Locus Amoenus;

Zoe && Fauve;

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    Locus Amoenus; Ore O9:OO - 18 agosto - MORDERSØNN INSTITUTE

    Le iridi verde foglia si persero nell’osservare le /curve/ del cielo. Se le avessero chiesto di immaginare il cielo come una persona, Zoe avrebbe risposto che la immaginava come una bella donna dai lunghi capelli biondi: le nuvole erano le sue /curve/, l’azzurro il colore dei suoi occhi, l’assenza di luce nella notte doveva essere l’alone di mistero che la ricopriva. Oh, il pallore delle nuvole non era nient’altro che la bellezza della sua pelle nivea mentre il grigiore prima di una tempesta, il sentimento di rabbia per qualcosa. Sì, aveva un’immagine molto chiara della donna-cielo che le piaceva immaginare, riusciva a scorgerla in qualsiasi luogo si trovasse. Quand’era in liuteria, ad esempio, guardava sempre fuori dalla finestra; si vedeva un sacco di gente che passava e ripassava, per un lungo periodo Zoe provò anche a ricordare gli impegni delle persone che vedeva più spesso: “ore 19:30, la signora col cappotto rosso passerà di qui per raggiungere il bar di fronte” …e così via. Quando la freschezza dell’erba le accarezzava la pelle, al parco, si sentiva più tranquilla ed i pensieri sembravano scivolare sulla bella donna bionda. Ma in quel momento, alle nove in punto di un infausto lunedì mattina, Zoe non aveva proprio spazio per mettersi a fantasticare: il cielo lo stava guardando dall’aula dell’Università. Dannata fuori corso qual era, chiunque le avrebbe sconsigliato di farsi gli affaracci suoi mentre il professore spiegava eppure… non le importava. Quell’interessantissimo corso di Biologia era sceso in secondo piano ed erano altri i pensieri che le bucavano la mente: non aveva mai fatto la cosa giusta in vita sua. Zoe credeva fermamente che – per quanto tutti le dicessero il contrario e provassero a rassicurarla – l’unica scelta /più o meno/ corretta nella sua vita era stata quella di andare all’Università. Eppure la Eliseev non riusciva proprio a mettere quel dettaglio nel calderone delle “scelte giuste”: ci era scappato il morto prima che lei mettesse la testa a posto. Suo fratello, per indirizzarla verso il raziocinio, ci aveva rimesso le penne. Probabilmente se Ioann non fosse morto, lei mai avrebbe scelto Biologia: non ci sarebbe stato nessuno da vendicare e nessun “ultimo desiderio” da portare a termine. Il genoma umano dei besaidiani non le sarebbe mai importato, se non fosse stato per suo fratello. Per questo Zoe dubitava così tanto di sé stessa. O per meglio dire, Zoe dubitava di tutti: tutti troppi impegnati nelle loro faccende per ricordarsi di una sfigata come lei. Se c’era bisogno di un po’ di erba o di qualche riparazione al pianoforte antico della nonna, allora si ricordavano nella secondogenita degli Eliseev.

    Distrazione. Che cosa significava, realmente? Melaniya ( oh, quanto detestava quel nome ), controllò sul dizionario: “separare/separazione”. Nel linguaggio medico: “distensione brusca di un tessuto muscolare”. Più in basso, scorrendo la pagina dello smartphone, ci aveva trovato un’altra dicitura: “stato del pensiero rivolto altrove e perciò assente alla realtà attuale e circostante” – “quanto contribuisce a distrarre la mente”. Bingo, questo era perfetto. Lei era distratta, da mesi. No, da anni. E ogni volta che era distratta, nel cielo si dipingeva l’immagine di quella donna bionda. A lungo si prese in giro da sola, pensando a quanto il connubio dell’azzurro del cielo e del bianco delle nuvole, alimentassero quel suo stupido pensiero, eppure… i capelli biondi le ricordavano Fauve. E a ben pensarci, anche le cattive “scelte” gliela ricordavano: si erano mollate nel più brutale dei modi. Zoe, dal canto suo, non aveva rispettato neanche un decimo dell’amore della francese; se n’era fregata, come se tutto il resto fosse più importante di lei e dei suoi sentimenti. L’aveva messa in secondo piano, data per scontata, ignorata e abbandonata nella gelosia. Analizzando meglio sé stessa, riconobbe perfino un po’ di sadismo in quello che aveva fatto: Fauve le voleva bene, l’amava, mentre lei aveva preferito andarsene in giro a fare bagordi. Era passato così tanto tempo che un messaggio di scuse o un incontro riparatore, non sarebbero serviti a niente. E Zoe, /dall’alto della sua maturità/, non faceva altro se non scappare ogni volta che la vedeva. Che si trattasse di una tavola calda o di un pub, s’inventava tutti i modi possibili per darsela a gambe. Era perfino successo al ristorante cinese, una volta… che idiota. Così infantile, così spicciola.

    Rinnegare i sentimenti, o peggio, denigrarli, non serviva a niente. Zoe aveva capito quanto inutile fosse il sentimento umano nell’esatto momento in cui aveva scoccato le sue frecce: spaccare il cuore di qualcuno non influiva in alcun modo sugli eventi. I malati avrebbero arrancato per la vita, la gente che lavorava avrebbe continuato a farlo e il male nel mondo sarebbe rimasto lì, esattamente dov’era. Ferire qualcuno distruggeva l’umore, la gioia, i sorrisi ma… non cambiava le cose. Non le cambiava mai. E neanche Zoe era cambiata dopo aver stracciato il cuore di Fauve: continuava come una stupida a cercare il suo locus amoenus. La letteratura lo indicava come “Paradiso Terreste” e a lungo aveva identificato le braccia di Fauve come quel posto. Proprio perché quelle braccia l’avevano sempre avvolta, Zoe non aveva mai dubitato che potessero andare via. Ci aveva messo mesi nel conquistare la fiducia della francesina e alla fine c’era riuscita: aveva ottenuto la sua lealtà, una lealtà d’oro! Una lealtà che non credeva avrebbe mai perso, neanche mollandola come un cane sul ciglio di una strada. E invece si sbagliava, Zoe si riconobbe come la vittima della sue cazzate, di sé stessa. Vittima delle sue previsioni sbagliate, vittima delle “messe alla prova” verso il prossimo e… vittima dell’amore. Non le restava che il locus horridus.

    “Eliseev”. Pronunciò qualcuno. Zoe non si sentì chiamare; “Eliseev, accetti?”Le chiesero.
    La sua vicina di banco le tirò un colpetto con il gomito.
    “Mh? Oh, sì, certo!” Rispose, senza aver ascoltato una sola parola di quella lezione.
    “Bene, allora… più tardi ti manderò un e-mail con indirizzo, orario e quant’altro. Congratulazioni!” Concluse il professore, liberando gli studenti dalla schiavitù.
    Babe, ascolta… che cosa mi sono persa?” Domandò Zoe, ad una sua collega.
    “Sei assurda, Zoe!” Replicò la giovane, ormai rassegnata; “Abbiamo sorteggiato il tirocinante per il Mordersonn e sei venuta fuori tu! Non hai sentito nulla, proprio nulla?!” Fece chiarezza Babe.
    “Il Mordersonn?” Ripeté retoricamente; “Ho capito, grazie Babe, sei un angioletto!” E nel ringraziarla, Zoe mollò un bacio sulla guancia dell’amica. Un’amica molto sexy, a sua detta. E anche molto etero.

    Ma aveva qualcosa di più importante a cui pensare: se aveva usato bene le sue skills da stalker ( facebook, instagram, grazie – ), probabilmente lì ci lavorava Fauve. Ironico… aveva appena chiuso una “sega mentale” su di lei, incredibili i misteri della vita. Sarebbe stato carino scoprire che, magari, quella sua fortuna derivava dalla particolarità di qualcuno. Magari del suo professore? Pensandoci bene, non aveva idea di quale fosse la particolarità besaidiana del suo professore di biologia. Che fosse sul serio accontentare i desideri inconsci delle persone? Pensava troppo. Non avrebbe mai incontrato Fauve per davvero, quello era un posto troppo grande.

    [email protected]
    Eliseev, trovi l’indirizzo qui.
    Domani alle 09:00 ti riceverà qualcuno, cerca di essere puntuale.

    E stranamente, Zoe rispettò gli accordi: puntualissima, il giorno dopo si presentò al Mordersonn col solito discutibile look: dreadlocks e stile etnico. Ebbe però il buon senso di portarsi dietro il camice.
    Suonò il banale citofono di quel grattacielo altissimo.
    “Accidenti, forse avrei dovuto chiamare questa mattina…” Pensò. E mentre lei si guardava la punta delle scarpe ( gesto che spesso faceva quando aspettava qualcuno\qualcosa ), si aprì la porta.

    Edited by blackmamba_ - 23/8/2018, 02:24
     
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    Il rumore ritmico e regolare dei passi di Fauve riecheggiava nei corridoi del Mordersønn Institute, deciso e fiero come ogni giorno che lei decideva di investire le sue energie ed il suo tempo nella ricerca per il bene dei Besaidiani. Il camice bianco della donna la seguiva come fosse il mantello di un cavaliere immerso nella sua grande impresa - ed era proprio così che lei si vedeva; si sentiva una combattente. Ormai onore ed integrità non si misuravano più in duelli e giostre, e Fauve era certa non solo di mantenersi fedele ai propri valori, ma di fare anche di più, cercando di aiutare i suoi concittadini. Non voleva smettere, e non avrebbe mai demorso, neanche a fronte dei più grandi ostacoli, e ne aveva affrontati già parecchi. Non appena ricevuti i fondi dallo stato nel diventare dottoranda, Fauve aveva ricevuto dell'Università di Besaid la gentile - ma ferma - richiesta di modificare "l'obbiettivo" della sua ricerca. A nulla erano valsi proteste, lettere ed incontri. Mentre era nell'ateneo della cittadina, la ragazza avrebbe dovuto occuparsi più genericamente di anomalie nel genoma umano, lavorando come assistente del professore di biologia. Insoddisfatta da questo accordo, la scienziata aveva iniziato a cercare dei modi per oltrepassare, anche sottilmente, le imposizioni dello stato, e poi una sera arrivò l'illuminazione: il Mordersønn Institute. Sul loro sito non c'era scritto molto, non almeno quanto lei avrebbe desiderato per capire chiaramente di cosa si occupassero. A detta loro, presso l'istituto si svolgevano ricerche non solo nel campo della tecnologia ma anche in quello della biologia. Lo sguardo attento di Fauve correva lungo lo schermo del suo laptop, mentre leggeva che l'obbiettivo principale del centro era quello di investigare sulle abilità che sembrano manifestarsi unicamente nei cittadini di Besaid, cercando non solo di trovare risposte, ma anche di realizzare una "cura". Una cura per cosa, o meglio per chi? Questa domanda affliggeva la donna, che per un paio di giorni si prese una pausa per riflettere. Sarebbe dovuta andare al centro per un colloquio? Avrebbe dovuto desistere?
    Eppure eccola lì, qualche anno dopo, come ricercatrice biologa presso l'Istituto. Il curriculum impressionante di Fauve era stato abbastanza per garantirle un incontro con Nikolaj Mordersønn, il ragazzo che era a capo del centro. Si, il ragazzo. Non appena Fauve se lo trovò davanti, lì per lì lei rimase incredula per via della sua giovane età. Questo sentimento di sorpresa, tuttavia, fu surclassato solo da uno di intenso sospetto e distacco nei confronti di questo giovane che emanava un'aura quasi distorta agli istinti della Francese, che si ritrovò ad uscire da quell'ufficio con una sensazione di profonda irritazione che la pervadeva; Nikolaj non le piaceva neanche un po'. C'era qualcosa che lo riguardava che era pericolosamente oscuro, e lei non riusciva a spiegarsi cosa fosse, e nulla innervosiva Fauve di più di non capire. Eppure, riuscì ad ottenere, a dispetto delle sue insicurezze, un contratto a tempo indeterminato abbastanza vantaggioso come ricercatrice. Ce l'aveva fatta, stava vivendo come si era prefissata, dedicandosi alla scienza. Istintivamente, quel giorno la donna si portò una mano alla tasca dei jeans, sfiorando il cellulare. Zoe. Devo dirlo a... La mano di Fauve si sollevò di scatto. No. Zoe non era lì. Tanto velocemente come quel pensiero si era formato, tanto rapidamente la Francese l'aveva soppresso, con la violenza che solo qualcuno che ha il cuore in fiamme possiede. Certo, se solo Zoe fosse stata lì, Fauve non avrebbe voluto condividere quel momento di soddisfazione con altri se non con lei. Forse sarebbero andate nel loro pub preferito, avrebbero cenato e sarebbero tornate a casa insieme, e sempre insieme si sarebbero risvegliate la mattina dopo. Eppure, quella realtà si era tramutata in altro, in un distacco pesante, prepotente. Era diventata silenzio, impulsi fermati giusto in tempo, malinconia così attraente da voler entrare in lei e restarci, l'espressione accigliata al risveglio da sola, ed il senso di colpa. Fauve non riusciva, più di tutto, a perdonarsi. Se solo avesse parlato prima, se solo avesse saputo comunicare meglio i suoi sentimenti, probabilmente lei e Zoe non sarebbero arrivate a quei soldi sul tavolo del pub prima di un distacco apparentemente definitivo. Le crepe nel cuore di Fauve erano rimaste, non erano state romanticamente sanate dalla self-care o dal tempo. Erano ancora lì, crude, spaventosamente statiche; avevano solamente smesso di farsi profonde fino a spezzarla del tutto.
    E da esse, non smetteva di sanguinare l'amore che lei provava per Zoe. Aveva provato a dimenticarla, a passare oltre, ad essere arrabbiata con lei sino a non voler avere più niente a che fare con quella donna tanto affascinante quanto indomabile. Eppure, Fauve lo sapeva, il vero amore non "passa", ma rimane con te finchè uno non riesce a convivere con l'assenza, in modo tale da poter ospitare una nuova persona nella propria anima. Fauve non ci era ancora riuscita. Non rimuginava immensamente su ciò che provava, era certa che se si sentiva in un certo modo, continuare a combattere sarebbe stato inutile; tuttavia, quei lati di lei che emergevano a sprazzi erano ancora a casa con il pensiero di Zoe - e la Francese li stava iniziando a ritenere fastidiosi. Continuare a sperare nel proprio inconscio di ritornare dalla donna che sapeva di amare era ingenuo, a dir poco. Eppure, decidere di voler andare avanti non sarebbe mai stato sufficiente. La ragazza sapeva di doversi dare tempo, di essere meno dura con se stessa, ma si iniziava a chiedere: sarebbe mai davvero andata avanti senza Zoe, sentimentalmente parlando? Probabilmente no, eppure Fauve non avrebbe mai voluto ammetterlo a se stessa. Le unghie della verità graffiavano il suo cuore, facendole capire di dover essere onesta con se stessa, di dover affrontare sue colpe e la chiusura con Zoe, prima o poi. Dopo di lei, la scienziata aveva intrattenuto un paio di relazioni, seppur fugaci, ma il primo passo verso l'abbandono di quel tumulto continuo era stato accettare che nulla di tutto ciò sarebbe servito per liberare il suo cuore: per lei, il chiodo scaccia chiodo non avrebbe mai funzionato.
    Dunque, ecco che con tutte le sue crepe e le sue colpe, Fauve non si permetteva di rompersi, mentre camminava per i corridoi del Mordersønn Institute. Sotto alla sua armatura bianca, aperta sul davanti, indossava un outfit dallo stile raffinato ed androgino. Dottoressa Beauchêne, il dottor Ivanofsen è stato preso da una urgenza in laboratorio, quindi dovrà accogliere lei la stagista. La informò con tono gentile ma statico una collega di cui Fauve non ricordava neanche il nome. Quello era uno di quei giorni in cui tutto le ricordava Zoe - uno di quei fastidiosissimi giorni in cui qualcosa dentro di lei la continuava a trascinare nel passato, nonostante lei desiderasse andare avanti. Non voleva più essere preda di illusioni e false speranze; desiderava, invece, sigillare quelle fratture nel cuore sino a renderle impercettibili. Fauve, però, non voleva lasciarsi andare alla malinconia, proiettando le proprie vulnerabilità su altri, specialmente a lavoro. Dunque, anche se non aveva mai accolto uno stagista prima d'allora, si sarebbe buttata volentieri in questo nuovo incarico, sperando di non fare figuracce. Portandosi la cartellina con alcuni dati scritti a mano sotto il braccio distrattamente, Fauve inclinò appena il capo, la sua espressione illeggibile. Il nome? Domandò ermetica e con un tono arido, ma non per questo scortese. Mi dispiace, il dottore non mi ha passato nessuna informazione, se non che la sta aspettando all'ingresso del piano. Sollevando impercettibilmente gli occhi al cielo, la Francese aveva comunicato seppur brevemente il suo disappunto nei confronti del comportamento del suo collega. Era stato professionale e pragmatico da parte sua non fornire alcun tipo di dato, ovviamente. Scuotendo appena il capo, e lasciando che l'ondeggiare dei lunghi ricci biondi accompagnasse quel movimento, la scienziata fece un passo avanti. Bene, me ne occupo io. Asserì infine, lasciando la stanza in cui era - tra l'altro, da solo mezz'ora - per poi dirigersi a passo sicuro verso l'androne che si mostrava alla vista di ogni visitatore o lavoratore una volta uscito dall'ascensore.
    Gli occhi verdi di Fauve avvertirono ciò che lei non avrebbe mai potuto immaginare, già non appena lei ebbe svoltato l'angolo. Zoe. Fermandosi immediatamente sui suoi passi, la donna avvertì immediatamente l'esigenza di piantare i piedi per terra, impietrita, come se volesse confermare che effettivamente fosse la ragazza dai capelli scuri quella che aveva visto. Il cuore prese a battere spaventosamente veloce nel petto della Francese, colta dall'ansia, poiché sapeva già la risposta. Facendo un passo indietro e nascondendosi così dietro l'angolo, Fauve si appoggiò al muro, prendendo un respiro. Calma. Vai e fai il tuo lavoro. Si ripetè più volte, mentre si posò una mano sul seno, come se volesse spingere il cuore più internamente nella cassa toracica, visto che le sembrava volesse cavargliela col suo battito. Annuendo appena a se stessa, la donna riprese a camminare con più risolutezza di prima, forse esagerandola per darsi più forza. Tutte le certezze che aveva avuto sino a quel momento erano state comprovate: l'amore non era minimamente passato, e ora quel distacco che si era creato tra lei e Zoe sembrava essere un baratro, sull'orlo del quale Fauve si teneva in equilibrio precariamente. Fermandosi davanti alla donna con i lunghi dreadlocks mentre lei si osservava la punta delle scarpe, cosa che Fauve sapeva essere il segno di nervosismo, la scienziata bionda si schiarì la voce. Buongiorno. Iniziò lei, forse con un tono fin troppo impostato; non era pronta. Lì per lì, non riusciva ad andare oltre i formalismi che la stavano salvando dai sentimenti. Guardando Zoe dritta in volto, la Francese la osservò per qualche attimo; sembrava non essere passato neanche un secondo dall'ultima volta che l'aveva vista, ed era strano, faceva male in un modo rassicurante. Seguimi, sono il tuo supervisore. Ti dirò ciò che devi fare e di cosa ti occuperai qui al Mordersønn.

    You don't hit my line no more, oh, oh
    You don't make it ring.
    I can't keep this on the low
    I want you to make it ring.
    Should I call first? I can't decide
    I want to, but a bitch got pride.
    [...]
    I'm feelin' you but you hard to get in touch with
    And you ain't hit me up in a while.
    [...]
    Ready for the next step, wanna be on your own
    Said I just miss you, I just miss us, baby
    All I know is
    You don't hit my line no more, oh, oh
    You don't make it ring.
    I can't keep this on the low
    I want you to make it ring.

     
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  3. blackmamba_
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    Locus Amoenus; Ore O9:OO - 18 agosto - MORDERSØNN INSTITUTE

    trasméttere v. tr. [dal lat. transmittĕre, comp. di trans- «trans-» e mittĕre «mandare», rifatto su mettere] (coniug. come mettere). – 1. Trasferire, far passare quanto è in sé, o è proprio, su uno o più altri soggetti o enti, corpi o elementi. 2. a. Comunicare, inviare o far pervenire qualcosa a chi ha diritto o è interessato ad averla. b. Inviare, comunicare o diffondere con mezzi di telecomunicazione, riferito come soggetto sia alla persona o all’ente che invia, sia al mezzo o all’apparato trasmittente.
    “ 2.a: comunicare, inviare o far prevenire qualcosa…
    …vale anche per i sentimenti?”


    Zoe non aveva passato troppo tempo della sua vita a guardare la televisione: l’aveva sempre considerata nociva e portatrice di cattive notizie. In televisione trasmettevano sempre quello che volevano, sua madre inoltre era solita guardare il telegiornale a tutte le ore del giorno – programma portatore di notizie quasi sempre assai tristi e per nulla gioiose – perciò non aveva una grossa stima di quella “scatola”. Tuttavia le piacevano i manga e questi ultimi davano vita ai film d’animazione o a quelli che grossolanamente venivano\vengono chiamati “anime”. Bé, non essendo Zoe una persona troppo statica, anche di quelli ne aveva visti pochi ma ce n’era uno che le piaceva in particolare: Nana. La serie parlava di due ragazze con lo stesso nome ( Nana, appunto ) ma completamente diverse e che da un giorno all’altro si ritrovano ad essere coinquiline. Nel corso dell’anime entrambe vengono investite da problematici eventi ma questi, in qualche modo, le mantengono unite. Non sapeva spiegare a sé stessa il motivo per cui provasse così tanto interesse per quell’anime ( negli anni aveva concluso che potesse dipendere dallo stile un po’ gotico di Nana Osaki ) ma le era rimasta impressa una cosa: Nana Komatsu ( la protagonista brutta, l’altra ) si appellava sempre ad un’entità che prendeva il nome di “Grande Demone Celeste”. Ogni volta che le succedeva qualcosa, che si trattasse di una cosa bella o di una cosa brutta, lei invocava sempre quel nome: “Ti ringrazio, Grande Demone Celeste!” – “Accidenti a te, mio Grande Demone Celeste”. Didascalie che, viste da un punto di vista più pragmatico, sembravano quasi bestemmie.
    Quella mattina, quando Zoe aveva rivisto il volto di Fauve dopo tutto quel tempo, spontaneamente pensò proprio a quello stupido anime: “Ma davvero, Demone Celeste?”, si disse questo. Perché per quanto lei si ritenesse una donna fortunata – e credetemi quando vi dico che Zoe, probabilmente, la Dea Bendata se l’è scopata – , non credeva di poter incontrare la francese in quel luogo e in quel momento.
    La castana non era molto brava nell’esprimere le sue emozioni ed essendo una delle poche ricercatrici che si impegnava a scoprire i motivi per cui si verificassero tutte quelle anomalie a Besaid, Zoe concluse che la sua particolarità derivasse proprio da questa mancanza: non era capace di comunicare adeguatamente con gli altri e per questo il Fato le aveva concesso di trasmettere, al tocco, le sue emozioni; che si trattasse di un ricordo vecchio o di uno recente, lei aveva manifestato questa comoda abilità. E proprio perché non se la cavava bene nell’esplicare i concetti, Zoe ignorò tutto quello che Fauve le aveva detto in quel momento: probabilmente si era presentata, le aveva dato direttive o cose così. Sì, doveva averle detto qualcosa ma… lei non l’aveva sentita. Sembrava esser diventata momentaneamente sorda, come se un cattivo Marvel l’avesse paralizzata con una pistola congelante. E sebbene quei momenti le parvero lunghi come un’eternità, Zoe rinvenne da quello stato comatoso dopo pochi secondi.
    Per ciò che avvenne dopo, la guidò l’istinto. Definirla “ingiustificabile” sarebbe parso come un eufemismo a chiunque avesse assistito a quella scena perché Zoe toccò Fauve con la mano, e con la stessa le trasmise le sensazioni che poc’anzi aveva provato. Certo, definire “ricordo” ciò che cinque secondi prima era avvenuto, dava un po’ da pensare ma… a volte era giusto sfruttare al meglio le proprie abilità. Quella della /trasmissione delle emozioni/ era la più grande ed utile delle skills, tanto valeva farne tesoro.
    Ma Fauve, esattamente, da cosa fu investita? Meglio fare chiarezza:
    Un terremoto che distrugge le fondamenta del tuo essere ma ti concede di rinascere dalle ceneri;
    Le forbici che ti riducono a brandelli, legate al filo che ti ricuce;
    La pietra che ti spezza e la fucina che, fondendo i pezzi, ti ricrea forte e temprato;
    L’imponenza di un temporale che innaffia i campi e…
    …la fraudolenza dell’inverno che lascia spazio all’ottimismo della primavera. Questo aveva provato Zoe: logoramento e rinascita, odio e amore, sconfitta e poi vittoria.
    Ma meglio tornare alla realtà…

    “Ciò che devi fare… ciò che devi fare qui al Mordersonn,” ripeté Zoe. Quelle erano le uniche parole che, in tanta confusione, riuscì a captare. Chissà se Fauve aveva detto qualcosa di più importante… forse il segreto per avere successo? O forse le aveva detto che l’amava e lei non se n’era accorta? Bé, qualsiasi fossero le frasi sgattaiolate da quelle labbra, Zoe non le aveva sentite: troppo impegnata a gestire la piccolezza di sé stessa per pensare all’ambiente esterno. Troppo occupata a non impazzire, pesantemente ingarbugliata nel gioco della matassa della sua vita per riattivare il sonoro. Eppure era stata infima: era stata sua volontà quella di passarle emozioni e sentimenti, sfiorandole il braccio. Un egoismo assoluto, capricciosa e insolente come Narciso: doveva rendere partecipe Fauve di quello che le era successo nel cuore, di quanto vederla l’avesse sconvolta. I capelli biondi dell’amica, mossi e all’apparenza di una morbidezza astrale, le riportarono alla mente quella volta che se l’erano svignata da lezione per comprare dei pretzel. Zoe, poco più tardi, quando l’aveva avvicinata per regalarle un bacio, aveva sottolineato proprio quello: “I tuoi capelli sanno di pretzel, adesso come facciamo?”. Romanticherie di quel tipo, le bucarono la mente: Zoe Melaniya Eliseev aveva preso il cuore di Fauve e l’aveva accartocciato come cartapecora, riducendolo a brandelli. Se adesso si trovavano in quella situazione, era colpa sua e del suo Ego immenso: lei voleva essere libera da /cazzate/ come l’Amore! Quando aveva mollato Fauve, si era detta proprio questo: “non ho bisogno di qualcuno che si prenda cura di me, non voglio che qualcuno mi faccia da balia o mi dica quello che devo o che non devo fare”. Eppure le bastarono pochi giorni per rendersi conto della stupidaggine che aveva fatto: non aveva mai, neanche per un giorno, abbracciato l’apprensione che Fauve le regalava. L’aveva data per scontato, ignorata, usata e gettata. E per quanto ascoltare “River” di Leon Bridges l’aiutasse a sentirsi un verme, Zoe era una persona impertinente: guerrafondaia d’Amore, mai si sarebbe lasciata scappare una succulenta occasione come quella. Aveva fatto schifo in passato? Sì. Probabilmente Fauve non ne voleva più sapere di lei? Molto probabile. Ma a Zoe le sfide piacevano.
    E poi aveva il Grande Demone Celeste dalla sua parte, no?

    Edited by blackmamba_ - 26/8/2018, 03:40
     
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    In un secondo si possono capire molte cose: si può ricevere un'illuminazione, avere un'idea, capire qualcosa che fino a poco tempo prima non si riusciva a comprendere, innescare un sentimento. Per Fauve, non era mai stato così. Lei era una donna che nella vita aveva bisogno di tempo. Ad esempio, prima di fidarsi delle persone, lei preferiva indagare, distaccarsi, chiudersi fino a che un individuo non si fosse mostrato uno spazio sicuro ai suoi occhi; oppure nel lavoro, lei era convinta che la pazienza nella ricerca le avrebbe fornito l'attitudine necessaria per giungere a qualsiasi soluzione e qualsiasi obbiettivo, se solo si fosse concessa il tempo giusto. Anche in amore, Fauve si rivelava sfuggente agli inizi, proprio per concedersi del tempo per sondare i propri sentimenti e le intenzioni altrui. Zoe era arrivata nella vita della scienziata come una ventata di aria fresca, concedendo alla Francese il tempo di cui aveva bisogno per abituarsi alla sua presenza; la sua corte era durata parecchio, e neanche per un secondo la donna castana aveva demorso nel dimostrarle il suo interesse. Alla fine, la perseveranza aveva pagato: Fauve si era innamorata profondamente di Zoe, e da quel momento, aveva deciso di condividere il suo tempo ed i suoi spazi con lei. Alla fine, però, le insicurezze dell'una e l'irrequietezza dell'altra avevano avuto la meglio, causando un distacco a cui la biologa aveva fatto molta fatica ad abituarsi.
    Ora, Fauve si vedeva un po' come un grande contenitore: dentro di lei c'erano ricordi non ancora ben archiviati, sensazioni che si ammucchiavano nella sua anima come fosse un ripostiglio disordinato, e nella sua mente immaginari faldoni in cui erano racchiuse le innumerevoli informazioni che il suo cervello era in grado di assorbire per via della sua particolarità. Ci sarebbe mai stato un modo per dare un senso al caos oppure la risposta sarebbe stata impossibile da dare? Probabilmente, Fauve si stava ponendo le domande sbagliate. Probabilmente, non avrebbe dovuto chiedersi come riordinarsi, ma come vivere accogliendo la galassia di emozioni e ricordi che conteneva. Non sarebbe stato facile, e di risposte altrettanto semplici non esistevano. Ancora una volta, la Francese identificava nel tempo qualcosa che l'avrebbe aiutata. Ora aveva una vita stabile, strutturata e con un lavoro soddisfacente le permetteva di reclamare la propria indipendenza, sia economica che emotiva. Eppure, c'era qualcosa che la riportava indietro, sempre; era un pensiero, una sensazione sottopelle che le faceva bruciare il sangue. Non era ancora riuscita a livellare il proprio cuore dopo le orme che vi aveva impresso Zoe. Non sarebbe mai stato facile, lei era stata una di quelle persone che anche se se ne vanno, lasciano sempre e comunque un residuo di loro negli altri. Per questo, quando Fauve la vide si sentì completamente destabilizzata; era stato un po' come se il solo posare gli occhi su di lei fosse stato un terremoto che l'aveva scossa senza permetterle di ripararsi, facendole subire tutta la sua forza. Tuttavia, Fauve Beauchêne non si sarebbe mai tirata indietro di fronte a nulla, neanche al suo cuore che le gridava di andarsene e chiamare qualcun altro a svolgere il compito che le era stato assegnato – neanche davanti al fatto che non fosse ancora pronta a rivedere Zoe, nonostante fosse passato parecchio tempo dalla loro rottura. Dentro di sè la Francese era sicura: niente si era ancora spezzato in lei definitivamente nei riguardi dell'altra donna; sarebbe stato più saggio proteggersi e chiamare qualcun altro. La testardaggine e la determinazione di Fauve però prevalsero, e lei si spinse con tutte le sue energie in avanti, distaccandosi dal muro a cui era appoggiata. Avrebbe dovuto comportarsi da adulta, da persona seria e professionale - questo si ripeteva. Fu così che incrociò nuovamente gli occhi verdi di Zoe. Cercando di non soffermarsi troppo sui suoi lineamenti ed adottando un’attitudine fin troppo distaccata, la scienziata si rivolse alla sua ex in modo da portare a termine il suo compito il prima possibile.
    E poi, quell'elaborato gioco di maschere che Fauve stava mettendo su per proteggersi si distrusse nel giro di pochi secondi. Era bastato un secondo, un tocco della mano affusolata di Zoe, e la biologa che stava per muoversi si fermò immediatamente, investita da una serie di sensazioni talmente intense da impietrirla per qualche interminabile secondo. In quegli attimi, fu come se le mancasse il terreno sotto i piedi, come se fosse stata trasportata in un'altra dimensione, ed effettivamente, era stato così, poichè le emozioni e le percezioni di Zoe la invasero, pervadendole la mente con i ricordi che la donna aveva acquisito solo qualche momento prima. La natura dei sentimenti che avevano travolto Fauve era contraddittoria: nociva, penetrante, come se un paletto le fosse entrato nel cuore, uccidendola nel giro di un battito di ciglia, ma al tempo stesso anche piena di calore, pervasiva, estesa in tutto il corpo come un tepore - proprio come quando si realizza per la prima volta di amare qualcuno. Concretamente, di cosa si trattava? Una seconda possibilità, ecco cosa aveva avvertito Zoe. Aveva sentito la morte del passato e la possibile nascita di un futuro diverso; aveva avvertito con enorme potenza un'apertura in una giornata apparentemente normale non appena aveva percepito con le sue iridi verdi la figura di Fauve, vedendo in lei distruzione e rinascita.
    Eppure, così velocemente come le dita della castana si erano avvolte attorno a quelle della bionda, così quest'ultima le fece scivolare via. Non fu brusca ma rapida, un po' come quando ci si toglie un cerotto da una ferita e si vuole rendere minimo il dolore che ne seguirà. Aggrottando le sopracciglia e prendendo un respiro più netto, Fauve lanciò uno sguardo incredulo e sbigottito a Zoe, come se le avesse detto "come hai osato" con gli occhi. Il tempo della Francese, così prezioso per lei, le era stato rubato, e secondi indesiderati erano stati spinti forzatamente dentro di lei, mandandola totalmente in crisi. La sua ex compagna aveva invaso i suoi minuti, imponendo i propri nel cuore della biologa, che non li aveva chiesti, che non era pronta a nulla di tutto ciò – a darle una concreta seconda possibilità. Difatti, nel rimuovere velocemente la mano da quella di Zoe, Fauve sentì una profonda irritazione prendere piede dentro di sè. Non voleva quel contatto, non lo desiderava nella maniera più assoluta, eppure aveva sentito in quel breve sfioramento tutta la mancanza nei confronti del tocco di Zoe, che si era impresso sulla sua pelle come un marchio a fuoco. La Francese necessitava di distacco, tuttavia era bastato una brevissima carezza per farla fremere, e lei in questo paradosso si stava cullando. Avrebbe voluto respingere la donna che era davanti a lei tanto quanto avvolgerla tra le braccia, e la consapevolezza di quella dicotomia la faceva infuriare; le era parso come se Zoe stesse cercando di prendersi una possibilità che solo lei avrebbe potuto darle. Gli occhi castano-verdi della scienziata restarono sul volto del suo amore per secondi eterni, e poi, bruscamente, lei interruppe il contatto visivo, voltandosi senza dire una parola. Il camice della biologa la seguì nei suoi movimenti non appena lei si voltò, dando le spalle all’altra donna e iniziando a camminare verso i laboratori ed entrando nel primo, dedicato allo studio del genoma animale. Fauve non avrebbe permesso a Zoe di agguantare quell'occasione facilmente, le avrebbe tenuto testa; la sua ex non avrebbe invaso i suoi spazi aspettandosi di essere riaccolta il minuto dopo un lungo bacio ed un "mi sei mancata"; Fauve non le avrebbe concesso di vedere che la amava ancora.
     
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  5. blackmamba_
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    Locus Amoenus; Ore O9:OO - 18 agosto - MORDERSØNN INSTITUTE

    A prescindere dall’etnia, dal luogo in cui si nasce o dai lineamenti che la scienza insemina, ogni persona può venire ( se sana ) al mondo in due modi: come una donna o come un uomo. Questa appariva agli occhi di Zoe come una certezza che mai sarebbe svanita, e proprio perché l’anatomia dei corpi risultava essere sempre la stessa, a volte la castana commetteva l’errore di credere che – sebbene fosse utopistico – anche le persone non cambiassero mai. Un corpo può crescere, mutare, svilupparsi, ma infondo è sempre lo stesso. La secondogenita degli Eliseev si era illusa che anche la mente umana godesse dello stesso privilegio: per quanto passassero i mesi, o gli anni, infondo non si cambiava mai veramente. Ma l’occhiataccia che le scoccò Fauve, per lei che così poco capiva i sentimenti e faticava moltissimo nel riconoscere teatralismi e maschere, le fece crollare quella certezza: la fortuna concessale dal Fato, si rivelò essere un clamoroso inconveniente. Lavorare con Fauve non era una seconda chance, Zoe aveva fallo all-in e aveva appena perso tutto. Le restavano un numero considerevole di ore da passare con lei in un clima di tensione come quello, Fauve l’aveva respinta e rifiutata ma… come darle torto?
    Nel sentirsi addosso gli occhi della francese che, freddi come una lamiera di metallo, la guardavano ricolmi di sgomento, Zoe pescò una carta dal mazzo degli imprevisti: lei, nella sua piccolezza, era l’unica spettatrice del suo cinema. No, nessuna metafora, si era sentita proprio come se seduta al cinema e nella sala ci fosse solo lei. Si immaginava perfettamente seduta in terza fila, vicinissima allo schermo, a vedere la prima del film della sua vita. Aveva scorso la pellicola dall’evento più lontano ai suoi ricordi fino a quello più vicino, in quel secondo perfino aveva rivisto suo fratello morire e Fauve arrivare nella sua vita; in quella pellicola c’era proprio tutto. Perché dopo i casini che aveva fatto, i ricordi erano l’unica cosa che le rimaneva.

    “Sei felice, Zoe?” le chiese qualcuno.
    “Non lo so, tu lo sai?” rispose la Eliseev.
    Parlava con sé stessa. In piedi, vicino alla sua poltroncina rossa, c’era una ragazza identica a lei, all’apparenza forse un po’ più piccola.
    “Sto perdendo il senno?” ribeccò Zoe.
    “No, non stai perdendo il senno. Te lo diceva sempre anche Ioann: sei una ragazza fantasiosa! E questa è la tua vita, dall’inizio alla fine. Vedi, c’è anche Fauve!” rispose il clone.
    “La vedo, c’è anche lei ma… a che serve tutto questo?” domandò la castana.
    “Serve a farti capire quanto realmente vali poco. Zoe Melaniya Eliseev, è con te stessa che parli: davvero non te ne sei accorta? Il tuo primo nome, Zoe, è sinonimo di scienza. Sono sicura che diventerai una scienziata eccezionale, una di quelle che davvero si avvicinerà al segreto di Besaid! Ma tu, mia nemesi, è di Melaniya che non ti curi: ci fosse stato un solo momento, in tutta questa vita, in cui tu ti sia preoccupata dei sentimenti degli altri. Hai pensato a te stessa, irrompendo nelle vite delle persone con la stessa forza di cento uragani Katrina. Hai forzato Ioann ad utilizzare il suo potere sebbene lui non ne conoscesse le peculiarità, così come hai aiutato molte persone solo per vedere gli sviluppi delle loro abilità. Hai conquistato il cuore di Fauve come se fosse una sfida con te stessa, e quando ti sei stancata, l’hai gettata via. Zoe, tanto intelligente quanto insensibile. Rinneghi Melaniya così come rinneghi l’emotività, l’umanità e l’empatia. Se non fai qualcosa, ammesso e concesso che tu possa rimediare, saranno sguardi come questi a seguirti per tutta la vita. Fauve ha ragione, ti respinge legittima. E tu, Zoe, cos’hai fatto per lenire il suo cuore che con te partiva già ferito? Ti sei preoccupata di quello che lei, in passato già segnata da tanti eventi, avrebbe provato dinanzi alla tua mancanza? Le hai mai scritto? L’hai mai chiamata per chiederle come stesse? Ritrova Melaniya, Zoe… ritrovami. Perché io, in questo cinema, sento il peso di ogni tuo sbaglio.”


    Una resa dei conti che, per come scorreva il tempo nel mondo reale, durò una manciata di secondi. Zoe rispose agli occhi di Fauve con apatia, come se qualcosa l’avesse distratta dalla reale sfumatura dell’anima che la francese avrebbe dovuto leggere fra le ramificazioni delle sue iridi. La Eliseev seguì la bionda scienziata passivamente, e con la stessa passività lasciò che lei le spiegasse quello che avrebbe dovuto fare lassù; la buona notizia era che avrebbe lavorato ubicata in una postazione tutta sua, la cattiva notizia era che – proprio quella postazione – l’avrebbe condivisa con Fauve. Stessa stanza, banconi diversi. Lavorare senza rivolgersi la parola ( se non il necessario ), le si dipinse in mente come una sfida erculea. E proprio perché si era appena resa conto di quanto la sua bilancia “Razionalità\Emotività” fosse sbilanciata, Zoe si concesse il lusso di farsi un giretto in bagno.

    “Posso usare il bagno?” chiese a Fauve, ma non aspettò risposta. Fortunatamente era una tipa sveglia e nel tragitto aveva intravisto la classica icona di donna che al meglio rappresentava i gabinetti femminili.
    E, in preda ad una crisi di nervi, si sedette sul water. Gli occhi le si inumidirono di soluzione salina, scioccamente si portò entrambe le mani sulle tempie. Disperazione che esplicava quanto lei, della vita, di Fauve e della scienza… non aveva capito niente. Faceva le cose senza pensare, feriva le persone senza ritegno, soddisfaceva il suo Ego come se gli altri fossero tutti delle prostitute pronte ad andare a letto con lei. Non c’era contegno in tutto quello che faceva, così come non c’era rispetto.
    Pochi minuti prima aveva sgarrato – per l’ennesima – con Fauve, insidiandosi dentro di lei e fregandosene di quello che potesse provare. E nel pensare a quanto in quei mesi l’avesse ferita, le lacrime le rigarono le guance e il trucco le si sciolse fino a renderla inguardabile. Zoe non si trattenne nemmeno un po’. Non piangeva dal funerale di suo fratello, diversi anni prima, e il peso del senso di colpa l’aveva fatta crollare nel momento meno opportuno di tutta la sua vita. Sentì il dolore nel ricongiungersi a Melaniya, riabbracciando quella parte di sé che per tutto quel tempo aveva trascurato e lasciato indietro.
    In una sola volta, come un pesante colpo di cannone, la norvegese avvertì il dolore di tutti fallimenti e le delusioni degli ultimi periodi. Per Fauve, per quanto non avesse versato una lacrima, si ritrovò a piangere in quel momento. E prima di darsi un contegno, in bagno ci rimase per una decina di minuti. Avrebbe voluto piangere ancora e a lungo, ma avrebbe scaricato le batterie una volta tornata a casa. Sciacquatosi la faccia, dunque, ritornò alla sua postazione: senza trucco e senz’anima. Silenziosa e vuota come Fauve, probabilmente, non l’aveva vista mai. E nella piccolezza della sua statura, la castana s’accingeva a leggere un’enorme libro di genetica, pronta a lavorare al prossimo progetto.
    In tutto questo ginepraio di pessimismo, Zoe dimenticava una cosa: per quanto fosse stata egoista verso sé stessa e verso il mondo, lei dei lati positivi ce li aveva. Un animo nobile, seppure nascosto, ce l’aveva. Ma in quel momento ( e nella vita ), si rivelò essere troppo distratta dalla malinconia e dal senso di colpa per rendersi conto di quanti fossero in realtà i bei giorni che aveva passato con suo fratello o con Fauve. Di quanto, in realtà, c’erano momenti in cui sapeva essere apprensiva.
    E di quanto, nel bene o nel male, sapesse amare.
     
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    Per qualche interminabile attimo, fu come se il mondo attorno a Fauve fosse ovattato. Non avvertiva i suoni per bene, i suoi occhi erano annebbiati dallo stordimento, e ogni suo senso era compromesso in quella spirale di emozioni che Zoe le aveva appena trasferito con un solo tocco. Eppure, si trattava davvero solo della sua particolarità? Era da anni, che la francese non aveva avuto modo di sentire la mano della norvegese sfiorarla, facendole percepire anche solo con la sua pelle quel contatto che sapeva di aver bramato nel suo cuore, ma che non avrebbe mai ammesso di desiderare. Era come se quella piccolissima porzione del dorso della mano di Fauve fosse appena stata bruciata col fuoco, marchiata con un segno che ormai già da tempo giaceva latente impresso dentro di lei. Era stato violato il suo spazio, la sua libertà di non affrontare i suoi sentimenti; per questo la scienziata era così arrabbiata. Non poteva permettere ad una donna a cui aveva dato tutto ma che l'aveva ignorato di prendere ancora altro di sè. Quella cascata di sensazioni e percezioni - quei ricordi costruiti solo pochi attimi prima, avevano fatto di Fauve il microscopio sotto al quale la stessa Zoe stava esaminando le proprie reazioni, e questo alla francese non piacque per nulla. Dopo averle scoccato quel dardo con i suoi soli occhi, la donna allontanò la mano, ancora in uno stato confusionale che lei per prima non aveva richiesto.
    E' ironico, come la vita possa essere incidentale. Un susseguirsi di intenzioni, casualità e percorsi che si incrociano, e che l'uno con l'altro ne creano di nuovi. Quando si era svegliata quella mattina, Fauve Beauchêne si aspettava una quieta giornata a lavoro fino a pranzo, e poi dal pomeriggio alla sera in università. Eppure, non era stato così - in fin dei conti, non lo è mai. Nulla nella vita è lineare, ed anche i momenti che lo sembrano sono sempre formati da minuscole increspature e pieghe degli eventi che delle volte possono diventare dei veri e propri sconvolgimenti. Lo sguardo di Zoe era quasi vuoto, perso, mentre Fauve la osservava in quei secondi pregni di sentimento. Il contatto fu rotto pressocchè immediatamente, quando la scienziata francese si voltò, lasciando scivolare i lembi del camicie assieme al proprio corpo, mente accompagnava Zoe di laboratorio in laboratorio, fermandosi infine alla sua postazione. Fauve era consapevole che la nuova stagista dell'Istituto avrebbe dovuto condividere con lei la stanza, ma ora, considerando l'identità della ragazza, lei avrebbe dovuto ripensare alla faccenda. Naturalmente ora niente sarebbe più cambiato ora che i posti erano stati assegnati, eppure adesso le implicazioni del lavoro su di lei sarebbero state diverse. Non voleva, per le sue motivazioni personali, adottare un comportamento poco professionale; era adulta, e avrebbe mantenuto sempre con Zoe una convivenza civile - seppur ridotta al minimo. Ecco tornare la Fauve guardinga, quella che tendeva a proteggersi e che avrebbe sempre difeso se stessa ed i suoi spazi con le unghie e con i denti, anche se questo avrebbe significato dare all'esterno un'immagine poco amichevole di sè. Eppure, tra tutte le persone che vivevano e studiavano a Besaid, perchè Zoe? Mentre percorreva quei corridoi moderni dalle tinte chiare, la francese non smetteva di arrovellarsi la mente a riguardo. Perchè, proprio ora, la vita l'aveva costretta a fare i conti con una ferita ancora esposta? Per quanto si sforzasse di respingerla, di odiarla e di dimenticarla, Fauve lo sapeva, non le sarebbe mai "passata" per Zoe. C'era stato qualcosa in lei che le aveva fatto assaporare l'infinito, un amore ed una libertà che solo con lei aveva potuto assaggiare ma che le era stato negato e strappato via proprio da chi gliel'aveva donato.
    “Posso usare il bagno?” La voce di Zoe era abbastanza esitante, eppure anche se la risposta di Fauve fu rapida, in un segno d'assenso che smosse quelle splendide onde dorate dei suoi capelli, la norvegese era già andata via, camminando a passo svelto verso il bagno. Dopo che la figura leggermente più minuta della castana fu sparita dietro l'angolo, Fauve posò delicatamente una mano su uno dei banconi ancora freddi, e sospirò pesantemente, restando in piedi nel mezzo della stanza. Nessuno l'avrebbe notata, indaffarati com'erano tutti con il loro lavoro. Chiudendo gli occhi qualche istante, senza che se ne accorgesse e senza che sapesse cosa stesse succedendo nel bagno adiacente, le iridi verdi di Fauve iniziarono a inumidirsi, a bagnarsi fastidiosamente di tracce di sentimenti che lei pensava ormai latenti e sepolti. Scuotendo appena il capo, la donna venne presa dall'agitazione che si insediò di secondo in secondo nel suo cuore; non si sarebbe mai fatta vedere in quello stato da Zoe, non le avrebbe permesso di mostrarle quanto fragile ancora fosse nei suoi riguardi. Nemmeno capiva perchè quelle emozioni l'avessero investita in maniera così lampante, ma la francese sapeva che avrebbe dovuto prendersi del tempo per rifletterci - ciò che stava succedendo in quel momento le sembrava troppo; troppo insormontabile, troppo intenso, troppo malinconico, troppo pregno di amore. Portandosi un palmo sotto l'occhio sinistro, Fauve si asciugò aggressivamente la lacrima che le stava scivolando giù dalla rima inferiore. Il suo respiro era più corto, e mentre le immagini del distacco con Zoe in quel bar le invadevano la mente con violenza, una sensazione chiarissima di dolore la colpì nella pancia, come uno spasmo, un crudele rantolo del suo stesso cuore.
    Dottoressa Beauchêne? Fauve? Una voce femminile, dietro Fauve, le impose di girarsi. Dopo un brevissimo sussulto di sorpresa, la donna cercò con tutta la sua forza d'animo di ricomporsi, riuscendoci qualche secondo e qualche respiro dopo, e voltandosi in direzione della sua collega. Si? Domandò lei, con un tono che imponeva brevità nell'interlocutrice, ma al tempo stesso non sgarbato. Volevo darti questo, è stato indetto dall'Istituto per tutti i dipendenti, penso che sia una buona opportunità per tutti partecipare! Buona giornata, ci si vede in giro! Le rispose affabile l'altra donna, dai capelli cortissimi e blu, mentre portava le sue piccole mani nelle tasche del camicie che indossava. Da una di esse estrasse un volantino giallo, con delle scritte dalle forme ondulate stampate su di esso. Dopo averlo porto alla scienziata, l'altra si congedò da lei con un amichevole sorriso ed un cenno del capo, tornando così alle sue ricerche. Prendendo quasi distratta quel pezzo di carta dalle mani della collega, la francese abbassò lentamente il capo per leggerlo.

    "Tutti i ricercatori e gli scienziati del Mordersønn Institute sono invitati ad un aperitivo aziendale, per scambiare idee in un contesto informale. La presenza di tutti è fortemente incoraggiata, specialmente dei supervisori. Anche gli stagisti sono i benvenuti!
    Egon pub, Besaid. Ore 19.

    Stringendo leggermente il volantino tra le mani, Fauve strinse appena le labbra. Non era mai mancata a nessuno degli eventi dell'azienda, e considerando che Nikolaj Mordersønn non l'aveva vista di buon occhio, assentarsi forse sarebbe stato un messaggio fin troppo ambiguo e facilmente fraintendibile. Tuttavia, la francese sentì un leggero senso d'irritazione invaderla. Perchè proprio oggi quell'invito, che specificava per di più che la presenza degli stagisti era apprezzata? Sollevando gli occhi umidi verso il soffitto, la donna pensò solo a come andare avanti e proseguire nella giornata. Posando distrattamente il volantino sulla scrivania che avrebbe dovuto essere di Zoe, Fauve si strinse nel camice, aspettandola. Minuto dopo minuto, la francese abbassò la testa, dispiaciuta. Si era lasciata sconfiggere dalle sue emozioni e dalle sue debolezze; si era fatta sopraffare - non avrebbe retto nel sostenere lo sguardo del suo amore un minuto di più. Allora, avvicinandosi ad un collega, gli posò una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione. Scusami, Mark. Iniziò la donna, incrociando le braccia. Ho mostrato alla stagista i laboratori e la sua scrivania, dunque ho fatto quel che mi è stato chiesto. Ora lei è in bagno, ma quando torna ti dispiace dirle che comincerà domani? Io devo proprio andare. Spiegò lei, con un tono di voce asettico eppure lievemente fratturato dalle venature dell'emozione che lo tradivano. Certo, non ti preoccupare Fauve. Rispose l'uomo; al che, la donna ringraziò con un breve cenno del capo e si voltò dando le spalle a Zoe e cercando di elaborare l'incontro appena avvenuto, che l'aveva scossa fin dentro le ossa.
     
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