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Tori & Lucien | Van nel bosco | mattina

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    Lucien Pendragon

    Prometteva di essere una giornata non bella, di più. Aveva dovuto essere paziente, Lucien, si era dovuto concentrare il più possibile nel lavoro, aveva fatto ridere i bambini, era inciampato ogni sera in quelle grandi scarpe da pagliaccio, aveva visto le espressioni estasiate di chiunque assistesse ai suoi piccoli spettacoli di magia. Tutto molto bello, tutto molto appagante, ma l'uomo aveva la testa altrove, rimasta incastrata negli occhi castani di quella ragazza incontrata qualche giorno prima.
    Aveva inizialmente provato a immergersi nella quotidianità, lasciare che prendesse il sopravvento suoi suoi pensieri, ma non era servito a granché. C'era qualcosa in lei che gli altri sembravano non avere, una scintilla che si accendeva alla perfezione con quella di Pan. Nonostante i trent'anni di età e le cose che aveva visto nella sua vita, l'uomo era così, un eterno bambino un po' cresciuto, con muscoli e barba ma con l'animo capace ancora di sorprendersi. Dopo alcuni avvenimenti che l'avevano segnato da bambino, Pan si sarebbe dovuto chiudere in sé stesso, allontanarsi dalle emozioni, evitare le persone per una qualche sindrome dell'abbandono. Eppure era sorprendentemente accaduto l'esatto opposto. Pan si lasciava prendere dalle passioni, ci si buttava dentro a capofitto rilegando le preoccupazioni a qualcun altro, non erano cose per lui. Rincorreva le falene, le comete come Tori, senza che certi dubbi stemperassero l'emozione che provava. Non si conoscevano per niente, era un bambinone non un cretino, sapeva che sarebbe potuta finire male o essere una cosa passeggera, una semplice corrente d'aria prima che sorgesse il sole. Vedete, le persone contemplano attentamente ogni possibilità brutta, sbagliata, ogni cosa che potrebbe condurre ad un cuore infranto; pochissimi si ricordano dell'altro lato della medaglia, delle cose belle che invece potrebbero nascere dalla stessa, identica cosa. Non era ai livelli di matrimonio e figli maschi (quasi), ma non si sarebbe precluso una gioia per colpa di paure e preoccupazioni fondate, essenzialmente, sul nulla. La peggiore delle ipotesi? Non avrebbe funzionato, sarebbero andati ognuno per la propria strada e pace e amore.
    Quella era, come dicevo, una giornata stupenda perché avrebbe incontrato nuovamente la ragazza che gli aveva rubato il cuore. Doveva essere una specie di appuntamento, niente di che, nessun chiasso intorno alla faccenda ma Pan ci teneva a fare le cose per bene. L'avrebbe portata a surfare e poi a mangiare del pesce in uno squallido fish and chips che però dava sul mare - sapete dirmi un appuntamento migliore? Non si poteva permettere niente di super inn, ma aveva la sensazione che Tori fosse una di quelle che mangia le patatine e il pollo con le mani. Chiunque usasse coltello e forchetta per una coscia di pollo erano alla stregua di chi comprava capi d'abbigliamento per il proprio cane: extraterrestri.
    Aveva pianificato ogni cosa, Tori lo sarebbe venuto a prendere lì - non poteva spostare il camper van e non aveva una macchina (indirizzo: bosco 123 stella che le aveva scritto per messaggio)-, aveva persino cercato di prenotare un posto alla locanda ma apparentemente non capivano bene il suo accento e, comunque, "è un cavolo di fast food, non si prenota." Continuava a rigirarsi quelle parole sulla punta della lingua, finendo comunque per non comprendere come fosse possibile: nei fast food non si serviva dell'ottimo pesce fritto con le patatine. In ogni caso, quella fu solamente la prima cosa che andrò storta.
    Si svegliò di soprassalto, madido di sudore, gli occhi brucianti e dalla vista appannata. Il cielo fuori dalla sua abitazione (un van stile roulotte pieno di francobolli, adesivi, targhe dei posti che aveva visitato) si stava appena tingendo dei colori dell'alba. «Che diamine mi succede?!» Si rivolse a Monk, la scimmietta che lo osservava dalla cesta dei panni sporchi. Biascicò quella domande retorica come se davvero si aspettasse una spiegazione, con la bocca impastata mentre si legava i capelli in una cipollina, togliendoseli via dalla fronte imperlata di sudore. La cosa da sapere è che Lucien non si ammalava mai. Ricordava ancora la sua ultima volta, quando aveva all'incirca ventidue anni e si era beccato una polmonite con i contro-zibbedei che l'aveva costretto all'ospedale per due settimane. Il circo aveva dovuto sostare per lui, rimandare la partenza perdendo una marea di soldi che avrebbero fatto decisamente comodo, ognuno si era premurato nel farglielo sapere. Ammalarsi al circo non era cosa vista di buon occhio, metteva a repentaglio gli show e non andava mai bene. Forse il suo organismo aveva captato l'importanza di rimanere in salute, ma da quel giorno il sistema immunitario di Lucien aveva funzionato alla perfezione. Le uniche volte in cui si era sentito male, la colpa risiedeva tutta nell'alcool col quale, di tanto in tanto, abusava goliardicamente. Per il resto, 2920 giorni fresco e in forma coma una rosa! Per queste ragioni il malessere lo colse del tutto impreparato e lo sconvolse. Cercò la scala per scendere dal letto soppalcato ma dopo qualche passo mancò un piolo e cadde a terra di schiena. Il respiro gli uscì prepotentemente dai polmoni, insieme ad un rantolo sommesso mentre si rigirava sul pavimento. All'interno, il piccolo camper aveva un ambiente unico, abbastanza spazioso per trattarsi di una roulotte, tutto in legno e pieno di oggetti, cianfrusaglie, oggetti di valore, maglietta appese, tarocchi, e reliquie che aveva raccolto - o rubato- durante i suoi innumerevoli viaggi. (1 - 2 - 3 per lo stile). Monk accorse subito, sedendogli sul petto e guardandolo da lì, preoccupato. «Tutto bene, sto bene.» mugugnò a denti stretti tirandosi su a fatica, qualche osso che scricchiolava. Con un lamento Monk scese, e Lucien andò brancolando verso il minuscolo bagno. Poggiò le mani sul lavandino, le gambe che minacciavano di non reggere il peso corporeo, poi alzò lo sguardo verso lo specchio. L'immagine riflessa risultava sfocata, come se i suoi occhi fossero annebbiati, ma non c'era dubbio, era la faccia di una persona che non se la sta passando troppo bene.
    Era scosso dai brividi, il mondo intorno a lui sembrava stranamente alterato, neanche avesse assunto uno di quei funghetti allucinogeni che aveva provato un paio di volte. «Porco Merlino...». In casa di Lucien, come del resto in ogni casa della famiglia al circo, non c'erano medicine: tradizioni lontane imponevano ad ogni membro di affidarsi a rimedi naturali, nonché alle cure delle vecchie che preparavano unguenti e medicine dal sapore vomitevole. Rimpiangeva in quel momento di non aver voluto parcheggiare il van con il resto della famiglia, protetto dal circo, al sicuro, dove avrebbe potuto caracollare di fuori e rifugiarsi tra le braccia della nonna. Invece la sua cocciutaggine l'aveva spinto a volersi dissociare, portando avanti quella tacita guerra instaurata contro il nonno che lo voleva costringere alla vita del circo. E allora si era accampato al limitare del bosco, sotto le stelle, indisturbato. E introvabile. pensò con rammarico mentre si toglieva a fatica la maglietta sudata e i boxer che abbandonò sul pavimento piastrellato prima di entrare nella doccia minuscola. Aprì il getto d'acqua impostandolo su freddo, così come gli era stato insegnato a fare, l'acqua fredda avrebbe aiutato ad abbassare la temperatura del corpo. Ben presto le gambe si fecero molli e Lucien scivolò al suolo, la schiena poggiata alla parete. Non ricordava di aver spento il getto dell'acqua prima di chiudere gli occhi, Monk che si dimenava intorno a lui senza voler toccare l'acqua con le zampette. Nella mente si formulò il pensiero di Tori, la ragazza sarebbe spuntata tra qualche ora, avrebbe dovuto avvertirla che non si sentiva bene. Provò ad allungare un braccio ma lasciò perdere, non aveva idea di dove avesse lasciato il telefono. Avrebbe riposato gli occhi per un po', qualche minuto appena, e si sarebbe sentito subito meglio.
     
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    VICTORIANNE FAWNIE ÅRUD ☾

    Quando la sveglia del cellulare suonò, Tori era già sveglia. Scostando delicatamente la testa di Lexi che le si era addormentata sulla spalla, si sporse verso il comodino e raggiunse lo smartphone vagamente ammaccato, silenziando la ripetizione automatica di un motivetto eccessivamente allegro. Ancora addormentata, Lexi mugugnò qualcosa, voltandosi sul fianco. Avendo cura di non svegliarla, Victorianne scivolò oltre il bordo del letto, posando i piedi nudi sul tappeto a fantasia orientale. Si volse verso la bambina e la coprì attentamente con il lenzuolo, in modo che la fresca aria mattutina non la infastidisse, quindi le depositò un bacio sulla fronte. Quando si sarebbe svegliata – non prima di un paio d’ore – Tori sarebbe già stata fuori di casa.
    Senza preoccuparsi di indossare le ciabatte, percorse il corridoio del primo piano sino al bagno e vi si chiuse dentro. Mentre l’acqua della doccia si scaldava, la ragazza osservò il proprio riflesso nello specchio sopra il lavandino. Sebbene non si stenisse stanca, quella notte non aveva chiuso occhio. Si era rigirata costantemente tra le lenzuola, tentando di non disturare il sonno leggero di Lexi, avvertendo una strana sensazione di nervosismo mista ad impazienza. Era una sensazione felice, a tal punto che Victorianne non riusciva a rilassarsi abbastanza da prendere sonno, il viso di Pan che continuava ad insinuarsi tra i suoi pensieri. E quando non era il suo sorriso a distrarla, allora si trattava di qualche piccolo dettaglio – il sorriso, il modo in cui gli occhi chiari venivano decorati da piccole rughette d’espressione, il profilo attraente incorniciato dai capelli castano-biondicci – o, con un sapore dolce-amaro, le ultime parole che il giovane uomo le aveva rivolto prima che la (inopportuna) telefonata di nonna Edith li interrompesse: «Così speciale che avrei una gran voglia di baciarti.» Al solo ricordo, Tori venne investita da una violenta ondata di caldo. Nel riflesso dello specchio, le sue guance avevano assunto un colorito più acceso, come se buona parte del sangue in circolo nel suo corpo avesse deciso di concentrarsi in quell’unico punto. «Oh, andiamo!» Sbottò, rivolgendosi bruscamente a sé stessa. «Ti stai comportando da stupida.» Si passò una mano tra i capelli, cercando di ridarsi un contegno e di scacciare l’agitazione che si era impadronita di lei dal momento in cui aveva fissato l’appunamento con il giovane circense.
    Gettò a terra il pigiama – una t-shirt da uomo dei Rolling Stones, sbiadita e bucata in diversi punti – e si infilò sotto la doccia, tirando la tenda di plastica. L’acqua calda la aiutò a rilassarsi, almeno momentaneamente, cancellando i segni della notte insonne. Una volta finito, si avvolse in un asciugamano pulito e, lavati i denti e spalmato un leggero strato di crema idratante sul viso, si diresse in camera da letto per vestirsi. Pan non le aveva rivelato dove avesse intenzione di portarla – o meglio, di condurla dato che sarebbe stata lei a guidare – ma le aveva detto di indossare il costume e qualcosa di comodo, facendole supporre che, complice il rapporto di amore-odio che l’uomo intratteneva con il mare, sarebbero probabilmente finiti sulla spiaggia. Dopo un istante di esitazione, ripescò un bikini nero a triangolo, realizzato all’uncinetto e decorato con minuscole perline. Vi indossò sopra un abito viola chiaro, dallo scollo profondo e con l’allacciatura dietro il collo, la cui stoffa leggera accompagnava delicatamente i suoi movimenti, ondeggiando ad ogni movimento dei fianchi e facendola apparire più femminile e delicata. Osservandosi nello specchio illuminato di traverso da un raggio di luce che filtrava attraverso le tende, Tori lisciò parte della stoffa con la punta delle dita, ruotando appena su sé stessa, indecisa. Quello non era di certo il suo primo appuntamento – la stessa esistenza di Lexi ne era una prova – ma era la prima volta che Victorianne si sentiva particolarmente nervosa e, sebbene faticasse ad accettarlo, emozionata. Infilò nello zainetto di pelle marrone un pareo di cotone leggero che avrebbe potuto usare come asciugamano, recuperò i sandali con allacciatura alla schiava e scese di sotto, diretta in cucina, canticchiando tra sé e sé il motivetto di una canzone. «Come mai così di buon umore?» Tori sobbalzò, spaventata, e per poco lo zaino non le sfuggì dalle mani. Seduta sulla poltrona imbottita vicino alla finestra, Edith aveva momentaneamente messo da parte il giornale ripiegato su sé stesso, squadrandola attraverso gli occhiali da lettura. La ragazza si portò una mano al petto, il battito cardiaco ancora irregolare. «Non farlo mai più. Mi hai spaventata a morte.» Replicò, scuotendo il capo e avvicinandosi al bancone della cucina per riempirsi una generosa tazza di caffè. Nel mentre, avvertì lo sguardo di sua nonna sulla schiena. Sembrava quasi che volesse perforarla, leggendole nella mente. Se non avesse saputo che la sua abilità consisteva in tutt’altro, avrebbe temuto che ne fosse realmente capace. Quella donna sapeva essere davvero inquietante, come una vera e propria strega. Erano giorni che la punzecchiava senza staccarle gli occhi di dosso, approfittando di ogni occasione per riportare a galla “l’incontro con il mago”, come Lexi si era premurata di descrivere la giornata in cui avevano conosciuto Pan e Monk, corredando il tutto con una eccessiva dose di dettagli. Inutile dirlo, Edith si era dimostrata sin da subito fin troppo interessata. «Quindi» Esordì, spiegando il giornale. «è oggi che hai appuntamento con Pan?» Domandò, con finta casualità, come se non l’avesse tormentata quasi tutti i giorni per sapere qualcosa di più sul loro incontro. Victorianne sospirò, trattenendosi dal roteare gli occhi al cielo. «Mhh.» Rispose, in segno di assenso, bevendo un lungo sorso di caffè. Non era pronta ad affrontare un nuovo interrogatorio. Edith la squadrò per qualche istante. «Se indossi addirittura un vestito deve proprio piacerti.» Nel deglutire, Victorianne rischiò di strozzarsi. Tossì un paio di volte, tentando di liberare la gola, assumendo un colorito paonazzo. Quando finalmente riuscì a respirare, bevve quel poco di caffè che rimaneva in un solo sorso, abbandonando la tazza nel lavello e sedendosi sul bordo della sedia. Ignorando il sorrisetto compiaciuto di sua nonna, infilò maldestramente i sandali e li allacciò, gettandosi in spalla lo zainetto e recuperando le chiavi della macchina. «Ora devo proprio andare, ci vediamo stasera!» Esclamò, dirigendosi verso l’uscita quasi rappresentasse la sua unica salvezza.
    Come sempre, la sua malandata Volksvagen verde scuro si accese con un rombo quasi assordante e un intenso odore di benzina. Tori abbassò i finestrini e selezionò la posizione che Pan le aveva inoltrato tramite chat, impostandola sul gps. La distanza fu breve e il tragitto tranquillo. Era ancora presto e poche auto si aggiravano per Besaid, nonostante il tempo fosse particolarmente mite e l’aria calda, una carezza piacevole sulla pelle. Dopo aver costeggiato il lungomare, si diresse verso il centro di Besaid e, di lì, in direzione dell’interno del paese, dove si alternavano campi e vallate a boschi più o meno folti, talvolta accompagnati da fiumi limpidi e gelidi. Seguendo le indicazioni del navigatore Tori proseguì in direzione di un bosco poco distante. Mentre guidava, riconobbe in lontananza le roulotte colorate del personale del circo, gli ampi tendoni piantati in uno generoso spiazzo libero. Tuttavia, invece di fermarsi, proseguì oltre, come il navigatore le indicava. Dopo qualche minuto in cui si inoltrava nella boscaglia, attraverso un sentiero battuto, le sorse il dubbio che Pan le avesse inviato la posizione errata. Poco dopo scorse un van colorato ricoperto di adesivi, posteggiato sotto un ampio pino in una radura tranquilla e soleggiata. Rallentò sino a fermarsi e mise in folle, dando un leggero colpo di clacson per avvertire Pan che era arrivata in perfetto orario. Disturbati dal rumore, un gruppo di uccelli si sollevò in aria, cinguettando per protesta. Dal van, tuttavia, non provenne alcun segno di vita. Tori attese qualche minuto, poi spense il motore. Recuperò lo zaino e uscì dall’auto, senza preoccuparsi di chiuderla a chiave; nessuno avrebbe rubato un mezzo tanto vecchio. “Forse non ha sentito la sveglia.” Quella ed altre mille ipotesi più o meno probabili le affollarono la mente mentre percorreva la breve distanza che la separava dall’entrata del van. Giunta davanti alla porta, esitò per un istante, senza sapere bene cosa fare. Infine sollevò il pugno e bussò delicatamente. «C’è nessuno?» Si appoggiò alla porta, in attesa, e questa si aprì lentamente, scivolando di lato. Tori si accigliò, gettandosi una rapida occhiata dietro le spalle. Anche se era pieno giorno quella zona era piuttosto appartata; ormai aveva perso il conto di quanti film dell’orrore iniziassero in maniera simile. «Pan?» Chiamò nuovamente, spingendo delicatamente la porta per mettere piede all’interno della piccola abitazione su ruote. Nella penombra, in un primo istante faticò a mettere a fuoco i contorni del mobilio. Un movimento la colse alla sprovvista e Tori si lasciò sfuggire un piccolo urletto quando, saltando sul bancone del fornello a gas dal nulla, Monk emise una serie di versi concitati. «Monk…» Mormorò, in segno di saluto, con il fiato corto. Era la seconda volta in mezz’ora che qualcuno la terrorizzava. Ora, se non altro, sapeva di essere nel posto giusto. «Dov’è il tuo padrone?» Domandò, istintivamente. Come se avesse compreso la sua domanda, la piccola scimmietta saltò nuovamente sul pavimento muovendosi con aria impaziente, percorrendo il minuscolo corridoio sino a sparire in uno spazio laterale, guardandosi costamente alle spalle per essere certo che la giovane lo stesse seguendo. Fu solo quando si trovò accanto alla porta del minuscolo bagno che Tori avvertì il suono dell’acqua. Forse Pan era ancora nella doccia e non l’aveva sentita arrivare. «Pan! Sono Tori. Va tutto bene?» Chiamò nuovamente, senza sporgersi oltre. L’unica risposta che ottenne fu l’ennesimo verso da parte di Monk, in parte soffocato dallo scorrere dell’acqua. «Ok, sto entrando!» Esclamò a voce alta, prendendo un respiro profondo. Se si trattava di uno scherzo era davvero di pessimo gusto.
    Tenendo lo sguardo rivolto verso il pavimento nel caso in cui Pan si stesse semplicemente facendo la doccia, Tori entrò nel piccolo bagno ricavato sul lato del minivan. Rialzando lentamente lo sguardo, incontrò dapprima il pavimento similmente piastrellato, poi il bordo del piatto della doccia, dal quale si allargava una generosa pozza d’acqua. All’interno della doccia, parzialmente coperto dalla tenda, Pan sembrava quasi rannicchiato su sé stesso, la fronte e la spalla appoggiate contro il muro. Sembrava aver perso i sensi, completamente incosciente. “Merda!” Tori scattò nella sua direzione, pestando la pozza d’acqua e rischiando di scivolare. Aggrappandosi al mobile del lavabo, afferrò degli asciugamani e ne gettò a terra un paio, entrando a sua volta nella doccia completamente vestita. Chiuse l’acqua e si chinò su Pan, inginocchiandosi nella doccia. «Pan!» Lo chiamò, scostandogli i capelli dal viso e dandogli un piccolo colpetto sulla guancia. Portò due dita all’altezza della sua giugulare come le era stato insegnato nel corso di primo soccorso, notando che le pulsazioni erano lievemente accellerate. A dispetto delle goccioline di acqua fresca, la sua pelle era calda, quasi bruciante. «Pan, rispondimi!» Gli gettò addosso uno degli asciugamani più grandi, cercando impacciatamente di scostarlo dal muro. Gli passò un’asciugamano sulle labbra e sul viso, tentando di fargli riprendere colore. Chissà da quanto tempo era rimasto sotto l’acqua. Il ragazzo mugugnò qualcosa, tentando di aprire gli occhi, e Tori gli si fece più vicina, passandogli un braccio dietro la schiena per tentare di sorreggerlo. Il fatto che lui fosse completamente bagnato, nonché decisamente più imponente di lei era un problema. Senza il suo aiuto – o almeno un minimo di collaborazione – non sarebbe mai riuscita a portarlo sino al letto, se non trascinandolo. Gli rifilò un altro paio di schiaffetti sul viso, tentando di fargli riprendere conoscenza. «Pan, guardami. Apri gli occhi.» Nonostante il panico, si obbligò ad utilizzare un tono di voce tranquillo, convincente. Se lo avesse spaventato sarebbe stato solo peggio. Riuscì a scorgere le sue iridi chiare, gli occhi arrossati dietro le paplebre tremanti. «Bravo, così.» Lo incoraggiò. Si sistemò il suo braccio dietro alle spalle e lo afferrò il più saldamente possibile. A corprilo meglio ci avrebbe pensato in seguito. «Siamo nella doccia. Credo tu sia svenuto. Ora dobbiamo alzarci, ok? Dobbiamo arrivare almeno sino al letto.» Glielo ripetè lentamente, sino a quando non lo vide annuire, confuso e stordito. Era chiaramente debole ma sembrava in grado di recepire le sue parole. «Ci alzeremo al tre, ok? Ti aiuto io.» Sussurrò, a pochi centimetri dal suo viso. «Uno. Due. Tre!» Fece forza sulle gambe e tentò di risollevarsi, in parte appoggiandosi contro il muro, piegata sotto il peso di Pan. «Ok, ci siamo quasi. Ora dobbiamo solo arrivare al letto. Usciamo dalla doccia, lentamente.» Lo guidò, allungando un piede al di fuori del bordo della doccia, facendo del suo meglio per spostarsi con movimenti dolci e calibrati, in modo che Pan potesse seguirla senza fare troppa fatica od avere un giramento di testa. Se fossero riusciti a coprire la breve distanza tra il bagno e l’angolo in cui era sistemato il letto, Tori avrebbe potuto provare a spingervelo sopra o – in alternativa – appoggiarlo sul divanetto accanto alla piccola stufa, asciugarlo e coprirlo con una coperta.
     
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    Lucien Pendragon

    Potevano essere passati pochi minuti quanto un paio d'ore, Lucien non avrebbe saputo dire con certezza per quanto tempo era rimasto incosciente. Ad essere onesti, non aveva perso completamente i sensi. Piuttosto la sua mente aveva vagato in posti simili a sogni ad occhi aperti, a volte abbastanza lucida da mettere a fuoco i prodotti del suo subconscio, altre troppo stanca per vedere al di là dell'oscurità. Quelle visioni che aveva non erano di mostri né di tormento, bensì deliri dolcissimi dai quali non avrebbe voluto uscire mai più.
    Vedeva la nonna e ne assaggiava la pasta al forno, la più buona di tutto il pianeta terra e limitrofi, era circondato da molte persone di cui non ricordava i nomi, tutti sembravano venuti sin lì per lui, per salutarlo, come se stesse partendo per un lungo viaggio. Negli sporadici momenti di lucidità, Pan credette di star per morire e che quelle visioni rappresentassero il suo modo di dire addio alle persone che aveva amato e conosciuto. Prima che il pensiero della morte imminente potesse farlo cadere nel panico più totale, l'uomo ricadeva nell'oscurità, preda di altre immagini. In una particolarmente bella, la folla si apriva al passaggio di Tori, che si dirigeva verso di lui fino a fermarsi a pochi centimetri di distanza. Il delirio era tanto realistico che Lucien poteva addirittura sentire nelle narici il profumo dei capelli della ragazza, così reale da essere quasi tangibile. Presto la distanza tra loro venne colmata, un vuoto che si riempie di corpi, e i due si unirono in un bacio appassionato, uno di quelli che si danno e ricevono una sola volta nella vita.«Pan!» Una voce proveniente da molto lontano si intromise tra loro. Lucien l'avrebbe potuta benissimo ignorare, preso com'era in faccende più piacevoli, ma la Tori del sogno si irrigidì sotto le sue mani. Cercò di trattenerla ma lei si divincolò, sfuggendo alla presa dell'uomo. Provò ad allungare le mani verso di lei senza riuscirci, se le sentiva più pesanti di due zavorre di ferro, le guardò allora, gli occhi abbassati che confusamente cercavano di registrare una spiegazione visibile per quell'improvviso atrofizzarsi delle sue membra. Non trovando nessuna ragione logica alzò di nuovo lo sguardo, notando subito che Tori sembrava essersi mangiata il sorriso. Era forse preoccupazione quella che le leggeva sul viso? «Pan, guardami. Apri gli occhi.» Ancora quella voce, questa volta più sonora, udibile, penetrava il delirio con insistenza. E allora Lucien la riconobbe, ma niente aveva un senso in quel momento, perché la Tori di fronte a lui non aveva aperto bocca. Un leggero fastidio sul viso lo riscosse, qualcuno lo stava schiaffeggiando. «Hey, bella gypsy. Un po' di violenza ci piace ma senza esagerate. Che capelli profumati che hai. Sei reale?» Con un sorriso accennato da perfetto pesce lesso, Pan aprì le cerulee saracinesche sul mondo, quello vero, con estrema fatica. Le sentiva abbandonate alla forza di gravità, desiderose solamente di lasciarsi chiudere e continuare a sognare. Il viso di Tori, quella vera, inondava tutto il campo visivo dell'uomo che cercò di protestare. Voleva solo dormire, ma la voce insistente della ragazza gli impediva di abbandonarsi totalmente all'oblio. «Siamo nella doccia. Credo tu sia svenuto. Ora dobbiamo alzarci, ok? Dobbiamo arrivare almeno sino al letto.» Nella doccia? Ma cosa stava dicendo? «Nahhh, nooo. Voglio dormire qui.» Non era più certo di cosa fosse reale o meno mentre, sconquassato dai brividi, sentiva il braccio di Tori sgusciargli intorno alla vita. «Ci alzeremo al tre, ok? Ti aiuto io.» Pan si ritrovò ad annuire, indebolito com'era non credeva di essere in grado di opporre troppa resistenza. Allora la ragazza aveva iniziato a contare, ma Lucien si era dimenticato cosa ci si aspettasse che facesse al tre, e quando quel numero arrivò, non era assolutamente pronto. Di fianco a lui Tori fece forza sulle gambe, sollevando con sé metà corpo dell'uomo. Non si poteva certo dire che Pan fosse uno scricciolo, ma quell'inaspettato movimento muscolare lo riportò al presente, la mente leggermente più lucida di prima. Nonostante le gambe gli sembrassero fatte di gelatina, Lucien capì che avrebbe dovuto impegnarsi a sostenere un po' del proprio peso se speravano di raggiungere il letto senza rompersi le gambe. Usò quella poca forza rimasta per muovere qualche passo che, seppure incerto e traballante, alleggeriva un po' il lavoro di Tori. Le palpebre pesanti si chiudevano e alzavano ripetutamente, incapaci di tenere aperti i battenti troppo a lungo. Un braccio intorno alle spalle di Tori, Pan cercava di non accasciarsi troppo su di lei, solo vagamente consapevole di essere nudo come mamma l'aveva fatto. Il divano era ingombro di cose, da magliette ad una tavola da surf spezzata in due, l'unica alternativa rimaneva il letto. Non ci sarebbe stato nulla di tragico se non fosse per il fatto che fosse situato in alto, accessibile solamente tramite una scala a pioli. «Letto.» indicò con l'indice il soppalco. Parlando così a monosillabi, con i capelli lunghi arruffati e completamente nudo, Lucien sembrava un Tarzan dei nostri giorni: "me Tarzan, tu Jane." Cominciò la salita. Un paio di volte rischiò di cadere e spaccarsi di nuovo la schiena, dove c'erano ancora dei brutti segni rossi dalla caduta precedente. «Porca maga magò...» biascicò contrariato mentre strizzava gli occhi arrossati per cercare di "spannare" il campo visivo, stranamente offuscato.
    Con l'aiuto di Tori(?), Pan si buttò a peso morto sul materasso, restando per qualche secondo lì, a faccia in giù inerme, un grande sacco di patate umano.
    «Allora, com'è? Lo so che mi hai guardato il sedere mentre salivo. Se fossi stato in te io l'avrei fatto. » sghignazzò sollevando di scatto la testa a guardarla, per poi spingersi meglio sul letto appoggiando la testa sul cuscino. Chiuse gli occhi, un flash improvviso di luce gli aveva ferito la cornea. Si lasciò coprire con il lenzuolo verde acqua, gli era sempre piaciuto farsi accudire, sin da quando era bambino. Forse lo amava così tanto perché non era mai successo troppo spesso, avendo perso la mamma persino prima di poterne mantenere un ricordo visivo e il padre che, quando era in vita, non si poteva dire un tipo troppo affettuoso. E anche quando era andato a vivere al circo con l'unica famiglia che gli era rimasta, la dura vita che scandiva quel luogo non lasciava mai troppo spazio alle tenerezze. Certo la nonna era un gioiellino e le altre donne del luogo si prendevano sempre cura dei bambini, ma comunque Pan non si era sentito così male da almeno un decennio. All'improvviso Lucien allungò una mano diretta verso le gambe di Tori, pericolosamente esposte a causa di quel vestito da capogiro. I polpastrelli fecero solo in tempo a sfiorarne la pelle che Lucien le alzò leggermente la gonna, intravedendo il pizzo delle mutandine che indossava. «Uhhhh pizzo? Ecco sì, sei proprio vera e non un'allucinazione. Dovevo esserne sicuro e quello era il metodo più infallibile che conosco. » Ridacchiò di nuovo causandosi una fitta di dolore alla testa. Non aveva il pieno controllo di ciò che faceva e di quello che usciva dalla sua bocca e il Pan in perfetta forma sperava che Tori l'avesse capito. «Mi dispiace per l'uscita, tempo cinque minuti e mi riprendo. Ti porto a mangiare il pesce più buono di Besaid e non ti fare ingannare dal posto un po' squallido: c'erano solo un paio di idioti che hanno lasciato brutti commenti, per il resto le recensioni su tripadvisor erano ottime. Giurin giurello, parola di scout, croce sul cuore. » Si era disegnato il simbolo di una croce parecchio storta all'altezza del cuore, o almeno lì dove la mente annebbiata di Pan credeva si trovasse. In realtà l'aveva mancato di parecchi centimetri, ritrovandosi a tastare la parte destra del petto. Rimase un po' in silenzio, forse si appisolò. Ebbe la sensazione che Tori si fosse un attimo allontanata, qualche rumore in cucina giungeva distorto alle sue orecchie. Ma quando le riaprì, le iridi azzurre incontrarono di nuovo quelle scure di Tori e Pan non poté fare a meno di sorridere di nuovo. «Che fortunato che sono ad avere una crocerossina così sexy.» Il suo sguardo scivolò sulla scollatura della ragazza e sul vestito che indossava, lasciandosi andare in un un lungo fischio, come se lo vedesse per la prima volta. «Hai indossato questo vestito da urlo solo per me?» Tori era davvero da lasciare mozzafiato e no, non lo pensava perché in preda ai deliri della febbre alta. L'aveva colpito sin da subito, non era un segreto, e il solo fatto di averla così vicino lo faceva sentire bene, ancora più accaldato se possibile. Ad un certo punto Lucien si portò le mani all'addome, sommessi lamenti uscivano dalla sua bocca mentre si dondolava un po', in preda ad un presunto dolore. «Credo proprio che sto per morire, Tori. Questa potrebbe benissimo essere l'ultima volta che mi vedi respirare... Mi concedi un bacio d'addio? » Aveva strizzato gli occhi, totalmente preso dalla parte. Era incredibile come fosse in grado di recitare (male) con 40 di febbre. «Il fato avverso ha voluto che il nostro primo bacio sia anche l'ultimo!» Finì la recita con voce melodrammatica, arrestando ogni movimento fingendosi in punto di morte. Dopo qualche secondo Pan aprì un occhio, giusto per vedere la reazione di Tori.
     
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    VICTORIANNE FAWNIE ÅRUD ☾

    Il tono acuto della sua voce rieccheggiò fastidiosamente tra le pareti piastrellate della doccia mentre, con il cuore che le batteva all’impazzata per la preoccupazione, Tori reggeva delicatamente il capo di Pan, reclinandogli lievemente la testa all’indietro e, con la mano libera, gli dava piccoli colpetti sulle guance, tentando di fargli riprendere conoscenza. Forse infastidito dall’insistenza del suo tocco poco delicato, la fronte del giovane si corrugò appena e Pan socchiuse gli occhi, quel poco che bastava per intravedere, attraverso le ciglia bagnate, il bianco del bulbo oculare. Le sorrise, il tono di voce di chi, sino a pochi istanti prima, si trovava lontano mille miglia, cullato dalle dolci realtà immaginare dell’inconscio. «Hey, bella gypsy. Un po' di violenza ci piace ma senza esagerate. Che capelli profumati che hai. Sei reale?» Udendo quelle parole la giovane si lasciò sfuggire un sospiro silenzioso, intimamente sollevata. Se Pan era in grado di parlare e di riconoscerla, per quanto confuso e disorientato dovesse essere, la situazione era sicuramente meno grave del previsto. «Mi hai fatto prendere un accidente. Fallo un’altra volta e sarà peggio per te Tentò di scherzare, chinandosi al suo fianco per staccarlo completamente dal muro freddo e bagnato della doccia. Nonostante fosse più tranquilla, il suo tono di voce risultò venato da una nota di apprensione. Sotto le luci artificali del piccolo bagno, Pan aveva un’aria tutt’altro che rassicurante: più pallido del solito, il viso scavato da occhiaie scure e le labbra tendenti al violaceo mentre, ad un primo tocco, la sua pelle appariva fresca, salvo poi risultare bollente una volta che l’inganno dell’acqua si dissolveva.
    Ignorando le sue proteste, Tori ancorò un braccio attorno ai suoi fianchi nudi, cercando di ignorare il fatto che fosse completamente nudo. Certo, era una situazione piuttosto imbarazzante ma, al momento, la sua principale preoccupazione era quella di riuscire a trascinare Pan fino al letto senza che nessuno dei due rischiasse di scivolare sul pavimento bagnato. Quando si sollevò, il peso di Lucien le gravò addosso, ancora sconosciuto. Ora che non era alterato dalla salsedine, l’odore della sua pelle bagnata la avvolse, ricordandole un sentore primitivo, lontano e quasi dimenticato; era caldo, rassicurante e vagamente selvaggio. Quella vicinanza intima ed inaspettata la accompagnò per tutto il breve tragitto fuori dal bagno mentre, reggendo il braccio di Lucien con la mano libera, i due avanzarono a piccoli passi traballanti, l’equilibrio costantemente minato dallo smarrimento di Lucien che, frastornato e spaesato, collaborava come meglio poteva, faticando persino a tenere gli occhi aperti. «Letto.» Le indicò il soppalco e Tori annuì appena, troppo concentrata sul direzionare il peso di entrami per parlare. Condusse Pan accanto alla scala a pioli e, una volta che il giovane vi si fu aggrappato con entrambe le mani, scivolò sotto il suo braccio e gli si posizionò alle spalle, continuando a sorreggerlo per i fianchi. “Non cadere. Ti prego, non cadere.” Lo scongiurò, tra sé e sé, notando quanto la salita risultasse difficoltosa. Stava per proporgli di liberare il divano quando Pan, già oltre i primi tre pioli, si sbilanciò accidentalmente. Istintivamente, Tori allungò le mani per aiutarlo, serrando gli occhi per non scoprire dove lo stesse effettivamente toccando. Qualche istante dopo un leggero cigolio la avvertì che il giovane circense doveva aver finalmente raggiunto il materasso. Ed eccolo lì, lungo disteso, completamente nudo e con il viso nascosto tra il cuscino e l’ammasso di coperte. Tori non riuscì a trattennere un mezzo sorriso, sollevata che fosse riuscito a raggiungere il letto sano e salvo. «Allora, com'è? Lo so che mi hai guardato il sedere mentre salivo. Se fossi stato in te io l'avrei fatto. » Il sorriso si congelò sulle sue labbra e una sensazione di caldo soffocante la invase, a partire dall’altezza dello stomaco, risalendo sino al suo viso, inarrestabile. Certa di aver raggiunto un colorito paonazzo – cosa più unica che rara, per lei – visibile anche nella penombra che regnava nel piccolo van, Victorianne distolse lo sguardo da quello di Pan, fissandolo sulla pila di magliette sporche lì accanto. Ve ne era una particolarmente interessante, di un debole giallo scolorito, sopra alla quale erano stati gettati del calzini azzurri a pois arancioni. Tossicchiò, sperando di mascherare l’imbarazzo. «Beh, non è che potessi evitarlo se volevo salvarti da una caduta coi fiocchi.» Si difese. La sua mente le ripresentò non solo il ricordo del fondoschiena di Pan, bensì l’immagine del giovane completamente nudo, attraente nonostante la debolezza fisica. Non che fosse difficile ricordarne i particolari; dopo la giornata in spiaggia Tori lo aveva pensato spesso e non sempre i suoi pensieri erano stati propriamente casti. Colpevole, la giovane spostò il peso da una gamba all’altra, incapace di rialzare lo sguardo, forse temendo che lui potesse leggervi ciò a cui stava pensando. “Piantala! Sei imbarazzante!” Si rimproverò, mordendosi l’interno della guancia. Esitò per un istante ed infine tornò a guardare Pan, un’espressione divertita dipinta sul viso. «E comunque non è male. Un otto su dieci, direi.» Esclamò, non senza una certa spavalderia. Tacere sarebbe stata una muta ammissione di colpa e, se tanto valeva, preferiva stuzzicarlo a sua volta, giocando al suo gioco. Inoltre era quasi certa che, con ogni probabilità, Pan avrebbe ricordato poco o nulla di quella “conversazione”.
    Vedendolo chiudere gli occhi, Tori salì sul secondo piolo della scala e si sporse verso di lui, afferrando il lenzuolo leggero e tirandoglielo sino all’altezza del petto. Gli scostò una ciocca di capelli dal viso e posò il dorso della mano a contatto con la sua fronte umida. Era ancora caldo, febbricitante. «Hai qualche coperta? Un termometro?» Gli chiese, facendo vagare lo sguardo sulla piccola abitazione. Il tempo era ancora bello e non faceva particolarmente freddo, tuttavia sapeva per esperienza che, in caso di febbre, la temperatura percepita era spesso assai lontana da quella reale; senza contare che Pan aveva ancora i capelli completamente bagnati. Intenta a indovinare dove potesse trovare ciò di cui aveva bisogno in quel van minuscolo e disordinato, pieno di piccoli souvenir e cianfrusaglie colorate che rispecchiavano perfettamente il carattere del suo proprietario, si accorse solo all’ultimo momento del movimento di Pan, avvertendo le sue dita sfiorarle la gamba sinistra all’altezza della coscia. Il fulmineo contatto con le sue dita calde la colse alla sprovvista, strappandole una risatina sinceramente divertita quando, dopo averle sollevato la gonna, Pan strizzò gli occhi in preda ad una fitta alla testa. Tori appoggiò le braccia sul bordo del letto a soppalcoe vi reclinò il viso, sporgendosi appena verso di lui. «Ti sta bene.» Lo ammonì. «Così impari a non comportarti da gentiluomo. Di questo passo sarà l’ultima volta che vedrai le mie mutande e, se queste ti sono piaciute, sappi che ne ho di molto più interessanti.» Lo punzecchiò, lasciandosi sfuggire un briciolo di malizia. Non potè farne a meno, parzialmente istigata dal comportamento del ragazzo e, al contempo, innegabilmente attratta da lui. Pan le piaceva, e non solo dal punto di vista puramente fisico. Le era bastato trascorrere un solo pomeriggio in sua compagnia per capirlo. In lui c’era qualcosa che non era ancora riuscita a comprendere, qualcosa che la incuriosiva e, allo stesso tempo, la spingeva a fidarsi di lui, dei suoi sorrisi sinceri e innocenti, dei suoi grandi occhi azzurri e della gentilezza che traspariva in ogni suo gesto o parola. «Mi dispiace per l'uscita, tempo cinque minuti e mi riprendo. Ti porto a mangiare il pesce più buono di Besaid e non ti fare ingannare dal posto un po' squallido: c'erano solo un paio di idioti che hanno lasciato brutti commenti, per il resto le recensioni su tripadvisor erano ottime. Giurin giurello, parola di scout, croce sul cuore.» Soffocò una risata contro il proprio braccio, scuotendo appena il capo, sebbene Pan avesse già richiuso gli occhi. Era più che evidente che avrebbero dovuto rimandare l’appuntamento. Le dispiacque ma la cosa non la infastidì. Era chiaro che Pan stesse male e sforzarsi ad uscire in quelle condizioni non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Il tutto senza considerare che non gli avrebbe permesso di essere tanto irresponsabile. «Non fa niente. Possiamo sempre andarci un’altra volta.» Rispose, osservando il suo profilo rilassato. Dopo qualche istante il respiro di Pan si fece più profondo, segno che il ragazzo doveva essersi addormentato. Victorianne indugiò qualche minuto nell’osservarlo, scrutandone i lineamenti mascolini, le labbra contornate da una barba biondiccia e disordinata, il naso diritto e regolare e le palpebre calate sulle iridi chiare. Da quella distanza riusciva persino a vedere come le ciglia gli sfiorassero la pelle delicata sotto la palpebra, vibrando appena ogniqualvolta chissà quale pensiero si agitava nella sua mente addormentata. Era curioso come, a dispetto della sua stazza da uomo fatto e finito, in quel momento Pan apparisse indifeso e vulnerabile come un bambino. All’improvviso le fece un’enorme tenerezza, solo nel suo van, in mezzo ad un bosco sconosciuto in una terra straniera.
    Attenta a non svegliarlo, scese silenziosamente dalla scala e si guardò attorno, alla ricerca di coperte e asciugamani. Spostò un ammasso di vestiti e i due pezzi della tavola dal divano, recuperando una coperta spiegazzata. La portò al viso e la annusò, ritenendo che fosse pulita. Quando si voltò per sistemarla su Pan, si accorse che Monk la stava osservando, improvvisamente tranquillo e silenzioso. «Va tutto bene. Deve solo dormire.» Si ritrovò a dire, come se la scimmietta potesse comprenderla. Che fosse così o meno, una volta udite le sue parole il piccolo primate risalì agilmente la scala a pioli, sparendo nel soppalco, oltre la spalla di Pan. Silenziosamente, Tori sistemò la coperta sopra a Pan e, infine, si diresse in cucina alla ricerca di qualcosa che potesse fargli scendere la febbre. Aprì un paio di sportelli della credenza senza trovare alcun tipo di medicinale e, infine, si chinò davanti al piccolo frigo. Lo spettacolo che l’attendeva, all’interno, era il medesimo che ci si sarebbe potuti aspettare da un giovane scapolo incapace di cucinare: diverse bottiglie e lattine di birra, lattine di coca-cola, due cartoni di latte, una bistecca ancora cruda, mezza crostata alle fragole ricoperta di pellicola trasparente e una grande quantità di avanzi di cibo take away che, a giudicare dall’aspetto, dovevano essere ormai prossimi alla scadenza. Nulla che potesse esserle utile, insomma.
    Sospirando, Tori estrasse tre bottiglie di birra e richiuse il frigorifero. Ne ripose due all’interno di una pentola pulita che riempì di acqua fredda e stappò l’ultima, bevendone un piccolo sorso. Con la bottiglia in mano, si diresse in bagno, recuperando due asciugamani puliti e gettandone altri a terra per assorbire la quantità d’acqua fuoriuscita dalla doccia. Posò i due asciugamani e la birra stappata su una sorta di ripiano che sporgeva accanto al letto a soppalco e, una volta recuperata la pentola, la sistemò su uno sgabello ai piedi della scala a pioli. Salire sul letto con quella in mano sarebbe stata un’impresa e non era il caso di rischiare di rovesciare dell’acqua gelata addosso a Pan, nel caso in cui fosse inciampata.
    Aveva appena recuperato uno degli asciugamani, pronta ad immergerlo nell’acqua, quando ritirandosi incontrò lo sguardo di Pan, nuovamente sveglio. Lui le sorrise e Tori fece altrettanto, senza nemmeno rendersene conto. «Che fortunato che sono ad avere una crocerossina così sexy.» Pan lasciò scorrere lo sguardo su di lei, apprezzando l’abito che indossava. «Hai indossato questo vestito da urlo solo per me?» Ripensando a quanto aveva impiegato per decidere cosa mettere, Tori si sentì piuttosto stupida. Se durante l’adolescenza era stata sin troppo sicura di sé, azzardando mise che la aiutavano a guadagnare più di qualche anno, non le era mai capitato di provare tanta indecisione e nervosismo per scegliere cosa indossare ad un primo appuntamento. Senza contare, poi, che quello tra lei e Pan non era il primo vero e incontro e, anzi, il ragazzo l’aveva addirittura vista in biancheria intima. «Forse.» Rispose, con aria complice e misteriosa. «Anche se devo ammettere che è praticamente impossibile competere con la tua mise.» Aggiunse subito dopo, ridacchiando. Certo, il ritrovarselo davanti completamente nudo era stata una vera e propria sorpresa. Non che Tori avesse intenzione di lamentarsene; peccato che una simile visione fosse stata accompagnata – o rovinata? – dalla febbre alta.
    Nel vedere Pan rannicchiarsi su sé stesso, apparentemente sofferente per un dolore all’altezza dello stomaco, il viso di Tori venne attraversati da un lampo di preoccupazione che, tuttavia, si tramutò in finto risentimento non appena udì le sue parole. Tori gli rifilò un pizzicotto al di sopra delle coperte ma Pan continuò con la sua recita, giunto ormai ad un passo dalla morte. Nel frattempo, Tori immerse l’asciugamano nell’acqua gelida preparata per le spugnature e lo strizzò. Quando Pan riaprì un occhio, in attesa della sua reazione, Tori si sporse verso di lui. «Ah! La crudeltà della morte non riuscirà certo a privarti di tale gesto d’amore!» Esclamò, seguendo la sua recita, sollevandosi sulla punta dei piedi per avvicinare il proprio viso al suo. Prima che le loro labbra potessero toccarsi, però, Tori si ritrasse all’improvviso, facendogli ricadere sulla fronte l’asciugamano bagnato, senza alcun avvertimento. Ignorando la sua reazione – chiunque sarebbe saltato a sedere per lo sbalzo di temperatura – Victorianne recuperò la pentola e la sistemò accanto a Pan. «Stai attento a non rovesciarla.» Si raccomandò, aggrappandosi al bordo della scala a pioli. Salì sul letto a soppalco e si sistemò sul bordo, ai piedi di Pan, iniziando a slacciare i sandali che lasciò ricadere sul pavimento, con un tonfo leggero. «Ho trovato solo una coperta. Hai ancora freddo?» Gli chiese. «In compenso non ho trovato medicine e nemmeno il termometro, quindi temo che dovrai accontentarti dell’acqua gelida.» Scivolò verso di lui, facendosi spazio vicino al bordo del letto. Incrociò le gambe e recuperò la pentola contente le due birre (al posto del ghiaccio) e l’acqua, sistemandovela in mezzo. Immerse il secondo asciugamano e riportò lo sguardo su Pan, scoprendolo dal lenzuolo sino all’altezza del petto. Nel farlo, si sforzò di non indugiare con lo sguardo sulla linea delle spalle e, più in basso, quella dello sterno che conduceva al suo torace ampio e ben definito, dalla pelle liscia e calda. «Potrebbe essere un po’… freddo.» Lo avvertì, stavolta, appoggiando l’asciugamano bagnato nell’incavo del suo collo. Lentamente, ripetè lo stesso processo su tutta la parte esposta del suo corpo, premurandosi di immergere nuovamente l’asciugamano nell’acqua ogni volta che si scaldava, a contatto con la pelle di Pan. Nel mentre avvertiva lo sguardo di Pan su di sé e, sebbene non fossei lei quella praticamente nuda, le parve che i suoi occhi fossero in grado di oltrepassare gli abiti, come una carezza invisibile sulla pelle. «Ok, fammi sentire la fronte.» Esclamò, interrompendo il silenzio e togliendogli la pezza bagnata dalla fronte. Si allunò verso di lui, quasi distesa al suo fianco, mantenedo una mano stretta attorno al manico della pentola per evitare che, con un movimento di troppo, la facessero cadere a terra. Chinandosi su Pan con il viso, gli solleticò la guancia con i capelli, posandogli le labbra sulla fronte. Dopo la prima sensazione di fresco dovuta alle spugnature, avvertì il calore febbrile. Si allontanò appena ed abbassò lo sguardo su Pan. «Sei ancora bollente. Hai mal di testa?» Domandò, incontrando i suoi occhi chiari. Erano lucidi ed arrossati ma non per quello meno belli. D’un tratto Tori fu sin troppo consapevole della loro vicinanza, del calore del suo corpo attraverso il lenzuolo, dei centimetri di pelle scoperta e del suo odore, amplificato dai capelli umidi, ovunque tra le lenzuola e in quel piccolo van. Il respiro lievemente irregolare di Pan le sfiorò le labbra, attraendo i suoi occhi come una calamita. Lo sguardo di Tori scivolò in basso, oltre le lucide iridi azzurre, quasi trasparenti in preda alla febbre, sino alle sue labbra sottili ed invitanti. Probabilmente sarebbe anche andata oltre se un briciolo di lucidità non l’avesse riscossa, salvaguardando appena in tempo la sua dignità. Si schiarì leggermente la voce. «Sai, forse ho davvero scelto questo vestito sppositamente per te. E forse ti ho pensato un po’ troppo spesso in questi giorni ma, soprattutto, adesso potrei avere anche io una gran voglia di baciarti.» Ammise, senza essere in grado di frenarsi, utilizzando le medesime parole che li le aveva rivolto sulla spiaggia. Come in quel momento e ancora di più, Tori si sentiva attirata verso di lui da una forza invisibile ed inspiegabile. Desiderava sentire la sua pelle sotto i polpastrelli, posare le labbra su quelle di lui e scoprire i sapori dei suoi baci, affondare le dita tra i suoi capelli e sentire, per la prima volta, la sensazione dei loro corpi l’uno contro l’altro. Incapace di resistere, lasciò che fosse l’impulso a guidarla, sporgendosi sino a che le loro labbra si incontrarono, dapprima solo sfiorandosi delicatamente, dando vita a un bacio incerto, fragile e, forse, persino timoroso mentre il battito del proprio cuore, che si agitava furiosamente nel petto, le sembrava quasi assordante.
     
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    Lucien Pendragon

    Come fossero riusciti a non cadere sul pavimento bagnato del bagno spaccandosi entrambi la testa era uno di quei misteri che mai sarebbero stati svelati. Mezzo incosciente, Lucien poteva comunque avvertire la preoccupazione nel tono di Tori e ne sorrise debolmente. Un bambino di quasi due metri tutto muscoli e capelli, Pan adorava lasciarsi accudire, tanto meglio se fosse la ragazza a coccolarlo. Non credeva alla stupidaggine de "gli uomini forti e duri non hanno bisogno di niente" e Pan si lasciava andare senza che la mascolinità di cui era provvisto venisse intaccata. Abituato com'era alla mani callose e impazienti delle anziane del circo, il tocco leggero e dolce di Tori risultava essere un'alternativa tanto diversa quanto piacevole per Pan, che fece comunque del suo meglio per aiutarla nel difficile compito di sostenere il suo peso. Nonostante l'avesse conosciuta solamente poche settimane prima, era stato da subito colto dal senso materno che sembrava scaturire da ogni movimento che Tori compiva. Generalmente, nove uomini su dieci sarebbero scappati via non appena avessero intravisto quella luce e il modo in cui Tori si approcciava alla figlia. Non volevano sentirsi in trappola, si consideravano ancora troppo giovani per stare dietro ad una figlia che, forse era questa la cosa che più non gli andava giù, non era neanche loro. Al contrario, Pan era rimasto affascinato dal modo in cui madre e figlia si muovevano, coordinate, come se fossero pezzi divisi di uno stesso, magnifico meccanismo. Nel vederle gravitare l'una intorno all'altra, Lucien si era sentito in pace con il mondo, perché la bellezza di quella simbiosi era così grande da spingerlo a volerla ricordare per sempre. Le avrebbe guardate per ore, se solo avesse potuto, nel disperato tentativo di imprimere ogni dettaglio nella testa per non dimenticarlo mai più. Era così, il mago, innamorato di tutto ciò che possedesse una bellezza intrinseca inscindibile dalla materia.
    Lucien andava e veniva dal mondo dell'incoscienza, bastava un battito di ciglia per cambiare lo status della sua mente che non era mai stata così leggera. Era raro trovare l'uomo in quelle condizioni, di solito invece sempre sulla cresta dell'onda o dell'attività successiva, senza freni. In quel momento, nonostante la confusione che la febbre alta causava nella sua testa, Pan aveva una lucidissima percezione del corpo di Tori, piccolo e caldo, contro il suo. Forse era per via della sua nudità, ma i sensi dell'uomo non erano mai stati così lucidi. Era come se ogni poro della sua pelle avesse drizzato le antenne, consapevole della vicinanza di una superficie opposta ma compatibile, perfetta per loro. La salita verso l'Olimpo fu faticosa e alquanto pericolosa. Venne anche salvato dalle mani di Tori che si richiusero prontamente sulle sue chiappe prima che ruzzolasse al suolo come un insetto capovolto. Poi chi l'avrebbe rialzato?
    Al sicuro sul soppalco e sdraiato sul materasso, la testa gli girava più di quando era stato in piedi. «Beh, non è che potessi evitarlo se volevo salvarti da una caduta coi fiocchi.» Abbozzò un sorriso da ebete, scrollando le spalle mentre diceva piano. « Il solo fatto che tu abbia voluto salvarmi dimostra quando ti piaccia. Avresti potuto lasciarmi cadere, nessuno ti avrebbe incolpata. E invece hai deciso di stringermi il sedere e mettermi in salvo. Eterno debitore. » Si portò una grande mano sul cuore, dove rimase, tanto fosse Pan privo di energie. Le piaceva, quella ragazza. Le piaceva da pazzi. Non era sicuro di quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che si era sentito così attratto da qualcuno. Era stata questione di secondi, l'aveva vista e puff, non ci aveva capito più nulla. Non era la prima volta che Pan provasse attrazione per una donna appena incontrata ma, più ci pensava e meno riusciva a ricordarne una così forte. Non era solamente fisica. Pan aveva passato più di qualche notte ad immaginarsi il modo in cui i loro corpi si sarebbero perfettamente incastrati. Una sorta di intesa "spirituale" non aveva mancato di farsi immediatamente sentire tra i due, come filamenti di colla vinilica flessibili ma resistenti. Si allungavano, arrivando anche a misurare i diversi chilometri che si snodavano fra le loro rispettive abitazioni, ma tornavano sempre a restringersi e spingerli nuovamente l'uno vicino all'altra. «E comunque non è male. Un otto su dieci, direi.» Per poco non soffocò nella sua stessa risata che, sebbene affaticata, non poteva essere più genuina. Tossicchiò, la saliva che per via della posizione orizzontale del suo corpo aveva sbagliato tubo in cui scivolare. «Pardon me? Ho sentito bene? Passo intere ore in palestra per avere questo sedere qui quindi, por favor, mostra un po' di apprezzamento.» Era buffo in cui Tori sentiva la necessità di scherzare sempre per nascondere l'imbarazzo. Pan lo trovava tenero, nonostante il rossore sulle sue guance lo fosse ancora di più. «Comunque è sempre così, votate per difetto, dite una cosa per dirne un'altra. Quindi, a conti fatti, il tuo otto è un dieci con lode. Le capisco io, voi donne.» Aveva alzato un indice che le brandiva contro neanche fosse un coltello affilato. Nei suoi trent'anni di vita ne aveva incontrate di donne Pan. Asiatiche, sudamericane, italiane, tutte dalla pelle, cultura e lingua diversa ma con una sola cosa in comune: il fatto di essere donne. In condizioni normali forse non se ne sarebbe vantato in quel modo ma Pan aveva imparato a conoscere il sesso femminile anche molto bene. Il solo fatto di essere cresciuto in un circo in cui il 75% dei componenti erano donne, la diceva lunga sull'esperienza che aveva nel farci i conti. Sapeva le loro piccole manie, i sorrisi, le battute e cosa volessero sentirsi dire, ognuna con le proprie differenze, eppure non avrebbe mai avuto l'arroganza di asserire di capirle al cento per cento. Essere donna era un'esperienza che nessuno uomo poteva aspirare a comprendere e Lucien lo rispettava. Pan sbuffò, scuotendo piano la testa come se avesse paura che i collo potesse spezzarsi. Sicuramente la sensazione era quella, perché quando allungò le mani sulle gambe di Tori gli sembrò che la testa fosse sul punto di aprirsi come una noce di cocco essiccata sotto un sole tropicale. «Così impari a non comportarti da gentiluomo. Di questo passo sarà l’ultima volta che vedrai le mie mutande e, se queste ti sono piaciute, sappi che ne ho di molto più interessanti.» Si mise una pano sulla fronte, sentendola ribollire sotto i polpastrelli. «Nessuno ha mai messo in dubbio le mie doti cavalleresche...» Sussurrò, incapace di commentare alcunché sulla minaccia di non vedere mai più un'altro pezzo di biancheria intima di Tori. «Sarebbe una privazione troppo grande da sopportare...» Finto - ma non troppo - dolore perché, nonostante credesse fermamente il contrario, in realtà sapeva di non essere propriamente un cavaliere. A modo suo lo era, ma non di certo come quotava il dizionario di Oxford sotto la definizione di "gentiluomo". Pan era molto dolce, rispettoso di ogni essere umano, ma aveva uno o due peccati, tre o quattro vizi sul groppone impossibili da nascondere. Truffava la gente, piccole cose, niente di ché, ma lo faceva; beveva, spesso e troppo, finendo per cacciarsi in qualche guaio; giocava d'azzardo, era una passione a cui proprio non riusciva a fare a meno. Però trattava sempre bene le donne, non rubava quelle degli altr- ah no, era successo in qualche occasione, vabbè - faceva la raccolta differenziata e rifiutava le cannucce al bar per salvare il pianeta dall'invasione della plastica, amava la natura, gli animali e meditava persino qualche volta. Insomma, un uomo da sposare!
    Pan dovette essersi addormentato, perché non sentì nessuna delle domande che Tori gli pose riguardo alla presenza di una coperta e di un termometro. Non avrebbe trovato nessuno dei due, comunque, dato il disordine che regnava nella casa di Pan e che si rifletteva in ogni aspetto della sua vita. L'organizzazione non era proprio il suo forte, così come la mania di dover incasellare ogni cosa in una scatola predefinita. Pan era quel genere di persona a cui piace vivere nel caos, che sa sempre dove trovare le forbici sepolte sotto cumuli di scatoloni e a cui piace collezionare souvenir insoliti dai suoi viaggi. Il suo disordine aveva un ordine per lui, ed era quello l'importante. Quando riaprì gli occhi dal pisolino ristoratore, Pan si ritrovò a guardare le iridi scure di Tori. "E' ancora qui, non me la sono sognata." Trasse un sospiro di sollievo, il sorriso che non poteva fare a meno di apparirgli sul volto più pallido del solito. In quel momento avvertì la rassicurante presenza di Monk di fianco a lui. La scimmietta si era infatti raggomitolata su sé stessa al suo fianco, una piccola ciambella di pelli marroni. Doveva avergli fatto prendere un grande spavento.
    Si sentiva leggermente meglio, come se quei pochi minuti di sonno comatoso gli avessero restituito qualche energia in più rispetto a prima. Concentrandosi di nuovo di Tori, Pan la squadrò da capo a piedi, irresistibile avvolta in quel vestito leggero. Si divertiva a fare la ragazza misteriosa e la cosa, invece che farlo desistere, intrigava l'uomo ancora di più. Con la risata sulle labbra, a quel complimento Lucien alzò un braccio e lo piegò. La contrazione provocò il gonfiarsi dei muscoli e in quel modo i bicipiti si scolpivano in tutta la loro gloria. «Puoi toccarli se vuoi!»
    "Ecco, ci siamo!" pensò Lucien quando, dopo la sua breve messinscena, Tori si piegò su di lui, le labbra a pochissimi centimetri dalle sue. Dal canto suo Pan era pronto, prontissimo, tanto da aver già chiuso gli occhi e proteso leggermente il collo verso di lei per accogliere quel tanto agognato bacio, il cuore che iniziava a battere un po' più freneticamente. Quello che però non si aspettava, era l'asciugamano impregnato d'acqua ghiacciata che gli piombò sul viso. Scattò a sedere come una molla, ogni singolo osso del corpo che gli doleva come se fosse stato investito da un tir a 100 km orari. Il contrasto di temperatura gli mozzò il respiro in petto mentre Lucien sputacchiava allontanato l'infernale ghiacciolo dal suo corpo come fosse acqua santa per il demonio. La guardò con disappunto, ma fu questione di attimi perché si ritrovò a ridere. «Sei proprio una megera gypsy.» L'aveva messo al suo posto, questa cosa gli piaceva.
    La osservò arrampicarsi vicino a lui, i sandali che cadevano con un tonfo sul pavimento al di sotto di loro. Quando incrociò le gambe l'uomo sorrise, non resistendo all'impulso di vedere se si scorgeva qualcosa, li in mezzo. Non rimase sconvolta dall'assenza di termometri e altre diavolerie chimiche, la sua famiglia vantava tutti rimedi naturali dal sapore nauseante. Si lasciò coprire fino a metà pancia, in quel momento Lucien si sentiva bene. Aveva ancora molta febbre e la testa gli faceva un male cane, ma la tenerezza e la simpatia di Tori servivano da antidolorifico. Tori gli rivolse talmente tante domande che Pan non riuscì a starle dietro, finendo per confondersi. Il contatto sul suo collo e sul petto lo fece trasalire, ma era niente a confronto dei polpastrelli delle dita di Tori che ogni tanto, saltuariamente, gli sfioravano lo sterno. La osservava mettere una grande cura in quei movimenti e gli venne da domandarsi il perché si mostrasse così gentile e apprensiva con uno sconosciuto, scostumato per giunta. «Sto bene, davvero. Ora va molto meglio.» Le disse con voce bassa e un po' roca mentre una mano andava a chiudersi a guscio sul dorso di quella di Tori, bloccandola sul suo petto donandole anche un sorriso a mo' di ringraziamento. Furono pochi secondi nei quali Lucien avvertì tutta la potenza di quel tocco, mentre continuava a fissarla in viso come volesse guardarle dentro. Poi Tori si mosse, interrompendo quel contatto per allungarsi sopra di lui, i capelli sulla guancia, le labbra sulla fronte. Furono loro le artefici della temperatura alle stelle che Tori definì "bollente", Pan ne era sicuro. Poté quasi sentire l'aria intorno a loro cambiare mentre dallo scherzo si passava, forse, a qualcosa di più profondo. Le molecole di HO2 sembrarono raggruppasti, farsi più vicine mentre dense plasmavano i contorni di quei due corpi così vicini come non lo erano mai stati. Pan non rispose, non era certo di sapere se quel pulsare ritmico fosse dovuto al mal di testa o semplicemente causatogli dal cuore che, come se avesse capito qualcosa che Lucien ancora ignorava, batteva nel suo petto all'impazzata. «Sai, forse ho davvero scelto questo vestito sppositamente per te. E forse ti ho pensato un po’ troppo spesso in questi giorni ma, soprattutto, adesso potrei avere anche io una gran voglia di baciarti.» Colpito e affondato, Pan non riuscì a muovere un muscolo perché ci pensò Tori. Iniziato come il primo, timoroso e incerto battito d'ali di una neo farfalla, le loro labbra si unirono per la prima volta, lasciando il cuore di Pan da qualche parte nell'imbottitura del materasso sotto di lui. Ci fu qualche secondo di sospensione prima che il corpo di Lucien rispose, prendendo letteralmente una scossa elettrica. Si sporse verso di lei, la essa che lasciava il cuscino per baciarla meglio, più in fondo. Schiuse le labbra, il sapore di quella bocca che si conosceva per la prima volta con la sua. Le afferrò i fianchi fra le mani, spingendola a salirgli sopra, una gamba di qua e una al di là del suo bacino. Sebbene ci fosse il lenzuolo ancora a dividerli, averla contro in quel modo con quel vestito aveva già fatto in modo che il corpo di Lucien rispondesse all'impulso naturale di quella chiamata, un riflesso di cui non poteva farci niente. Si tirò su, un po' debolmente ma riuscì a poggiare più o meno la schiena contro il muro, lei ancora seduta sopra e quindi un po' più in alto di lui.
    Le dita della mano destra si andarono a intrecciare in quei bei capelli scuri, mentre quella della sinistra afferravano la bretella del vestito che tesero, per poi lasciarla andare e farla schioccare piano sulla sua pelle. Le sorrise passandosi la punta della lingua sulle labbra umide di lei. Voleva prendere ogni residuo che aveva di Tori. Alla fine le abbassò una spallina, il vestito viola che scivolava su un seno sul quale Lucien chinò il viso per baciare. Fu una scia di piccolo baci che risalirono verso lo sterno e poi al collo affusolato su cui sostarono le labbra dell'uomo. Le schiuse, succhiando leggermente la pelle di Tori senza però farle male.
    L'uomo Le passò le mani sulle gambe scoperte, partendo dalle ginocchia fino ad arrivare alle cosce che strinse lievemente sotto i polpastrelli , spingendosi un po' sotto al vestito, fino alla piega che formavano con l'inguine. Continuavano a baciarsi, il respiro prima leggermente alterato dalla febbre ora cavalcava in una corsa impazzita. Gli piaceva sentire il suo fiato contro le labbra, la lingua che esplorava la sua e la sensazione di quel corpo così vicino al suo. Si fermò con le mani sotto al suo vestito e la guardò per qualche secondo. Il lenzuolo era scivolato più in basso, al di sotto dell'ombelico di Lucien e il ventre si alzava e abbassava velocemente. Inspirò profondamente, come a riprendere fiato e forse a calmare i bollenti spiriti. C'era una cosa che doveva fare. «Tori Tori Tori... Aspetta. Devo dirti due cose. » Distanziò un attimo il viso da quello di lei. « Uno: se superiamo questo punto, non riuscirò più a tirarmi indietro.» Disse mentre la guardava dal di sotto, le mani che facevano sue e giù sulle sue cosce e gli occhi lucidi e arrossati ma lo sguardo incredibilmente vigile al momento. «Due: sono lucido, lucidissimo. Non mi sto perdendo neanche un secondo di questo momento. E che mi piace da morire. » Quelle erano tecnicamente tre cose, ma Pan neanche ci fece caso. Voleva ricordarselo per sempre, perché nessuno dei sogni deliranti o lucidi che aveva fatto nelle ultime settimane avrebbero mai potuto competere con ciò che stava accadendo lì, sul soppalco di quella casa mobile, sotto le sue mani sul caldo corpo di una delle ragazze più straordinarie su cui Pan avesse mai posato le iridi chiare.
     
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    VICTORIANNE FAWNIE ÅRUD ☾

    Nel corso della sua vita, Tori aveva ricoperto innumerevoli volte il ruolo di “infermiera”; dapprima, per i suoi fratelli maggiori, quando Leonor doveva lavorare e i maschi Årud, relegati a letto per chissà quale malanno, la tormentavano con richieste di ogni tipo, dall’andare a comprare medicine a stupidaggini come portare loro un bicchiere d’acqua od un panino, per il mero divertimento di vederla fare avanti e indietro dalle loro camere alla cucina. In genere, ciò accadeva unicamente quando ormai erano guariti, troppo energici per restare ulteriormente rinchiusi in casa senza qualcosa che mantenesse “viva” la loro attenzione ma, al contempo, troppo pigri e amabilmente coccolati per abbandonare volontariamente le comodità ed i servizi che offriva loro. Bastava poco per scrollarseli di dosso: la minaccia di farsi sostituire da Edith e dai suoi intrugli disgustosi era sufficiente a farli impallidire e, improvvisamente, aiutarli a recuperare del tutto le forze. Lexi, invece, era una paziente decisamente più semplice da trattare: i suoi anticorpi erano abbastanza resistenti da farla ammalare sì e no un paio di volte l’anno, quando un’influenza coi fiocchi – con gli sgraditi strascichi di un raffreddore che rischiavano di infettare l’intera famiglia – le impediva di fare qualunque cosa se non dormire; ad ogni modo, grazie a bevande e tisane di dubbio gusto ma estremamente efficaci, in meno di una settimana era sempre come nuova e – se possibile – ancor più allegra di prima. Si poteva dire, dunque, che Tori fosse ormai piuttosto a suo agio nel prendersi cura degli altri, sebbene il muoversi in uno spazio che non le era familiare senza sapere quali risorse avrebbe potuto trovare la disorientasse non poco e, soprattutto, non fosse avvezza a spostare da sola uomini fisicamente fatti e finiti. Dopo aver arrancato faticosamente verso il letto, fu un sollievo vedere – o meglio, sbirciare tra le dita – Pan raggiungere il soppalco sano e salvo. Tori si concesse un sospiro di sollievo, talmente sollevata da fare spallucce alla provocazione del giovane prestigiatore. « Il solo fatto che tu abbia voluto salvarmi dimostra quando ti piaccia. Avresti potuto lasciarmi cadere, nessuno ti avrebbe incolpata. E invece hai deciso di stringermi il sedere e mettermi in salvo. Eterno debitore. » Roteò palesemente gli occhi al cielo, emettendo un curioso suono a metà tra uno sbuffo ed una risata, quasi si stesse assumendo le proprie colpe. No, non aveva sbirciato il suo fondoschiena ma, ricordando il resto del corpo di Lucien coperto solo da un paio di boxer arancione fosforescente, era piuttosto certa che nulla, di lui, avrebbe potuto deluderla. Al contrario, Lucien non parve particolarmente soddisfatto dal suo giudizio. «Pardon me? Ho sentito bene? Passo intere ore in palestra per avere questo sedere qui quindi, por favor, mostra un po' di apprezzamento.» Fissandolo dal basso, Tori inarcò appena un sopracciglio, prima di spalancare gli occhi castani, fingendosi impressionata. «Comunque è sempre così, votate per difetto, dite una cosa per dirne un'altra. Quindi, a conti fatti, il tuo otto è un dieci con lode. Le capisco io, voi donne Prima che potesse aggiungere qualunque cosa, però, Pan continuò a snocciolare perle di saggezza, agitandole contro il dito indice come una sorta di silenziosa minaccia. Tutta quella faccenda era piuttosto buffa, considerando che stavano parlando di un paio di spettacolari chiappe. «Wow Replicò, in un sussurro. Gli si avvicinò, sollevandosi sulle punte per poterlo fissare negli occhi, le braccia appoggiate al bordo del letto, sul viso dipinta un’espressione a metà tra il sognante e l’impressionata. «Ora sì che inizio ad avere delle alte aspettative.» Aggiunse, mentre nelle iridi scure brillava un lampo di malizia. Non riuscì a farne a meno: l’ironia era qualcosa di profondamente insito in Tori e, quando incontrava qualcuno in grado di fronteggiarla scherzosamente, il suo lato più giocoso veniva naturalmente a galla. Pan, poi, aveva il non misero vantaggio di piacerle abbastanza da spiazzarla con il suo modo di fare diretto e (spaventosamente) sincero, costringendola a ricorrere allo scherzo per nascondere – o, per lo meno tentare – il proprio imbarazzo. Non che si sentisse davvero a disagio; era più una sensazione simile a quella provata all’epoca della sua prima cotta: anche solo trovarsi nella stessa stanza di Pan le procurava un vago batticuore ed aveva costantemente i nervi a fior di pelle, come se il suo corpo fosse a sua volta istintivamente consapevole della presenza del prestigiatore, di ogni suo movimento e dello spazio che li divideva. Tutto ciò l’aveva colta alla sprovvista sin da quando, nei giorni precedenti il loro appuntamento, si era ritrovata a sorridere ogni volta che il pensiero di Pan si affacciava nella sua mente. Come suo solito, Tori aveva cercato di comportarsi normalmente e mettere a tacere qualunque acerba “romanticheria” – se così era possibile definirle - ma, in quel preciso istante, essere indifferente all’insieme di emozioni che provava le era impossibile. «Nessuno ha mai messo in dubbio le mie doti cavalleresche...» Tori ridacchiò, scuotendo il capo. Chissà perché era convinta che quella fosse la verità: anche se Pan l’aveva colpita, conservava ancora abbastanza buon senso da giungere alla conclusione di non essere la prima – e probabilmente nemmeno l’ultima – ad essere rimasta affascinata dal sorriso e dagli inusuali modi di fare del giovane. «C’è una prima volta per tutto.» Replicò, con un piccolo moto di orgoglio, calandosi perfettamente nella parte di una signorina per bene (?) vagamente offesa. Dall’esterno doveva essere una recita piuttosto bizzarra: quel ruolo non le si addiceva granchè considerato il suo passato e, se la stessa Tori faticava a prendersi sul serio nei panni di una giovane modesta e timorata di Dio, non avrebbe certo potuto bacchettare Pan se il giovane fosse scoppiato a ridere. Invece, cedendo alla stanchezza, Pan si abbandonò al mondo dei sogni, l’espressione vagamente più rilassata ed il torace nudo che si alzava ritmicamente, producendo unicamente un leggero russare in risposta alle domande di Tori. Victorianne approfittò di quella breve distanza per osservarlo, lasciando vagare discretamente lo sguardo sul suo viso. Nonostante fosse visibilmente accaldato, la fronte imperlata di un lievissimo strato di sudore, ed il colorito risultasse più pallido del solito, lasciando spiccare intense occhiaie sotto gli occhi, Pan era comunque dannatamente attraente. Maledicendo quella crudele ingiustizia – lei, da malata, era più spaventosa della malvagia strega dell’Ovest – recuperò una coperta e gliela gettò addosso, rimboccando gli angoli del lenzuolo, prima di preparare l’occorrente per le spugnature. “Forse sarebbe meglio preparare qualcosa da mangiare.” Pensò, mentre immergeva l’asciugamano dentro la pentola piena di acqua fredda. Il frigo di Pan non era del tutto vuoto ma di certo non conservava nulla che fosse facilmente digeribile per qualcuno che si era appena preso un’influenza con i fiocchi. Aveva appena formulato quel pensiero quando, alzando lo sguardo, si accorse che Pan si era svegliato da quel breve sonnellino. Sebbene avesse ancora gli occhi lucidi e l’espressione stanca, quei pochi minuti di sonno sembravano avergli restituito il buonumore ed abbastanza energia per prenderla in giro, mostrandole i muscoli del braccio (come se Tori non li avesse già notati da sola!) e prodigandosi in una messinscena di mortale sofferenza, pur di ottenere un bacio. Bacio che arrivò sotto forma di un asciugamano pregno di acqua gelida che, senza pietà, Tori gli gettò sul viso. Colto alla sprovvista dalla bassa temperatura, il giovane circense scattò a sedere e trattenne il fiato, rifilandole un’espressione contrariata che, dopo qualche secondo, si sciolse in una risata. «Sei proprio una megera gypsy.» Tori sorrise, apprestandosi a salire sul letto a soppalco. «Lo prenderò come un complimento… per tua fortuna.» Rispose, scoccandogli un’occhiata fintamente minacciosa. In un certo senso, quella definizione le si addiceva perfettamente – o almeno, così avrebbero giurato i suoi fratelli.
    Gattonò sino al suo fianco e si sedette come meglio poteva, bagnando l’asciugamano per tentare di abbassargli la temperatura; era abituata a ricorrere a rimedi casalinghi ma all’interno del minivan aveva trovato poco o nulla che potesse esserle utile. E, a giudicare dalla confusione sul viso di Pan, era quasi sicura che nemmeno il mago avrebbe saputo dove mettere le mani per ripescare un termometro o altri intrugli nauseabondi efficaci nel trattamento della febbre. Bagnò la pezzuola e la posò sul collo di Pan, tamponando delicatamente la zona della giugulare, per poi ripetere la medesima operazione sul suo torace nudo. Si obbligò a mantenere lo sguardo fisso sulle proprie mani, conscia di come quello di Pan fosse fisso su di lei. Era una situazione strana. A memoria, Tori non ricordava di essersi mai trovata in una condizione simile. Forse era solo una sua impressione, eppure l’improvvisa intimità instauratasi tra loro si era cristallizzata in quell’esatto istante, all’interno degli spazi accoglienti del minivan, dove ogni singolo oggetto – il disordine che regnava, gli infiniti souvenir, l’aria stessa – costituiva un riflesso di Pan. «Sto bene, davvero. Ora va molto meglio.» La mano calda di Pan avvolse la sua, trattenendola delicatamente dal proseguire con le spugnature e, nel sollevare lo sguardo, le iridi scure di Tori si fissarono in quelle chiare, quasi cristalline a causa della febbre, dell’uomo per una quantità di tempo indefinibile. D’improvviso, ogni cosa parve smaterializzarsi, effimera o addirittura inesistente. Tutto, all’infuori della mano di Pan sulla sua, del calore della sua pelle, della loro vicinanza in quello spazio ristretto. Tori battè le palpebre e ritirò la mano, chinandosi su di lui per controllare la temperatura. Si accorse solo in quell’istante di aver quasi trattenuto il fiato. Sotto le labbra, la pelle di Pan scottava ancora, la febbre troppo alta per risentire di un rimedio tanto semplice come le spugnature. Quasi sdraiata al suo fianco, la consapevolezza della loro vicinanza divenne innegabile. Tutto ciò che avvertiva era Pan: il contatto tra i loro corpi, il calore emanato dalla sua pelle, il suo odore, il suo respiro che le sfiorava il viso, insinuandosi tra le sue labbra socchiuse come un invito a cui le fu impossibile resistere. Ogni singola molecola di cui il suo corpo era composto rispose al richiamo di quello di Pan ed ogni pensiero nella mente di Tori svanì, dissipando ogni timore nell’istante in cui le labbra dell’uomo presero a muoversi sulle sue, approfondendo quel primo e superficiale contatto. Docilmente, schiuse le labbra per accogliere le sue, sfregandovi contro le proprie per imprimerne il sapore nella mente. La presa di Pan sui suoi fianchi, gentile ma decisa, le procurò un brivido; era sufficiente il contatto con le sue mani, attraverso la stoffa leggera dell’abito, per stordirla. Assecondandolo, Victorianne scivolò a cavalcioni su di lui, sempre meno lucida ad ogni bacio, ad ogni respiro. Nel compiere quel movimento urtò la pentola piena d’acqua che, con un tonfo che rimbombò per tutto l’abitacolo, cadde sul pavimento, spargendo acqua ovunque e procurando un grido di spavento da parte di Monk. Nessuno dei due vi fece caso; l’attrazione che vi era stata tra loro sin dal principio iniziava a librarsi, sino a quel momento alimentata sottilmente come i tizzoni di un braciere ardente, in grado di prendere fuoco al minimo soffio di vento. Il cuore le batteva all’impazzata e Tori li avvertiva il sangue scorrere velocemente in ogni punto del suo corpo, dal petto alle tempie, sino alla punta delle dita con cui, lentamente, percorreva la mascella di Pan, prendendogli delicatamente il viso tra le mani. Inclinò il capo di lato, avvertendo le dita di Pan affondare tra i capelli e sfiorarle la cute, prima che un piccolo verso di lamento – di sorpresa, più che di vero e proprio dolore – per lo schiocco della bretellina del vestito sulla pelle, venisse soffocato contro le labbra dell’altro. Talmente vicini da respirare la stessa aria, Tori vide Pan sorriderle, prima di passarsi la lingua sulle labbra. Ne seguì il movimento come ipnotizzata, la lingua rosea che scivolava sulle labbra sottili e morbide, contornate dalla barba disordinata, prima di sparire nuovamente dietro i denti dritti e curati. Quella semplice provocazione – e la sua istintiva associazione a pensieri tutt’altro che casti ed innocenti – fu sufficiente a procurarle un fremito che, suo malgrado, Tori non riuscì completamente a reprimere. Si sentiva quasi incapace di riprendere il controllo del suo corpo, come se la sua lucidità fosse stata relegata in un angolo lontano della propria mente, imbavagliata e prigioniera del puro istinto. Prima di allora, mai aveva provato una complicità tanto intensa come quella che, dal loro primo incontro, si era instaurata con Pan. Se lucidamente non riusciva a fare a meno di sorprendersi per la semplicità con cui si comprendevano a vicenda, una parte di lei si adattava e smussava volontariamente per adeguarsi a lui, intuendo ed assecondando ogni sua tacita intenzione o movimento come se si conoscessero da sempre. Era una sensazione insieme inspiegabile ed inebriante.
    Lucien afferrò la spallina del vestito e la abbassò, facendogliela scivolare lungo la spalla. Sebbene non facesse freddo, il respiro caldo ed i baci di Pan sulla pelle delicata del seno, sino a quel momento coperto dalla stoffa, la fecero rabbrividire. Risalendo lungo la mascella dell’uomo, Tori insinuò le dita tra i suoi capelli umidi, tirandoli appena mentre inarcava la schiena, permettendogli di raggiungere più facilmente il collo. Il ritmo del suo respiro si era fatto più veloce, in risposta alle attenzioni che Pan le stava dedicando. Mentre le mani di lui scivolavano sotto il suo vestito, Tori si inumidì le labbra, tentando di calmare il proprio cuore impazzito. Non avrebbe saputo dire se la testa le girava oppure la avvertisse semplicemente incredibilmente leggera ma ad ogni bacio che si scambiavano, Tori ne desiderava un altro ancora più intenso. Lucien interruppe il bacio e Tori si lasciò sfuggire un soffocato verso di protesta ma, anziché sporgersi nuovamente verso di lui e riprendere da dove si era fermato, ne approfittò per cercare di regolarizzare il ritmo incontrollato del respiro. «Tori Tori Tori... Aspetta. Devo dirti due cose. » Tori sciolse la presa dai suoi capelli e riportò le mani in grembo, posate sulla stoffa del vestito, a pochi centimetri di distanza dal bordo del lenzuolo. Davanti a lei, appoggiato contro la parete del minivan, Pan era visibile anche nella semioscurità: i lunghi capelli scompigliati, sciolti sino a sfiorare le spalle nude, gli occhi chiari accesi della stessa scintilla di desiderio che alimentava quelli di Tori, le labbra gonfie per i baci socchiuse per riprendere fiato, il torace nudo che si alzava in maniera irregolare ed il lenzuolo che, scivolando più in basso, aveva lasciato scoperti i muscoli dell’addome… Distogliendo lo sguardo, Tori sollevò la spallina del vestito e si passò una mano tra i capelli. Stargli così vicino senza toccarlo era quasi doloroso. « Uno: se superiamo questo punto, non riuscirò più a tirarmi indietro.» Distratta dalla carezza sulle cosce, Tori dovette ripetersi mentalmente le sue parole per comprenderne a pieno il significato. Annuì appena, per lasciargli intendere che aveva capito, sentendosi piuttosto stupida. Non sapeva se fosse palese dall’esterno ma comprendeva perfettamente ciò che Pan voleva dire. Non le era mai capitato di faticare tanto nel pensare lucidamente e, a sua volta, si ritrovava a camminare instabilmente sull’orlo del baratro che la divideva dalla totale perdita di quel poco di razionalità che ancora possedeva. «Due: sono lucido, lucidissimo. Non mi sto perdendo neanche un secondo di questo momento. E che mi piace da morire.» Un leggero sorriso si aprì sulle labbra della giovane, tramutandosi in una risatina soffocata mentre si passava una mano sul viso. Si coprì gli occhi con entrambe le mani, alla ricerca di qualcosa di logico da dire, ed infine le allontanò, allargando appena le braccia. «Io… non sono molto brava con le parole.» Ammise, prendendo un respiro profondo. «Negli ultimi anni ho sempre cercato di essere una persona migliore e di comportarmi responsabilmente e questo» Fece un vago gesto con la mano, come per indicare entrambi e l’intera situazione in cui si trovavano. «non ricade propriamente sotto la definizione di “responsabile”.» Fece una pausa, insicura su quali fossero le parole giuste per descrivere ciò che provava. La verità era che nessuno l’aveva mai attratta tanto quanto Pan e non solo fisicamente. Sebbene fossero ancora perfetti sconosciuti, il giovane prestigiatore era stato una presenza fissa nei suoi pensieri sin da quando si erano incontrati al parco: le parole che avevano scambiato alla spiaggia, svelando così facilmente parti di se stessi che raramente avevano avuto il coraggio di delineare alla luce del sole, il fremito che la scuoteva internamente ogni volta che si sfioravano, il modo in cui le sorrideva e la punzecchiava ma, soprattutto, la gentilezza e l’innocenza con cui si era rivolto a Lexi… ogni dettaglio, ogni particolare del Lucien che aveva conosciuto sino a quel momento la attirava verso di lui come un magnetismo invisibile e, se da un lato ne era terribilmente spaventata, dall’altro le risultava impossibile resistere. «Ma, anche se può sembrare assurdo, sto davvero bene con te e questo momento mi sembra… giusto. Non posso sapere se lo è davvero ma è quello che voglio. Tu sei quello che voglio.» Sorrise, stringendosi nelle spalle. Forse non era la risposta più romantica del secolo ma era stata sincera, sebbene avesse tenuto per sè quanto, in realtà, si sentisse coinvolta. In una situazione simile, la Tori del passato non si sarebbe soffermata a fare riflessioni tanto profonde, tuffandosi senza alcuna remora in relazioni occasionali, prendendo da ogni diverso amante ciò che desiderava e sparendo, in seguito, senza alcun rimorso o senso di colpa. L’assenza di sentimenti e di vincoli erano stati i fili conduttori della sua disastrosa adolescenza. Ma ora era più adulta, più consapevole. E, in un barlume di onestà nei confronti di sé stessa, aveva accettato l’intensità del suo interesse nei confronti di Pan. Fare un passo in avanti in quella direzione avrebbe potuto significare uscirne ferita dall’ennesima delusione. Oppure, Pan valeva la pena di rischiare. Ciò di cui era certa era che non lo avrebbe mai saputo, se si fosse tirata indietro. «Perciò… uhm. Dove eravamo rimasti?» Domandò, per sdrammatizzare la situazione, avvicinando nuovamente il viso al suo. Sfiorò il naso di Pan con il proprio quindi replicò il tutto sfiorandogli le labbra con le proprie, fingendo di ritirarsi quando lui tentò di approfondire il contatto. Lentamente, fece risalire le mani sull’addome dell’uomo, accarezzandone i muscoli che si sollevavano in maniera irregolare accompagnando il respiro. Li avvertì contrarsi sotto il palmo della sua mano in risposta alle effusioni che si stavano scambiando in quel momento. Con più decisione, mordicchiò e succhiò il labbro inferiore di Pan, in una muta richiesta di un bacio più intenso. Avrebbe potuto provocarlo in quel modo per ore, se solo non fosse stato un tormento per entrambe le parti. Impaziente – forse persino più di lui – sospinse la propria lingua alla ricerca di quella di Pan e mosse i fianchi contro i suoi, attraverso il leggero impiccio della stoffa dell’abito e del lenzuolo. L’ultima cosa che si ritrovò a pensare, prima di abbandonarsi alle sensazioni che la pervadevano in quel momento – il sapore della bocca di Pan, la sua pelle liscia e calda che scorreva sotto le sue mani, la tentazione di strappargli di dosso il lenzuolo per accontentare il crescente bisogno di conoscere ogni centimetro del suo corpo – fu che, alle volte, essere responsabili era qualcosa di stupidamente sopravvalutato.
     
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    Lucien Pendragon

    Ne aveva incontrate di donne, Lucien, in giro per quel pazzo mondo di cui non si stancava mai di consumarne le miglia. Qualcuna l'aveva persino amata, di quegli amori che si accendono, fanno a botte con il cielo, illuminano tutto costringendo le persone a guardare in sù. Però poi si estinguono, sfioriscono sempre e velocemente, come fuochi d'artico in una notte d'estate. Anche il lavoro aveva la sua bella fetta di colpa nel declino di quelle relazioni. Non essendo nato in un popolo sedentario ma bensì in una delle poche comunità nomadi ancora esistenti, era impossibile scampare al problema della distanza. Abituato sin da piccolo all'idea che ogni cosa debba finire e che i legami eterni sono solo quelli famigliari, Lucien non aveva mai sofferto di quella vita itinerante anzi, ne amava ogni più piccola sfumatura. Dalle bellezze dei diversi paesaggi che si snocciolavano davanti ai suoi occhi, alle diverse culture che incontrava sul suo cammino; dalle centinaia di persone in cui inciampava, all'irrinunciabile sensazione di sentirsi libero: Pan non avrebbe barattato quella vita per nessun'altra al mondo. Non era stato creato per stare seduto in un ufficio grigio, davanti a un computer o per passare interminabili ore bloccato nel traffico di una grande città. Ogni cosa, in quel genere di routine, suonava come trappola per lui. Pensateci, è così. Si compra una casa, quattro pareti, un costoso confine da ripagare in anni di interessi; si acquista una macchina e ci si rinchiude nel suo abitacolo diverse ore ogni giorno; si arriva in ufficio dove si è costretti a stare fermi, ancora una volta incastrati fra quattro mura; si torna a casa claustrofobici a tal punto da non aver altra forza rimanente che stravaccarsi sul letto e dormire. No, non era in gabbia che si vedeva Lucien, ma a camminare all'aperto e a dormire sotto le stelle. In conclusione, non era mai stato semplice per Lucien impegnarsi in un rapporto che durasse più di qualche mese, finché il circo non chiudeva i battenti e procedeva la sua traversata del mondo. Non era neanche sicuro che qualcosa del genere gli mancasse, onestamente concentrato a vivere alla giornata amandone ogni secondo possibile. Con le ragazze del circo era meglio non immischiarsi emotivamente, due o tre brutte esperienze avevano convinto l'uomo a non iniziare nulla con qualcuno con cui si è poi costretti sia a vivere che a lavorare. «Lo prenderò come un complimento… per tua fortuna.» Un sorriso debole ma sincero aveva increspato le labbra screpolate di Lucien. Più il tempo passava, più gli sembrava bella, e non era per via del vestito o del trucco leggero sugli occhi. Piuttosto, trovava irresistibile il modo in cui la pelle si tendeva sulla clavicola, o la curva dei capelli scuri incornicia il viso, o ancora le due fossette che apparivano di tanto in tanto sulle guance, conseguenze di un sorriso. Cos'altro potrebbe essere? Trovo le megere gypsy terribilmente attraenti. Non era neanche la febbre a fargli vedere cose che non c'erano. La bellezza di Tori era tutta lì e si manifestava davanti agli occhi di Lucien che la guardavano come vittime di un sortilegio. Si infatuava, Lucien, ed era proprio uno di quei fulmini a ciel sereno che sembrava averlo colpito da quando aveva incontrato Tori, appena qualche settimana prima. Sembra sciocco che un uomo di più trent'anni parlasse ancora di colpi di fulmine, ma Pan non era un trentenne comune. Pan era riuscito a conservare dentro di sé una parte bambina che gli permetteva di vivere il mondo con entusiasmo, gli occhi e il cuore ancora in grado di sorprendersi. Proprio grazie a questa sua caratteristica, Lucien aveva completamente dimenticato la febbre da cavallo che Tori aveva tentato di abbassare con delle pezze d'acqua fredda, concentrandosi solamente sull'idea di volerla: vicino, addosso, baciare, farci l'amore...Pan non riusciva proprio a pensare ad altro. Divenne presto molto chiaro che Tori volesse lo stesso, e i due non persero più altro tempo. Era iniziato tutto con dei baci. E che baci. Quei baci che ti portano a fare l'amore. Quelli. La voleva accanto, anche meglio addosso. Voleva baciarla su tutto il corpo, in silenzio, al buio, solo i loro respiri, anime che si fondono, anime che vincono. Era una di quelle meraviglie che fanno perdere il fiato. Poi però un giramento di testa lo costrinse a fermarsi, il corpo che in cerca di fiato respirava sotto di lei. Si era passato una mano sulla fronte sudaticcia di febbre. Poi aveva parlato e per una frazione di secondo temuto di aver rovinato tutto. Non si aspettava una risposta, voleva solamente farle intendere che, qualunque cosa fosse successa, non era la febbre a dettare le azioni di Lucien. Eppure lei si sentì in dovere di rispondergli, un po' seria, un po' imbarazzata. Era estremamente adorabile. «non ricade propriamente sotto la definizione di “responsabile”.» L'aveva indicato e l'uomo prima aveva guardato il proprio corpo mezzo nudo, poi la stanza disordinata che li circondava e infine Tori, seduta sopra di lui. Le lanciò un'occhiata confusa, come se non sapesse a cosa si stesse riferendo. Stava scherzando, ovviamente. Fingendo di non capire, Lucien voleva prenderla in giro per smorzare l'atmosfera che egli stesso aveva creato. Non voleva interromperla e lasciò che continuasse, curioso ma anche abbastanza intontito dalla febbre per comprendere forse fino in fondo il significato delle sue parole. La vide però sorridere e ricambiò, il calore che da tutto il corpo lo incitava a riprendere da dove avevano lasciato. Con una mano ancora sulla coscia di Tori, Pan allungò l'altro braccio a frugare nel piccolo cassetto del comodino, tornando poi sdraiato e sventolando il preservativo incastrato fra pollice e indice. Mi sembra tutto incredibilmente responsabile. Disse, il sorriso udibile nella voce resa roca dalla febbre. Accolse quindi ben volentieri la proposta della ragazza di riprendere ciò che avevano lasciato appena all'inizio. Ogni carezza bruciava più bruciante di quella precedente, ogni bacio un po' più irresistibile. Si tirò sù con la schiena, Pan, arrivando a sedersi per poter guardare la ragazza dalla stessa altezza. Senza smettere di ricercare il sapore della sua bocca, le sfilò il vestito dalla testa mentre le braccia di Tori si alzavano verso il cielo per facilitargli il compito. Le mani salirono dalle gambe ai fianchi sottili e nudi che strinsero prima di sollevare, ribaltando completamente la situazione. Ora era Tori a trovarsi con la schiena aderente al materasso, alla mercé del prestigiatore. Le sfilò lentamente l'intimo, le baciò le gambe, l'inguine, il seno, il collo, fino ad arrivare di nuovo alle labbra. Erano calde, umide, sapevano di casa. A quel punto, capì che non voleva più separarsene. Ormai troppo impaziente per rimandare ancora, con mani febbrili sistemò il preservativo - erano persone responsabili loro, no? Tornò subito sopra di lei, era incredibile come risultasse difficile starle lontano, e sorreggendosi sulle braccia si insinuò fra le gambe e dentro di lei. Anche tu sei quello che voglio. Sorrise, piantando gli occhi nei suoi. Quello sguardo era il segnale. Penetrava ben al di là delle sue pupille, le percorreva tutto il corpo, le si conficcava in grembo. Cercò nuovamente le sue labbra, succhiandone quello inferiore con avidità. Quando si fa l'amore, si usa la parte del corpo più vulnerabile, quella che non viene mostrata mai a nessuno. D'altra parte, è l'unico modo per provare piacere. È questo che succede, quando due individui sono insieme. Le parti più esposte dei corpi e delle anime si incontrano, si sfregano l'una con l'altra. Le mani di Tori e Lucien si muovevano, accarezzavano le gambe, le labbra si avvicinavano poi si staccavano ancora, i corpi si sfioravano poi si allontanavano, di scatto si riallacciavano e si comprimevano. Stava facendo quello che aveva desiderato fare sin dal primo loro incontro, quando le aveva posato gli occhi addosso per la primissima volta. Era vero, si conoscevano da pochissimo, non sapevano quasi nulla l'uno dell'altra, eppure Pan trovava che Tori fosse una delle persone più forti che avesse mai incontrato. Adorava quel modo di fare da ragazza dura, una nomade fino in fondo, ma anche il lato più dolce e materno che sapeva di avere. E il fatto che fosse mamma? Lo attraeva ancora di più. Provava grande rispetto per quella madre single che aveva cresciuto una bambina perfetta come Lexi. I loro respiri si fecero ben presto corti, affrettati, come se avessero urgenza di andare da qualche parte. Voleva baciarla, ma voleva anche guardarla, voleva toccarla, tutta, ovunque, ma aveva solamente un paio di mani a disposizione. Su quel letto, due pseudo - sconosciuti si stavano facendo del bene a vicenda. Complici i movimenti sempre più veloci, bisognosi, profondi, Lucien sentì il corpo prima irrigidirsi, l'intricato diorama di nervi e muscoli distendersi, le vertebre inarcarsi leggermente per poi scivolare in un rilassato e languido stato di formicolante pace. Si arrese a quella sensazione lasciando andare un leggero suono sordo, primitivo. Si lasciò quindi cadere di fianco a lei, circondandola immediatamente con un braccio intorno alla vita. Sorrideva, il gigante buono, i capelli sudaticci attaccati alla fronte. Non capiva se stesse bruciando per la febbre o per ciò che era appena successo. Probabilmente un mix letale di entrambe. Non voleva lasciarla andare, cercava di mantenere quel piacere sotto le coperte con loro il più a lungo possibile. Wow, devo ammalarmi più spesso. Socchiuse gli occhi chiari, ma prima che la stanchezza e l'influenza vincessero definitivamente, Lucien si ritrovò a dire piano, un sussurro nella penombra. Resti per un po'?

    Edited by mesmeric - 4/2/2019, 10:31
     
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    VICTORIANNE FAWNIE ÅRUD ☾

    A ben pensarci, era incredibile come il caso potesse interferire con la vita delle persone. Le modellava e modificava a proprio piacimento, creando e spezzando legami, proponendo o negando opportunità, talvolta accanendosi con particolare ferocia su qualche povero tapino. Nella stragrande maggioranza dei casi, la consapevolezza che la vita si basava sulle proprie scelte, frammentate di tanto in tanto da inaspettati imprevisti, era sufficiente a spingere gli individui ad andare avanti, stringere i denti nei momenti peggiori, riaprire gli occhi ed alzarsi dal letto per affrontare un nuovo giorno. Il vero peso di tutto ciò, l’incontrollabile casualità dell’incertezza, rimaneva effimero ed avvertibile, ai più, unicamente durante rari momenti di introspezione in cui, lungi dal concedersi una pausa e cedere alle lusinghe di Morfeo, la coscienza vagava da un estremo all’opposto, vagliando ognuno dei singoli avvenimenti che, nel bene o nel male, ne avevano segnato l’esistenza. Per Tori, la consapevolezza che sarebbe bastato poco - spaventosamente poco – per avere un’esistenza del tutto differente era quasi terrificante: Lexi, la cosa migliore della sua vita, era il risultato di una scelta avventata, eppure non aveva mai desiderato tornare indietro o cambiare le cose, nemmeno nei momenti peggiori. Un battito di ciglia avrebbe potuto cambiare ogni cosa e, con ogni probabilità, Victorianne non si sarebbe trovata lì, in quel minuscolo minivan, nel bel mezzo dell’ennesima scelta avventata. Le labbra bollenti di Pan premevano sulle sue mentre, attraverso il tessuto leggero delle lenzuola e sotto le sue mani, il calore del corpo dell’uomo l’avvolgeva in un abbraccio. Il sangue le scorreva prepotentemente nelle tempie, sovrastando qualunque rumore, il respiro di Pan le sfiorava le labbra, talvolta mischiandosi al suo, talvolta soffocato nell’ennesimo bacio. Era talmente presa dalla situazione – e chi non lo sarebbe stato, al suo posto? – che quando Pan interruppe il bacio, Tori necessitò di qualche secondo per riacquisire un briciolo di lucidità. Battè le palpebre e deglutì, posando le mani sul bordo del lenzuolo, a pochi millimetri di distanza dalla pelle nuda di Pan. Dovette concentrarsi per comprendere ciò che stava dicendo; non riusciva a smettere di fissare le sue labbra, le spalle nude, il modo in cui i capelli gli sfioravano l’incavo del collo. L’accenno di una risata echeggiò nelle sue parole quando Pan si finse confuso. Lo vide sporgersi a frugare nel cassetto del comodino e, una volta ritiratosi, le mostrò trionfante il preservativo che stringeva tra le dita. «Mi sembra tutto incredibilmente responsabile.» Tori inarcò un sopracciglio, divertita. Che il loro primo appuntamento fosse tutto fuorchè convenzionale era abbastanza evidente ma, se non altro, non era stato banale. Tori non aveva mai amato vivere in modo “ordinario” o fare le cose come gli altri si aspettavano e, per quel poco che lo conosceva, aveva la netta sensazione che per Lucien fosse lo stesso. Erano due anime ribelli, spiriti bohémien che necessitavano di tempi e spazi differenti, costantemente in bilico tra la realtà ed il mondo in cui, se solo fosse stato possibile, avrebbero desiderato rifugiarsi. Forse era per quello che erano così compatibili, uniti da un legame invisibile e istintivo. Formulare un simile pensiero era prematuro ed azzardato, tuttavia Tori non si era mai sentita così a proprio agio con qualcuno come con Pan: sin dal principio, il giovane circense era riuscito a vincere la sua diffidenza, scavalcando il muro che ergeva attorno a sé come se si trattasse di un ostacolo di poco conto e, ogni volta che la guardava, Tori avvertiva i suoi occhi azzurri affondarle dentro, spogliarla non solo dei vestiti ma della sua stessa pelle, alla ricerca di qualcosa di più profondo e prezioso. Era una sensazione bellissima e spaventosa al contempo, dalla quale le era impossibile sottrarsi. Bastò l’ennesimo bacio per soffocare ogni pensiero; il barlume di lucidità tanto faticosamente conquistato svanì, estinto come la fiamma di una candela nell’oscurità. Il tocco di Lucien su di lei lasciò scie ardenti sulla pelle, una leggera brezza che, soffiando sulle braci ancora ardenti, d’improvviso risveglia il fuoco appena sopito. Scontrando le proprie labbra con quelle di Pan, Tori tentò di assecondarlo mentre, con un leggero fruscio, le sfilava l’abito dalla testa. Libera da quell’impiccio, intrecciò immediatamente le braccia dietro al suo collo, le dita che affondavano nei capelli ancora bagnati, il torace nudo e caldo di Pan che, per la prima volta, aderiva completamente al suo senza l’ostacolo degli indumenti. Frastornata da quell’insieme di sensazioni, si accorse di essere sotto di lui solamente quando avvertì la morbidezza del materasso sotto la schiena. Una frazione di secondo più tardi avvertì l’intimo scivolarle lungo le gambe, seguito dai baci che Pan depositava sulla sua pelle, risalendo il suo corpo. Si sollevò leggermente per andargli incontro, la sua bocca che necessitava di quella di lui come dell’aria. Gli accarezzò il viso, la linea della mandibola e più giù sino al petto quando Pan fu costretto a interrompere il bacio, alle prese con il profilattico. Tori approfittò di quell’istante per osservarlo. Al di là della componente erotica, cercava di memorizzare ogni più piccolo dettaglio come se fosse la prima – o l’ultima – volta che i suoi occhi si posavano su di lui. Il modo in cui inclinava il capo, la linea del naso, gli occhi azzurri incastonati sotto le sopracciglia schiarite dal sole, la pelle abbronzata ed il modo in cui, in un ammasso disordinato, i capelli ne incorniciavano il profilo. Pan scivolò tra le sue gambe, la sua pelle bollente di nuovo a contatto con quella di Tori mentre i loro corpi si univano in uno solo, impazienti e tremanti. «Anche tu sei quello che voglio.» Quel sussurro la prese alla sprovvista. Riuscì a malapena a comprenderne il significato, la mente momentaneamente succube del desiderio che ardeva in entrambi. Nonostante l’evidente differenza di corporatura, quello di Lucien si adattò perfettamente al suo. Stringendolo a sé, Tori ne abbandonò le labbra solo per spostarsi lungo l’incavo del collo, le mani che accarezzavano la pelle liscia della schiena e le gambe che cingevano i fianchi dell’uomo, accompagnandone ogni movimento. Ad ogni istante, ad ogni respiro, desiderava sfiorare un centimetro in più di pelle, dar vita all’ennesimo bacio, fondersi con Pan e, in un certo senso, fare sua una parte di lui. Incapace di celare la propria approvazione per le attenzioni che lui le stava dedicando, Tori lo cercava allo stesso modo: i polpastrelli percorrevano la sua pelle, le labbra risalivano inesorabilmente a cercare quelle di Pan, lo sguardo scuro – talvolta celato dalle palpebre sottili, tremanti – si scontrava con quello chiaro nello stesso modo in cui, lungo la costa, le onde del mare lambiscono la sabbia e gli scogli, ora dolcemente, ora con decisione, un ritmo irregolare eppure incalzante che accompagnava il respiro di entrambi. Il suo corpo vibrava, tremando appena, percorso da sensazioni che non avrebbe saputo descrivere. Ogni volta che Pan la toccava, il piacere si torceva e distendeva dentro di lei, raggiungendo ogni millimetro del suo corpo. Non avrebbe saputo dire dove aveva origine e dove terminava, se non che Pan ne fosse la causa. I respiri di entrambi si fecero più frenetici, il battito cardiaco completamente fuori controllo, quando, infine, entrambi furono attraversati da una sorta di scarica elettrica. I muscoli si tesero, le dita si strinsero spasmodicamente attorno al lenzuolo o al corpo dell’altro, il mondo si rovesciò e cessò di esistere. Per una quantità di tempo indefinita, tutto ciò che si estendeva al di fuori del minivan – al di fuori di quel letto – perse di significato. Tori quasi si scordò di respirare, inglobata dalla sensazione di piacere come dentro una bolla di sapone. Avvertì il braccio di Pan attorno a sé e scivolò istintivamente verso di lui, le palpebre socchiuse e la pupilla fissa su un punto invisibile. Avvertiva ancora il cuore di Pan battere violentemente contro la cassa toracica, il suo calore confortante accanto a sé, il suo odore sulla pelle. Avrebbe voluto nascondercisi, rannicchiarsi tra le sue braccia, al sicuro. «Wow, devo ammalarmi più spesso.» Quelle parole richiamarono la sua attenzione, strappandole una risata pigra e soffocata. Si sollevò appena per guardarlo, cogliendo l’ultimo lampo delle iridi chiare. «Resti per un po’?» Non fece in tempo a rispondergli che si era già addormentato, il respiro nuovamente regolare e vagamente udibile nella penombra. Tori sorrise appena, scostandogli i capelli umidi dal viso. Si appoggiò su un braccio e rimase a guardarlo, affascinata da come, nonostante fosse un uomo fatto e finito, Lucien fosse in grado di conservare un’aura d’innocenza persino nel sonno.
    Si appisolò senza nemmeno rendersene conto; quando si risvegliò, la luce che trapelava dalle tende del minivan era debole e fioca. Al suo fianco, Lucien stava ancora dormendo, il lenzuolo arrotolato in vita a causa del caldo. Cercando di non svegliarlo, Tori scivolò fuori dal letto, scendendo la scaletta del soppalco. Non sapeva che ero fossero ma era certa – dannatamente certa – che fosse tardi. Si passò le mani sul viso, tentando di svegliarsi, e si guardò attorno alla ricerca dei propri indumenti. Recuperò facilmente l’abito, ma fu costretta a giocare a nascondino per trovare anche l’intimo, lanciato senza cura sopra alla tavola da surf spezzata. Stava per indossarlo quando lo sguardo le cadde sulla cartina del mondo appesa alla parete, ogni luogo in cui Pan era stato segnato da una puntina, un adesivo o un souvenir. La Norvegia era ancora vuota. Sorrise appena, lo sguardo illuminato da un’idea improvvisa. Aprì uno dei cassetti dell’armadio e vi frugò dentro, esaminando i boxer di Pan con estrema attenzione. Ne ripescò un paio con la fantasia di Simba (del re Leone ndr) e soffocò una risata. Li infilò sotto il vestito e si allacciò i sandali. Infine, recuperò la propria borsa ed estrasse un piccolo blocchetto di carta ed una penna, vi scribacchiò poche parole e strappò il foglio, premurandosi di sistemarlo esattamente sopra la Norvegia, in modo che la puntina vi mantenesse appese, in bella vista, le sue mutandine di pizzo nero. Nel modo più chiaro possibile aveva scribacchiato un “Come souvenir. In cambio ne ho preso uno anche io =) Grazie per l’appuntamento e guarisci presto! Tori :mini:. Si guardò intorno un’ultima volta e, certa di non aver scordato nulla, diede una piccola grattatina a Monk, mezzo assonnato sulla pila di abiti sporchi, prima di uscire dal minivan e chiudersi delicatamente la porta alle spalle. Pochi minuti dopo, il rumore del motore sgangherato della Volksvagen, sovrastato dalla radio a tutto volume, l’accompagnava verso casa.

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