassava sulla mano di Malice che premeva con il tacco della scarpa sul sesso dell'uomo. « Quel profilattico rosso potrebbe ficcarti una pallottola nel cervello se solo avesse l'impressione che sei una minaccia per la quiete pubblica. Ma gli dirò che va tutto bene, se la smetti di girarmi intorno e rompermi le palle che, tra l'altro, sono più grosse delle tue. Allora, è tutto ok? » Spinse leggermente più forte il tacco contro di lui, il viso dell'uomo che si contraeva in una smorfia, poi annuì e disse di sì. Malice tornò allora a sorridere, allontanandosi dall'uomo con le scarpe in mano, dirigendosi verso la porta sul retro. «Il mio turno è finito, usciamo Wady? Ho bisogno d'aria.» Aveva afferrato le sue cose dalla piccola sala adibita a spogliatoio delle ragazze ed era uscita. Non si era fermata ad aspettare Wade semplicemente per timore che la paura provata si palesasse in qualche modo sul suo volto, che il cuore martellante nel petto la tradisse, rendendo vano quel tentativo di difendersi da sola dal tipo che la tormentava. Per quanto la attraesse, Malice non era mai stata una persona violenta anzi, era successo che non fosse riuscita a proteggersi a dovere e la cosa l'aveva fatta sentire impotente. Come quella notte di molti anni prima, quando non era riuscita a salvare i suoi genitori, era stata un accessorio sballottato dagli eventi, senza alcuna funzione se non quella della vittima.
    Qualora Wade fosse uscito, l'avrebbe trovata seduta su un muretto, una giacca leggera stile kimono chiusa a coprirla, i piedi scalzi che ondeggiavano nel vuoto. Lo osservò avvicinarsi, un mezzo sorriso che tornava ad alleggerire la curva sopracciliare. «Te l'hanno mai detto che sei proprio sexy, con quella tutina vedo-non vedo?» cominciò mordicchiandosi l'unghia del pollice. «Perché la indossi, comunque? Fa parte dell'uniforme Iso ti ha imposto per farle da cane da guardia?» Non era sicura di quale rapporto ci fosse fra Wade, Isolde e Magnus, nonostante il suo sesto senso le dicesse che non era nulla di buono. Non era una bambina, sapeva che anche il solo fatto di trovarsi in un posto del genere significava essere pericolosamente vicini al crimine di Besaid.
    «Posso tenerla in mano?» Indicò all'improvviso una delle pistole che Wade aveva addosso. Il pericolo l'aveva sempre affascinata, era qualcosa che l'attraeva e intimidiva al contempo, il solo fatto di essere proibito esercitava un'interesse particolare nei confronti di Malice. Che ci fosse qualcosa si sbagliato in lei, l'aveva sempre saputo. Non funzionava come gli altri, non le piacevano le cose che le sarebbero dovute piacere, era attratta da persone particolari, poco raccomandabili, quel genere di individui che chiunque avrebbe detto di lasciar perdere. Sognava di essere come gli altri, per anni non aveva fatto altro che desiderare di essere una qualunque e non la "ragazza miracolosa", non la guaritrice di ogni dolore, eppure continuava a comportarsi contro ogni logica e aspettativa. Senza attendere una risposta però, ne afferrò una tra le mani sentendola subito terribilmente pesante. «Wow! Pesa un accidente!» esclamò stupita mentre la puntava su Wade con un sorriso. «Mi insegni ad usarla? E anche qualche mossa da badass di autodifesa, tipo calcio rotante o morsa mortale, quel che è. Lo so che sai di che parlo.» precisò prima che potesse intervenire. «Voglio imparare a difendermi. Mi aiuterai?» Aveva abbassato l'arma e guardava Wade con serietà, i capelli mossi disordinatamente dal vento che si era improvvisamente alzato.
     
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    /ve·dé·re/
    Percepire con gli occhi, cogliere con la facoltà della vista.

    /guar·dà·re/
    Soffermare, volgere lo sguardo su qualcosa o su qualcuno; osservare; considerare, analizzare.

    Gli occhi di Wade avevano visto molte più immagini di quante lui probabilmente avrebbe mai desiderato. Sin da quanto era bambino, ciò che guardava non corrispondeva quasi mai a ciò che vedeva. Perchè avrebbe dovuto vedere un orfanotrofio, quando al suo posto ci sarebbe potuto essere un fantastico castello pieno di suore canterine? Perchè avrebbe dovuto vedere una famiglia affidataria che non lo voleva, quando avrebbe voluto guardare due genitori amorevoli e due fratellini che lo amavano? Poi, la realtà lo colpì in faccia durante la sua permanenza con i McFarlane. Purtroppo, quando da bambino si riceve la prima, la seconda, la terza botta, non le si può vedere altrimenti. Wade aveva capito: avrebbe dovuto smettere di guardare, definitivamente, se avesse voluto sopravvivere. Doveva vedere, rendersi vigile, non soccombere, cercando di scappare in altro modo dalla durezza della vita che gli era stata riservata. Ci aveva provato, svariate volte, eppure non ci era mai riuscito. C'era sempre stato qualcosa, nella sua testa, che gli impediva di disperarsi, di mettersi in un angolo e temere la prossima percossa, o la prossima sventura. No, lui voleva reagire, in qualche modo. Allora, la sua immaginazione divenne più vivida che mai, la sua curiosità indomabile, la sua lingua tagliente e la sua indole molto più irriverente. Lo sguardo di Wade cambiò ulteriormente, una volta uscito dal giro delle famiglie affidatarie per frequentare l'accademia militare, che sembrò essere per lui l'unica opportunità di salvezza - che agguantò non appena ne ebbe l'occasione. Portando con sè la sua prospettiva, non aveva aspettative nei confronti di una istituzione che non avrebbe fatto altro se non imbrigliarlo.
    Eppure, lì aveva trovato una famiglia, che aveva preso a fargli brillare gli occhi per la prima volta; delle persone lo avevano accolto, nonostante tutte le peripezie che lo avevano portato sin lì. Philip, Riley e Brook, che poi era diventata la migliore amica del ragazzo, erano stati i suoi compagni di vita per parecchio tempo, e gli avevano fornito una stabilità a cui non era minimamente abituato. In Brook, soprattutto, Wade aveva trovato una persona da chiamare casa. In quel caso però, lui aveva visto e non guardato, ignorando continuamente il fatto che l'arma non era posto per lui; certo, aveva superato forse meglio di tutti gli altri suoi compagni le prove fisiche, dimostrandosi un ottimo soldato pronto per l'azione, ma non avrebbe sopportato a lungo ciò che essere un militare comportava dal lato morale e psicologico. Lo sapeva, si era guardato dentro Wade, e aveva capito di non essere come gli altri. Non avrebbe mai potuto dire "sissignore" pur sapendo di star sbagliando, ma di star agendo per il bene comune. Difatti, proprio durante una missione in Iraq aveva ceduto all'insubordinazione, ed anche al crescente desiderio di eliminare la persona che aveva di fronte. Mentre osservava in quei pochi secondi il volto di quel dannato terrorista che gli implorava di non essere ucciso, Wade non vedeva niente. Un secondo, ed aveva premuto il grilletto. Un secondo, ed aveva spezzato una vita senza alcun rimorso, per di più senza alcuna autorizzazione. Dopodiché, le iridi del Caporale Wilson avevano guardato uno ad uno i volti dei generali e del giudice durante il suo processo stroncare la sua carriera nell'arma e fornire a quel ragazzo la sua libertà senza saperlo. Eppure, gli occhi del Generale Jacobsen, Wade non avrebbe mai potuto dimenticarli, mentre lo puntavano con la penetrante delusione di un padre ferito.
    Poi, per un po', Wade decise di sua spontanea volontà di non guardare più ciò che era attorno a sè; desiderava, invece, solo vedere, percepire con gli occhi senza sentire nulla, concedendosi un periodo di libertà dai suoi demoni. Il suo periodo di lavoro nei Black Mercs gli aveva dato un po' di pace, ma aveva fatto uscire il lato peggiore di lui. Frustrato dalle esperienze vissute sino a quel momento, il giovane aveva preso ad uccidere a pagamento, ignorando chi fossero le vittime, chi i mandanti. Contava solo il lavoro, ed i soldi che ne derivavano. Tuttavia si sa, dai demoni non è possibile sfuggire, ed essi erano usciti allo scoperto per riportare Wade all'inferno, un po' come il Faust, una volta scaduto il suo patto. I due mesi in mano ai terroristi in Afghanistan avevano risvegliato l'abilità di Wade di guardare. Aveva smesso di vedere, con occhi malandati dai pugni e le torture, ed aveva iniziato a risvegliare il cuore dalla sua cecità. In quel periodo avevano iniziato a sussurrare Yellow e White Box, e grazie a loro Wade aveva trovato un motivo per andare avanti quando non desiderava altro se non di morire: doveva fare ciò che era giusto. Non doveva alcuna fedeltà all'esercito Americano, eppure lì c'era ciò che rimaneva della sua famiglia, e sicuramente quei terroristi non avrebbero neanche risparmiato la loro gente. Wade non avrebbe aperto bocca, non importava ciò che gli avrebbero fatto. Ora che l'incubo era finito, il giovane era tornato ad usare il suo sguardo, seppure con un paio di "aggiustatine" date dalla sua mente. Ora vedeva e guardava ciò che voleva, perfettamente in equilibrio nel caos, bilanciandosi tra la follia più pura e una bontà d'animo che probabilmente Wade non aveva mai perso.
    Da un mese e quella sera, il vigilante mercenario dopo il lavoro, ogni volta che terminava ed era pronto a tornare a casa, decideva di guardare solo Malice. Il perchè ancora non lo sapeva, ma gli bastava pensare che lei fosse una ragazza interessante, una persona che sembrava saperlo ascoltare ed al tempo stesso con cui poter parlare di un po' di tutto. Lui non la conosceva bene, ma anche solo nell'osservarla ballare i primi giorni, Wade aveva capito che avrebbe dovuto interagire con lei. Era un po' come se lei emanasse un'aura simile alla sua, ed indagare non avrebbe fatto male a nessuno. Infatti, i due stavano instaurando uno splendido rapporto, anche se da poco tempo. «Ciao forestiero mascherato, sei venuto a salvarmi? » Sorridendo da sotto la sua maschera rossa, Wade tenne gli occhi qualche attimo in più sul bel volto della sua amica, mentre lei si muoveva aggrappata a quel palo argentato. A distrarlo, fu il criminale russo che si beccò una bella minaccia, sufficiente ad allontanarlo. In questi casi, se si trattava del Perception, Deadpool non amava fare scenate. Non gli piaceva mettere a repentaglio inutilmente le vite di persone innocenti. Dunque, una volta che si fu sistemato, il mercenario si mise più comodo, rilassandosi un po'. Fu allora, che un po' come una dea Malice scese al livello del suo pubblico, ignorando completamente coloro che volevano aiutarla. Così come Wade aveva lo sguardo fisso su di lei, così Malice l'aveva su di lui, e nessuno dei due si stava tirando indietro da quel contatto visivo. Il giovane guardava l'amica, un po' come fosse una divinità urbana che si era concessa a lui, e solo ai suoi occhi. Lui, dal suo canto, si era mostrato degno di lei, facendole capire nell'arco di quel mese di potersi fidare. Lasciando scivolare lo sguardo dove le mani di Malice lo conducevano, Wade si ritrovò ad essere un po' troppo concentrato su ciò che vedeva, chiedendosi immancabilmente come sarebbe stato sfiorare quelle curve non solo con gli occhi. «Vuoi che balli per te? Va bene.» Sollevando appena la testa nel seguire i movimenti della donna, il mercenario ripose la pisola lungo la coscia, avvertendo subito dopo il tocco dei guanti dell'amica sul petto, e che scendeva lentamente verso il basso. «Guarda che bella che è! Boner, boner, boner!» Sussurrarono entusiasti White Box e Yellow Box, mentre il giovane sospirò il più silenzionsamente possibile dal naso e si mordicchiava l'interno della guancia, sollevando lo sguardo verso il volto di Malice, senza però muovere un dito per toccarla, anche se avrebbe voluto.
    « Non dirmi che mi hai portato un blowjob! » Uscendo da quella sensuale trance in cui l'aveva portato la donna, Wade scosse appena il capo, avendo collegato erroneamente nella sua testa le parole dell'amica al nome del cocktail, e poi realizzò solo qualche attimo dopo di cosa lei stesse parlando. Ah! Si, ovvio! Che altro potevo portare secondo te? Ridacchiando, il giovane portò una mano sull'avambraccio della ragazza, lasciandovi una carezza incoraggiatrice. « Sei il mio super - strano - eroe preferito, grazie vanilla bean! » Sorridendo per quel bacetto sulla guancia e per quel tenero complimento, Wade la seguì con lo sguardo, mentre lei si sistemava di fronte a lui, togliendosi le scarpe. Si, è vero sono scomodissime. Commentò il mercenario, rivelando la sua non trascurabile esperienza con le scarpe col tacco mentre posava distrattamente una mano sulla caviglia di Malice, che aveva appoggiato i piedi sul grembo di lui. Dopodichè, lui sollevò le spalle e bevve un po' del cocktail - l'avrebbe finito subito, era uno dei suoi preferiti. « Secondo te l'hanno chiamato così perché quando lo succhi su dalla cannuccia è così buono da farti venire? » Senza togliersi dalla faccia il sorriso contento che gli era spuntato da quando era arrivato da malice, Wade sollevò entrambe le sopracciglia. Possibile! Anche se secondo me è perchè quando lo bevi poi la panna ti rimane sulle labbra e sembra proprio- Prima che potesse finire la frase, il mercenario chiacchierone fu interrotto dall'arrivo di una presenza sicuramente sgradita agli occhi di Malice. « Non fai mai un privè con nessuno e ora stai con questa supposta umana? Quanto ti ha dato, cento, centocinquanta corone?» Abbassando appena il capo per poi assumere un'espressione del tutto sospresa, Wade osservò con aria perplessa il cliente indesiderato dell'amica. Le sopracciglia del giovane poi, si aggrottarono ulteriormente non appena l'uomo tirò fuori dei soldi, infilandoli di forza nel reggiseno di Malice. Al che, Wade si chinò velocemente, portando una mano al polpaccio, dov'era custodito il suo amato coltello seghettato. Un colpetto, e il Mr.Kindness avrebbe cambiato atteggiamento. Poi però, le iridi chiare della donna si soffermarono su quelle castane del giovane, che rimase fermo, attendendo un segnale dalla donna, che si rivelò essere rassicurante. Restando mansueto il più possibile, Wade si tirò leggermente indietro sullo schienale della sedia, mentre nella sua testa White e Yellow Box non facevano altro che protestare.
    « Hai ragione, dovrei stare con te invece.» Wade aveva ben chiaro che Malice avesse qualcosa in mente, era sicuro che quella ragazza fosse intraprendente, capace di agguantare sempre il toro per le corna, anche quando forse non si sentiva del tutto sicura di sé. Difatti, ecco che la mossa della donna si manifestò, dato che l'espressione già di cattivo gusto di quell'uomo si distorse ancor di più in una di dolore e panico. Di riflesso, Wade si portò una mano ai gioielli di famiglia, sillabando un "ouch" con la bocca senza emettere un suono, mentre scuoteva appena la testa, sotto sotto molto divertito dalla situazione e fiero per la presa di posizione di Malice, che sicuramente sapeva dove colpire. « Quel profilattico rosso potrebbe ficcarti una pallottola nel cervello se solo avesse l'impressione che sei una minaccia per la quiete pubblica. Ma gli dirò che va tutto bene, se la smetti di girarmi intorno e rompermi le palle che, tra l'altro, sono più grosse delle tue. Allora, è tutto ok? » Sgranando gli occhi, non aspettandosi minimamente quel discorso, Wade voltò ripetutamente la testa tra Malice ed il suo cliente indesiderato. «Woah!» Esclamò sospreso ed ammirato Yellow Box. «Che donna...» Aggiunse tutto sognante White Box, sospirando rumorosamente. E tutto ciò mentre gli sta schiacciando le palle... Aggiunse infine Wade in un sussurro, sbattendo un paio di volte le palpebre mentre portava un gomito sul tavolino, per poi appoggiare il volto alla mano con fare trasognato. Solo una volta che il tizio ebbe compreso l'antifona e abbandonato le vicinanze di Malice, lui si rese conto che lei era intenzionata a dirigersi fuori. «Il mio turno è finito, usciamo Wady? Ho bisogno d'aria.» Annuendo lentamente, Wade si ritrovò per la seconda volta in una serata a combattere tra le sue fantasie ad occhi aperti su Malice e la realtà. Non appena lei sparì dalla sua vista per entrare nello spogliatoio, il giovane si alzò velocemente e si scolò in un colpo solo tutto il proprio drink, per poi agguantare la maschera e seguire la donna. Hey bella bionda, ci vediamo domani, sto andando a casa, passo e chiudo! Commentò Wade nel Walkie talkie riferendosi ad Isie, per poi lanciarlo nelle mani del buttafuori all'uscita sul retro. Buonanotte anche a te, Humpty Dumpty numero 2! Squittì il mercenario, sistemandosi la maschera infilandola nella cintura dalle mille taschine, per poi ritrovarsi in men che non si dica nella fresca nottata norvegese fuori dal Perception. Ad attenderlo, c'era Malice, seduta quietamente ad un muretto con una deliziosa giacchetta in stile giapponese.
    Woah apetta, l'hai fatto nero quel fastidioso Humbert Humbert. Era proprio una testa di cazzo, mi hai fatto venire una boner da quanto sei stata forte. Commentò spassionato Wade, mentre però dentro di sé oaservava attentamente la figura della sua amica, che sembrava essersi fatta un po' più piccina, differente dalla donna impavida che aveva visto prima. C'era un po' di esitazione nei suoi occhi, uno sguardo che Wade conosceva proprio perché non molto spesso lui lo mostrava; quello che rivelava il timore per le conseguenze delle proprie azioni. La ragazza scese dal muretto, andandogli incontro senza tacchi, il che accentuò maggiormente la differenza d'altezza tra i due. «Te l'hanno mai detto che sei proprio sexy, con quella tutina vedo-non vedo?» Sorridendo, sinceramente illuminato dalla presenza di Malice sin da quando le aveva messo gli occhi addosso una volta entrato nello strip club, il mercenario scosse vistosamente il capo. Me ne hanno dette di tutte, ma non che sono sexy! Sei stata la mia prima volta, mi hai sverginato! Rispose Wade, alzando e abbassando le sopracciglia per poi ridacchiare. Non spesso riceveva dei complimenti, e li apprezzava parecchio. «Perché la indossi, comunque? Fa parte dell'uniforme Iso ti ha imposto per farle da cane da guardia?» Scuotendo nuovamente il capo, il mercenario sollevò appena le spalle. C'era qualcosa, in Malice, che lo faceva sentire stranamente guardato, come se lei riuscisse a vedere oltre il suo sarcasmo e le sue battute, e ciò lo faceva sentire straordinariamente esposto. Nah, Isie mi dice sempre "Wade, caro, lo sai che adoro come quella tutina ti esalta il fondoschiena ma quando lavori al Perception ho bisogno che tu sia... un po' più sobrio. Altrimenti mi metti in ombra le spogliarelliste"! Comunque... Io la metto per lavoro, così i cattivi non mi vedono sanguinare. Nella prima parte del suo discorso, Wade si impegnò moltissimo nel rendere la sua voce acuta mentre gesticolava in maniera femminile per riprendere le parole dolci ma ferme di Isie mentre scherzava sulla sua tutina, per poi diventare più serio mentre parlava del suo lavoro, rimanendo volutamente vago, nel far capire che la professione che svolgeva era tutto fuorché legale, implicando anche qualcosa di molto più profondo. Da quando era stato rilasciato, Wade non ha più dormito come prima, e qualsiasi segno del dolore per lui non era da mostrarsi davanti ai nemici, così come non ne aveva mostrato davanti ai suoi aguzzini.
    «Posso tenerla in mano?» D'un tratto, Malice indicò con fare curioso una delle due automatiche adorate di Wade, il quale sul lavoro al Perception si asteneva dal portare le katana per non sporcare troppo la tappezzeria costosa di Isie. Poco prima che il giovane annuisse per darle l'arma, la ragazza si avvicinò lei, agguantandola dal lato della coscia di lui per poi prenderla in mano. Al mercenario non dispiaceva per nulla l'entusiasmo di Malice per le sue armi, né il fatto che non fosse come gli altri. Anzi, lui la capiva. Trovava in lei uno spirito affine e proprio per questo la considerava una nuova presenza preziosa nella sua vita. «Wow! Pesa un accidente!» Commentò allora la donna, abbassando leggermente la mano per via dell'effettivo peso della pistola, che era considerevole. «Mi insegni ad usarla? E anche qualche mossa da badass di autodifesa, tipo calcio rotante o morsa mortale, quel che è. Lo so che sai di che parlo.» Per nulla scosso o leggermente in ansia per via del fatto che la pistola gli fosse puntata contro, Wade ridacchiò per i nomi che Malice aveva dato alle varie mosse di lotta. Mi piace morsa mortale, lo devo usare! Tipo così? Avvicinandosi velocemente alla ragazza, Wade le andò dietro prima che potesse accorgersi di ciò che stava facendo, per poi darle un colpetto col ginocchio non tanto forte, per farle flettere la gamba e far cadere l'amica sul proprio, di ginocchio. Assecondandola nei movimenti, un braccio di lui le si avvolse attorno al torace prendendola subito prima che cadesse, mentre l'altra mano, che lui aveva messo a forma di pistola, si scontrò impercettibilmente contro la tempia di lei. Boom. You're dead. Affermò con un sorrisetto il giovane, per poi vedere che la ragazza abbassò l'arma pochi istanti dopo. «Voglio imparare a difendermi. Mi aiuterai?» Allentando la presa su di lei non prima di averla aiutata ad alzarsi mentre la teneva abbracciata a sé, Wade permise a Malice di voltarsi per guardarlo. Proprio da quegli occhi di cerbiatta, il ragazzo capì che la richiesta dell'amica era sincera e molto sentita. Al che, lui annuì, slacciando la stretta attorno al torace di lei. Si, ti insegno io non preoccuparti. Le rispose lui, prima di avvolgere una mano attorno al polso di Malice, per poi prendere la pistola e rimetterla al suo posto. Dopodiché, Wade iniziò ad incamminarsi con calma in direzione di casa dell'amica, voltandosi poi verso di lei. Ora ti riaccompagno a casa, Karate Kid, e poi quando vuoi ci vediamo e ti faccio vedere tutte le morse mortali che conosco. Ah, alcune però fanno parte del kamasutra! Allieva avvisata, mezza salvata! Commentò Wade facendole l'occhiolino, per poi avvolgere le spalle della ragazza con un braccio, darle un bacio sulla testa affettuosamente, e dirigersi verso casa sua.
     
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    «Oh andiamo! Ora lo devo ingoiare, Wade! » Si era sfiorata le labbra con l'indice e il medio, tirando via rimasugli di panna appiccicosa. Sotto quella luce e dopo la frase dell'uomo, Malice notò delle immancabili somiglianze con la sostanza maschile utilizzata per la fecondazione. Non riuscì a dire molto altro, neanche il tempo di una battuta, tanto per tenergli testa e continuare quel gioco di allusioni che la divertiva e le faceva sentire caldo allo stesso tempo, che la spiacevole parentesi dell'uomo russo iniziò, concludendosi al di fuori del locale, sul retro poco illuminato.
    Quando era più piccola, Malice credeva che non sarebbe mai riuscita a salvarsi da sola. Non era abbastanza forte, coraggiosa, audace per liberarsi dalla tirannia sotto cui Miranda la costringeva a vivere. D'altro canto, la donna possedeva tutte quelle qualità di cui Malice, ancora bambina, era sprovvista, e le utilizzava per sopprimere tutto ciò che della piccola lottava per uscire. Sembrava volerla eliminare senza ucciderla nel corpo, ma corrodendone la mente. I soldi che Miranda ricavava dai "miracoli di Malice" erano solo la punta dell'iceberg, la scusa, la menzogna dietro la quale nascondeva il vero intento di quei supplizi. A venticinque anni Malice ne era ormai sicura, Miranda aveva provato ad ucciderla per anni, sperando che il dolore ricevuto a grandi quantità l'avrebbe prima o poi piegata, fatta impazzire, ridotta a un mucchio inerme di carne e ossa senza più niente di suo a riempirlo se non vuoto, pena e sofferenza altrui. Una punizione essere morta con il cuore ancora in movimento, la mente ottenebrata, resa folle, incapace di distinguere il proprio male da quello degli altri. Malice provava invidia per le persone comuni, quelle a cui la sorte aveva donato la super forza o la velocità del suono, i loro corpi erano disegnati per maniere all'esterno tutto ciò che di sbagliato c'è nel mondo, l'intrico mozzafiato della loro pelle era una membrana che riusciva a proteggerli dalle malattie come dai sentimenti. Era gelosa degli innamorati, le coppiette che intrecciavano le dita come a non volersi lasciare più, come a dire sono qui, non me ne vado, posso reggere il tuo dolore sulle mie spalle. Credevano di aver visto tutto l'uno dell'altro, di poter sopportare il peso di un passato remoto, distante, farlo loro, alleggerirli della pena e renderli, così, felici. Tutto ciò che facevano era, in realtà, parlare, snocciolare i propri malesseri, tentare di mettere il dolore sotto forma di parole era un gesto vano, come se fosse davvero possibile esprimere con una successione di suoni creati dall'uomo ciò che si ha dentro. Le persone non vedono che un quarto dell'altro, è sempre ciò che si decide di condividere a parole che da l'impressione di una conoscenza reciproca ampliata. In realtà vi è sempre il filtro del linguaggio a protezione dalla sofferenza altrui. Parlare in continuazione non significa comunicare, è quando ci si sfiora in silenzio, pelle contro pelle, che si arriva a comprendere l'altro, a farsi carico dei suoi problemi in maniera più profonda, interna, centrale. Malice aveva rinunciato a quella profondità, avrebbe volentieri fatto a meno di riuscire a sentire gli altri in quel modo intenso e unico, avrebbe voluto poter stringere le loro mani, parlare, condividere come tutti gli altri se solo la cute delle sue mani avesse funzionato come barriera. E invece era difettosa, sbagliata, da qualche parte i suoi cromosomi avevano fatto cilecca e non vi erano filtri, né linguaggio né cellule ad alleggerire il carico che dagli altri passava a lei, invadendola. Era impotente di fronte a Miranda e a quello a cui molti si riferivano come un dono e che per Malice sembrava più una condanna. Era forse giusto che vivesse così, d'altronde la madre la accusava di aver infranto i suoi sogni di attrice, di averle rubato una bellezza senza eguali. Costringendola a guarire le persone, Miranda non solo voleva punire Malice ma anche James, il marito che secondo lei le aveva promesso ricchezza e gloria nei boulevards di Los Angeles e che invece l'aveva confinata lì, nel freddo di una città senza cuore. Malice e James erano infatti quasi un tutt'uno, legati da un amore così grande da suscitare le invidie di Miranda, l'unica vera star di una soap opera da lei stessa detestata.
    Ferire la bambina era, in fin dei conti, l'unica modo reale per far male al marito. Durante le assenza dell'ultimo allora Miranda si scatenava, riversando l'astio sulla figlia che non aveva mai davvero voluto. E Malice, piccolo nocciolo dall'involucro di cartapesta, accusava ogni colpo senza fiatare, non un sibilo, non un lamento, non una preghiera, sopportava i minuti passati a stringere mani sconosciute grazie al pensiero del padre. Quando era a casa, infatti, Malice sentiva di essere al sicuro. Era convinta che se non poteva salvarsi da sola, sarebbe stato decisamente il papà a proteggerla. Si godeva ognuno di quei secondi spesi con lui, sempre troppo pochi e troppo brevi per essere davvero abbastanza. Questa è la volta buona, pensava la piccola, papà resta. Ma James non rimaneva mai, se ne andava, ogni volta attratto dall'intenso brillare di una stella persa nel cielo. Nonostante la delusione, la rabbia bruciante e il risentimento, agli occhi di Malice rimaneva l'uomo invincibile, sorridente, colto e forte che presto l'avrebbe portata via, doveva solo essere paziente. Quando l'aveva visto a terra si era stupita del colore del sangue che gli impregnava la camicia. Era rosso, come quello di chiunque altro, e come chiunque altro era morto. Da lì in poi se la sarebbe dovuta cavare da sola, essere salvata non era più un'opzione da vagliare. Woah apetta, l'hai fatto nero quel fastidioso Humbert Humbert. Era proprio una testa di cazzo, mi hai fatto venire una boner da quanto sei stata forte.
    Non poté fare a meno di ridacchiare mentre sosteneva lo sguardo di Wade che si avvicinava a lei, solamente la testa castana fuori e il resto ancora avvolto dalla tutina. Così sembrava un extraterrestre, mezzo fumetto mezzo umano, uno strano incrocio a dir poco esilarante. «Un boner? Uhm strano, non vedo proprio nulla.» Fece scivolare lo sguardo in basso, all'altezza del cavallo di Wade, fingendo di perlustrare la zona ricoperta dalla tuta di latice rossa, come se non notasse il rilievo - non dovuto ad una vera erezione ma bensì naturale, soprattutto con un abbigliamento così attillato - nel punto in cui i gioielli di Wade si trovavano. Non le andava di parlare dell'accaduto, di Humbert Humbert, come l'aveva chiamato lui, non aveva voglia di pensare alla paura che l'aveva ingabbiata, rischiando di svelare quella stupida minaccia per ciò che era: vuota e senza senso. Non le piaceva pensare che forse non ce l'avrebbe davvero fatta a spingersi oltre, lasciar perdere la lingua che lanciava efficaci minacce e agire realmente. Sarebbe riuscita a conficcare il tacco nelle parti intime dell'uomo, a fondo, senza mollare la presa e scappare? Da quando era rimasta orfana, aveva giurato di sì, avrebbe fatto a pezzi chiunque avesse osato toccarla. Se l'era cavata bene fino a quel momento, nessuna delle situazioni in cui si era cacciata aveva richiesto niente di più che un accenno della violenza che la sua bocca diceva, non si era mai trovata costretta a dover dare di più di qualche schiaffo e spintone. Era stata brava, senza mai contare su nessun altro. Ma aveva sentito la presenza di Wade alle sue spalle, l'aveva avvertita e usata per farsi forza, sapendo che se le cose si fossero messe male l'avrebbe aiutata. Per quanto facesse fatica ad ammettere, sapere di averlo intorno era un sollievo, un respiro preso dopo tanto tempo, chiudere gli occhi senza aver paura di perdere il controllo. Me ne hanno dette di tutte, ma non che sono sexy! Sei stata la mia prima volta, mi hai sverginato! roteò gli occhi in un'espressione finta-espaserata, le labbra schiuse in un respiro di rassegnazione. «Perché gli eroi mascherati devono sempre essere così modesti? Te lo sei mai guardato il sedere allo specchio, Clark Kent? » iniziò mentre si spingeva giù dal muretto e gli si avvicinava di più. «Sono stata dolce, delicata e gentile, vanilla bean? Voglio che tu abbia il più bel ricordo della tua prima, magica, volta. E' importante!» Aveva assunto una voce soave, che voleva ricordare il tono dei giovani maschi che nei film sverginavano le ragazze alla loro prima volta, tutti extra-gentili e delicati. Li prendeva in giro, si faceva quattro risate ora, come se tutte quelle attenzioni minassero la forza del sesso femminile, da sempre associato all'idea di bisogno, di protezione e debolezza. In realtà, non avrebbe voluto altro che una cosa così, per la sua prima volta. Sarebbe una bugia dire che non ci avesse pensato, dai pettegolezzi che faceva con Samantha sembrava un adolescente medio maschio all'apice della pubertà quando scopre che la sua migliore amica ha le tette. Il problema è che non si spingeva mai oltre, niente di più di qualche commento da camionista e baci rubati. Per questo tutti pensavano fosse frigida con totale carenza di attrazione sessuale, e per qualche tempo l'aveva pensato anche lei. Non si fidava di nessuno, era questo il fatto, non credeva che avrebbero rispettato lei, il suo corpo, e la decisione di tenere sempre i guanti addosso. Sarebbe risultato strano, bizzarro, da pazza, e Malice non aveva nessuna voglia di dare spiegazioni. Nah, Isie mi dice sempre "Wade, caro, lo sai che adoro come quella tutina ti esalta il fondoschiena ma quando lavori al Perception ho bisogno che tu sia... un po' più sobrio. Altrimenti mi metti in ombra le spogliarelliste"! Comunque... Io la metto per lavoro, così i cattivi non mi vedono sanguinare. «Chiamala scema, la cara Isie! » esclamò, ridendo per la voce acuta che Wade aveva usato per mimare al meglio la padrona del Perception. Malice pensò di doverle parlare, complimentandosi per la scelta del suo entourage. «Mi dispiace deluderti però, potresti anche oscurare tutte le altre ma, lì dentro, gli occhi di tutti rimarranno sempre puntati su di me. Tu non hai le tette!» Si toccò il seno, stringendolo un po' fra le mani. Gli strizzò l'occhio alzando le spalle in un'espressione che voleva dire mi dispiace, Wady, sono sempre un passo avanti a te. Solo dopo qualche secondo il cervello decise di analizzare le ultime parole di Wade, come se prima non fosse stato ancora pronto ad assorbire il significato , ancora abbastanza confuso, che volevano trasmetterle.
    Aggrottò leggermente le sopracciglia come faceva sempre quando stava pensando intensamente a qualcosa che non capiva fino in fondo. «Ti capita spesso di sanguinare per mano dei cattivi? » Aveva visto di che gente poteva riempirsi il Perception, ma continuava a pensare che fosse un tantino esagerata la frase dell'amico. Si era fatto seria, osservandolo dal basso della sua statura, voleva cercare di carpire dai suoi occhi le parole che non stava dicendo.
    Quando la prima dimostrazione di morsa mortale arrivò, giunse del tutto inaspettata. In balia delle mani e delle braccia dell'uomo, Malice si sentì come una bambola di pezza che ha perso ogni energia. Il respiro si era bloccato da qualche parte tra lo sterno e le tonsille, il minuto corpo che si irrigidì non appena avvertì la stretta dell'altro intorno a lei. Era una reazione automatica, irrazionale, se la portava dietro dai tempi in cui sconosciuti le afferravano con foga le mani, incapace di vivere un secondo di più in balia del loro dolore. Da quei giorni passati, si trascinava la paura dei contatti imprevisti, improvvisi, la prima reazione era sempre quella di allontanarsi di scatto, la morsa all'altezza dello stomaco che si dilatava in un buco nero. Anche se avesse voluto, comunque, non sarebbe riuscita a liberarsi dalla presa di Wade, la stava letteralmente ingabbiando, due dita all'altezza della tempia. Boom. You're dead. Il fiato che aveva trattenuto per quei secondi di movimento ora le uscì di botto, uno sbuffo, era ancora viva, un respiro verso il basso dove il viso era rivolto a poca distanza dal terreno, i capelli che le piovevano di fronte al viso. Se non ci fosse stato lui a condurla quasi delicatamente in quella manovra mortale, Malice si sarebbe schiantata sicuramente al suolo. Restò qualche secondo così, la rabbia che le montava dentro, mista alla paura nel sentirsi impotente. Quei confusi sentimenti durarono il tempo di un battito, quando Wade la ritirò subito su, la stretta intorno al torace che persisteva, giusto il tempo di uno sguardo scambiato lì, abbracciati, nel bel mezzo della desolazione di quel parcheggio sul retro. Non appena le iridi della ragazza incontrarono di nuovo Wade, avvertì tutti i muscoli distendersi, rilassarsi. E' solo Wade. Pensò, il cuore che ancora galoppava per la paura. E' tutto ok. Era come se nel momento esatto in cui era sgattaiolato alle sue spalle, l'uomo aveva cessato di avere gli occhi dell'amico, assumendo quelli invisibili di uno sconosciuto, e una paura irrazionale l'aveva afferrata. Lì tra le sue braccia, guardata da quegli occhi gentili, Malice si sentiva di nuovo al sicuro. Allora gli aveva chiesto con un filo di voce di aiutarla, il petto che si alzava e abbassava ritmicamente sotto la giacchetta cinese. Presto Wade allentò del tutto la presa intorno a lei, e la ragazza desiderò che durasse un po' di più. Quei due modi di toccarla avevano avuto un sapore totalmente diverso l'uno dall'altro.
    Attese qualche secondo lì, ferma, scossa dalla paura e dalla voglia di corrergli dietro, lo lasciò parlare, approfittando di quel momento per riprendersi definitivamente. Si chinò a infilarsi le scarpe senza prendersi tuttavia la briga di allacciare le stringhe dorate intorno alle caviglia, non voleva rimanere troppo indietro. «Hey, Mr. Miyagi! Non ho voglia di tornare a casa. Perché non mi insegni ora, io e te, a casa tua? » L'aveva raggiunto e ora l'affiancava, il passo cadenzato che seguiva quello di lui, la giacchetta stretta intorno alla vita a proteggersi dal vento, la borsa che urtava contro il suo fianco ad ogni step. Non aveva precisato se fosse d'accordo con l'inclusione del kamasutra nella loro lezione, voleva lasciarlo il sospeso appositamente. Le stava a cuore, quella sua nuova missione, e forse non era del tutto pronta a dare la buona notte a Wade. «Grandioso, andiamo! Se non mi segui potrebbero violentarmi o potrei fare un terribile incidente in macchina. Meglio che vieni, strano eroe. » Aveva affrettato il passo, superandolo e correndo verso la sua autovettura per quanto i tacchi alti potevano permettere. La 500 rossa svettava malconcia ad un angolo della strada deserta, proprio sotto ad un lampione la cui luce sfavillava ad intermittenza. Malice osservò Wade dall'altro lato della macchina, la luce proveniente dall'alto dipingeva sui loro volti delle ombre nette, violente. Lo soppesava, studiandone l'imponente figura. «Uhm, sei grosso eh. Ti ci faremo entrare comunque.» Aprì poi con la chiave, entrando subito dentro e sbattendo la portiera. Attese che il suo improbabile compagno di viaggio entrasse, scoppiando candidamente a ridere nel vederlo faticare così tanto. Cercò di tirare il sedile il più indietro possibile, per facilitargli i movimenti, ma alla fine Wade sembrava un peluche troppo grande per la scatola in cui era stato sistemato. Le gambe piegate, le ginocchia quasi addosso, l'uomo sembrava davvero infelice.
    «Non osare dire niente su Margherita, è un fenomeno! Sei tu che sei over-size. Comunque non è troppo lontano, giusto? Resisti. » Batté qualche colpo sul cruscotto dell'auto, un gesto affettuoso che non riservava neanche ai suoi umani preferiti. Mise in moto e partirono, due anime intrappolate nella carrozzeria rossa di una vecchia macchina. Accese subito la radio, sporgendosi per cercare un cd, ma le gambe di Wade impedivano di aprire il cassettino. «Aspetta, spostati, di qua-- Okay, quello lì giallo! Sì grazie.» C'era stato un po' di trambusto, la mano di Malice che si muoveva un po' alla cieca alla ricerca del cd mentre tentava anche di tenere sott'occhio la strada. Alla fine ce la fecero e vennero immediatamente circondati da una musica perfetta per loro due. Barbie Girl degli Aqua pompava le sue note davvero cheesy mescolandosi all'aria che entrava forte dal finestrino di Malice, abbassato, dal quale la ragazza faceva uscire un braccio. Immediatamente i ruoli erano stati decisi, tacitamente, senza bisogno di accordi. Malice sarebbe stata Ken, Wade avrebbe fatto Barbie. «You're my doll, rock'n'roll, feel the glamor in pink. Kiss me here, touch me there, hanky panky!» Ad ogni momento in cui la voce maschile si faceva sentire, Malice cantava forte, la paura di poco prima sembrava essere totalmente svanita mentre agitava la testa, i capelli mossi, indicando Wade, ridendo, scherzando. Andò avanti così per quei pochi minuti di viaggio fino a casa dell'uomo, Malice fece qualche svolta sbagliata o all'ultimo minuto perché entrambi erano troppo intenti a cantare. Alla fine giunsero, sorprendentemente integri, e quando scesero Malice aveva ancora un sorriso e la risata a fior di labbra. Il silenzio sembrò troppo assordante intorno a loro, mentre Malice si muoveva vicino a lui. «Che piano è? » Non sapeva bene perché, ma solo una volta all'ombra della costruzione la realtà di ciò che stava facendo la colpì in pieno petto. Stava entrando a casa di un uomo che conosceva da poco più di un mese, poteva essere un serial killer, un pervertito, un maniaco, qualsiasi cosa, eppure nel suo cuore Malice non riusciva ad essere davvero spaventata. Forse era per via dei suoi modi gentili, gli occhi attenti con cui la guardava, come se non volesse perdersi neanche un secondo di lei, c'era qualcosa in lui che le diceva di potersi fidare. Anzi, c'era una parte di lei davvero elettrizzata all'idea di introdursi in casa sua, osservare come viveva, cosa gli piaceva appendere alle pareti, cosa leggeva e di che colore erano le sue lenzuola. Non pensava a quanto quel comportamento potesse apparire ambiguo da fuori, forse persino dal punto di vista di Wade, una ragazza che si auto invita a casa di uno sconosciuto per imparare mosse di auto difesa. Scacciò via quei pensieri, passandosi una mano fra i capelli mentre li portava di lato, un gesto che la caratterizzava.
    Sorpassò subito Wade, non dandogli il tempo di entrare e quando mosse i primi passi in quell'appartamento dell'ultimo piano, Malice restò visibilmente stupita. Entrò subito dentro, slacciandosi il giacchetto e lasciando che cadesse morbidamente sulla poltrona, alcuni passi che venivano già mossi all'interno dell'habitat naturale di Wade. Un'unica stanza dai mattoncini a vista, faceva da cucina, salone e camera da letto. La cosa che la colpì fu il disordine che era talmente wade da risultare quasi ordinato in quell'ambiente, non si sarebbe potuta aspettare altro. Eppure non aveva previsto il cuscino con l'immagine di un unicorno che le sorrideva dal divano, accanto all'altro che recava la scritta FEMINIST a caratteri cubitali, né tantomeno gli oggettini sugli scaffali e gli avanzi di cibo in giro. «E io che credevo di essere disordinata... Cavolo, Wady, cos'è? E sopratutto, da quanto tempo è qui? » Si era chinata ad osservare un piatto sporco sul quale troneggiava una specie di burrito gigante, diverso però da tutti i burriti che la ragazza avesse mai mangiato. Lasciò perdere le stoviglie, perlustrando con sguardo curioso gli oggetti da collezione che sfoggiava sulle mensole. Action figures di super eroi, fumetti, sembrava la stanza di un adolescente in pieni anni di college. Arricciò il naso alla vista di Wolverine, l'uomo peloso a cui l'uomo era così affezionato. Fece una giravolta, andandosi a sedere mollemente sul divano, accavallò le gambe e abbracciò al petto il cuscino con la scritta. «Questo mi piace. Tutta casa tua mi piace, nonostante il cibo da overdose calorica lasciato ad ammuffire. E' calda, accogliente. » Si rilassò ma quel distendersi di muscoli e nervi durò poco. «Oh mio Dio, non dirmi che sono...» sussurrò raddrizzando la schiena, buttando il cuscino di lato e alzandosi. Si diresse a passi lenti verso lo stanzino la cui porta era socchiusa, il viso una maschera di stupore. «Mutande?!» esclamò allora, chinandosi addirittura sulle ginocchia per osservare i boxer sul pavimento, neanche fosse una creatura extraterrestre. Si voltò a fissarlo, la bocca schiusa in un'espressione di shock volutamente esagerata. «Vuoi dirmi che lì sotto porti i boxer? Dio, non si vede neanche una cucitura! Che peccato però, immaginarti completamente nudo rendeva tutto più... interessante. » Era tornata a girarsi, un sorriso furbo sulle labbra carnose. Fu allora che il suo sguardo venne attratto dal ripostiglio la cui porta era semi chiusa, abbastanza da farle intravedere qualcosa. Tornò a stendere le gambe, lentamente, così come a passo controllato si diresse verso quella porticina e la apriva di scatto, incurante di invadere uno spazio forse privato, segreto, qualcosa che i suoi occhi non avrebbero dovuto vedere. Le iridi chiare e decisamente ingenue di Malice faticarono a capire cosa stessero osservando, vagavano da una pistola all'altra, due specie di spade, qualche fucile o mitra - Malice non avrebbe saputo dire la differenza. Il contrasto con la borsa nera e rosa di HELLO KITTY dalla quale spuntavano il calcio di altre pistole era, letteralmente, micidiale, stonava con la pericolosità che quel vaso di Pandora stava riversando su di lei, imprimendo quelle immagini nella sua retina. Il museo degli orrori continuava a sfilare davanti ai suoi occhi: buste trasparenti di polvere bianca - presumibilmente cocaina - erano accasciate in mezzo a mazzetti di banconote. Il respiro le si era bloccato di nuovo dentro, come se avesse paura di venire scoperta se solo avesse emesso un suono e, per la seconda volta quella notte, il suo corpo si irrigidì. La mano ancora sulla maniglia, Malice percepiva gli occhi dell'uomo sulla nuca, un brivido le sconquassò le vertebre una a una, la mente che cercava di elaborare una soluzione il più in fretta possibile. Sapeva dov'era l'uscita, ma con la coda dell'occhio poteva vedere la figura di Wade bloccarla standoci proprio di fronte; la finestra era dall'altra parte, aveva visto delle scale antincendio correre lungo il perimetro del palazzo, ma anche se avesse corso quei tacchi l'avrebbero di certo rallentata; c'era il bagno, l'aveva visto appena era entrata, forse l'unica possibilità che aveva. «Cos'è questa roba? » Disse fissando ancora le armi davanti a sé, la consapevolezza di essere a casa di un'estraneo che la colpiva improvvisamente e senza pietà. Forse è nell'esercito, forse è l'attrezzatura standard di una guardia del corpo. Cercava ancora di trovare delle scuse per spiegarsi quel nuovo Wade che si ritrovava di fronte, ora che si era lentamente voltata a fissarlo, un'espressione confusa e spaventata a crucciarle la fronte. Poteva essere ingenua, a volte sconsiderata, ma non era stupida, sapeva che nessun esercito di nessuna nazione ti permetteva di portare un simile arsenale a casa e, comunque, la droga e quel genere di soldi potevano solamente essere legati a dei traffici. « E non dirmi "sono il bodyguard di Isie" perché sono tutte cazzate. Chiunque conservi questo genere di cose non può essere una brava persona. » Non era da lei giudicare in quella maniera, ma la paura la rendeva aggressiva, insieme alla delusione di potersi essere sbagliata sul suo conto, probabilmente tutto ciò che voleva era ferirla. « Sei uno dei cattivi, Wade? » Aveva automaticamente fatto qualche passo indietro, come a tenersi il più possibile lontana da lui, proprio lui che qualche minuto prima non avrebbe voluto mai smettere di abbracciare.

    Edited by mesmeric - 4/9/2018, 19:55
     
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    Anche Wade, durante la sua vita, aveva più volte desiderato che qualcuno lo salvasse, lo strappasse dalle angherie e dalle ingiustizie di tutti i giorni, per portarlo in un posto migliore. Per questo, da bimbo e da ragazzino si era rifugiato nel mondo della cultura pop, dove ci sarebbe stato sempre un Dottor X a crescerlo in una casa sicura, un Captain America pronto a salvarlo, o un Wolverine che avrebbe fatto di lui il suo braccio destro. Eppure, arrivato alla sua ultima famiglia adottiva, aveva ben presto capito che nessun eroe sarebbe accorso in suo aiuto. Dunque, decise di diventare lui stesso l'eroe che cercava, sfuggendo il prima possibile da una realtà densa di cambiamenti, ognuno dei quali era peggiore dell'altro. Come farlo però? Nel buio della sua cameretta - spoglia e scura, Wade cercava di arrovellarsi il cervello su quali opzioni avesse, e francamente, erano ben poche. Avrebbe potuto parlare con dei professori a scuola? Nah, era meglio non fidarsi degli adulti. Allora, perchè non fare due chiacchiere con qualcuno della sua classe? Anche quello, escluso. Erano tutti più impegnati a pensare ad altro, figuriamoci ad aiutare un ragazzino che obbiettivamente non aveva alcun interesse ad andare d'accordo con loro. Poi, il destino chiamò Wade, proprio come nei fumetti. Mentre tornava a casa, verso le cinque del pomeriggio, si fermò a prendere qualcosa da mangiare, e dietro di lui vide dei militari che parlavano con un giovanotto, indicandogli cosa fare per arruolarsi ed entrare in Accademia. Fu in quel momento, che un semplice colpo di fortuna divenne un obbiettivo da perseguire. Una volta approntati tutti i documenti, che ebbe cura di farsi mandare a scuola piuttosto che a casa in quel covo di vipere, Wade era pronto a troncare ogni rapporto con la famiglia affidataria ed a trasferirsi finalmente in Accademia, dove avrebbe potuto vivere rendendo conto solo a se stesso. Si era finalmente salvato.
    Io, Wade Wilson, giuro solennemente che supporterò e difenderò la Costituzione degli Stati Uniti contro ogni nemico, esterno o interno; che sarò leale e fedele alla stessa; e che obbedirò agli ordini del Presidente degli Stati Uniti e agli ordini degli ufficiali nominati miei superiori, in accordo con i regolamenti e con il Codice di Giustizia Militare. Che Dio mi sia testimone. Mano sul cuore, quelle parole uscirono dalle labbra di Wade con convinzione, ma mentre le pronunciava, il suo fervore non era riposto nella bandiera da servire, ma in se stesso, nell'obbiettivo che dopo tanto lottare era stato raggiunto. Ora che si era salvato, aveva finalmente ottenuto la libertà; eppure, non è sempre facile sapere cosa fare con essa. Per un ragazzo che non aveva mai realmente conosciuto limiti sani, la parola libertà non avrebbe certamente potuto combaciare con quella di obbedienza ed autorità. L'esercito presto si rivelò una trappola, che era alleviata solo dai legami che Wade aveva man mano costruito negli anni con Brook, Philip e Riley. Doveva trovare un'altra strada, e dopo la sua espulsione, essa sembrò pararsi davanti a lui, stavolta non per mano del destino, ma per sua scelta. Entrato nei Black Mercs, Wade continuò a riporre una considerevole fiducia in se stesso; sapeva che, a dispetto di ogni pericolo, lui sarebbe stato l'eroe che cercava. Non doveva contare su nessun altro, se non sul proprio istinto e sulla propria forza, e ne era convinto. Tuttavia, questa certezza venne completamente distrutta in Afghanistan. Chiuso in quella cella, con la vita che gli scivolava via dalle membra, Wade era ritornato il bambino che restava chiuso nella sua camera dopo essere stato maltrattato da quello che si definiva suo "padre". Avrebbe tanto voluto essere salvato, portato via, al sicuro. Aveva provato con tutte le forze ad evadere per proprio conto, ma aveva ripetutamente fallito. Nessuno arrivò, e nessuno sarebbe mai arrivato, se Philip non fosse stato rapito assieme a lui. Sarebbe morto lì, un giorno, dopo una lunga agonia, e chi l'avrebbe trovato? Chi si sarebbe preoccupato di lui? I suoi amici non avrebbero mai potuto raggiungerlo, Brook non avrebbe mai potuto rintracciarlo. Questo pensiero, che si insinuava nocivo nella mente del giovane sino al presente, veniva schiacciato con talmente tanto vigore dall'allegria e l'ironia di lui da sembrare quasi inesistente. Eppure esso era sempre lì, nei meandri della sua anima, pronto a tormentarlo.
    «Un boner? Uhm strano, non vedo proprio nulla.» Sorridendo raggiante per via del commento scherzoso di Malice, Wade seguì lo sguardo di lei, fino al cavallo dei pantaloni della tutina di spandex. Stai guardando troppo attentamente, per non esserci nulla! E poi.. Sbilanciandosi leggermente verso la ragazza, Wade portò le labbra pericolosamente vicine al suo orecchio. La mia boner si sente, oltre che vedersi. Commentò lui a bassa voce, accentuando di proposito un tono grave e ruvido, per poi allontanarsi e ridacchiare divertito. Gli piaceva la chimica che si era venuta a creare con Malice, era un po' come se la conoscesse da sempre, e nel contempo avvertiva il desiderio di ottenere più informazioni su una donna che, in fin dei conti, gli era quasi sconosciuta. L'aveva notato, Wade, il guizzo di esitazione negli occhi di Malice, dopo che ebbe premuto il tacco della sua scarpa contro i gioielli dell'uomo che aveva osato importunarla. Questo, per puro istinto, gli riempì il cuore: era come se avesse capito che si, lei era una donna piena di sorprese, eccentrica ed unica nel suo genere, però era anche una brava persona. Da un lato, questo intimidì il mercenario, che si ritrovò a pensare a quanto fosse invalidante il suo stile di vita, delle volte. Avrebbe davvero potuto mai avere amici al di fuori delle cerchie illegali di Besaid? Una parte di lui ne dubitava parecchio. «E' un fiore, di quelli super carini, dolci, gentili, che vorresti impoll--» Iniziò White Box, prima di essere bruscamente interrotto da Yellow Box. «Zitto, cretino! Tecnicamente è una stripper che lavora al Perception, che è un locale illegale segreto, quindi Malice rientra nella squad!» Affermando due frasi completamente sconclusionate ma legate al flusso di coscienza che si stava verificando nella mente di Wade, le due voci iniziarono a disquisire ed avrebbero continuato ancora, se lui non li avesse fermati per replicare al complimento dell’amica.
    Assumendo un'espressione fin troppo esasperata per essere vera, la ragazza roteò gli occhi verso l'alto, per poi lasciar andare un sospiro frustrato da quelle deliziose labbra piene. «Perché gli eroi mascherati devono sempre essere così modesti? Te lo sei mai guardato il sedere allo specchio, Clark Kent? » Tra tutte quelle parole, quella che saltò all'orecchio di Wade immediatamente fu "eroe", e in risposta lui scosse appena il capo. No, non era un eroe; poteva essere molte cose: un vigilante, un mercenario, un assassino, un ex-militare, un lunatico, un romantico, un vendicatore, un pazzo, un uomo, ma non un eroe. «Sono stata dolce, delicata e gentile, vanilla bean? Voglio che tu abbia il più bel ricordo della tua prima, magica, volta. E' importante!» Ridendo divertito dalle allusioni di Malice e piacevolmente sorpreso che lei riuscisse a cogliere le sue e tenergli testa, Wade si portò una mano guantata di nero al petto, con fare eccessivamente drammatico. Ahh. Mi hai sfinito, però sono pronto per il round 2. Commentò lui, facendo il segno del numero due con le dita, lasciando andare l'argomento "eroi" per il momento, ed annegando come sempre ogni sentimento vagamente malinconico nell'ironia. Dopodichè, il discorso glissò leggermente, prendendo come argomento la tutina del mercenario, il quale si perse in una perfetta imitazione della sua boss preferita, Isie, per cui lui lavorava più che volentieri, avendo instaurato un solido rapporto di amicizia con la simpatica donna bionda. «Chiamala scema, la cara Isie!» Lanciandole un'occhiata con tanto di gioco di sopracciglia, Wade ridacchiò, scuotendo appena il capo. Mmh, si ha assunto proprio uno snack! Alludendo a se stesso come ad un bocconcino, il mercenario aprì le braccia, indicando il proprio corpo in un gesto ampio, divertito, per poi lasciar proseguire l'amica nel suo discorso. «Mi dispiace deluderti però, potresti anche oscurare tutte le altre ma, lì dentro, gli occhi di tutti rimarranno sempre puntati su di me. Tu non hai le tette!» Sollevando subito le mani come a dire "è verissimo, hai ragione" la mascella di Wade cadde direttamente verso il basso, nel momento in cui le manine di Malice finirono sul suo seno formoso. Il giovane scosse leggermente il capo, come se stesse sognando ad occhi aperti, mentre l'amica gli rivolgeva un occhiolino vittorioso. «Svegliaaaaa!» Strillò Yellow Box, per riportare Wade alla realtà e agli occhi di Malice, che non si trovavano certo all'altezza del suo petto. Sicuramente... Non ho quelle tette... Bofonchiò lui, annuendo convinto nel rimarcare l'evidenza e ricomponendosi nel giro di qualche secondo. Poi, la domanda della ragazza cambiò il tono della discussione. «Ti capita spesso di sanguinare per mano dei cattivi? » Abbandonando la malinconia che quella domanda aveva provocato, seppur solo in una velatura nel suo sguardo, il mercenario sollevò appena le spalle, dando un colpetto alla pistola automatica che era custodita contro la sua coscia. Non tanto quanto vorrebbero. Rispose allora lui, con un tono gioviale sporcato da un guizzo di orgoglio, facendo l'occhiolino all'amica.
    Poi nel momento in cui Wade prese Malice tra le braccia per mostrarle una presa, capì che non gli dispiaceva quella sensazione di vicinanza; lei era una donna dal fisico minuto, che lui riusciva ad avvolgere perfettamente. I capelli ondulati di lei le caddero in parte sul volto, ed in parte restarono contro il petto e la clavicola di Wade, sfiorandogli le labbra. L'irrigidimento delle membra di Malice e la mancanza del suo respiro furono subito percepibili al mercenario, che era abituato a sondare le reazioni fisiche del prossimo, e lì per lì, pensò che si trattasse della sorpresa per il movimento improvviso che aveva compiuto. Effettivamente, Wade era consapevole del fatto di essere invadente delle volte, e nonostante con molti dei suoi colleghi sapeva essere realmente assillante e molesto, non volle realmente entrare nella confort zone di Malice. Al contrario, era interessato a scoprire in cosa essa consistesse, per conoscerla meglio; non voleva avere una relazione "professionale" con lei, anzi era una delle poche persone che gli avevano dato l'impressione di essere in grado di leggerlo anche sotto al sua fitta coltre di sarcasmo e stranezze. Era una sensazione acerba, istintiva, eppure lui l'avvertiva come fosse palpabile. Quindi, perchè non indagarla? Allentando la presa che da "mortale" divenne abbraccio, Wade si concesse un momento di pace, per osservare il volto di Malice con i suoi grandi occhi castani. In quel momento, il corpo teso della donna sembrò finalmente rilassarsi, nel percepire che effettivamente Wade non le avrebbe mai fatto del male. Fu allora che lui accettò la proposta della ragazza, per poi lasciarla andare e riprendere a camminare.
    Dietro di sè, Wade avvertiva il ticchettio ritmico dei passi dell’amica, il cui suono era filtrato dalle scarpe col tacco che lei indossava. «Hey, Mr. Miyagi! Non ho voglia di tornare a casa. Perché non mi insegni ora, io e te, a casa tua? » Voltandosi di scatto, per guardare Malice con un sorriso entusiasta, Wade inclinò appena il capo. Essendo abituato a ricevere esclusivamente visite occasionali e limitate da membri della comunità criminale di Besaid, non pensò neanche un secondo al il fatto che casa propria fosse quella di un mercenario e non quella di una persona "normale" o incensurata. Prendendo per scontato che anche Malice la vedesse in quel modo, lui alzò un pugno in alto, comunicando il suo entusiasmo. E andiamo! Anche se per come l'hai messa tu, questa mi sembra un po' di più una questione per venire... che per andare. Constatò lui, mentre portava un braccio attorno alle spalle esili dell'amica, divertito dalle continue ambiguità che i due si scambiavano sotto forma di battute, proprio perchè erano sulla stessa lunghezza d'onda. «Grandioso, andiamo! Se non mi segui potrebbero violentarmi o potrei fare un terribile incidente in macchina. Meglio che vieni, strano eroe. » Aggiustando la maschera incastrandola tra i propri fianchi e la cintura piena di taschine, Wade scosse nuovamente il capo, leggermente chino, mentre camminava al fianco di Malice. Non sono un eroe apetta, that i ain't! Commentò il mercenario, sollevando il dito indice per compiere un gesto di negazione. Dopodichè, seguì la spogliarellista verso la sua macchina, una 500 rosso fuoco un po' malandata, che già dall'aspetto convinse immediatamente il mercenario, che si portò le mani sui fianchi per osservarla. Si, era decisamente piccina, ma d'altronde avrebbe dovuto servire a Malice per muoversi in città, e la misura era perfetta per il suo corpo grazioso. «Uhm, sei grosso eh. Ti ci faremo entrare comunque.» Ridacchiando ed appoggiando una mano sul tettuccio dell'auto, Wade sollevò appena le spalle, come se stesse per dire la cosa più ovvia del mondo. In genere, basta un po' di lubrificante, e via! Ridacchiando e mettendo un palmo contro l'altro e poi facendone scivolare uno in avanti, Wade mimò in un gesto ciò che intendeva dire, per poi chinarsi - più di quanto si aspettasse - per entrare nella 500. Okay, massimo sforzo. Mormorò il giovane, proprio come faceva prima di buttarsi in qualche impresa difficile o omicidio impegnativo. Si rannicchiò il più possibile, e dopo non pochi tentativi, riuscì a sistemarsi in macchina. Ridacchiando per la sua stessa posizione sacrificata, Wade battè le mani una volta in segno di vittoria. Ci sono! Andiamo! Affermò energico lui, avvertendo le ginocchia premergli contro il petto. Era scomodo, ma decisamente divertente.
    «Non osare dire niente su Margherita, è un fenomeno! Sei tu che sei over-size. Comunque non è troppo lontano, giusto? Resisti. » Sorridendo per le parole incoraggianti di Malice, che stava riservando dei teneri colpetti sul cruscotto della sua 500, Wade sollevò le mani in segno di resa. Scherzi? Sarebbe uno sballo portare Margherita a lavoro! Wroom wroom! «Certo, piuttosto che rubare ogni volta un mezzo di trasporto! Ci vorrebbe un tassista personale!» Obbiettò White Box, intromettendosi nel discorso di Wade, e ricevendo un'occhiataccia, naturalmente rivolta al nulla, ma che apparentemente sembrava diretta fuori dal finestrino. Dopo qualche secondo, Malice mise in moto e finalmente i due improbabili compagni di viaggio iniziarono il tragitto verso casa di Wade. La ragazza allungò una mano minuta e guantata verso la radio, spingendo il pulsante di accensione, per poi protendersi per agguantare un CD, scontrandosi però contro le gambe di Wade, che cercò di spostarsi come meglio poteva, senza smettere di ridacchiare per la situazione esilarante. «Aspetta, spostati, di qua-- Okay, quello lì giallo! Sì grazie.» Prendendo il disco in questione per aiutare l'amica, il mercenario si aggiustò nuovamente sul sedile, cercando anche di stare attento alle pistole; se le avesse premute nel punto sbagliato avrebbero potuto creare non poco scompiglio. Non appena il CD fu inserito nel lettore, Wade riconobbe la canzone immediatamente, battendo un paio di volte le mani. BARBIE GIIIIIIIRL! MALICE SEI UN MITO! Strillò lui entusiasta, mettendosi le mani sulle ginocchia, muovendosi poi a ritmo - senza esagerare, per non far cappottare la macchina. Per il mercenario fu naturale, ricoprire il ruolo di Barbie e non quello di Ken, e non appena si accorse che Malice aveva pensato la stessa cosa, si allungò per lasciarle un veloce bacetto sulla guancia. I'm a Barbie girl, in a Barbie world! Life in plastic, it's fantastic! You can brush my hair, undress me everywhere, imagination, life is your creation! I'm a blond bimbo girl, in a fantasy world, dress me up, make it tight, I'm your dolly! Gesticolando e mimando ogni singolo verso della canzone, Wade iniziò a cantare cercando di canalizzare la sua Barbie interiore - e riuscendoci molto meglio del previsto. «You're my doll, rock'n'roll, feel the glamor in pink. Kiss me here, touch me there, hanky panky!» Ridendo divertito alle parole del suo Ken dai lunghi capelli castani, Wade si toccò il petto non appena Malice lo indicò, sfiatando e sventolandosi come se fosse stato colpito dal dardo dello sguardo bollente della donna - ora nei panni del bambolotto muscoloso. You can touch, you can play, if you say "I'm always yours"! Mano sul cuore e ciglia sfarfallanti, Barbie-Wade continuò a cantare, divertito e contento come gli era accaduto poche volte negli scorsi mesi. Era bello trovare qualcuno con cui essere se stessi, e nonostante Malice dovesse ancora conoscere molto di lui, in quei brevi momenti di spensieratezza in macchina, il giovane sentì di essere nel posto giusto al momento giusto, e con la persona giusta.
    «Che piano è? » Domandò Malice, una volta scesa dall'auto quanto furono arrivati. Inciampando fuori dalla 500, Wade si chiuse lo sportello alle spalle, indicandole con l'indice di dover salire, poichè il suo appartamento era quello che si trovava all'ultimo piano. Sospirando pesantemente per la stanchezza della giornata, il mercenario si stiracchiò e rese conto di non avere quasi mai ricevuto ospiti a casa. Era un po' come se quell'appartamento fosse il suo covo, un rifugio sicuro in cui guarire quando le ferite erano troppo dolorose, un posto dove accogliere pochissimi colleghi ed amici. Quella casa, per quanto potesse essere semplice e non sontuosa come ad esempio quella di Isie, era sua, uno spazio in cui Wade Wilson non doveva essere nessun altro se non se stesso. Tuttavia, accogliere Malice non gli fu difficile. Certo, non la conosceva, e forse sarebbe stato un azzardo rivelare così tanto di sè dopo un mese, però il giovane era pervaso da un senso di spericolatezza e serenità che lo induceva a fidarsi di lei. Cosa sarebbe potuto succedere, di tanto orribile? Lo sorprese, per contro, che lei gli avesse proposto di andare a casa sua. Del resto, la prospettiva che lei avrebbe potuto avere di lui era ben diversa da quella che lui aveva di se stesso. «Hei, da quant'è che non ci portavamo una ragazza a casa, big boy?» A quell'affermazione di Yellow Box, Wade aggrottò le sopracciglia, contrariato. Non aveva la minima intenzione di approfittarsi di Malice, il solo pensiero lo faceva rabbrividire. Shh! Sussurrò lui, a bassissima voce, imponendo alla propria mente di chiudere il becco, mentre apriva la porta di casa. La ragazza corse dentro, guardandosi intorno con la meraviglia di una bambina in un parco giochi, mentre osservava attenta e vispa ogni singolo particolare nell'abitazione del mercenario. Chiudendosi la porta alle spalle con un calcio, Wade gettò la maschera per terra, vicino alla porta, per poi sfilarsi anche i guanti e lasciarli cadere lì accanto, rivelando le mani la cui pelle era segnata da qualche cicatrice pallida. «E io che credevo di essere disordinata... Cavolo, Wady, cos'è? E sopratutto, da quanto tempo è qui? » Sollevando la testa non appena udì le parole di Malice, il giovane sorrise, facendo spallucce. Ahh i chimichanga Norvegesi fanno schifo, dovrei andare in America e prenderne una vagonata, di quelli congelati! Asserì il mercenario, portandosi una mano al mento, ticchettando le dita in un gesto di riflessione. Chinandosi per agguantare il piatto ormai vecchio di cibo messicano, Wade lo gettò nell'immondizia, una volta in cucina, mentre Malice si soffermò sulla collezione di fumetti ed action figures del giovane, che invadeva gli scaffali pieni di libri e vinili, che Wade amava collezionare. A dispetto di quanto millennial potesse sembrare, lui amava tutto ciò che era vintage, dalle polaroid agli LP, che non mancavano in casa sua. Possedeva inoltre, una radio portatile Siemens, con una striscia di scotch di carta, su cui aveva scritto il suo nome quando era ragazzino; la custodiva molto gelosamente, e la usava tutt'ora. Portando le iridi castane sulla figura della ragazza, che man mano stava esplorando ed abituandosi all'ambiente nuovo, il giovane sorrise appena, aggrottando le sopracciglia in un'espressione intenerita, non appena la vide sedersi sul divano con il cuscino tra le braccia. «Questo mi piace. Tutta casa tua mi piace, nonostante il cibo da overdose calorica lasciato ad ammuffire. E' calda, accogliente. » Avvicinandosi a lei, per poi lasciarsi cadere sul divano, il mercenario si guardò intorno, per poi posare nuovamente gli occhi sulla sua amica. Poi si mise una mano davanti alle labbra e sollevò le sopracciglia. Io sono Batman, e questa è la mia Batcaverna. Affermò infine, abbassando tremendamente il tono di voce, un po' come Christian Bale aveva fatto nei film di Nolan. Poi, ridacchiò e portò le braccia incrociate dietro la testa, mettendosi più comodo. All'improvviso però, Malice si alzò, attirata da qualcosa verso la risicatissima cabina armadio di Wade. Seguendola con gli occhi, l'ex militare inclinò appena il capo. «Oh mio Dio, non dirmi che sono...» Incuriosita, la donna fece qualche lento passo avanti, e allora il giovane si sporse di più verso di lei, per capire cosa l'avesse tanto sorpresa. Ti giuro quell'unicorno non lo uso solo per mastur... Si affrettò a dire Wade, per poi fermarsi non appena l'esclamazione di Malice gli giunse alle orecchie. «Mutande?!» Ridendo divertito nel vederla addirittura chinarsi, per osservare quei boxer lasciati lì per terra, Wade annuì convinto, annuendo lentamente come se stesse ammettendo un delitto nel momento in cui i grandi occhioni da cerbiatta della ragazza lo fissarono in un'espressione esageratamente shockata. Lo ammetto, detective! Affermò infine il mercenario, sollevando il pollice in un segno di "okay". «Vuoi dirmi che lì sotto porti i boxer? Dio, non si vede neanche una cucitura! Che peccato però, immaginarti completamente nudo rendeva tutto più... interessante. » Abbassando lo sguardo per la seconda volta in quella sera verso il cavallo dei pantaloni di spandex, Wade ridacchiò. A volte si, a volte no, se vuoi venire ad indagare dipende da te, detective sweetcheeks! Rispose allora lui, con aria divertita ed un po' sorniona, socchiudendo gli occhi, rilassato sul divano, con le braccia dietro la testa e le gambe aperte, in una postura rilassata.
    Senza che se ne accorgesse e completamente a proprio agio con Malice in casa, Wade chiuse gli occhi, con l'intento di calciare via le scarpe della tutina ed indossare le sue terrificanti pantofole di spiderman (visto che doveva comprare delle nuove crocs blu), quando avvertì nuovamente i passi della ragazza dietro di sè. Aprendo solo uno dei due occhi, il giovane la seguì distrattamente con lo sguardo, non eccessivamente preoccupato del fatto che lei stesse raggiungendo il suo ripostiglio - o come preferiva chiamarlo lui, il suo "ufficio". Per un paio di minuti, Wade non sentì alcun suono provenire dalle labbra di Malice ed allora si alzò, raggiugendola, e l'espressione che le lesse sul volto non era per nulla quella che si aspettava. «Cos'è questa roba? » Il tono della ragazza non era scherzoso, era scosso e velato da una nota accusatoria. Per un attimo, fu come se un macigno avesse colpito Wade dritto in testa. Nella sua ingenuità, nel pensare che Malice avesse intuito il suo lavoro, Wade non aveva pensato neanche un secondo che lei potesse essere turbata dal suo stile di vita. Aveva immediatamente pensato "Ah, lavora al Perception, saprà chi è Deadpool!" Eppure, evidentemente, non era così. Le iridi castane del giovane squadrarono velocemente la figura della ragazza dall'alto in basso, e si, la postura e lo sguardo che lei gli stava riservando era uno che Wade conosceva già - quello che gli veniva riservato prima di un rifiuto. «May day! May day!» Avvertì Yellow Box, anche lui all'erta per la situazione che si era venuta a creare. « E non dirmi "sono il bodyguard di Isie" perché sono tutte cazzate. Chiunque conservi questo genere di cose non può essere una brava persona. » Appoggiandosi con calma al piano della cucina, per qualche secondo, il mercenario chiacchierone non sapeva cosa dire. «Possibile che se una persona ci interessa sinceramente, noi roviniamo tutto sempre e comunque?!» Si lamentò White Box, frustrato tanto quando Wade, che però non separò lo sguardo da quello di Malice. Un velo di tristezza sporcò lo sguardo del mercenario, che alzò le mani nel momento in cui la ragazza fece un paio di passi indietro, come fosse una preda in trappola. « Sei uno dei cattivi, Wade? » Domandò allora lei, con un filo di speranza nella voce esitante, indifesa e con lo sguardo timoroso. Sospirando pesantemente e senza accennare alcun movimento inconsulto, Wade aprì il palmo della mano, facendolo leggermente oscillare come a dire "così così", ricorrendo all’unica difesa emotiva che aveva sempre impiegato: le parole. Ehh.. Tecnicamente, io sono uno di quelli che uccidono i cattivi che nessun cattivo ha il fegato di uccidere. Quindi diciamo che io tolgo di mezzo le persone ipercattive, per delle persone mediamente cattive, che mi pagano per farlo- Però a volte uccido delle persone cattive perchè è la cosa giusta da fare... Quel fiume di parole si interruppe solo per dare a Wade il tempo di riprendere fiato mentre continuava il suo discorso, che proseguì con un tono più serio. Hai ragione, Malice. Io non sono una brava persona, tantomeno un eroe. Secondo te perchè non mi chiamo Superman ma Deadpool? Sono uno che cerca di fare la sua parte con le sue risorse, in un mondo in cui a volte bisogna essere disposti a giocare sporco. Spiegò infine Wade, per poi portare lentamente una mano verso l'invisibile tasca dei pantaloni aderenti color rosso cremisi, tirando fuori il suo vecchissimo cellulare a conchiglia con sopra degli sticker dei my little pony. Gli dispiacque molto, di dover rinunciare a conoscere Malice, per via del suo lavoro, ma Wade era una persona che conosceva le reazioni umane, e quella della ragazza sicuramente non era positiva. Se le voleva davvero bene, avrebbe dovuto lasciarla andare. Lei era diversa da lui, in positivo, lei aveva conservato un'innocenza che Wade aveva ormai perso da tempo. E' solo il telefono. Vedi? Immagino che tu voglia tornare a casa adesso, sweetcheeks. Ti chiamo un taxi o, un uber o qualcosa del genere- Tenendo sollevata l'altra mano per lasciar intendere a Malice che non aveva alcuna intenzione di farle del male, il mercenario cercò un numero da comporre, mentre avvertiva una familiare e poco piacevole stretta allo stomaco. «Se ne va, non è vero? Che cavolo! Dovevi tenerla chiusa quella porticina!» Sussurrò seccato White Box, al che Wade scosse appena la testa. Se uno di voi due stupidi me l'avesse ricordato, non staremmo qui! Allora zitti tutti e due. Borbottò Wade frustrato dalla situazione, per poi sollevare entrambe le sopracciglia assicurandosi che nessuna voce gli stesse parlando, e portò il telefono all'orecchio.
     
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    Venivano dai più lontani estremi della vita, da pensare che mai si sarebbero sfiorati se non attraversando da capo a piedi l’universo. E invece neanche si erano dovuti cercare, tutto il difficile era stato solo riconoscersi, una cosa di un attimo, il primo sguardo e già lo sapevano. Pur non conoscendosi poi così bene, Wade e Malice sembravano muoversi sulla stessa linea, una roller coaster fatta di allusioni, sguardi e risate che li aveva avvicinati sin dall'inizio. Ahh. Mi hai sfinito, però sono pronto per il round 2. Non aveva potuto fare a meno di sorridere per quel due che si rappresentava sulle dita dell'uomo, manifestazione tangibile di quelle parole. Le piaceva la fisicità con cui Wade sembrava accompagnare ogni frase, come se il semplice dire non fosse abbastanza e dovesse trovare un ulteriore modo per esternare ogni cosa. «uh, sicuro di farcela?» Era sempre così, la cara Malice, pronta a spingersi oltre con le parole, con le ostentazioni, fino a dove le azioni vere e proprie non osavano arrivare. E allora si era strizzata il seno fra le piccole mani avvolte nei guanti, spingendole verso l'alto, le curve che si intravedevano dallo spacco della giacchetta; aveva pronunciato quelle parole, parlando del corpo e delle sue avventure con esperienza, come se fosse stato toccato esplorato da molteplici mani e ne avesse sfiorati altrettanti, compiacendosi dell'espressione da mascella slogata che l'uomo assunse per qualche secondo. «Però hai queste due lastre di amianto qui - fammi toccare!» Aveva allungato entrambe le mani verso i pettorali di Wade, un gesto che aveva davvero poco di sensuale ma piuttosto di infantile, mimando l'azione di strizzare il seno a qualcuno. Aveva sgranato gli occhi, la bocca semi-aperta in un'espressione di shock - iper ventilazione, estremizzando volontariamente il tutto mentre si portava una mano sulla fronte in stile svenimento nei film in bianco e nero. Un sorriso per lui, l'ennesimo, con quel suo modo di incastrare la punta della lingua tra gli incisivi che le conferiva un'espressione davvero furba e impertinente. Mutò subito il tono della conversazione, ma nonostante l'ombra di un'inquietudine passeggera che le confuse i lineamenti mentre l'uomo picchiettava sul fodero della pistola che aveva contro la coscia, alle sue parole Malice, si rasserenò. Non tanto quanto vorrebbero, era stato detto con una punta di orgoglio e la mente della ragazzina, forse per auto-difesa, forse per ingenuità, preferì lasciar correre, andare oltre, pensare alle questioni importanti da affrontare, come l'urgente necessità che aveva di mettersi alla prova.
    Fu una questione di secondi e quella serie di prese, contatti, paure e rassicurazioni finì con Malice tra le forti braccia di Wade, il fiato che tornava con lentezza a farsi fluido, fino a quando si ritrovò a corrergli dietro, incapace di far finire la nottata che, pur avendo superato le 3 del mattino, a Malice sembrava ancora non bastare. Non voleva lasciarla andare via, non voleva lasciare che Wade scomparisse nella notte. Non ancora.
    E andiamo! Anche se per come l'hai messa tu, questa mi sembra un po' di più una questione per venire... che per andare. Aveva roteato gli occhi, classica mossa alla Mal che, chissà perché, veniva spesso fuori quando l'uomo era nei paraggi. «Potrebbe essere anche questione di venire, dipende tutto da te, se sarai in grado di farmi esplodere .» Inavvertitamente i suoi pensieri sfiorato davvero l'idea di una situazione più intima, un momento in cui effettivamente tutte quelle parole avrebbero potuto lasciare il loro status di allusioni e plasmarsi in azioni. Lo fissò per qualche secondo mentre si contorceva per entrare in macchina, accompagnando i movimenti con l'immancabile battuta del lubricante che le strappò un sorriso, l'ennesimo della serata. Sarebbe davvero potuto succede? Ne dubitava. Non aveva nessun complesso riguardante la sua bellezza, il suo essere donna, le sue curve lontane dalla magrezza dello standard moderno, il modo in cui a volte dimenticava a casa la femminilità che invece in altri momenti sembrava essere tutto ciò che aveva, come quando ballava libera sul cubo del Perception. No, non erano quel genere di preoccupazioni che spingevano Malice a dubitare che sarebbe mai potuto esserci qualcosa di più che qualche - molte - allusioni e parecchi sguardi non mascherati. Era piuttosto l'abitudine che la ragazza aveva preso di mettere da parte qualsiasi pensiero di quel genere, o a non pensarlo realizzabile sul piano fisico. C'erano stati uomini di cui si era infatuata, con i quali aveva scambiato battute, flirtato, proprio come stava facendo con Wade, ma erano sempre rimasti solamente quello: parole. Ambigue e ammiccanti, chiare e esplicite, ciò che Malice diceva agli uomini non si avverava mai, non perché volesse giocare con loro o con i loro sentimenti, piuttosto perché non riusciva proprio ad andare oltre. Le piacevano quel tipo di interazioni, sentirsi desiderata era una debolezza che aveva ormai accettato di avere, si rigirava il suono di quelle allusioni sulla lingua, ne assaporava il gusto e le ripeteva di rimando, pronunciandole con dolcezza e malizia, una mano a fare ondeggiare frivola i capelli lunghissimi. Ma non si era mai spinta oltre, non si era mai davvero lasciata andare, abbandonata a qualcun altro, non aveva mai osato perdersi per paura di non riuscire più a ritrovarsi. Riacquistò presto il buon umore, scacciando con un movimento dei capelli quei pensieri dalla testa, sperando anche che Wade - ancora intento a farneticare - non notasse il rossore apparso sulle guance di Malice. Che pensieri assurdi che faceva! Non sono un eroe apetta, that i ain't! Aveva alzato un sopracciglio, Malice, l'espressione stupita di chi non riusciva proprio a capire di cosa si stesse parlando. «Di nuovo, modesto! Ricevete un corso speciale "non sono un eroe, non sono un figo patentato etc" mentre imparate a far fuori i nemici?» Aveva fatto apposta una vocina lamentosa per prenderlo in giro, mentre metteva in moto l'auto e la faceva partire nella notte.
    Quel momento fu uno dei più spensierati che Malice poteva ricordare. Nell'auto che sfrecciava per le strade deserte, Malice e Wade cantavano a squarciagola una canzone che avrebbe fatto inorridire chiunque con un minimo di sale in zucca, ballando con convinzione sui sederi incollati ai sedili, ognuno che recitava a dovere la parte che si erano attribuiti senza aver bisogno di mettersi d'accordo. Era chiaro ormai che quei due non avevano poi tutte le rotelle al posto giusto, o forse non era la collocazione a essere sbagliata ma, semplicemente, gli ingranaggi non lavoravano allo stesso modo di quelli degli altri. E andava bene, erano giusti così. «Vai in giro mascherato, sei misterioso, dai la caccia ai cattivi, sai fare quella cosa, lo sguardo diverso a seconda della persona con cui parli. C'è quello da "non ti conviene tirare troppo la corda", quello "i'm sexy and i know it"e anche quello dolce di quando Spiderman salva Mary Jane e la tiene fra le braccia mentre volano fra i grattacieli di New York. Se non sei un eroe, cos'altro saresti?» Aveva riallacciato il discorso dopo quei minuti spesi a cantare spensierati, come faceva spesso con questioni che le stavano a cuore. Pur essendo una ragazza particolarmente impulsiva, a volte la mente di Malice richiedeva un po' di tempo, non tanto per assimilare qualcosa ma, piuttosto, per essere sicura su cosa rispondere. Sulla soglia di casa sua, Malice avvertì un'inconsueto nervosismo, una sensazione leggerissima all'altezza dello stomaco, sottile come una carezza leggera. Era da tempo che non si trovava a varcare la soglia di una casa sconosciuta e, nella società odierna, l'auto-invitarsi di una donna nell'abitazione di un uomo era considerato sinonimo di certe intenzioni, intenzioni che Malice non aveva. Non era certa di cosa l'avesse spinta ad andare lì, avrebbe potuto salutarlo sul retro del locale e tutto sarebbe andato bene. Si sarebbero divisi, sarebbe andata a letto concludendo una giornata come tutte le altre, ed era proprio quello il problema più grande di Malice. La quotidianità, la monotonia, le giornate che si susseguono l'una dopo l'altra senza mai cambiare, tutto ciò la terrorizzava, si sentiva insoddisfatta, alla perenne ricerca di una diversità che scuotesse la sua vita. Per questo si tuffava di testa nelle situazioni più impensabili, per questo faceva chilometri per andare a trovare Sam, per questo aveva detto di sì a Magnus e Isie, voleva quel lavoro non tanto per il mestiere in sé ma per ciò che rappresentava, la diversità, il pericolo, la sensazione di fare qualcosa che le persone normali, in una vita normale, non facevano. Infine, era anche per quello che le piaceva così tanto avere Wade Wilson attorno. Shh! «Non ho detto niente.» disse, incuriosita, ispezionandolo senza tuttavia l'ombra di malvagità o giudizio sul viso. Malice si era voltata verso l'uomo, il capo leggermente inclinato verso destra e le pupille che si soffermavano sul suo viso. Quella ventata di stranezze, risate, buffi modi di fare, avevano iniziato a riempire alcune delle sue giornate come una cura miracolosa alla noiosa normalità che sembrava circondarla. «Era da un po' che volevo chiedertelo: hai per caso l'abilità di vedere fantasmi o parlare con la gente morta? Puoi non rispondermi, se non ti va, però sappi che ci rimarrei malissimo. » Sentenziò spingendo all'infuori e verso il basso il labbro inferiore nella tipica smorfia di chi è talmente triste da star per scoppiare a piangere. Una parte di lei si pentì di quella domanda che sarebbe forse servita da pretesto per chiederle, di rimando, informazioni sulla sua abilità. Quello non era un territorio in cui Malice si avventurava con allegria. Si guardò le mani, un'occhiata appena accennata come ad assicurarsi che i guanti fossero ancora lì, al loro posto. Li indossava da così tanti anni da arrivare persino a dimenticarsi di averli addosso, tanto erano ormai come una seconda pelle per lei, cosa che a volte la costringeva in preda al panico ad abbassare lo sguardo per accertarsi che stessero ancora lì. La tana casa di Wade era un posto perfetto per Malice da esplorare, cosa che le piaceva fare ogni
    volta che entrava in un luogo sconosciuto. I dettagli non sono per chiunque anzi, le persone non ci fanno mai troppo caso, concentrate come sono nell'osservare la big picture. A Malice invece piacevano i particolari, le minuzie, era convinta che fossero l'essenza della persona, piccoli pezzi Lego su cui essa si era costruita nel tempo. E se quando, entrata nel luogo che una persona chiama casa, le prendeva la smania di osservare, toccare, guardare ogni cosa, appropriarsi dei rebus che il tempo si era lasciato dietro sotto forma di oggetti in attesa che Malice li aprisse, svelasse e risolvesse, voleva dire che la persona in questione le interessava, e parecchio anche. Frugando negli oggetti dell'uomo mascherato, Malice sperava di carpire qualche informazione in più sul suo conto, svelare un po' di quel mistero in cui era ancora avvolto, una nube di fantasie e parole che intrigava e spaventava Malice allo stesso tempo. Ahh i chimichanga Norvegesi fanno schifo, dovrei andare in America e prenderne una vagonata, di quelli congelati! America, Malice si era sempre chiesta come fosse quel posto lontanissimo di cui Miranda vantava sempre i grandi spazi metropolitani, le incredibili opportunità di lavoro e, in generale, quanto fosse migliore della Norvegia. « E' da li che vieni? Dall'America? E che diavolo è un chimichanga?» gli aveva domandando allora mentre soprappensiero continuava a scrutare fumetti e action figures. Non poteva non aver notato il lieve accento e gli idiomi inglesi che infilava ovunque in ogni conversazione e che la facevano sempre sorridere. «Mia madre era americana, Ohio credo. Era ossessionata da Los Angeles però, ci sei mai stato?» La voce si era incrinata, un leggerissimo segno di malessere. Non parlava mai di Miranda e della sua mania per la città degli angeli, un sogno mai realizzato che l'aveva spinta ad odiare ogni singolo istante della sua vita in Norvegia. Parlare con Wade però le era venuto naturale, quasi spontaneo, come se avesse potuto dimenticare per un attimo tutto il male che quella donna le aveva causato. Le dita si chiusero sulla piccola radio che dopo aver raddrizzato la schiena avvicinò agli occhi, le iridi che si soffermavano sulla scritta a caratteri rossi, sbiaditi e dalla grafia infantile. Dovevano essere stati tracciati molti anni prima. «Adoro le radio portatili, ormai non se ne vedono più di così in giro. Funziona ancora? Raccontami la sua storia, ti va?» Malice l'aveva riposta, guardandolo con aria divertita mentre si andava a sedere sul divano. Le piaceva sentire i racconti legati ad ogni oggetto, per lei era molto importante, non a caso affibbiava nomi propri a quasi tutte le cose che possedeva. Aspettò che Wade si accomodasse vicino a lei e solo allora notò che si era tolto i guanti, lasciando scoperte le mani come lei non avrebbe mai potuto fare. Nel guardarle, invidiosa della loro capacità di essere libere, gli occhi si strinsero sulle cicatrici che le segnavano come bruciature in un campo d'estate. A quella vista, Malice provò lo strano impulso di toccarle, e avrebbe allungato le dita se non le avesse viste avvolte nei guanti, neri, che in quel momento le ricordavano una macchia di petrolio che si allarga nociva nel mare. Si vergognò, non avrebbe potuto sentire come quelle cicatrici, segni di un dolore passato, "suonassero" sulla pelle, se fossero ruvide o lisce al tatto, e se le mani di Wade trattenessero il calore o attirassero il freddo. Se le immaginava calde, comunque, mentre teneva le proprie in grembo, le dita che si tormentavano a vicenda. Io sono Batman, e questa è la mia Batcaverna Ringraziò quella frase, cogliendo la palla al balzo per tornare ad essere la Malice di sempre. «Direi più, B-aet-tola» sorrise strizzandogli l'occhio. «E poi credevo che tu non fossi un super eroe.» Puntualizzò senza lasciargliene correre una. Si era alzata di soprassalto, mettendo su tutto quel simpatico teatrino solo per fare una battuta del cavolo che Wade però non ignorò ma anzi, ovviamente, rispose stando al gioco. A volte si, a volte no, se vuoi venire ad indagare dipende da te, detective sweetcheeks! Era difficile trovare personalità del genere, diverse ma al contempo affini, con le quali potersi sentire sé stesse. «Il possesso della conoscenza uccide il senso di meraviglia e mistero, il fascino dell’ignoto domina tutto. Credo che non indagherò oltre, per ora.» Aveva sorriso e aveva mantenuto quella mezzaluna sul viso fino a quella inaspettata scoperta.
    Si era spesso chiesta se ci fosse una possibilità, una sola, di tornare a guardare lontano quando davanti avevano sempre, tutti, qualche rovina in fumo. C'era un tempo in cui Malice era stata ossessionata dallo scorgere il futuro che l'attendeva, un'incognita opprimente e inafferrabile, persa com'era nella coltre nebbiosa di un passato mai completamente morto. Le sembrava di scorgerle ancora, quelle fiamme, levarsi alte in spirali di fumo intorno a lei. Erano ovunque, ribollivano calde mentre mangiavano il legno della casa in cui era cresciuta, mentre asciugavano il sangue dai vestiti di James e quello sulla fronte di Miranda evaporava a causa loro. Aveva lottato, mettendocela tutta per dissipare il fumo che l'accecava, finendo per trovare un compromesso, l'unica via di fuga rimasta: smettere di guardare lontano. Il futuro non esisteva più per lei, il presente era tutto ciò che aveva. Capitava ancora che il gas oscurasse il sole delle sue giornate, che il sangue dei genitori tornasse liquido sulle sue mani e in quelle giornate era meglio non starle vicino. Era questione di tempo, i suoi amici l'avevano imparato, questione di secondi che scorrono, sequenze di minuti che il fumo impiegava ad essiccare via il rosso.
    La cosa che Malice proprio non riusciva a dimenticare era il prima, lo spazio di tempo che nei suoi ricordi precedeva il fuoco, quel battito di palpebre che era servito a Miranda per morire. Ricordava di averle battute, le ciglia, perdendosi il momento in cui la prima pallottola aveva attraversato l'aria, una spada che sferza il primo colpo. Uno spostamento d'aria quasi impercettibile, le folte ciglia tremolarono mentre accarezzavano le guance, le palpebre calate a difendere la retina di Malice da quella visione. Non c'era stato quasi rumore, a parte un sibilo sottile, sordo, come un sussurro veloce. Miranda si era fermata, non era da lei interrompere un discorso tanto importante, le e palpebre venate di azzurro di Malice tornarono allora ad aprirsi, a schiudersi su un mondo diverso da quello che avevano appena lasciato. Era piccola, Malice, quando aveva imparato quanto la vita potesse essere fragile. Da quel foro nel cranio della madre, la forte e cattiva Miranda, che le aveva bloccato il cuore e ucciso le parole di bocca. Era rimasta in piede per qualche secondo, la immaginava graffiare con le unghie e con i denti per trattenere quella vita che era stata così ingiusta con lei, non voleva lasciarla andare, era sua, le apparteneva. La ragazzina non era riuscita a distogliere gli occhi da quel buco, stupendosi di come fosse perfettamente circolare, tondeggiante, i bordi leggermente frastagliati ma netti, precisi come se fossero stati disegnati dalla mano di un artista. Il tonfo di un corpo che cade produce può essere sorprendentemente forte e sostituì quello dello sparo - attutito dal silenziatore. La vista delle armi aveva causato quel doloroso salto indietro nel tempo, accennato anche dal gesto avventato che Malice aveva fatto quando, sul reto del Perception, quando aveva afferrato la pistola di Wade. La differenza tra i due avvenimenti era però il fatto che il primo era stato deciso da lei, un gesto infantile ma volontario; il secondo, invece, le era stato catapultato addosso senza che Malice se lo aspettasse, come quando si apre l'anta dell' armadio e una grande quantità di vestiti ti cade sopra la testa.
    E allora si era voltata e gli aveva parlato, sputandogli parole incattivite addosso come se lo incolpasse di qualcosa, come se quelle fossero state le stesse armi che le avevano portato via James e Miranda. Gli occhi minacciavano di riempirsi di lacrime, quei ricordi erano sempre difficili da rispolverare, ma Malice riuscì a mantenerli asciutti, acquitrinosi al massimo.
    Ehh.. Tecnicamente, io sono uno di quelli che uccidono i cattivi che nessun cattivo ha il fegato di uccidere. Quindi diciamo che io tolgo di mezzo le persone ipercattive, per delle persone mediamente cattive, che mi pagano per farlo- Però a volte uccido delle persone cattive perchè è la cosa giusta da fare...
    Aveva atteso una risposta sì, ma quella che le arrivò non fu quella che si aspettava. Gli aveva detto di non mentirle, perché Malice non era una ragazza da prendere in giro, pensava di essere pronta ad aspettarsi il peggio. In realtà forse tutto ciò che voleva sentirsi dire era una spiegazione, una qualunque che, per quanto improbabile, servisse ad appurare che si, Wade era la persona che credeva che fosse. Raramente la vita ci dona le risposte che ci aspettiamo.
    Hai ragione, Malice. Io non sono una brava persona, tantomeno un eroe. Secondo te perchè non mi chiamo Superman ma Deadpool? Sono uno che cerca di fare la sua parte con le sue risorse, in un mondo in cui a volte bisogna essere disposti a giocare sporco.
    Succede. Uno si fa dei sogni, roba sua, intima, e poi la vita non ci sta a giocarci insieme, e te li smonta, un attimo, una frase, e tutto si disfa. Alla vista delle armi e a quelle parole, l'idea di Wade che Malice aveva nella testa si era come incrinata, un'alterazione di forze che avevano generato delle crepe, delle incrinature simili a lesioni su una superficie cristallizzata. Al di sotto, l'oscurità sembrava strisciare, rendersi sottilissima nel riuscire a stringersi nelle fessure per poi espandersi come macchia di inchiostro una volta fuori, dall'altro l'altro, quello visibile alla ragazza. Il Wade che Malice aveva conosciuto non era quello che tutti vedevano, o forse era stata lei tanto ingenua da non accorgersi del buio che si portava dietro, gli spazi di tessuto nero nella tutina il cui rosso l'aveva accecata. Mentre lo sguardo azzurro scivolava su quell'eterogeneo arsenale traboccante di crimine, la prima cosa che Malice sentì fu di essere una stupida. A pensarci in quel momento, con le parole dell'uomo a fare da voce narrante, la venticinquenne non poteva credere di essere stata così cieca, incapace di vedere sotto allo strato di stramberie, sorrisi, battute e occhi dolci che Wade sfoggiava a profusione e da cui si era lasciata investire. Come al solito Malice era saltata a piè pari in quella situazione, colta dall'entusiasmo che la possibilità di aver trovato un'animo affine le donava, senza fermarsi a riflettere, ponderare, soppesare. Non pensava mai, quando qualcuno la inspirava non riusciva a vedere al si là del suo naso e, nonostante le piacesse definirsi capace di leggere le persone, in realtà Malice non ne era assolutamente capace. Fin tanto che si trattava degli altri, delle loro relazioni e amicizie, Malice era un vero asso, aveva capito subito, per esempio, quanto l'ex di Sam fosse solamente un gradasso senza cervello. Le cose prendevano una piega preoccupante qualora si trattasse delle persone che lei avvicinava, attratta com'era dal proibito, dal pericolo, ed era tutto rosa e fiori fin tanto che non vi si avvicinasse troppo, fintanto che si mantenesse a distanza. Girare intorno alla violenza la faceva sentire costantemente sul filo del rasoio, ma tenere sempre una certa lontananza tra lei ed essa la metteva al sicuro. Non era quindi il primo "bad boy" che frequentava, quella vista non avrebbe dovuto sconvolgerla così tanto. La situazione in cui si era cacciata era diversa però. Si trovava a casa di quello che, di fatto, era uno sconosciuto e così vicino al pericolo che da quel ripostiglio si riversava necessariamente nella persona di Wade, un uomo che credeva di aver incasellato ma di cui le sembrava di non aver capito nulla. Era quello forse, più delle armi, dei soldi e della droga, a spaventarla, l'immagine dell'uomo nella sua testa che sembrava disfacessi ora di fronte a lei, malleabile, una statuetta di pongo che veniva distorta per crearne un'altra. Fu una spiegazione vaga, confusa, in attesa che Malice trovasse una forma logica da darle, come all'uomo che sostava di fronte a lei. Eppure sentiva che c'era dell'altro, qualcosa che trapelava come un secondo strato dalle parole di Wade ma che non riusciva di nuovo ad afferrare, come tutti quei dettagli che aveva deciso di ignorare e che, se solo fosse stata meno ingenua, avrebbe colto prima senza ritrovarsi a contemplarlo scioccata. Era colpa di quegli occhi gentili con i quali sembrava sempre accarezzarle il corpo e spingersi più in là, come se volesse guardarla da dentro. Erano bastati loro a farle chiudere i propri, ignorando dettagli che l'avrebbero forse spinta ad allontanarsi. Lo sapeva, Malice, già dal solo fatto che se ne andasse in giro con una pistola e una maschera, che non doveva essere del tutto apposto, ma da qui a pensare che fosse un...
    «Mi stai dicendo che sei una specie di sicario? Un mercenario che viene pagato per uccidere? Per questo ci sono tutti quei soldi?» Chiese a bassa voce, le sembrava di aver perso una grande quantità di fiato irrecuperabile. Voleva avere delle risposte e al contempo non averle. Queste cose esistono nei film, non nella vita reale. Ma la sincerità è sintetica, a volte telegrafica, e perciò spietata. Riassume anni in poche battute di dialogo, azzera le complicazioni, viene al punto. Aveva visto degli accenni di violenza che avrebbero forse dovuto allarmarla, ma era quasi impossibile per Malice immaginare un Wade freddo, spietato, assassino. Quello stesso Wade che voleva imparare a ballare sul cubo, l'ape Wady impollinatrice, lo stesso uomo che l'aveva stretta tra le braccia non più di una mezz'ora prima.
    Valutò le varie possibilità. Me ne vado, pensò, torno a casa, mi strucco, do da mangiare a Plutop, vado a letto. Gli occhi non si staccavano da lui, come se avesse paura che, una volta puntati altrove, Wade potesse approfittarne per colmare la distanza fra loro e ferirla.
    Oppure mi rinchiudo nel bagno e chiamo la polizia. Stava ponderando quale scelta da fare quando Wade si mosse, il primo movimento che faceva da un po' e che causò, inevitabilmente, un doloroso guizzo dei muscoli di Malice che si tendevano ancora di più, in allerta. E' solo il telefono. Vedi? Immagino che tu voglia tornare a casa adesso, sweetcheeks. Ti chiamo un taxi o, un uber o qualcosa del genere- Avrebbe voluto ridere alla vista degli stickers di My little pony attaccati al telefono, avrebbe voluto dirgli che le Superchicche erano diecimila volte meglio di quei cavalli ingelatinati, ma non poteva, la situazione non lo richiedeva. Inoltre, lo stomaco che si era strizzato all'inverosimile alla vista del telefono che ora Wade portava all'orecchio, il cuore che accelerava forte come non aveva forse fatto alla vista delle armi e della droga. Era sempre paura ma più sottile, qualcosa di diverso, irrazionale e davvero inspiegabile che la spinse a fare dei passi avanti, quasi correndo, fino a ritrovarsi di fronte a lui. Gli sfilò il telefono dalla mano e lo poggiò al proprio orecchio, gli occhi azzurri puntati in quelli di Wade mentre parlava con l'operatore che, nel frattempo, aveva risposto. «Ho sbagliato numero, mi scusi. Buona notte. » proprio mentre l'operatore cominciava a inveire, Malice chiuse il telefono e, lo sguardo fermo nonostante il cuore che le schizzava via dal petto, disse rivolta a Wade. «Non ho bisogno della babysitter, grazie tante. E ho una macchina, me ne posso andare quando voglio. » Ci tenne a precisare, sentendosi più forte dopo, come se possedere una macchina le rendesse indietro il potere che sentiva di aver perduto. Se Wade avesse voluto farle del male, non c'era nessuna possibilità che Malice raggiungesse l'amata Margherita sulle sue gambe. Pur spaventata, pur non capendo, pur non essendo sicura di voler quella versione di Wade nella sua vita, Malice era certa di non essere pronta a lasciarlo andare, ad andarsene via da quella casa. Gli batté il telefonino sul petto, aspettando che lo prendesse per poi fare qualche passo indietro, tornando a trovarsi al centro della stanza. «Avevi ragione, non sei poi un super eroe. » aveva sibilato con disappunto, delusa.« Però devo ancora decidere se fai interamente parte dei cattivi o no. » si spiegò stringendosi di più nella giacchetta, ormai sentiva la stanchezza farsi pesante, come schiacciata dal peso di quelle nozioni inaspettate e tutte ancora da digerire. Tirò fuori il telefono e digitò qualche parola, premendo poi invio.
    «Quello che so è che sono stanca, molto stanca, vorrei dormire ma non con te.» specificò allungando una mano in avanti, il palmo aperto, come a voler sottolineare la distanza tra i loro corpi. «Ho mandato un messaggio alla mia migliore amica, sa dove mi trovo e sa che sono con un tipo mascherato che si fa chiamare Deadpool. Non dovrebbe essere difficile per la polizia individuarti qualora mi succedesse qualcosa di brutto. » Anche se in cuor suo sapeva che non le avrebbe mai fatto del male, la ragazza era ancora troppo scombussolata per non avere i suoi dubbi. Non si sentiva del tutto tranquilla, ma non sentiva neanche di essersi sbagliata proprio su tutto: gli occhi dolci e castani erano ancora lì e la guardavano, seguendola con preoccupazione. Si tenne alla larga dallo stanzino, dirigendosi verso il grande letto matrimoniale su cui inizialmente si sedette, quasi a testarne la sicurezza, per poi stendercisi sopra, rigida come una statuetta di metallo. Avrebbe voluto fare una battuta sulle lenzuola ma non ne aveva davvero la forza. Si tolse la giacchetta infilandosi immediatamente sotto le coperte e rannicchiandosi, il telefono stretto in mano come fosse un'arma. Nonostante non volesse, si lasciò avvolgere dall'odore che quel tessuto emanava. Era l'odore di Wade, lo stesso che aveva avvertito quando l'aveva abbracciata e, a dispetto di quanto fosse accaduto poco prima, Malice si sentì al sicuro. Riaprì di scatto gli occhi, cercando Wade per la stanza preoccupata di non trovarlo. Quando lo individuò Malice si rilassò di nuovo sul letto, un sospiro stanco che le usciva dai polmoni. «Credevo di conoscerti ma sono solo una stupida. Sei un estraneo, so pochissime cose di te e non sono sicura che mi piacciano tutte; tu sai pochissimo di me e probabilmente non ti piacerei se mi conoscessi davvero. So che potresti farmi fuori se davvero lo volessi - sappi che ti farò sudare forte, graffio e mordo come una gatta isterica - però avresti avuto così tante altre occasioni per farlo... le cose non quadrano. » colta dal torpore che l'aveva avvolta non appena poggiata la testa sul cuscino, sembravano più i discorsi che un'ubriacata di sonno faceva a sé stessa. «E' che non mi piacciono le armi... Mi attraggono ma ne ho paura, sono proprio matta.Comunque, che ci fai con tutta quella droga? Ce ne è da mandare in overdose un esercito di cavalli. Anzi no, shh, non lo voglio sapere, non ancora.» Sospirò abbracciando un cuscino con le braccia, una cosa che faceva sempre prima di addormentarsi, come per supplire alla mancanza di un corpo umano da stringere. « Però, chiunque tu sia e chiunque io sia, in qualche modo in questo poco tempo mi hai fatto sentire che era giusto essere me. Non sto dicendo che quello che fai è giusto, però penso che dovrei lasciarti il beneficio del dubbio, per il momento...e comunque i super eroi sono sopravvalutati e mi sono sempre stati sulle palle. » Sussurrò a bassa voce, non preoccupandosi se Wade avesse sentito o meno. In quel momento il calore del suo letto era un richiamo troppo dolce per resistergli ancora.


    I'm not looking for somebody
    With some superhuman gifts
    Some superhero
    Some fairytale bliss
    Just something I can turn to
    Somebody I can kiss



    Edited by mesmeric - 9/9/2018, 00:37
     
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    Il caldo era insopportabile, la sabbia bruciante sotto i piedi anche se schermati dalle spesse suole degli anfibi. Sarà una cazzata Wade, che ci vuole. Va tutto lo squadrone, finiamo presto e poi me ne vado in qualche bettola di questo posto del cazzo. Commentò Sykes, uno dei commilitoni di Wade nei Black Mercs. Gli diede una pacca sulla spalla, mentre stavano ricaricando le pistole che avrebbero usato in missione. Se non saltiamo in aria insieme al carico! Cinguettò il mercenario, sistemandosi le armi indosso prima di uscire assieme agli altri. Tutti vestiti di nero, tutti portatori di morte. Non c'erano regole, non c'era possibilità di disobbedire agli ordini: l'unico vincolo era eliminare il target per cui si veniva pagati. Molto spesso, ed era il motivo per il quale Wade non aveva ancora lasciato l'organizzazione, si trattava di lotte intestine tra criminali, terroristi e magnati delle armi, che se fossero venuti a mancare, probabilmente avrebbero costituito una liberazione per il mondo intero. Molto di rado, il mercenario otteneva incarichi in cui avrebbe dovuto uccidere dei civili, ed anche se ciò fosse successo, tendeva a passare il lavoro ad un collega. Nonostante questo atteggiamento quasi moralmente “corretto”, i Mercs non si azzardavano a liberarsi di lui: era fuori come un balcone, ma era fin troppo bravo.
    Le Jeep nere si muovevano veloci ed inarrestabili sulle dune del deserto, imponendosi sull'indomito paesaggio Afgano come cellule tumorali in un corpo sano, insinuando cattiveria in un paese che, purtroppo, stava lentamente diventando una terra di nessuno, strappata ai popoli autoctoni in favore delle superpotenze mondiali. Coprendosi i volti con dei passamontagna neri, ornati con inquietanti stampe bianche dalla forma di teschio, i mercenari assunsero del tutto l'aria ed il ruolo di emissari del cupo mietitore. Giù! Giù, tutti giù! Muovetevi! Gridò uno dei sicari, fermando il convoglio ed istruendo i colleghi in modo da perlustrare la zona prima di proseguire. In breve tempo, lo squadrone si ammassò in cerchio vicino alle Jeep ad armi spianate. Hei! Dovevamo fermarci tra duecento metri! Obbiettò Wade, guardandosi intorno, circospetto. Non era sicuramente un uomo fiscale, eppure sapeva che quando c'erano operazioni pericolose di mezzo, era bene non arrischiarsi mettendosi da soli in situazioni di pericolo. Sykes! Chiamandolo per ottenere spiegazioni Wade si voltò, cercando il suo collega con lo sguardo, intenzionato a chiedergli come mai avesse fermato le macchine così presto. Lo sentiva, qualcosa non quadrava, e generalmente, le sue percezioni erano accurate. Che vuoi Wilson? Era questo il luogo del rendez-vous. Aggrottando le sopracciglia, non visibili sotto il passamontagna, il mercenario rafforzò la presa sulle sue pistole scuotendo il capo. Noi non avevamo nessun incontro in programma. Che c'è in ballo? Domandò allora Wade, incuriosito. Probabilmente, non era stato aggiornato su tutto ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco. Tu. Rispose Sykes, iniziando a sparare in aria. Di punto in bianco, prima che qualcuno dei Mercs potesse reagire, vennero tutti colti da una cascata di proiettili, e Wade, guardandosi intorno velocemente, non poté che tentare di eliminare tutti gli aggressori che vedeva, senza però fermarne un numero considerevole, data la loro imbattibile superiorità numerica. Era chiaro, Sykes li aveva traditi, vendendosi al miglior offerente che in tal caso erano terroristi Afgani. Il fatto che i mercenari fossero infidi non sorprese per nulla l'ex militare. Le delusioni, nel suo campo, non erano permesse, poichè altrettanto nulle erano le aspettative nei confronti dei colleghi. Tutti avevano dei motivi per entrare nel gioco, tanti quanti per uscirne. Abbandono, distacco, disinganno, erano tutte sensazioni che Wade conosceva talmente bene da essersene assuefatto; non ne avvertiva più il taglio, non si lasciava più scalfire da esse, in un intorpidimento emotivo che lo spaventava. Tuttavia, essere lui l'obbiettivo della missione lo confondeva non poco. Cosa mai avrebbero potuto volere da un ex soldato Americano congedato per disonore? Sicuramente nulla di buono. Vieni qui figlio di pu- Pronto ad uccidere il traditore, Wade iniziò a scagliarsi contro di lui, fermato dal colpo netto del calcio di un fucile dietro la nuca. Buio totale.

    ♢♢♢

    «Uh, sicuro di farcela?» Malice non mancava mai un colpo; come fosse un cecchino armato di parole, andava sempre a segno, dritta nell'animo di Wade, dimostrando di comprenderlo e di comunicare allo stesso modo. Non era facile per lui trovare qualcuno che condividesse i suoi linguaggi, i suoi atteggiamenti, o che quantomeno li abbracciasse. Molto spesso, il mercenario chiacchierone si ritrovava a dover riconoscere che, con tutta probabilità, non avrebbe mai trovato persone con cui davvero rivelare se stesso - lui era troppo: troppo difficile, troppo pazzo, troppo romantico, troppo esplicito, troppo violento. Tuttavia, non smetteva mai di ricercare il contatto umano, studiando il prossimo a suo modo. Malice, sin dal primo sguardo, gli era sembrava sorprendente. Lei era diversa dalle persone che aveva incontrato fin ora, e di persone Wade ne aveva incrociate - riuscendo a percepire la gran parte del male che il mondo custodiva. In lei però albergava una decisione, una innocenza che lo affascinava come mai prima d'allora. Sembrava quasi ironico, che la stripper più desiderata del Perception fosse anche la persona più genuinamente pura sulla quale Wade avesse mai messo gli occhi. Lui non pensava che per preservare quella lucentezza interiore, Malice non conoscesse la sofferenza; tutt'altro. Avendo sulle spalle dei pesi invisibili e repressi ogni giorno con fatica, il mercenario sapeva più di tutti che non era l'assenza di dolore a rendere qualcuno innocente, bensì il rifiuto di cedere alla violenza (in ogni sua forma) per affrontarlo. La splendida donna mora non aveva mai commesso azioni, o proferito parole, per ferire Wade o chi le stava intorno - anche quando era stanca morta, anche quando aveva una giornata no, anche quando era scoraggiata. Questi apparenti dettagli non sfuggirono all'occhio attento di Deadpool, che in un modo o nell'altro, non potè che vedere in quella anima così diversa dalla sua anche una che gli somigliasse così tanto. Oh si, io andrei avanti anche per un anno intero, con la persona giusta. Facendo l'occhiolino all'amica, il mercenario si avvicinò un po' a lei senza però eccedere nel contatto fisico. Da quel che aveva capito, parte della purezza che Malice aveva conservato si nascondeva nel suo distacco effettivo col prossimo. Ciò non significava certamente che le effusioni corporee fossero qualcosa di "corrotto" o di sporco, ma che la donna conservasse per sè uno spazio personale, una bolla che generalmente Wade invadeva senza farsi problemi ma che nel suo caso imponeva di essere rispettata - e lui non avrebbe fatto nulla per mancarle di tale riguardo. «Però hai queste due lastre di amianto qui - fammi toccare!» Allungando quelle piccole mani affusolate, Malice le appoggiò brevemente sul petto di Wade, coperto dalla tutina rossa impercettibilmente imbottita. Ridacchiando, il giovane abbassò lo sguardo su sulle ditine della ragazza, occupata nel palpeggiarlo. Attenta potresti innescare le radiazioni dell'amianto, sono un uomo sensibile! Rispose lui, stando al gioco mentre divertito osservava la donna, marcando di proposito un tono di voce languido mentre lei, di rimando, fingeva un'espressione sconvolta prima di riservargli un sorriso. A Wade piacevano tanto i sorrisi di Malice. Era un po' come se regredisse allo stato del bambino che era stato, quello che in orfanotrofio non conosceva ancora i colpi dolorosi della vita, al sicuro da ogni turbamento; Quando giocava spesso con i suoi amichetti, riservava loro proprio la stessa espressione furbetta e pura, manifestando una forma di sè che il mercenario rivedeva solo negli occhi e nelle curve delle labbra di Malice.
    «Potrebbe essere anche questione di venire, dipende tutto da te, se sarai in grado di farmi esplodere .» Alzando ed abbassando le sopracciglia, Wade non potè fare a meno di annuire con entusiasmo, mentre la conversazione acquistava un tono un po' più ambiguo - cosa che spesso accadeva mentre i due parlavano. Per essere in contatto solo da un mese, avevano sviluppato un rapporto particolare, in cui ogni conversazione era sporcata da qualche piccolo riferimento impudente o qualche battutina che non faceva che dimostrare una latente chimica tra loro, non ancora identificata o elaborata, ma istintiva e presente. Eppure, proprio per via del riguardo che riservava nei confronti di Malice ed i suoi spazi, Wade non avrebbe mai fatto un passo per rendere più concreta quell'elettricità che li legava, e non perchè non volesse, ma perchè avrebbe atteso lo sviluppo degli eventi, sempre nel caso in cui sarebbe avvenuto. «Di nuovo, modesto! Ricevete un corso speciale "non sono un eroe, non sono un figo patentato etc" mentre imparate a far fuori i nemici?» Appuntando mentalmente tutti gli aggettivi positivi che Malice gli aveva riservato, Wade inclinò il capo verso di lei, per poi sbuffare una risata, stretto tra le piccole pareti della 500 della ragazza. No, tu hai diritto ad un corso privato baby! Commentò allora il giovane, agganciandosi di più alla seconda frase dell'amica, piuttosto che risponderle direttamente sul tema "eroi". Tutto lui poteva definirsi, tranne quella parola. Il tragitto in macchina fu spensierato e felice, uno dei momenti più belli tra Wade e Mal, e sicuramente uno che avrebbero ricordato ancora per molto tempo. «Vai in giro mascherato, sei misterioso, dai la caccia ai cattivi, sai fare quella cosa, lo sguardo diverso a seconda della persona con cui parli. C'è quello da "non ti conviene tirare troppo la corda", quello "i'm sexy and i know it"e anche quello dolce di quando Spiderman salva Mary Jane e la tiene fra le braccia mentre volano fra i grattacieli di New York. Se non sei un eroe, cos'altro saresti?» Quelle parole, per qualche istante, compirono il miracolo: Wade era senza parole. Tutto, di quelle frasi, l'aveva conquistato: era vero, lui andava in giro mascherato - anche in situazioni inopportune -, dava la caccia ai cattivi - sotto compenso di persone ugualmente o meno cattive - ed era misterioso, più per via di traumi passati che lo rendevano sfuggente, piuttosto che per scelta. Già in quelle prime parole, il mercenario capì che Malice aveva in sè un'idea molto precisa di lui, e proprio per il poco tempo trascorso insieme, anche incompleta. Lei avrebbe pensato le stesse cose se avesse saputo ogni cosa, ogni dettaglio, ogni sbaglio ed ogni ferita? E poi, gli aveva parlato del suo sguardo, ed era andata oltre. Oltre le apparenze, oltre la superficie, ticchettando ciò che era custodito sotto di essa; allora, la domanda sorse spontanea nella testa di Wade: che Malice si stesse facendo un'idea troppo positiva di lui? Un respiro sollevò il petto del mercenario, che cercò il più possibile di arginare l'emozione che quelle parole gli avevano risvegliato nell’animo, per poi guardare fuori dal finestrino, per qualche breve attimo. Molti mi scambiano per Spiderman, sai Mal? Ahh Peter Parker! Però la mia tutina è quella di Deadpool! Commentò infine lui, con il solito tono scanzonato e scherzoso, mentre però le sopracciglia gli si aggrottarono lievemente, e lo sguardo castano si rivolgeva verso la strada, sfuggendo alla percezione sottile della donna. Man mano che i minuti passavano, il pensiero di essere diverso dall'idea che Malice si era fatto di lui si insinuò nella mente di Wade, che si ritrovò ad accettare in cuor proprio - forse, proprio per via della sua apparente insensibilità, un distacco quasi inevitabile. Eppure, perchè fasciarsi la testa prima di rompersela? Perchè impedire alla felicità di farsi largo? Fu allora, che il mercenario spinse ogni esitazione in un angolo remoto di sè, per fare in modo che la spontaneità e la spensieratezza si riappropriassero di lui, mentre accompagnava la ragazza verso casa propria.
    «Non ho detto niente.» Il tono di voce di Malice era curioso; aveva iniziato a partecipare ad una conversazione in cui, stranamente, non era stata prevista. Wade sollevò entrambe le sopracciglia, colto in flagrante nel rispondere a Yellow e White Box, per poi ricambiare lo sguardo della donna, posato sul suo viso con fare interessato. «Era da un po' che volevo chiedertelo: hai per caso l'abilità di vedere fantasmi o parlare con la gente morta? Puoi non rispondermi, se non ti va, però sappi che ci rimarrei malissimo. » A quelle parole, il mercenario si soffermò ad osservare l'amica per qualche interminabile secondo, per poi trattenere malamente una risata. No! Magari, sarebbe figo, anche se non farei altro che urlare tutto il tempo! Non vedo Casper, ma sento le voci - sono White e Yellow Box, quei due motherfuckers. Rispose con sincerità lui, sollevando un indice, per poi portarselo alla tempia e picchiettare un paio di volte sulla pelle, lasciando intendere chiaramente che si trattassero di voci mentali. Wade non aveva mai tenuto nascosto a nessuno, tantomeno a se stesso i suoi disturbi, già dal primo momento in cui si erano manifestati; non aveva cercato di tenere a bada le psicosi, non aveva mai preso seriamente l'eventualità di rivolgersi ad uno psichiatra (cosa che aveva fatto solo una volta e che l'aveva convinto a desistere), e non aveva mai represso con paura gli scherzi della sua mente. Se il povero Philip, una volta tornato dall'Afghanistan, veniva aggredito dalla ferocia del sonno, Wade invece aveva solo avuto un upgrade delle sue già instabili funzioni psichiche. Entrambi i soldati, dopo il sequestro, erano tornati vivi, ma rotti. Mancava loro qualcosa, ma proprio per questo motivo, possedevano prospettive sul mondo che molti ignoravano, avendo visto e percepito sulla pelle un male così grande. Poteva sembrare un ossimoro, ma dove loro avevano perso serenità e sanità mentale, avevano anche guadagnato per via delle perverse dinamiche della vita anche una lente sul mondo che nessuno avrebbe mai voluto o potuto avere, un po' come se fossero stati maledetti.
    Una volta in casa, Wade non si preoccupò particolarmente di cosa e dove Malice toccasse o posasse gli occhi. Così come nel resto dei suoi atteggiamenti, il giovane non sembrava particolarmente attaccato a filtri e formalismi, e aveva forse dato per scontato che tutto ciò che lo riguardasse fosse chiaro agli occhi della ragazza - anche il suo mestiere. Del resto, marciava per il Perception armato fino ai denti con una tutina rossa ed una maschera indosso. Forse avrebbe potuto essere scambiato per un vigilante, ma quale supereroe va in giro con strumenti fatti per uccidere? Rilassandosi dalla lunga giornata, il mercenario rassettò qualche avanzo di cibo rimasto troppo a lungo a pascere in soggiorno, portandosi il chimichanga al naso sollevando il piatto e poi allontanandolo immediatamente con un'espressione disgustata. « E' da li che vieni? Dall'America? E che diavolo è un chimichanga?» Annuendo appena, Wade si sfilò i guanti e li gettò al vento, per poi rivolgere gli occhi castani verso Malice. Si, sono di New York. E... Interrompendosi alla terza domanda della donna, si portò le mani alle guance, in un'espressione del tutto sorpresa. NON SAI COSA SONO I CHIMICHANGA?! Domani ti porto a mangiarli, anche se questi fanno schifo. Comunque quelli veri sono una delle cose più mmm e piacevoli dell'universo, anche più del sesso! No... vabbè, non credo. Cancella quello che ho appena detto. Però per farti capire, è un piatto texmex, un enorme burrito fritto con dentro tutto ciò che puoi immaginare, intinto nel formaggio e servito con il riso. Mentre Wade spiegava molto eloquentemente da cosa fosse composto il suo piatto preferito, Malice continuava ad esplorare la casa. «Mia madre era americana, Ohio credo. Era ossessionata da Los Angeles però, ci sei mai stato?» A giudicare dal leggero tremore della voce della ragazza, era chiaro che l'argomento "madri" non fosse uno dei suoi argomenti di conversazione più graditi. Per questo, Wade cercò di non calcare la mano; anche il fatto che lei avesse detto "credo" testimoniava che, come minimo, non conoscesse molto del passato dei suoi genitori. Allora, il giovane abbassò lo sguardo qualche attimo, per poi riportarlo in quello dell'amica. C'era un vuoto, in entrambi, che era irrimediabilmente simile, e che era riconoscibile per ambedue nel giro di un battito di ciglia. Mmh! Si, un paio di volte. E' figa L.A., ma pfff, va bene per una vacanza, sono tutti fatti di erba lì - l'azione vera c'è nella East Coast, babe! Commentò allora lui, cercando comunque di mantenere la leggerezza che le loro interazioni avevano sempre, fornendo comunque a Malice l'opportunità di approfondire nei riguardi dei suoi genitori, se avesse voluto. Proprio mentre il mercenario rispondeva, la donna si avvicinò alla radio portatile che lui aveva conservato, testardamente restio alle nuove tecnologie, ma saldamente ancorato a quelle del passato recente. «Adoro le radio portatili, ormai non se ne vedono più di così in giro. Funziona ancora? Raccontami la sua storia, ti va?» Mentre Wade si lasciò cadere sul divano per riposarsi alzò leggermente lo sguardo, per seguire i movimenti dell'amica, portandosi le mani sulla pancia. Per qualche attimo, le iridi castane di lui si tinsero del velo sottile dei ricordi. Si, funziona ancora e funzionerà sempre… penso che quando smetterà di suonare piangerò tantissimo e la seppellirò, la mia fedele amica! L'ho rub... l'ho presa per me quando ero piccolo, un ragazzino. La storia non è un granchè, quella radio è sempre rimasta con me, dovunque andassi. Sai, le solite stronzate, alzo il volume della musica per dimenticare il mondo, roba così. Gesticolando appena, il mercenario raccontò la storia della radiolina che era riuscito a sgraffignare parecchi anni prima, una sua fedele compagna che di casa in casa gli era stata più fedele della famiglia che del resto lui non aveva mai avuto. Da quel momento, Wade aveva sempre conservato la passione per la musica, testimoniata dalla sua collezione di vinili vintage, e per i pastelli a cera, con i quali stranamente elaborava la maggior parte dei suoi piani "professionali". A dirla tutta, Wade non era altro che un bambino sperduto, un po' come quelli nella favola di Peter Pan - una persona che per quanto terribilmente fosse stata strappata dalla purezza e dall'innocenza, rimaneva sempre un eterno bambino, segregato su un'isola introvabile da tutti, tranne che da coloro che erano proprio come lui. Malice, per il modo in cui si approcciava a lui ed alla vita in generale, sembrava aver messo anche lei piede sull'Isola che non c'è.
    «Direi più, B-aet-tola» Un occhiolino, e la ragazza sembrava aver spazzato via ogni inquietudine, per tornare a stare al gioco con Wade. «E poi credevo che tu non fossi un super eroe.» Sollevando l'indice, per poi muoverlo lateralmente come a dire "no", il mercenario scosse leggermente il capo. Batman non è un super eroe. Lui è ciò di cui Gotham ha bisogno. Obbiettò, sfoderando le sue abilità da nerd nel citare il film "Il cavaliere oscuro" di Nolan, per portare all'amica il suo messaggio. Forse, delle volte per uccidere il cancro del mondo va impiegato un virus più potente - forse, per eliminare i veri cattivi non serve un eroe ma qualcuno che non lo sia. «Il possesso della conoscenza uccide il senso di meraviglia e mistero, il fascino dell’ignoto domina tutto. Credo che non indagherò oltre, per ora.» Nell’ascoltare le parole di Malice, Wade, che l’aveva definita una detective, non si rese conto mentre lei parlava del suo sgomento, quando ebbe scoperto l'"ufficio" del suo amico. Come poteva sapere, Wade, dei traumi che avevano afflitto e che continuavano a grondare sangue, nelle pieghe nascoste dell'animo di Malice? Purtroppo, lui si era cullato nella vana illusione che lei avesse visto, dai pochi segnali ed indicatori che le aveva offerto, anche una parte di lui che gentile non era, ma che invece era dominata dal caos e dalla violenza. La consapevolezza di essere stato così ingenuamente rilassato lo colpì con la forza di una tonnellata di mattoni in piena faccia. Alzandosi e incombendo alle spalle della donna, Wade si fermò a qualche passo da lei, prendendo atto del cambio nell'energia tra loro. Se prima Malice si sentiva evidentemente al sicuro, spensierata e felice con lui, ora era tesa, sospettosa, spaventata. Lasciando andare un sospiro in risposta alle parole di quella che aveva subito classificato come un'amica, il mercenario capì che sicuramente lei non aveva messo in conto che la sua professione non fosse solo quella di intimidire i criminali del Perception. Nell'immergersi sott'acqua e dare un'occhiata al resto dell'iceberg ben più scuro e profondo sotto la superficie, Malice si sentì in apnea, come se stesse soffocando nel mare di proiettili e di sangue in cui Wade nuotava come fosse il suo habitat naturale. Ed eccola lì, la delusione sul suo volto ad abbassarle le spalle, la cocente consapevolezza che l'uomo che aveva visto e stretto fino a qualche minuto prima non era quel che lei immaginava. A maggior ragione, quando le domande lo investirono, Wade non si tirò indietro. Non voleva farle del male, ma l'unico modo per smettere di procurargliene era dire la verità, essere onesti; evidentemente, Malice l'aveva giudicato nel modo sbagliato, e l'unica via per liberarla a lungo termine dall'angoscia sarebbe stata distruggere a piè pari le convinzioni che si era fatta di lui. Anche se poteva sembrare controintuitivo, Wade glielo doveva, e lo doveva anche a se stesso. «Mi stai dicendo che sei una specie di sicario? Un mercenario che viene pagato per uccidere? Per questo ci sono tutti quei soldi?» Inclinando appena il capo e sollevando appena le sopracciglia, la risposta del giovane fu inequivocabile anche nel linguaggio non-verbale. Del resto, neanche lui conosceva Malice profondamente, ma forse proprio per via della corruzione del suo animo, riusciva a riconoscere anche gli eventuali spigoli, le brutture, e le irregolarità in quello di lei. Qualcosa, nel petto di Wade, gli fece capire che l'abbandono era imminente, e in lui sarebbe dovuta scattare la sua normale reazione: intorpidimento, apatia, al massimo irritazione - ma non credeva, dispiacere. Perchè sentì una leggera fitta stringergli il cuore quando Malice l'aveva guardato così intimorita? Perchè sentì la malinconia avvolgerlo inaspettatamente quando lei aveva minacciato di andarsene senza neanche doverlo comunicare a parole? Perchè, infine, contava così tanto il giudizio di una sconosciuta? Wade Wilson non si curava mai delle opinioni altrui, non si offendeva mai, non riusciva a badare alle regole e ai limiti anche in situazioni in cui avrebbe dovuto - eppure, l'aveva capito. Un mese era stato sufficiente. Malice era una delle pochissime persone con cui sentiva di poter essere se stesso, con cui non avrebbe avuto paura di sbagliare, perchè erano entrambi sbagliati allo stesso modo. Eppure, com'era legittimo che fosse, anche lei non riusciva ad accettare parti di Wade che facili e gradevoli non erano.
    Per questo, con gesti lenti e misurati, il giovane si curò di allontanare da sè la donna, anticipando le sue mosse e facendole capire che non avrebbe voluto farle del male - e che mai gliene avrebbe fatto di sua sponte. Uno, due squilli, ma nessuno accennava a rispondere. Del resto, erano quasi le quattro del mattino. Appoggiandosi al piano della cucina, Wade si morse appena l'interno della guancia, impaziente. «Possibile che questi qua ci facciano fare una figura pure peggiore? Già siamo degli assassini, ora il mondo ci vuole far sembrare pure dei rapitori? Cazzo!» Borbottò White Box, frustrato, mentre il mercenario non fece altro che ignorare il suono dei picchi di psicosi che gli gridavano in testa, offuscato dal rumore di quel dannato telefono. Gli occhi castani di Wade però si aprirono leggermente di più per la sorpresa, non appena nel giro di pochi secondi Malice gli fu davanti, come se gli fosse balzata incontro. Le piccole dita di lei gli sfiorarono il palmo, sfilandogli il telefono dalla mano. Aggrottando le sopracciglia e nella confusione più totale, le iridi brune del giovane vagavano sperdute sul volto della donna, in cerca di una spiegazione per quei gesti. Se fino a qualche secondo prima lei sarebbe scappata a gambe levate, perchè corrergli incontro adesso? «Ho sbagliato numero, mi scusi. Buona notte. » Finendo irrimediabilmente per incrociare lo sguardo di Malice, Wade ne sostenne il peso per tutto il tempo. «Non ho bisogno della babysitter, grazie tante. E ho una macchina, me ne posso andare quando voglio. » Arricciando le labbra nella consapevolezza di aver fatto una figuraccia perchè preso dalle emozioni, il mercenario sollevò l'indice. Giusto. Hai una macchina. Sono scemo. Sussurrò, ancora leggermente frastornato, senza accennare a muoversi. Si sentiva improvvisamente preda e predatore al tempo stesso: non si mosse di un millimetro nè per intimorire Malice, nè per farla ricredere sulla decisione appena presa. Solo quando il cellulare gli battè un paio di volte sul petto per mano della donna, lui distolse lo sguardo, abbassandolo e prendendo il piccolo dispositivo nel palmo della mano. «Avevi ragione, non sei poi un super eroe. » Wade non potè fare altro che sollevare le spalle, poco sorpreso del tono che la voce dolce di Malice aveva assunto. Io te l'avevo detto, toots. Mormorò in risposta lui, quasi intenerito dalla convinzione con cui l'amica stava pronunciando quelle parole; lui l'aveva avvertita sin dal primo momento. « Però devo ancora decidere se fai interamente parte dei cattivi o no. » Facendosi più piccola e fragile nello stringersi nella stoffa della giacca, la ragazza si allontanò leggermente, per poi digitare delle parole sullo schermo del suo telefono. Wade tenne le braccia lungo ai fianchi, mentre la osservava, incuriosito, e con uno sguardo inaspettatamente provato dalla situazione che si era verificata. Aspetterò il verdetto con ansia, Judge Judy. Bofonchiò allora lui, avvicinandosi leggermente di più con le labbra all'orecchio dell'amica, ricoperto da quei meravigliosi capelli mossi.
    «Quello che so è che sono stanca, molto stanca, vorrei dormire ma non con te.» Sollevando velocemente entrambe le mani e mostrandole chiaramente a Malice, Wade fece intendere di non avere intenzioni perverse o cattive, proprio mentre lei sottolineava con i gesti il distacco da lei desiderato. «Ho mandato un messaggio alla mia migliore amica, sa dove mi trovo e sa che sono con un tipo mascherato che si fa chiamare Deadpool. Non dovrebbe essere difficile per la polizia individuarti qualora mi succedesse qualcosa di brutto. » Mordendosi l'interno della guancia, Wade spostò lo sguardo di lato, verso la finestra. Non avrebbe voluto dire a Malice che casa sua era uno dei posti più introvabili di Besaid, e che proprio per evitare presenze indesiderate aveva piazzato varie trappole - e scagnozzi - a difesa dell'abitazione. Dunque, annuendo leggermente, e continuando a tenere le mani alzate, si limitò a sollevare i pollici in segno di "okay". Ricevuto! Rispose infine, anche se un leggerissimo incrinarsi della voce tradì l'intenzione di mantenere l'allegria nelle parole del mercenario, che continuava ad essere afflitto da una malinconia fastidiosa, nel sapere che una delle sue persone preferite ora aveva paura di lui. Mentre Malice si allontanava, Wade allungò quindi un braccio verso la porticina dello stanzino, per poi chiuderla e schermare la sua attrezzatura lavorativa dagli occhi della donna. Aggrottando nuovamente le sopracciglia, il giovane si chiese come mai la ragazza fosse rimasta: perchè rimanere a dormire in casa e nel letto di uno sconosciuto di cui si ha paura? Per quanto si stesse arrovellando, non capiva. Mi prendo il divano, i guess! Annunciò allora lui, come se la scelta non fosse stata ovvia, e mentre Malice si insinuava sotto le lenzuola, Wade sprofondò sui cuscini morbidi del sofà, portando le braccia dietro la testa, per poi accendere la TV e lasciarla a volume bassissimo mentre cercava di dormire - cosa che sapeva, sarebbe accaduta solo per sfinimento. «Credevo di conoscerti ma sono solo una stupida. Sei un estraneo, so pochissime cose di te e non sono sicura che mi piacciano tutte; tu sai pochissimo di me e probabilmente non ti piacerei se mi conoscessi davvero. So che potresti farmi fuori se davvero lo volessi - sappi che ti farò sudare forte, graffio e mordo come una gatta isterica - però avresti avuto così tante altre occasioni per farlo... le cose non quadrano. » Voltandosi nel sentire le parole di Malice, leggermente biascicate dal sonno, Wade sorrise appena, annuendo convinto. Beh, quello che ho visto fin ora mi piace. Poi se scopro che hai il superpotere di blastare musica dei Limp Bizkit, beh... si lì dovrei dirti addio, mi spiace! Affermò allora il mercenario, ridacchiando e grattandosi distrattamente la nuca. Oh ne sono sicuro, Xena. Aggiunse poco dopo, non con scherno ma con sincerità. Da quel che aveva visto, Malice sembrava davvero una donna combattiva, ed era un aspetto di lei che a Wade non era sfuggito e che aveva apprezzato non poco. «E' che non mi piacciono le armi... Mi attraggono ma ne ho paura, sono proprio matta. Comunque, che ci fai con tutta quella droga? Ce ne è da mandare in overdose un esercito di cavalli. Anzi no, shh, non lo voglio sapere, non ancora.» Nonostante Wade avesse aperto la bocca per rispondere nei riguardi delle sue notevoli quantità di cocaina nascosta malamente in casa, Malice lo fermò prima che potesse aggiungere carne al fuoco, zittendolo immediatamente. Osservando i movimenti dell'amica, il giovane si girò del tutto, appoggiando quindi il mento ad un braccio, che aveva posato sullo schienale del divano. « Però, chiunque tu sia e chiunque io sia, in qualche modo in questo poco tempo mi hai fatto sentire che era giusto essere me. Non sto dicendo che quello che fai è giusto, però penso che dovrei lasciarti il beneficio del dubbio, per il momento...e comunque i super eroi sono sopravvalutati e mi sono sempre stati sulle palle. » Senza che aggiungesse nulla, Wade aveva capito che anche Malice stava dando voce a ciò che lui aveva percepito già dalla prima volta in cui aveva parlato con lei - e ricevuto il suo generoso calcio contro i gioielli di famiglia. Non esisteva l'essere giusti o sbagliati, l'essere rotti oppure ancora interi; quando erano insieme, erano liberi di essere se stessi. Guardandola addormentarsi e lasciando che il discorso finisse lì per quella serata, Wade sorrise, osservando qualche istante Malice dormire e la sua espressione distendersi. Probabilmente non si conoscevano, non possedevano abbastanza informazioni l'uno dell'altra, ma ciò che avevano nell'animo era simile, e ne era sicuro. Oramai anche per lui era arrivato il momento di dormire, e dopo che il sonno ebbe spezzato l'incantesimo della voce di Malice, Wade decise di darsi una ripulita e cambiarsi, confidando del fatto che la ragazza non potesse vederlo. Se lei non era stata pronta a vedere le sue armi, lui non era pronto a far vedere se stesso, ed i segni che il passato aveva inflitto su di lui. Cambiandosi in una comoda maglia e dei pantaloni di cotone dai colori chiari, il giovane si stiracchiò, esausto per la giornata appena trascorsa, ma aspettò almeno un altro paio d'ore prima di farsi avvolgere tra le braccia di Morfeo. Per via di eventi passati, il sonno non era più qualcosa di sereno e gradevole per Wade, che lo considerava piuttosto una debolezza disseminata di incubi che lo flagellavano nella notte. Dunque, solo quando le sue palpebre ebbero ceduto totalmente, si accasciò sdraiato sul divano, a pancia in giù.
    Il sole della mattinata inoltrata aveva iniziato ad infiltrarsi in casa, e al minimo segnale della luce ormai incombente, il mercenario aprì gli occhi, svegliandosi quasi di soprassalto. Aveva dormito anche troppo, nonostante tutto il corpo gli imponesse di riposarsi ancora. Per rendere onore alla parola data a Malice, ma soddisfando comunque il desiderio di starle vicino, Wade fece strisciare il divano sino al letto, attaccandolo così al materasso, stando attento a non fare troppo rumore. Mentre la ragazza dormiva, lui si sistemò nuovamente sui cuscini, e dato che lei si era assopita sul lato destro del letto, lui aveva posizionato il sofà a prolungare quel lato del materasso. Portandosi una mano alle labbra per soffocare uno sbadiglio, il mercenario si soffermò ad osservare la donna per qualche istante; Malice sembrava così quieta e serena. Fu un impulso, un'esternazione dell'affetto che provava, e nel giro di un paio di secondi, Wade portò un braccio attorno ai delicati fianchi di lei, tirandola cautamente verso di sè in un abbraccio, in modo che la sua schiena esile gli si appoggiasse al petto ampio. Nuovamente con le palpebre pesanti, il giovane sfiorò appena con il naso le ciocche scure dei lunghi capelli della ragazza, inspirandone l'odore e sorridendo appena; era buono, sapeva di lei, nient'altro poteva assomigliarle. Wade lo sapeva: non avrebbe dovuto cedere al bisogno di starle vicino, ci ricercare contatto nell’unica estranea che avrebbe potuto capirlo. Eppure, sapeva di non aver più niente da perdere. Probabilmente, al risveglio, Malice sarebbe scappata a gambe levate, e Wade ormai l'aveva messo in conto. Forse, standole vicino anche a costo di sacrificare un minimo la sua bolla personale, lei avrebbe capito che non avrebbe voluto e potuto farle del male, in nessun modo. Socchiudendo gli occhi ora sin troppo stanchi, il mercenario lasciò un bacio sulla testa della donna, per poi chiudere gli occhi e addormentarsi nuovamente. Qualche ora dopo, fu lui a svegliarsi per primo, e si accorse proprio in quei momenti che anche le palpebre di Malice stavano per aprirsi, concedendole un calmo risveglio. Quindi.. Pensi davvero che sia "un figo patentato", babe? Domandò allora lui a bassa voce, riprendendo le parole che proprio lei aveva pronunciato la notte prima, con un sorrisetto sulle labbra. E no, non stiamo dormendo insieme, tu sei sul letto e io sul divano. Chiarì Wade, non accennando ad interrompere il tenero abbraccio in cui aveva avvolto Malice. Probabilmente, l'avrebbe fatto lei tra pochi minuti.

    Edited by chimi-fucking-changas» - 20/10/2018, 16:04
     
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    «Piantala con questi mostri, Malice. I mostri non esistono. I fantasmi, i lupi mannari, le streghe sono fesserie inventate per mettere paura ai creduloni come te. Devi avere paura degli uomini, non dei mostri». Il momento si era sgretolato, ogni traccia di dolcezza spazzata via dai gesti secchi con cui Miranda le rimboccava ora le coperte, quasi con forza. Malice, undici anni da poco compiuti, si morse forte l'interno della guancia destra, la base seghettata dei molari a incidervi sanguinolente impronte digitali. Non era la prima volta che la donna sventolava apertamente alla figlia la sua ostilità contro gli uominii, facilmente intuibile anche senza l'ausilio delle parole. Il sesso maschile si divideva in poche e ben precise categorie per Miranda, e nessuna infondeva molta speranza in Malice. C'erano i violenti e gli inetti, o un mix di entrambe, e ognuno di loro le avrebbe immancabilmente rovinato la vita. Annuì, la bambina, guardando Miranda negli occhi nella speranza che la donna vi leggesse il bisogno che Malice aveva di piacerle. Le parlava di rado, Malice. Era bastata quella manciata di anni per farle capire che le parole che sceglieva non erano mai quelle giuste per Miranda, che quando parlava la preferiva muta e quando taceva si lamentava del contrario.
    «Perché non rispondi mai? Sembri muta. Non mi parli, poi vi domandate , tu e tuo padre, perché detesti questa famiglia. Mi tagliate fuori dal vostro duo indissolubile.». Volubile, gelosa, isterica, era difficile stare dietro a Miranda. Malice tacque, continuando a fissare la donna fino a quando i silenzi e quei grandi occhi azzurri non la stufarono. Allora si alzò, spegnendo la luce e chiudendo la porta. Malice non si mosse per paura di spezzarsi. Aveva la strana abitudine di non raccontare nulla. Aveva la tempesta dentro e nessuno lo notava.

    «Malice tu sei come le piante grasse, cresci senza disturbare, in silenzio, ti basta un goccio d'acqua e un po' di luce.». Quello era il primo di trentasette giorni durante i quali Malice non aveva visto il padre. Li aveva segnati sul calendario con una grande, rossa X, simbolo visivo dell'inferno che ognuna di esse era stata. Aveva pensato di rinfacciargli tutti quei minuti in cui l'aveva lasciata sola, senza una guida, alla mercé di Miranda. Da qualche tempo infatti, non era solo amore senza frontiere quello che provava nei confronti di James. Suo malgrado, la giovane ragazza si era ritrovata un sentimento in petto nuovo, sconosciuto e temibile, con il quale non sapeva cosa fare. Amare parole mai prima di allora pensate cominciarono a riempire le pagine dei suoi diari. Dapprima sporadiche, timide e trascurabili presenze nel mare della quotidianità, ben presto finirono per essere gli unici abitanti di quel suo rifugio per frasi mai dette, abbandonate.
    Aveva paura, Malice, di quelle parole. Era stata più volte sul punto di bruciare l'intero diario, nelle folle speranza che le fiamme potessero cancellarle anche dalla sua testa. Voleva essere purificata da quel risentimento. Se finiva per detestarlo, chi altro le sarebbe rimasto? Seduti sulle mattonelle del tetto, padre e figlia erano concentrati nella loro attività preferita. Guardavano il cielo, il mento rivolto verso la cupola nera che si diramava sopra le loro teste come un intricato diorama orientale. Voltò la testa di lato, le iridi chiare fiammeggiavano nell'oscurità della notte, un riparo sotto cui proteggersi. Fissando il profilo del papà, Malice si domandò se lo conoscesse davvero. Ne studiò il profilo, così famigliare con quel naso aguzzo e la barba sempre un po' trascurata. «Fa molto "scienziato pazzo"», era solita dirgli Malice, approvando con un sorriso la scelta o la pigrizia dell'uomo. Negli ultimi tempi, insieme al rancore era arrivata anche la certezza di non conoscere davvero i genitori e, nella speranza di trovare un dettaglio, un segno, una minuzia che contradicesse la conclusione che si era data, Malice continuava con insistenza a fissare James, le pupille che lo ispezionavano, impazzite. Condividevano un grande, enorme amore per l'universo, ma cos'altro sapevano l'uno dell'altro? La confessione di Miranda le frullava ancora in testa: come poteva quel profilo morbido, come avevano potuto quelle mani dolci picchiare la moglie e costringerla a tenerla?
    È una cosa strana, quando ti accade di vedere il posto - in questo caso, la persona- dove saresti salvo. Sei sempre lì che lo guardi da fuori. Non ci sei mai stato dentro. È il tuo posto, ma tu non ci sei mai. Una straziante tristezza si impadronì della diciottenne che spinse il corpo contro il fianco del padre, come se il corpo avesse saputo che quello sarebbe stato uno dei loro ultimi incontri. Inspirò forte il suo profumo, un connubio di menta, sandalo e qualcos'altro a cui era impossibile dare un nome, l'odore caratteristico della sua pelle. Sembrava evaporare da essa, mille, infinitesimali gocce di vapore che dalla pelle dell'uomo si posavano sui palmi aperti delle sue mani, sulle guance, sulla punta del naso, e l'avvolgevano per giorni, anche dopo che James era partito per la sua prossima avventura, il prossimo pianta da studiare.
    «Giuralo sulla mia testa».
    «Cosa?».
    «Tu giura e basta».
    «Te lo giuro».
    «Di', giuro sulla tua testa che non me ne vado più».
    Silenzio.
    «Giuro sulla tua testa che non me ne vado più».“

    ❃❃❃



    «No! Magari, sarebbe figo, anche se non farei altro che urlare tutto il tempo! Non vedo Casper, ma sento le voci - sono White e Yellow Box, quei due motherfuckers». Malice batté le palpebre un paio di volte, l'espressione confusa di chi è preso alla sprovvista da una rivelazione senza senso che, tuttavia, recepisce come potenzialmente interessante. Inutile negare che in quel momento, specialmente dopo tale confessione, l'idea di poter effettivamente essere in pericolo si era fatta più insistente. Tra il darsela a gambe levate e il saperne di più su quell'uomo che inspiegabilmente, nonostante la stranezza, la attraeva come una carica elettrica positiva, Malice decise di restare. La curiosità era troppa per voltargli le spalle proprio ora. « Ci sono sempre? E cosa ti dicono?Fanno commenti sulle mie tette?» chiese mentre un sorriso si dipingeva su quelle labbra velate dall'ombra di un rossetto rosso ormai consumato dalla serata. Mentre una persona sana sarebbe stata preoccupata dalla situazione, Malice poteva sembrare quasi gelosa di quella conversazione nella quale non era compresa. «Posso parlarci?» L'idea della complessità della mente di Wade la affascinava, spingendola a porre domande che forse sarebbero potute suonare inopportune, maleducate e persino folli. A volte c'era carenza di filtri per Malice. Certe regole, certi dogmi della società non avevano completamente attecchito sulla ragazza che si ritrovava spesso a dire o fare qualcosa per cui la maggior parte della gente si sarebbe offesa o avrebbe storto il naso. Non aveva idea di che genere di psicosi soffrisse l'uomo, se vi era nato o se fosse stata causata da un evento particolare che l'aveva segnato. Non aveva tutte le rotelle al posto giusto e non le importava anzi, tutto quello che voleva Malice era imparare a riconoscere gli ingranaggi di quel corpo umano difettoso, ferito, cicatrizzato. Non avrebbe saputo dire perché, ma era sempre stata attratta dall'anormalità. A volte si sentiva come fossero tutti prigionieri di un film. Sapevano le battute, sapevano dove mettersi, come recitare, mancava solo la macchina da presa. Però non potevano uscire dal film. Ed era quasi sempre brutto film. Ogni qualvolta si trovava nei paraggi di Wade però, Malice aveva la sensazione che le loro conversazioni sfuggissero al copione. Non suonavano veri, lo erano. Quel desiderio di realismo era talmente grande, irrefrenabile, da spingerla a compiere scelte sconsiderate come quella che poteva rivelarsi essere l'entrare in casa di Wade. In circostanze del genere, quando si sentiva connessa con qualcuno, Malice era presa da così tante cose, la luce nella sua testa sfolgorava così tanto da oscurare ogni altra cosa, il buonsenso in pole position.
    Quando, in casa, si mise a gironzolare, Malice era in cera di qualcosa, qualsiasi cosa, che le fornisse indicazioni sull'uomo che aveva di fronte. Curiosa com'era, la ragazza dimenticò ancora una volta le buone maniere, toccò oggetti, pose domande, ispezionò l'ispezionabile, e gli occhi le si illuminarono quando apprese che Wade era nato a New York. « Ecco spiegati gli Humpty Dumpty, i ain't, blow jobs e tutta la sfilza di sexy idiomi inglesi che spari ogni tre per due. » L'utilizzo delle parole inglesi, insieme al modo generale che aveva di esprimersi, la faceva ridere, le piaceva, ed era stata una delle prime cose che l'avevano colpita di di lui - insieme alla tutina rossa, decisamente difficile da non notare. »Ho sempre desiderato passeggiare per le vie della grande Mela. Un cliché femminile in piena regola, lo so.» Si mosse i capelli di lato, la infastidivano sempre quando era concentrata in qualcosa. «NON SAI COSA SONO I CHIMICHANGA?! Domani ti porto a mangiarli, anche se questi fanno schifo. Comunque quelli veri sono una delle cose più mmm e piacevoli dell'universo, anche più del sesso! No... vabbè, non credo. Cancella quello che ho appena detto. Però per farti capire, è un piatto texmex, un enorme burrito fritto con dentro tutto ciò che puoi immaginare, intinto nel formaggio e servito con il riso.» Ascoltò il susseguirsi di quelle parole, riuscendo a stento a reprimere una risata. Adorava il modo che aveva di dare fiato alle trombe, ripensarci, tornare indietro, mangiarsi le parole, cercare di correggersi, perfezionarsi e rendere le cose spesso sconclusionate di come fossero in partenza. Le ricordava proprio qualcuno. «Mi stai invitando per un "chimichange date", quindi? » Fra tutte le cose che aveva detto sui chimichanga - di cui, voglia perdonarla, non le importava molto - perfino la parentesi del sesso non era riuscita a tirarle fuori dalla testa la prima frase uscita dalle labbra di Wade. Le si erano conficcate nel cervello, quelle parole, come se il solo fatto di aver menzionato un pranzo insieme dovesse per forza renderlo un appuntamento. E' per metterlo alle strette, imbarazzarlo, si disse voltandosi di nuovo a curiosare fra le cose di Wade e scacciando quella sciocca parentesi dalla testa. Cercava in tutti i modi di ignorare il fatto che il cuore aveva aumentato il ritmo della sue pulsazioni.
    L'argomento "famiglia" non rientrava nella lista dei preferiti di Malice e la ragazza permise solamente qualche secondo alle parole di Wade di unirsi alle poche nozioni che aveva sul conto di Miranda. Non ce l'avrebbe vista, la donna, a farsi le canne, ma non si poteva mai dire. Del resto Malice aveva da tempo capito di sapere poco e niente su di lei. Malice ascoltò Wade, rigirandosi la radiolina fra le dita affusolate. « Stronzate da emo. Questa è la mia teoria: la accendi per sentire la voce sensuale della tipa che trasmette alle 7 di mattina sin da quando eri bambino e fai un salto indietro nel ricordi, a quando hai sperimentato i primi self hand job grazie a lei. » Non sapeva come se ne usciva con certe idee degne del peggiore dei camionisti, di certo l'influenza di Wade si faceva sentire. In qualche modo l'uomo, con le sue battute mai del tutto innocenti, le permetteva di tirare fuori il lato meno aggraziato di sé e quella era una delle cose per cui Malice lo avrebbe, in futuro, ringraziato. In realtà le piaceva la storia della musica, chi non si era sparato la canzone di turno per mettere a tacere l'insopportabile rumore che la vita produceva? Ognuno aveva i suoi modi, tecniche che appurava nel corso degli anni senza mai raggiungere la perfezione. Per Malice era il ballo, ma ancora più del ballo era il pianoforte. L'aveva iniziato quando era solo una bambina e abbandonato dopo l'incidente, per riprenderlo solo recentemente. Il riavvicinamento allo strumento che tanto amava aveva stranamente quasi combaciato con l'inizio del suo lavoro al Perception e l'incontro con Wade. Coincidenze, eppure Malice non aveva potuto non notarlo. Forse il nuovo lavoro e l'uomo, avvicinandola ad un mondo caotico, sfuggevole, pericoloso, avevano parallelamente risvegliato la parte irrazionale che c'era in lei e che era sempre venuta chiaramente fuori attraverso quegli ottantotto tasti bianchi e neri.

    La vita sbaglia spesso i momenti. Non poteva di certo sceglierne uno peggiore per la rivelazione che piombò su Malice come un uragano. In quel momento provò una sensazione di déjà vu, le sembrò di essere tornata indietro negli anni fino ad arrivare seduta sull'erba ad osservare un mistero ancora più grande del cielo sopra le loro teste e a domandarsi chi, in realtà, fosse suo padre. «Giusto. Hai una macchina. Sono scemo.» Le venne voglia di mordersi forte la lingua, spaventata ma colpevole di essere stata forse troppo dura, fin troppo cattiva. In fondo, chi era per derogarsi il diritto di fare quella scenata in casa sua? Aveva creduto fossero amici, ma in quel momento realizzava di non conoscerlo affatto; non era neanche un'amante, né di certo una fidanzata. Malice era nessuno per Wade. Avrebbe voluto poter dire che fosse solamente la paura a dettare le sue parole, inquietudine di sentirsi in pericolo a muovere il suo corpo. Tuttavia non sarebbe del tutto onesto. C'era qualcos'altro, oltre le pistole, la droga, oltre i soldi; c'era la delusione di essersi sbagliata. Respirava con il naso, velocemente per l'ansia, forse ancora in attesa di un grido da parte di Wade che le dicesse "Just kidding, I GOT YOU". Non arrivò mai, rimpiazzato nella realtà da un'espressione che mai aveva ancora visto sul viso dell'uomo. Sembrava confuso, frastornato, dispiaciuto, il modo accorto con cui chiuse il ripostiglio aveva un che di dolce, come se volesse davvero proteggerla da altro male che avrebbe potuto, non intenzionalmente, farle. Fu forse tutto quello a spingerla a restare, forse fu colpa del fatto che, nonostante la paura e il disappunto, il pericolo, l'anormalità per Malice era come un richiamo potente o ancora, forse furono quegli occhi castani a farle decidere di infilarsi sotto le coperte. Poiché la disperazione e l'autocommiserazione erano un eccesso che non gli apparteneva, come aveva fatto in passato Malice si chinò su quanto era rimasto, e riiniziò a prendersene cura, con l’incrollabile tenacia di un giardiniere al lavoro, il mattino dopo il temporale. Gli sussurrò quelle parole e la sua mente riuscì a registrare le battute finali di Wade «Beh, quello che ho visto fin ora mi piace. Poi se scopro che hai il superpotere di blastare musica dei Limp Bizkit, beh... si lì dovrei dirti addio, mi spiace! Oh ne sono sicuro, Xena.» L'accompagnò con gli occhi finché la sua possente figura non scomparve, tagliata fuori dalle palpebre di Malice che si abbandonavano al sonno. E allora sul suo volto rimase ferma l'ombra di un sorriso.

    C'erano notti in cui non dormiva e aspettava che la mattina arrivasse. Provava e riprovava a chiudere gli occhi, a spegnere i pensieri, ma poi si ritrovava quasi ad avere paura di lasciarsi andare, di addormentarsi, perché in quelle notti in cui pensava così tanto da farsi male faceva sempre incubi terribili. Quella notte però filò liscia per Malice, che ebbe un sonno profondo e senza sogni fino alla mattina successiva. Non le era mai piaciuto dormire, sin da piccola credeva fosse una perdita di tempo, era terrorizzata che qualcosa di brutto potesse accadere mentre lei non era cosciente. Anche quella volta si perse molte cose, come l'esporsi di Wade agli occhi di un appartamento vuoto se non fosse stato per la piccola figura addormentata e raggomitolata sul letto dell'uomo. Le avrebbe amate, quelle cicatrici, se solo ne avesse saputo l'esistenza. Conoscendola ne avrebbe indagato l'origine, finendo per risultare maleducata e impicciona. Ma Malice non vide i segni con cui la vita aveva straziato il corpo di Wade e non si accorse neanche dell'abbraccio nel quale l'aveva stretta poche ore prima che le sue palpebre chiuse iniziassero a fremere, il super io che lottava per mettere a tacere l'ego. Non sentì il buongiorno di Wade, o forse una parte del cervello lo registrò rifiutandosi però di accettarlo.
    In quella condizione di dormiveglia, non ancora emersa dalle placide acque del sonno, Malice lottava per non interrompere il sogno che stava vivendo nella sua testa. Era iniziato proprio in quel momento, quando l'inconscio stava per chiudere i battenti sulla realtà, e Malice non voleva lasciarlo andare. Era un bacio, quello che sognava di dare, un tocco di labbra appena accennato ma abbastanza intenso da causarle la pelle d'oca sulle braccia. Forse complice il corpo di Wade che nella vita reale le stava dando calore sulla schiena, Malice si sentiva bene, al sicuro. Era felice, completamente a suo agio. Non voleva riemergere a nessun costo.
    Nell'appartamento, sul letto, la Malice in carne e ossa si mosse. Distese i muscoli delle gambe, un sottile e indisposto lamento proruppe dalle sua labbra, indignate dal sole che riusciva ora a filtrarle attraverso le palpebre ancora chiuse. Si girò su sé stessa, i capelli castani ingarbugliati tutto intorno. Fronteggiava il viso di Wade, anche se non poteva ancora saperlo, le braccia dell'uomo che ancora l'avvolgevano in quella stretta morbida che, probabilmente, aveva causato quel sogno le cui immagini purtroppo stavano scomparendo. Mezza addormentata, resa "ubriaca" dalle dolci visioni e confusa dal sonno, Malice allungò una mano guantata poggiandone il palmo sulla guancia dell'uomo. Sorrise allora, una curva appena accennata ma abbastanza accentuata da essere visibile, felice che il suo corpo avesse trovato quello di Wade al suo fianco. Gli annusò il collo. Aveva un buon odore, con lui le pareva di stare a casa. Il sogno non è ancora finito, pensò felice di poter continuare ad essere quella persona rilassata e sicura alla presenza di un corpo maschile così vicino al suo. Si allungò verso Wade per continuare il bacio che per lei era ancora frutto della sua mente e che, invece, stava accadendo questa volta nella realtà. Le labbra cercarono quelle di Wade come se le conoscessero da sempre e le avessero baciate innumerevoli volte. La mano ancora sulla sua guancia, Malice schiuse le labbra, lasciando che la propria lingua incontrasse la sua mentre il corpo, come se si fosse sentito messo da parte, rispondeva avvicinandosi contro quello di Wade. Lo baciò come se dovessero diventare una cosa sola. Come le onde che sbattono contro gli scogli. La ragazza si sorprese dell'incredibile nitidezza di quelle sensazioni, l'incredibile quantità di particolari che quel sogno possedeva. Poteva sentire la barba leggermente ispida grattare contro il guanto che avvolgeva la mano ancora sulla guancia dell'uomo, la consistenza incredibilmente morbida delle labbra di Wade e il sapore di quei baci era molto vivido, quasi reale. Era così che se lo immaginava, pur ancora non essendo consapevole di fantasticare su di esso.
    Le palpebre venate di azzurro si schiusero leggermente, le iridi che di assestavano per mettere a fuoco il mondo circostante. Fu una questione di secondi, Malice saltò seduta sul letto, staccandosi da lui in men che non si dica e tirandosi stupidamente le lenzuola contro. «Oh mio dio, Wade!» esclamò così, random, più per prendere tempo che altro e come se fosse colpa dell'uomo. SI guardò intorno, cominciando a realizzare dove si trovasse. Faticava ancora a mettere in ordine i pezzi, immagini del sogno che si sovrapponevano a quella che - il viso le andò in fiamme non appena lo realizzò - doveva essere stata la realtà. «Stavo sognando! Cioè, non dirmi che ci siamo bac... Oddio dimmi che non ho... Anzi no shh! Che vergogna!» Si coprì il viso con le mani, sbirciando poi verso Wade tra l'indice e l'anulare. I capelli ribelli scompigliatissimi, la faccia sconvolta e paonazza, il trucco disfatto: Malice doveva fare proprio sbellicare. «Non guardarmi così, non dire niente! E...non ridere, Wade!» Prese il cuscino più vicino e lo calò con entrambe le mani sulla faccia dell'uomo. Doveva assolutamente focalizzare l'attenzione su qualcos'altro e una battaglia di cuscinate sembrava un buon diversivo.

    Edited by mesmeric - 3/10/2018, 01:46
     
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    AVVISO: LINGUAGGIO FORTE BABES


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    Piantala con questi cazzo di fumetti, Wade. I super-poteri, gli eroi, quelle gnocche su cui ti smanetti - non è vero niente, lo capisci questo? Piuttosto che leggere questa merda dovresti impegnarti a scuola, così almeno ti levi dalle palle e ti trovi un lavoro. Will Jones non voleva un figlio affidatario, tantomeno uno complicato come Wade. Dopo i McFarlane ed i Bateman, il ragazzino che era arrivato in casa loro sapeva cosa fare, ormai: scappare. Fisicamente sarebbe stato controproducente, quindi l'unica soluzione sarebbe stata evadere con la mente, dissociarsi. Quale modo migliore di farlo se non con la musica e con i fumetti? Purtroppo per Wade, anche l'unica cosa che lo rendeva felice sembrava non andar giù ai suoi genitori affidatari. Guardando Will in viso, il ragazzo sollevò le spalle; non avrebbe permesso che l'ennesimo adulto rompipalle gli impedisse di stare bene. Tanto mica smetto di leggerli, anche se dici che sono una merda. E poi, mi ci smanetto così bene! Rispose prontamente lui, ridacchiando e mimando le sue parole decisamente esplicite, mentre cercava di provocare a tutti i costi l'uomo che era in piedi sulla soglia di camera sua. Sei proprio un piccolo stronzo. Smetti di leggere questa roba, Wade, lo dico per il tuo bene. Il tono di Will si fece più scuro, minaccioso, ma il ragazzino non fece altro se non sollevarsi la felpa che indossava, rivelando un livido sul costato. Altrimenti mi picchi no? Poi ero io lo stronzo. Ogni parola, Wade la sputò dalle labbra come fosse veleno, e ricevette in tutta risposta un sonoro schiaffo. Parli troppo, Wade. Questo è il tuo cazzo di problema. Se chiudessi quel cesso che hai al posto della bocca una volta tanto, ti risparmieresti un sacco di guai. Te lo dico, figliolo, quella boccaccia sarà la tua rovina.

    ***

    Wade, tu sei proprio come le erbacce sai? Cresci dove non devi, e poi è impossibile toglierti davanti. Tessa Thompson, vestita con dei larghi vestiti anni '90, giocava con le sue treccine scure, mentre parlava con tono noncurante ed osservava Wade con in mano il suo walkman, mentre ricalcava il suo nome con dei colori a cera per non farlo sbiadire. Sorridendo alle parole della sua sorella adottiva, Wade scosse appena il capo. Hai ragione Tessa! Cresco sempre dove non devo! Esclamò lui, in uno squittio sin troppo sarcastico per appartenere ad un tredicenne nella media. Effettivamente, le parole della ragazza, per quanto indelicate, erano vere; Wade era cresciuto nel posto sbagliato. Nessuna delle famiglie in cui era stato l'aveva mai capito, e lui per contro ne era rimasto segnato. Tra poco te ne vai no? Domandò la ragazza, la cui pelle scura venne tinta dalla fioca luce dorata provenire dalla finestra. Wade annuì, rispondendo sinceramente alla domanda, e collegò le cuffiette al dispositivo, in quegli anni molto di moda. Aha, si non posso dire che mi dispiaccia però io penso che tu debba davvero imparare a vivere nel mon... Ad un certo punto, la voce della ragazza iniziò a sbiadire, scomparendo del tutto nel momento in cui Wade soffocò ogni singola parola sotto la musica; Tessa avrebbe potuto essere in quella stanza, così come altrove: a lui non importava, non più. Gli aspettava un'altra famiglia, ma lui sapeva già di non poterne più di quella vita. Togliersela non era un'opzione. Avrebbe dovuto lottare, ancora una volta. Dunque, sarebbe stato meglio rendere il tragitto verso l'ennesimo inferno più divertente con un po' di musica, no?

    ♢♢♢

    La pazzia. Per Wade era sempre stata un'idea relativa. Si avrebbe dovuto farsi visitare da un psichiatra che valutasse la sua situazione clinica? Eccome. Eppure, lui conosceva più o meno le risposte che gli avrebbero dato: individuo psicotico, con episodi di tipo schizofrenico dovuti ad una condizione post-traumatica da stress. Avrebbe forse dovuto farsi ricoverare e sottostare ad una terapia? Assolutamente si. Ma Wade, oltre ad avere una testa decisamente diversa dal normale, l'aveva anche molto, molto dura. Non avrebbe mai barattato la sua sanità mentale con la sua libertà. Anche questo ragionamento, di per sè, si rivelava poco "normale", eppure ne era convinto. Lo avrebbero rinchiuso in una stanza d'ospedale come se fosse stato in prigione; avrebbe dovuto subire un "trattamento sanitario obbligatorio". No grazie, aveva già vissuto la prigionia una volta, e non avrebbe mai fatto il bis. Delle volte, quando White e Yellow Box gridavano, sbraitavano e offuscavano con le loro voci i sensi di Wade, gli sembrava davvero di sentirsi la testa esplodere; così accadeva anche quando non dormiva per giorni, e non appena chiudeva gli occhi, i fantasmi del suo passato gli facevano visita. Tuttavia, non si sarebbe mai ridotto ad uno stato pressocchè vegetativo con gli psicofarmaci – stava iniziando anche ad essere a suo agio persino con le sue tendenze distruttive: che fossero rivolte verso se stesso o agli altri. L'espressione sul bel volto di Malice sembrava completamente sorpresa; Wade non si formalizzava su nulla, neanche quanto si trattava di parlare con tatto delle proprie malattie mentali. Era fondamentalmente "pazzo" eppure non aveva alcun problema a definirsi tale. Lo sapeva, di non ragionare come tutti gli altri. « Ci sono sempre? E cosa ti dicono? Fanno commenti sulle mie tette?» Schiudendo le labbra per qualche attimo, il mercenario cercò di capire cosa fosse meglio rispondere; aveva già detto esplicitamente di essere psicotico, avrebbe dovuto anche ammettere i suoi apprezzamenti nei riguardi di Malice? «Sempre. Sempre!» White Box iniziò a rispondere per poi venire interrotto da Yellow Box. «Eccome! Anche sulle gambe, il sed--» Si, sempre a rompere le palle. E-- hum. Mi dicono tante cose! Per la maggior parte del tempo cazzate, tipo sai... il grillo parlante di Pinocchio versione psichiatrica! E poi, siamo dei gentiluomini... ma si, ci piacciono le tue tette. Lanciando frecciatine ai "coinquilini" nella sua mente, Wade riceveva una pioggia di improperi, mentre rispondeva con franchezza alle domande di Malice, che sembrava davvero interessata a sapere come funzionasse il suo modo di parlare con le due voci. Nel profondo del cuore, il giovane lo sentiva, il vago timore di allontanare sempre più quella stupenda ragazza da sè per via di ciò che era. Lo sapeva, lui poteva essere una palla al piede, uccideva persone per vivere, era psicotico, e tutto questo era un bel pacchetto da digerire, per tutti quelli che gli stavano intorno. Eppure, se normalmente non gli importava nulla dell'opinione altrui, Wade riteneva importante stavolta non rovinare le impressioni di qualcuno che gli piaceva sinceramente, pur restando fedele a se stesso. «Posso parlarci?» Sorpreso dalla curiosità di Malice, il mercenario la osservò qualche attimo, puntando i suoi occhi castani su di lei per qualche attimo, prima di sollevare le spalle ed annuire con convinzione. Certo che si baby, anytime. Wade era talmente contento dell'atteggiamento così aperto della ragazza, da iniziare a flirtare senza ritegno in sua compagnia; era affascinato dal fatto che qualcuno piuttosto che allontanarsi fosse così spericolato o coraggioso da adottare un comportamento contrario alle aspettative ed avvicinarsi. Non era un atteggiamento comune, e Wade lo apprezzò non poco.
    Una volta che furono entrati in casa e Malice iniziò a curiosare, il mercenario sentì tutta la stanchezza della giornata colpirlo in un attimo, non appena ebbe varcato la soglia. Nonostante ora fosse più rilassato, lui continuò a seguire i movimenti della ragazza, che armeggiava con qualsiasi cosa ritenesse interessante all'interno dell'appartamento. « Ecco spiegati gli Humpty Dumpty, i ain't, blow jobs e tutta la sfilza di sexy idiomi inglesi che spari ogni tre per due. » Ridendo divertito, Wade annuì e sollevò entrambe le braccia, facendo segno di "ok" con il pollice in su con entrambe le mani. Yyyyup! Poi se pensi che siano sexy ti faccio anche i monologhi, in inglese! Commentò il giovane, non lasciandosi scappare un'occasione d'oro nel mostrare ancora una volta il proprio apprezzamento per Malice. «Ho sempre desiderato passeggiare per le vie della grande Mela. Un cliché femminile in piena regola, lo so.» Nell'ascoltare le parole della donna bruna, il mercenario si intenerì appena. Un giorno dovremo andarci sweetcheeks! Ti ci accompagno io, così ti mostro tutti i posti più fighi di New York. Da bravo sognatore qual era, Wade aveva già costruito un itinerario mentale dei posti in cui avrebbe voluto andare con Malice, che se non era mai stata nella grande mela avrebbe potuto visitare con i suoi occhi uno dei posti più belli ed interessanti del mondo. La conversazione, tuttavia, virò sui chimichangas, argomento sul quale Wade si infervorò subito, iniziando a riversare una cascata di parole sull'udito di Malice, che sembrò divertita dallo sproloquio del giovane. «Mi stai invitando per un "chimichanga date", quindi? » Restando fermo per qualche attimo, Wade venne preso in contropiede dalle parole della ragazza, che gli diede subito le spalle. Un sorriso spuntò quindi sulle labbra del mercenario, che aveva identificato la tattica dell'amica. Mm. Se fosse così ti dispiacerebbe, Mal? E' andata. "Chimichanga date". Settimana prossima, ti vengo a prendere io e andiamo ad ingrassare con cibo messicano ipercalorico. Dovremo poi bruciare in qualche modo... Con la sua solita mancanza di grazia, Wade colse la palla al balzo, invitando così Malice ad un chimichanga date. Gli piaceva l'idea; voleva conoscere meglio quella ragazza che si era dimostrata così inaspettatamente accogliente nei suoi confronti, e vedere che cosa la interessasse oltre ciò che lui sapeva già. Inoltre, la sua compagnia era una di quelle che preferiva di più da quando era a Besaid. Sarebbe stato bello passare un po' di tempo insieme, senza pensare troppo, godendosi il momento.
    Così come Malice non gradiva l'argomento "famiglia", anche Wade era molto attento ad evitarlo, nel momento in cui si presentava. Non gli piaceva nemmeno tanto come suonava la parola, che era quasi diventata un insulto per lui. Avrebbe tanto voluto avere una famiglia, però non gli era stato permesso, a suo tempo. La ragazza rigirava la radio tra le sue dita sottili, come se la stesse studiando a modo proprio. « Stronzate da emo. Questa è la mia teoria: la accendi per sentire la voce sensuale della tipa che trasmette alle 7 di mattina sin da quando eri bambino e fai un salto indietro nel ricordi, a quando hai sperimentato i primi self hand job grazie a lei. » Sorridendo per quell'interpretazione della storia da parte di Malice, Wade sollevò le spalle, stando al gioco e schiudendo le labbra per rispondere in tutta sincerità. Aha, si babe quella che era in onda la sera era veramente impressionante, avrebbe potuto far venire anche i sassi secondo me! Però i miei primi self hand jobs li ho sperimentati con Wolverine, quindi attenta a dove metti le mani tra i fumetti! Commentò lui, facendo l'occhiolino alla ragazza, e depositandosi sul divano, sprofondando così tra i cuscini morbidi che sembravano il paradiso in terra in quel preciso momento. Quella pace si spezzò, nel momento in cui Malice entrò nello sgabuzzino di casa di Wade, in cui erano custoditi tutti i suoi... attrezzi da lavoro. Wade sapeva essere brutale, psicopatico forse, temuto senz'altro, ma non voleva che questi aggettivi si affibbiassero a lui come cupi adesivi irremovibili proprio agli occhi della ragazza della quale tanto, inaspettatamente, lui desiderava l'approvazione. Vedere la sua delusione e la sua paura negli occhi lo destabilizzò; naturalmente non le avrebbe mai fatto alcun male, tuttavia nella vita le possibilità possono essere importanti tanto quanto la certezza. Wade era certo che non avrebbe mai ferito Malice, però sapeva altresì che lei lo temeva non per ciò che stava facendo in quel momento ma per ciò che avrebbe potuto potenzialmente fare. Quella consapevolezza colpì il mercenario come una cascata di mattoni in testa. Era facile rassicurare qualcuno sul presente, ma molto più complesso era farlo nei riguardi di ipotetici futuri. Per questa ragione, ciò che lui ritenne giusto fare fu dare a Malice una scelta: avrebbe potuto andarsene, così come restare. Un po' stordito da delle emozioni che non pensava potessero colpirlo così forte, il giovane si occupò di cercare un modo per offrire alla ragazza una "scappatoia" che lei avrebbe potuto imboccare se non si fosse sentita al sicuro. Era stato così dannatamente stupido, a non considerare che lei non avesse capito di cosa si occupasse in realtà per lavoro ed a non porre alcun limite all’apertura di Malice, che lui aveva probabilmente idealizzato. Wade aveva presto per scontato che, lavorando al Perception, Malice sapesse che tipo di persone vi operassero - lui compreso. Eppure, aveva capito solo in quel momento dell'entità dell'innocenza della bruna; lei era una donna che avrebbe potuto sedurlo con uno schiocco di dita, così come sopraffarlo con la sua purezza. Le due cose non si escludevano vicendevolmente, non in Malice. Così, come lei era sempre stata sincera con lui, Wade fece altrettanto: non si tirò indietro, nel parlarle del suo lavoro. Non si aspettava comprensione, approvazione, empatia. Lui non voleva essere assolto per dei peccati che aveva commesso consapevolmente. Eppure, in fondo al suo cuore, sapeva di aver deluso una delle pochissime persone per cui forse avrebbe voluto essere una persona migliore, pur sapendo probabilmente di non riuscirci. In quei momenti si chiese più volte perchè tenesse così tanto al parere di Malice, perchè dare così tanto peso a quello sguardo ferito, perchè sentirsi male nel vederla indietreggiare come un agnello in una gabbia di leoni? Eppure, era così che Wade si sentiva: era sinceramente dispiaciuto. Si aspettava di vedere Malice schizzare fuori dalla porta, eppure non lo fece. Lei lo sorprese, ancora una volta; e lui non capì. Onestamente, non aveva la minima idea per cui lei fosse rimasta, eppure non poteva che esserne sollevato.
    La notte, come tutte le notti di Wade, passò in bianco - o quasi. Lui provava in tutti i modi, a non cadere nella trappola del sonno che percepiva ancora come mortale; che fosse con la droga o semplicemente per l'ansia dei traumi passati, lui non chiudeva occhio se non per sfinimento. Quindi, sempre rispettando il riposo di Malice, il mercenario si sdraiò sul divano e lì rimase fino alla mattina dopo, quando spostò l'interò sofà accanto al letto, in modo da non rompere la parola data ed al tempo stesso stare più vicino alla ragazza. Per fortuna, Wade non si dimenticò di coprire le sue cicatrici, unico motivo di insicurezza fisica che lui portava sino ad ora; prima di tutto, pensava che quei segni fossero terribili da vedere, e secondo, non amava ricordare da dove essi provenissero. Adesso che guariva per via della sua particolarità, le cicatrici restavano, ma si accumulavano ad una tela già squarciata anni prima. Dunque, per evitare di pensarci, il giovane indossò vestiti comodi, ma che lo coprissero abbastanza da non destare troppa curiosità; del resto, Malice aveva visto già fin troppi lati negativi di lui. Una volta che l'appartamento del mercenario fu invaso dalla fioca luce del sole, lui si era finalmente addormentato, abbracciando la ragazza, per poi risvegliarsi prima di lei qualche ora dopo. Senza fissarla troppo, Wade portò lo sguardo su di lei, in modo da capire se stesse ancora riposando. Il suo corpo minuto e formoso era ancora fermo, eppure le palpebre erano leggermente tremanti, segno del fatto che probabilmente Malice stava sognando. Restando quieto al suo fianco, il giovane restò rilassato a godersi quell'abbraccio che era certo si sarebbe spezzato non appena la donna avrebbe ripreso lucidità. Il respiro di Malice era regolare, profondo, calmo. Per questo motivo, un leggero sorriso distese le labbra di Wade, che si sentì almeno un minimo sollevato nel sapere che lei non si stesse sentendo in angoscia ed intimorita anche mentre era incosciente.
    Ancora leggermente stordito dai residui del sonno, il mercenario allentò la presa sulla ragazza in modo da lasciare che si muovesse più comodamente, avvertendo le gambe di lei distendersi ed il suo corpo girarsi, segno che si stava preparando al risveglio. Facendosi impercettibilmente indietro, il giovane vide la donna avvicinarsi, smettendo di dargli le spalle e voltandosi così verso di lui, ed abbassando lo sguardo verso Malice, Wade si prese qualche momento breve per delineare con lo sguardo le curve del suo volto. Era in pace, bellissima. Posandole una mano su un fianco, lui restò in silenzio, per non disturbarla e lasciare che si svegliasse senza problemi. Bastò un secondo, e la stoffa liscia dei guanti di Malice si posò su una guancia di Wade, che lì per lì la osservò incuriosito. Non sembrava essersi svegliata, eppure i suoi movimenti sembravano più consapevoli che casuali. Gli occhi castani del giovane iniziarono a vagare sul volto della donna, mentre avvertiva il calore del suo palmo minuto sul volto, anche se la pelle di entrambi era separata dallo strato sottile di stoffa nera. Le labbra piene di Malice si incurvarono, ospitando su di esse il fantasma di un sorriso felice, che contagiò immediatamente quelle di Wade, che sorrise a sua volta, addolcito. Malice si mostrava sempre come molto intraprendente, energica e decisa, ed erano sicuramente tratti della sua personalità che le appartenevano appieno; eppure, era la prima volta in cui lui riusciva ad ammirarne la vulnerabilità, e non avrebbe mai fatto nulla per metterla a rischio. Avvicinandosi ancora, la ragazza sfiorò il collo del giovane con il naso, mentre i suoi lunghi capelli castani gli accarezzarono l'avambraccio che ora avvolgeva completamente i fianchi di lei data la vicinanza tra i due. Era fermo, quasi immobile, Wade. Non sapeva bene cosa fare, se non assecondare quei movimenti che Malice stava compiendo, uno dopo l'altro, costruendo un contatto a lui gradito. Lo sorprese, senza dubbio. Non si aspettava che lei si avvicinasse in questo modo, nè tanto meno che sognasse di farlo. Questi pensieri impedirono a Wade di agire prontamente, anzi, lo resero particolarmente indulgente con se stesso, mentre il volto della ragazza si avvicinava al proprio. Iniziò come un'impronta leggera, quel bacio; lasciò Wade completamente sorpreso, e nonostante il corpo rilassato e gli occhi socchiusi, sentì comunque dentro di sè un'onda di adrenalina percorrerlo e andare ad infrangersi direttamente contro il suo cuore. Per qualche momento, lui si chiese se fosse la cosa da fare, continuare ad assecondare il volere e l'istinto di Malice, oppure avrebbe dovuto, sempre per il suo bene, interrompere. Tuttavia, così come si erano formati, quei pensieri sparirono come solchi sulla sabbia una volta bagnata dal mare, quando la ragazza schiuse le labbra contro quelle di lui, che ricambiò quel bacio e la strinse a sè, anch'egli avvolto nelle sensazioni al tempo stesso ovattate e iper-reali come fosse in un sogno. La differenza era che Wade era sveglio, che lo voleva consapevolmente, quel bacio. Lasciando che il naso si scontrasse leggermente contro lo zigomo di Malice, si perse in quel contatto, nell'odore della sua pelle, in quelle labbra soffici ed il calore che portavano con sè; in quelle forme pressate contro il resto del corpo, ed inaspettatamente nel sentimento che ogni gesto trasmetteva, e gli piacque, tremendamente, sentire Malice così vicina. Di nuovo, bastò un secondo, e l'incantesimo si spezzò.
    Malice quasi saltò indietro, allontanandosi e mettendosi seduta sul materasso, in un tentativo non solo di sfuggire a quei gesti che fino a poco prima l'avevano dominata, ma anche dall'imbarazzo, coprendosi in un gesto istintivo. «Oh mio dio, Wade!» Con un sorrisetto leggermente inebetito, Wade alzò le mani, come a dire "non ho fatto niente!" dato il tono della ragazza, anche se era consapevole di aver partecipato in quel bacio tanto quanto lei. Non pensavo che la prima volta che avresti detto "Oh mio dio, Wade!" sarebbe stata con questo tono, ma hei, ci si accontenta! Rispose lui, gentilmente, anche se non aveva perso lo sprazzo di ironia che aveva tinto quelle parole fin troppo ambigue. Nel frattempo, Malice sembrava un cerbiatto smarrito, mentre con i suoi grandi occhi si orientava nell'ambiente circostante. In un attimo, il suo volto divenne rosso quanto la pelle di un pomodoro maturo, e Wade la osservò addolcito, senza però proferire alcun commento per non aggravare la situazione. «Stavo sognando! Cioè, non dirmi che ci siamo bac... Oddio dimmi che non ho... Anzi no shh! Che vergogna!» Wade schiuse le labbra per parlare, lambendosele prima velocemente con la lingua, ed indugiando un secondo in ciò che era rimasto di quel bacio. Veramente, si noi- Non appena iniziò, Malice si portò le mani al volto, lasciando la tipica fessura "da film dell'orrore" per un occhio in modo da vedere il suo interlocutore. «Non guardarmi così, non dire niente! E...non ridere, Wade!» Quel fiume di parole imbarazzate da parte della ragazza fece sbuffare una risata da Wade, che riuscì a soffocarla giusto in tempo, prima che gli uscisse dalle labbra. In tutta risposta, un cuscino finì direttamente in faccia al mercenario, che in quel momento non riuscì a fare altro se non liberare quella risata, portandosi un braccio sulla pancia e rannicchiandosi appena proprio per le risate. Frena! Frena Terminator, va tutto bene! Il soffocamento non è un modo super figo per morire, quindi non mi strozzare col cuscino! La rassicurò lui, togliendosi l'oggetto morbido dal volto. Appena si rivolse alla ragazza, la vide subito parlare al cellulare con qualcuno, muovendo i pollici molto più velocemente del normale, forse in preda al panico. Rotolando così sul materasso, il giovane si inginocchiò davanti alla ragazza, ancora seduta, e le avvolse i polsi con le mani. Ti verrà un infarto se continui così, e poi chi ti riprende, io non so fare il primo soccorso! Te lo dico subito, così non accavalliamo i momenti di stress: a quanto pare stavi sognando di baciare qualcuno, non so se fossi io sarebbe davvero figo, ma non ne ho la certezza. Fatto sta che è scappato il bacio-da-sonnambulo. E sai cosa si dice, no? Mai svegliare i sonnambuli! Facciamo una cosa, io vado a fare i pancakes, e tu.. beh.. tutto quello che vuoi, ma respira. Spiegò allora Wade, cercando di illuminare Malice anche sulla propria posizione a riguardo, sorridendole. Dopodichè, le stampò un bacio sulla testa e si alzò dal letto, dirigendosi in cucina. Se c'era una cosa che Wade era bravo a cucinare, erano i pancakes. Quindi, si mise subito all'opera. Di tanto in tanto, lanciava uno sguardo a Malice, ancora con la mente a qualche minuto prima, quando le sue labbra si erano scontrate con quelle di lei. Trasalendo leggermente, tra gli incoraggiamenti e i commenti di Yellow e White Box, Wade continuò a cucinare. Fece un passo, uno solo, indietro, ed inciampò nella maschera che aveva lasciato ancora per terra, dopo la serata precedente. Senza nulla a proteggere la testa del giovane nell'impatto, lui svenne sul colpo. Non era morto, ma sicuramente aveva subito qualche lesione abbastanza grave, che aveva emesso un sinistro rumore - simile a quello della rottura di un osso. Wade restò incosciente per qualcosa come cinque minuti, prima di riaprire di scatto gli occhi e prendere un grade respiro. Malice era lì, allarmata, che lo guardava. Cazzo! Che male! Si lamentò lui, portandosi subito una mano dietro la nuca, e constatando di essere guarito. In un leggero sospiro di sollievo, si voltò verso Malice, ignorando il forte dolore alla pancia che lo aveva pervaso "in cambio" della guarigione e guardandola dritta in volto con un'espressione appena sofferente: poco ma sicuro, adesso lei aveva un altro motivo per essere sconvolta.
     
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    Non le era faticoso affezionarsi, per Malice la parte difficile era l'evoluzione che ne derivava, sopratutto con i ragazzi. Come persona Mal sapeva essere molto socievole, quando era nel mood giusto le piaceva circondarsi la vita di persone, a patto che fossero interessanti. Dovevano tutte, ma proprio tutte, avere qualcosa di affascinante, una minuscola caratteristica in grado di farle desiderare di saperne di più. Da un hobby strampalato a una cadenza particolare della voce, Malice aveva sempre ricercato la differenza nelle persone con cui decideva di passare le sue giornate. La "normalità" per lei non era altro che un utopia, deprimente per di più, dalla quale cercava in tutti i modi di scostarsi. Forse proprio perché era la prima a sentirsi rotta, la moretta aveva sempre sofferto del fascino delle persone spezzate. C'era qualcosa nei loro sguardi, una crepa sottile che li divideva da tutto il resto e a cui, inevitabilmente, Malice finiva per interessarsi. E allora si avvicinava, la piccola Mal, a quei fuochi fatui che avevano un colore diverso da tutti gli altri, con l'intento di capirli e, nel farlo, a sua volta capirsi. Era semplice per lei instaurare il primo contatto, mostrava sempre una spavalderia che le apparteneva solamente a metà e che veniva meno nel momento in cui ne avrebbe avuto più bisogno.
    Il problema era prima fisico, poi mentale. Malice non poteva allungare le dita alla ricerca di una pelle soffice ad attenderla; non poteva gioire del calore corporeo, della potenza scaturita dal naturale intreccio di dita complici e famigliari; non poteva toccare una persona e sentirla davvero. Se l'avesse fatto, Malice avrebbe sofferto.
    Come poteva dunque da questa impossibilità fisica, nascere qualcosa di diverso dalla paura dell'altro? La giovane donna aveva finito per l'essere terrorizzata da chiunque provasse a portare la loro relazione su un piano non solo fisico, ma anche più profondo. Essere amichevoli ma non troppo, restare a distanza le permetteva di preservarsi e salvaguardare quella parte di sé che così tante volte era stata violata in passato. Aveva troncato ogni relazione quando la minaccia del passo in più tuonava all'orizzonte, quella linea invisibile e spaventosa visibile solamente agli occhi chiari di Malice. Alcune amicizie ne avevano risentito, ma con le ragazze le cose risultavano essere solitamente più semplici, o forse era stata solamente molto fortunata ad aver trovato della amiche così comprensive. Gli uomini tentavano sempre di avere quel qualcosa in più che, pur volendo, Malice non poteva proprio concedergli e tutti, a parte Adrian, si erano allontanati da lei.

    Wade le era subito saltato all'occhio, piccola fiammella blu in un mare monocromo, proprio per quella diversità che lo contraddistingueva da tutto il resto. Era come se le alte comparse, persino lo sfondo, tentassero di omologarlo a loro senza riuscirsi. Wade si stagliava contro il grigio sfocato di Besaid nella sua tutina rosso fuoco e sin da subito le era sembrato che la chiamasse verso di sé. Nonostante i tanti errori e le innumerevoli lezioni ricevute nel corso degli anni, Malice non era riuscita a resistere a quel richiamo anzi, l'aveva seguito fino al suo nucleo. La casa di Wade. Il grillo parlante cercava di togliere Pinocchio dai guai. Non mi sembri proprio il tipo che segue quel genere di consigli. Continuate a dargli pessime opinioni e a parlare delle mie tette, White e Yellow box! E' molto più interessante così. Aveva risposto Malice, l'ombra di un sorriso sornione a riempirle le labbra. Entrare in certe case è un po' come immergersi nell'essenza stessa dei loro proprietari.
    Casa di Wade era una mappa di quella sua complessa e intrigante personalità che Malice moriva dalla voglia di scoprire, studiandola come fosse un manuale delle assurdità. Più strana la riscopriva e più, in qualche inspiegabile e forse perverso modo, Malice imparava ad amarla. C'era così tanto da imparare su di lui, tantissime cose che Malice ancora non conosceva e che ancora non sospettava potessero non piacerle. Ad esempio, avrebbe voluto sapere tutto della sua vita in America, di New York e di cosa Wade avesse fatto nelle strade della città che non dorme mai e sarebbe voluta essere una piccola mosca appostata sulla finestra quando un Wade adolescente di masturbava ascoltando la voce di una donna invisibile alla radio. O sulle action figures di Wolverine. A quella scoperta tanto eccitante quanto lievemente macabra, Malice ritrasse la mano che era andata ad allungarsi proprio verso un pupazzetto del super eroe mentre sul viso le si dipingeva una smorfia da "bleah".
    Perché era questa forse la sua più grande debolezza, il costruire intorno alle persone che le piacevano aspettative che non pensava potessero mai rivelarsi erronee. Forse, più che aspettative, in gioco c'era il semplice e forsennato desiderio di una ragazzina di voler credere il meglio delle persone. Nonostante le venisse spesso facile dubitare di tutti e vedere il male ovunque, quando qualcuno riusciva a infilarsi sotto la sua pelle, Malice perdeva improvvisamente la vista e, con essa, ogni capacità di giudizio razionale. E il più grande problema era che certi individui sembravano riuscire nell'impresa di sgusciarle dentro molto più facilmente di altri. Mm. Se fosse così ti dispiacerebbe, Mal? E' andata. "Chimichanga date". Settimana prossima, ti vengo a prendere io e andiamo ad ingrassare con cibo messicano ipercalorico. Dovremo poi bruciare in qualche modo... Si era voltata a guardarlo, le iridi celesti sostenevano caparbiamente lo sguardo mandorla dell'uomo, come se volessero scorgervi la veridicità o meno di quell'invito. Aveva acconsentito perché lei lo aveva praticamente costretto con quell'idea, o gli andava davvero di portarla fuori per un... chimichanga date? E' o non è così? Me l'avresti chiesto se non avessi detto nulla? Sentiva l'impellente necessità di saperlo, come se non riuscisse ad accontentarsi del fatto che era stata invitata, al cavolo i condizionali. Si stava avventurando in un luogo in cui forse non si sarebbe trovata bene. Oh sì, io avrei qualcosa in mente. Senti qua: mi siedo sopra la sua schiena mentre fai trecento flessioni. Era quello a cui pensavi anche tu? Aveva trovato il modo giusto per riprendersi dall'attimo di smarrimento avuto pochi istanti prima.
    Quello che accadde dopo, le cose uscite da quel ripostiglio, segnarono decisamente una tappa importante nella storia delle loro... qualsiasi cosa fosse. Una tappa, non delle migliori, era stata raggiunta e ora stava solamente a Malice decidere cosa fare. La ragione le diceva di darsela a gambe levate, mentre il cuore, l'istinto, le dicevano di non voltare le spalle a quell'uomo.
    E così fece, addormentandosi nel letto di uno pseudo sconosciuto del quale aveva appena appreso segreti poco confortanti. Eppure c'era qualcosa in Wade che non riusciva a farle avere paura di lui, non davvero.

    Non avrebbe mai ammesso che quello che stava sognando era proprio l'uomo che era sdraiato di fianco a lei. Nonostante Malice cercava di imporsi qualche paletto - sopratutto alla luce delle recenti scoperte sul conto del mercenario - la mente della ragazza andava per la tangente, sfuggendo al suo controllo nel momento in cui le difese erano più basse. Il sonno. Seppure semi-cosciente, Malice aveva vissuto quel bacio con estrema chiarezza, perché a volte i sogni sembrano più vividi della realtà, o forse perché aveva davvero intrecciato le dita fra i capelli corti di Wade e l'aveva baciato. Una volta sveglia le risultava stranissimo accettare il fatto che tutte quelle intense sensazioni non erano state solamente frutto della sua immaginazione ma anzi, le aveva davvero provate sulla sua pelle. Come il calore del corpo di Wade contro il suo e il sapore dolce della sua bocca... Tutto ciò era esistito, era accaduto e Malice, nonostante ne fosse scioccata, non l'avrebbe mai dimenticato. Non pensavo che la prima volta che avresti detto "Oh mio dio, Wade!" sarebbe stata con questo tono, ma hei, ci si accontenta! Gli aveva lanciato un'occhiataccia, il viso paonazzo mentre tormentava con le dita il lenzuolo con cui tentava di coprirsi nonostante avesse comunque addosso il vestitino della sera prima. E' che tutto sembrava così intimo in quel momento, Malice si sentiva nuda sotto lo sguardo dolce di Wade. Ti verrà un infarto se continui così, e poi chi ti riprende, io non so fare il primo soccorso! Te lo dico subito, così non accavalliamo i momenti di stress: a quanto pare stavi sognando di baciare qualcuno, non so se fossi io sarebbe davvero figo, ma non ne ho la certezza. Fatto sta che è scappato il bacio-da-sonnambulo. E sai cosa si dice, no? Mai svegliare i sonnambuli! Facciamo una cosa, io vado a fare i pancakes, e tu.. beh.. tutto quello che vuoi, ma respira. Wade le aveva preso delicatamente i polsi e quel contatto, invece di mandarla ancor più nel panico, aveva avuto lo strano potere di calmare un po' Malice che ora fissava Wade negli occhi. Ok... Respiro... Aveva sussurrato riprendendo in effetti a respirare e, grazie all'ossigeno che scorreva meglio nel sangue, a riacquistare un colore quasi del tutto normale. Wade si era diretto verso la cucina e Malice, dopo un breve momento di sfasamento, aveva ripreso a digitare il messaggio per Sam che le suggeriva di nascondersi in bagno, se proprio era nel panico. Malice lanciò uno sguardo all'uomo che, di spalle, friggeva uova fischiettando una canzoncina allegra. Nel farlo si ritrovò a pensare che, per la seconda volta, non voleva andarsene. Con il cuore un po' più calmo aveva appena finito di inviare la risposta per l'amica quando un tonfo sordo la costrinse a sollevare di scatto la testa.
    Wade! squittì Malice buttando il telefono di lato sul letto mentre colmava velocemente la distanza che la sperava dal corpo immobile dell'uomo. Il cuore le batteva nel petto all'impazzata mentre si chinava con le ginocchia nude puntellate dolorosamente sul pavimento freddo, la mani che non sapevano cosa fare. Istintivamente Malice allungò una mano verso la sua guancia ancora calda, facendola scivolare delicatamente giù sul collo e poi leggermente dietro la testa. Quando la ritrasse, qualcosa di scuro e denso macchiava la stoffa nera del guanto che indossava. Se fosse stato bianco, Malice sarebbe stata ad osservare il rosso vivo del sangue di Wade. No, no, no... Sussurrò mentre gli occhi le bruciavano per via delle lacrime che spingevano per scivolarle giù dalle guance, finalmente libere. Sembrava terribilmente e irrimediabilmente morto. Prese un respiro profondo per cercare - con scarsi risultati - di far smettere il corpo di tremare. "Non muoverlo." pensò. D'altronde era la primissima regola che insegnavano in qualsiasi telefilm. Se c'era qualcosa di rotto o compromesso non bisogna peggiorare la situazione. Cosa fare, dunque? Sentiva i guanti pruderle sui polpastrelli. Avrebbe potuto sfiorarlo, giusto per percepire l'entità del dolore e da esso capire quanto fosse grave. "Sempre se non è morto." Il pensiero le faceva stringere lo stomaco. Si abbassò su di lui, l'orecchio appoggiato all'altezza del cuore e una mano che su poggiava sulle labbra schiuse di Wade. Per qualche secondo non sentì altro che il martellare infuriato del proprio cuore e dovette costringersi ad ignorarlo per riuscire a captare qualsiasi altra cosa. Era ancora accucciata su di lui quando Wade prese un grandissimo sospiro che la costrinse a ritirarsi, spaventosissima. Wade spalancò gli occhi che mai sarebbero stati più grandi delle iridi dilatate con cui Malice lo guardava sconvolta, la bocca semi aperta e le lacrime che ormai si erano liberate dalla mordace stretta dei suoi occhi e le scivolavano sulle guance. Oh mio Dio! Stai bene? Doveva aver trattenuto il fiato per quei lunghi cinque minuti, perché non appena parlò le sembrò si tornare solo allora a respirare. Si avvicinò di nuovo a lui, il viso vicinissimo al suo e le mani che lo stringevano come a volersi assicurare fosse tutto intero. Lo sentì lamentarsi mentre si tastava la nuca, ma neanche un filo di sangue gli macchiò la pelle. Non è possibile... Lo aiutò con delicatezza a tirarsi su seduto, per poi sporgersi su di lui per guardare il punto in cui prima c'era stata una profonda ferita dovuta alla caduta. Tastò con le dita piano ma con insistenza, una strana confusione le si insinuava dentro facendola stare male. Ma che... C'era una ferita, Wade. Sanguinavi! Guarda! Gli aveva sventolato davanti le dita, l'indice e il medio, dove sul tessuto c'era ancora il suo sangue. Qualcosa non quadrava e, nonostante fosse immensamente felice che stesse bene, voleva capire cosa diamine fosse successo. In quel momento un fugace pensiero le attraverso la mente come un fulmine a ciel sereno. E' questa la tua abilità? Rimargini ferite e rigeneri ossa spezzate che ai comuni esseri mortali costerebbero la vita?! Tremava ancora come una foglia, questa volta c'era anche il sentirsi un po' "stupida" ad aumentare il tremore. Si asciugò rabbiosamente le lacrime dalle guance, i polpastrelli che si sporcavano del resto del trucco nero che era rimasto dalla sera prima e che ora le colava anche un po' sulle guance. Quando pensavi di dirmelo, eh? Prima o dopo l'esserti rotto l'osso del collo, avermi spaventata a morte e avermi quasi causato un arresto cardiaco?! Ahh, ti ammazzo te lo giuro! Con uno sbuffo l'aveva spinto di nuovo giù mettendoci tutta la forza che riusciva a trovare, non le importava se fosse ancora un po' "acciaccato". Malice era così, se la prendeva con lui come se avesse razionalmente deciso di quasi morire. Si alzò e marciò verso il letto, l'andatura militare di una ragazza incavolata. Raccolse il telefono, la sua borsa, si infilò i tacchi vertiginosamente alti e si avvolse nella giacchetta giapponese. Non era proprio arrabbiata, in realtà era molto sollevata che stesse bene, ma pensava davvero che fosse morto! E invece poteva guarire o che ne sapeva lei! L'idea di poterlo perdere... E' tardissimo. Me ne vado. Aveva sentenziato come fosse una condanna mentre si avvicinava ad un tavolino e, afferrata carta e penna, scriveva qualcosa frettolosamente. Sulla via della porta Malice si accucciò di nuovo vicino a Wade che era ancora steso sul pavimento. Dovrai spiegarmi tutto di questa cosa, ma non ora. Ora sono arrabbiata con te. Questo è il mio numero. Gli aveva premuto il foglietto sul petto, la piccola mano che indugiava un secondo di troppo lì sopra. Chiamami per quel chimichanga date. Si era alzata e si diresse ancheggiando verso la porta. Un attimo prima di chiudersela alle spalle si voltò indietro per lanciargli un'ultima occhiata. Non farmi mai più una cosa del genere. E' la seconda volta che mi fai dire oh mio dio, sempre per le ragioni sbagliate. Forse la terza sarà per quelle giuste. Ancora un po' arrabbiata per lo spavento preso, non poté fare a meno di sorridergli un po' prima di chiudersi la porta alle spalle.
     
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