All around me are familiar faces, worn out places and...you.

Tanus & Tori | tarda mattinata

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    Non rientrava tra le cose più impensabili vedere Tanus Zaydān girovagare per il Vennelyst park, da buon amante dei polmoni verdi e di quei luoghi talmente ampi da rendere difficoltoso l'incontro con masse di cittadini. Più probabile, però, era non riuscire a vederlo. Già, poiché, specie nell'ultimo periodo, l'uomo stava ampiamente abusando della propria particolarità per passare inosservato agli occhi del mondo. Era già assai raro vederlo in luoghi canonici come un supermercato o una palestra, ma in quel periodo gli risultava sempre più difficoltoso interagire con i suoi coetanei. Riconduceva il tutto al proprio passato, al fatto che quando viveva nella comunità religiosa essa era talmente gremita di persone che persino urinare non era più considerata una cosa meritevole della dovuta privacy. Ai tempi non l'aveva trovata una cosa tanto fastidiosa, ma il tempo aveva fatto si che i nodi venissero al pettine e che gli effetti collaterali di quella vita assennata venissero a galla. Besaid non era esattamente la cittadina più facile per chi soffriva di questo tipo di disturbo e non perchè fosse abitata da chissà quante persone, ma perchè ciascuna di loro possedeva qualcosa di particolare, dunque una qualunque condizione da molti definibile normale, lì risultava piuttosto assurda e non esente da problemi. Non tutte le particolarità erano positive, al contrario, c'era chi in esse aveva trovato un disturbo talmente feroce da obbligarlo ad abbandonare la città. Come la moglie di un poliziotto con il quale spesso collaborava, o almeno così aveva sentito dire. In ogni caso, restio ad andarsene, Tanus aveva trovato nel proprio dono la sua salvezza. Prima o poi avrebbe combattuto i propri demoni e sarebbe riuscito a ritrovare nella collettività quella pace al momento impossibile anche solo da immaginare, ma finché non si fosse fatto aiutare da uno bravo, le sue condizioni restavano le medesime. Quella mattina era sprovvisto di lavoro e riluttante a passeggiare ancora per dei boschi che conosceva a memoria, al che aveva scelto di recarsi al parco. Aveva acquistato un invitante zucchero filato ad chiosco ubicato prima dell'ingresso del Luna Park, un vezzo che di tanto in tanto si concedeva e che lo faceva tornare per un attimo bambino. Aveva iniziato a mangiarlo e, vuoi perchè era da solo, grande e con quelle soffici nubi rosa tra le fauci, aveva inavvertitamente attirato l'interesse delle persone; una cosa che, inutile dirlo, gli dava enormemente fastidio. Per questo motivo aveva scelto di abbandonarsi alla propria particolarità, pur sapendo quali problematiche avrebbe comportato. Ne aveva forse fatto più uso lui di un nativo di quella cittadina, imparando a destreggiarla abilmente e a prolungarne l'effetto, ma gli effetti collaterali non erano mai piacevoli. Si era comunque concesso un'ora abbondante che, secondo quella che era la sua esperienza, rientrava ancora negli effetti accettabili e dunque in quel momento, appoggiato alla ringhiera metallica che delimitava una delle tante porzioni di verde disseminate nel parco, si godeva beatamente il suo "trofeo" senza dover pensare agli sguardi altrui.
    O almeno così credeva.
    In anni e anni da quando risiedeva stabilmente a Besaid, non gli era mai capitato che qualcuno riuscisse a vederlo mentre sfruttava la propria particolarità. Inoltre, se si trattava di piccoli oggetti come in quel caso lo zucchero filato, riusciva a rendere invisibili anche quelli se venivano posti a stretto contatti con la sua pelle. Con gli esseri umani non vi era speranza che riuscisse nell'impresa, ci aveva provato tempo addietro prima che sia sorella scomparisse nel nulla. Ma quella giornata apparentemente tranquilla era destina presto a mostrare la sua unicità, difatti di punto in bianco, mentre Tanus nemmeno osservava il viavai cittadino, udì una vocina pigolante rivolgersi a lui. -Ehi, signore, mi darebbe il suo zucchero filato? Sembra così invitante!- Le iridi color pece dell'uomo divennero due palline da ping pong mentre sgranava le palpebre cercando con lo sguardo la fonte di quelle parole. Riuscì ad individuare quasi subito la figura minuta di una bambina che doveva avere su per giù cinque o sei anni, degli occhi profondi ed una cascata di capelli lungo, lisci e vellutati di un castano caldo e piacevole alla vista. Una bambina davvero graziosa, il cui corpicino era fasciato in un abito variopinto e dalla gonna ampia.
    Aveva dell'incredibile che riuscisse a vederlo, cercò di sincerarsi di non aver preso un abbaglio eppure fissava proprio lui, con gli occhietti languidi alla vista del dolciume zuccheroso. Prima che Tanus potesse decidere di rispondere e palesare la propria presenza, causando forse non poche occhiate sgranate nella sua direzione, colei che vista la somiglianza doveva essere la madre della bambina, le parlò come si fa con i bambini che dicono di avere un amico immaginario.
    E fu mentre tratteneva una risatina che osservò la giovane donna che teneva per mano la bambina: aveva già visto quel volto dai lineamenti dolci e la carnagione dorata, ma lì per lì non riuscì a collocare quella fisionomia ad un evento specifico del suo passato. -Mamma non me lo sto inventando, c'è davvero un signore lì!- proruppe la bambina indicando il vuoto, in corrispondenza della postazione di Tanus. Lui, da osservatore silenzioso, notava tutti i dettagli di quella situazione: il temperamento energico della bambina, che non ne voleva sapere di farsi passare per visionaria o bugiarda, la giovane donna che alzava gli occhi al cielo, come se quello fosse l'ennesimo capriccio della figlia. Dove l'aveva vista? La mente di Tanus vagliò diversi ricordi possibili, facendo una serie di accostamenti finchè, quando stava per arrendersi, un flash lo riportò alla mente ad una festa di tanti anni prima. Un Tanus ventiseienne si abbandonava a fiumi alcolici e qualche canna di troppo, in compagnia di amici e sconosciuti ad una festa a casa di un tizio che nemmeno conosceva. Luci intermittenti, aria pregna di calura, sudore e odori misti ed ecco una ragazza truccata a regola d'arte, fasciata in abiti che lasciavano poco spazio all'immaginazione. Victorianne...Åsuld? Ammul? Un cognome strano, come quelli di quelle parti, così differenti da quelli egiziani. Ricordava di esserne rimasto rapito. I suoi abiti, seppur succinti -ma quale femmina quella festa si era coperta?- in un certo senso gli avevano ricordato quelli della sua gente, anche se tra cognome e parlata era apparso subito chiaro che non era nativa dell'Egitto. Una notte di sesso sfrenato, nulla di più, solo sensi che si abbandonavano ai dettami dell'alcool, più che della ragione o del cuore. Sarebbe stato un pò imbarazzarsi palesarsi così con un "Ehi, ti ricordi di me? Abbiamo scopato di brutto qualche anno fa, però poi non ti ho più cercata!" D'altra parte non aveva il suo numero e dei suoi amici nessuno la conosceva, chi poteva esserle amico non sapeva dove abitava ed il padrone di casa non l'aveva mai vista. La cittadina per carità era piccola, ma Tanus a quel punto si era dedicato ad altro e ne aveva perso memoria. D'altra parte nemmeno desiderava che la bambina facesse figuracce quando non era in torto, solo per evitarle lui oltretutto.
    A fronte di queste considerazioni, come se avesse schioccato le dita, il suo corpo tornò ad essere visibile sotto gli sguardi attoniti dei passanti. Per carità a Besaid vedere cose inusuali per la gente normale era il pane quotidiano, ma vi erano particolarità che destavano molto meno stupore e sorpresa della sua. Lo zucchero filato capeggiava ancora tra le sue mani martoriate dal lavoro. -La tua bambina non ha un amico immaginario, Victorianne.- prese parola grattandosi la nuca, con aria effettivamente abbastanza imbarazzata. Si ricordava di lui? All'epoca non portava la barba e poi diamine l'aveva visto solo una notte, era più una prerogativa maschile ricordare i tratti fisiologici, specie se di belle ragazze. -Sono Tanus, non so se ti ricordi di me...ci siamo conosciuti sei anni fa ad una festa...- Inutile che stesse a specificare per quale motivo poteva rendersi invisibile ad occhio umani, da che ricordava Victorianne era una ragazza scaltra e ci sarebbe arrivata da sola così, per smorzare la tensione che intimamente provava, tornò a posare lo sguardo sulla bambina, allungandole lo zucchero filato. -Ecco a te, piccola, l'ho appena assaggiato ma se non ti fa schifo è tutto per te.- disse con un sorriso bonario.
    -Come ti chiami?- conosceva il nome della madre ma non il suo. Peraltro mai si sarebbe aspettato di trovare quel vulcano di ragazza con una figlia! Era sicuro che fosse tale visto che la bambina, nei suoi vani tentativi di far valere le sue ragioni, l'aveva chiamata "mamma". Lui, che era in età per sposarsi e metter su famiglia eppure mai quel pensiero gli era passato per l'anticamera del cervello.
     
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    VICTORIANNE FAWNIE ÅRUD ☾

    La sala d’aspetto dell’ambulatorio emanava un forte odore di disinfettante che, unito alle luci al neon ed alle tinte chiare, dai toni del grigio ad una sorta di ocra ed azzurrino pallido, rendevano l’ambiente freddo ed artificiale, a dispetto dei diversi poster appesi alle pareti e dei libri per l’infanzia impilati sopra i tavolini a disposizione dei piccoli pazienti, segno evidente che qualcuno, tra i pediatri e le infermiere, aveva tentato di rendere i corridoi maggiormente accoglienti, fallendo miseramente. Un lieve ronzio di sottofondo accompagnava le vocine dei pochi bambini in attesa, seduti sulle sedie di legno, compostamente tenuti sott’occhio dalle rispettive genitrici, alcune ben vestite di tutto ponto ed impazienti, come se fossero pronte a correre in ufficio non appena scaricata la prole a scuola in seguito al richiamo del vaccino, altre più tranquille, altre ancora con il viso stanco ed i capelli legati in una coda di cavallo fatta all’ultimo minuto prima di uscire di casa; una cosa però l’avevano in comune: tuttera erano più anziane di Tori di almeno cinque o sei anni. Sollevando appena lo sguardo dal libro che stava leggendo a Lexi, Victorianne notò che un paio di donne, probabilmente conosocenti grazie ai figli, parlottavano tra loro, lanciandole di tanto in tanto qualche occhiata che non seppe identificare. Più che maligne o intente a spettegolare sembravano semplicemente curiose, forse perché avevano udito il suo cognome quando l’infermiera aveva dato annunciato l’ordine di entrata, o forse perché le aveva già incontrate a qualche evento genitori-insegnanti di cui, prontamente, aveva rimosso il – tragico – ricordo. Senza sapere bene cosa fare, Tori abbozzò un sorriso e un lieve cenno di saluto. Fortunatamente, prima che la situazione divenisse ulteriormente imbarazzante, la porta dell’ambulatorio si aprì ed un bambino coetaneo di Lexi uscì trascinato dalla madre. Aveva i lacrimoni agli occhi ed il viso arrossato e nella mano libera stringeva un lecca lecca colorato. La madre gli intimò di salutare il dottore e il broncio del piccolo si acuì, mentre rivolgeva alla genitrice un’occhiataccia tradita. Era evidente che non era stato preparato all’idea di una iniezione – per quanto veloce e praticamente indolore – prima di entrare. Il dottore li salutò e, dopo aver controllato sulla lista, si guardò attorno. «Årud, Alexandra?» Tori sollevò la mano, recuperò la borsa e si alzò. «Siamo noi.» Confermò, mentre il medico le invitava ad entrare nella stanzetta attigua. «Andiamo Lexi.» La bambina posò il libro sul tavolino e, senza protestare, la raggiunse, precedendola all’interno della stanza. «Salga qui, signorina.» Il pediatra sollevò Lexi, sistemandola a sedere sul bordo del lettino, i piedi della bambina che penzolavano nel vuoto. Procedette a farle una serie di domande di rito e Tori lasciò che fosse Lexi a rispondere, correggendola o aggiungendo dettagli unicamente quando necessario. Infine, dopo averle controllato la gola, gli occhi ed aver auscultato il respiro, l’uomo osservò Lexi con aria improvvisamente seria. «Mi sembri una sigorina coraggiosa, Lexi.» Esordì, attirando il suo interesse. La piccola annuì, decisa. «Non ho paura del buio. E nemmeno dei temporali.» Replicò, orgogliosa. Tori trattenne un sorriso sotto i baffi, mentre il dottore annuiva. «Allora sono sicuro che non avrai nemmeno paura del vaccino. Ti spiego come funziona: devi sollevare la manica destra e io ti farò una piccola punturina sul braccio, sarà solo un pizzico leggero, come quello di una zanzare.» La informò, aprendo la siringa. «Se guarderai tua madre non te ne accorgerai nemmeno…» Aprì la siringa e la preparò, mentre Lexi spostava automaticamente lo sguardo su Tori. «Ci vorrà solo un attimo, mostriciattolo.» La tranquillizzò, annuendo. Mentre parlava, il dottore prese delicatamente tra le dita un lembo di pelle e le effettuò l’iniezione, stringendo appena con le dita per minimizzare la sensazione dell’ago che perforava la pelle. Lexi non si mosse, come se nemmeno se ne fosse accorta. «Ecco fatto.» Esclamò l’uomo, soddisfatto, disfandosi della siringa e dei guanti nell’apposito contenitore. Sorrise a Lexi, entusiasta. «Sei stata davvero coraggiosa, Lexi. Perciò eccoti un piccolo premio.» Le allungò un lecca lecca colorato, identico a quello del bambino che li aveva preceduti, e Lexi lo afferrò con un ampio sorriso, scartandolo e infilandoselo in bocca prima che Tori potesse obbiettare. Nel mentre, il dottore firmò i certificati necessari, porgendoli a Tori affinchè li consegnasse a scuola. «La bambina è in perfetta forma e può già tornare a scuola. Non dovrebbe accusare il vaccino, ma personalmente ritengo preferibile tenerla a casa o all’aria aperta, un po’ di riposo fa sempre bene.» Consigliò, con un ampio sorriso che si estese agli occhi chiari. Tori ricambiò istintivamente. Quell’uomo le piaceva; aveva un modo di fare affabile, simile a quello di un nonno affettuoso. Metteva i bambini a proprio agio. «La ringrazio, dottore.» Esclamò, mentre Lexi saltava giù dal lettino e le tendeva la mano. «Arrivederci!» Salutò allegramente, la voce distorta dal dolciume che stava divorando avidamente.
    Lasciato l’ambulatorio, madre e figlia percorsero il piccolo corridoio che sfociava verso l’uscita posteriore della struttura sanitaria. La calda temperatura estiva le accolse assieme ad un piacevole venticello proveniente dal mare. Tori si mordicchiò il labbro inferiore. Con una giornata simile, era effettivamente un peccato rinchiudere Lexi tra quattro pareti di cemento. Arrivate alla macchina, sistemò Lexi nel sedile e le allacciò la cintura, prima di fare il giro ed accomodarsi dal lato del guidatore. Infilò le chiavi nel quadro e poi si fermò, volgendosi verso la figlia. «Facciamo un patto.» Decise, sporgendosi verso di lei e tendendole il mignolino. «Invece di andare a scuola oggi passeremo la giornata insieme. Andremo al parco, a mangiare pesce e patatine, al cinema e infine a casa.» Gli occhi della bambina si illuminarono, avidi e impazienti. «Ma deve essere il nostro segreto. Promesso?» Lexi annuì freneticamente, intrecciando il proprio mignolo con quello di Tori. «Promesso! Sei la mamma migliore del mondo!»Strillò, quasi saltando sul sedile, prima che Tori mettesse in modo la vecchia Volksvagen, uscendo dal parcheggio e dirigendosi verso il Vennelyst Park. Dopotutto, saltare un solo giorno che male poteva fare? Dal suo punto di vista, spesso i bambini erano sin troppo stressati e repressi, costantemente relegati nei banchi, costretti ad imparare una serie di informazioni che veniva propinata loro senza alcun tipo di stimolo. Una giornata diversa avrebbe sicuramente giovato a Lexi. Inoltre Tori sentiva il bisogno di passare un po’ di tempo con lei; con il bel tempo estivo il numero di turisti che si recavano in visita alla cittadina era aumentato e, di conseguenza, anche i suoi turni al bazar si erano allungati.
    Impiegarono si e no cinque minuti a giungere a destinazione, il parcheggio più vicino al parco piuttosto affollato nonostante l’orario. Era una bella giornata e, di conseguenza, un sacco di gente ne stava approfittando per fare una passeggiata, recarsi al vicino Luna Park o anche solo pranzare all’aperto. «Eccoci qui.» Mormorò Tori, spegnendo il motore e tirando il freno a mano. Spalancò la portiera e la richiuse dietro di sé, aggirando la vettura per aiutare Lexi che, nel frattempo, si era già liberata della cintura di sicurezza. Era un concentrato di energia, euforica all’idea di trascorrere la giornata “senza regole”.
    Imboccarono il vialetto che conduceva alla strada principale, la più larga di quelle che si snodavano attraverso il parco, passando accanto ad un paio di chioschi ed a un venditore di palloncini. «Voglio andare sull’altalena. Ma questa volta voglio spingermi da sola. Tu pioi aiutarmi solo se sono stanca.» Trotterellandole accanto, Lexi fece sfoggio anche una volta della sua indipendenza. Quando avvistarono le altalene in lontanzanza, la bambina accelllerò il passo, distaccandola di poco. Tori la lasciò fare, seguendola con lo sguardo. Lexi sapeva bene che non doveva attraversare la strada senza di lei o nascondersi alla vista ma lì, nel parco, lo spazio aperto le permetteva di tenerla d’occhio senza problemi. La vide fermarsi prima di arrivare al gioco, come se qualcosa vicino alla rete avesse attirato l’attenzione. Corrugando la fronte, Tori pensò che dovesse aver visto qualcosa. «Lexi! Non raccogliere nulla da terra!» La ammonì, affrettando il passo per raggiungerla appena in tempo da udire le parole della piccola. «Ehi, signore, mi darebbe il suo zucchero filato? Sembra così invitante!» Tori si guardò attorno per qualche istante, infine scosse il capo. «Se hai voglia di zucchero filato non c’è bisogno di queste sceneggiate.» La prese in giro, roteando gli occhi al cielo. Certe volte sua figlia abbondava decisamente di fantasia, ma in fin dei conti era normale: aveva pur sempre cinque anni, a dispetto del fatto che, per molti aspetti, si comportasse in maniera decisamente più matura. Quasi offesa, Lexi si voltò nella sua direzione, indicando il punto alle sue spalle, con il quale aveva appena “conversato” amabilmente. «Mamma non me lo sto inventando, c'è davvero un signore lì!» Insistette, lasciando che un leggero broncio prendesse posto sul suo viso. Osservandola, Tori non potè fare a meno di pensare che fosse davvero una brava attrice ma, prima che potesse esternare quel pensiero, una voce maschile, profonda e marcata da un vago accento straniero, la precedette. «La tua bambina non ha un amico immaginario, Victorianne.» Ora, nel punto indicato da Lexi, torreggiava un uomo dai tratti somatici decisi, il naso affilato ed i colori eccessivamente scuri per essere un nativo norvegese. La parte inferiore del viso era decorata da una barba piuttosto folta, mentre i lati della testa erano rasati. Sebbene indossasse abiti semplici, dai colori capaci di passare inosservati, il suo aspetto era reso ulteriormente curioso ed “esotico” dall’orecchino che portava al lobo sinistro e dai tatuaggi che, nonostante la maglietta, spiccavano ai lati del collo. Sorpresa, Tori battè le palpebre, cercando di dare un senso a ciò che era appena accaduto. Certo, Besaid era la capitale mondiale delle stranezze ma non era cosa da tutti i giorni che qualcuno fosse in grado di rendersi invisibile. Impiegò un paio di secondi ad elaborare il tutto, compreso il fatto che l’uomo conoscesse il suo nome. Sembrava persino a disagio, quasi imbarazzato. «Sono Tanus, non so se ti ricordi di me...ci siamo conosciuti sei anni fa ad una festa...» Le piccole rughe sulla fronte aggrottata della giovane si distesero quasi immediatamente, sostituite da un’espressione sorpresa, forse persino quasi allarmata. La sua mente ripescò il ricordo giusto con una facilità impressionante. Casa di uno degli amici di Darius, troppe birre e musica rock in sottofondo. Tanus – un po’ più sconosciuto del presente – seduto sul divano e il suo desiderio di evadere, allontanarsi, scomparire. Aveva avuto la netta sensazione che lui provasse la stessa cosa; per quel motivo si era avvicinata, presentandosi. Da lì era stato tutto terribilmente semplice – e avventato. Aveva riso, scherzato, flirtato. Sedendoglisi accanto, la sua gamba nuda aveva premuto casualmente contro quella del ragazzo più grande, apparentemente burbero e, ai suoi occhi, misterioso ed affascinante. Si era sporta verso di lui e gli aveva posato la mano sulla coscia con un gesto fluido, non calcolato. Ma il modo in cui aveva cercato i suoi occhi, sorridendo ed inclinandosi quel tanto che bastava per accentuare la scollatura, il seno adolescenziale che ancora doveva finire di crescere, era stato inequivocabile. La sensazione di calore e umidità, unita all’odore acre di sigaretta, misto a quello più aromantico di marijuana e al retrogusto di alcol, quasi soffocanti nella camera dalle luci soffuse in cui si erano rifugiati alla ricerca di un briciolo di effimera intimità la colpì come uno schiaffo. A dispetto della quantità di sostanze che aveva assunto, ricordava perfettamente quella notte, per più di una ragione. «Oh, certo.» Parlò senza nemmeno rendersene conto, lo sguardo caldo che istintivamente si posò su Lexi, in un riflesso nervoso. All’epoca si era sentita così libera, così adulta. Poi, le conseguenze della sua avventatezza le erano piombate addosso, riflessi che avrebbero influenzato non solo la sua vita. «E’ passato tanto tempo…» Il suo tono di voce quasi morì sul finire della frase. Tori si sforzò di sorridere in maniera sincera, mentre un groppo sempre più pesante iniziava ad accartocciarle la bocca dello stomaco. Vi erano cose relative a quel periodo della sua vita che avrebbe preferito dimenticare e alte che, invece, aveva taciuto per tutti quegli anni e che, dal suo punto di vista, avrebbero fatto meglio a rimanere segrete. Sino a quel momento non se ne era mai preoccupata troppo; la giovane età di Alexandra era ancora una benedizione ma sapeva che, prima o poi, sarebbe giunto il momento delle domande. E allora avrebbe dovuto fornirle spiegazioni, dirle la verità su come era rimasta incinta, su quanto fosse stata dapprima spaventata e poi incredibilmente felice e, infine, sull’incertezza riguardo all’identità di suo padre. Più volte si era preparata una sorta di “discorso”, tentando di essere il più onesta possibile. Ma mai – mai – aveva pensato che il destino potesse essere tanto carogna da ripresentarsi sottoforma di uno dei ragazzi con cui, ebbra di sé stessa, la sedicenne Victorianne Årud aveva condiviso nottate passionali destinate a rimanere tali esattamente poco tempo prima di scoprire di essere incinta. Per un istante, la propria sconsideratezza le parve incontenibile. «Mi fa piacere… vederti.» No, non era vero. Quella era una grande, grandissima bugia. Se avesse potuto avrebbe afferrato Lexi e sarebbe corsa altrove, in un luogo in cui non avrebbe rischiato di incontrare mai più né Tanus né l’altro ragazzo con cui, sei anni prima, si era frequentata nel medesimo periodo. Sino a quel momento, forse con una discreta dose di fortuna, aveva fatto un ottimo lavoro nell’evitare entrambi.
    Lo sguardo dell’uomo si posò su Lexi e, intimamente, Tori sussultò. Anche se nutriva alcune incertezze, una parte di lei temeva che, anche solo guardandola, lui potesse riconoscere in lei qualcosa che gli apparteneva, un misero dettaglio che, ai suoi occhi invisibile, per Tanus avrebbe urlato “è tua figlia, condividete lo stesso DNA, ti appartiene!”. Il solo pensiero le provocò una profonda sensazione di nausea. Non era solo nervosa ma terrorizzata. «Ecco a te, piccola, l'ho appena assaggiato ma se non ti fa schifo è tutto per te.» Tanus le porse lo zucchero filato e, afferrandolo, Lexi spostò lo sguardo su Tori per chiederle il permesso. La giovane annuì, incapace di aggiungere altro. Aveva paura che se avesse aperto bocca le sarebbe sfuggito qualcosa di sbagliato, che i suoi incubi sarebbero venuti a galla senza che potesse impedirlo. «Grazie!» La voce squillante di Lexi la colpì come uno schiaffo. «Come ti chiami?» Sebbene l’attenzione di Tanus nei confronti di Lexi fosse riconducibile a semplice e mera educazione, Tori impallidì appena. Di quel passo le sarebbe venuto un attacco di panico, di lì a poco. Doveva stare calma, respirare e comportarsi normalmente. Sarebbe andato tutto bene. Non era nemmeno sicura che Tanus fosse davvero il padre. E lui, di certo, non poteva saperlo. «Alexandra Årud. Ma mi chiamano tutti Lexi.» Presentandosi, Lexi allungò la manina in direzione di Tanus, aspettandosi una stretta di mano esattamente come gli adulti. «Alla nonna e agli zii non piacciono i nomi lunghi. Anche la mamma viene sempre chiamata Tori.» Snocciolò quella precisazione con estrema nonchalance, ritirando la mano una volta che l’uomo l’ebbe stretta e staccando un pezzo di zucchero filato. Tori si sforzò di sorridere, incapace di parlare o deglutire. Stava cercando di inventarsi una scusa – una qualunque – per fuggire da lì ma il suo cervello sembrava incapace di collaborare. Forse era davvero sotto shock. «Tu hai un soprannome?» Fin troppo a suo agio, Lexi continuò a dirigere la conversazione. «Potresti chiamarti “uomo invisibile”, come i supereroi.» Gli consigliò, prima di sorridergli apertamente. «Anche se io riesco a vederti!» Aggiunse, con aria trionfante, scoccando un’occhiata vincitrice a Tori. Era chiramente orgogliosa del fatto che le sue parole corrispondessero alla realtà. Tori si schiarì la voce, tentando di smuovere la situazione. «Non volevi andare sull’altalena?» Domandò, rivolgendosi a Lexi e sperando intimamente che la prospettiva di giocare la distraesse dalla loro “nuova” conoscenza. La bambina annuì, spostando lo sguardo su Tanus. Victorianne intuì ciò che stava per dire quando ormai era troppo tardi. «Vieni anche tu con noi? Possiamo fare a turno!» Lo invitò, allungando nella sua direzione la manina vuota. Il sorriso di Tori si irrigidì. Scostandosi una ciocca di capelli, si sporse appena verso Lexi, posandole la mano sulla spalla in un comportamento materno e protettivo. Aveva bisogno di avere un contatto, di sentire il calore della sua pelle. Di essere certa che fosse ancora lì, sua. Solo sua. «Tesoro, magari Tanus ha da fare. Non tutti hanno il privilegio di saltare la scuola, oggi.» Le spiegò, cercando di apparire ragionevole e, al contempo, sperando che l’uomo al suo fianco avesse qualche impegno urgente o, comunque, decidesse di non accompagnarle. Nel petto, il cuore le batteva all’impazzata, come quello di un leprotto che ormai si riconosce incapace di districarsi dalla salda presa di un falco.
     
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    La vita era ironica, dopotutto. Tanus, notevolmente più grande di lei, era sprovvisto di una famiglia, mentre Tori -per quanto ne sapeva- non solo doveva aver trovato l'uomo della sua vita, ma ci aveva già fatto un bel marmocchio. Chiunque fosse doveva essere molto orgoglioso di aver messo al mondo una bambina così graziosa e vivace, con ogni probabilità quel giorno era a lavoro e Victorianne invece o faceva la casalinga o non lavorava quel giorno oppure disponeva di un part time che le permetteva di accompagnare e ritirare la bambina da scuola. O non portarla affatto, come gli sembrava in quel caso. Ovviamente Tanus non stette a rimuginare su quali fossero i motivi per i quali le due fossero al parco invece che tra le mura scolastiche -la scuola era iniziata da ben due settimane-, forte di quel lato caratteriale che gli permetteva di non ficcanasare eccessivamente negli affari che non lo riguardavano. L'autunno era alle porte e le tonalità ramate delle foglie che timidamente avevano iniziato a staccarsi dagli alberi avevano decorato il suolo di un patter naturale molto suggestivo. Settembre era iniziato senza troppe cerimonie e le vacanze estive sembravano ormai un lontano ricordo cristallizzato nelle fotografie e nelle memorie della popolazione di Besaid. Per Tanus quell'anno era stato un sunto di momenti piacevoli e spiacevoli, un minestrone finito male che ora si faceva sentire con l'amaro in bocca, arido e amaro come il fiele. Messi da parte i dissapori con suo padre, si era concentrata esclusivamente sulla ricerca di sua sorella Safiya, la quale ormai mancava da troppi anni perchè le persone (all'infuori di lui) potessero credere che fosse ancora in vita. Quelli erano i pensieri che l'uomo si imponeva di custodire in quel periodo senza posizionarli al centro delle sue giornate, giusto per mantenere stabile la propria psiche, anche se per forza di cose gli era impossibile non pensare alla fonte dei suoi problemi. Spesso si scopriva a piangere silenziosamente nei boschi senza un motivo apparente e un attimo dopo a ridere della più futile delle banalità. Si sentiva profondamente instabile come mai si era sentito fino a quel periodo e si era confidato più volte con alcuni compagni di bevute del pub, senza mai fare nomi precisi. Non osava pensare alle conseguenze se avesse fatto diversamente. Così in cerca di un pò di tranquillità e sprovvisto di particolari impegni lavorativi, si era recato al parco più grande della città. Lo aveva sempre visto come l'equivalente dei giardini giapponesi zen, un luogo immerso nel verde dove poter meditare in pace e tranquillità, con l'unica compagnia della popolazione animale che sguazzava nell'acqua limpida del laghetto artificiale e quella annidata tra gli alberi. Specialmente al mattino, ora che le scuole erano iniziate, era difficile trovarvi la popolazione locale, ad eccezione di qualche vecchietto o madre con bambini a seguito. ben più piccoli di Alexandra.
    L'inverno aveva donato a quel luogo un aspetto quasi spettrale, ma non meno incantevole ed ora, ciclicamente, stava iniziando a riassumere quei tratti spenti e freddi. Gli alberi spogli proiettavano le loro ombre come scheletri opachi e i colori spenti facevano somigliare il parco a un dipinto d'epoca. E nell'attraversarlo ci si sentiva realmente in un'altra dimensione, persi in un mondo tutto nostro e quasi irreale. I passi degli anfibi sull'erba lasciavano piccole impronte che svanivano nell'arco di pochi istanti, giusto il tempo di far rialzare gli steli d'erba dopo che i suoi piedi li aveva calpestati. Non sempre siamo in grado di percepire quello che è il ritmo naturale della vita, specie quando le cose ci vanno bene e quando siamo felici il mondo si dipinge dinanzi a noi come un vasto mare di opportunità da cogliere e ci gettiamo di petto verso ciò che desideriamo, accelerando come matti che guidano su lastricati di ghiaccio e senza paura di sbandare, ma quando questo accade perdiamo il controllo di noi stessi e delle situazioni. Confusione, paura, stress, nervosismo si accumulano al centro di noi, del nostro essere e del nostro vivere, e allora le gambe iniziano a cederci e ce la prendiamo con chissà chi o chissà cosa. Ed ora il destino o come lo si voleva chiamare, aveva riportato nella vita dell'egiziano una figura del suo passato. «Mi fa piacere… vederti.» Una dolce menzogna che fece sorridere per un attimo l'uomo. Gli tornò in mente l'unica notte in cui aveva giovato della sua compagnia, ancora non esageratamente ubriachi e fatti ma sufficientemente brilli perchè mettessero a soqquadro la casa per cercare i tarocchi del proprietario, aveva domandato alla ragazza che gli leggesse il destino. Gocce d'alcool riverso sukl tavolo avevano oscurato con una patina marrone i dipinti delle carte e ad oggi Tanus nemmeno ricordava quale fosse stata la rivelazione di Victorianne, ma una cosa gli era apparsa chiara: non era in grado di mentire. O almeno, a chi come lui era abituato a persone che cercavano di fargli passare boiate prive di senso come verità di fede, dunque tarato sul quel genere di mosse ed espressività, la mora non lo avrebbe mai convinto di qualcosa che non fosse vera. Ed era palese che, a discapito delle sue parole, non fosse affatto felice di rivederlo. La cosa non gli pesò minimamente: pensò che rivederlo le riportasse alla mente un periodo della vita in cui non era affatto matura e coscienziosa, come probabilmente era ora che aveva assunto la parte di madre, qualcosa che non le andava di ricordare o di cui si vergognava. Ma per educazione aveva anteposto una piccola bugia che, tutto sommato, non era né una cosa terribile e deplorevole né così spiacevole alle orecchie del moro. Lui invece era contento non solo di rivederla, ma anche di aver appreso che era riuscita a portare avanti la propria vita sino a quel punto; una cosa che lui non aveva saputo e voluto fare. Volendo evitarle ulteriori imbarazzi, si focalizzò sulla sua bambina, ben contento di averci a che fare. Anche lui a quell'età vomitava parole su parole, aveva un energia che ora sentiva di aver perso -complici i mali che lo avevano afflitto per gran parte della vita, le responsabilità e lo scorrere del tempo- e poi a lui era sempre piaciuto aver a che fare con i bambini. Di altri, s'intende. Da brava figlia di Victorianne e pronta per una felice carriera nei boy scout, non si era affatto schifata di mangiare il suo stesso zucchero filato, ma al contrario lo aveva preso dalle sue manone giganti (rispetto alle sue minute) e lo aveva addentato con passione. Ascoltò con vivo interesse quanto aveva da dirle riguardo i nomi e quando apprese il nomignolo della madre assestò un'occhiata ironica alla diretta interessata. -Tori, eh?- domandò senza aspettarsi una risposta, velando le proprie parole di una debole ironia, ridacchiando sotto ai baffi e scuotendo il capo. Non aveva mai sentito un soprannome più bislacco, d'altro canto più in Norvegia e nel resto del globo che in Egitto vi era l'abitudine di abbreviare i nomi di battesimo. Lui era sempre stato Tanus per chiunque, al massimo al posto del suo nome lo avevano chiamato come un animale, tipo "orso" o "lepre". Nulla di più. Tornò quindi a focalizzare il proprio interesse sulla bambina che nel frattempo si era riempita gli angoli della bocca di buffi baffi rosa appiccicosi. -E Lexi sia, ti chiamerò anch'io così. Tu puoi chiamarmi come vuoi, credo sia difficile abbreviare il mio nome.- rivelò con un'alzata di spalle, certo che la bimba forte di una fantasia incontenibile avrebbe trovato ugualmente un Tanu o un Nus per l'occasione.
    A riprova delle supposizioni fatte prima, Victorianne cercò un altro modo per allontanarlo dal loro mondo. Non era una cosa molto educata, ma da quel poco che aveva appreso di lei quell'unica notte era una persona che se ne infischiava delle regole, del buon senso e di qualsiasi cosa andasse fatta come normalmente il quieto vivere o l'educazione imponeva di fare. Difficile che le aspettative con lei venissero ripagate come ci si aspettava; sapeva sempre sorprendere. In un modo o nell'altro. La figlia comunque non sembrava dello stesso avviso: forse l'aveva trovato simpatico o si sentiva in qualche modo in dovere di essere carina con lui perchè le aveva regalato il suo zucchero filato, ma era più propenso ad accogliere favorevolmente la prima opzione. Sapeva che così facendo sarebbe andato contro il volere di Victorianne, ma trascorrere qualche minuto assieme dopo tutto quel tempo trascorso lontani non avrebbe fatto male a nessuno. -Certo che vengo!- confermò alla bambina flettendo le gambe verso il basso in modo da raggiungere la sua altezza. -Non ho impegni migliori, ma lascerò l'altalena tutta per te, se mi prometti di lasciarti spingere fino a raggiungere le nuvole!- le disse ammiccando ed allungando il mignolo, al fine di "stipulare il patto". Tutta raggiante, la piccola annuì con un tale vigore che per un attimo Tanus temette che si slogasse il collo a furia di annuire così rapidamente. Tanus temporeggiò prima di riportare lo sguardo su Victorienne, aspettandosi un'alzata di occhi al cielo o uno sguardo di rimprovero. Qualunque fosse il motivo per cui preferiva stare da sola con la bambina, o comunque lontana da lui, gli sembrava che potessero reggere ancora qualche minuto. Infondo era sinceramente curioso di scoprire com'era diventata, quale fosse la sua vita quando anni prima l'aveva vista totalmente avvolta da nubi di incertezze. Arrivò addirittura ad ipotizzare che la mora non desiderasse che altri visitatori del parco vedessero il trio assieme, come una famiglia che non erano, riportando tali occhiate al marito o compagno che fosse; Besaid era una piccola cittadina e le voci correvano rapidamente. Forse semplicemente desiderava evitare situazioni scomode e malintesi, nulla di più. Le maldicenze erano una delle cose che Tanus detestava delle persone, così come i giudizi affettati, che al villaggio dove aveva trascorso gran parte dell'infanzia erano il pane quotidiano, tra il finto perbenismo e futili preghiere. Erano uno dei motivi per cui, ad oggi, non amava stare in luoghi gremiti da gruppi affollati di suoi simili.
    Raggiunsero il parco giochi nel più totale silenzio ed imbarazzo -almeno i due adulti della situazione- trovandolo piuttosto spoglio ad eccezione di una nonna con il nipote. Il bambino, troppo piccolo anche solo per parlare, giocava con la sabbia in un reticolato adibito per le costruzioni infantili e lanciò loro solo un rapido sguardo prima di tornare alla sua occupazione. -Uomo Invisibile, ecco l'altalena! Su, su andiamo!- senza che potesse fare niente per impedirlo, Tanus si sentì trascinato dalla piccola manina che s'intrecciò alla sua. Ecco, quel gesto di sicuro avrebbe fatto incazzare Vicotrianne, motivo in più per non guardarla. Raggiunta l'altalena, Lexi incastrò nel terriccio il bastoncino di legno sul quale pochi minuti prima era stato aggrovigliato lo zucchero filato già finito nel suo pancino. Senza che necessitasse alcun aiuto, la bambina si sistemò comodamente su una delle due altalene e gli intimò di spingerla. Tanus fece quanto gli fu richiesto, beandosi delle risate che in risposta Alexandra gli regalò. Di tanto in tanto strillava che non era mai arrivata così in alto, ma che ancora non riusciva a toccare le nubi. Nel mentre, Tanus pensò fosse giunto il momento di dedicarsi alla giovane donna che, seppur brevemente, ricordava che lo aveva colpito per più di una ragione. -Allora, Tori, cosa mi racconti? Come dicevi giustamente poco fa, è passato davvero tanto tempo. Cosa fai adesso, lavori o fai la mamma a tempo pieno? E come sta Darius? Anche lui non lo sento da parecchi anni...- Per mostrarsi simpatico ricordò il soprannome illustratole da Alexandra e pensò di usarlo. Darius era l'unico dei fratelli di Tori che Tanus conosceva, il più grande se la memoria non lo tradiva, era stato per un incrocio di conoscenze se era finito a quella fantomatica festa. Dopo di allora si erano rivisti in più di un'occasione, ma allora Tanus non sapeva che Victorianne era sua sorella e quando lo aveva scoperto erano ormai trascorsi diversi mesi dal loro incontro e aveva preferito non stare a chiedergli come contattarla. Aveva visto troppe amicizie sfaldarsi per questioni famigliari, storie sentimentali (come l'amico che sta con la sorella di quest'ultimo geloso marcio), così ne era stato lontano e alla fine gli affari loschi della vita di Darius lo avevano portato comunque ad allontanarsi da Tanus ed entrambi avevano preso strade differenti. Non lo aveva più visto né sentito, pertanto anche la gravidanza di Victorianne era stata una cosa oscura alla sua vita.
    Almeno fino a quel giorno.
    -Sai che tua figlia è la prima persona al mondo che riesce a vedermi quando utilizzo la mia particolarità?- aggiunse di punto in bianco, mentre osservava i lunghi capelli di Lexi mossi dal vento e dalla velocità raggiunta. Quella cosa aveva un che di incredibile. Che fosse una bambina, per giunta, rendeva quella cosa ancora più eccezionale. -Sai già qual'è la sua? Voglio dire, l'ha già manifestata?- le domandò infine, ben conscio del fatto che specialmente nei casi dei bambini essi sviluppavano le proprie particolarità in momenti differenti della vita. Alcuni arrivavano a palesarle fin da piccoli, altri se ne rendevano conto o capivano di cosa si trattava anche raggiunti i dieci anni. Era una cosa che variava molto, specialmente per chi era nativo di quella cittadina e non vi si trasferiva.
     
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    VICTORIANNE FAWNIE ÅRUD ☾

    Nel corso della sua vita, vi erano poche cose che Tori aveva tenuto per sé stessa, evitando di confidarle persino ad Edith o a Lucille, le persone che – a conti fatti – più la conoscevano. Di queste, talmente poche da poterle contare sulle dita di una sola mano, le sue incertezze circa l’identità del padre di Lexi erano state confessate unicamente ad un diario dalle pagine ingiallite, accuratamente conservato sul fondo del cassetto della biancheria, sotto strati di calzini colorati. Ricordava perfettamente il giorno in cui aveva deciso di mettere i propri pensieri su carta, in una lettera indirizzata all’esserino che avvertiva muoversi nel suo ventre, in modo che, un domani, potesse sapere con certezza quello che aveva provato – che, a dispetto di tutto, lo aveva amato e non si era mai pentita della sua decisione ma, al contempo, non poteva che sentirsi in colpa per la sconsideratezza con cui le sue azioni egoistiche avrebbero inevitabilmente influito su una parte terribilmente importante della sua vita. Erano scuse in anticipo che, dentro di sé, Tori sentiva di dovere a Lexi. Quando sarebbe giunto il momento di affrontare l’argomento “padre” il loro rapporto sarebbe stato messo a dura prova e, nel profondo, Victorianne era terrorizzata all’idea che quelle nuove verità a lungo tanto taciute potessero incrinarlo per sempre. Ciò a cui non aveva mai pensato era la possibilità che le cose non andassero come aveva previsto, anticipando i tempi e, in un certo senso, mettendola dinanzi ad una delle sue più grandi paure.
    Se solo fosse stato possibile avrebbe voluto risuonare più sincera nel ricambiare il saluto di Tanus. A conti fatti, non era lui il problema né, nel corso degli anni, Tori lo aveva mai giudicato negativamente o serbato alcun rancore nei suoi confronti per non averla cercata. Ciò che avevano condiviso, dopotutto, era stato un momento fine a sé stesso per entrambi. Una connessione passionale, fisica ed istintiva. Se le cose fossero andate diversamente avrebbero anche potuto avere del potenziale ma, in qualche modo, Tori era convinta che il loro incontro andasse ad incastrarsi nel momento più sbagliato della vita di entrambi; persino il modo in cui era avvenuto, intorpidito da alcol e droghe leggere, avrebbe minato le fondamenta per l’aspettativa di qualunque rapporto stabile e duraturo.
    Con una sensazione di nausea crescente osservò Tanus rivolgersi a Lexi, la voce squillante della bambina pronta a rivelare qualche futile dettaglio sulla loro vita di tutti i giorni mentre, ben felice di aver ricevuto un simile regalo, terminava in pochi bocconi lo zucchero filato che Tanus le aveva regalato. «Tori, eh?» Forzò un leggero sorriso e si strinse nelle spalle quando Tanus le lanciò un’occhiata divertita. «A mia nonna non piacciono troppo i nomi lunghi. Anzi, i nomi brevi sono una sorta di tradizione di famiglia. O almeno, lo erano.» Spiegò, pensando che, come sua madre Leonor, anche lei aveva scelto un nome abbastanza lungo per sua figlia, almeno in ambito ufficiale. «E Lexi sia, ti chiamerò anch'io così.» Il nodo allo stomaco di Tori si contrasse ulteriormente, stringendosi a tal punto da impedirle di respirare. Soffocando un rantolo, si costrinse a distogliere lo sguardo. Non era sicura che sarebbe riuscita a mascherare il proprio turbamento ancora a lungo. Non davanti a scene simili, soprannomi ed interazioni che, alla luce di ciò che sospettava, avrebbero dovuto scandire quotidianamente l’esistenza di Tanus e Lexi sin dalla nascita di quest’ultima. Il senso di colpa la invase lasciandole un sapore amaro in bocca. Restando lì, senza dire nulla, celando un segreto di simile portata, non poteva fare a meno di sentirsi ipocrita e sporca. In vita sua non si era mai sentita tanto disonesta o immorale, checchè ne dicesse la gente, spargendo chiacchiere ed inventando storie sulla sua intera famiglia.
    Il suo – non troppo velato – suggerimento di non disturbare ulteriormente Tanus venne prontamente ignorato; come se non l’avesse udita, l’uomo rispose affermativamente alla proposta della bambina, apparentemente entusiasta. Le propose persino di spingerla sull’altalena, chinandosi alla sua altezza per suggellare quel patto con una stretta di mignolo. Per l’ennesima volta fu come se Tori avesse ricevuto uno schiaffo in pieno viso. Vedere Lexi compiere quel gesto con qualcun’altro – un gesto che, sin da quando aveva iniziato a parlare, avevano condiviso solo loro due – le provocò una strana sensazione, un misto di gelosia e sofferenza; un ago sottile ed affilato che le era affondato nel petto, pungendola proprio nel punto più sensibile. Dovette fare forza su tutta sé stessa per non accampare una scusa plausibile, afferrare Lexi e portarla lontano da lì, dal parco, da Tanus e da qualunque cosa che non riguardasse unicamente loro; a casa.
    Nonostante i suoi sforzi, un silenzio piuttosto teso calò tra loro mentre percorrevano la breve distanza che li separava dal parco giochi, spezzato unicamente da qualche esclamazione di Lexi o dal rumore dei loro passi sull’erba e sul ghiaietto del percorso che si snodava attraverso l’intera area verde. Erano giunti in vista dell’area giochi quando, con la sua solita euforia, Lexi afferrò la mano di Tanus e lo trascinò verso l’altalena. Tori non si sforzò nemmeno di ricordarle di non correre, soffermandosi per un istante qualche passo dietro di loro. Affondò le mani nelle tasche della giacca, serrando i pugni. Doveva calmarsi, riprendere il controllo e comportarsi normalmente. Ancora per un po’, per poco. Il tempo necessario per ricordare a Lexi che sarebbero dovute andare al cinema o avrebbero perso lo spettacolo. Poteva farcela.
    Li raggiunse mentre Lexi si arrampicava sopra l’altalena, fermandosi qualche passo alle loro spalle. Sapeva di non avere un’espressione completamente serena e non voleva turbare Lexi; in quel momento non era pronta a dover rispondere a domande che, una dietro l’altra, avrebbero potuto pericolosamente avvicinarsi alla verità. Assorta nei propri pensieri, seguì con lo sguardo il movimento ipnotico dell’altalena sino a quando Tanus non le si affiancò. Tori spostò appena lo sguardo su di lui, senza tuttavia guardarlo negli occhi. Era in preda all’irrazionale terrore che, da un momento all’altro, lui potesse comprendere tutto, leggerle negli occhi ciò che la turbava. « Allora, Tori, cosa mi racconti? Come dicevi giustamente poco fa, è passato davvero tanto tempo. Cosa fai adesso, lavori o fai la mamma a tempo pieno? E come sta Darius? Anche lui non lo sento da parecchi anni…» Victorianne spostò il peso del proprio corpo da un piede all’altro, le mani affondate nelle tasche del cappotto leggero. Non sapeva bene cosa rispondere. Quell’intera situazione le pareva assurda. S’inumidì le labbra, mordendo appena quello inferiore, e si strinse nelle spalle. «In realtà non è cambiato molto. Sto solo…» Esitò un istante, facendo un vago cenno con il capo. «…diciamo che quando non ho da fare con Lexi, aiuto mia nonna.» Spiegò, preferendo evitare di aggiungere altro. Non le andava di fargli sapere dove lavorava, né di lasciarsi sfuggire troppe informazioni su di sé. Come il fatto che, quando si erano conosciuti, era ancora una liceale stupida ed avventata. Di conseguenza, fu abbastanza felice di far scivolare il discorso su Darius, assecondando la domanda di Tanus. «Oh, lui sta bene. Non che sia cambiato granchè, è sempre il solito.» Lo informò, accompagnando le parole con un sorriso apparentemente rassegnato. Non sapeva quanto Tanus fosse legato a Darius, ma immaginava che il loro rapporto fosse abbastanza superficiale; nel corso degli anni lo aveva sentito nominare si e no un paio di volte e, fortunatamente, in seguito alla festa i due uomini sembravano aver perso i contatti. Tori l’aveva considerata una fortuna. Almeno sino a quel momento. «Ha da poco aperto un’officina con Lars ed Isaak. Non lo avrei mai detto ma sono abbastanza bravi.» Aggiunse, sorvolando su quanto quella loro “nuova” attività risultasse vitale per l’intera famiglia.
    Aveva appena incominciato a rilassarsi quando il discorso virò ancora una volta su Lexi. La domanda che Tanus le porse giunse inaspettata e, per certi versi, tagliente. «Sai che tua figlia è la prima persona al mondo che riesce a vedermi quando utilizzo la mia particolarità? Sai già qual'è la sua? Voglio dire, l'ha già manifestata?» Istintivamente Tori riportò lo sguardo su Lexi, le cui risate accompagnavano il ritmico dondolare dell’altalena. Era saldamente aggrappata alle catene e, ad ogni mezzo arco, il vento le scompigliava i capelli scuri, gonfiando leggermente la gonna del vestitino colorato. In quel momento Tori si sentì più lontana da sua figlia di quanto fosse mai successo. Da quando aveva scoperto di essere incinta, Lexi era sempre stata il centro del suo mondo. Tutto ciò che era bello, felice, importante. Tutto ciò che contava. Per la prima volta da quando sua figlia era venuta al mondo, ebbe la netta sensazione che fossero due entità separate e distanti. Quella consapevolezza la gelò sul posto, come una mano invisibile che affondava nel suo cuore, nelle sue viscere, stringendole senza pietà. Come sarebbe cambiato il loro rapporto, di lì in poi? Quanto, una piccola crepa, avrebbe potuto dividerle sino a trasformarsi in una voragine? Non voleva saperlo. «Davvero?» Domandò, non senza una certa sorpresa. Nel loro unico incontro non aveva mai appreso quale fosse la particolarità di Tanus ma, sebbene potesse capitare che a talune particolarità vi fossero delle eccezioni o, ancora meglio, persone con abilità che le rendevano immuni, il fatto che proprio Lexi fosse riuscita a vederlo le si insinuò nella mente come un tarlo, il fastidioso ticchettio di un orologio impossibile da silenziare. Quante possibilità esistevano che tutto ciò fosse casuale? E quante, data la situazione, che l’abilità di Tanus ed il fatto che Lexi fosse in grado di vederlo fossero, in qualche modo, connesse? «In realtà no, non ancora. O almeno, non che io sappia. In realtà credo che sia ancora troppo piccola.» Si mordicchiò l’interno della guancia, tentando di ricordare quando era accaduto a lei. Avrebbe dovuto chiederlo ad Edith; sua nonna doveva sicuramente avere la risposta a quella domanda. Nella sua famiglia nessuno più di lei si intendeva di abilità e poteri, né si divertiva a sviluppare particolari teorie al riguardo. «Probabilmente stare in mezzo ad altri bambini la aiuterà; credo che a me sia successo lo stesso. Se dovessi indovinare… non saprei proprio cosa potrebbe essere.» Ammise, mantenendo lo sguardo fisso su Lexi. Una parte di lei aveva paura di quel momento, di quale caratteristica avrebbe sviluppato e, soprattutto, di come ciò avrebbe influito sulla vita di tutti i giorni. Sapeva per esperienza che alcune particolarità erano più difficili da controllare di altre; alcune erano utili, altre ancora potevano rovinare l’esistenza. «Mammaaa!» La voce acuta di Lexi li interruppe. Tori le rivolse un piccolo cenno del capo, osservandola spingersi come le aveva insegnato qualche tempo addietro. Riportò lo sguardo su Tanus, tentando per lo meno di essere cordiale. «Tu, invece? Cosa hai fatto di interessante ultimamente?» Domandò, con apparente disinteresse. Una parte di lei non poteva fare a meno di desiderarlo il più lontano da Besaid. Da lei. Da Lexi.
     
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    Era strano ritrovarsi lì, dopo tutti quegli anni, ad intavolare discorsi che avrebbero toccato le labbra di un qualunque cittadino, come se il tempo non fosse mutato ed il loro rapporto fosse quello di due normali conoscenti. Era una situazione che sotto sotto metteva un pò in difficoltà il cacciatore, così abituato a non farsi trovare impreparato di fronte alle situazioni, tanto più una conversazione di quello stampo. Eppure vi era qualcosa nel comportamento di Victorianne che lo metteva a disagio; forse il fatto che fosse così palese che non desiderasse avere a che fare con lui, cosa della quale non riusciva proprio a comprenderne il motivo. Forse era ancora incollerita perchè, dopo quell'unica notte, lui non l'aveva più cercata e questo con buone probabilità doveva aver minato l'orgoglio della nativa di Besaid. Nemmeno sapeva di preciso cosa l'avesse spinto, nonostante il palese diniego, ad insistere per tener compagnia a quelle due; forse una mera curiosità o forse in un certo senso sperava di farsi perdonare per il comportamento tenuto allora, ma non aveva molto senso come cosa, visto che non sarebbe stata la sua presenza a poter sistemare una cosa del genere. Eccolo lì, in un parco giochi -uno dei tanti disseminati in quel parco, il più grande della città- in compagnia della persona più improbabile con la quale avrebbe mai pensato di intrattenere ancora del tempo. Il fatto poi che ella avesse una figlia, rendeva il quadro se possibile ancora più astratto.
    -Più su, più!- la voce incalzante di Lexi vibrava di forte entusiasmo. Era arrivata ad un'altezza considerevole e Tanus le lanciava continue occhiate protettive, temendo che si muovesse in modo tale da cadere dal sellino e ruzzolare a terra. Tremava al pensiero della reazione di Tori, se ciò si fosse verificato a causa sua. Non che quella notte avesse avuto la possibilità, ubriaco marcio e fatto com'era, di carpire ogni dettaglio della personalità di quella ragazza che, anche in quel momento, credeva non avere troppi anni in meno di lei. Il trucco faceva molto in tal senso, e sebbene Tori quel giorno non ne avesse abusato come quella fantomatica sera, deteneva dei tratti per nulla fanciulleschi, ad avvalorare il credo di Tanus.
    -Un'ultima spinta e ti farò toccare le stelle, piccolina!- disse con entusiasmo lasciandosi solleticare dai lunghi capelli della bambina che, mossi dal vento e dalla velocità, negli attimi in cui ella si avvicinava a lui dandogli le spalle. Andando contro le sue convinzioni, Lexi non rimase zitta. -Come un'ultima? Noo! E le stelle non le vedo!-- quel moto di stizza puerile strappò una risata all'egiziano che guardò con espressione complice la madre. Doveva essere abituata a quel modi di pare così piperini. -Allora dovrai aspettare la notte per rimirarle.- spiegò, restando della sua posizione. Cominciavano a dolergli le braccia, visto che stava andando avanti da parecchio tempo. Sebbene fossero costantemente allenate, avrebbe sfidato qualsiasi atleta di canottaggio o di altre discipline sportive per le quali muovere ritmicamente le braccia fosse essenziale a non provare un pò di dolore alla lunga. Attese che il moto oscillatorio dell'altalena si arrestasse per capire come volesse tenersi occupata Lexi. Restò ferma per un pò, il piccolo petto che si alzava e si abbassava rapidamente, osservando il vasto campionario di giochi di fronte a sé. Alla fine optò per un reticolato in legno ripieno di sabbia con la quale poter creare fantasiose costruzioni.
    Il cacciatore fece segno a Victorianne di avvicinarsi a lei; anche da quella distanza avrebbero potuto controllarla, ma non si poteva mai sapere se la piccola di punto in bianco se ne uscisse con una richiesta di partecipazione ludica da parte loro.
    -Darius in un'officina?!- domandò sardonico sciogliendo le braccia incrociate ed alzandole verso il cielo limpido. -Parlava sempre di viaggi in giro per il mondo e cose così, non avrei mai pensato che si richiudesse tra quattro mura per lavorare, ma è anche vero che quel mondo è da sempre stata la sua passione.- commentò con il sorriso sulle labbra, immaginando il vecchio amico alle prese con bulloni e ruote usate. Ora che ci pensava, Darius un pò gli mancava ed era strano che per nulla, praticamente, le loro strade si fossero divise. Se ne sentiva per metà colpevole e si ripromise, più avanti, di cercare di rintracciarlo. Sebbene vivesse confinato nel bosco poteva dire di avere i suoi contatti, inoltre la sua Land Rover 4x4 avrebbe beneficiato delle cure di un amico che, chissà, magari gli avrebbe accordato qualche scontistica. -Se non ricordo male litigava sempre con i suoi fratelli, quindi me li immagino come una coppia allargata che battibecca ogni due per tre, ma sono certo che l'attività stia andando a gonfie vele.- Magari nel tempo quei tre avevano trovato un binario da percorrere insieme con la giusta serenità, arrivando a scontrarsi meno di quanto gli raccontava ai tempi l'amico.
    I discorsi si spostarono per sua volontà su un territorio meno disteso. Lo aveva enormemente incuriosito il fatto che Lexi riuscisse a vederlo quando si rendeva invisibile. Da quando era approdato a Besaid aveva appreso che non era così impensabile che due individui avessero la stessa particolarità, anche se il più delle volte era non solo un caso raro ma confinato a legami di parentela. -Non ho ancora capito qual'è l'età minima, statisticamente, in cui un bambino di questa città l'ha manifestata. So che è una cosa molto soggettiva ma, chissà, magari la paleserà a breve.- disse con un sorriso, spostando lo sguardo dalla bambina alla sua interlocutrice. Eppure, ciò che le regalò Tori, fu un'espressione di pura apprensione. Forse temeva che Lexi sviluppasse una particolarità pericolosa e nociva per il suo animo allegro e spensierato. Aveva visto gente in grado di distruggere palazzi schioccando le dita (e per fortuna farlo solo con palazzi in fase di demolizione), potenziali malevoli se non usati nel verso giusto. Altre particolarità in grado di far impazzire una persona, di deprimerla al punto da voler lasciare la città e se c'era una cosa di cui Tanus era sicuro, era che Victorianne non avrebbe mai lasciato Besaid e la sua famiglia, importante per lei più di molti altri individui.
    Per una madre, il timore che la figlia sviluppasse una particolarità pericolosa -col fatto che ancora non vi fossero medici e specialisti in grado di arginare la cosa o addirittura modificarla affinché non risultasse nociva per il portatore e chi gli stava attorno- doveva essere un cruccio non da poco, che l'accompagnava da diverso tempo, magari addirittura da quando l'aveva messa al mondo. Più passava il tempo, più il momento si avvicinava. -Ho lasciato l'appartamento che condividevo con Bjørn e mi sono trasferito nel bosco.- Certo, come se fosse la cosa più normale da raccontare. -Lavoro come cacciatore, prede su commissione e ogni tanto aiuto la polizia per dei casi per i quali serve qualcuno che conosca alla perfezioni i boschi limitrofi ed individuare e seguire le tracce.- le spiegò mimando con profonda inventiva quello che gli occupava la stragrande maggioranza delle giornate. Trovava che il suo fosse un lavoro di cui andar fiero e che lo aveva sempre appagato, avvicinandolo ai boschi e alla neve che da piccolo aveva solo potuto sognare. Una delle cose più spettacolari di Besaid era il fatto che comprendesse sia mare che montagne, ragion per cui nemmeno quello gli mancava. Ed era notevolmente meno caldo del luogo dal quale proveniva. -Ora devo andare, il lavoro mi chiama.- le spiegò ad un certo punto, non desiderando imporle ulteriormente la propria presenza non troppo gradita. -Mi ha fatto piacere rivederti Tori e sii fiera dell'energica bambina che hai messo al mondo.- aggiunse picchiettandole la spalla destra, un gesto tipicamente maschile ma che per un uomo non troppo avvezzo ai rapporti sociali risultava sfruttabile sia con i maschi che con le femmine. -Ci vediamo.- disse infine, sicuro che il destino, come li aveva fatti rincontrare quella mattina dopo tutti quegli anni, avesse in serbo per loro almeno un altro incontro futuro. Ciò che non sapeva era che quell'incontro sarebbe avvenuto più presto di quanto si sarebbe aspettato. Raggiunse a passo lesto Lexi che salutò con la promessa di rivederla presto, una cosa che non avrebbe potuto in realtà garantire ma che gli era sembrato il modo più carino per staccarsi da quella figura scoppiettante e piena di vitalità.
    Esattamente com'era stato lui un tempo, molti anni fa.
     
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