Wreaking Havoc.

Coco x Naavke

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    Capelli lunghi e castani, dai ricci morbidi, volteggiavano smossi dai movimenti del corpicino a cui appartenevano. Il rumore del vento e del mare riempiva in lontananza le orecchie di Naavke, che era completamente concentrato su una cosa sola: il sangue. Rosso, denso, tremendamente bello, eppure così sbagliato in quel momento, su quella persona. Una pesante lacrima si infranse sul parquet luminoso di casa Evjen, in una fredda giornata d'ottobre tinta di blu e grigio. Mi fa male papà.. Borbottò la piccola Coco, alzando leggermente la voce per combattere i leggerissimi singhiozzi che le uscivano dalle piccole labbra rosse. Fu allora, che Naavke strappò dell'ovatta tra le mani, bagnandola con dell'acqua ossigenata poco dopo. Seduta sulla poltrona nello studio del padre, la bambina fece lentamente penzolare la gambetta con il ginocchio sbucciato, quasi ritraendola dalla figura dell'uomo davanti a lei. Si era trattato di una banale caduta; la piccola aveva corso troppo velocemente in corridoio, scivolando e procurandosi un'abrasione abbastanza profonda su quella pelle troppo fragile e sottile per sopportare l'attrito con il pavimento. Non avere paura, Coco. Accovacciandosi per arrivare alla sua altezza minuta, Naavke sollevò la mano che reggeva il batuffolo d'ovatta, per mostrare alla figlia che non si trattava di niente di orribile. La sua voce era tranquilla, misurata, chiaramente mirata a tranquillizzare la bambina dai grandi occhi velati dal pianto. Ti farà un po' male, ma non devi averne paura. Delle volte, ciò che ci procura dolore è l'unica cosa che ci può far stare meglio. Prendendo con la mano libera dalla tasca anteriore della giacca nera un fazzoletto bianco, Naavke si avvicinò appena, tanto da asciugare le lacrime che si erano depositate sulle guance leggermente paffute della piccola Calypso – con il tocco filtrato dalla stoffa sottile. Tieni. Meno ne avrai paura, meno farà male. Io sono qui. Asserì infine lui, porgendo l'ovatta alla bambina, invitandola così a disinfettarsi la ferita da sola sotto il suo occhio attento. Le dita minute della bambina si avvicinarono a quelle del padre leggermente esitanti, afferrando infine il batuffolo e stringendolo leggermente nel palmo.

    ***

    Si, entro domani. Se non farà come le ho detto, conosce le conseguenze. Non mi devo ripetere. Chiudendo di netto la conversazione con una coltellata della voce, Naavke si accertò ancora una volta di avere l'ex preside sotto scacco. Mantenere la Setta segreta e portarne avanti le attività si era rivelato un compito più gravoso giorno dopo giorno. Sarebbe bastata una svista, una sola, e tutto il lavoro di una vita sarebbe andato perduto. Perchè di quello si trattava: un'esistenza votata al mantenimento dell'organizzazione e di tutti i valori che essa rappresentava. Non sempre Naavke faceva visita al Centro Icarus, restando spesso nell'ombra, differentemente dai suoi figli. Eyr e Coco, lavorando come reclutatori, avevano un compito più "pubblico", occupandosi non solo di potenziali interessati, ma anche di testarne le particolarità. Tuttavia, la presenza del curatore si era dimostrata indispensabile quel martedì pomeriggio. Qualche giorno prima, Calypso aveva accennato ad una nuova recluta, un ragazzo particolarmente temibile, poichè aveva l'abilità di creare allucinazioni riguardo a ricordi traumatici. Coco non parlava mai del suo lavoro di reclutatrice, o meglio, non ce n'era bisogno: Naavke sapeva che lei avrebbe svolto il suo lavoro migliore, sempre e comunque - specialmente se ciò comportava l'utilizzo della sua particolarità. Eppure quelle parole così casuali, come se stessero fluttuando nell'aria assieme ai pulviscoli di luce solare, erano molto più di una semplice conversazione a telefono. Naavke sapeva, sempre, cosa passasse per la testa di sua figlia. Percepiva le sue passioni, le sue ansie, le sue paure e le sue gioie come fossero le proprie. Probabilmente, Coco era una delle pochissime persone per le quali lui provasse empatia sincera; per questo motivo ritenne necessario recarsi al centro di persona. Il giovane in questione sarebbe stato lì, e bisognava tenerlo d'occhio, poichè sarebbe potuto essere tanto prezioso quanto pericoloso.
    Dal momento in cui si trovava in quell'ufficio poco usato, sperando di non essere chiamato da nessuno e senza aver esplicitamente detto alla figlia di essere lì, Naavke prese una sigaretta, intrappolandola tra le dita guantate di nero, per poi accenderla velocemente mentre ripensava alla sua adorata Coco. Lei era stata una rivelazione, per gli Evjen. Grazie al lavoro di Cassandra, non fu poi così difficile accogliere un altro bambino in casa, e Calypso si dimostrò subito particolarmente brillante e potente. Giorno dopo giorno, non solo cresceva nel corpo e nell'anima, ma anche nel controllo della sua particolarità. Indebolire qualcuno non significa solo privarlo delle forze, ma anche e soprattutto di eliminare l'abilità di reagire ad eventuali minacce; mentalmente, tutto ciò era ancor di più vincente. Riuscire a neutralizzare un individuo tramite la mente e prendendo eventualmente un po' di sè tramite i suoi ricordi era una meraviglia rara, una potenza difficile da gestire. Tuttavia, la resilienza di Coco era trapelata più volte in superficie, e negli anni la sua bravura nel gestirsi aveva fatto di lei una donna indomita. Tutto quel potere tuttavia, era bilanciato da un'anima gentile, timida, ma al tempo stesso brutalmente onesta. Il cuore della ragazza era spesso in tumulto, ma al tempo stesso batteva morbidamente con ferma regolarità orientando le azioni di Coco giorno dopo giorno. Ascoltatrice più che chiacchierona, lei era sempre stata uno dei punti deboli di Naavke, e di questo lui era profondamente consapevole. Tra i due si era creato un legame di affetto indescrivibilmente profondo, che quasi gli faceva desiderare di ucciderlo, eliminarlo per sempre per liberare entrambi dalle parti più scoperte e pulsanti dei loro cuori. Tuttavia, così come quell'impulso si manifestava, così esso si dissolveva; solo il pensiero di perdere Coco avrebbe reso la vita una tortura costante per Naavke: ogni respiro sarebbe stato tremendamente bruciante, fisicamente ingiusto.
    Dunque, fermo e quieto in penombra, lui fumava ed aspettava che il nulla si verificasse. Contava di tornare a casa, soddisfatto del fatto che nessuno l'avesse più chiamato. L'unica persona che sapeva che lui fosse lì era Tessa, la donna che lavorava all'ingresso dell'Aamot Lodge, amica di Coco. Proprio per questo motivo, Naavke aveva fatto in modo da avere lei come tramite tra lui e la figlia; se ci fossero stati problemi sarebbe stata lei ad avvisarlo. Probabilmente, un padre davvero premuroso non avrebbe permesso in primis un incontro, se esso avrebbe potuto rappresentare un rischio per la salute di sua figlia, eppure lui era convinto che Coco sarebbe riuscita a gestire anche qualche piccolo inconveniente. Lui sarebbe stato a disposizione conoscendo il timore della ragazza nei riguardi di quell’incontro. Gli Evjen non erano una famiglia ordinaria, in loro di tipico c'era solo l'apparenza. Sotto il gradevole ritratto di una normale famiglia benestante erano custodite personalità complesse, pericolose e scure, che però si amavano le une con le altre, a modo loro. Non era chiaro, forse neanche a Naavke stesso, se gli interessi della Setta venissero prima o dopo quelli della famiglia. Dopotutto, essa era una famiglia di per sé, intrecciata alla sua. Dunque, delegare a Calypso ed Eyr il ruolo di reclutatori sarebbe stata sempre la scelta migliore, per la loro indipendenza, delle loro conoscenze e della loro particolarità. Tuttavia anche il pensiero che qualcosa sarebbe potuta accadere portava Naavke in uno strano limbo tra preoccupazione e orgoglio. Da un lato era certo di aver offerto a Coco abbastanza strumenti mentali per difendersi da molte minacce, e dall'altro non poteva fare a meno di preoccuparsi per una delle persone che amava di più al mondo. Ed eccolo, quell'odioso telefono che squillava; il numero era occultato. Senza pensarci due volte, con un composto movimento del braccio, l'uomo agguantò la cornetta. Nero! Sua figlia! Coco sta male! Purtroppo, l'eventualità che meno Naavke desiderava si era avverata. Nonostante tutto, non avrebbe mai sacrificato un figlio per il bene della Setta; avrebbe spinto Eyr, Coco e Roy a fare molte cose per l'organizzazione, ma non compromettersi. Stanza? Domandò lui, con una velatura di inquietante nervosismo nella voce. 21.. 21B! Ma è uscita, era sconvolta, deve essere in corridoio! Alzandosi velocemente e schiacciando la sigaretta nel posacenere, con movimenti veloci ed eleganti Naavke uscì velocemente dall'ufficio, per avviarsi a passo sicuro verso la camera indicatagli. Dopo neanche due minuti, trovò Coco appoggiata al muro bianco con il fiato corto e lo sguardo smarrito.
     
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    For a while, for a while... This is the breath, this is the breath..."

    ”Fai attenzione.” - glielo aveva ripetuto sempre in un breve e coinciso sussurro, Naavke. Non si perdeva mai in troppi complimenti, mai in troppi desideri. Lui le faceva da padre a modo suo e questo lei lo aveva sempre apprezzato. L’aveva scelta, e per molto tempo Coco neanche aveva compreso il motivo per cui era stato spinto a prendersi cura di lei, ad allungare una mano in sua direzione pronto a tirarla su, in qualsiasi momento. Era stato l’uomo che aveva cambiato la sua vita, più di chiunque altro. Un impatto sconosciuto volato nella sua direzione quando era stata solo una bambina priva di speranze, priva di sogni. Aveva trascorso le sue giornate su quel vecchio lettino di metallo in orfanotrofio, attendendo il nulla e volgendo le proprie uniche e più complete attenzioni a suo fratello, di cui avrebbe perso dopo qualche tempo anche le tracce. Non seppe mai cosa differenziò lei da tutti gli altri, cosa convinse Cassandra a mettere le proprie mani attorno alla sua piccola manina, stringendola appena, mentre un sorriso affabile, familiare, si apriva sul suo volto pulito. Se ne era innamorata, Coco, immaginando per un solo momento una vita tutta nuova, un mistero dietro quelle iridi blu che lei tanto avrebbe voluto scoprire. Aveva avvertito le proprie guance farsi rosse, calde di fronte a quegli occhi curiosi, diretti a lei ancora così piccola, ingenua. Eppure, aveva sentito una fitta di dolore nel profondo del proprio cuore non appena aveva inteso di doversi separare da lui, una parte della propria anima che forse non avrebbe mai potuto rivedere, il fratello nelle cui vene scorreva quel suo stesso sangue ormai solitario. Li aveva seguiti nella grande casa di cui mai avrebbe neanche immaginato l’esistenza e che, soprattutto, potesse mai toccare a lei viverci. Erano stati gentili, premurosi, silenziosi anche forse quanto lei. Cassandra si era preoccupata che avesse ogni cosa, che ogni singolo desiderio venisse esaudito, mentre Naavke si era limitato ad osservarla, studiare quei comportamenti nella nuova casa. Lo aveva apprezzato, Coco, ricambiando saltuariamente quello sguardo, impaurita ed incerta. Poi, i giorni erano passati in fretta, e lei aveva iniziato a comprenderlo e a fidarsi, lasciandosi alle spalle l’inquietudine e provando a dargli una chance: era divenuto il suo primo amore, il primo affetto sbucato nel nulla; Naavke l’aveva stregata con i suoi silenzi e gli sguardi curiosi, con quei suoi sorrisi a labbra serrate mentre le si avvicinava per medicarle una ferita o, semplicemente, sistemarle con cura e lentezza i capelli che, ricci e lunghi, le ricadevano dietro la schiena. Aveva iniziato a volergli immensamente bene, grata per ciò che lui aveva fatto per lei, quell’opportunità di vita che forse mai si sarebbe sognata di poter avere. Da sempre, ovunque andassero, aveva cercato la mano di Naavke, la piccola Calypso, come se quel contatto potesse rendere vero ogni giorno, ogni momento trascorso con gli Evjen. Era divenuto suo padre, contro ogni previsione, e lei sua figlia. Erano le sue, le braccia all’interno delle quali si sentiva protetta, il respiro che smezzavano così da restare vivi entrambi contro il tempo. Sarebbero stati per sempre Naavke e Calypso Evjen, così come lui anni prima aveva scelto per lei. Non era stato solo un cognome, era stato l’inizio della sua vita.
    Inspirò profondamente, cercando di attutire quel battito cardiaco che sembrava volerle lacerare le pareti elastiche del cuore. Dinanzi ai suoi occhi chiari non vi era più la stanza numero ventuno, ma le pareti in ombra di una casa che ormai non ricordava di aver mai visto. Non aveva fatto in tempo, non era riuscita nel compiere ogni passo secondo i piani, la testa per un momento di troppo altrove. Il ragazzo l’aveva guardata con quelle iridi scure e le sopracciglia corrucciate, mentre s’insinuava nella sua testa e scalpitava per far trovare immagini, emozioni, tentennamenti andati perduti. Vi aveva trovato dolore e dimenticanza, rifiuto e negazione: mobili vecchi troneggiavano alti attorno a lei, così piccola da poter essere schiacciata anche solo da un soffio leggero di vento. Si sentì lontana da tutto il resto per qualche breve istante, alla ricerca di indizi o sensazioni che potessero aiutarla a ricordare dove si trovasse. Frugarono frettolosamente, quei due occhietti tornati bambini, posandosi per primi sul soffitto scuro dal quale pendeva un lampadario mezzo rotto. Scesero, scorrendo piano sulla superficie delle cose che, sparse per la stanza, le davano un aspetto del tutto caotico e privo di pace. Respirava affannosamente, Coco, mentre seduta sul pavimento freddo si reggeva con le spalle appena più ritte posando i palmi delle mani contro il suolo, la spinta più pesante posta nei muscoli delle braccia. Era tornata solo una bambina, la stessa di diciannove anni prima, cui era stato sottratto il mondo da sotto ai piedi, senza neanche il suo permesso. Aveva cancellato ogni cosa di quei momenti, di tutto ciò che c’era stato prima di Grete, prima degli Evjen stessi. Sapeva di aver subito un trauma, ma la sua curiosità non l’aveva mai spinta tanto oltre, tanto da costringerla a cercare e ricercare ciò che la sua mente non avrebbe voluto vedere in ogni caso, di nuovo. Non aveva idea di che vita avesse avuto, di che nome avesse portato. Sapeva solamente che, nello stringere la mano di quel piccolo essere umano così simile a lei, aveva sentito di appartenergli. Stesso sangue, stessi occhi, stesso odore. E in quel momento, come per magia, stringeva le manine in due piccolissimi pugni proprio lì davanti a lei. Dei piccoli e sussurrati gemiti si libravano da quelle labbra sottili e piccole, ancora inadatte a lasciar andare via parole di senso compiuto. Era suo fratello, lo avvertiva sotto la pelle calda e nel tremore delle proprie mani. Serrò gli occhi per qualche istante, riaprendoli e scostando lo sguardo sul corpo disteso di sua madre, lì sul pavimento a qualche metro da loro. Era senza vita, i capelli che si mimetizzavano con le striature del parquet in legno scuro; un braccio era allargato su quello stesso pavimento, mentre la mano volgeva il proprio palmo al soffitto. Non respirava, non parlava, non si muoveva. Immobile in quel tempo, prigioniera di un destino che da lei probabilmente neanche era stato scelto. Un ricordo che affiorava, una fitta di dolore che le cingeva il petto, bloccando le sue carni e lo scorrere del sangue nelle vene ormai completamente raggelate da quella visione che, lo sapeva, spesso aveva ricacciato fingendo non potesse esistere. Non aveva idea di cosa fosse, se solo frutto di un’allucinazione, se ricordi vivi o morti, se pensieri o paure nascoste. Non aveva idea di quanto ciò potesse essere reale, se davvero quel tipo dai capelli scuri potesse mostrarle ciò che lei non aveva voluto vedere per anni. Eppure sapeva che un fondo di verità a tutto quello c’era: era il corpicino di suo fratello che aveva stretto spesso, di notte, in orfanotrofio. Gli aveva sussurrato che sarebbe andato tutto bene, che ogni cosa avrebbe preso la propria forma e loro sarebbero rimasti insieme per sempre… aveva mentito spudoratamente. E ne avrebbe pagato le conseguenze, prima o poi. Forse proprio in quel momento, dinanzi al corpo morto di sua madre distesa sul pavimento, una macchia di sangue che si allargava sotto al suo viso dagli occhi ancora spalancati. Lasciò quindi andare la manina di suo fratello, portandola insieme alla sua gemella sul proprio viso per coprire gli occhi. Non avrebbe voluto vedere, non era quello il momento per ricordare, per far riaffiorare ogni cosa a galla. Restò in quella posizione per ciò che a lei sembrò essere un’eternità, fino al momento in cui il silenzio ossuto che aveva sentito martellarle nelle orecchie non fu sostituito da un respiro estraneo, proveniente da un luogo ben diverso, uno spazio appena più ordinato e grande. Solo in quel momento riaprì gli occhi azzurri, lasciando che questi tornassero a vagare nel corridoio dalle pareti bianche. Aveva il fiato mozzato, la mano destra che premeva sul proprio torace mentre la sinistra poneva una leggera pressione sulla parete, quasi dovesse tenersi ad essa per non cadere. I capelli ricci le ricoprivano le spalle, ondeggiando ad ogni suo piccolo movimento, ad ogni piccolo tremore. Avrebbe voluto usare la propria particolarità su se stessa, annullarsi per qualche breve istante, se solo avesse potuto. Schiuse quindi le labbra sottili, sollevando il capo e dando le spalle alla parete, per posarle contro di essa. Sospirò appena, mentre cercava di fare mente locale e rimettere insieme i pezzi, i frammenti di quelle immagini che aveva rivisto contro la propria volontà. Aveva invaso la sua privacy, aveva scoperto scatole impolverate che lei non avrebbe voluto aprire. In quel momento, ciò che provava dentro di sé era solo un pizzico di odio nei confronti di chi, invece, avrebbe necessitato d’aiuto. Dei passi calmi e lenti iniziarono a rimbombarle nella testa, sebbene in realtà non fossero per niente così rumorosi così come a lei parve. Non aveva neanche idea di come fosse uscita dalla stanza, di quando tutto fosse accaduto e quanto ci avesse impiegato. Per quei brevi istanti, aveva perso la cognizione del tempo, dello spazio, di se stessa. Non aveva più avuto alcuna idea riguardo a chi lei fosse o dove si trovasse. «Papà.» sussurrò, sollevando lo sguardo sulla figura alta di Naavke, ormai a pochi passi da lei. Inspirò profondamente, prima di staccarsi dalla parete giungendo poi le mani dinanzi al proprio torace. Intrecciò le dita le une con le altre, quasi volesse evitare di toccarlo. Tremava, Coco, e sapeva perfettamente che la propria particolarità era indomabile, in quel preciso istante, e l’ultima cosa necessaria sarebbe stato usarla su di lui. «Mi dispiace, non ci sono riuscita… ci ho provato, ma lui mi ha…» parlò lei, di fretta, avvicinandosi a suo padre e fermandosi a mezzo metro di distanza da lui, le labbra ricurve in una piega più triste del solito. Cercava sempre di nascondergli quanto potesse farle male qualsiasi cosa, quanto potesse bruciarle dentro una sconfitta. Non avrebbe mai voluto deluderlo, fargli credere di aver scommesso male su di lei. Era lì per lui, era protetta da quelle braccia perché lui aveva scelto di donarle le proprie attenzioni; attenzioni alle quali lei mai avrebbe voluto rinunciare.
     
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    Li ricordava come fosse ieri, Naavke, gli occhi grandi e chiari di Coco specchiarsi nei propri, esattamente come anni prima aveva fatto lui con Kjetil. Gli occhi di un padre e di un figlio possono essere legati indissolubilmente da un amore silenzioso, fermo, solido. Almeno, così avrebbe voluto Naavke per sè e la sua famiglia. All'inizio, parlandone con Cassandra, dei bambini non sarebbero stati che un mero mezzo per arrivare ad un fine ben preciso: creare i perfetti membri della Setta, indottrinati sin da piccoli in modo da diventare i più fedeli adepti. Eppure, Naavke sapeva per esperienza che nulla nei piani sarebbe andato unicamente come previsto; per questo, per ogni progetto nella sua vita, ne aveva sempre conservato uno di riserva. Per i figli, tuttavia, sarebbe stato impossibile. Così come loro sarebbero dovuti finire intrappolati nella sua tela, anche lui era rimasto ugualmente imprigionato nei sentimenti che loro gli avevano fatto crescere nel cuore. Ad ogni centimetro segnato sui coprifili della porta, aumentava non solo la statura di Coco, ma anche quell'amore insidioso, viscerale, quella debolezza che stava impregnando Naavke sin nelle ossa. Non riusciva a separarsene, a considerare quei piccoli esseri unicamente dei meri strumenti nelle sue mani, nonostante giorno dopo giorno ne stesse plasmando le esistenze. Lo sapeva, sarebbe stato da completi ingenui pensare che ad un certo punto non sarebbero diventati individui indipendenti da lui - influenzati dalle sue azioni ma non creati del tutto da esse. Cassandra concordava, nonostante il loro progetto appena sposati fosse stato inizialmente quello di acquisire dei bambini e farne dei burattini mossi dai fili invisibili di legami basati sul puro opportunismo, nel caso di Coco, Eyr e Roy questo paradigma avrebbe dovuto cambiare. Al pensiero di perdere i suoi figli, Naavke avvertiva un baratro aprirsi dentro di lui e divorarlo lentamente come un’insaziabile bestia. Non aveva mai abbandonato l'idea di rendere i ragazzi parte del progetto di sovversione della Setta, tuttavia quelle relazioni genitoriali erano diventate molto più di questo. Era diventata la famiglia, ciò che più contava per lui, assieme al suo pragmatismo estetico. Sarebbe stato disposto a difendere le persone che amava con le unghie e con i denti, avrebbe ucciso senza alcun rimorso, sarebbe arrivato all'inverosimile pur di assicurare a loro la protezione da ogni pericolo. Per questo, in quel grigio pomeriggio Norvegese, era seduto alla sua scrivania, sepolto dalle ombre dei suoi peccati, ad aspettare la mancanza del loro riscatto. Il dolore di Calypso sarebbe stato un contrappasso troppo duro da affrontare, e Naavke sperava che quella giornata, così come tutte le altre, sarebbe stata relativamente serena per lei, qualcosa di ordinario, in cui forse quella sera l'avrebbe chiamato, e alla domanda "Com'è andata oggi, Coco?" lei avrebbe risposto con un pigro "Tutto bene, niente di che papà".
    Nuovamente, quegli occhi da indomita sirena, stavolta sperduti e spaventati, si erano posati in quelli di cervo di Naavke. Quelle sfumature azzurro-verdi erano diventate un mare di angoscia, che poco sarebbe servito esprimere a parole. Lui non aveva la capacità di leggere nel pensiero, ma sapeva leggere lei. Ogni espressione, movimento e incrinatura nella voce di Coco era un prezioso indice per Naavke, che riusciva a percepirne le più nascoste paure ed emozioni. Probabilmente, lei sarebbe stata in grado di fare lo stesso con lui, per quanto egli si mostrasse puramente per ciò che era solo con Cassandra. C'erano lati di lui che non sarebbe stato saggio mostrare ai figli; il mostro non aveva spazio nel padre, e viceversa, eppure convivevano pacificamente nella stessa persona, che aveva accettato tutti i suoi lati, per quanto terribili potessero essere. Un tipo particolare di esposizione entrava in gioco nell'essere genitori: si erigono barriere e regole per educare i propri bambini, e tramite queste maschere benefiche si può osservare facilmente chi risiede con e dietro di esse. Naavke voleva dimostrarsi un padre devoto, eppure non severo. Chi più di lui, avrebbe potuto capire quanto importante fosse vivere la vita appieno, seguendo anche le tendenze autodistruttive che essa disseminava nel cammino di ogni individuo? Non avrebbe mai limitato i suoi figli ad ideologie puritane, basate sulla repressione e la mancanza di libertà. Tuttavia, essere un Evjen significava essere diversi dagli altri, avere un impegno differente nei confronti di se stessi e la società di Besaid, e tale impegno andava portato avanti con disciplina e serietà. Ogni ragionamento crollò, nel momento in cui la voce di Tessa aveva annunciato il numero della stanza in cui Coco si trovava a Naavke, che con la sua solita padronanza dei movimenti si affrettò a raggiungere la 21B. Non avrebbe permesso ad alcun essere umano di torcere un solo capello a sua figlia, non finchè lui avrebbe respirato.
    Centimetro dopo centimetro, i passi dell'uomo si fecero sempre più impazienti, mentre lui si muoveva velocemente per arrivare il prima possibile dalla figlia. Ma è uscita, era sconvolta, deve essere in corridoio! La voce affabile ma concitata di Tessa continuava a risuonare come una fastidiosa eco nell'udito di Naavke, che aveva chiaro il motivo per il quale la sua amata Coco era stata turbata. Sapeva di questo ragazzo dai poteri potenzialmente difficili e pericolosi, ma era certo che sua figlia avrebbe saputo come comportarsi con lui, e non dubitava di lei; era una Ejven, e come tale aveva acquisito una tempra forte e sapeva come difendersi. Trattare individui potenzialmente instabili e con particolarità complesse e rischiose era sempre un salto nel vuoto, eppure era necessario testare il più possibile i poteri di potenziali adepti, se essi avessero dovuto essere accolti tra le schiere della Setta. Naavke lo sapeva; Calypso altrettanto. Tuttavia, imprevisti anche particolarmente deleteri erano all'ordine del giorno, in un lavoro così oscuro. Non appena Naavke imboccò il corridoio in cui si trovava la stanza in questione la vide, la sua meravigliosa figlia, appoggiata al muro, sconvolta come Tessa l'aveva descritta. «Papà.» La voce da sempre decisa ed indomita di Coco era ridotta ad un sussurro; portando immediatamente le iridi castane sulla figura della giovane, Naavke la ispezionò velocemente ma attentamente, assicurandosi che non si fosse ferita. Stava bene, ma non nella fragile costellazione delle sue emozioni, minacciata da uno spaventoso buco nero; Coco aveva bisogno di lui, del suo aiuto. Aveva bisogno di suo padre. Prendendo un respiro più ampio per calmarsi, Calypso si racchiuse leggermente su se stessa con la sua postura ed i suoi gesti, un po' come se fosse un fiore pronto a difendere il proprio interno chiudendo i suoi petali, mentre il respiro la tradiva, rivelando il leggero tremore del suo corpo. Era così forte, Coco, eppure così delicata. «Mi dispiace, non ci sono riuscita… ci ho provato, ma lui mi ha…» Accavallando pensieri in frasi spezzate, la ragazza tentò di spiegarsi, come se fosse stata schiacciata dal peso di aspettative che aveva posto su se stessa. Eppure, Naavke non riuscì a non pensare di aver contribuito almeno un minimo a quel carico; aveva sempre voluto che i suoi figli dessero il meglio, anche se non avrebbe mai desiderato che loro venissero compromessi in alcun modo. Colmando la distanza tra il proprio corpo e quello più esile della figlia, Naavke la accolse immediatamente tra le sue braccia, in una stretta salda e protettiva. Sono qui. Sei stata bravissima, Coco, hai fatto tutto quello che potevi. Non devi mai sacrificare te stessa, per nessuno. Neanche per me. Parole non dette morirono tra le labbra dell'uomo, che accarezzò lievemente i capelli ricci e lunghi di Coco, posandovi poi contro una guancia. Per svariati secondi, Naavke restò fermo ed in silenzio, attendendo con pazienza che il respiro della figlia si calmasse, così come quei tremori leggeri. Le poso un bacio tra le ciocche scure e poi tornò a stringerla a sè. Nonostante lei fosse ormai cresciuta e sbocciata in una meravigliosa donna, lui non smetteva di sorreggerla proprio come quando era una bambina e vittima degli incubi chiamava lui e Cassandra per sentirsi nuovamente al sicuro. Il ragazzo dietro la porta della stanza 21B aveva riportato Calypso a quei momenti di sconforto, seppure in una forma diversa. Slacciando quell'abbraccio il giusto per controllare che andasse tutto bene, Naavke lasciò vagare lo sguardo sul volto della figlia, lasciandovi una carezza, per poi far scivolare le mani sui bicipiti di lei. Vieni con me. Le disse, incoraggiante, per poi posarle una mano dietro la schiena e guidarla verso il proprio ufficio. Dopo aver fatto entrare la ragazza ed essersi chiuso la porta alle spalle, la guardò intensamente negli occhi, come se volesse assorbire da essi tutte le immagini che consciamente o meno avevano osservato. Sei libera, non volessi parlarmene. Cosa hai visto, Coco?

    'Cause when you've given up
    When no matter what you do, it's never good enough
    When you never thought that it could ever get this tough
    That's when you feel my kind of love.

     
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    Forse non si trattava di bravura: ogni cosa, vista sotto una luce differente, avrebbe potuto risplendere di fortuna. Ci aveva pensato spesso e, sebbene ci fossero innumerevoli avvenimenti tristi nel suo passato, la riccia aveva sempre avuto il motivo di credere che tutta la sua esistenza potesse in qualche modo essere frutto di buona sorte. Altre volte, invece, la sua mente non riusciva a lasciarsi andare completamente a quella positività di spirito che tanto agognava, restando a bocca asciutta nel più buio dei momenti, durante i quali neanche la fortuna avrebbe potuto qualcosa.
    Aveva cancellato quel momento del proprio passato perché, dentro di se, ogni fibra del proprio corpo ancora rimembrava quanto fosse stato doloroso dover fissare gli occhi spenti di sua madre, distesa per terra ormai senza vita; un ennesimo oggetto d’ornamento per quella casa ricolma di cose. Aveva voluto cancellarne il silenzio e i piccoli passi che poco dopo aveva compiuto nella sua direzione, quando aveva provato ad allungare una mano verso quel corpo freddo anche solo per toccarlo, comprendere quanto avesse perso di lei. E poi, come spesso accade per i bambini, aveva voluto rintanare quella coscienza all’interno del luogo più buio che custodisse, dimenticandosi persino della sua presenza ma continuando ad essere consapevole di aver lasciato qualcosa indietro. Si era concentrata sul futuro, separandosi dalla piccola Calypso e decidendo di cominciare qualcosa di nuovo, di credere ad una sola parte della propria vita: quella vissuta con gli Evjen, costruita giorno dopo giorno anche con l’aiuto di Eyr e il proprio. Avevano messo su la famiglia che non aveva mai avuto, all’interno della quale ogni legame era unificato all’altro, ogni passo accompagnato dagli altri, non avrebbe avuto alcuna importanza il cammino o la destinazione.
    Sono qui. Sei stata bravissima, Coco, hai fatto tutto quello che potevi. Non devi mai sacrificare te stessa, per nessuno. - furono quelle parole a spingere gli occhi di Coco verso l’alto, in direzione della figura di Naavke appena apparsa dinanzi a lei, dopo aver oltrepassato quelle alte pareti bianche del corridoio. Si era fermato di fronte alla figura più esile di sua figlia, allungando le braccia verso di lei e chiudendo quel corpo più minuto in uno stretto abbraccio. Aveva spesso immaginato che il cuore di suo padre non fosse come quello di tutti gli altri: Naavke aveva il battito più lento e cadenzato, come se i termini dell’anatomia per lui non potessero avere lo stesso significato e valore. Per quel motivo, da piccola aveva spesso creduto che non fosse in grado di dimostrare affetto o, semplicemente, amore. Eppure, lo aveva letto negli occhi di Cassandra, quanto lui potesse essere speciale per lei, quanto in realtà fosse capace di dimostrare sempre e in ogni istante ciò che provava. La vera magia stava nell’imparare a riconoscerne ogni segnale, e lei ci si era messa d’impegno, superando l’oscurità che sembrava avvolgerlo e scovando dietro di essa un’anima che, forse un po’ tormentata quanto la propria, illuminava molto più di quanto lei avesse potuto immaginare. Naturalmente, non era neanche una stupida, e quei comportamenti appena più intimi che riservava alla propria famiglia erano da dimenticare una volta lasciato l’ambito delle loro vite private. Al di fuori, Coco aveva spesso udito cose a cui difficilmente aveva potuto credere, rendendosi conto di quanto frammentaria potesse essere la realtà. In ogni caso, ciò che i suoi occhi vedevano e ciò che le sue orecchie udivano aveva molta più importanza di tutto il resto: Coco era e sarebbe restata per sempre sua figlia, malgrado il sangue comunicasse altro. «No, non è vero.» sussurrò quindi Calypso, ancora ferma fra le braccia di Naavke. Lasciò che quel contatto non terminasse immediatamente, preferendo restare avvolta fra le sue braccia per qualche minuto ancora. Stretta in quella presa ferrea ma affettuosa, ogni paura sembrava poter svanire all’improvviso. In un certo senso, suo padre era capace di caricarla ancora una volta, di mettere all’erta nuovamente i suoi sensi così da darle la possibilità di ripartire da zero, darsi ancora una possibilità prima scartata. Permise quindi al proprio respiro di ristabilizzarsi, notando il battito cardiaco nuovamente saldo e deciso. Vieni con me. disse poi, spezzando quell’abbraccio e lasciando che il corpo di sua figlia ritornasse a tenersi da solo. Le mani della ragazza erano ancora ferme contro il petto, chiuse in due pugni e attente a non sfiorare la pelle di Naavke. Sollevò quindi lo sguardo su di lui, tornando a muovere lentamente le dita e avvertendo una nuova tranquillità insinuarsi sotto la pelle e nei suoi palmi, i quali tornarono nuovamente liberi nel momento stesso in cui la mano di suo padre andò a posarsi sulla sua schiena, pronto a guidarla in direzione del suo ufficio.
    Lo seguì all’interno della grande stanza, passando per prima e attendendo che l’uomo si fosse chiuso la porta alle spalle. Dopodiché lo vide avvicinarsi nella propria direzione, lo sguardo fisso negli occhi chiari di sua figlia. Sei libera, non volessi parlarmene. Cosa hai visto, Coco? le domandò quindi, restando in attesa. Coco schiuse appena le labbra, provando a respirare tramite di esse e cercando di ricacciare le immagini che, ancora vivide nella sua mente, si rimescolavano al dolore che aveva provato nel vederle. Sostenne lo sguardo di Naavke quanto potè, prima di abbassarlo in direzione del pavimento e voltandosi poi per raggiungere la poltrona posta dinanzi alla grande scrivania ordinata. Non un foglio di carta si trovava spaiato su quella superficie lucida, non una penna fuori posto. Ogni cosa sembrava avere il proprio spazio, così come nella vita stessa di Naavke ogni tassello andava ad incastrarsi con quello accanto, formando un quadro generale della sua vita. Si domandava, Coco, quanti pezzi di quel puzzle fossero a lei ancora del tutto sconosciuti. Cinse le mani, chinandosi appena in avanti e posando il proprio peso sui gomiti, posati sulle cosce. «Voglio parlartene.» disse lei, sollevando poi nuovamente lo sguardo su suo padre e comunicando con lui, facendogli sapere che il desiderio di condividere quel dolore c’era, ma il coraggio per farlo? Deglutì ancora una volta, appena più rumorosamente, mentre con il pensiero si ritrovava in quella stanza, lontana dal presente, lontana da tutto il resto, persino da ciò che lei era divenuta in tutti quegli anni. Perché aveva cancellato ogni ricordo? Perché aveva deciso di tagliare il proprio passato in due fette di vita che non sapeva neanche le appartenessero per davvero? «Conoscevo i rischi, ci ho provato lo stesso…» sussurrò poi, riferendosi al potere di quel ragazzo e al suo averne accettato i pericoli scorti nell’averci avuto a che fare. Forse, una lontanissima parte di lei, aveva anche sperato che ciò accadesse. Non avrebbe saputo come spiegarlo, ogni parola sembrava essere futile, ingiusta, incompleta. «Era buio e… c’era un neonato. Gli stringevo la mano, ma ne ero spaventata.» disse lei, incapace di spiegare con termini più veri ciò che aveva visto. Non seppe il perché, ma non volle specificare che quel neonato era suo fratello. Naavke lo avrebbe capito, e forse avrebbe compreso anche il distacco di Coco nel raccontare ciò che i suoi occhi avevano appena rivissuto dopo troppi anni di dimenticanza, di reclusione delle proprie emozioni. «Una donna era distesa per terra, c’era del sangue.» confessò ancora mentre ripescava un’ennesima volta quelle dannate immagini, alle quali avrebbe voluto rinunciare una seconda volta, se solo avesse potuto. Prese a tremare nuovamente, avvertendo l’agitazione prendere possesso del suo corpo e della sua particolarità. Chiuse gli occhi per qualche istante, cercando di respirare profondamente ed allontanare quello che continuava a vedere nel buio delle proprie palpebre. Si alzò con uno scatto, cingendo nuovamente le mani contro il petto, l’una nell’altra, ed avvicinandosi a suo padre. Inarcò leggermente le sopracciglia, mentre le labbra formavano una triste curva verso il basso. Avrebbe voluto cedergli ogni cosa, cedere a lui ogni ricordo, ogni sensazione, anche solo per un secondo. Eppure, sapeva perfettamente che suo padre era a conoscenza di ogni suo tentennamento, del dolore che Roy aveva lasciato in lei, del male che lei stessa aveva fatto a lui, dell’amore incondizionato che lei provava nei confronti della sua famiglia. Gli aveva chiesto spesso di patteggiare per lei, silenziosamente gli aveva fatto giurare di restare dalla sua parte, qualsiasi cosa fosse accaduta. E lui aveva aggiunto quel pezzo di puzzle col nome di Coco alla propria vita. Forse non aveva mai apprezzato appieno ogni sua scelta, preferendo il carattere impulsivo di Eyr o non perdonando la scelta di Coco quando aveva deciso di non andare a trovare Roy in cella. Eppure, anno dopo anno, avvenimento dopo avvenimento, Naavke era ancora lì per lei, e non l’avrebbe abbandonata.
    Tese una mano verso di lui, mostrandogli il palmo pallido e fermandosi a pochi centimetri di distanza dalla mano decisamente più grande dell’uomo. Era un invito, nessun obbligo. Gli avrebbe mostrato ogni cosa, ogni frammento di quel ricordo appena acquisito. Se solo avesse voluto, Naavke avrebbe potuto prendere la sua mano e lasciarsi andare per qualche breve istante a ciò che lei poteva offrirgli: non era niente di positivo, nessuna promettente sensazione. Avrebbe perso il controllo dei propri poteri per qualche breve istante e avrebbe potuto vedere con gli occhi di Coco ciò che lei stessa aveva vissuto in quella stanza. Non avrebbe stretto troppo a lungo, avrebbe cercato di bloccare quel flusso, sfiorandolo appena e negandogli una completa assuefazione a quel potere che lei custodiva nelle proprie mani. «Papà, puoi vedere tu stesso.» disse in un sussurro, ferma di fronte a lui, la mano aperta nella sua direzione. Un’opzione, un rischio. Una verità, un dolore. Condividevano, padre e figlia, la paura di lasciar andare agli altri anche troppo di se stessi.
     
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    Naavke aveva sempre pensato che gli occhi di Coco fossero incantevoli come quelli di una sirena, capaci di avvolgere nel loro sortilegio qualsiasi persona su cui si posassero. L'analogia tra Calypso e le divine creature del mare capaci di asservire gli uomini col loro canto era chiara in quelle iridi blu, che indomite scrutavano il mondo, sin da quando Coco era piccolina. Naavke non avrebbe mai provato ad incatenarla, a limitarla; sua figlia possedeva una grandezza che avrebbe solo dovuto crescere ed essere indirizzata in modo da prosperare. Per questo, nel momento in cui quegli stessi occhi si posarono su di lui, Naavke capì di aver forse commesso degli errori: certo, si aspettava sempre il massimo dai suoi figli, ma ciò non significava che loro avrebbero dovuto cercare persino di rischiare il pericolo per dimostrarglielo. Coco non avrebbe dovuto esporsi in tal modo con quell'uomo, i cui poteri evidentemente l'avevano turbata nel profondo. Quelle splendide iridi blu degne di una ninfa figlia del mare si posarono dritte in quelle di Naavke, che ne percepì la velata tristezza, sotto quella coltre di shock. Lui sapeva che Coco avrebbe potuto leggerlo come nessun altro; solo la sua famiglia avrebbe potuto avere tutto di lui – non Besaid, non il museo, e nemmeno la Setta. Solo gli Evjen avrebbero potuto capirlo, solo per loro avrebbe dato ogni cosa e solo per loro avrebbe abbandonato il progetto di una vita – per tenerli al sicuro, per assicurarsi che nulla di male avrebbe potuto colpirli. Tuttavia, delle volte dare tutto non sarebbe stato abbastanza, e Naavke ne era consapevole. Non avrebbe potuto proteggere i suoi cari da qualsiasi insidia, come quel pomeriggio Coco da quell'uomo. Eppure, in parte, lui si sentì responsabile di quel che le era capitato. «No, non è vero.» Tenendo stretta a sè la figura più esile della figlia, Naavke scosse appena il capo, rafforzando quell'abbraccio almeno qualche istante, per lasciar intendere a Coco che in realtà i suoi sforzi erano stati apprezzati e che non erano stati vani. Pian piano, il respiro irregolare della ragazza divenne più uniforme nel suo ritmo, così come i suoi muscoli presero a rilassarsi. Fu allora, che Naavke le propose di seguirlo, in un luogo in cui nessuno li avrebbe potuti disturbare ed in cui Coco avrebbe potuto riprendersi in tutta calma. Non sfuggì, al curatore, la posizione delle mani della giovane donna, ancora chiuse e vicine al petto di lei, come se lei non avesse intenzione di farle sfuggire al suo controllo, come se temesse se stessa. In quegli attimi, Naavke rivide se stesso, nella figura della sua amata Calypso. Alla sua età, anche lui temeva se stesso e la potenza della particolarità che Besaid gli aveva affidato; non avrebbe permesso che sua figlia soffrisse come aveva fatto lui, ed era pronto a darle tutto il sostegno necessario affinchè ciò non avvenisse. Restando fermo a vegliare su di lei, Naavke ritrovò ancora una volta il suo sguardo, nel momento in cui lui si avvicinò nuovamente a Coco per condurla nel suo ufficio.
    Una volta nella stanza, Naavke si chiuse il più silenziosamente possibile la porta alle spalle, per poi tornare ad osservare sua figlia, cercando in lei un minimo segno di turbamento o debolezza, per poterlo eventualmente acquietare, mentre la incoraggiava a parlargli, nel caso in cui lei avesse sentito di farlo. La ragazza schiuse le labbra, eppure da esse per qualche lungo secondo non provenne alcun suono. Persino i passi di Coco, diretta verso la scrivania, sembravano essere ovattati, come se quasi temesse di lasciare che la sua presenza fosse percepibile - non per via di Naavke, ma per via dei sentimenti che minacciavano di romperla dall'interno in mille pezzi. Sedendosi così in poltrona, la ragazza abbassò lo sguardo, cingendo le mani minute. «Voglio parlartene.» Rispose infine lei, vocalizzando un vero atto di coraggio, nel volersi esporre ancora una volta, mentre Naavke si mosse, avvicinandosi a sua figlia e flettendo una gamba per inginocchiarsi di fronte a lei. «Conoscevo i rischi, ci ho provato lo stesso…» La voce, spesso decisa, di Coco, era ridotta ad un sussurro, un po' come se stesse confidando un segreto a suo padre, pronto ad ascoltare. Tu ci provi sempre. Rispose lui, calmo e posato, riconoscendo l'enorme forza di volontà della giovane, che non si tirava mai indietro di fronte alle difficoltà, nè nei riguardi della sua vita privata, nè nei riguardi dei suoi compiti all'interno di Libra. Naavke colse il messaggio più implicito all'interno di quelle parole, che erano scivolate così leggere al suo udito: Caypso non si tirava indietro perchè non voleva. Era stata una scelta deliberata, quella di andare oltre e di vedere, di percepire ciò che quell'uomo avrebbe potuto mostrarle, nonostante il rischio; e forse, per un errore di calcolo, Coco non era riuscita ad immaginare quanto potenti avrebbero potuto essere le illusioni create da quell'individuo. «Era buio e… c’era un neonato. Gli stringevo la mano, ma ne ero spaventata.» Senza che aggiungesse altro, Naavke ebbe ben chiaro di cosa si era trattato: la famiglia originaria di Coco, quella da lei perduta molto tempo addietro. Quel neonato non era che suo fratello biologico, anch'egli disperso in un passato ormai fumoso, lontano e sanguinante. Nonostante delle ricerche superficiali, il curatore non era riuscito a trovare quel ragazzo, che era certo fosse ancora là fuori. Avrebbe dovuto scavare più a fondo, per ritrovarlo. «Una donna era distesa per terra, c’era del sangue.» Nel descrivere quelle immagini, ancora una volta Naavke rivide se stesso in sua figlia. Quel distacco, quella separazione volontaria dalle proprie emozioni era un metodo che lui conosceva bene. Si era difeso anche lui a suo tempo, e continuava a farlo tutt’ora, in altri modi, per non essere scalfito dalla durezza del mondo esterno.
    Tuttavia, quella freddezza non fu mantenuta a lungo da Coco, che riprese a tremare, probabilmente con le immagini che aveva appena rivissuto ancora davanti agli occhi. Restando vicino a lei, Naavke le posò con calma una mano guantata sulle sue, in modo da farle avvertire la sua presenza, mentre lei abbassava le palpebre e tentava di riprendere il controllo del suo respiro ancora una volta. I movimenti di Coco furono veloci, e Naavke si assicurò di lasciarle piena libertà, mentre lei si alzava e riportava le mani al petto, in quella posizione difensiva che aveva assunto anche in corridoio, poco prima. Alzandosi anch'egli, Naavke inclinò appena il capo, tenendo lo sguardo fisso ma non invadente su sua figlia; il suo bellissimo volto era segnato da un'espressione profondamente malinconica, la stessa che lui aveva già avuto modo di vedere ogni volta che un evento triste o doloroso aveva affondato la sua lama invisibile nel cuore di Coco, che era riuscita con pazienza a superare ogni avversità. Tendendo una mano verso di lui, la ragazza porse il palmo al padre, avvicinandola a quella di lui. Abbassando lo sguardo verso quella piccola mano, Naavke ne colse l'invito, troppo importante per sottrarsi in alcun modo. Anche per via della sua particolarità e di ciò che imponeva, Naavke non aveva mai rifiutato un'opportunità di lasciarsi andare, di eliminare regole e costrizioni. Come se fosse un paradosso incarnato, quell'uomo camminava nel mondo assediato da limiti - anche autoimposti - che lo costringevano, ed al tempo stesso, libero ed impavido, pronto a sferrare qualsiasi attacco avesse in mente nei confronti di una società che intendeva riformare dall’interno. Eppure, quando si trattava di Coco, perdere il controllo non significava accedere ad un lato selvaggio o malvagio, tanto quanto concedersi di sentire ogni emozione appieno, ovunque essa l'avrebbe portato - anche se l'avesse condotto nei meandri dell'oscurità. «Papà, puoi vedere tu stesso.» Era raro, che Naavke si lasciasse guardare dentro, forse sarebbe stato quasi impossibile, per chiunque. Quel pomeriggio, tuttavia, gli fu chiaro che l'unico modo per accedere al dolore di Coco e cercare di dissiparlo sarebbe stato farsi vedere, esporsi a lei. Per questo, Naavke non esitò neanche un attimo, nell'avvicinarsi ancora di un passo a sua figlia, circondandole il polso con le dita, e rifiutandosi così di concederle un contatto diretto con le proprie mani. Portava i guanti apposta, e proprio come lei, aveva il dono di poter trasmettere la sua particolarità col tocco, condividendone le implicazioni. Non avrebbe permesso che Coco ne cadesse vittima, non senza averlo scelto lei stessa. Per questa ragione, mentre reggeva quel polso esile, sollevò il braccio, portandosi la mano di lei vicino alla guancia sinistra. Tenendo lo sguardo fisso in quello di Calypso, Naavke annuì lievemente in un cenno d'assenso e terminò di compiere quel contatto. Fu allora, che lui riuscì a vedere. Quelle immagini, in uno scorcio di pochi secondi, avevano mostrato a Naavke ciò che aveva bisogno di osservare: quella donna, il bambino, Coco e la morte ad accompagnarli, fermando il tempo in una stasi terribile ed un silenzio assordante, proprio come quello che Naavke stesso aveva sentito nel momento in cui Lisbeth aveva spirato in quella stanza d'ospedale bianca come la neve. Assieme a quelle immagini così vivide, anche le forze gli stavano passando, venendo semplicemente fagocitate dal potere di Coco, che le stava prosciugando lentamente. Riaprendo gli occhi e prendendo un respiro ampio, Naavke appoggiò velocemente la mano che non era posata su quella della figlia sul legno della scrivania, reggendosi qualche istante. Ho visto tutto. Rispose lui, serio; aveva immaginato già pochi minuti prima quanto sua figlia avesse potuto essere stata turbata, e quella esperienza non aveva fatto altro che dargli ulteriore chiarezza. Ho visto te. Aggiunse qualche attimo dopo, senza smettere di reggere la mano della ragazza. Coco, il tuo passato ti ha resa ciò che sei, sia quello con noi, che con la tua famiglia originaria. Fa male, ed io lo capisco. Tuttavia, sebbene il passato definisca parte del nostro presente, non devi lasciare che definisca anche il tuo futuro. Non sei più sola. Non sei più indifesa com'eri in quella stanza. Sei con me adesso, e sei una giovane donna la cui forza farebbe impallidire chiunque, quindi non avere paura.
     
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    I’m falling apart, I’m barely breathing. With a broken heart.

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    Probabilmente non aveva mai davvero avuto alcuna scelta. Gli avvenimenti che l’avevano portata in quel posto, in quel preciso istante, si erano susseguiti seguendo una rotta precisa, a lei molto spesso ignota. Di rado era riuscita ad intervenire attivamente per cambiare gli eventi, mentre il resto del tempo lo aveva passato a razionalizzarsi, a sfaccettare ogni conseguenza, ogni azione, ogni scelta, solo per cercare di comprendere quale sarebbe stato il passo da compiere nel dopo, ignara del fatto che con un piede si trovava già oltre.
    Nel passato di Calypso vi erano numerosi silenzi, profondi quanto il caos interminabile che aveva udito nella propria testa altrettanto spesso. Li aveva condivisi spesso con suo padre, Naavke, l’unica figura paterna dal quale si fosse lasciata insegnare, trasportare. A lui aveva dato la più profonda parte di se stessa, sebbene effettivamente neanche dovesse spettargli. Non aveva idea di cosa ne era stato del suo vero padre, quello biologico, il sangue del suo sangue, e sebbene si fosse domandata innumerevoli volte chi fosse e dove si trovasse, alla fine della giornata Coco era sempre stata sicura di una sola cosa: il legame con Naavke cresceva, fioriva forse nel mezzo del nulla e dal niente, ma in qualche modo le trasmetteva una forza e una stabilità che, in quella vita, mai nessuno avrebbe potuto assicurarle. Non si trattava solo di amore, di affetto, ma aveva più che altro le sembianze della logica, quella che solo padre e figlia riuscivano ad intendere. Così come in quello studio quasi mai abitato, all’interno del quale ogni centimetro rispecchiava l’austera e silenziosa personalità dell’uomo a cui Coco avrebbe donato anche la propria vita, la ragazza si muoveva come se fosse estremamente certa di essere al riparo fra quelle mura. Ogni qualvolta le accadeva di trovarsi nello spazio normalmente abitato da suo padre, Coco riusciva a trovare ogni più piccola parte di lui negli oggetti, nel modo in cui essi venivano posti; si trattativa di qualcosa che non tutti avrebbero notato, ma che lei in qualche modo riusciva a percepire anche solo respirandone la stessa aria. E quella sensazione di protezione si avventava su di lei scuotendone le paure e, come per magia, riusciva a cancellarle per almeno un po’.
    Chiedergli di vedere, di afferrare la propria mano per andare incontro a qualcosa a lui sconosciuto, era una delle tante dimostrazioni di fiducia che Coco riusciva a condividere con qualcuno. Eppure, non si trattava neanche solo di quello, ma di una vera e propria volontà nel lasciarsi scoprire, nel concedere a qualcuno di lasciarsi guardare dentro. Non si era mai permessa di farlo con Cassandra, e non perché non la amasse o non ne fosse abbastanza affezionata, ma il rapporto che aveva con Naavke era decisamente più semplice e al tempo stesso complicato, affinché la donna potesse protestare e chiedere di essere considerata altrettanto importante. Certamente, erano legate da un rapporto meraviglioso, ma per Coco non aveva e non avrebbe mai potuto avere lo stesso peso o valore di ciò che con suo padre condivideva.
    Il tessuto più freddo dei guanti che Naavke indossava, come suo solito, si aderirono alla pelle del polso di sua figlia, la quale aveva teso la propria mano invitandolo a guardare, comunicare con lei attraverso ciò che Besaid le aveva donato. Osservò il movimento leggero e lento di Naavke mentre si avvicinava il palmo di Coco al proprio viso, lasciando che la pelle di lei andasse a riscaldare una delle sue guance. Gli occhi blu di lei erano fissi su quelli cervoni di suoi padre, mentre sbrigliava quella forza che dentro se stessa avvertiva vorticarle attorno, pronta a colpire il corpo di suo padre. Fu un solo istante, ne avvertì la potenza come uno schiaffo in pieno viso, mentre rilasciava andare i propri sentimenti e il potere che avvertiva scorrerle attraverso il sangue in tutto il corpo. Rivide ogni cosa come se fosse la prima volta, come se il proprio passato prendesse vita di nuovo davanti alle sue iridi chiare: e ancora il corpo di quella donna, la manina di quel neonato aggrappata al suo dito, appena più grande. Non seppe riconoscere nulla di ciò che l’aveva circondata, eppure fu capace di comprendere il delirio, la paura che le aveva fatto tremare le gambe fino a farle piegare, accucciandosi in mezzo a quei corpi. Non avrebbe saputo dirlo a parole, o mimarlo. Non avrebbe mai potuto raccontare o spiegare di cosa si trattasse, ma il terrore che tutto fosse vero investì ogni suo fermo appiglio alla realtà, o a quella che credeva di essersi costruita attorno. Mara di cartone colorate a mano, per tanti giorni, tanto tempo, e alla fine ne restavano i segni del tempo come se dovessero sgretolarsi da un momento all’altro. Ho visto tutto. riprese a dire Naavke, il volto contratto per la leggera confusione che quelle immagine gli avevano lasciato, il respiro appena più pesante per via dell’effetto che quel tocco aveva avuto sul suo corpo ormai indebolito. Aveva premuto leggermente contro la guancia di Naavke proprio per non esagerare, per non lasciare che suo padre perdesse il completo controllo del proprio potere e della forza che manteneva il suo corpo ancora in piedi. Lo vide poggiare frettolosamente una delle sue grandi mani sulla superficie lignea della scrivania posta appena dietro di lui, cercando di sorreggersi per non perdere l’equilibrio. Trattenne il fiato per qualche breve istante, Coco, preoccupata per l’effetto che il proprio potere aveva avuto s suo padre, una puntina di rimorso nel centro dello stomaco al pensiero che, forse, avrebbe dovuto raccontarglielo a parole e non lasciare che lui si sacrificasse per lei, sebbene fosse stato effettivamente indolore dal punto di vista fisico. Mantenne lo sguardo vispo su di lui, cercando di cogliere ogni particolare e provando a capire cosa pensasse di ciò che i suoi occhi avevano appena avuto modo di vedere. Non aveva idea di cosa Naavke sapesse del suo passato, di cosa gli avessero riferito in orfanotrofio quel giorno di tanti anni prima. Non glielo aveva mai chiesto, così come non aveva mai voluto sapere altro. Ricordava solamente di suo fratello, quell’anima così legata alla sua e che invece lei aveva abbandonato, costretta a separarsene per motivi che aveva cancellato, sperando appunto di non ricordarli mai, forse. E ne comprendeva solo in quel momento la motivazione, cosa si celasse in realtà dietro quel vuoto di memoria che accompagnava la sua infanzia. Aveva chiuso tutto fuori, lasciando che le immagini si congelassero al freddo e restassero immutate ed irraggiungibili. Ho visto te. e fu in quel momento che Naavke glielo confermò a voce alta: certo, lo aveva saputo sin dal momento in cui tutto aveva ripreso vita nella sua mente, ma non aveva voluto ammetterlo a se stessa, provando a distanziarsi da quella bambina per cercare du non affrontare le proprie paure e il proprio passato. Si chiese come mai, nell’arco della sua vita, si trovava a dire così spesso addio alle persone che invece avrebbe dovuto lasciar entrare, proteggere. Come aveva potuto dimenticare la morte di sua madre? Come aveva potuto non combattere per suo fratello? E come aveva potuto lasciar andare Roy via una prima volta, per raccoglierlo e abbandonarlo nuovamente nel momento del bisogno? Non aveva idea del perché, mentre tutti venivano allontanati, lei invece faceva esattamente il contrario. Coco, il tuo passato ti ha resa ciò che sei, sia quello con noi, che con la tua famiglia originaria. Fa male, ed io lo capisco. Tuttavia, sebbene il passato definisca parte del nostro presente, non devi lasciare che definisca anche il tuo futuro. Non sei più sola. Non sei più indifesa com'eri in quella stanza. Sei con me adesso, e sei una giovane donna la cui forza farebbe impallidire chiunque, quindi non avere paura. la voce di Naavke risuonò risoluta, in quella stanza. Le pareti ne ascoltarono ogni singola parola, chiudendosi attorno a loro e regalando a Coco quella sensazione di protezione che ricercava ed avvertiva ogni qualvolta si trovasse con suo padre. Riusciva, lui, a scegliere sempre le parole giuste, la dose di coraggio da donarle quando ne avrebbe necessitato più del dovuto. Era sempre lì, le dita che stringevano la sua mano, pronto a permetterle di credere in se stessa. «Non è paura… non so cosa sia, ma non è paura, papà.» sussurrò, abbassando lo sguardo sul pavimento per riprendere il filo del discorso, appena interrotto. Cercava i pensieri, li ricorreva nella propria mente per afferrare quelli che avrebbe voluto e potuto esporre a parole. «Io non sono sicura che quel passato mi definisca. O, forse, non ho voluto che lo facesse, per tutto questo tempo. E’ comodo non prendersi le responsabilità di ciò che si è stati, no?» provò a spiegare, il viso contratto in un’espressione corrucciata. Non avrebbe saputo spiegarlo meglio, Coco non era mai stata troppo brava con le parole. Era uno dei motivi principali che l’avevano portata spesso a urlare, scatenarsi, detestarsi nei momenti in cui, invece che chiedere di poter comprendere e capire la vita degli altri, distruggeva la quiete che avrebbe potuto avere attorno a se. Era accaduto con Roy, dal primo momento fino all’ultimo, e sebbene ormai fosse troppo tardi per pentirsene, quella sensazione non faceva altro che rendere fragile tutto. «Mi sembra di essere fatta di bolle. Mi ruotano dentro, alcune le vedo, altre no, e quando scoppiano si crea una reazione a catena.» sussurrò, sospirando poi e ritirando la mano. Un sorriso un po’ più malinconico le apparve in viso mentre riportava lo sguardo su suo padre. Era l’ultima persona che avrebbe dovuto vedere la sua debolezza, eppure Coco non riusciva e non voleva nascondergliela. Non aveva idea di quanto effettivamente potesse conoscerlo fino in fondo, ed era consapevole di quanto quell’anima fosse molto più sporca di ciò che in superficie dimostrava di essere, ma l’amore di Coco per lui si celava in un legame che andava ben oltre tutto ciò che la loro vita comportava. Suo padre era a capo di una setta che, lo aveva visto con i propri occhi, aveva degli scopi ben precisi, delle idee radicalmente folli sotto certi punti di vista, e altrettanto giusti sotto altri. Non avrebbe potuto scegliere, Coco, da che parte stare. Difatti non lo aveva fatto: lei era frutto di ciò che Naavke e Cassandra avevano scelto di portare alla luce dai bassi fondi di quella terra che calpestavano ogni giorno. Erano le idee di un futuro che, Coco ci sperava, avrebbe visto anche lei al proprio fianco. «Sai qualcosa di lei chiese quindi riferendosi alla donna priva di vita che avevano visto entrambi, solo poco prima. Schiuse le labbra e inarcò le sopracciglia. Non era sicura di volerlo sapere, ma l’idea di domandare invece dove si trovasse ormai quel bambino divenuto quasi un uomo, avrebbe potuto forse cambiarle davvero la vita.
     
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    Naavke a volte si chiedeva come sarebbe stata la sua vita, senza la presenza di Coco, Eyr e Roy, ed una risposta banalissima gli sfiorava la mente: diversa, meno ricca, più vuota. Cassandra avrebbe potuto dire lo stesso. Agli occhi del curatore, era dare spazio al futuro che dava un senso al presente, e curarsi dei suoi figli adottivi era uno dei modi per farlo. Poi, dal punto di vista umano, lui sarebbe sicuramente stato un uomo differente, senza quei tre ragazzi (senza neanche considerare la presenza di altri a cui teneva all'interno di Libra ciao nichi e liz). Erano le loro idee, il loro fervore e la loro potenza a rendere a sua volta Naavke un leader seguito, amato e carismatico - non c'era parte della sua vita in cui lo scambio non fosse contemplato. Poi, anche per una persona matura emotivamente come lui, confrontarsi con questi ragazzi gli dava la ricchezza di cui stava cercando, una profondità nuova nella sua vita che lo motivava ad andare avanti, assieme all'amore di sua moglie; ed ogni volta che guardava nelle iridi di Coco, fatte quasi di fierezza liquida, il curatore ritrovava tutte le qualità che cercava, ed anche molto di più. In ogni persona c'è un'anima pronta ad essere esposta, conosciuta, e vissuta - in alcuni casi, anche rovinata. Eppure, quella di Coco era insaziabile, restless, come si direbbe in inglese, senza riposo; ed era in quel movimento incessante che Naavke si sentiva a casa. Poteva aver distrutto la sua famiglia in passato, ma certamente non avrebbe fatto lo stesso nel presente, proteggendo anche a costo della vita le persone che a lui erano care. Naavke non aveva mai avuto la pretesa di formare Calypso, nè nessun altro dei suoi figli - a suo avviso un padre non avrebbe mai dovuto fare questo. Lei aveva già un vissuto alle spalle, una vita che le aveva già dato una forma personalissima ed unica. Naavke non doveva fare altro se non supportare sua figlia nel processo di crescita e cambiamento dentro di essa; se per Libra il curatore aveva in mente di lasciare un marchio, una eredità inviolabile in cui Nero sarebbe stato eterno, nella sua famiglia non era così. Non gli interessava di lasciare qualcosa di sè ai figli e alla moglie, piuttosto, gli importava di far in modo che loro stessi potessero prendere qualcosa di lui quando più ne avevano bisogno - ed ora che Calypso era lì ferma e scossa, Naavke sapeva che lei aveva bisogno di suo padre, e di prendere da lui la forza necessaria per ristabilirsi. Inutile dirlo, lui le avrebbe dato tutto.
    Una volta nell'ufficio del curatore, la ragazza gli chiese, diretta come sempre, se volesse dare un'occhiata nei suoi turbamenti grazie alla sua particolarità, e naturalmente Naavke non si tirò indietro. Era stato al fianco della figlia in momenti molto oscuri per lei, e non avrebbe mancato di offrirle il suo supporto neanche in quella circostanza. L'avrebbe fatto con delicatezza, attento a non rompere nulla nell'universo cristallino che la ragazza racchiudeva dentro di sè, ma non sarebbe mai andato leggero su se stesso, quando si trattava di sua figlia: se avesse avuto la possibilità di guardarle dentro, si sarebbe aperto completamente a lei. Per questo motivo, piuttosto che prenderle comunemente la mano, o rischiare che il suo potere potesse intaccarla, spostò il palmo morbido della mano della ragazza sulla sua guancia, in modo che lui potesse accedere direttamente alla potenza della figlia, restando attento a non spezzare il contatto visivo con lei. Era sembrato davvero come uno schiaffo, quella mano invisibile di energia che ne stava risucchiando altrettanta fuori da lui, ma Naavke restò fermo ed immobile, lasciandosi disponibile alla particolarità di Coco. Le immagini erano tanto vivide quanto soffuse, intrappolate in un mondo onirico ma altrettanto reale. Erano ricordi, non sogni quelli, e Naavke l'aveva capito bene, così come stava leggendo quelle immagini, lui, che ormai era diventato esperto nel farlo per via del suo lavoro. Avvisando la figlia di aver guardato, il curatore fu felice che Calypso gli avesse permesso di farlo. Nonostante la debolezza che lo colse, non poteva che esserne soddisfatto: la sua Coco gli aveva fatto capire ancora una volta che si fidava di lui, e non avrebbe mai tradito tale intenzione. La conosceva già, quella microespressione che sporcava i meravigliosi lineamenti della ragazza: era preoccupata, e fu allora che Naavke volse lo sguardo pienamente verso di lei, rassicurandola con le sue iridi, pronte a sorreggere con il loro sguardo anche quello di lei. Aveva lasciato indietro molto di sè, Calypso, abbandonata in una realtà che aveva dovuto gestire da sola sin da bambina, e Naavke sapeva quanto potesse costare la solitudine, se arrivata precocemente. Si, Coco aveva un fratello, ma era rimasto perduto in un passato che il curatore era disposto a recuperare, non fosse altro per fornire risposte a sua figlia.
    Non ebbe problemi, Naavke, a confermare la presenza di Coco in quei ricordi; era consapevole dei trascorsi di sua figlia, e nonostante non fosse stato un periodo felice per lei, l'avrebbe aiutata ad affrontarlo. Del resto, anche se lei non lo sapeva, anche lui aveva lottato contro il dolore di un vissuto familiare rotto, frantumato come uno specchio che aveva prodotto null'altro se non riflessi deformi di ciò che era stato. Calypso non era una vigliacca e non lo sarebbe mai stata; Naavke conosceva sua figlia, ed era convinto che lei non fosse scappata dal passato, ma che la vita l'avesse spinta via da esso come un'onda tempestosa, rendendole difficile tornare indietro. Per questo motivo, Naavke si premurò di rassicurare nuovamente Coco, iniziando a parlarle con morbida decisione. «Non è paura… non so cosa sia, ma non è paura, papà.» La voce della ragazza era ridotta ad appena un sussurro, eppure esso arrivò come un grido alle orecchie di Naavke, che accompagnò i movimenti dello sguardo della figlia col proprio. «Io non sono sicura che quel passato mi definisca. O, forse, non ho voluto che lo facesse, per tutto questo tempo. E’ comodo non prendersi le responsabilità di ciò che si è stati, no?» Le parole di Calypso erano sinceramente interrogative, accentuate dalla leggera increspatura delle sue sopracciglia. Posando ora le mani ai lati delle braccia di lei, Naavke restò con lo sguardo fermo nel suo, contemplando per qualche attimo le sue parole. Si insegna sempre, nella vita, a prendersi le proprie responsabilità. Eppure, il punto forse non era quello; che si fosse responsabili o no, che i nodi arrivassero al pettine o meno, bisognava imparare a convivere con le possibilità - quelle in cui tutto sarebbe andato male, in cui le paure più profonde sarebbero emerse in superficie, o quelle in cui un passato doloroso avrebbe potuto creare problemi. Stringendo affettuosamente la presa sui bicipiti femminili della figlia, Naavke scosse appena il capo, in risposta alla sua domanda. Sei una Evjen, Coco, e gli Evjen non scappano. Non sei mai stata una vigliacca, neanche se pensi il contrario. Sei solo stata colta impreparata dalla vita, e questo succederà ancora, e ancora. Non ci si prepara mai del tutto alle infinite possibilità che un’esistenza offre, ma col tempo riuscirai a prevederne sempre di più. Devi solo vivere. Lasciando scivolare una mano verso l'alto, Naavke sfiorò le ciocche ricce dei capelli di Coco, sistemandone una dietro al suo orecchio, inclinando appena il capo mentre parlava. «Mi sembra di essere fatta di bolle. Mi ruotano dentro, alcune le vedo, altre no, e quando scoppiano si crea una reazione a catena.» Aggiunse lei poco dopo, slacciando con calma la presa con l'altra mano del padre, per poi sorridere, lasciando che la tristezza velasse placidamente le sue labbra. Non si smette mai di imparare, e questo è un bene. Non riuscirai a schivare tutti i colpi della vita, ma potrai sapere come incassarli meglio. Ciò che sei stata non fa che aggiungere colori alla tavolozza, però per usarli devi iniziare a pensare di essere l'opera d'arte. Difatti… Penso che tu sia fatta di colori, più che di bolle. Puoi essere fragile e tenue ma anche esplodere nella tua forza. Devi solo imparare man mano a creare gli abbinamenti che più ti servono. Naavke stava avendo modo di osservare tutta la vulnerabilità di sua figlia, eppure sapeva che per quanto oscuro potesse essere, lei e la sua famiglia non avrebbero mai risentito delle sue tenebre - anche se Coco avesse deciso di distaccarsi dalle sue idee, dai suoi progetti o persino dalla lui stesso. Lei aveva molto più potere su di lui di quanto Naavke avesse voluto darne in principio; eppure, anche in questo caso, aveva valutato una possibilità, e cioè che nonostante tutto, lui avrebbe amato incondizionatamente i suoi figli. Non era quello il piano, all'inizio, ma la vita accade, e come tale non risparmia nessuno. Ora, Naavke non avrebbe mai voluto tornare indietro. Era vero, Coco avrebbe potuto distruggerlo se avesse voluto, ma non avere il suo affetto sarebbe stata la sconfitta più grande. «Sai qualcosa di lei A quella domanda, rivoltagli con titubante speranza, Naavke lasciò andare la figlia, annuendo lentamente. Nonostante il grande carico emotivo di quella conversazione, lui riusciva sempre ad essere pragmatico, a fare ciò di cui Coco aveva bisogno. Non più di quanto non ti abbia detto in precedenza. La donna che hai visto è tua madre biologica. Sono venuto solo a sapere, nei colloqui antecedenti alla tua adozione, che è morta in seguito ad una intossicazione da veleni. Hai un fratello, ma di lui nè io nè Cassandra abbiamo potuto ricalcare le tracce. Purtroppo, anche se avrei potuto indagare di più, tu ormai avevi iniziato una vita con noi con Eyr, e le incombenze di Libra mi hanno distratto nelle ricerche. Pensavamo che darti una continuità con noi per il momento sarebbe stata la cosa più saggia da fare, anche se non abbiamo mai escluso di riprendere le ricerche. Se tu lo desideri, potrei rimettermi all'opera.

    «But you'll never be alone
    I'll be with you from dusk till dawn
    I'll be with you from dusk till dawn
    Baby, I'm right here
    I'll hold you when things go wrong
    I'll be with you from dusk till dawn
    I'll be with you from dusk till dawn
    Baby, I'm right here»

     
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    Did you know
    That we're all
    Turning softer inside?
    We can save
    What is pure
    If the hearts can collide
    All that I've ever known
    Is the universe is wild



    Non era sicura di voler sapere. Non era certa che fosse quella l’opzione migliore. Dopotutto, ciò che con la morte di sua madre aveva perso, l’aveva poi ritrovato nello sguardo addolcito di Naavke e Cassandra, nella furia affettuosa di Eyr e nei suoi abbracci soffocanti, pieni. Non vi era stato neanche un solo momento in cui Coco avesse pensato di non sentirsi a casa, assieme a loro. Era nata così, senza preavviso, senza cautele, quella famiglia. E così era divenuta compatta, sempre più forte e unita. Non aveva potuto niente, Coco, contro quella naturalezza che li aveva spinti a stringersi gli uni contro gli altri, così come nessuno di loto aveva potuto fare qualcosa per evitarlo. Non avrebbe mai potuto rinunciare a loro, Coco, sentendosi parte di quel nucleo e incapace di pensare a se stessa come energia indipendente. Erano sempre stati una certezza, il nido al quale fare ritorno quando sentiva il bisogno di restare con se stessa. Non erano mai stati invadenti, non erano mai stati inappropriati. Lei ci aveva visto sempre e solo cascate di un amore così personale e familiare, che mai avrebbe potuto allontanarsi da loro.
    Le parole di Naavke, i suoi sguardi e quei gesti premurosi, andarono ad accogliere Coco in una sorta di abbraccio astratto ma ugualmente significativo, forse molto di più di uno fisico. Naavke non rifuggiva mai lo sguardo di sua figlia, quelle domande spinose che lei ogni tanto sentiva il dovere di estromettere. Restava intatto, suo padre, accogliendo ogni richiesta d’aiuto di sua figlia come se provenisse dal proprio io. Era questo, anche, che Coco amava di lui. Riusciva a rimanere oggettivo, riusciva a farle credere ciò che a Coco sembrava addirittura impossibile, e lo faceva seguendo una rettilinea che Coco non avrebbe forse mai compreso fino in fondo. Era ancora un bel mistero, Naavke, e sebbene non scorresse lo stesso sangue nelle loro vene, Coco si sentiva legata a lui come le radici di un albero s’intromettono folte nel sottosuolo, aggrappandosi ad esso e ramificandosi per metri e metri, invisibili all’occhio umano.
    Sei una Evjen, Coco, e gli Evjen non scappano. Non sei mai stata una vigliacca, neanche se pensi il contrario. Sei solo stata colta impreparata dalla vita, e questo succederà ancora, e ancora. Non ci si prepara mai del tutto alle infinite possibilità che un’esistenza offre, ma col tempo riuscirai a prevederne sempre di più. Devi solo vivere. spiegò suo padre, mentre una mano andava a sistemare una delle ciocche ribelli di Coco dietro il suo orecchio. Se da un lato la sensazione di inadeguatezza sembrava non voler andare via, quelle parole riuscirono a smuovere qualcosa: una leggera e nascosta consapevolezza. Era vero, era una Evjen, e di questo ne era sempre andata terribilmente fiera. Li aveva amati per averla scelta, diversi anni prima, e averle dato una chance. Poi, col passare del tempo, si era resa conto di quanto fosse naturale essere figlia loro, essere il piccolo risultato dei loro costanti insegnamenti, di quanto potesse essere facile condividere i loro pensieri, forse ormai plasmata a loro immagine e somiglianza. Era stato semplice come imparare a nuotare, amarli. Ci riusciva senza mezzi termini, senza troppe pretese. Era un flusso di sentimenti che mai avrebbe visto la propria fine, qualsiasi cosa fosse accaduta. Naavke aveva ragione, Coco non avrebbe mai potuto programmare ogni singolo istante della propria vita: tutto accadeva, il come o il perché non erano di sua competenza. Provò a spiegargli ciò che sentiva, la fragilità dei suoi pensieri e lo scombussolamento che da quelle immagine era derivato, solo poco prima. Aveva voluto condividere con lui le sue riflessioni, i sentimenti che esplodevano dentro il suo petto. Aveva cercato, Coco, di lasciar entrare suo padre nella propria mente, ancora una volta. Questa volta, però, cercando di spiegargli ciò che sentiva dentro, senza necessariamente doverglielo mostrare. Era difficile, per lei che amava i silenzi. Era terribilmente complicato mettere le parole in fila, dare loro un senso compiuto e allo stesso tempo spiegarsi al meglio, aprirsi a lui attraverso frasi e significati che in esse si celavano. Coco era di poche parole, e questo Naavke lo sapeva, ma con lui ci provava sempre, tentava sempre di donargli quell’esclusiva a molti altri negata ancora. Non si smette mai di imparare, e questo è un bene. Non riuscirai a schivare tutti i colpi della vita, ma potrai sapere come incassarli meglio. Ciò che sei stata non fa che aggiungere colori alla tavolozza, però per usarli devi iniziare a pensare di essere l'opera d'arte. Difatti… Penso che tu sia fatta di colori, più che di bolle. Puoi essere fragile e tenue ma anche esplodere nella tua forza. Devi solo imparare man mano a creare gli abbinamenti che più ti servono. udì ancora le sue parole, il suo modo profondo di posare il suo sguardo su di lei. Come lei, Naavke dava un peso importante ad ogni parola proferita. Coco non seppe con esattezza quanto di ciò che disse potesse essere reale, vero. Non si sentiva un’opera d’arte, così come non credeva di esser fatta di colori. E sebbene volesse distaccarsi da quell’idea, Naavke riuscì comunque a sollevare della polvere, dandole almeno la possibilità di credere a ciò che voleva dimostrare fosse la realtà. Una piccola chance, era ciò che cambiava le sue giornate. Una piccola parola, una piccola frase detta da suo padre, e Coco ribaltava il proprio mondo. Fu allora che gli chiese se avesse notizie della donna che l’aveva messa al mondo, se avesse informazioni al riguardo. Sapeva cos’era accaduto prima della sua adozione? Sapeva perché Coco era stata portata in un orfanotrofio e separata da suo fratello? Coco era consapevole che, nel momento in cui avesse posto quella domanda, Naavke avrebbe fatto di tutto per cercare di acquietare quella sua sete di conoscenza, quell’impaurita curiosità che l’avrebbe spinta a ricercare delle informazioni sul proprio passato. Il vaso di Pandora era stato aperto, solo pochi istanti prima, e Coco ne stava solo ammirando il caos venuto fuori. Naavke però, avrebbe dovuto riordinare ogni singolo frammento di quelle verità, acconsentendo a quella realtà che, forse, avrebbe reso vero quanto fossero effettivamente diversi.
    Lasciò andare le braccia di Coco, Naavke, annuendo leggermente alla domanda di sua figlia. Trattenne il respiro, Calypso, in attesa di sapere, in bilico fra ciò che avrebbe voluto udire e tutto ciò che, invece, non avrebbe mai voluto sapere. Non sapeva quanto Naavke fosse d’accordo e quel breve silenzio che s’interpose fra la domanda e la relativa risposta fu così spesso da lasciare Coco senza respiro. Non voleva offenderlo, non voleva che pensasse negativamente di lei, che credesse di poterla vedere andare via, un giorno. Coco non glielo stava domandando perché non riteneva lui e Cassandra all’altezza di essere suoi genitori, ma era puramente curiosa di sapere, oltre tutto, dove lui fosse. Non aveva idea di come si chiamasse, non lo ricordava. Non aveva idea di che colore fossero quegli occhi, se così simili ai suoi o se totalmente differenti. Non sapeva niente del proprio fratello biologico, Coco, eppure forse sembrava essere giunto il momento di scoprirlo. Non più di quanto non ti abbia detto in precedenza. La donna che hai visto è tua madre biologica. Sono venuto solo a sapere, nei colloqui antecedenti alla tua adozione, che è morta in seguito ad una intossicazione da veleni. Hai un fratello, ma di lui nè io nè Cassandra abbiamo potuto ricalcare le tracce. Purtroppo, anche se avrei potuto indagare di più, tu ormai avevi iniziato una vita con noi con Eyr, e le incombenze di Libra mi hanno distratto nelle ricerche. Pensavamo che darti una continuità con noi per il momento sarebbe stata la cosa più saggia da fare, anche se non abbiamo mai escluso di riprendere le ricerche. Se tu lo desideri, potrei rimettermi all’opera. spiegò Naavke, il tono della voce sereno come al solito, il viso pregno di un’espressione seria. Avrebbe accettato di accollarsi quei dubbi, di renderli leggeri e di snodarli in qualcosa di già comprensibile per entrambi. Serrò le labbra, Coco, sospirando profondamente e cercando di mettere insieme ogni singolo argomento, tutti i frammenti di quel passato che fino a poco tempo prima era sempre stato solo un grande punto interrogativo. Sollevò lo sguardo sul viso di suo padre, dopo averlo abbassato qualche istante sul pavimento, alla ricerca dei pensieri che nella sua mente correvano veloci, incastrandosi gli uni con gli altri senza darle l’opportunità di seguirli con chiarezza. «Non voglio che tu lo faccia credendo che un giorno potrei… andarmene. Non lo farei, papà. Quella donna è la mia madre biologica, quel bambino un fratello di sangue. Non è qualcosa di leggero, non è qualcosa di facile. Però sono cresciuta sotto il tuo sguardo attento e silenzioso, fra le braccia profumate di Cassandra e al fianco di quel pazzo di Eyr. Io non voglio assolutamente cambiare niente di quello che siamo, di quello che sono gli Evjen. Non potrei mai.» sussurrò, mentre le sue labbra sottili si aprivano in un dolce sorriso. «Siete voi la mia famiglia e qualsiasi cosa dovesse accadere, non cambierà mai niente di tutto questo.» disse, annuendo leggermente in direzione di Naavke, le sopracciglia che si allargavano in un piccolo arco. «Però, sì. Vorrei capirci di più. Credo che sia arrivato il momento di affrontare questa cosa- in altre maniere non saprei come definirla. So che è chiederti tanto e magari fuori da questa stanza potrei esserne già pentita, ma vorrei che tu andassi in fondo a questa faccenda. Puoi farlo, papà?» chiese ancora, Coco. «Anche se dovessi cambiare idea, per favore... tu scava. Fallo per me.» concluse Coco, mentre lo sguardo s'irrigidiva, consapevole di quanto scompiglio avrebbe potuto portare ciò che stava per accadere. Perché Coco lo sapeva, avrebbe affidato a suo padre la propria vita: lui avrebbe scovato ogni cosa.
     
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