Color is a power that directly affects the soul

Deryck & Samantha

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    “A quanto possiamo discernere, l'unico scopo dell'esistenza umana è di accendere una luce nell'oscurità del mero essere.”

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    Stamattina mi sono svegliato ancora con quella sensazione che mi sento addosso da un anno a questa parte, precisamente da quando ho saputo della dipartita di mio padre. È innegabile che la morte di un genitore, sia se c’era o no un legame di sangue, possa portare un vuoto incolmabile nella vita di un figlio, specie nel mio caso che ho potuto vedere le persone a me care morire ad una tenera età. Stavolta non ci sarà un intervento divino a dirmi che tutto andrà per il meglio. Oggi, nonostante la mia sensazione che non vuole lasciarmi stare, mi sento di aver assunto una nuova percezione di me stesso: quella del riscatto. Da quando ho riletto il mio diario, ripercorrendo tutti i miei passi che ho compiuto nei miei trent’anni, ho capito che qualcosa doveva cambiare nella mia vita e di agire al lutto come hanno fatto le mie sorelle. Da quando hanno aperto le loro buste, contenendo la lettera di Pa’ e gli indizi sulle loro origini, la vita di ognuna di loro ha preso una svolta del tutto inaspettata e nel superare il dolore della morte di nostro padre, hanno trovato un inizio, una nuova famiglia e, cosa più importante, l’amore. Quando le ragazze m’informarono del loro incredibile viaggio, come quello di Maya in Brasile, di Ally in Norvegia, di Star in Inghilterra, CeCe in Australia e cosi via, ai tempi ero eccitato e anche spaventato. L’idea di mettermi in viaggio per scoprire di un mio possibile passato non mi allettava per nulla, specialmente se riguardare scoprire qualcosa su Vincent. Proprio per via del mio lavoro mi ritrovo spesso a leggere di romanzi sdolcinati e strappalacrime, non volevo ritrovarmi come uno di quei protagonisti che scopre che il suo vero padre non è poi un così bastardo e che, a causa di un incidente o qualche altra cosa, non è potuto essere presente nella vita del figlio. E poi, dopo tutto quello che ho passato, ho avuto una madre meravigliosa che si è presa cura di me e anche una famiglia da cui poter sempre tornare. Per quanto riguarda la lettera, invece, non sono riuscito a leggerla per via del dolore e che, una volta letta, avrei capito che mio padre non se n’è davvero andato da questo mondo. Tuttavia, dopo un anno passato a vivere come un automa, è giunto il momento per me di aprire la busta. Mi sono già preparato a fare mezza giornata, tanto che il mio capo fu piuttosto sorpreso da questa mia richiesta e non ha battuto ciglio. Sicuramente avrà pensato, così come il resto dei miei colleghi, che il mio periodo del lutto sia giunto al termine e che ora stia ricominciando a vivere; apprezzai il loro tentativo farmi tirare su di morale e che, poi, mi hanno lasciato un po’ in pace.
    Lavoro in una delle filiali della casa editrice Edmont, una delle più conosciute nei paesi scandinavi, da quasi quattro anni e ancora oggi mi trovo davvero bene: nell’arco di quegli anni sono diventato uno degli editing più bravi, senza voler fare carriera diventando un editore. Già solo il mio lavoro mi garantisce di leggere dei manoscritti, apportare qualche modifica e anche conoscere, seppur non indirettamente nelle molte occasioni, personaggi illustri nel mondo della letteratura. Dopo essere uscito dall’edificio, mi dirigo verso il parcheggio in direzione di una moto, precisamente una BMW, dove salgo sul sedile e m’infilo il casco, per poi accendere il motore e addentrarmi in strada. Dopo aver percorso quel breve tratto per un quarto d'ora, parcheggio la moto davanti all’Atlantis, la libreria gestita da mia sorella. Quando mi confidò il suo desiderio di aprire una sua libreria, fui contentissimo alla sua idea e anche sollevato che la sua passione per la letteratura l’abbia fatta tornare nel suo percorso originario, così come quello di voler scrivere un libro in un futuro. Una volta spenta la moto e tolto il casco, prendo l’orologio da taschino dalla mia tasca e controllo l’orario: sono le 13.15, perciò Star starà tornando con il pranzo, quindi decido di aspettarla. Dopo un po’, in lontananza, la intravedo passeggiare con due buste tra le mani: con i suoi lunghi capelli sciolti e con uno sguardo rilassato, mi vide seduto sulla moto e mi sorride; solo da questo riesco a intravedere la sua aurea verde che la circonda. ‘Ciao Deryck.’ - mi saluta, ricambiando subito dopo, mentre prendo una copia della chiave della libreria e le apro la porta. Mi sembra solo ieri che la aiutai ad arredare il negozio, insieme alle nostre sorelle, riempiendo gli scaffali di libri e di come, nel giro di qualche mese, Atlantis è diventato uno dei punti di ritrovo per molte persone, di qualunque età, appassionati di libri. Oltretutto, le vendite stavano andando parecchio bene ed ero orgoglioso di come la mia sorellina sia riuscita nella sua impresa. ‘Se sapevo che venivi avrei preso qualcosa anche per te. Oggi dalla signora B. c’era il tuo piatto preferito.’ - dice, entrando nella libreria e si dirige verso il bancone, dove poggia entrambe le buste. Solo al pensiero della buonissima pizza della signora B. mi viene la bava alla bocca in stile Homer Simpson, ma scaccia immediatamente quel pensiero per rimanere concentrato. ‘Non ti preoccupare, ma grazie del pensiero. Sono qui per recuperare lo scatolone che ti ho lasciato stamattina.’ - le rispondo, sentendo fin da subito il suo sguardo e anche il suo colore che presenta una certa sfumatura, come se sospettasse qualcosa. Per tutta la mattinata mi ero chiesto se Star avesse provato a sbirciare all’interno della scatola, anche se non sarebbe da lei fare una cosa del genere; eppure quei suoi occhi azzurri che mi puntano mi fanno pensare che forse, e dico forse, potrebbe aver dato un’occhiata o, invece, avrà notato qualcosa di familiare. ‘Te la vado a prendere. Nel frattempo puoi togliere il cibo dalla busta e disporlo sul bancone, per favore?’ - mi chiede, con un tono gentile e sereno, prima di allontanarsi verso il retro. Mentre estraggo le vaschette, mi accorgo che in tutto ne sono tre e questo mi fa pensare a una sola cosa: che non sarà da sola a pranzo e che, con molta probabilità, verranno anche il suo ragazzo e suo figlio. Il loro arrivo nella vita di Star ha coinciso con la scoperta del suo passato, poiché la donna che nostro padre le ha detto di cercare era una parente lontana di Mouse e Rory. A quei tempi, mentre lei mi raccontò del suo viaggio, fui sorpreso di come aveva affrontato tutte le sue paure per cominciare una relazione con Mouse e di come si era affezionata fin da subito al bambino. E in effetti, quando lo conobbi la prima volta che è arrivato a Besaid, anch’io m’innamorai di Rory, un bimbo tanto dolce quanto adorabile e che è sempre pieno di vita, nonostante la sua sordità. Tuttavia non posso dire di avere un rapporto simile con Mouse - a cominciare, per provocarlo, lo chiamo sempre Jerry: per il bene della mia sorellina, poiché questa per lei era la sua prima relazione importante, ho voluto dargli una chance, anche se non è un tipo che non mi convince molto. A detta di Star, quando lei lo incontrò, era scorbutico e freddo, ma adesso è in fase di miglioramento e sta instaurando un rapporto sincero con suo figlio. In seguito della perdita di sua moglie, fu tanto devastato da aver allontanato tutti, compreso Rory. Forse è solo il mio senso di fratello protettivo nei confronti delle mie sorelle e con il tempo riuscirò ad abituarmi all’idea che adesso ognuna di loro ha un compagno, o compagna nel caso di CeCe. Dopo qualche minuto la vedo tornare con lo scatolone, appoggiandola con delicatezza sul bancone mentre prende il suo telefono per scrivere un messaggio. Mi lancio alla ricerca di quello che mi serve, come lo scrigno e poi la busta che mi aveva lasciato Pa’ Hansen un anno fa. Alla vista della busta, Star interrompe di scrivere il suo messaggio e sento di nuovo il suo sguardo su di me, solo che stavolta anche la sua aurea colorata si è accesa come una lampadina. ‘Credo che sia giunto il momento di aprirla.’ - affermo, anche se era rivolto più a me stesso che alla mia sorellina che, però, non nasconde la sua gioia. ‘Ne sono felice, Deryck. So quanto deve essere stato difficile per te prendere questa decisione: ognuna di noi era spaventata al solo pensiero di leggere le ultime parole di papà o di conoscere le nostre origini, però quello che ci ha lasciato a tutti noi è un dono prezioso che non va sprecato.’ risponde, annuendo a sua volta. Anche ai tempi le ragazze mi dissero qualcosa del genere, solo che ero talmente accecato dal mio dolore che risposi in maniera evasiva.
    Su una cosa ha ragione: il dono che ci ha lasciato Pa’ è davvero prezioso, perché ho potuto vedere con i miei occhi come le mie sorelle sono cambiate in meglio. Una su tutte, Star è tornata a Besaid più sicura e coraggiosa, ma soprattutto indipendente da CeCe e innamorata. ‘Lo so benissimo e qualunque cosa scoprirò del mio passato, questo non cambia che voi siete la mia famiglia e Besaid la mia casa’. - rispondo, con una certa convinzione nel mio tono di voce. Per la prima volta in assoluta ero sicuro di aprire quella busta e niente e nessuno, neppure i miei pensieri negativi, me lo avrebbe impedito. ‘Dove pensi di aprirla?’ - mi chiede, tenendo sempre lo sguardo fisso su di me. ‘Stavo pensando di fare ritorno ad Atlantis e leggere la lettera nel gazebo, però credo che mi dirigerò verso Vennelyst Park.’ – rispondo, sorridendo, mentre ripenso per un breve istante le passeggiate che facevo con mio padre in ogni parte di Besaid, come lo stesso parco, ma anche il bosco e nei giardini di Besaid, quando Star ed io lo aiutavamo con il giardino. ‘Mi sembra una buona idea. Qualunque cosa succeda, sai che non sei da solo e puoi sempre contare sulle tue sorelle.’ – mormora, cercando di non far trapelare del nervosismo nella sua voce; peccato che dal suo colore percepisco che sarà in pensiero per me tutto il giorno. ‘Certamente, ma stai tranquilla. Pensa solo di trascorrere un buon pranzo con i tuoi uomini.’ – puntualizzo, prima di prendere lo scrigno e si dirigermi verso l’uscita. ‘E salutami Rory e Jerry quando lì vedi.’ – concludo, ridacchiando leggermente, mentre afferro la maniglia della porta. ‘Mouse!’ – esclama, fulminandolo con lo sguardo, seppur non riesce ad arrabbiarsi con lui. ‘Io che ho detto?’ – aggiungo, mostrandole il suo classico sorrisetto, prima di uscire dalla libreria e mettermi in sella sulla moto.
    Ho sempre trovato la tranquillità e la pace di Vennelyst Park rilassante, anche quando i bambini giocavano. Non che ai giardini di Atlantis non c’era la pace, ma vivere con sei sorelle non è certamente una passeggiata, soprattutto quando ci sono quei momenti che ascoltano la musica a tutto volume o litigano per ogni cosa; per non parlare della pubertà. In effetti, era passata sì e no qualche settimana dall’ultima volta che ci aveva messo piede: ci aveva portato Rory per farlo giocare con le giostre insieme a qualche altro bambino della scuola, giacché Star era presa dal lavoro e Mouse a finire di ultimare alcuni lavori nella loro casa. Ora quel parco sembrava deserto, con solo i rumori degli alberi che sono mossi dal vento. Dopo aver parcheggiato la moto e messo il lucchetto alla ruota davanti, mi avvio con lo scrigno e la busta verso il nuovissimo gazebo del parco, rimodernato soltanto di recente; ovviamente non è bello come quello di Atlantis, con tanto di sfera armillare al centro, ma è comunque pittoresco e spazioso. Mi siedo in una delle panchine, poso a destra lo scrigno e comincio ad aprire la busta. Sento battere il cuore all’impazzata, tanto che persino le mani iniziano a tremare, ma questa volta non può tirarsi indietro. Dalla busta estraggo una cartellina di plastica, trovando al suo interno la lettera di Pa’ Hansen e anche un biglietto da visita, probabilmente di una società: D’Aplièse. Mai sentita nominare.. non c’è neanche un indirizzo o un numero di telefono. Ah Pa', misterioso come sempre. – rifletto, scuotendo la testa e sorrido. Perfino da morto mio padre continuava con i suoi enigmi da decifrare. Metto il biglietto nella cartellina, apro la lettera e iniziai a leggere.

    Atlantis
    Besaid
    Norvegia

    Caro Deryck,
    posso immaginare quello che stai provando in questo momento mentre leggi la mia lettera e che a differenza delle tue sorelle, ci avrai messo parecchio tempo per aprire la mia busta. Questo dimostra che ti conosco meglio di quanto credi e che, in tutta quell’aria da Sisifo che ti porti a presso, hai un animo buono e sensibile. Sappi che non è stato per nulla facile scriverti questa lettera, perché sapevo che nel momento esatto in cui avresti posato i tuoi occhi sulle mie parole, avrei riaperto il tuo personale vaso di Pandora. Hai già affrontato la morte più volte nella tua vita e sono certo che, grazie alla tua positività e alla gioia che ti definisce, piangerai della mia perdita, ma ti riprenderai e volterai pagina. Magari a modo tuo, come hai sempre fatto.
    Comunque, ormai saprai che non sono più con voi e sono certo che lo shock sarà stato grande per tutti voi. E saprai anche che ho cercato di fornire a ognuno di voi informazioni sufficienti per conoscere la verità sulle vostre origini. Ti sarai accorto che, a differenza delle ragazze, ti ho lasciato la citazione ma non una coordinata: semplicemente perché tu conosci bene il tuo luogo di nascita, così come hai avuto la fortuna di essere cresciuto da una donna fantastica come tua madre. Tuttavia ti ho comunque lasciato degli indizi inerenti al tuo vero padre, di cui sei libero di seguirli o meno: come ho scritto alle tue sorelle, è una scelta che dipende solo ed esclusivamente da voi, siete i padroni del vostro destino. So bene che Vincent è un argomento tabù per te, però è giusto che tu conosca la verità su di lui e sul perché ti ha abbandonato. Se deciderai di intraprendere questo viaggio nel passato ti consiglio di cercare informazioni su una donna di nome Kathryn McKenzie. Ma c’è dell’altro: ti ho lasciato un indizio su di me, quello del biglietto da visita. Hai sempre voluto risolvere il mio enigma, perciò voglio darti quest’opportunità; in un certo senso voglio nominarti il custode della mia memoria. La tua mappa nel scovare la verità sul mio conto sarà l'intera Besaid, perciò è arrivato per te il momento di conoscere a fondo la tua città.
    Mio carissimo ragazzo, non c’è giorno in cui non sia stato orgoglioso di te e non ti ringrazierò mai abbastanza per essere un perfetto fratello per le tue sorelle, anzi, un vero angelo custode; ma soprattutto uno straordinario figlio che qualunque padre sarebbe fiero di avere. I tuoi successi parlano da sé, la tua dedizione di aiutare il prossimo è da ammirare e hai sempre avuto un’energia incredibile: tra tutti i momenti che abbiamo condiviso insieme, ricorderò sempre del tuo discorso alla festa di laurea, di come hai emozionato tutti i presenti con le tue sagge e toccanti parole. Dopo che sposai Helena, ho cercato di essere per te il padre che non hai mai avuto e di cui hai sempre avuto bisogno, anche se non lo esprimevi con le parole per non ferire nessuno, in special modo tua madre. Per questo voglio darti un ultimo consiglio prima di lasciare questo mondo.
    Tu sai bene quanto ho profondamente voluto bene ad Helena, ma ho sempre avuto l’impressione che, per via dell’esperienza con tuo padre, abbia perso fiducia nella natura umana. E di conseguenza questo ti abbia spinto ad avere paura di aprire il tuo di cuore, ad avere fiducia solo nella famiglia. Ragazzo mio: anch’io ho sofferto del tuo stesso male e sappi che questo mi ha rovinato tante cose. Solo col tempo ho imparato al mondo che per ogni mela marcia esistono centinaia di persone dal cuore limpido e generoso. Una volta che riuscirai a credere nel bene presente in ogni persona, solo allora sarai capace di vivere appieno la vita e l’amore.
    È il momento di salutarti, ma non prima di parlarti del mio ultimo regalo per te. Il portafortuna a forma di stella colorata è un oggetto molto prezioso e importante per me e ho deciso di consegnartelo perché so che ne farai un buon uso. L’ho acquistato proprio in un negozio di Besaid e ci fu subito una qualche attrazione tra me e quell’oggetto che, seppur in apparenza sembrasse innocuo, nasconde qualcosa di speciale. Pensa solo che dopo averlo indossato, un paio di giorni dopo, durante uno dei miei viaggi, trovai Maya, e la cosa si è ripetuta con le altre; allo stesso modo, mentre ero via, sapevo che loro erano sempre al sicuro. Nonostante tutto, la stella non mi ha fatto trovare la Settima Sorella, ma forse tu sarai più fortunato a trovare la tua di Merope.
    Adesso dovrai badare tu alle mie ragazze e so che saranno in buone mani, anche se veglierò sempre su di voi.
    Il tuo amorevole padre
    Pa’ Hansen.


    Rimasi seduto, stringendo la lettera fra le mani. Sapevo che le parole di Pa’ mi avrebbero colpito nel profondo e che, proprio come lui ha scritto, avrebbe riaperto il mio vaso di Pandora. Tuttavia, però, devo anche riconoscere di sentirmi davvero bene e sollevato, proprio come se mi fossi tolto un grosso macigno sulle mie spalle. Sapevo che mio padre mi voleva un gran bene, che ha lasciato a me e alle ragazze qualcosa su cui riflettere. Nel mio caso, poi, ha voluto persino lasciarmi degli indizi su di lui e non solo su Vincent, oltre ad una spiegazione sul ciondolo a forma di stella. Forse potevo finalmente lasciarmi andare a un pianto, cosa che non feci al presunto funerale di papà. Ma non prima di aver aperto l’ultimo tassello che mio padre mi ha lasciato: lo scrigno. Questa volta avrei potuto guardare quel portafortuna con occhi diversi, pensando a come abbia deciso di lasciare a me quest’oggetto prezioso. Proprio quando lo stavo per prenderlo con delicatezza, arriva da dietro le mie spalle, un vento forte che accidentalmente mi fa perdere la lettera tra le mani, volando via. Senza perdere altro tempo, tenendo nella mano la stella, esco dal gazebo per cercare di recuperarla, prima che sia troppo tardi.
     
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    ..un luogo al di là del tempo e dello spazio..

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    La famiglia per Sam era sempre stata un tasto piuttosto dolente. Adorava i suoi genitori, li aveva sempre amati, sin da quando era piccola e aveva sempre visto in loro una guida, un esempio da seguire. Non avrebbe mai potuto immaginare la sua vita senza di loro, eppure, per quanto tenesse a loro, c’erano delle occasioni in cui avrebbe preferito che loro non interferissero, che la lasciassero semplicemente in pace. Avevano sempre cercato di impedirle di sbagliare, di indicarle sempre la strada più giusta da prendere ed era per questo che, in più di un’occasione, quando si era trovata davanti ad una scelta, aveva optato per la cosa più razionale, quella che loro sicuramente le avrebbero consigliato e così facendo si era sbarrata davanti tantissime strade. Era stato per questo che, anche nello studio, aveva optato per l’opzione più sicura e tranquilla, anche se, per cercare di sfuggire almeno in parte alla loro morsa aveva finito per l’accettare il posto all’Università di Bergen, a discapito di quella di Besaid. Un atto di ribellione che l’aveva in parte allontanata dai suoi amici più cari, costringendola a fare continuamente avanti e indietro per evitare di perdere la memoria, ma che le aveva comunque fatto provare un minimo di libertà. Lontana dalla loro influenza era riuscita a sentirsi maggiormente se stessa, a buttarsi, a rischiare, anche se questo l’aveva inevitabilmente portata a scottarsi. Bergen era stata semplicemente un compromesso, tra le tante università a cui aveva presentato la domanda. Davanti ai suoi genitori aveva finto che, escludendo Besaid, quella fosse stata l’unica pronta ad accoglierla, ma non era stato così. Aveva avuto l’occasione di fuggire dalla Norvegia, di partire lontano, di liberarsi da quella strana vita che la costringeva a stare dentro le mura di una sola città per evitare di perdere ogni ricordo del suo passato, ma non aveva avuto il coraggio di coglierla. C’era stato un momento, uno soltanto, in cui ci aveva pensato. Una nuova vita completamente diversa si era materializzata davanti ai suoi occhi, una vita in cui sarebbe potuta essere normale, comunque chiunque altro vivesse fuori dal confine invisibile di Besaid, alla carriera che avrebbe potuto avere, alla famiglia, agli amici… ed era lì che tutti i suoi pensieri sarebbero andati in fumo. Con chi avrebbe potuto condividere tutte quelle cose se avesse scelto di andare via? Avrebbe perso ogni memoria di Fae, della loro infanzia trascorsa sempre una accanto all’altro, a soli pochi metri di distanza, di Mal, dei suoi momenti di estrema esuberanza e di quelli tristi, dove sembrava non essere più in grado di avere contatti con il mondo, di tutto quello che avevano passato assieme, di Ivar, di tutto il tempo che avevano condiviso tra i banchi di scuola, tra una marachella e l’altra, di Brooke, il frizzante tenente Jacobsen che aveva sempre cercato di spronarla ad essere più intraprendente e sicura di sé, di Lucy. Era stato il pensiero di tutti a loro a fermarla, ad impedirle di fuggire davvero da Besaid. Perché davanti all’idea di una vita intera senza di loro era stata costretta a fare un passo indietro. Non era questo che voleva, non a quelle condizioni. Quindi aveva lasciato perdere, trovando comunque un modo, seppur piccolo, per fuggire dalla sua solita routine e da quella città, almeno per un po’, almeno periodicamente.
    Era stato strano, ma al tempo stesso bello, incontrare persone che non sapevano nulla di lei, dello strano luogo da cui proveniva e di ciò che faceva alle persone. Si era sentita finalmente normale, in mezzo a tutte quelle persone così assolutamente normali. Eppure, in un modo o nell’altro, Besaid l’aveva sempre richiamata a sé. Sentiva la mancanza di tutti quei piccoli dettagli che la facevano sentire a casa, anche se la sua casa purtroppo non era che una gabbia dorata. Era una bella città, se la si guardava dall’esterno, così ricca di bellezze naturalistiche e attrazioni, ma per chi ci viveva da tutta una vita sapeva essere davvero soffocante. Un po’ come la sua famiglia, bella e soffocante al tempo stesso. Anche i suoi genitori le mancavano. Più di una volta aveva provato l’impulso di tornare a casa, da loro, ma il pensiero di tutte le domande che le avrebbero rivolto, di tutte le preoccupazioni che avrebbero sicuramente invaso sua madre, l’avevano fatta tornare sui suoi passi. Sapeva che era uno sbaglio, che non si poteva mai davvero scappare dai problemi, ma non era ancora pronta per tornare da loro, per raccontargli gli ultimi sviluppi della sua vita e rispondere alle loro domande. Tutto ciò che voleva era soltanto avere un po’ di tempo per se stessa, per cercare di riprendere in mano le cose, di trovare una soluzione con lucidità. Stava facendo un dramma di una sciocchezza, stava ingigantendo il problema, sapeva anche questo, ma non era mai stata brava ad accettare la perdita di una persona, che questa si allontanasse di punto in bianco senza un effettivo motivo. Perché le cose, a Besaid, non funzionavano in quel modo. Nessuno se ne andava mai davvero.
    -Ehi, va tutto bene? - chiese ad un tratto, la ragazza della sua caffetteria preferita del Vennelyst Park, quando la vide stranamente così silenziosa, con lo sguardo perso in chissà quali orizzonti lontani. Lei sollevò il capo un momento, guardandola come se, per un istante, avesse persino dimenticato di trovarsi lì. -Oh, sì. Sì, scusami Julie, ero un po’ pensierosa. - rispose quindi, con un largo sorriso, cercando di tornare alla realtà. Non era da lei isolarsi dal mondo in quel modo e chiudersi dentro la sua testa, ma negli ultimi periodi era capitato sin troppo spesso. -Ho notato ma… che succede? Qualcosa non va? - chiese, allungando il capo nella sua direzione, mentre continuava ad asciugare alcuni bicchieri appena tolti dalla lavastoviglie. Aveva sempre apprezzato la bizzarra capacità dei baristi di comprendere le persone con un semplice e veloce sguardo, come se il loro lavoro potesse quasi equiparargli a degli psicologi. Anche lei ci provava, soprattutto con le persone che conosceva da una vita, ma non poteva dire di riuscirci così bene. Sorrise di nuovo, un’espressione vagamente divertita sul volto ora, dato che era appena stata colta in fallo. -Non preoccuparti, nulla di grave. Soltanto qualche pensiero di troppo. - borbottò velocemente, sperando che questo potesse spegnere almeno un minimo la sua curiosità. Sapeva che restare in silenzio e fingere di non aver sentito non avrebbe potuto aiutarla in quel caso, Juliette avrebbe insistito fino a che non fosse riuscita ad avere almeno un briciolo di risposte. -E scommetto che non ti va affatto di parlarne, non è così? - chiese infatti, con lo sguardo di chi la sapeva lunga, rivolgendole un leggero occhiolino prima di appoggiare il bicchiere ed allungare un croissant nella sua direzione. -Tieni, questo lo offre la casa. - continuò, allontanandosi poi velocemente, probabilmente per evitare che Sam potesse rifiutare l’offerta. La biondina scosse leggermente il capo, sorpresa e divertita da quel suo ultimo gesto, finendo comunque per l’addentare il cornetto dato che non Julie non avrebbe accettato un no come risposta. Adorava le paste di quel posto, per lei erano sempre state le più buone della città.
    Dopo qualche altro minuto di pace e tranquillità si decise finalmente a scivolare giù dallo sgabello vicino al bancone dove aveva trascorso una buona mezz’ora del suo tempo. Allungò qualche soldo in direzione della cassa, facendo un veloce cenno a Juliette poi, con la sua borsa sotto mano, uscì verso il parco. Per lei era sempre stata una delle zone più belle di Besaid, senza dubbio una delle più curate visto quanto rigoglioso cresceva il prato in quella zona. Non ricordava di aver mai visto un parco bello come quello, se non in televisione, in qualche telefilm dove tutto quanto sembrava sempre incredibilmente perfetto. Ma il parco, purtroppo, non era un posto perfetto, aveva i suoi difetti, come tutto d’altronde. Uno di quelli del parco era, senza dubbio, il fatto che fosse una zona sempre particolarmente gettonata, dove le persone andavano di continuo ed era quindi molto complicato trovare una zona tranquilla dove potersi godere almeno un attimo di pace quando se ne sentiva il bisogno. Per quel genere di cose infatti aveva sempre preferito il bosco, per quanto i pericoli anche lì fossero sempre dietro l’angolo. Il parco, tuttavia, aveva comunque un fascino speciale, che neanche tutte le persone del mondo sarebbero mai riuscite ad eclissare. Sapeva trasmetterti gioia e pace anche in mezzo ad un gruppo di bambini urlanti che correvano da tutte le parti, o ragazzi che facevano qualche gara di corsa in bici o in skate con il rischio di centrare qualche vecchietto non troppo attento a dove metteva i piedi. Vennelyst Park era un ritrovo per persone di tutte le età e di tutte le classi sociali ed era per questo che sapeva essere così speciale.
    Guardandosi distrattamente intorno iniziò a camminare senza una meta precisa, lasciando che fossero i suoi stessi piedi a segnare una direzione. Conosceva quel posto come le sue tasche, non sarebbe stato un problema ritrovare l’uscita, anche se si fosse allontanata dal sentiero principale. Spostandosi dalla zona più vicina all’ingresso si rese conto di quanto, stranamente, il parco sembrasse silenzioso quel giorno. nessun gruppo chiassoso e festante, nessun bimbo che giocava nel piccolo parco giochi al suo interno, soltanto poche altre persone solitarie, proprio come lei, che si godevano un po’ di tranquillità. Lentamente, continuando a guardarsi intorno, senza dire neanche una parola, iniziò a muoversi verso il nuovo gazebo del parco, quello che avevano risistemato di recente e rimontato per l’occasione soltanto pochi giorni prima. Aveva sentito diverse persone parlare di quanto fosse comodo e grazioso e aveva quindi deciso di dare un’occhiata, tornando sui suoi passi quando, ormai a qualche metro dalla struttura di legno, si rese conto che qualcuno aveva già avuto un’idea simile alla sua. In una giornata come quella sarebbe stato quasi un crimine irrompere così nella quiete di qualcuno, soltanto per via di una sciocca curiosità. Sarebbe tornata in un altro momento, quando il ragazzo si fosse spostato, o magari in una giornata più movimentata, quando la sua presenza sarebbe passata del tutto inosservata. Stava quasi per voltarsi e tornare indietro quando notò qualcosa di bianco sollevarsi in aria proprio vicino al ragazzo, che si mosse velocemente per recuperarlo. Quando l’oggetto si mosse nella sua direzione comprese che si trattava di un foglio e allora si spostò di lato, cercando di capire che traiettoria avrebbe potuto seguire, per poi deviare leggermente il suo cammino sfruttando la sua particolarità e fare in modo che finisse tra le sue mani, senza troppa difficoltà. Una volta recuperato il foglio, cercando di evitare di sbirciare, si mosse in direzione del ragazzo. -Hai perso qualcosa? - chiese, cercando di attirare la sua attenzione, mentre sollevava appena in aria il pezzo di carta, per mostrargli che non era andato del tutto perduto. -Tieni. Ti assicuro di non aver sbirciato. - disse, una volta giunta a pochi passi da lui, sfoderando un sorriso tranquillo. Aveva notato che c’era scritto qualcosa su quel pezzo di carta, ma non aveva indagato oltre. -Io sono Samantha. - aggiunse poi, una volta restituito il maltolto, allungando una mano nella sua direzione, per presentarsi. Probabilmente sarebbe stata la prima cosa da fare in circostanze normali, ma aveva preferito dare la precedenza a qualcosa di più importante. -Ho notato che ti trovavi nel gazebo. Mi hanno detto che è diventato un gran bel posto dopo le ultime modifiche. - aggiunse, allungando il capo in quella direzione, giusto per dare un’altra occhiata, prima di rendersi conto di essere stata forse un po’ troppo invadenti. -Ma immagino che tu fossi qui per stare un po’ da solo, non è così? - chiese dato che, sul volto di lui, le sembrò di scorgere un’espressione molto simile a quella che lei aveva ormai da giorni, quella di chi andava alla strenua ricerca di un po’ di pace. -Scusami, non volevo disturbarti. Ti lascio tornare alla tua lettura. - continuò quindi, accompagnando il tutto con un leggero cenno di saluto con la mano, iniziando a muovere un passo all’indietro, così da poter lasciare il ragazzo di nuovo solo con i suoi pensieri.
     
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    Uno dei principali insegnamenti che Pa’ Hansen ha dato a Deryck e alle sue sorelle è di come al mondo la famiglia è tutto, che l’amore di un genitore per un figlio è la forza più potente della Terra. Se nel caso delle ragazze si riferiva al loro padre, a come le aveva trovate sparse per il mondo, per Deryck riguardava sua madre e a tutti i sacrifici che ha fatto in tutti i suoi anni per pensare al suo benessere. In questo si è sempre sentito fortunato ad aver avuto una straordinaria madre, tanto che, perfino alla sua morte, ha voluto che il suo bambino fosse accolto nella famiglia Hansen pur di non farlo sentire solo. Per Deryck la famiglia è sempre stata una costanza nella sua vita, un punto di riferimento a cui aggrapparsi quando si sentiva vacillare. Sapeva che poter sempre contare sulle sue sorelle, su Marina e ovviamente su Pa’, di come la sua famiglia ci sarebbe sempre stata per lui nel momento del bisogno. Adesso però, a distanza di un anno, molte cose sono cambiate e quella sicurezza che Deryck ha iniziato ad affondare come una nave: suo padre è scomparso da più di un anno, Marina deve pensare ad Atlantis e le sue sorelle hanno una loro vita. Certo, ci sono dei giorni in cui trascorrono momenti insieme con ognuna delle ragazze, però si è sempre sentito come un terzo incomodo perché, a differenza sua, loro erano in dolce compagnia. Perlomeno, quando usciva con Star o Maya per una giornata al parco, poteva giocare con Rory e Valentina, la figlia del compagno di Maya, però di certo non può fare per sempre il baby-sitter. Così come non può più vivere in questa bolla che si è costruito da un anno a questa parte per contenere tutto il suo dolore per la perdita di suo padre.
    Se oggi ha deciso di aprire la busta lasciata da Pa’ Hansen è proprio perché non può più vivere nella paura e nel dolore: le sue sorelle sono riuscite a scovare una luce in fondo al tunnel, trovando un nuovo inizio nella loro vita. Non che sia infelice in questo momento, visto che svolge un lavoro che gli piace molto ed è circondato da persone a cui vuole un mondo di bene, però è evidente che sente la mancanza di qualcosa che lo possa portare allo step successivo. Sugli indizi che il padre gli ha lasciato, quello inerente sul suo mistero, può essere anche un modo per riscoprire le bellezze di Besaid, di come aveva amato questo luogo la prima volta che ci mise piede anni orsono; per non parlare di riallacciare i rapporti con persone che, nel corso di quest’ultimo anno, ha allontanato tutti per rimanere solo con i suoi pensieri e con il suo dolore. Per certi versi si è sentito come la protagonista del primissimo romanzo di Lucinda Riley, Il Giardino degli Incontri Segreti, dove Julia Forrester ha vissuto isolata per parecchi mesi per colmare il vuoto per la perdita di suo figlio e del marito, allontanando tutte le persone a lei care. Nel caso di Deryck, però, non può contare su un Kit che lo aiuterà a uscire dalla sua gabbia. Oppure sì?
    ‘Bella mossa Deryck, bella mossa!’ – Deryck si stava maledicendo per aver deciso di aprire la busta, altrimenti non si troverebbe a correre come un forsennato per cercare di recuperare la lettera. È proprio vero che a volte il destino ti gioca brutti scherzi, proprio quando pensi di fare finalmente la cosa giusta. Se non fosse troppo preso in questa corsa, Deryck riuscirebbe a trovare il lato divertente di quello che sta accadendo: una persona che segue la traiettoria di un oggetto come un pezzo di carta ricorda vagamente Paperman, il corto animato Disney vincitore di un Premio Oscar. Ad un tratto osserva come la traiettoria del foglio cambia drasticamente, cominciando a scendere nei pressi di un grosso albero in picchiata, come se fosse attratto da una specie di forza. Questo lo porta a rallentare la sua corsa, accorgendosi solo adesso che si è allontanato dal gazebo. Deryck si avvicina nei pressi dell’albero per cercare a terra la lettera ma, purtroppo, non la trova da nessuna parte. -Hai perso qualcosa? - Proprio quando stava per perdere le speranze, una voce echeggia nel parco per avere la sua attenzione: Deryck si gira con il volto nel punto in cui ha sentito quelle parole, trovando una ragazza che mostra il pezzo di carta, mentre avanza. ‘Grazie al cielo.’ – disse, più rivolto a se stesso che alla ragazza, mentre annuisce con il capo. -Tieni. Ti assicuro di non aver sbirciato. - Ascolta distrattamente le parole successive della ragazza, poiché Deryck è ancora troppo preso a fissare la lettera del padre, non curandosi del fatto che potesse essere letta. In fondo al suo interno non sono presenti dei dati come una carta di credito o roba simile. ‘Ah guarda questo è l’ultimo dei miei pensieri. Non so proprio come ringraziarti.’ - rispose, mostrando un gran sorriso. È soltanto quando distoglie lo sguardo dalla lettera, recuperando anche una gran dose di ossigeno, che osserva meglio la ragazza: è molto carina, oltre che gentile per essersi preso tutto questo disturbo per salvare la lettera di uno sconosciuto; persino nel stringere la sua mano Deryck sente un senso di pace e di tranquillità. ‘Io sono Deryck, piacere di conoscerti.’ - aggiunse, presentandosi a sua volta. Rimane a osservare per qualche minuto di troppo i suoi grandi occhi, in particolare non riesce a definire il loro colore: sarà per questo non riesce a scorgere la sua aurea colorata? Solitamente ci vuole un attimo che ella appare intorno alla persona con cui Deryck interagisce, eppure con Samantha non ci riesce proprio e questo lo sta mettendo in difficoltà. È soltanto quando la ragazza le chiede del gazebo che ritorna alla realtà, mettendo da parte questo suo pensiero sullo scoprire il suo colore. ‘Infatti, è così. Il gazebo è sicuramente migliorato, soprattutto da quando ha eliminato tutte quelle scritte di qualche ‘artista di strada’ e anche aggiustato qualche asse di legno sporgente che poteva ferire qualche bambino.’ – rispose, quasi distrattamente, come se la sua mente fosse ancora presa a individuare il suo colore. L’ultima volta Rory stava inciampando su una delle assi, ma per sua fortuna Deryck si trovava nei paraggi e l’aveva preso al volo prima che potesse sbattere sul pavimento legnoso del gazebo. A seguito di quell’incidente fece notare le condizioni del gazebo al comune, insieme anche a molti genitori che non volevano i loro figli giocare nei pressi di una struttura poco sicura. Dopo un paio di settimane il gazebo venne aggiustando rimettendo a posto le varie assi di legno e cancellato molte delle scritte, rendendolo finalmente un luogo più accessibile e sicuro per i bambini e non solo. -Ma immagino che tu fossi qui per stare un po’ da solo, non è così? – Chiese poi lei. Agli occhi di chiunque, vedere qualcuno appartarsi in un luogo come un gazebo e con una lettera tra le mani fa pensare che quella persona voglia stare da sola. Ma rispondere di sì potrebbe essere da maleducati, specialmente se nelle parole di Samantha è presente una certa curiosità sul nuovissimo gazebo. Dopotutto, il gazebo è grande abbastanza per un’altra persona, se non di più; per non parlare che Deryck aveva finito di leggere la lettera del padre, prima che il vento gliela portasse via. ‘Be’, in realtà...’ – Tuttavia la ragazza non gli dà il tempo di proseguire con la frase, cominciando ad allontanarsi da lui. In un primo momento Deryck la osserva andare via, senza proferire parola: da una parte vorrebbe tornare ad approfondire alcuni aspetti della lettera, tra cui gli indizi che Pa’ gli ha lasciato, ma dall’altro lato c’è questa ragazza che, dal nulla, è venuta in suo soccorso e che non ha ringraziato come si deve. -Una volta che riuscirai a credere nel bene presente in ogni persona, solo allora sarai capace di vivere appieno la vita e l’amore.- Ripensando alle parole scritte da suo padre, è il momento per Deryck di potersi aprire a qualcuno che non siano le sorelle, a dare fiducia alle persone e a credere che in ognuno di loro ci sia del bene. Samantha ha dimostrato di essere una persona dal cuore puro per averlo aiutato, quando nessuno si sarebbe preso il disturbo di farlo e...
    ‘Blu...’ – Sussurra, osservando finalmente l’aurea di Samantha prendere vita con uno sguardo stupefatto. I segnali c’erano tutti, dopotutto, eppure Deryck non è riuscito a scorgerli fin dal primo istante in cui hanno iniziato a conversare. Il colore Blu è il simbolo della calma, della tranquillità e dell’equilibrio. Coloro che prediligono questo colore sono persone caratterizzate da sentimenti profondi e intensi. Sono sereni e tranquilli e con una spiccata capacità di trovare il proprio equilibrio interiore. Sono individui che fanno dei propri ideali la loro arma vincente così da ottenere una certa stabilità dovuta anche all’attaccamento alle tradizioni. In linea generale la persona rifugge dalle situazioni e dagli ambienti eccessivamente caotici.
    ‘Aspetta Samantha.’ - Disse, ad alta voce, cercando di richiamare la sua attenzione, mentre inizia a correre. Una volta averla raggiunta, dopo che si era messo intorno al collo il ciondolo a forma di stella, Deryck si prende un breve momento per recuperare ossigeno: infondo è solo la seconda volta che si mette a correre nel parco. ‘Buffo eh? Prima inseguo un pezzo di carta in stile Paperman, ora a una ragazza come... in molti libri o film dal tema romantico.’ – Chiese, ridacchiando leggermente. In realtà tutta quello che sta accadendo a Deryck ha dell’incredibile: quante probabilità c’erano che, nel giorno in cui avrebbe aperto la busta del padre, sapendo di alcuni possibili indizi sul suo passato, avrebbe anche incontrato una persona dal colore Blu? Può sembrare una banale coincidenza, se non fosse che per lui conoscere una ragazza di quel colore è come per Ted Mosby trovare la ragazza dall’ombrello giallo. Nella sua vita non ha incontrato moltissime persone di quel colore o che rispecchiassero tutti i segnali, oppure che apparissero di quel colore ma che, in realtà, fosse solo una facciata. ‘Comunque dicevo sul serio sul ringraziarti per quello che hai fatto per me. Vedi, questa non è solo una semplice lettera...’ - Disse, deglutendo, mentre cerca di trovare la forza necessaria per proseguire nel discorso. Questa è la prima volta che parla con qualcuno che non siano le sue sorelle o Marina di suo padre e di come la sua morte lo abbia sconvolto più del dovuto. ‘Questa lettera me l’ha scritta mio padre prima di morire, più di un anno fa. Ho deciso di aprirla solo oggi perché ero troppo spaventato di aprirla ai tempi e avrebbe confermato che lui se n’è andato sul serio. Oltretutto, proprio come ha fatto con le mie sorelle – ne ho sei, per la cronaca – ha lasciato degli indizi inerenti al mio passato, precisamente dal lato del mio padre biologico. Ah sì, l’uomo che ha scritto questa lettera non era il mio vero padre, però gli ho voluto bene come se lo fosse e non c’è giorno in cui senta la sua mancanza.’ – Era la prima volta in assoluto che Deryck esprimeva il suo dolore per la sua perdita con qualcuno che non fossero le sue sorelle e per quanto gli abbia fatto male ammettere tutto questo, al tempo stesso si sente più leggero. Per certi versi, seguendo il mito di Sisifo, si è alleggerito del masso che si è trascinato nell’arco di un anno. ‘Può sembrarti strano che ti stia parlando di tutto questo, però c’è una buona ragione; poi era un modo per ringraziarti che andasse oltre ad offrirti qualcosa alla caffetteria qui vicino. E se sei ancora interessata a visitare il nuovo gazebo, possiamo andarci insieme: ti assicuro che è abbastanza grande per entrambi.’ - Aggiunse, sollevando brevemente gli occhi su di lei e le sorrise. Rispetto a prima, questa volta Deryck riesce a individuare il colore degli occhi di Samantha – sono di un azzurro chiaro – un colore che le dona molto e che si accosta bene al suo viso. ‘Salvo che non hai degli impegni, ovviamente..’ – Concluse. Nel profondo spera che Samantha possa rimanere ancora un altro po’ per proseguire nella loro conoscenza, nella speranza, però, che non l’abbia spaventata per questa sua improvvisa confessione. Per la prima volta sta dando fiducia al prossimo, seguendo i consigli di Pa’ Hansen e qualunque cosa Samantha avrebbe risposto, sarebbe stato soddisfatto di aver fatto un importante passo in avanti nel fuggire dalla sua gabbia.

    Edited by • T e r r a ´ - 15/9/2018, 01:01
     
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    Era strano per lei scorgere dei piccolo cambiamenti all’interno della città di Besaid. Da piccola aveva creduto che quel luogo fosse immutabile, che fosse sempre stato così, sin dall’inizio dei suoi giorni. Ovviamente non poteva comprendere, allora, che ogni città subiva un suo processo di evoluzione, che con il passare dei tempi le cose mutavano e gli agglomerati urbani si adattavano ai loro cittadini e ai loro bisogni. Eppure, vivendo tutti i giorni nello stesso luogo era difficile notare i piccoli cambiamenti, tutte quelle piccole cose a cui un abitante distratto non avrebbe potuto fare attenzione. Allontanarsi da Besaid per giorni, invece, le permetteva di vedere quel luogo con occhi nuovi, con nostalgia e affetto, molto più di quanto pensasse di poterne provare. Era così anche nel caso di quel grosso gazebo al centro del parco, dove, quando era piccola, aveva trascorso molti momenti felici insieme ai suoi genitori o ai suoi amici. Ricordava di averlo utilizzato per giocare a nascondino, o di aver immaginato che si trattasse di un grosso castello, di una rocca inespugnabile, di una navicella spaziale che l’avrebbe portata in altre dimensioni. Era stato un po’ strano vederlo cambiare, veder sparire con un veloce colpo di spugna tutta quella parte della sua vita che non calzava più così bene con l’immagine attuale del gazebo. Era carino, sì, ma diverso, troppo per potercisi sentire veramente a suo agio. Sapeva essere una persona curiosa, sempre pronta ad accogliere le novità e a buttarsi a capofitto in nuove avventure, ma c’erano certi tipi di cambiamenti, certe sorprese, per le quali le serviva un certo periodo di adattamento prima di poterle accettare del tutto. La mattinata trascorsa allo scavo giusto qualche centinaio di metri più in là, insieme all’archeologo, le sembrava assolutamente lontana ora, davanti a quella novità quasi improvvisa. Non era stato strano scoprire che c’erano delle altre sepolture nascoste chissà dove, magari persino sotto il terreno su cui stava camminando in quel momento, l’aveva presa come una novità entusiasmante, troppo lontana dal mondo in cui viveva per poterlo mutare. Il restauro del gazebo invece era vero e tangibile, era qualcosa che si legava in maniera molto più intima alla sua vita e ai suoi ricordi, era una cosa ben diversa e più difficile da accettare a pieno. Sapeva che negli ultimi tempi il degrado della struttura aveva causato non pochi problemi, ma pensava che, con i lavori, le avrebbero reso un’immagine somigliante a quella del passato e non un nuovo e scintillante castello che sembrava volerti suggerire di lasciarlo perfettamente intatto, di entrare in silenzio e con una certa attenzione.
    Il flusso dei suoi pensieri e dei suoi ricordi venne interrotto da un leggero foglio di carta, che svolazzava in aria senza una meta precisa. Era chiaro che fosse sfuggito dalle mani di qualcuno e quel qualcuno doveva essere probabilmente il ragazzo che si muoveva velocemente per il parco, proprio come se fosse alla ricerca di qualcosa. Cercò quindi di aiutarlo nel recupero, deviando leggermente la direzione del foglio per poterlo raggiungere più velocemente, attirando poi l’attenzione del ragazzo, in modo da poterglielo restituire. -Figurati, non ho fatto nulla di speciale. - disse lei, con un leggero sorriso, quando lui la ringraziò per aver recuperato il foglio. In effetti recuperare le cose che svolazzavano in giro non era mai stati un grosso problema per lei da quando aveva imparato a barare un po’, riuscendo a controllare la sua abilità di manipolare l’aria a suo piacimento. Non era sempre stato così semplice, ma con un po’ di pratica, quando la sua mente era abbastanza serena, riusciva a non fare troppa difficoltà. I problemi arrivavano quando era particolarmente nervosa o arrabbiata, in quei casi la sua particolarità sapeva sfuggirle facilmente di mano. Si presentò, evitando di dare l’idea di essere soltanto una pazza che per caso era capitata di lì, stringendo la sua mano quando lui si presentò a sua volta, dicendole di chiamarsi Deryck. Non ricordava di aver mai conosciuto nessuno con quel nome a Besaid quindi si chiese se il ragazzo non fosse nuovo della zona. Puntò la sua attenzione sul gazebo, ragionando sulle ultime modifiche su cui Deryck sembrava essere assolutamente d’accordo. Sorrise appena, con aria vagamente malinconica, quando lui parlò in maniera così “dura” della vecchia struttura, a cui lei era stata così affezionata. Certo, le scritte che l’avevano ornata sino a qualche settimana prima non erano degli esempi di pura poesia, ma non erano neanche frasi offensive o particolarmente fastidiose da vedere e anche quello era diventato un tocco di colore familiare in mezzo al verde del parco. -Uhm, sì, forse è stato meglio così. - disse, senza tuttavia mettere troppo trasporto in quelle parole, dato che non aveva ancora deciso se crederci o meno. Sicuramente a livello statico e in quanto a sicurezza il posto era migliorato, ma la sua vecchia immagine era sparita sempre viste le notevoli modifiche a colori e materiali che avevano messo a punto. Il vecchio gazebo nel suo aspetto originario sarebbe rimasto soltanto in qualche foto e nei ricordi di chi lo aveva vissuto.
    Evitando di risultare troppo impertinente si decise quindi a salutare il ragazzo, così da farlo tornare all’attività che stava svolgendo prima che la lettera gli sfuggisse di mano. In fondo lei non aveva alcun reale piano per quella mattina, non avrebbe fatto alcuna differenza per lei spostarsi altrove e continuare la sua passeggiata in un punto differente del parco. Lo sentì mormorare qualcosa, che non riuscì a cogliere del tutto, visto il tono basso che aveva utilizzato. -Come scusa? - chiese, giusto per capire se stesse parlando con lei, fermandosi per un momento, prima che anche lui la invitasse a farlo. Non aveva fatto molta strada da quando aveva cercato di salutarlo e quindi lui impiegò pochissimo tempo a raggiungerla, affrettando il passo e facendo una breve corsetta. Rise appena, piuttosto divertita, alla sua battuta sui film romantici e cose del genere trovando che, in effetti, quella sarebbe stata una giornata piuttosto buffa. Negli ultimi tempi poteva dire che gliene capitassero più o meno di tutti i colori tra scherzi poco divertenti al Luna Park, incontri con piccole volpi selvatiche, anziani che cadevano dentro gli scavi archeologici e un temporale che l’aveva sorpresa mentre cercava di trascorrere una giornata tranquilla sul suo windsurf. Quello non doveva essere uno dei suoi periodi più fortunati. Attese che lui riprendesse fiato, ascoltandolo mentre cercava ancora di ringraziarla per quel veloce recupero, spiegandole che quella che gli aveva restituito non era una semplice lettera. Trattenne tra le labbra un nuovo non preoccuparti che avrebbe sicuramente spezzato il discorso del ragazzo, preferendo lasciare che lui concludesse tutto il discorso prima di rispondere. Non sembrava semplice per lui proseguire e lei riuscì a capire il motivo soltanto quando le spiegò che quella era una lettera che il padre gli aveva lasciato prima di morire e che lui prima di quel momento non aveva avuto il coraggio di leggere, per evitare che la scomparsa divenisse assolutamente reale. Le spiegò anche di avere sei sorelle e che suo padre, adottivo a quanto pare, gli aveva dato degli indizi per recuperare almeno parte del suo passato e permettergli, forse, di trovare il suo padre adottivo. Trovava molto strana una lettera d’addio con strani indizi sul passato delle persone, non sarebbe stato molto più semplici dargli tutti i dettagli? Così che il ragazzo potesse davvero riuscire a trovare un po’ di pace dopo quanto accaduto? Davvero non riusciva a comprendere. La sua razionalità in quel caso non sarebbe stata molto d’aiuto in una faccenda così intima e sentimentale e preferì quindi non muovere obiezioni a quanto lui le aveva appena rivelato, soprattutto perchè ammise lui stesso, poco dopo, di essere stato molto legato al suo padre adottivo. Si chiedeva perché una persona dovesse scegliere di andarsene lasciando degli indovinelli alle persone a cui aveva voluto bene, non avrebbe potuto semplicemente parlare in maniera chiara? Essere onesto ed evitare loro altra sofferenza?
    Quel pensiero le fece tornare alla mente la sua famiglia e il fatto che, anche lei, in quell’ultimo periodo, era come se stesse lasciando ai suoi una serie di indizi non molto evidenti per fare capire loro che cosa era cambiato nella sua vita perchè non aveva ancora avuto il coraggio di affrontarli. Forse era stato così anche nella famiglia del ragazzo. Semplicemente lei non li conosceva, non sapeva che cosa fosse successo e non poteva quindi permettersi di giudicare una cosa che non poteva comprendere. Ad ogni modo tutta quella storia sapeva tanto di film tragico. Il ragazzo aggiunse che c’era una ragione se le stava raccontando tutte quelle cose, qualcosa che lei ovviamente non riusciva a comprenderti e che lo aveva fatto anche per ringraziarla dell’aiuto. -Mi dispiace molto per tuo padre, immagino non sia stato affatto semplice. - riuscì a dire soltanto, alla fine del suo discorso, sfoderando un leggero sorriso tirato. Per quanto lei e i suoi genitori avessero avuto i loro momenti no e avessero più volte discusso in passato, non riusciva davvero ad immaginare la sua vita senza di loro. -Uno strano modo di salutarvi comunque, questo di lasciarvi degli indizi. - aggiunse, senza riuscire del tutto a soprassedere su quanto le aveva detto. Lei non era certa che sarebbe stata in grado di affrontare una cosa come quella, probabilmente avrebbe preferito gettarsi tutto alle spalle e cercare di non pensarci anche se, in effetto, seguire degli indizi avrebbe forse permesso di sentire ancora viva la persona che li aveva lasciati, come se non se ne fosse mai andata del tutto. -Ma tuo padre viveva qui? A Besaid? - chiese ancora, dato che non riusciva a comprendere di chi potesse parlare. Non conosceva tutti gli abitanti della città, ovviamente, ma in tuti quegli anni doveva averli incontrati almeno una volta in giro per le strade. Almeno le sue sorelle, probabilmente, se avevano sempre vissuto lì. -Ti ringrazio ma sono appena uscita da quella caffetteria e dato che solitamente abuso del caffè per questioni di studio non è il caso di farlo anche quando posso avere una giornata tranquilla. - continuò, rispondendo alla sua offerta di recarsi alla caffetteria. -E poi davvero, non devi ringraziarmi, credo che chiunque nei miei panni avrebbe fatto lo stesso. - aggiunse ancora, cercando di fargli capire che non doveva sentirsi in debito e pensare di doversi sdebitare in qualche modo. -Per quanto riguarda il gazebo invece possiamo raggiungerlo insieme se vuoi. - disse, accettando almeno quell’ultima parte. Non voleva che lui pensasse che stava cercando di evitarlo o di allontanarlo per strane ragioni.
    Con un leggero cenno del capo indicò quindi il gazebo, invitandolo a farle strada verso quella zona o quanto meno affiancarla in quella breve camminata. -Sai, non sono del tutto sicuro che mi piaccia. - rivelò, dopo un po’, con una leggera risata, voltandosi appena a guardare il ragazzo, dopo aver fissato la struttura a lungo. -Lo preferivo con quella sua aria antica e un po’ sbiadita. Immagino sia molto più comodo ora con quelle nuove sedute, ma per me ha perso molto del suo fascino. - continuò, senza smettere di ridacchiare, spiegando per quale motivo in precedenza non si era mostrata poi così sicura della sua risposta. Ci misero poco tempo a raggiungerlo e lei mosse qualche passo con il naso per aria, cercando di osservare ogni più piccolo cambiamento di quel posto, guardandosi attorno come se fosse stata un investigatore che cercava tutte le prove di un delitto. -E’ carino però, nonostante tutto. - affermò infine, accomodandosi su una delle panche per saggiarne la comodità e capire quindi se quello poteva diventare un luogo dove recarsi per studiare quando aveva voglia di stare all’aria aperta. Aspettò che anche lui prendesse posizione prima di guardarlo di nuovo, con un’aria vagamente dubbiosa sul volto. -Hai detto che c’era una ragione se hai voluto spiegarmi di più su quella lettera… quale sarebbe? - chiese, di punto in bianco, senza davvero riuscire a trattenersi. Non ricordava di aver mai incontrato quel ragazzo prima di quel momento, quindi non pensava di poter essere tra i suoi indizi, allora perché le aveva detto quelle parole?
     
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    “A quanto possiamo discernere, l'unico scopo dell'esistenza umana è di accendere una luce nell'oscurità del mero essere.”

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    Fin da piccolo Deryck ha sempre considerato Besaid un luogo pieno di meraviglie, dove al suo interno incontravi persone che, in apparenza, erano normali e svolgevano un lavoro del tutto normale. Eppure era una cittadina che sapeva come distinguersi da tutte le altre principalmente per due motivi: la faccenda delle particolarità e il non poter lasciare la città per sempre. Questa sarebbe una bella trama per un libro dell’orrore, come un solo Stephen King saprebbe certamente scrivere, però questa trama corrisponde alla pura verità. Nel corso degli anni è sempre stato meticoloso nel controllare il suo potere, cercando sì di aiutare il prossimo, ma non da diventare una specie di psicologo a domicilio; la percezione dei colori non era una scienza esatta, dopotutto. E lo stesso vale anche quando si allontanava dalla città, sia quando frequentava il college, oppure viaggi di lavoro o semplice vacanza, cercando di organizzarsi al meglio: scrivere un diario gli fu utile all’inizio, anche per distrarsi, però non poteva fare molto se qualcuno voleva trattenersi più a lungo in quel luogo del mondo e lui non poteva perché non voleva che gli effetti di stare lontano da Besaid cominciassero a manifestarsi. Per non parlare dei vari cambiamenti che ha dovuto affrontare nel corso dell’ultimo anno e mezzo, tra cui la morte improvvisa di suo padre che ha reso quel luogo ancora più isolato. Non a caso, proprio in questo giorno, ha deciso di dare una svolta rilevante alla sua vita, di scoprire cosa si cela dentro la busta lasciata da suo padre e di seguire gli indizi che lui ha lasciato. E se questo lo porterà a riscoprire quanto Besaid sia la bella e meravigliosa cittadina che ricordava da piccolo, oltre a svelare una parte del suo passato che non conosceva, allora non può che fargli bene questo viaggio personale alla ricerca di un nuovo punto di partenza. Il solo fatto di aver incontrato Samantha, per esempio, è già qualcosa di significato: il solo fatto che lei possiede un’aura di colore Blu non la trova una banale coincidenza, perché ha sempre trovato in loro una sorta di sicurezza. Nella sua vita non ha incontrato persone con questa tonalità di colore - quelle poche volte che credeva di averla trovata si è spesso rivelata errata, scoprendosi poi una persona completamente diversa. Con questo non vuol dire che anche Samantha possa rivelarsi diversa da come appare, però Deryck sembra abbastanza fiducioso in questo momento. Il semplice fatto che si è aperto molto con lei, parlandole della lettera, del suo significato e anche del suo contenuto, senza però scendere in troppi dettagli; aggiungendo un motivo per cui lui si è aperto con lei, collegato ai suoi poteri, e al fatto che questo lo abbia spesso aiutato nella sua vita quando incontrava nuove persone. Oltretutto ha anche riso della sua innocente battuta dei film, perciò vuol dire che è una ragazza che sa, apprezza le battute.
    -Mi dispiace molto per tuo padre, immagino non sia stato affatto semplice.- Da quando la morte è qualcosa di semplice? È sempre qualcosa di devastante, qualcosa che lascia una ferita da rimarginare. ‘‘Non lo è stato e anche se è passato più di un anno, non mi sembra vero che se ne sia andato. Per quanto avesse un’ottantina d’anni, era sempre in grandissima forma.. è stato un fulmine a ciel sereno la notizia della sua morte.’’ - rispose, deviando di poco lo sguardo per non far vedere i suoi occhi brillare dalle lacrime. Deryck non ha potuto esprimere il suo dolore con qualcuno che non fossero le sue sorelle, anche perché la sua paura a fidarsi di qualcuno è sempre stata come un freno a mano tirato; per una volta, però, sta abbassando quel freno per aprirsi con una persona degna di fiducia. -Uno strano modo di salutarvi comunque, questo di lasciarvi degli indizi.- Quel suo commento successivo lo riporta alla realtà, tornando a guardarla negli occhi. In un’altra situazione Deryck non avrebbe preso bene quelle sue parole, poiché Samantha non conosceva suo padre, nonostante ha sempre vissuto nel credo un evento fa affrontato in molti punti di vista e non solo il proprio, oltre anche di mettersi nei panni degli altri. Questa volta, però, sorride alla sua affermazione, cercando anche di trattenersi dal ridere. Definire strano un’azione di Pa’ Hansen è più un complimento nel descrivere la sua figura, il suo modo di agire. Dopotutto è sempre stata una persona fuori dall’ordinario, un padre sicuramente diverso da tutti gli altri e sia Deryck che le ragazze lo sanno perfettamente. In effetti, mentre le spiegava la faccenda degli indizi, notava come la sua aurea colorata cambiava di tonalità, come se nella sua mente cercava di unire i pezzi di questo particolare puzzle. Se anche lui avesse sentito una storia del genere, avrebbe reagito in due modi: la prima è che non l’avrebbe presa sul serio, mentre la seconda, in pieno stile meme, si sarebbe guardato intorno facendo con la mente innumerevoli calcoli per cercare una soluzione. -Ma tuo padre viveva qui? A Besaid?- Le domande di Samantha, inerente alle possibili origini di suo padre, non gli danno il tempo di ribattere alle sue precedenti parole. ‘‘Mio padre era di Besaid, però sicuramente non l’avrai sentito nominare. Era da sempre una persona piuttosto riservata e misteriosa, oltre al fatto che non rimaneva in città molto a lungo: viaggiava molto spesso, tornando a Besaid per uno o due giorni, prima di ripartire per una destinazione ignora; in compenso ci portava sempre qualche dono dai suoi viaggi, rimanendo ad Atlantis, la sua villa che si trova nei dintorni dei boschi, per qualche periodo o per le festività e compleanni. Tuttavia posso confermare che ha sempre dato un enorme contributo a questa città, donando una parte dei suoi soldi a qualche associazione benefica, oppure alla scuola, l’ospedale e alla galleria d’arte, ma sempre in via anonima.’’ - rispose, sorridendo leggermente. Ora che ci pensa, Deryck non ha mai saputo con certezza, dove suo padre andava durante i suoi viaggi. Ha sempre sospettato che continuava nella sua lunga ricerca della Settima Sorella, tornando ad Atlantis a mani vuote, tanto che ormai lui e le ragazze stavano perdendo le speranze di poter conoscere Merope. ‘‘Per quanto riguarda le mie sorelle, forse potresti aver conosciuto Star che gestisce, con me, la libreria Atlantis, che si trova nel centro di Besaid. Non so se hai potuto conoscere le altre. Maya è una traduttrice di libri e insegna lingue a degli orfani, cosa che faceva per un breve periodo in Brasile nelle favelas; Ally è una musicista ed è tornata da qualche mese ad Atlantis per via della maternità; CeCe è un artista, anche se non ha ancora esposto dei quadri, perlomeno a Besaid. Infine ci sono Tiggy ed Electra che vivono dalle parti di Bergen, dove la prima si occupa di un rifugio di animali e la seconda è una giornalista di moda, dopo essere stata modella e stilista. È sempre stata molto intelligente, ma anche molto pigra.’’ - aggiunse, questa volta con un largo sorriso sulle labbra. Quando si tratta di parlare delle sue sorelle, Deryck lo faceva sempre con un certo orgoglio nelle sue parole, perché era davvero orgoglioso di tutte loro e del loro percorso, specialmente da quando sono ritornate dal loro viaggio. È curioso come lui si stia aprendo molto con Samantha, poiché non si è mai esposto tanto nel parlare della sua famiglia: è sicuramente collegato al Blu e a come questo colore faccia sentire Deryck davvero a suo agio, per certi versi protetto. Non che con altri colori lui non si senta allo stesso modo, però ha potuto scoprire come questo di colore abbia un ascendente su Deryck. -Ti ringrazio ma sono appena uscita da quella caffetteria e dato che solitamente abuso del caffè per questioni di studio non è il caso di farlo anche quando posso avere una giornata tranquilla.- Sorride alla sua affermazione, annuendo poi con il capo. ‘‘Ti capisco perfettamente, perché anch’io abuso troppo spesso del caffè quando lavoro.’’ - ribatté alla sua risposta, come per confermare alle sue parole e su com’è sempre meglio limitare l’utilizzo del caffè durante la giornata. In realtà è anche un amante del tè, per via delle sue sorelle che lo bevono: ormai conosce a memoria tutte le bustine della marca Twinings. ‘‘Va bene, sei stata piuttosto chiara a tal proposito. È solo per farti capire quanto questa lettera sia davvero importante per te: se fosse stato qualcos’altro di poco conto, giustamente mi sarei comportato diversamente.’’ - aggiunse, con riferimento al fatto che Deryck non era per forza costretto a sdebitarsi con lei, mentre loro iniziano a camminare per raggiungere il nuovo gazebo del parco. In parte era felice che Samantha aveva accettato l’idea di visitare il gazebo, anche se stiamo parlando di una persona che ha appena conosciuto. Tuttavia il suo colore, così come la forza delle parole di suo padre nella lettera, lo abbia spinto a fare un deciso passo in avanti nella sua vita e di voler dare una chance alle persone. Si era sempre promesso di comportarsi in maniera diversa da sua madre, anche se non ha mai avuto quella giusta dose di coraggio per mantenere la sua parola. Deryck poteva essere il migliore in ogni cosa, che sia a scuola o nel mondo del lavoro, oppure a imparare lingue, strumenti musicali o dipingere, ma il suo tallone d’Achille sono sempre state le persone; per quanto la sua particolarità poteva dargli uno stimolo in più, purtroppo non è mai riuscita a sfruttarlo come dovrebbe.
    Deryck rimane in silenzio ad ascoltare i commenti di Samantha inerenti al nuovo gazebo, dal fatto che non era sicura che gli potesse piacere fino a trovarlo carino, annuendo con il capo, mentre la segue all’interno del gazebo. È questo suo curioso attaccamento nei confronti del vecchio gazebo, anche se aveva il suo fascino e anche la sua storia. Ma a un tratto strabuzza gli occhi, portandosi una mano davanti alla bocca e china leggermente il capo. -Come ho fatto a dimenticarlo?- Si chiede tra sé e sé, ricordandosi di un particolare delle persone dal colore Blu, se non il più importante. Sarà che era da parecchio che non vedeva questo colore, oppure la paura di aver provato per aver pensato di aver perso la lettera gli aveva annebbiato il cervello, però deve subito porre rimedio. ‘‘A tal proposito, ti chiedo scusa se prima sono stato insensibile quando ho parlato duramente del vecchio gazebo. In effetti, devo essere stato come quei genitori ultraprotettivi verso i loro figli.’’ - disse, ridacchiando appena, anche se c’è un fondo di verità: qualche tempo fa Rory era inciampato su una delle assi sporgenti del gazebo. Per fortuna non si è fece nulla, però Deryck fu in quel momento e aveva persino cercato di avvisarlo.. essendo parole al vento per via della sordità del bambino. ‘‘Per quanto sia migliorato, sono d’accordo con te sul fatto che il gazebo precedente aveva il suo fascino, oltre al fatto che era più piccolo, dandoti quel senso d’intimità e sicurezza. Se eventualmente questo non ti va proprio a genio, potrei farti vedere il gazebo di Atlantis.’’ - aggiunse, dando un successivo sguardo al gazebo. Ora che lo osserva meglio, in effetti, trasuda un’aria notevolmente nuova e insolita, provando una strana sensazione. È stato proprio nel vecchio gazebo che ha passato qualche momento speciale, principalmente con suo padre quando volevano stare un po’ lontani da Atlantis: dopotutto vivere con sei ragazze non era facile anche per lui. Una volta che la osserva sedersi su una delle panche, Deryck la stava per seguirne l’esempio, ma poi si ferma, come se si fosse appena ricordato di qualcosa. ‘‘Prima hai detto che la faccenda degli indizi fosse strana per te.. in un certo senso hai descritto il carattere di Pa’ Hansen. Devi sapere che lui è sempre stato un padre insolito da tutti gli altri, per via dei suoi misteri e della sua riservatezza; ovviamente considera che io non abbia termini di paragone perché non ho mai conosciuto il mio vero padre, però lui è stato qualcosa che si avvicinasse molto a una figura paterna. Era il mio eroe: ha offerto una vita migliore nel suo tetto alle mie sorelle, ma soprattutto a me e a mia madre, senza chiedere nulla in cambio.’’ - afferma con un tono d’orgoglio, sospirando lentamente. Il bello della vita sta nel fatto che ogni essere vivente è diverso, con una storia tutta sua da raccontare e che rende questo mondo davvero unico e speciale. Da quando suo padre è scomparso, Deryck si è fatto molte domande sulla sua misteriosa figura: oltre al breve matrimonio con sua madre, perché non si era più sposato? Perché aveva adottato sei bambine ai quattro angoli della Terra per portarle a Besaid? Perché, nonostante non fosse riuscito a trovare Merope, aveva comunque scelto di adottarlo? Perché questi innumerevoli segreti? Ora le ragazze non si fanno più queste domande, avendo trovato un inizio tramite gli indizi nelle loro buste, però lui è l’unico che è rimasto fermo in quel lontano 22 Giugno del 2017 e che solo adesso sta cercando di tornare a vivere. ‘‘Però, a ripensarci, tutto quel periodo fu piuttosto strano. Quando tornai a Besaid per il funerale, Marina, la nostra governante, mi disse che il funerale era stato già svolto perché, secondo la sua volontà, ha voluto che la sepoltura avvenisse senza di noi. Infatti, il suo corpo fu trasportato sullo yatch, scegliendo il mare come la sua tomba. Tutto per farci risparmiare la sofferenza di dover assistere al momento della sua sepoltura in mare. In quel momento ero davvero arrabbiato con mio padre, perché aveva privato a tutti noi della possibilità di dirgli addio e che persino da morto ha voluto mantenere un certo alone di mistero nella sua figura.’’ - Deryck non poteva dimenticarsi di come lui e le ragazze avevano reagito a tale notizia, di come Electra lo aveva definito egoista e cosi via. ‘‘Fu solo quando arrivò Ally che ci disse di aver visto lo yatch nel Mare Egeo, giacché lei si trovava in vacanza con il suo ragazzo. Dopo che le raccontammo tutto, capii di aver assistito, inconsapevolmente, alla sepoltura di nostro padre.’’ - aggiunse, volgendo brevemente lo sguardo verso l’orizzonte, prima di tornare a guardare Samantha. Ha sempre pensato di fare un viaggio da quelle parti per dirgli addio, ma prima doveva conoscere la sua storia e scoprire che cosa gli aveva lasciato nella busta. ‘‘Dopo che ci riunimmo tutti, arrivò l’avvocato di Pa’ che ci lesse il suo testamento. Ti risparmio tutta la faccenda burocratica ed economica di cui nessuno disse nulla, anche perché siamo sempre stati bene economicamente parlando, però il meglio avvenne dopo quando l’avvocato ci accompagnò in giardino dove, all’interno del gazebo, proprio al centro, trovammo...’’ - nel raccontare questa parte, Deryck si mosse proprio al centro del gazebo. ‘‘Una sfera armillare, in cui sul mappamondo erano segnati i nomi delle mie sorelle, le coordinate del luogo in cui sono nate e trovate da nostro padre e anche una frase a esse dedicate. A differenza di loro, il mio nome non era presente perché, tecnicamente, conosco il luogo in cui sono nato. Tuttavia il mio lascito era la sfera in sé, con la mia frase incisa sulla base. Quando ero piccolo, mi affidò una missione di trovare un ornamento per abbellire il suo gazebo. Poiché a quei tempi cercavo di fare colpo su di lui, gli proposi la sfera puntando sulla sua grande passione per la mitologia greca e per le costellazioni. Per dirti, ha chiamato le mie sorelle come il mito delle Sette Sorelle delle Pleiadi, la sua costellazione preferita. Mentre per me, dopo la mia adozione, scelse come secondo nome quello di Sisifo che, secondo il mito greco, era il marito mortale di Merope, la Settima Sorella che non è mai riuscita a trovare. Pensi ancora che la faccenda degli indizi sia la più strana? Ma soprattutto...’’ - Deryck avanza andando a sedersi sulla stessa panca scelta da Samantha, senza distogliere lo sguardo da lei. ‘‘quanto sei curiosa di conoscere la mia storia e quella della mia famiglia?’’ - chiese, allargando le sue labbra da formare un largo sorriso. Mai nella sua vita si è aperto con qualcuno parlando della sua famiglia e della sua storia, così come non è mai stato una persona che parla per più di qualche minuto, vista anche la sua natura: l’influenza del suo Blu lo sta spingendo a dei limiti che non sembrava di conoscere, anche perché si sta sentendo davvero bene a confidarsi con qualcuno che non siano le sue sorelle. In effetti, ha parlato di talmente molte cose che, molto probabilmente, a Samantha le potrebbe scoppiare il cervello da un momento all’altro.
    -Hai detto che c’era una ragione se hai voluto spiegarmi di più su quella lettera… quale sarebbe? - A giudicare dal suo sorriso, Deryck si aspettava questa domanda, anche alla luce di tutto quello che le ha appena raccontato. Questo dimostra ulteriormente il fatto che la sua curiosità non si è minimamente placata, anzi. ‘‘Sì, in effetti, c’è un motivo ben preciso ed è tutto collegato alla mia particolarità. Ho la percezione di vedere i colori attraverso le persone, da cui riesco a capire il loro carattere e stato d’animo.’’ - rispose, osservando con attenzione le possibili reazioni della ragazza e, di conseguenza, come il suo colore muta. Tra l’altro, oltre al Blu, ha cominciato anche a scorgere una sfumatura di Giallo, proprio come sua sorella Ally. Attese per qualche minuto una sua possibile domanda, prima di proseguire nella sua spiegazione. ‘‘Per farti capire, nel tuo caso vedo intorno a te un’aurea dal colore Blu, con una presenza del Giallo. Questo vuol dire che, secondo i molti studi che ho fatto sui colori, sei una persona dal carattere calmo, tranquillo, dolce, gentile, solare, di buona fede, piena di vitalità e che apprezza la sincerità e onestà. Ma soprattutto una persona degna di fiducia e fedele: per questo ti sto parlando della lettera e non solo, perché sento di potermi fidare di te.’’ - aggiunse, senza distogliere lo sguardo da lei. Ancor prima di scoprire del suo colore si sentiva bene in sua presenza, sapendo di potersi confidare con Samantha e, di fatto, adesso si sente davvero sollevato nel parlare con qualcuno della sua perdita, di quello che accadde nel giorno della morte di suo padre e anche della lettera. Prima di lei non ha mai potuto confidarsi con nessuno, ad eccezione delle sorelle, perché non sapeva a chi rivolgersi ed è anche per questa ragione che ha vissuto l’ultimo anno come un recluso, con tutto quel dolore che lo lacerava dentro e senza avere modo di farlo uscire. Come in precedenza, Deryck attese se lei aveva qualcosa da aggiungere. ‘‘Ovviamente questa mia particolarità non è una scienza esatta, principalmente perché le persone sanno, essere piuttosto imprevedibili. Tuttavia posso darti una conferma del tuo colore anche per quello che hai detto di questo gazebo e del precedente: una persona dal colore Blu è poco propensa ai cambiamenti.’’ - concluse, ridendo leggermente. Da quando il suo potere si manifestò, Deryck ha sempre fatto ricerche su ricerche per capire come i colori possano essere determinati sulle persone. Per questo teneva d’occhio le sue sorelle per capire se i loro colori combaciavano esattamente secondo le descrizioni che trovava nei libri. Electra, essendo un carattere piuttosto esplosivo, si associava bene il Rosso; Ally, per via del suo essere estroversa e per niente intimorita dei cambiamenti, si accostava bene il giallo. Però, nel caso di CeCe, il suo Arancione non rispecchiava al 100% il suo carattere, poiché era pragmatica e sbalzava d’umore molto spesso, seppur ci fossero delle motivazioni sostanziali. Questo fece capire a Deryck come i colori possono essere determinati soltanto se la persona trova il suo giusto equilibrio interiore. ‘‘Spero di non averti spaventata con questa storia della mia particolarità, poiché può fare un certo effetto alle persone, ma ero sincero sul fatto di provare fiducia verso di te. So che ci siamo appena conosciuti, però preferisco dire le cose come stanno, anche perché i colori non mentono mai.’’ - Per quanto si ritiene fortunato ad aver ricevuto questo dono dal Besaid, anche perché i colori sono sempre stati parte della sua vita, purtroppo non gli ha reso la vita semplice. Per certi versi Deryck riesce a leggere l’anima ‘‘colorata’’ di quella persona, di poter intuire le sue sensazioni attraverso le sue parole o il suo stato d’animo. Persino quando una persona mente riesce a capirlo, potendo vedere come il suo colore prende una tonalità scura dal suo colore originario. In ogni circostanza sapeva come cavarsela, a come uscirne indenne da ogni situazione, però quando si trattava di rapportarsi con persone diverse della sua cerchia, si presentava sempre qualche complicazione. In questo caso, per via anche della scoperta del suo colore, magari si è lasciato andare con Samantha, ancora provato dall’emozione delle ultime parole di suo padre, però si sente comunque bene di essersi confidato con lei e di non aver più tenuto nascosto le sue sensazioni. Per una volta non sono gli altri che vengono da lui per aiutarlo a risolvere una situazione, è lui quello che ha bisogno più che mai.
     
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    Sapere della scomparsa del padre del ragazzo la riportò in qualche modo alla sua infanzia, al periodo in cui una delle sue migliori amiche aveva perso il padre in un incidente stradale che per poco non aveva costato la vita anche a lei. Era stata la particolarità di Fae a salvarla, la sua capacità di autorigenerarsi. Era stato strano per la piccola Sam comprendere che cosa fosse accaduto, accettare che il padre di qualcuno potesse sparire per sempre. I suoi genitori avevano cercato di spiegarglielo in maniera dolce, senza allarmarla, ma ci aveva messo diverso tempo a capire davvero, ad accettare il fatto di non poter più, per nessuno motivo, parlare di Vels con Fae se non fosse stata lei per prima a proporre quell’argomento. La morte di un familiare diveniva sempre un tabù, qualcosa che le persone più vicine facevano sempre ben attenzione a non oltrepassare per evitare di riaprire ferite che forse non si sarebbero mai rimarginate del tutto. Molte volte nel corso degli anni si era chiesta se Fae avesse mai sentito la necessità di parlarne, se avrebbe voluto che fosse stata lei a sollevare l’argomento, per non doverlo fare in prima persona se, dopo tutti quegli anni, sentiva ancora la mancanza di suo padre nello stesso modo e se ancora continuava a fare male. Probabilmente non avrebbe mai avuto una risposta a quella domanda. Anche per quel ragazzo doveva essere lo stesso, dato che, a un anno di distanza dalla scomparsa del suo padre adottivo, continuava a non voler realizzare di averlo perso davvero. Doveva essere terribile convivere con una cosa come quella, sapere che qualcuno che era stato così importante nella tua vita non avrebbe più potuto farne parte e che non c’era niente che tu potessi fare per evitarlo. Un brivido le percorse la schiena a quel pensiero. No, non avrebbe mai voluto essere nei loro panni. Scoprire l’età del suo padre adottivo la lasciò un attimo di stucco. Aveva immaginato che potesse avere sì e no l’età di suo padre, forse giusto qualcuno in più, dato che Deryck sembrava avere più o meno la stessa età, invece si trattava di un uomo decisamente più maturo. A lei era capitato spesso di litigare con suo padre per idee differenti, dettate dalla loro naturale differenza d’età, come doveva essere stato rapportarsi con un padre così anziano? Non espresse quella domanda a voce alta, la tenne per sé, ma trovava davvero curioso che una persona così avanti con l’età decidesse di adottare dei ragazzi. Che cosa poteva averlo spinto a farlo?
    Non rispose quando lei gli fece notare quanto bizzarro fosse stato il modo del suo padre adottivo di salutare i suoi figli, ma sorrise, come se avesse trovato abbastanza divertente il suo commento o come se, quelle parole, gli avessero fatto tornare alla mente qualcosa. Ascoltò in silenzio quando lui le spiegò che suo padre era di Besaid anche se, essendo una persona piuttosto riservata, non erano in tanti in quella cittadina a conoscerlo. Era una persona che viaggiava spesso e che sembrava aver trascorso davvero poco tempo in quella cittadina. -Non aveva mai paura di dimenticare ogni cosa? - chiese lei, aggrottando appena la fronte, nel sentire di tutti quei viaggi. Se c’era una cosa che un vero cittadino di Besaid temeva era proprio allontanarsi da quella città. Tutti sapevano che non si poteva stare lontani dai suoi confini troppo a lungo, non se non si voleva rischiare di perdere ogni memoria di quel luogo e delle persone che lo abitavano. Era per questo che lei era sempre tornata almeno una volta alla settimana da quando aveva scelto di andare a studiare a Bergen. Non voleva rischiare che i suoi ricordi le scivolassero dalle dita, che il volto dei suoi familiari o dei suoi amici piano piano si facesse più offuscato, sino a scomparire del tutto. Non disse nulla invece in merito alla beneficienza. Non aveva mai approvato troppo l’idea delle persone ricche che, donando il proprio denaro in beneficienza, gli altri avrebbero dovuto necessariamente avere una buona opinione di loro. Non era il denaro a definire le persone, secondo il suo parere. Una persona poteva anche donare tutto il suo patrimonio soltanto per facciata e poi essere una persona orribile e meschina quando gli altri si voltavano dall’altra parte. Anche questo lo tenne per sé ovviamente. Non conoscendo quell’uomo non poteva sapere per quale motivo avesse scelto di fare delle opere di beneficienza ma non aveva apprezzato troppo che suo figlio decidesse di sbandierarlo, come se questo avesse potuto renderlo l’uomo migliore del mondo. Suo padre era una bravissima persona, eppure non poteva permettersi di fare della beneficenza, gliene avrebbe fatto forse un torto? Impercettibilmente raddrizzò appena la schiena, mettendosi quasi sulla difensiva a quel punto, non sapendo più bene come comportarsi con quel ragazzo. A lei non era mai piaciuto condividere le sue faccende personali con persone che non conosceva, era sempre stata piuttosto riservata sotto quel punto di vista, sebbene si mostrasse sempre cordiale ed espansiva con tutti. C’erano alcune distanze che preferiva mantenere irraggiungibili, almeno in un primo momento.
    Le raccontò delle sue sorelle, facendo un breve excursus sui loro hobby e sui loro impieghi. -Non saprei, anche io saltuariamente lavoro in una piccola libreria in centro, ma i proprietari sono degli anziani signori, quindi non credo proprio sia lo stesso posto. - mormorò, ridacchiando appena, quando le disse che una delle sue sorelle, la prima che nominò, gestiva proprio un posto simile a quello in cui lavorava lei. Non era proprio una gran fortuna per gli affari, forse era per quel motivo che l’anziana coppia iniziava a pensare di lasciar perdere tutto e chiudere battenti. Le sarebbe dispiaciuto molto veder arrivare quel giorno. Quella piccola libreria era sempre stata il suo rifugio, sin da quando era bambina, era sempre stata lì, a Besaid, come un piccolo angolo di paradiso per le anime come la sua. Besaid non sarebbe stata più la stessa senza quel luogo. -Temo comunque di non conoscere neanche una delle tue sorelle. Questi nomi non mi suonano affatto familiari. Ed è davvero strano considerando che, in fondo, Besaid non è poi una città così grande. - mormorò, stringendosi appena nelle spalle. Forse se le avesse viste avrebbe riconosciuto dei profili vagamente familiari. Forse nel corso le aveva incontrate, soltanto che non aveva mai avuto modo di sentire o imparare i loro nomi. -E’ un peccato comunque. Sembrano persone molto interessanti. - aggiunse infine, con un leggero sorriso. Di certo sembravano avere tutte dei lavori incredibili. Non era una cosa da tutti i giorni riuscire in una simile impresa, anche se forse poter contare su dei buoni fondi aveva permesso loro di studiare in ottime scuole e aprirsi così la via per il successo. Lei non ci pensò comunque, troppo occupata a cercare di registrare quella marea di informazioni che il ragazzo le stava riversando addosso, senza che lei potesse effettivamente legarle a dei volti. Sarebbe stato impossibile per lei ricordare chi faceva che cosa, ma immaginava che a lui non interessasse davvero che lo imparasse. Forse voleva soltanto parlare della sua famiglia. Un modo come un altro per tenera sempre con sé.
    Lei non aveva mai avuto una vera sorella o un fratello, ma non poteva comunque dire che queste figure fossero mancate completamente all’interno della sua vita. Suo cugino Jack era sempre stato come un fratello maggiore per lei e Fae era stata come una sorella, soprattutto quando si era trasferita poco distante dalla sua porta, a casa di sua zia Rory. Avevano trascorso insieme così tanto tempo da perderne il conto.
    Il ragazzo sembrò capire quando cercò gentilmente di rifiutare la sua offerta di un caffè, spiegando che era meglio non abusarne troppo quando poteva. -Fai un lavoro molto stressante? - chiese, quando lui le disse che anche lui era solito bere molti caffè per il lavoro. Per quanto la riguardava il caffè in quei casi le serviva soltanto per tenerla sveglia ed evitare di addormentarsi quando neanche un cliente faceva capolino dentro la libreria. Quelle erano davvero delle giornate difficili da portare sino alla fine senza appisolarsi sulla scrivania. -E’ soltanto un gazebo, perché mai dovresti scusarti? - chiese lei, in maniera abbastanza confusa, quando lui si scusò con lei per il modo in cui ne aveva parlato. -Credo che tutti abbiano il diritto di avere le proprie opinioni sulle cose, anche quando queste non coincidono con quelle degli altri. - terminò, allargando appena il sorriso sul proprio volto. Non era mai stata il genere di persona che pretendeva di avere ragione su ogni cosa o che gli altri la pensassero sempre come lei. Detestava quindi quando gli altri cercavano di costringerla a cambiare opinione, a seguire il loro modo di pensare. Una cosa che, per fortuna, non stava capitando con Deryck, sebbene lui non facesse che scusarsi o ringraziarla. Probabilmente la lettura di quella lettera doveva averlo un po’ destabilizzato. -Oh no, sono sicura che questo andrà bene. Non preoccuparti. - rispose lei, quando lui si offrì di mostrarle il gazebo della loro tenuta, che doveva assomigliare maggiormente a quello che un tempo svettava al centro del parco. Non è che lei avesse poi una gran fissa per i gazebo. Preferiva di gran lunga passeggiare per la natura, piuttosto che restare seduta in un punto, ad osservare le cose o le persone. Aveva il continuo bisogno di stare in movimento, come se, fermandosi, avesse rischiato di perdere qualcosa di importante.
    Sorrise appena, dolcemente, quando lui ammise che il suo padre adottivo era stato in qualche modo il suo eroe, per il modo in cui era riuscito a cambiare la sua vita e quella di sua madre, oltre a quella delle ragazze che erano diventate le sue sorelle. Avrebbe voluto chiedere di più, chiedere di sua madre, del modo in cui erano arrivati sin lì, ma preferì non infilarsi in discorsi che sarebbero potuti essere ostili. Sentiva di aver fatto già troppe domande personali sino a quel momento e preferiva evitare che quella conversazione pacata potesse terminare con un litigio o comunque con un pessimo finale solo per via della sua esagerata curiosità. Sapeva anche lei quando era il momento di restare in silenzio. Lo aveva compreso quando era ancora una bambina.
    Fu lui comunque a continuare il suo racconto, senza il bisogno che lei facesse delle domande. Le raccontò di quanto anche il funerale di suo padre fosse stato piuttosto strano e di come lui aveva voluto che la sua sepoltura avvenisse senza di loro. Si ritrovò ad arricciare il naso a quella rivelazione, non troppo d’accordo con una scelta come quella. Se suo padre avesse deciso di impedirle di darle un ultimo saluto lei avrebbe sicuramente dato di matto. I funerali non erano mai davvero qualcosa per chi non c’era più, quanto piuttosto per i vivi, per i familiari, per chi restava. Erano un modo per sentire la vicinanza degli amici, dei propri cari, di tutte le altre persone che avevano conosciuto chi ormai non era più lì a condividere la propria vita con gli altri. Le persone avevano sempre bisogno di sentirsi capite, di non sentirsi sole, di sapere che anche altri erano addolorati tanto quanto loro. Una scelta come quella, compiuta in vita, aveva un che di egoista. Aveva privato i suoi cari del cordoglio che una cerimonia come quella avrebbe potuto dare loro. C’erano così tante cose strane e inspiegabili su quella famiglia e forse era per questo motivo che a Besaid si sapeva così poco sul loro conto. Era come se avessero sempre vissuto in un mondo tutto loro, dal quale avevano tenuto alla larga tutti gli altri. Poteva comprendere la rabbia che doveva aver provato lui nello scoprire di non poter salutare suo padre per un’ultima volta, di non poter stare al suo fianco ancora per qualche istante prima di dirgli davvero addio. Forse era stato anche per questo motivo che per lui era stato così difficile riuscire a leggere quella lettera, come se non avesse avuto il tempo di prepararsi, di accettarlo, di rendersi conto che quello che era successo era effettivamente reale. C’erano delle volte in cui davvero non riusciva a comprendere le scelte dei genitori e si chiedeva che genere di scelte avrebbe fatto lei una volta che i ruoli si fossero invertiti. Che tipo di madre sarebbe stata? Anche lei avrebbe detto parole simili a quelle che aveva ricevuto? Oppure sarebbe riuscita a rimanere sempre della stessa opinione? Le questioni successive, legate alla morte di quell’uomo, furono altrettanto complesse e difficili da credere per qualcuno che non sapeva nulla di quella famiglia. Aveva lasciato a ciascuno le coordinate del suo luogo di origine. Arricciò il naso, di nuovo. Quindi le ragazze lo avevano in qualche modo dimenticato? Eppure era lasciare Besaid e non raggiungerla a farti perdere la memoria. Oppure semplicemente erano state troppo piccole per ricordare? -Loro invece non lo ricordavano? - chiese, un po' stupita, non riuscendo a chiudere il cerchio da sola, per poi continuare ad asoltarlo, cercando di non interromperlo ulteriormente, almeno fino a che non fu lui a rivolgergli una domanda. -Sai, io non credo che riuscirei a parlare a cuor leggere di tutta la mia vita con qualcuno. - disse lei, prima di rispondere all'interrogativo, stringendosi appena nelle spalle, assumendo un'aria un po' più pensierosa, prima di andare avanti. -Quindi, per quanto io possa essere curiosa non deve essere questo a spingerti a parlare. - continuò quindi, rispondendo anche se in maniera indiretta alla sua domanda, ma tenendoci a precisare quell’aspetto. -La tua vita è solo tua. E devi decidere tu che cosa farne. - terminò, mormorando parole che in passato qualcun altro aveva detto a lei, quando si era lasciata buttare giù dalle cose, quando aveva pensato che, in nessun modo, sarebbe riuscita a risollevarsi. Era sempre una questione di volontà. Si poteva raggiungere qualunque obbiettivo, si poteva guarire da ogni ferita, se ci si metteva il giusto impegno e la giusta forza di volontà.
    Inclinò leggermente il capo di lato, guardandolo con più attenzione, quando lui le rivelò che la sua particolarità era quella di vedere dei colori attorno alle persone, che gli permettevano di comprendere il carattere e lo stato d’animo di chi gli stava attorno. Sembrava una cosa complessa e anche un po’ fastidiosa forse. Si chiedeva se ci fosse un modo per spegnerla, almeno ogni tanto, e riuscire a vedere il mondo per come era davvero, senza strani colori aggiuntivi. Gli spiegò che cosa vedeva, attorno a lei, e che tipo di spiegazione aveva trovato, cercando di studiare i colori. -Sembra una cosa davvero strana. - mormorò, ridacchiando appena, senza riuscire a trattenere quel commento. -Non ti viene mai il mal di testa? Nel vedere tutti questi colori? - chiese allora, cercando di capire come funzionasse la sua particolarità, se riusciva ad averne il controllo, come accadeva per lei, o se doveva trovare altri modi per arginarla, proprio come doveva fare Mal. Ci tenne comunque a precisare che sapeva che la sua non era una scienza esatta, le persone mutavano continuamente e immaginava che, ad un primo sguardo, la sua percezione della loro aura colorata potesse essere persino ingannevole. -Non puoi mai spegnerla? - chiese ancora, continuando a guardarlo in volto. Per lei era strano pensare di non avere il controllo, pensare a qualcosa che capitava e basta, anche quando non lo voleva. Per lei non era mai stato così. Le capitava di esagerare e perdere il controllo soltanto quando era molto arrabbiata o quando c’era qualcosa di molto particolare a turbarla. -Ti sto facendo troppe domande. Lo so. Mi dispiace. - borbottò poi, quando si rese conto di essere ormai partita per la tangente e di aver iniziato a fare tutte quelle domande sulla sua particolarità. Era sempre strano venire a conoscenza di quella degli altri, sapere cosa le persone attorno a lei potevano fare e come questo si fosse scatenato. Scosse il capo quando lui le chiese se la cosa l’aveva spaventata, se quella strana rivelazione sui colori l’avesse turbata. -Sei mai riuscito a vedere il tuo? Che so… allo specchio, o comunque riflesso da qualche parte? - chiese, cercando di capire se la sua particolarità avesse effetto anche sul possessore. Certe volte erano a senso unico, si poteva operare sugli altri e non su stessi, oppure altre, come nel caso di Fae, la propria particolarità aveva effetto soltanto su se stessi. -Io invece posso manipolare l’aria. - mormorò lei, sentendo quasi il bisogno di rivelargli cosa sapeva fare, dopo che lui aveva fatto lo stesso con lei. -Per questo è stato così semplice recuperare la tua lettera. - spiegò ancora, per fargli comprendere anche per quale motivo non c’era bisogno che lui la ringraziasse. Per lei era stato sin troppo semplice. Mosse appena le dita, facendo sollevare qualche foglia dal pavimento del gazebo, facendole poi volteggiare in aria attraverso una leggera brezza. Era così che aveva trascorso il tempo, da piccola, quando si sentiva sola, quando aveva bisogno di un po’ di tempo per se stessa.
    Attese ancora qualche minuto, lasciando cadere il silenzio tra di loro, per qualche attimo, prima di scattare in piedi. -Sai, non sono mai stata una persona a cui piace troppo stare seduta da qualche parte. Ti andrebbe una passeggiata per il parco? - chiese, con un largo sorriso, allungando una mano nella sua direzione per aiutarlo a rimettersi in piedi. Erano rimasti seduti lì troppo a lungo per i suoi standard, iniziava a sentire il bisogno di cambiare aria.

    Edited by 'misia - 21/10/2018, 14:27
     
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    Quando un genitore passa a miglior vita, è qualcosa che segna un figlio nel profondo, perché quello è l’esatto momento in cui egli dovrà cavarsela da solo e affrontare il mondo con le sole forze. Deryck ha potuto provare sulla sua pelle la sensazione di dover dire addio a molte persone che facevano parte della sua vita. Tuttavia quella che ha provato per suo padre è stato qualcosa di devastante: se nel caso di sua madre, quando morì anni orsono, poté contare su Pa’ e sulle sue sorelle, adesso si è sentito piuttosto solo. Certo, le ragazze ci saranno sempre per lui, però loro sono comunque andate avanti da quando hanno aperto le loro buste e cercato i loro indizi. Si è spesso chiesto se qualcuno aveva gettato la malasorte nella famiglia Ferguson se oggi è l’ultimo superstite rimasto in vita o sul perché abbia dovuto soffrire tanto.
    -Non aveva mai paura di dimenticare ogni cosa? - Già, era una delle domande che lui e le altre si ponevano sempre quando suo padre non era in casa. Talvolta avevano paura che Pa’ poteva dimenticarsi di loro, però questo non è mai accaduto perché il loro padre tornava sempre a casa, anche dopo una settimana o due. Proprio perché le conseguenze di Besaid non sembravano avere effetti su di lui, Deryck ha davvero creduto, quando era bambino, che lui fosse davvero un mago. Ma ovviamente solo crescendo ha potuto scoprire che, tramite la sua vasta conoscenza, riusciva a tornare a casa in tempo. ‘‘No, non ha mai avuto paura e ogni volta che lo vedevamo tornare a casa, si ricordava sempre di noi e di Atlantis, anche se stava via una settimana o due. Pa’ ci diede un importante insegnamento: per quanto noi tutti saremo sempre destinati a tornare a Besaid, questo posto non doveva diventare la nostra prigione. Da queste sue parole abbiamo imparato a conoscere il mondo, dalle sue lingue, la cultura, la musica, l’arte, gli animali e così via. Ognuno di noi ha voluto esplorare tutto quello che c’era al di fuori di Besaid: per esempio, io ho studiato a Cambridge, al Selwyn College; Ally ha studiato al Conservatorio di Ginevra; Star e CeCe hanno viaggiato in tutto il mondo, adattandosi in ogni situazione; Tiggy ha lavorato in molte riserve, tra cui quella di Besaid, ma anche in Scozia; Electra è stata persino in America per uno stage di Vogue. E Maya...’’- Deryck s’interruppe quando menziona la sorella maggiore, ripensando per un breve istante tutto quello che ha dovuto passare dopo quella maledetta festa al college e di come abbia vissuto il resto degli anni chiusa nel suo appartamento, creandosi la sua personale bolla. ‘‘Maya è stata l’unica che è rimasta a Besaid per quasi tutta la sua vita, anche per stare vicino a nostro padre.’’ - terminò il discorso, senza aggiungere altro o dare una valida motivazione. Nonostante Deryck sentiva di potersi fidare di lei, c’era comunque dei limiti che non aveva intenzione di superare: quello che riguardava Maya era uno di quelli e che aveva mantenuto il segreto per molti anni, fino a quando fu lei stessa a confidarsi con le sorelle. E poi aveva già rivelato molto sul padre e sulle sorelle che non doveva per forza raccontare dettagli come quello, specie se vedeva il suo colore cambiare in alcune tonalità. È sempre stato il suo tallone d’Achille quello di parlare di sé e della sua famiglia, principalmente perché si è spesso sentito distante da molti. Persino negli anni di scuola o del college, mentre ascoltava le storie delle loro famiglie, sentiva una certa distanza dalla sua vita e quella della sua famiglia. In tutto questo, però, ha sempre cercato di parlare con fierezza delle sue origini, di come Pa’ lo accolse nella sua dimora e di come ottenne sei sorelle. Al mondo ognuno ha la libertà di esprimere il proprio pensiero, così come ognuno nasce in diverse situazioni familiari e in questo Deryck, nonostante i difficili momenti che ha affrontato in tenera età, si ritiene fortunato.
    Quando la sentii parlare del suo impiego in una piccola libreria del centro, in particolare quando menziona degli anziani signori come proprietari, Deryck si copre la bocca dallo stupore. ‘‘Forse ho capito a quale ti riferisci. Da piccoli Star ed io andavamo spesso in quella libreria, anche per stare in mezzo alla gente e da questo avevamo inventato un nostro gioco: indovinare i libri che ogni cliente avrebbero comprato, basandoci su ogni particolare a nostra disposizione. Ed è un gioco che facciamo tuttora.’’ - mormorò, facendo uscire un sorriso dalle sue labbra. Per quanto ad Atlantis c’era una libreria tutta per loro, preferivano sempre andare nella libreria del centro per stare in contatto con le persone e sentire molti punti di vista sui libri che leggeva. Per non parlare di quel gioco: si nascondevano dietro una libreria a osservare una o più persone scegliere un libro, cercando di indovinare in anticipo la loro scelta. ‘‘Ora che ci penso, una volta vidi mio padre parlare con i proprietari. Non ti so dire con certezza se si conoscevano, anche perché lui ci accompagnava raramente alla libreria.’’ - aggiunse, distogliendo lo sguardo ad altrove per qualche istante. A distanza di un anno si ricordava della loro reazione quando annunciò la morte di suo padre: ci rimasero malissimo, soprattutto quando seppero che non c’era stato un funerale e che non potevano salutarlo dignitosamente. Di quel giorno non vide Samantha al negozio, altrimenti se la sarebbe ricordava, soprattutto per il suo colore. ‘‘Dovrei andare a trovarli più spesso.. non lì vedo da quasi un anno. So che Star ci è andata di recente a trovarli, forse potresti averla vista. Ha i capelli biondi, con delle mesh rossa, occhi chiari ed è minuta.’’ - concluse. ‘‘Oltre alla libreria, di cosa ti occupi?’’ - chiese, infine. A guardarla meglio, anche dopo quell’informazione sulla sua occupazione nella libreria, la vedeva più giovane di lui e forse andava ancora a scuola. Ma preferisce conoscere la risposta dalle sue labbra, piuttosto che farsi qualche congettura nella propria mente.
    Quando Samantha mormorò di non conoscere le sue sorelle, specie perché non aveva mai sentito i loro nomi, fece sorridere Deryck, tanto da sollevare lo sguardo per guardarla meglio negli occhi. Tra i nomi che albergano in quel di Besaid, quelli della sua famiglia sono in assoluto i meno conosciuti, tutti collegati alla mitologia greca. Persino il suo nome, Deryck è usato raramente dai genitori, preferendo chiamare i loro figli Derek. Quando poi aggiunse che le sue sorelle dovevano essere delle persone interessanti, Deryck annuì con il capo. ‘‘Infatti, è così. Sono ragazze intraprendenti che hanno raggiunto i loro traguardi senza chiedere nulla a niente e nessuno. Magari un giorno te le farò conoscere, però non credere a tutto quello che diranno sul mio conto.’’ - disse, ridacchiando. Pa’ Hansen aveva definito tutti i suoi figli in una certa sequenza molto precisa: Maya la bella; Ally, il capo; Star la conciliatrice, CeCe la pragmatica; Tiggy, l’altruista; Electra l’esplosiva; Sisifo, il custode. In effetti, Deryck non seppe mai il motivo per cui suo padre lo definì così, anche perché nel mito di Sisifo non era per niente un custode, vista anche la sua natura ingannevole, però in un certo senso si sentiva il custode delle sue sorelle e poi fu un altro modo di sentirsi parte della famiglia.
    -Fai un lavoro molto stressante? - La domanda posta da Samantha, collegata alla questione del caffè, lo fece riflettere. Poiché lavora in una libreria, magari un giorno vorrebbe intraprendere una qualche carriera che riguardi i libri, perciò è sempre meglio dare una buona impressione del suo impiego, ma soprattutto essere onesto. ‘‘Ci sono delle volte che trovo il mio lavoro davvero bello e appassionante, perché ho l’opportunità di leggere dei manoscritti inediti, soprattutto dei tuoi autori preferiti. Ma ammetto che ci sono dei casi che questo lavoro può portare un enorme stress, in particolare quando ti capitano delle bozze assurde di gente che si credono degli scrittori quando in realtà non lo sono. Mi è capitato proprio una settimana fa di leggere la storia di una bambina giapponese che subisce le angherie di questo mondo, persino uno stupro, ma... non mi ha trasmesso alcuna emozione, principalmente perché è il modo in cui è stato descritto il tutto che non mi ha convinto per niente. Può anche scrivere in maniera chiara le scene, i luoghi e i personaggi, ma se non c’è la giusta dose di emotività nella storia, è pressoché inutile.’’ - rispose, mostrandosi piuttosto professionale e severo nel suo lavoro. Dopotutto, Deryck fa l’editing da quasi cinque anni e nel suo mestiere si è trovato a dover leggere delle bozze illeggibili, trovando conferma anche dai suoi colleghi e dai suoi capi. In molti hanno sperato che Deryck potesse prendere una posizione di alto livello, proprio per la sua enorme dedizione al lavoro e anche il fatto che dà una mano a tutti: tutte qualità che lo farebbero diventare un ottimo capo. Tuttavia, egli è sempre voluto rimanere nel suo ruolo, sia per la sua natura non molto ambiziosa e sia per coltivare altri interessi, come scrivere un libro. -E’ soltanto un gazebo, perché mai dovresti scusarti? - La domanda successiva della ragazza lo fece sorridere, stavolta, grattandosi la nuca, come quando una persona si sente in imbarazzo per qualcosa che ha detto o fatto. Le sue parole successive, quelle in cui chiunque è libero di avere una propria opinione su ogni determinato argomento, le ascolta con enorme interesse. Questo suo essere diretta, sincera e gentile conferma quanto il Blu sia il suo colore, così come lo è il Giallo, oltre anche a essere una persona aperta a qualche cambiamento. La vita è sempre piena di novità, dopotutto. ‘‘Ripeto che mi sono lasciato trasportare dalle parole e pensavo di aver detto qualcosa di offensivo, però hai pienamente ragione su quanto hai detto.’’ - disse, annuendo con il capo. Proprio nel suo lavoro, poi, è sempre in condizione di esprimere la sua opinione sulle bozze che gli danno, che siano positive o negative. Annuii quando Samantha rispose che il nuovo gazebo andava più che bene e che non doveva preoccuparsi. Alla fine il gazebo era comunque bello, però Deryck continuava a provare una strana sensazione che, però, non voleva esporre alla ragazza. È già tanto che gli sta raccontando molto di sé, scaturito dagli effetti di aver letto la lettera del padre, figuriamoci se parla anche dei suoi pensieri o sensazioni: è sempre meglio stabilire certi paletti.
    La reazione di Samantha in merito sul mancato funerale del padre, dal punto di vista del colore, è quella che si aspettava, perché la sua scelta è forse una delle poche che nessuno condivise. In fondo, Deryck ha dovuto seppellire sua madre quando aveva sedici anni, un’età comunque difficile per un bambino dover dire addio a un genitore, perciò poteva benissimo seppellire o perlomeno essere presente al funerale del padre, così come per le sue sorelle. È uno di quei momenti cui ogni figlio deve essere presente, ma anche amici e familiari, per dare in omaggio la figura di una persona che è stata importante. -Loro invece non lo ricordavano?- ‘‘No, anche perché erano piccolissime quando furono adottate da Pa’.’’ - rispose, rimanendo poi in ascolto delle parole successive di Samantha. Parole che lo colpirono nel profondo, evidenziate anche dal suo colore che si mostrava in una tonalità piuttosto chiara. In un certo senso è come se avesse appena ascoltato una delle lezioni di suo padre sulla vita, sui vari aspetti che avrebbe affrontato in età adulta e questo lo faceva sorridere di molto. ‘‘Ti ringrazio per queste tue parole, dimostra che hai un gran cuore. Ma tengo a precisare che tu non mi hai obbligato a fare nulla: sono io che ho deciso di aprirmi con te. Vedi, è sempre stato difficile per me aprirmi con qualcuno per una serie di fattori che, volenti o meno, mi hanno condizionato.’’ - rispose, tenendo stretta la lettera del padre. ‘‘Mio padre lo menziona questo mio difetto nella lettera e il solo fatto di averti parlato di me, della mia famiglia e di tutto quello che è accaduto nel momento in cui ho messo le mani su questa lettera, mi sento meglio e in pace con me stesso ad accettare che lui se è andato per davvero. Ovviamente è un processo che ha bisogno dei suoi tempi, ma esprimere il mio dolore con qualcuno è comunque un piccolo passo in avanti. Ed è risaputo che l’opinione di uno sconosciuto ha una sua importanza e le tue parole lo confermano.’’ - terminò, sorridendo alla ragazza. Deryck ha passato quasi la sua vita a temere il prossimo per via di quello che è accaduto a sua madre, tanto che persino suo padre gliene parla nella lettera e lo sprona a uscire da questa sua personale gabbia che si è costruito in tutti questi anni. Nella vita non ci sono certezze, le persone possono essere sia agnelli o lupi e i colori possono vacillare, però questo non deve essere un ostacolo, altrimenti non si può dire di aver vissuto pienamente. Nessuno può garantire a Deryck che quello che sta facendo potrebbe rivoltarsi contro, ma ci sta provando a buttarsi in qualcosa di nuovo e imprevedibile. È quello che hanno fatto le ragazze quando hanno intrapreso il loro viaggio e seppur hanno scoperto qualcosa di sorprendente, hanno saputo affrontarlo a testa alta e di accettare tutto quello che avrebbero incontrato nel loro cammino.
    -Sembra una cosa davvero strana. - A sentirle pronunciare quelle parole, Deryck non può fare a meno di ridacchiare con Samantha. “Beh, visto e considerato dove viviamo, le stranezze sono all’ordine del giorno tra persone con particolarità, disagi e così via.” - rispose, provando a trattenersi dal ridere. Da piccolo ha associato Besaid come il paese delle meraviglie di Alice: un luogo magico popolato da gente particolare e strana, ma soprattutto imprevedibile ed è anche per questa ragione che ama questa città. Non sai mai cosa può accadere in una giornata tipica di Besaid e che normalità è un lusso piuttosto difficile da trovare. -Non ti viene mai il mal di testa? Nel vedere tutti questi colori? - Deryck sogghigna leggermente, annuendo con il capo. “Curioso che mi hai fatto questa domanda, perché si tratta di uno degli effetti collaterali. Le emicranie si presentano in due distinte occasioni: se mi trovo in una stanza piena di persone, principalmente come le feste o concerti. I cinema, ristoranti, bar, per fare qualche esempio, non mi provocano lo stesso effetto come alle feste. Il motivo sta nel fatto che lì la gente si lascia andare nelle feste e non dico per via dell’alcool o altro, ma anche con le emozioni e la cosa, oltre a procurarmi l’emicrania, mi metteva a disagio. Il secondo è quando mi trovo a contatto con dei colori forti, come il rosso che è l’incrocio tra amore e rabbia e, ovviamente, il bianco e nero. Tuttavia il dolore scompare dopo un paio di minuti, soprattutto se mi sono allontanato dal luogo e non mi hai mai procurato effetti collaterali, per il momento.” - rispose, mostrando un leggero sorriso. L’ultima emicrania risale più di un anno fa, quando dovette consolare Electra e, nonostante il dolore lancinante, non poté fare a meno di starle vicina e di aiutarla a superare la morte del loro padre. Per il resto non è mai stato un gran festaiolo, anche per l’esperienza che ebbe alla festa al college di Maya e gli unici concerti cui ha preso parte sono di lirica con Ally. -Non puoi mai spegnerla? - Spegnere il suo potere... è una domanda che Deryck non si è mai posta, ma è anche vero che non ha mai avuto un effettivo controllo sulla sua particolarità. Da quando ha acquisito questo potere, l’ha sempre associato alle persone e che funzionava solo ed esclusivamente in base alle loro emozioni. Se questo fosse il mondo di The Vampire Diaries, dove i vampiri spegnevano le loro emozioni - e dove bevevano più alcol che sangue nella maggior parte del tempo - avrebbe potuto considerarla una possibilità. “A essere sincero non ci ho mai pensato. Sarà che sono molto affezionato a questo potere perché è collegato al mio passato... Comunque potrei lavorarci su, mi hai dato molto da riflettere.” - rispose, annuendo. In effetti, potrebbe essere una nuova visione per Deryck di guardare il mondo senza tutti i colori. Ovviamente questo non vorrebbe dire che diventerebbe un festaiolo, però sarebbe un nuovo punto di vista di conoscere le persone senza già sapere la loro natura. Certo, avendo studiato molto sulla psicologia e sulla comunicazione, potrebbe comunque percepire le persone attraverso il linguaggio del corpo, la mimica facciale e le posture; ha dovuto consultare molti di quei volumi per conoscere meglio il suo potere e se effettivamente il colore di una persona determinava il loro carattere o stato d’umore. Oltre a ciò, durante il 2009 seguii la serie televisiva Lie To Me, un poliziesco con protagonista Tim Roth nei panni di Cal Lightman, uno studioso esperto della comunicazione non verbale, tanto che perfino i professori prendevano la serie TV come spunto nello spiegare alcuni concetti della comunicazione. -Ti sto facendo troppe domande. Lo so. Mi dispiace. - Deryck sorrise a quell’innocente affermazione di Samantha, incrociando poi il suo sguardo. “Non ti devi preoccupare. Anch’io avrei fatto lo stesso se fossi stato nei tuoi panni dopo tutte queste informazioni. E comunque è curioso che entrambi ci siamo scusati per qualcosa di cui non c’era bisogno.” - disse, cercando di rassicurarla e farle capire che non c’era nulla male di essere curiosi. Il bello di Besaid sta proprio nella curiosità di conoscere nuovi aspetti di quella cittadina della Norvegia. E poi, nel vedere come il suo colore mutava a ogni sua domanda, a ogni sua curiosità da cui non riusciva a trattenersi, lo trovava piuttosto adorabile. -Sei mai riuscito a vedere il tuo? Che so… allo specchio, o comunque riflesso da qualche parte? - Quella domanda lo spiazzò completamente, distogliendo lo sguardo da lei per guardare in avanti, fissando il vuoto. È sempre stata una di quelle domande a cui non sapeva come rispondere: Deryck riesce a percepire i colori degli altri, ma non il suo. In tutti questi trent’anni, non ha mai saputo qual è il suo colore e forse non lo saprà mai. Una volta perse parecchio tempo davanti allo specchio del bagno per cercare di individuarlo, anche se non sapeva come fare, però non ricavò mai nulla di rilevante. “Non ci sono mai riuscito. È frustante pensare che io riesca a vedere il colore degli altri, tranne il mio. Mi sono spesso scervellato per capirne il motivo, però ancora oggi non ho trovato una risposta a questa domanda.” - rispose, tornando a guardare Samantha negli occhi. È sorprendente come lei abbia azzeccato, nella sua curiosità, le domande giuste da fare a Deryck, mettendolo completamente nudo. Tuttavia si sente comunque a suo agio a parlargli di cose che solitamente non direbbe a nessuno, proprio perché sente che di Samantha si può fidare. Quando spiegò a Deryck della sua di particolarità, quella di manipolare l’aria, il suo volto s’illumina e sorrise largamente. “Lo sapevo! Mi era sembrato strano vedere la lettera cadere in picchiata così velocemente.’’ - disse, sogghignando. Gli sarebbe piaciuto poter controllare uno tra i quattro elementi. Lo avrebbe sfruttato moltissimo da bambino per fare qualche scherzetto o se qualcuno lo importunava. Quando osservò Samantha all’opera con il suo potere, il volto di Deryck s’illuminò di nuovo, proprio come quello di un bambino. ‘‘È meraviglioso! Sarai fiera di questa tua particolarità: in pratica controlli uno dei quattro elementi della Terra, mica roba da poco.’’ - aggiunse, rimanendo incantato da quel piccolo spettacolo di foglie che svolazzano in aria, prima di vederle cadere di nuovo sul pavimento legnoso del gazebo. ‘‘Adesso sono io quello curioso sul tuo potere.’’ - mormorò, sogghignando appena, mentre rivolse lo sguardo su di lei. ‘‘Ad esempio, riesci a creare l’aria, oltre che manipolarla? Oppure, l’aria è in qualche modo collegata al tuo passato o a quello della tua famiglia? Mi piace credere che i poteri siano in qualche modo collegati al nostro essere, che eravamo destinati a ricevere proprio questo tipo di particolarità una volta messo piede a Besaid.’’ - domandò, cercando di conoscere qualche dettaglio in più sul potere di Samantha. Se la prima è una domanda piuttosto scontata, è la seconda a cui Deryck è maggiormente interessato. Quando da bambino vide quei colori su in cielo, che solo dopo molto tempo lo associò all’arcobaleno, fu una curiosa coincidenza che il potere che Besaid gli ha trasmesso riguardava proprio i colori. Una volta che ricevette le risposte alle sue domande, calò un improvviso silenzio tra di loro, potendo solo udire il rumore dei rami muoversi per via del vento, oppure degli uccellini che cinguettano. Fino a quando non è Samantha a prendere in mano la situazione.
    -Sai, non sono mai stata una persona a cui piace troppo stare seduta da qualche parte. Ti andrebbe una passeggiata per il parco? - Quella ragazza continuava a essere piena di sorprese che Deryck aveva intenzione di conoscere. ‘‘Assolutamente sì.’’ - Perciò le strinse la mano, potendo davvero sentire tutta la sua calma e tranquillità, mentre raccoglie lo scrigno e la busta che aveva lasciato in gazebo per rincorrere la lettera e insieme escono dal gazebo. ‘‘Fammi solo posare questa roba e possiamo andare.’’ - disse, mentre si allontana brevemente da Samantha per dirigersi verso la sua moto dove, una volta aperto il sedile, mette tutto al suo interno, ad eccezione del ciondolo e della lettera che le tiene con sé. Ritornato da Samantha con un sorriso sulle labbra, i due cominciano a passeggiare per i meandri del parco. ‘‘Raccontami qualcosa di te. Mi piacerebbe molto conoscere la tua storia.’’ - chiese con gentilezza, mentre gira lo sguardo verso di lei. ‘‘Sempre se ti va di parlarmene, ovviamente.’’ - aggiunse, non volendo che si sentisse forzata a farlo solo perché le ha spiegato molte cose - forse anche troppe - della sua vita, nonostante abbia ammesso che è stata una sua scelta farlo. Al tempo stesso, mentre loro passeggiano per tutto il parco, il tempo dovrà comunque passare in qualche modo.
     
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    Fu abbastanza sorprendente per Samantha sentire che esisteva qualcuno che andava via da Besaid senza avere alcuna paura di dimenticare ogni cosa. Era insito nella natura di tutti i cittadini di quella città avere paura di dimenticare. Nessuno conosceva gli effetti esatti di quello che capitava a chi andava via, perché nessuno li aveva studiati scientificamente, e nessuno conosceva i tempi precisi dato che, generalmente, questi variavano da persona a persona, ma nulla era mai certo. Una volta poteva andarti bene, quella dopo decisamente meno e anche le particolarità tendevano a risentire della lontananza dalla città. Lei stessa si era resa conto di avere una certa difficoltà nel mettersi in contatto con l’aria quando si allontanava dalla città troppo spesso, sebbene i ricordi fortunatamente erano sempre rimasti gli stessi, o almeno lo sperava. Cosa poteva assicurarle che non avesse dimenticato alcune delle persone che erano andate via? Era questa una delle cose che la spaventava maggiormente, l’idea di poter dimenticare qualche piccolissimo dettaglio all’apparenza inutile, di quelli che nessuno avrebbe mai tirato fuori per permetterle di ricordarlo, e di non poter quindi riuscire a recuperarlo mai più. Però forse aveva ragione, forse Besaid non era una prigione e lo dimostrava il fatto che a lei fosse possibile studiare in una città che stava a qualche ora di distanza dal suo luogo natale. Continuava comunque ad avere paura, a temere che prima o poi le cose sarebbero andate male. -E nessuno di voi ha mai dimenticato nulla? - chiese, quando lui elencò i differenti luoghi in cui lui e le sue sorelle avevano studiato. Lei non avrebbe mai avuto il coraggio di andare così lontano per troppo tempo, il loro pensiero la traumatizzava. Per quanto l’esperienza del ragazzo potesse suggerirle che le persone che andavano via dalla città potevano trovare un modo di tornare, non era certa che per lei sarebbe avvenuto. Lei non aveva così tante sorelle che potevano riacchiapparla e temeva inoltre che il suo desiderio di viaggiare, se assecondato, avrebbe potuto spingerla troppo lontano, in un punto di non ritorno, da cui sarebbe stato impossibile poi riuscire a recuperarla. No, era decisamente molto meglio non rischiare, la sua vita le piaceva così com’era.
    Le sembrò che ci fosse dell’altro, legato all’ultima sorella che lui aveva citato, che poteva aver spinto la ragazza a restare a Besaid, visto il modo in cui la sua espressione era mutata, ma non fece alcuna domanda. Tutti quanti avevano delle cose che preferivano tenere per se stessi, soprattutto se si trattava di esperienze vissute da altre persone. Si ridestò comunque da quei pensieri quando lui affermò di conoscere la libreria in cui lavorava e di esserci andato spesso da piccolo in compagnia di una delle sue sorelle, dando vita persino ad un gioco sui libri e le persone. Ridacchiò appena, cercando di immaginare la scena. -Io non credo che ci riuscirei. – disse poi, cercando di rimuginarci su e di ricordare se avesse mai indovinato la scelta di qualcuno dei clienti, dopo averlo osservato vagare per le diverse corsie. -Di solito le persone finiscono per farsi colpire semplicemente da un titolo o da una copertina, senza neanche desiderare davvero il libro che prendono. - continuò, spiegando le motivazioni di quanto aveva appena detto. C’erano delle persone che varcavano la soglia con aria ben chiara, che sapevano esattamente cosa volevano e altri che, invece, si facevano il giro della libreria per diverse ore per poi uscire a mani vuote oppure con qualcosa di assolutamente inspiegabile e c’erano poi, ancora, quelli che entravano in cerca di un regalo per un’altra persona. Aveva quindi smesso di chiederselo, notando anche che le persone non amavano essere osservate mentre decidevano che cosa acquistare, avevano bisogno del loro spazio, dei loro tempi. Raramente, da quando lavorava in quel posto, qualcuno le aveva chiesto un consiglio e lei, dopo i primi mesi, aveva smesso di cercare di darne. Le disse inoltre che in alcune occasioni anche suo padre li aveva accompagnati in libreria e che probabilmente doveva conoscere i proprietari, dato che si era fermato a scambiare quattro chiacchiere con loro. Assunse un’aria più pensierosa, poi, quando lui cercò di descriverle sua sorella Star, che di recente aveva fatto un salto proprio in quel negozio per salutare l’anziana coppia. -Credo di averla vista una volta o due, ma non abbiamo mai parlato, non conoscevo neanche il suo nome infatti. - spiegò, mentre cercava di riportare alla mente quanti più dettagli possibili su quella ragazza con i capelli dalle mesh rosse. -Però sì, i proprietari sembravano conoscerla da parecchio tempo. - aggiunse lei, giusto per avvalorare ulteriormente le parole del ragazzo. Di solito quando si trovava a lavoro preferiva non trascorrere troppo tempo a socializzare con i clienti, dopotutto non era certamente lì per quello e non voleva dare l’idea di una persona che non voleva svolgere il suo lavoro. -Studio all’Università di Bergen, Lettere moderne.- continuò, poco dopo, in risposta alla sua domanda. In effetti per fortuna ormai le mancavano soltanto pochi esami, ma poteva dire di essere quasi arrivata al limite della sopportazione. Iniziava ad essere stanca di tutti quei viaggi, di tutte quelle ore di studio, e negli ultimi mesi era anche stanca di quell’atmosfera e di dover tornare in quel posto. Non vedeva l’ora di liberarsi di quella parte della sua vita per poterne iniziare una completamente nuova. Per scaramanzia comunque preferì evitare di dire di essere ormai agli sgoccioli della sua carriera universitaria, dopotutto nella vita gli imprevisti erano sempre dietro l’angolo.
    Sorrise appena, senza sapere cosa rispondere, quando lui le disse che un giorno magari le avrebbe presentato le sue sorelle, dopotutto si erano appena conosciuti, non sapeva neanche quando e se si sarebbero incontrati di nuovo. Comunque lui sembrava tenere molto a loro, dovevano essere una famiglia piuttosto affiatata, o almeno questo era ciò che emergeva dalle parole di lui. Poteva capire soltanto in parte che cosa dovesse provare, non avendo mai avuto una vera sorella. Quella figura era stata rivestita dalle sue migliori amiche e suo cugino era stato come un fratello per lei, ma non era certo come vivere per anni sotto lo stesso tetto. Quando gli chiese del suo lavoro il ragazzo le rivelò di avere a che fare con dei manoscritti, quindi immaginò che dovesse essere qualcosa legato ad una casa editrice, oppure comunque un lavoro simile, anche se lui non lo spiegò di preciso, preferendo rimanere sul vago. Rimase in silenzio, ad ascoltare il suo discorso, mentre le spiegava quando a volte potesse essere complesso avere a che fare con certi scrittori, anche se non riuscì davvero a comprendere come argomenti forti e drammatici come quelli che lui aveva elencato con così tanta leggerezza potessero essere in grado di non tramettere delle emozioni. A lei bastava soltanto pensarci per iniziare immediatamente a starci male, ma immaginava che ogni persona fosse diversa, che non tutti avessero la stessa sensibilità e, in effetti, non aveva idea di che cosa lui avesse letto. Di certo, non conoscendolo, non poteva pensare che mentisse, ma non riusciva comunque ad immaginare di poter leggere nulla di simile, sebbene di libri non proprio emozionanti ne avesse letti parecchi nel corso della sua vita, ma si era sempre sforzata di cercare qualcosa di positivo in tutti. Per un momento le tornò in mente la buffa proposta di Fae di scrivere un libro sulle loro avventure, un’idea che lei aveva preso molto alla leggera, ma a cui forse un giorno si sarebbe dedicata davvero, una volta terminati gli studi. Giusto per provarci, senza troppe pretese. Probabilmente non lo avrebbe mai neanche fatto leggere a nessuno, ad eccezione di Fae, ovviamente.
    Le raccontò che le sue sorelle erano piuttosto piccole quando furono adottate e che per questo non erano in grado di ricordare nulla della loro vita precedente, prima di Besaid. A quanto pare per lui non era mai stato semplice aprirsi con le altre persone, ma leggere le parole di suo padre nella lettera, che sottolineavano questo aspetto del suo carattere, doveva averlo spronato a provarci, tanto che ora si sentiva più tranquillo nell’essere finalmente riuscito ad esternare parte della sua storia, e in particolare il dolore per la morte di suo padre con qualcuno. Poteva capirlo, in parte, quando affermava che parlare dei propri problemi con uno sconosciuto fosse più semplice, anche a lei era capitato alcune volte, ma era comunque dell’idea che fosse meglio parlarne con degli amici o dei familiari se si volevano avere davvero dei buoni consigli. -Ti consiglierei comunque di parlarne anche con loro, in caso tu non lo abbia già fatto. Nessuno può conoscerti meglio della famiglia o degli amici e nessuno può darti consigli migliori di loro. - disse quindi, esternando i suoi ultimi pensieri, con un nuovo sorriso. Per quanto difficile potesse essere, quando parlava con le sue migliori amiche di qualcosa, i problemi poi sembravano sempre sparire rapidamente e sperava che, in qualche modo, la vicinanza della sua famiglia potesse far stare meglio anche lui, per quanto la morte di un familiare non fosse mai semplice da digerire del tutto. Davanti al suo ritenere un po’ strana tutta quella situazione lui le ricordò quanto tutto, a Besaid, fosse un po’ strano e lei sorrise, annuendo appena. -Già, in effetti ha ragione. - mormorò, pensandoci su per qualche momento. Poteva dire che ci fosse qualcosa di assolutamente normale in quella città? No, probabilmente no.
    Provò a fargli qualche domanda sulla sua particolarità, sperando di non risultare troppo indiscreta e non si stupì troppo nel sentire che, in effetti, questa aveva degli effetti collaterali e le emicranie potevano essere tra queste, soprattutto quando si trovava in luoghi particolarmente affollati o davanti a sentimenti molto forti. Lei probabilmente avrebbe avuto il mal di testa per giorni anche soltanto se avesse dovuto continuamente vedere dei colori attorno a sé, era incredibile che a lui durasse soltanto qualche minuto e che non restasse alcun tipo di strascico nei giorni successivi. -Deve essere complicato comunque, riuscire a conviverci. - rispose, rimuginandoci un po’ su e cercando di immaginare come sarebbe stato, senza ovviamente riuscirci. Si chiedeva come dovesse essere vedere i sentimenti forti delle persone di cui aveva appena parlato. -Ma… esattamente, come lo vedi? Voglio dire, riesci a percepire il mondo con i suoi colori normali? Io che cos’ho, un alone colorato intorno? O sono tutta di uno strano colore? - chiese, cercando davvero di capirci qualcosa. Lei poteva percepire l’aria intorno a sé, in qualunque momento, anche quando non c’era neanche un filo di vento, poteva sentirla, ma non riusciva a comprendere come dovesse vivere lui nel suo mondo colorato. Fu strano sentirgli dire che non aveva mai pensato di provare a far sparire tutti i suoi colori, ma che forse avrebbe dovuto lavorarci su. -E’ molto strano. Tutte le persone che ho conosciuto prima d’ora hanno sempre avuto un modo per attivare la loro particolarità, anche io devo scegliere di farlo, non è una cosa del tutto incontrollata che accade a basta. - gli disse quindi, facendogli capire che era la prima volta che le capitava una cosa di quel genere. Di solito le particolarità se ne stavano sopite sino a che qualcosa non le scatenava, oppure la persona che la possedeva non la utilizzava, era strano che lui invece riuscisse a tenerla attiva di continuo, si chiedeva come facesse a non essere esausto per tutto il tempo. Utilizzare la sua le richiedeva pazienza ed energia e non poteva farlo per un periodo di tempo prolungato se non voleva rischiare di perdere completamente le forze.
    Sapere che lui non sembrava troppo turbato o infastidito da tutte quelle sue domanda la fece sentire leggermente più sollevata. Sapeva che, la sua esagerata parlantina, poteva essere un problema alcune volte, ma in fondo il ragazzo sembrava un gran chiacchierone, persino più di lei. Ammise poco dopo di non essere mai riuscito a percepire il proprio colore, per quanto ci avesse provato in diverse occasioni. Doveva essere strano riuscire a scorgere qualcosa negli altri e non riuscire a “capire” qualcosa di più su se stessi. Per quanto riguardava le motivazioni di questo piccolo problema non avrebbe saputo come aiutarlo. Non pensava che a Besaid esistesse qualche grande esperto di particolarità, in grado di dare consigli e spiegazioni, a lei era sembrato di comprendere che ognuno dovesse imparare ad avere a che fare con la propria e sbatterci la testa più e più volte per cercare di venire a capo di eventuali dubbi o problemi. -Dubito che esista qualcuno in grado di rispondere a queste domande. Fortunatamente a nessuno è mai venuto in mente di studiare a fondo tutte le particolarità. - aggiunse quindi, poco dopo. Se qualcuno avesse deciso di farlo probabilmente sarebbero divenuti tutti quanti cavie da laboratorio visto che, in effetti, tutti erano diversi. Si aspettava che ovviamente, dopo le sue domande, che anche lui si sarebbe interessato alla particolarità di lei, notando come la lettera, qualche minuto prima, avesse subito una strana variazione prima di giungere tra le sue mani. -L’aria non si può creare, l’aria esiste dappertutto, in ogni momento, a meno che tu non ti trovi nel vuoto. - rispose lei, a quella sua assurda domanda sul creare l’aria. Persino al liceo insegnavano che in natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. E che cosa c’era di più naturale dell’aria? Che senso aveva anche solo provare a creare qualcosa che circondava completamente ogni angolo più recondito del mondo? -No, non credo sia legato alla mia famiglia in realtà, non me lo sono mai chiesto, ma nessuno aveva una particolarità legata a questo. - continuò poi, stringendosi appena nelle spalle. Aveva sempre pensato che potesse essere semplicemente legata al suo carattere, al suo modo di essere, e a nient’altro, nessuna questione ereditaria, un po’ come accadeva a chi metteva piede a Besaid per la prima volta.
    Accettò di buon grado l’idea di accompagnarla a fare una passeggiata, andando però prima a risistemare nella sua moto le cose che teneva tra le mani, probabilmente per evitare che potessero sfuggirgli di nuovo. -Non sono una a cui piace troppo parlare di sé, in realtà. - disse, rispondendo forse un po’ troppo onestamente alla sua domanda, mentre iniziavano ad allontanarsi dal gazebo, prendendo il sentiero principale che era stato tracciato nel parco. Raccontare tutta la sua vita di getto, come aveva fatto lui, per lei sarebbe stato del tutto impossibile. Per quanto potesse essere una persona solare e disponibile rivelare tutto di sé agli altri era un processo che per lei necessitava di molto più tempo. -In ogni caso la mia vita non è mai stata particolarmente entusiasmante. Sono nata e cresciuta qui e a parte decidere di andare a studiare a Bergen non ho mai pensato di fare altri viaggi. - continuò, giusto per evitare di restare completamente in silenzio, facendo però spallucce. Lei non aveva particolari aneddoti sulla propria famiglia, tipo quelli che aveva raccontato lui, loro erano sempre stati una famiglia assolutamente normale. Era già stata abbastanza chiara sul problema del dimenticare, quindi immaginava che non ci fosse alcun bisogno di ripeterlo di nuovo. -Chissà, magari quando l’università sarà finita, proverò a godermi almeno un viaggio. - terminò, comunque non troppo convinta di riuscirci, lanciando una leggera occhiata al ragazzo. Erano molto diversi sotto quel punto di vista. Lui vedeva i viaggi in maniera molto più libera, forse persino un po’ spericolata per essere un cittadino di Besaid, ma dato che era nato altrove immaginava che fosse abbastanza normale.
     
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    -E nessuno di voi ha mai dimenticato nulla? - Questa è una di quelle domande che in molti hanno chiesto a lui o alle ragazze quando si raccontava dei loro viaggi e tutti rimanevano piuttosto sorpresi dal loro coraggio di uscire da Besaid, persino chi veniva dall’esterno non riuscivano a capacitarsi di come abbiano solo pensato di lasciare la città. Tuttavia, se le sorelle di Deryck non fossero uscite da Besaid, soprattutto nell’ultimo anno, a quest’ora, non sarebbero fidanzate e non avrebbero scoperto del loro passato. Pa’ Hansen ha sempre cercato di far capire ai suoi figli l’importanza di conoscere il mondo, ma anche di proteggersi da qualunque cosa che potesse colpirli, tra cui la perdita della memoria. ‘‘Beh, se proprio devo essere onesto, dopo i loro viaggi le ragazze vennero da me per accertarsi se i loro ricordi erano rimasti con una specie d’interrogatorio. Qualcosa lo avevano dimenticato e in questo ho cercato di aiutarle a ricordare. Anch’io ho provato quella sensazione dopo qualche viaggio.’’ - rispose, senza peli sulla lingua. Per quanto Deryck abbia spronato Samantha sul viaggiare, è sempre meglio ammettere che i rischi nel lasciare Besaid sono veri e che chiunque può esserne colpito. In effetti, suo padre non sembra averne risentito, anche se non è mai stato quel tipo di persona che chiede aiuto agli altri; basta solo pensare l’alone di mistero che si è sempre portato dietro in tutta la sua vita e persino nella sua morte. ‘‘Chi nasce o vive a Besaid sa che dovrà sempre trovarsi a fare questa scelta: la mia è stata quella di girare il mondo, di frequentare un college a Londra e anche se ci ho rimesso qualcosa, ho comunque guadagnato ricordi preziosi.’’ - aggiunse, distogliendo per un breve istante lo sguardo per guardare il cielo. Vivere a Besaid presenta qualche complicazione tra chi vuole rimanere o uscire dalla città, lasciando che la paura prendesse il controllo sulle persone e sulle loro scelte. Se fosse rimasto a Besaid, non avrebbe fatto conoscenza di un amico che conobbe a Cambridge. Certo, poi scoprii che veniva anch'egli da Besaid, però quella sera fu l'inizio di una lunga amicizia.
    -Di solito le persone finiscono per farsi colpire semplicemente da un titolo o da una copertina, senza neanche desiderare davvero il libro che prendono. - Annuì con lentezza, alzando brevemente gli occhi al cielo, quando la sente spiegare il suo punto di vista sulle persone che scelgono un libro. È un qualcosa che gli ha spesso provocato non pochi fastidi, cosa che capita anche a Star nella sua libreria o nel suo lavoro. ‘‘Non me ne parlare. Magari la copertina o il titolo possono anche colpirti, però quello che dovrebbe contare di più sono la storia racchiusa in quelle pagine e come lo scrittore suscita una reazione a noi lettori. Per quanto puoi essere dettagliato nel raccontare una scena drammatica, secondo me, bisogna metterci la giusta emozione in quelle parole per accompagnare il tutto.’’ - disse, dando una sua opinione all’argomento.
    Rimase in ascolto quando Samantha menzionò il fatto di aver visto Star qualche volta alla libreria in cui lavora, annuendo con il capo. Sapeva che facendo riferimento alle mesh rosa l’avrebbe aiutata con l’identikit, poiché è un colore che non passa inosservato. Ci aveva anche pensato di farseli colorare di verde, essendo il colore che Deryck vede in lei, però sul biondo sarebbe stato male che tutte, persino lui, le hanno consigliato un altro genere di colore. Sogghignò nel sentirle pronunciare Bergen, luogo in cui frequenta l’Università, scuotendo leggermente il capo. ‘‘Questo conferma ulteriormente che Bergen ha fatto soldi con noi, sempre legato alla questione dei ricordi.’’ - affermò, ridacchiando appena. Persino ai suoi tempi, nel periodo in cui lui e le sue sorelle dovevano scegliere l’Università da frequentare, tra le possibilità c’era anche Bergen di cui il padre lì aveva aggiunti agli opuscoli. Ma poi nessuno di loro la scelse: volevano conoscere il mondo e quello che poteva offrire a ognuno di loro, proprio come aveva fatto Pa’ ai suoi tempi. ‘‘Come ti trovi lì?'' - chiese, giusto per buona educazione. Ci era passato mesi fa quando era andato a trovare Ally, prima che si trasferisse completamente ad Atlantis per ultimare la sua gravidanza, vedendo come l’edificio era stato rimodernato. Non aggiunse altro all’argomento, anche perché poteva vedere dal suo colore prendere una sfumatura leggermente scura che qualcosa non quadra. Probabilmente è associato al continuo avanti e indietro tra Università e casa, qualcosa che tutti di Besaid ci sono passati e che può essere stressante. Nel caso di Deryck, poi, doveva prendere l’aereo ogni weekend ed era diventato uno di quei abitudinari all’aeroporto di Londra che ormai conosceva tutti lì dentro.
    Rimase in silenzio ad ascoltare le sue parole, quando le consiglia di confidarsi con la sua famiglia in merito ai suoi sentimenti, a quello che ha provato in tutto questo tempo. Nei giorni successivi alla morte di Pa’ Hansen, le ragazze e Deryck si aiutarono a vicenda a superare il lutto e a cercare di tornare a vivere, per quanto possa essere semplice dopo una perdita. Alla fine loro sono riuscite a voltare pagina grazie alla busta che il padre ha lasciato a ognuno di loro, cosa che spinse Deryck a essere timoroso di aprire la sua di busta. ‘‘Quello che mi consigliarono principalmente, tra le solite cose che si dicono in delicate situazione come questa, era di aprire la busta. Non l’ho fatto subito sia per il dolore della perdita e sia per quello che le ragazze scoprirono durante i loro viaggi. Per dirti, se hanno scoperto di avere dei parenti ancora in vita e non solo, non oso pensare cosa possa trovare nei miei indizi. Perché vorrebbe dire aprire il mio vaso di Pandora che ho cercato di tenere chiuso per molti anni, dopo che seppi del mio vero padre. Ma è anche vero che, certe volte, il non sapere può essere straziante.’’ - rispose, esponendo la sua opinione in merito alle parole di Samantha. In quest’ultimo anno l’ha vissuto in maniera isolata dal mondo, cercando comunque di apparire normale agli occhi della gente e della sua famiglia. Tuttavia egli sapeva nel profondo che doveva fare qualcosa per cambiare le cose, fino ad arrivare a questo giorno in cui ha aperto la busta contenente gli indizi. Sorrise a sua volta quando Samantha gli dà ragione in merito alle stranezze di Besaid, potendo vedere come anche la sua aurea colorata illuminarsi del suo colore.
    -Deve essere complicato comunque, riuscire a conviverci. - Convivere con un potere per chi nasce o arriva a Besaid è qualcosa che può essere complesso, indipendentemente dalla particolarità che si possiede. Nel caso di Deryck, però, non è stato così difficile, a parte quando ha scoperto per conto suo degli effetti collaterali. ‘‘Considerando che già tutti noi vediamo i colori, quelli che emanano le persone non sono così accecanti. Altrimenti indosserei degli occhiali da sole, persino di sera e non sarebbe il massimo della comodità.''’ - rispose, ridacchiando appena. In effetti, fece un tentativo per vedere se cambiava qualcosa, ma alla fine riusciva lo stesso a vedere i colori della gente. -Ma… esattamente, come lo vedi? Voglio dire, riesci a percepire il mondo con i suoi colori normali? Io che cos’ho, un alone colorato intorno? O sono tutta di uno strano colore? - Con l’ultima domanda posta dalla ragazza Deryck scoppiò in una grossa risata da cui dovette coprire la bocca con la mano, tanto da dover fare un grosso sforzo per fermarsi. ‘‘Ti chiedo scusa. Per via della tua ultima domanda ti ho immaginato come uno degli Avatar, quelli del film di James Cameron.’’ - disse, per farle capire il motivo di quell’improvvisa ridarella. I colori cui è associata Samantha, il blu e il giallo, sono gli stessi presenti nelle figure degli Avatar. ‘‘Comunque vedo più un alone colorato che ti circonda che varia dal chiaro o allo scuro in base al tuo stato d’animo. Questo però non m’impedisce di vedere i vari colori, come quello del gazebo, delle foglie o persino di una lettera, per fare alcuni esempi. Spero di essere stato chiaro nelle mie risposte.'' - aggiunse. È da parecchio tempo che qualcuno non era interessato a conoscere per filo e per segno la particolarità che contraddistingue Deryck. Il bello delle persone dal colore Blu sta proprio nella loro curiosità, nella loro voglia di sapere e di conoscere su vari argomenti. Rimase in ascolto quando Samantha espresse i suoi dubbi in merito al fatto che, a differenza delle persone che ha incontrato o di lei stessa, Deryck avesse il potere sempre attivo. ‘‘Non so cosa dire a riguardo. Ho sempre pensato che la mia particolarità fosse associata alle persone e che, di conseguenza, non ci fosse modo di spegnerla completamente.’’ - concluse, rimanendo sul vago. Dopotutto non esiste una sorta di manuale su come controllare i poteri, altrimenti la vita di tutti a Besaid sarebbe leggermente normale. E Deryck le provò tutte per capire a fondo la sua particolarità, senza però ricavare nulla di rilevante. Così come non ha mai scoperto quale fosse il suo di colore.
    ‘‘Infatti. A quest’ora ci troveremo sul giornale di gente misteriosamente scomparsa. Solo a pensarci mi vengono i brividi.’’ - aggiunse a sua volta, mentre si strinse le spalle. Non osa pensare cosa potrebbe accadere se qualcuno decidesse per davvero di fare ricerche su Besaid e su come la gente ottiene le loro particolarità. Purtroppo ha potuto scoprire con i propri occhi come il mondo possa essere un posto orribile e che la gente sia disposta a qualunque cosa per raggiungere i propri scopi. Ma Deryck farebbe tutto quello che è in suo potere per proteggere le persone che ama, tra cui la sua famiglia. Quando poi arrivò il suo turno a fare domande inerenti al potere di Samantha, in effetti, la sua prima domanda era di una tale assurdità che persino lui non credeva che lei potesse creare per davvero l’aria. Certo, loro vivono comunque in una città, dove hanno dei poteri, perciò una possibilità poteva esserci. ‘‘Hai pienamente ragione. Riconosco che potevo farti una domanda migliore di questa.’’ - replicò, annuendo con il capo. ‘‘Fino a che punto puoi estendere il tuo potere?’’ - chiese, continuando così a capire meglio la particolarità che possiede Sam. Poiché controlla un forte elemento come l’Aria, potrebbe arrivare anche a manipolare delle trombe d’aria e magari evitare che possano procurare danni alla città. Tuttavia, o per fortuna si potrebbe dire, negli ultimi anni la città è sempre stata al sicuro da eventi catastrofici. Ma nella vita può sempre accadere di tutto. Quando poi ascoltò la sua risposta alla seconda domanda, non ci rimase male di sapere che il suo potere non è in qualche modo legato alle sue origini. ‘‘Te l’ho chiesto perché nel mio caso, quando venni al mondo, la prima cosa che vidi fu un arcobaleno. Da allora i colori sono diventati una parte di me e scoprire di poter vedere dei colori tra la gente, mi fa pensare che forse ero destinato ad acquisire questa particolarità.’’ - ammise con una certa sicurezza nelle sue parole. Nel profondo si sente fortunato di aver ricevuto un potere che non arrecasse danni a persone o cose, come spesso è accaduto a qualche altro abitante della città, o che non potesse controllare; il suo non riesce a spegnerlo, però comunque non procura problemi né a lui, né a nessun altro.
    Nel momento esatto in cui presero il sentiero principale, Deryck rimase in silenzio ad ascoltare quello che Samantha aveva da dire di sé. Si è accorto solo adesso di aver parlato un po’ troppo, qualcosa che non gli accade molto spesso, anche se questa era un’occasione diversa, spinto anche dalle parole del padre. Nel discorso della ragazza si ritorna a parlare dei viaggi, ripescando dalla mente quanto le aveva confidato in precedenza. In cuor suo spera di non averla spaventata nella sua idea di viaggiare, ma al tempo stesso doveva farle capire che chiunque può essere colpito dal perdere dei ricordi. ‘‘Spero che quanto ti abbia detto prima non ti abbia spinta a rinunciare a questa tua iniziativa, perché viaggiare, presenta comunque dei vantaggi. Ma ovviamente la scelta spetta a te.’’ - aggiunse, terminando quest’argomento. Ormai non c’era altro che potessero dire entrambi a riguardo, perciò è lecito passare a qualche altro argomento. Tuttavia, però, il silenzio cominciò a calare tra di loro: era anche inevitabile che potesse accadere, specialmente se poiché Deryck ha detto troppo di sé e Samantha, come lei stessa ha affermato, non è il tipo di persona che ama parlare di sé. E di certo Deryck non le farà nuove domande sulla sua vita, rispettando il suo volere.
    Questo loro momento di silenzio dà modo a Deryck di ascoltare i vari suoni presenti nel parco in quella giornata di Settembre, riflettendo anche su tutto quello che è accaduto fino a questo momento. Mai nella sua vita gli è capitato di parlare molto di sé a una persona che ha appena incontrato, seppur sia la stessa che è intervenuta a salvare la lettera del padre. Non è mai stato un gran chiacchierone, anzi cerca spesso di essere breve e conciso, ma mai come questa volta si è sentito così dannatamente bene a sputare fuori tutto il suo dolore per la sua perdita e non solo. Con questo non inizierà a diventare uno di quelli che parlano troppo, in stile Raj Koothrappali di The Big Bang Theory quando acquista l’uso della parola “senza” dover ricorrere all’alcool, però quello di oggi è stato comunque un buon punto di partenza esternare tutti i suoi sentimenti. Questa sua conversazione con Sam gli ha permesso di avere un punto di vista diverso sulla sua particolarità, poiché è la prima volta che qualcuno la trova piuttosto strana, soprattutto perché Deryck non riesce a controllarla. Per non parlare della sua irrefrenabile curiosità su ogni argomento che lui le ha esposto, facendo domande su domande senza sosta, arrivando persino a chiedere scusa. Se qualcuno ti racconta una storia quasi surreale di un uomo misterioso che adotta sei bambine, più un maschietto, affidandoli dei nomi di miti greci e che alla sua morte lascia ad ognuno di loro degli indizi sul loro passato, credo che chiunque farebbe un gran numero di domande. Così come saperne di più su come abbiano affrontato così tanti viaggi, pur sapendo di quello che possono accadere alle persone di Besaid se stanno lontani dalla città per tanto tempo. Sicuramente se le sue sorelle lo vedessero in questo momento, sarebbero fiere di lui per come abbia deciso di riprendere in mano la sua vita... per poi far partire un’immediata ship con quella ragazza. Proprio questo pensiero lo fa sorridere, tornando alla mente i molti tentativi delle sorelle per aiutarlo con la sua vita sentimentale, spinto anche dal fatto che con i bambini è sempre stato un portento: Valentina e Rory si divertono quando si prende cura di loro quando i genitori escono per un appuntamento o altro. Un giorno troverà la sua Merope, questo ne è certo.
    ‘‘Oggi è proprio una bella giornata, sai? Era da parecchio che non mi sentivo così rilassato. A volte fa bene vivere la giornata ad un passo alla volta, così puoi ammirare tutto quello che ti circonda.’’ - ammise, sia per interrompere quel loro lungo silenzio, sia per esprimere un suo pensiero che gli balenava nella mente. Sicuramente sarà scaturito dal fatto che non sente più quel macigno che si era caricato da troppo tempo, proprio come nel mito di Sisifo che doveva spostare più volte il masso da una parte all’altra.
     
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    Trovò piuttosto buona la loro idea di rivolgersi una sorta di interrogatorio per comprendere che cosa ricordassero dopo tutti I loro viaggi, il problema era, comunque, le altre persone non potevano sapere sempre tutto e c’era sempre qualche piccolo dettaglio che sarebbe sfuggito, finendo così con l’essere dimenticato per sempre. Deryck riteneva comunque che ne valesse la pena, che qualcuno dei suoi ricordi valeva il prezzo di quelle esperienze in giro per il mondo, ma lei purtroppo non era convinta di pensarla allo stesso modo. non sapeva sapere quanti e quali ricordi avrebbe rimosso dalla sua mente e una volta cancellati nulla avrebbe potuto farle sapere con certezza se ne fosse o meno valsa la pena. Si rendeva conto che in quel modo si sta precludendo molte cose, che una parte di lei sarebbe sempre stata prigioniera di quella città, ma i ricordi legati ai suoi amici, anche a quelli che se ne erano andati per sempre quella città, erano un tassello fondamentale della sua vita, a cui non sarebbe mai stata disposta a rinunciare. Nessuno era sacrificabile, nessuno era meno importante di altri. Ogni memoria era una parte importante della vita delle persone e perderne anche soltanto un pezzetto era come perdere una parte di se stessi. Ed era questo che capitava ai suoi occhi alle persone che facevano ritorno a Besaid dopo aver rimosso i loro ricordi. Quelle persone erano sempre molto diverse da quelle che erano andate vie e non si sarebbero mai più potute riunire a come erano in origine. Dimenticare la propria vita, dimenticare se stessi, ti permetteva di divenire una persona completamente diversa, di ricominciare da capo, ma ti impediva di sapere come sarebbe stata la tua vita se quelle memorie fossero rimaste sempre al loro posto. Probabilmente era lei quella in errore nella sua spasmodica ricerca di mantenere vivo il ricordo di ogni cosa, ma aveva sofferto così quando nell’essere stata lasciata indietro, dimenticata, per poter pensare di riservare lo stesso trattamento a qualcun altro, anche a chi ormai non si ricordava più di lei.
    -Si, ho incontrato qualche persone di Besaid a Bergen, ma alla fine non tanti quanti avrei pensato. - disse, in risposta al suo breve commento su quella città, prima di cercare di dargli anche indicazione su come si trovasse lì. -E’ una bella università, con ampi spazi verdi e decisamente confortevole, ma qualche volta mi dispiace di non essermi iscritta qui a Besaid insieme ai miei amici. - disse quindi, stringendosi appena nelle spalle. Quante volte in quegli anni Malice si era lamentata della loro distanza, chiedendole come avesse potuto scegliere di trasferirsi così lontana da lei e anche Sam si era più volte fatta quella domanda. Aveva lasciato che qualche screzio familiare la allontanasse, facendole desiderare di andare il più lontano possibile da Besaid, senza tuttavia poi riuscirci davvero. la vita universitaria sarebbe stata senza dubbio diversa se avesse potuto condividere la sua stanza con una delle sue migliori amiche, ma alla fine era comunque riuscita a cavarsela e non vedeva l’ora di concludere il suo percorso per non dover fare più quei continui viaggi sfiancanti. Percorrere continuamente la stessa tratta era davvero una grossa perdita di tempo, chissà quante cose grandiose avrebbe potuto fare nella sua vita se se lo fosse risparmiata! Aveva dei bei ricordi di Bergen comunque, ma anche alcuni pessimi che si sarebbe volentieri risparmiata. Il problema era che quelli non avrebbe potuto cancellarli neanche se lo avesse voluto: erano soltanto i ricordi di Besaid a sparire, non quelli del resto del mondo. Ciò che in quel periodo la stava facendo soffrire sarebbe rimasto marchiato a fuoco nella sua memoria in maniera indelebile. Sarebbe dovuta essere lei a sforzarsi e cercare di metterli da parte, lì dove avrebbero almeno smesso di fare male.
    Annuì appena quando lui disse che il consiglio fondamentale che le sue sorelle gli avevano dato dopo il loro lutto era stato proprio quello di aprire la busta. Un consiglio che non aveva voluto accettare prima di quel giorno perché aveva in qualche modo paura di quello che avrebbe potuto trovare in quella lettera, di quali indizi mancanti del suo passato avrebbe potuto trovare al suo interno. -Beh, sta a te decidere che cosa fare con il contenuto di quella lettera. - gli disse poi, dopo qualche iniziale momento di silenzio in cui si era limitata ad assimilare le sue parole. -Non sei costretto ad andare alla ricerca di qualcuno che vuoi incontrare, nessuno ti obbliga a farlo. - aggiunse poi. Decidere di ritrovare il suo vero padre, quello biologico, era soltanto una sua scelta, se non voleva affrontarlo, se non voleva conoscerlo, poteva tranquillamente rimettere quella notizia in un cassetto e fingere di non averla mai ricevuta. Non era tenuto a fare qualunque cosa ci fosse in quella lettera, ma leggerla era stato comunque giusto nei confronti del suo passato adottivo che aveva pensato, almeno del termine della sua vita, di lasciare loro qualcosa. Se avesse voluto obbligarli ad agire, comunque, avrebbe forse scelto di rivelargli quelle cose di persona, così da poterli convincere, se non lo aveva fatto era perché voleva lasciare loro una scelta.
    Davanti alle sue domande sul funzionamento della sua particolarità Deryck le rivelò che il modo in cui vedeva i colori attorno alle persone non era poi così fastidioso come poteva sembrare, oppure sarebbe stato costretto a prendere delle precauzioni per non avere problemi agli occhi. Rise, quando lei gli chiese di più delle modalità, iniziando a cercare di immaginare che cosa lui dovesse vedere, finendo ovviamente con il descrivere qualcosa di molto più buffo della realtà. Aveva sempre avuto un’immaginazione sin troppo fervida, che la portava ad ingigantire le cose o renderle più tragiche del necessario. -Ho giusto tirato a indovinare. - rispose lei, stringendosi appena nelle spalle, per niente offesa da quella risata. Immaginava che fosse piuttosto bizzarro sentire parlare del proprio potere da qualcuno che non aveva alcuna idea di come questo funzionasse. Quello che vedeva era un semplice alone colorato che poteva mutare leggermente nel corso del tempo, in base all’umore delle persone. Era felice che non fossero in molti a possederlo dato che avere qualcuno che poteva stare lì a fissarla per ore per sapere come mutava il suo umore non era certo la cosa che più avrebbe desiderato ricevere al mondo. Aveva sempre tenuto molto ai suoi spazi, prestando bene attenzione a cosa dire e cosa invece tenere per sé e non le piaceva l’idea che qualcuno potesse invadere la sua privacy senza il suo consenso. Certo, il ragazzo non aveva potuto scegliere e non poteva farci molto, ma era comunque una cosa che la faceva sentire un po’ a disagio. In un moto d’orgoglio, l’idea di essere definita attraverso un colore, non le piacque affatto. La cosa più strana poi era il fatto che non potesse mai fare a meno di vedere quei colori e quindi in qualche modo comprendere i mutamenti nello stato d’animo della persona che aveva davanti. Era un’invasione della privacy non indifferente, una delle poche cose che a Samantha non piaceva di Besaid: non potevi mai sapere chi ti trovavi davanti e quanto questa persona potesse impicciarsi nella tua vita. C’era chi poteva sentire i tuoi pensieri, chi poteva percepire le emozioni. Era felice di avere una particolarità che le permettesse di farsi gli affari suoi, senza grossi problemi.
    Gli studi su Besaid e sulle particolarità sarebbe potuti essere una benedizione e una maledizione al tempo stesso per i cittadini: da un lato poteva aiutarli a comprendere, ad ottenere delle risposte su quanto capitava loro, ma dall’altra una diffusione a livello internazionale di quegli studi avrebbe sicuramente portato non pochi problemi alla tranquillità di quel luogo. -Non ho mai cercato di portarlo al limite, quindi non so che cosa potrebbe portarmi a fare. Ho sempre cercato di mantenermi su piccole cose semplici, anche per evitare di rimanerne troppo provata. - spiegò, senza potergli dare quindi un’effettiva risposta. Samantha non aveva mai avuto manie di grandezza nella sua vita, non era mai stata il genere di persona che aspirava al controllo del mondo, si limitava a pensare alla sua quotidianità e ad accontentarsi delle piccole cose. Non era mai stata interessata a capire fino a che punto potesse spingersi, che cosa avrebbe potuto fare, aveva sempre preferito essere quanto più possibile una persona normale. -E’ parecchio strano che tu riesca a ricordare qualcosa che hai visto appena nati, i bambini sviluppano una vera e propria memoria molto più tardi. - gli disse poi, con un cipiglio pensieroso, quando lui le parlò dell’arcobaleno. Probabilmente doveva essere stata sua madre a raccontargli dell’arcobaleno che aveva visto il giorno della sua nascita e lui doveva esserne semplicemente rimasto condizionato. Anche a lei era capitato di illudersi di ricordare qualcosa di quando era molto piccola soltanto perché i suoi genitori le avevano raccontato quella storia tantissime volte, così tante che, alla fine, le sembrava quasi di averla ancora davvero nitida nella sua memoria. -Non saprei, magari prima o poi deciderò di farlo. - rispose, non troppo convinta, quando lui cercò comunque di spiegarle che viaggiare aveva, nonostante tutto, anche i suoi vantaggi. -Ho visto degli amici tornare senza avere più alcuna memoria di me e non mi piacerebbe far vivere la stessa cosa ai miei amici, quindi ci penserò con cura. - aggiunse quindi, semplicemente, piuttosto ferma in quelle sue convinzioni. Poteva comprendere per quale ragione le persone decidessero di fare quelle scelte, ma in quel periodo della sua vita davvero non riusciva a condividerle e a pensare che fosse una buona idea.
    Calò presto uno strano silenzio tra loro, mentre iniziavano a camminare per il parco, senza una meta troppo precisa. Non era una cosa che le capitava spesso, di solito era un problema riuscire a farla stare zitta, ma in quell’ultima ora aveva avuto modo di ripensare a così tante cose che l’avevano ferita da esserne uscita un po’ più rabbuiata. Avrebbe voluto essere in grado di guardarsi alle spalle e riuscire a guardare gli ultimi avvenimenti con distacco, lasciarseli scivolare via senza che questi potessero più graffiare la sua mente o il suo cuore, ma non era in grado di farlo. Aveva sempre pensato che nulla sarebbe davvero stato in grado di cambiarla o di toglierle il sorriso, ma si era sbagliata anche su quel fronte. Tutti potevano avere i loro momenti no, periodi in cui sentivano di non essere più in grado di tornare ad essere se stessi, doveva soltanto accettarlo e imparare a conviverci senza farsene una colpa. Nessuno le aveva mai chiesto di essere perfetta, era sempre stata lei a sforzarsi di rimanere sempre in piedi, sempre ben salda, per poter essere la spalla di cui i suoi amici avevano bisogno. Era così strano per lei, per una volta, sentire di essere quella che aveva bisogno di un appiglio per non cadere. Si stava arrampicando su ciò che le restava ed era per questo che l’idea di allontanarsi, anche soltanto per un breve periodo, le diventava sempre più ostica.
    Fu lui ad interrompere di nuovo il silenzio, con una breve osservazione sul tempo. In effetti era davvero una bella giornata, forse una delle poche ancora tiepide di cui avrebbero potuto godere prima della stagione invernale. -Già, è bello poter avere qualche giornata tranquilla. - disse, con l’accenno di un leggero sorriso sul volto, mentre ancora respirava a pieni polmoni l’aria pulita di quel polmone verde all’interno della città. -Ora devo proprio andare, mi ha fatto piacere conoscerti, spero di rivederti presto in giro per la città. - lo salutò poi, quando si rese conto dell’orario. Quasi non si era neanche resa conto dello scorrere del tempo, ma purtroppo non poteva trascorrere l’intera giornata ad oziare, gli esami non si sarebbero preparati da soli.
     
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