Those are the voices of my brothers, darling; I love the company of wolves.

Adam x Tori

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    Ciò che molti non sapevano, era che Adam periodicamente per lavoro dovesse controllare anche la spiaggia. Certo, bosco e costa non avevano lo stesso ecosistema e lui operava molto più nel primo, eppure il giovane ogni tot doveva assicurarsi - con tanto di rapporto scritto - che le condizioni della riva Besaidiana fossero ottimali per gli umani e per gli animali che l’abitavano o visitavano. Ogni volta che quel momento arrivava, lui approfittava per portar fuori entrambi i suoi cani per una bella passeggiata. Sistemando i suoi pochi oggetti personali nelle tasche del giaccone e dei jeans, il ragazzo osservò la sua volpina, che saltellava attorno a lui, molto felice di esser portata fuori. Generalmente lei preferiva restare a casa, o passeggiare nella radura antistante all’abitazione, ma ogni volta che sentiva la parola "spiaggia" scattava in piedi e correva a graffiare la porta. Era uno dei suoi posti preferiti, e Adam lo sapeva. Per questo, la prese in braccio e poi chiamò Thunder, per fargli capire che sarebbero usciti di lì a poco. Prendendo le chiavi di casa in mano, il giovane uscì e si chiuse la porta alle spalle, per poi posare la cagnetta sull’erba ed iniziare a camminare verso la spiaggia. Prendendo un ampio respiro, Adam si sentì finalmente più leggero. Aveva rincominciato a vivere, era molto più felice, e sapeva di avercela fatta, di essere stato forte. Naturalmente, l'aiuto dei suoi amici era stato cruciale ed indispensabile, ma se qualcuno gli avesse detto che avrebbe potuto sopravvivere a tutto quello che gli era successo, lui non ci avrebbe creduto neanche un secondo. Pensava che sarebbe stato rotto irrimediabilmente, che avrebbe trovato quasi impossibile tornare a essere l'uomo che era prima - ed in qualche misura, aveva avuto ragione. La persona che Adam sapeva di essere un anno prima era mutata quasi completamente; del resto, sarebbe stato impossibile restare imperturbabili nei confronti di eventi come quelli presso la casa degli specchi. Tuttavia, un cambiamento che Adam prima vedeva come cupo e peggiore, ora l'aveva sorpreso positivamente. Certo, si era rotto, eppure era riuscito a rimettere insieme i pezzi, costruendo un nuovo se stesso, con lo stesso cuore e la stessa anima, tracciati in maniera diversa.
    Se si fosse fermato a pensare, avrebbe sentito tutti quegli avvenimenti negativi nella sua vita lontani anni luce da lui. Quei ricordi, quei suoni e quelle immagini oramai erano coperti da uno spesso velo, una separazione necessaria che Adam aveva dovuto operare, se avesse voluto liberarsi dai pesi dei traumi che gli erano stati inferti e delle sue paure. D'altro canto, non appena osava avventurarsi nei meandri della sua mente, tutta quella nebbia che offuscava quelle crepe si dissolveva, proiettando la terribile pellicola di quei ricordi, che uno dopo l'altro avevano piegato Adam, ritornando così spaventosamente vicini a lui da essere soffocanti. Ancora li ricordava, gli sguardi spaventati dei suoi amici che cercavano di essere forti gli uni per gli altri, mentre erano comunque tutti spezzati dagli avvenimenti di quelle ore. Oltre allo sguardo di Engel, quello che era rimasto particolarmente impresso nella mente del guardiacaccia era quello della donna bruna che lui sentiva così familiare. Il legame che lo legava a lei gli era ancora sconosciuto, ma era viscerale, forte, istintivo. Che lei fosse una dimenticata, era un pensiero che più volte l'aveva sfiorato. Tuttavia, la donna non si avvicinò, e lui, non ancora pronto ad accogliere un altro stimolo potenzialmente negativo, aveva fatto lo stesso. Oltre a quella sensazione così pervasiva di mancanza, Adam provò anche un'attrazione viva e palpabile nei confronti di quella ragazza; no, non si trattava di attrazione romantica o sessuale, era come se gravitare attorno a lei fosse naturale, come se lei fosse parte di lui, in qualche modo; ancora una volta, il suo istinto non sbagliava, perchè Tori Arud e Adam Kane erano legati dal sangue, dalle loro stesse famiglie. La perdita di memoria aveva reso la connessione con la donna qualcosa di assurdo per il guardiacaccia, che non aveva idea del perchè si sentisse così esposto con lei. Eppure, così come l'illusione alla Spiegelhaus si era dissolta, anche il contatto con la ragazza si era disperso e frammentato, fermandosi a quasi un anno prima.

    ***

    «E tu, mia cara.» La figura oblunga ed inquietante del burattinaio si avvicinò a Tori, prendendo il suo bel volto tra quelle mani ossute. I sensi di Adam erano quasi attutiti nelle loro percezioni, velate dallo shock e dallo sfinimento. Portando lo sguardo stanco e colmo di rabbia sulla figura che aveva ordito quell'attentato alle loro vite, il ragazzo cercò di mantenersi lucido, aggrappandosi all'ultimo briciolo di sanità mentale che gli era rimasto. «Tu hai una mente incredibile. La tua abilità nelle mani sbagliate potrebbe essere un gran problema. L'importante è che tu sappia chi mantenere al tuo fianco...» Poi, quegli occhi di ghiaccio si fermarono di nuovo su di lui, che nonostante lo stato confusionale, cercò di lottare contro quel contatto, aggrottando le sopracciglia e ricambiando quello sguardo con uno decisamente meno complice. Poi, le sue iridi scure scivolarono sul volto di quella donna dalle tinte così simili alle proprie. Sembrava essere quasi sua sorella, quasi... di famiglia. Eppure, in quei momenti tutto sembrava effimero, distorto dai turbamenti di quelle ore. A cosa stava alludendo quel maniaco? Quell'incertezza, quella frustrazione di non sapere qualcosa che invece un estraneo aveva potuto scoprire prima di lui rese Adam più che inquieto. Quella donna dai capelli castani era la chiave di qualcosa che lo riguardava, e lui non capiva cosa di cosa si trattasse. Ulteriori domande si accavallavano nella mente del ragazzo, che cercava di dare un senso a quel che era successo, chiedendosi perchè proprio lui - proprio loro - fossero stati scelti per quel gioco pregno di dolore e morte. Forse quello psicopatico stava mentendo, forse quei continui sguardi che rivolgeva al giovane e alla donna non erano che un ennesimo tentativo di manipolarli. Eppure, il guardiacaccia pensò che ci fosse un altro rischio: e se il burattinaio avesse avuto ragione? Se davvero loro due fossero destinati a trovarsi l'uno al fianco dell'altra? Cosa sarebbe cambiato?

    ***

    Passo dopo passo, Adam era rimasto così assorto nei suoi pensieri da non rendersi conto di essere arrivato già praticamente alle porte della spiaggia. Per arrivarci utilizzava sempre un sentiero un po' nascosto nel bosco, che sbucava diretto tra i ciottoli della riva marittima della cittadina. Non appena l'odore del mare arrivò alle narici del ragazzo, lui si rilassò un po' di più, strappando la propria mente dal baratro vicino al quale essa stava correndo. Il cielo era limpido, espressione di una mattinata serena e soleggiata; non una nuvola sporcava quella tela azzurra, illuminata dai raggi di un sole timido eppure presente. Non c'erano moltissime persone, e Adam non se ne curò più di tanto. Restava nel suo spazio, ed evitava i contatti umani dove possibile. Volgendo lo sguardo verso il mare, lo trovò calmo; si muoveva placidamente contro il bagnasciuga, in un dolce movimento ripetitivo e rilassante, che l'udito del giovane percepì chiaramente. Le zampe di Thunder e della volpina iniziarono a scalpicciare sulla sabbia, ed entrambi i cani sembrarono più che entusiasti di essere arrivati lì. Abbaiando un paio di volte, Maina attirò l'attenzione di Adam, spingendo verso di lui col suo nasino un rametto che era lì vicino. Okay, pronta? Domandò lui, prendendo in mano il piccolo pezzo di legno e sollevandolo, per far intendere alla cagnolina che l'avrebbe lanciato. Scodinzolante, lei non fece che attendere il gesto di Adam, che lasciò andare il rametto che cadde poco lontano. Maina si fiondò a riprenderlo, e nel frattempo Thunder si avvicinò all'acqua del mare, immergendovi le zampe e correndo nei paraggi. Tenendo d'occhio anche lui, il guardiacaccia si concentrò sull'ambiente circostante, e prese dalla tasca dei jeans il suo iphone, con cui scattò un paio di foto – le avrebbe riguardate meglio a casa. A prima vista, sembrava che la spiaggia fosse in perfette condizioni; i residui di flora provenire dal bosco sembravano in buona salute, il posto era pulito e l'acqua sembrava molto limpida. Tenendo a mente queste considerazioni e col pensiero di approfondirle durante quel sopralluogo, il giovane tornò a riservare tutta la sua attenzione ai suoi cani, con cui iniziò a giocare, più rilassato. Eppure, il suo sesto senso gli suggeriva che avrebbe dovuto restare all’erta, che qualcosa sarebbe accaduto di lì a poco; era come una leggera inquietudine latente, che si muoveva nella mente di Adam, così presente da sentirla sottopelle. Avvicinandosi al mare, il ragazzo allungò una mano nel manto bianco di Thunder, accarezzandolo mentre la volpina li seguiva entusiasta. Sollevando lo sguardo dai suoi animali, il giovane schiuse le labbra per la sorpresa, in una reazione immediata. Gli sembrava di aver appena visto un fantasma, ed in un certo senso era così. Era lei, la stessa ragazza della casa degli specchi, con quegli occhi scuri e intensi che Adam ancora ricordava perfettamente. Fermo, pietrificato per qualche secondo, il ragazzo sentì il cuore aumentare nei battiti, invaso da emozioni che lui non pensava nemmeno avrebbe provato più. Nel giro di un minuto eterno, rivisse tutti i sentimenti che aveva provato per quella donna nella spiegelhaus, gli stessi che l'avevano spinto a volerla salvare da quei mostri, e gli stessi che ora lo stavano sopraffacendo - un po' come se fosse il suo cuore, il vero mostro. Un po' come se lui si fosse nuovamente perso, in un passato che non riusciva e non voleva più afferrare, cristallizzato nella figura di quella donna.

    Edited by chimi-fucking-changas» - 22/10/2018, 19:10
     
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    VICTORIANNE FAWNIE ÅRUD ☾

    Il fumo si sollevava lento, quasi invisibile nell’oscurità, dalla tazza di ceramica che stringeva tra le mani. Nonostante fosse bollente, Tori appariva insensibile al calore che le riscaldava i palmi. Aveva lo sguardo fisso nel vuoto, oltre il tavolo su cui facevano ancora bella mostra i resti della cena – o della colazione? –, completamente assorta nei propri pensieri. Aveva spesso il viso stanco, la parte inferiore degli occhi solcata da occhiaie scure, le labbra tirate e l’aria di chi non dorme decentemente da un numero indefinito di notti. E, in effetti, Tori Arud non era più in grado di riposare davvero. Ciò che era accaduto alla Spiegelhaus ancora la tormentava giorno e notte: l’ipotesi che dietro ogni volto sconosciuto che la fissava troppo a lungo si poteva celare il burattinaio la tormentava nella veglia mentre, tra le braccia di Morfeo, tutto ciò che aveva vissuto da quando era entrata nel labirinto degli specchi le si ripresentava, disconnesso e confuso, sino a quando non si risvegliava bruscamente, coperta di sudore freddo, con il cuore che le batteva a mille e l’inquietante sensazione che, prima o poi, avrebbe dovuto fare nuovamente i conti con ciò che era accaduto. Tentando di comportarsi normalmente, Victorianne non aveva fatto parola di ciò che era accaduto con nessuno, al di fuori dei diretti interessati. I giorni erano passati, trasformandosi in settimane e mesi in cui la sua vita sembrava essere tornata quella di prima, eppure l’avvertimento del burattinaio le risuonava in testa di continuo, impedendole di lasciarsi completamente alle spalle ciò che era accaduto. Erano soli. Se avessero parlato o tentato di denunciare l’accaduto, nessuno avrebbe creduto alle loro parole. Non era difficile cogliere la minaccia che si celava dietro quell’avvertimento e, anche se così non fosse stato, Tori non era disposta a rischiare; quando si trattava di sé stessa era in grado di essere spaventosamente incosciente ma, se le ripercussioni per la sua sconsideratezza avessero colpito la sua famiglia – Lexi in primis – Tori non se lo sarebbe mai perdonata: chissà come, il burattinaio sembrava sapere molte cose sul suo conto, forse persino più di quanto ne sapesse lei stessa.
    A quel pensiero si mosse appena sulla sedia, a disagio. Una fitta al braccio sinistro la colpì, ricordandole fisicamente quanto quell’esperienza fosse stata reale. Sebbene ora l’unica traccia visibile fosse una cicatrice impercettibile al tatto, la ferita infertole dal Wendigo aveva impiegato mesi a rimarginarsi correttamente, resistendo imperterrita a qualunque rimedio cicatrizzante della medicina tradizionale. Solamente una delle vecchie pomate maleodoranti di Edith aveva avuto successo e, assieme ad alcuni impacchi di camomilla e chissà quali altre erbe, aveva dapprima sgonfiato la zona e, poi, favorito la guarigione. Al principio, Tori aveva nascosto la ferita con alcune bende, giustificandola come un taglio accidentale che si era inferta da sola, sistemando oggetti antichi e troppo pesanti nel retro del bazar. Ci aveva persino scherzato su, continuando quella recita in cui conduceva una vita normale e priva di particolari scossoni. Era stata talmente brava da riuscire persino a convincere sé stessa, rintanandosi nell’affetto familiare, occupando ogni istante di tempo libero per non pensare. Eppure, anche se si sforzava di mettere a tacere i propri pensieri, negli ultimi tempi le era divenuto impossibile ignorarli. Gli avvenimenti recenti, susseguitisi in maniera incredibilmente fortuita, le avevano dato un bello scossone, risvegliando la sua diffidenza e, al contempo, alimentando il timore mai veramente sopito.
    Un rumore al piano sopra la riscosse, attirando la sua attenzione. Dopo una serie di passi leggeri – troppo leggeri per essere quelli di Lexi – Tori riconobbe il cigolio della porta del bagno comune e il rumore dell’acqua le annunciò che sua nonna doveva essersi svegliata, pronta a cominciare una nuova giornata. Volgendo istintivamente lo sguardo verso la finestra, Tori si accorse che il cielo si era schiarito, sebbene l’alba fosse piuttosto lontana. Si alzò e, dopo averla svuotata, depositò la tazza nel lavello. Non aveva voglia di incontrare Edith, non in quello stato. Mentire a sua nonna era un’impresa praticamente impossibile e, se anche avesse tentato di resisterle, si sarebbe comunque ritrovata a dirle la verità. Afferrò un foglio malconcio e ci scribacchiò sopra qualche parola affinchè Edith non si preoccupasse e preparasse Lexi per la scuola, quindi si infilò un paio di sneakers malconce e si gettò sulle spalle una giacca di jeans. Con le chiavi in mano ed il cellulare in tasca per ogni evenienza, aprì silenziosamente la porta e se la richiuse altrettanto dolcemente alle spalle. L’aria fresca del mattino la accolse come una vera e propria sferzata sul viso, costringendola a socchiudere gli occhi. Era quello di cui aveva bisogno per pensare, riflettere e calmarsi: se fosse rimasta chiusa in casa un altro po’, probabilmente sarebbe impazzita, lasciandosi assalire da dubbi e timori. La spiaggia era deserta; qualche luce iniziava ad accendersi nelle poche case vicine, il fumo usciva dai camini. Nonostante il vento, il mare era calmo, piatto e cristallino come in un dipinto. L’odore di salsedine era intenso, avvolgente e rassicurante come un abbraccio materno. Dopotutto, Tori era cresciuta con quell’odore, nello stesso modo in cui, ora, il sonno di Lexi al piano superiore della casa di Edith era cullato dal rumore delle onde che si infrangevano sulla riva, insinuandosi tra gli scogli e i banchi di sabbia che costituivano parte della proprietà degli Årud. Stringendosi nella giacca affrettò il passo, accompagnata dallo stridio di alcuni gabbiani che, avvistato del pesce, si tuffavano in acqua nei pressi della costa. Tori camminò a lungo, lo sguardo fisso sugli scogli su cui poggiava le sneakers consumate, affondando di tanto in tanto in un leggero strato di sabbia. Camminare la aiutò a calmarsi, ma non a chiarirsi le idee. Il fortuito incontro con Tanus, la consapevolezza di dover affrontare ciò che lui rappresentava, e Pan, con il suo sorriso sghembo e l’inspiegabile affinità che li univa, rappresentavano un campanello d’allarme non indifferente per il lato più diffidente del suo carattere e, sebbene avesse deciso di ignorarlo per mesi, ora si ritrovava a domandarsi quanto di ciò che accadeva nella sua vita fosse casuale e quanto, invece, fosse il risultato di un piano attentamente studiato da individui sconosciuti ed insospettabili. Sospirò e smise di camminare, sentendosi quasi soffocare. Con la mente affollata di simili pensieri, persino la sua fiducia in sé stessa e nel proprio istinto sembrava essersi sgretolata. Come poteva difendersi – e soprattutto proteggere Lexi – da qualcuno la cui identità era ancora un mistero? E, al contempo, di chi poteva fidarsi davvero? A quali persone avrebbe dovuto permettere di avvicinarsi a lei senza timore o sospetto?
    Stringendo a pugno le mani nella tasca della giacca, scese il piccolo sentiero che, dagli scogli, conduceva sino alla spiaggia e si sedette su uno degli ultimi massi sferzati dal vento, ora più leggero. Avvicinò le gambe al corpo e vi posò le braccia, soffermandosi a contemplare i raggi del sole che, alzandosi in cielo, si riflettevano in uno scintillio mozzafiato sulla superficie dell’acqua. Le tornarono in mente le parole di Pan sul suo rapporto col mare e il pensiero del giovane prestigiatore le strappò un piccolo sorriso. Avrebbe voluto averlo accanto a sé in quel momento, per darsi della stupida e cercare conforto nel calore della sua pelle, nell’odore inconfondibile dei suoi capelli; per qualche strano motivo la sua presenza la rassicurava e tutto, tra loro, era così semplice e naturale – così giusto - che, una volta che vi si era soffermata a riflettere, Tori ne era stata quasi spaventata. Il timore dissolse il piacevole ricordo di Pan come una doccia fredda, procurandole una sorta di amaro senso di colpa. Lui era stato sincero con lei, limpido come l’acqua del mare mentre, seppur non gli avesse mentito sull’attrazione che provava nei suoi confronti, si sentiva disorientata dall’intimità che, in così breve tempo, avevano costruito. Forse era colpa dell’assenza di un modello di riferimento stabile nella sua vita, del suo carattere naturalmente tendente al pessimismo, delle terribili relazioni avute in passato o della necessità di essere indipendente, da tutto e da tutti, ma una parte della sua mente, insidiosa e malevola, le urlava di fuggire, di allontanarsi ed alzare barriere, di riprendere il controllo di sé stessa prima che fosse inevitabilmente troppo tardi. Sfilò il cellulare dalla tasca e scorse la rubrica sino a trovare il numero del giovane. Esitò per un paio di minuti, fissando lo schermo della chat, prima di lasciar perdere. Sentiva di dovergli parlare ma, prima, aveva bisogno di riflettere ancora un po’.
    Si era quasi incantata, ipnotizzata dal rumore rilassante delle onde, quando un abbaiare poco lontano la riscosse. Non aveva idea di quanto tempo avesse trascorso seduta, ma il sole era ormai sorto e, evidentemente, la vita a Besaid aveva ripreso il pieno ritmo per gli altri abitanti. Delle figure in lontananza avanzarono pigramente, apparentemente sbucate dal folto degli alberi, un luogo in cui Tori ricordava di aver giocato spesso a nascondino, da bambina, durante i pomeriggi in cui il caldo del mezzogiorno era troppo intenso per non cercare riparo all’ombra del limitare del bosco. Non se ne curò particolarmente; la maggior parte degli abitanti della cittadina amavano la solitudine e, oltre ad un paio di saluti per mera educazione, difficilmente avrebbe dovuto intrattenersi in una conversazione, chiunque fosse il ragazzo in lontananza. Si concesse qualche altro minuto di riflessione, stiracchiando le gambe davanti a sé. Il suo stomaco brontolò appena, sebbene Tori non avesse fame. Lexi ormai doveva essere già sveglia e, probabilmente, sulla strada per la scuola. Di lì a poco avrebbe dovuto tornare a casa e cambiarsi, prima di sostituire Lars all’officina a casa di Leonor. Non aveva molta voglia di sporcarsi di olio per motori e di grasso ma, se non altro, le battutacce indecenti dei suoi fratelli l’avrebbero distratta da tutto ciò che minacciava di farle esplodere le tempie. Con un leggero sorriso, sfregò le mani fra loro e fece per alzarsi quando, volgendo il viso, trovò le figure che avevano interrotto il suo momento di riflessione più vicine di quanto si aspettasse. Scodinzolando allegramente e latrando per la felicità, i due cani si rincorrevano vicino alla riva. Ma ciò che congelò Tori sul posto fu l’uomo che li accompagnava: una folta chioma scura e disordinata, corporatura alta e imponente e l’immancabile camicia a quadri. Tori avrebbe potuto riconoscere Adam in mezzo alla folla, anche solo per il modo di camminare, dondolando appena le spalle, tipico di chi era cresciuto in altezza troppo in fretta.
    Tori si alzò, il battito cardiaco improvvisamente più veloce. In passato – una vita che, ormai, le sembrava lontana come un sogno – sarebbe stata felice di vederlo. Gli avrebbe gettato le braccia al collo e, probabilmente, avrebbe dato sfogo a tutte le sue incertezze, certa di trovare in Adam un confidente sincero e leale. Ora, invece... tutto era confuso, fragile, terribilmente complicato. L’ultima volta che si erano parlati – parlati davvero - tutto era andato all’aria, lei si era comportata da stupida, lui aveva perso la pazienza ed entrambi erano finiti per dire cose non vere. Si erano feriti a vicenda e, anche a distanza di anni, quel ricordo le faceva ancora male. Dopo ciò che era successo all’interno della Spiegelhaus, al dolore si era aggiunta la paura. Era inutile negarlo: se aveva appreso del suo ritorno a Besaid solo in quella terribile occasione, una volta uscita dalla Casa degli Specchi, Tori aveva fatto quasi di tutto per evitare di incontrare il cugino. Si era tenuta alla larga dai posti che lui frequentava – almeno, da quelli in cui ricordava si erano recati assieme – e, pian piano, aveva soffocato il suo ritorno sotto l’enorme quantità di problemi familiari che, da sempre, affliggevano gli Årud. Adam era tornato. Era uscito sano e salvo dal Luna Park e, al momento, nulla di più la riguardava. Non dopo ciò che era successo fra loro tanti anni prima, quando il ragazzo aveva definitivamente troncato ogni loro rapporto. Ormai erano estranei, talmente distanti che nessuno dei due sapeva più nulla sulla vita dell’altro. E, poichè Adam non aveva tentato di ricontattarla in seguito al suo (infantile?) silenzio, il vuoto lasciato da quella gelida freddezza sembrava essere stato accettato da entrambe le parti.
    Decisa ad allontanarsi da lì il prima possibile, si alzò di scatto, approfittando del fatto che l’attenzione di Adam fosse interamente rivolta ai cani. Il suo movimento tuttavia non dovette passare completamente inosservato perché, forse per mero istinto, il guardiacaccia sollevò il capo, incrociando il suo sguardo. Un’espressione di pura sorpresa si fece largo sul viso di Adam ed ogni singolo muscolo del corpo di Victorianne parve immobilizzarsi di colpo, costringendola lì dove si trovava. Dopo una quantità di tempo che le parve infinita, la giovane aprì le labbra per tentare di dire qualcosa, ma non ne uscì un singolo suono. Un groppo invisibile la soffocava, annebbiandole la vista e procurandole la spiacevole sensazione che, di lì a poco, non sarebbe stata in grado di trattenere le lacrime. Ed era certa che, se avesse incominciato a piangere, non sarebbe più stata in grado di fermarsi. «…m-mi dispiace.» Mormorò, girandosi di scatto ed allontanandosi velocemente. Aveva fatto solamente tre passi quando si fermò, lo stomaco contorto ed il rumore assordante del sangue che le scorreva nelle tempie e dal respiro sempre più veloce, incontrollabile. Si voltò all’improvviso e avanzò verso Adam, gettandogli le braccia al collo. Affondò con il viso nell’incavo tra il collo e la spalla del ragazzo e respirò profondamente, facendo incetta del suo odore familiare e rassicurante, tremando leggermente. Ogni ricordo di un momento felice che aveva condiviso con Adam le si riversò nella mente e, in quell’istante, il senso di colpa che le opprimeva il petto si alleggerì appena, permettendole di realizzare consciamente ciò che, un anno prima, l'aveva presa alla sprovvista. Adam era tornato.
     
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    naLACZm
    Più volte nella sua vita, Adam aveva provato cosa volesse dire sentirsi mancare la terra sotto i piedi. Quando era tornato a Besaid, gli sembrava di essere entrato in una realtà onirica ed effimera, nella quale tutto sembrava vero ma anche così difficile da collegare. Volti, luoghi, odori, tutto sembrava essere rarefatto eppure così tagliente e reale da fargli paura. Come poteva quel poliziotto che non aveva mai visto averlo riconosciuto da un solo sguardo? Allora, lui non aveva idea di come la cittadina funzionasse - o meglio, lo sapeva, ma l'aveva dimenticato; se non fosse stato per Jude e la sua tempestività, probabilmente Adam sarebbe impazzito. Giorno dopo giorno, quella sensazione di terribile instabilità si era gradualmente dissolta, e man mano che il guardiacaccia tesseva le associazioni riguardanti la sua vita, egli si costruiva al tempo stesso anche la terra su cui camminare, e quei boschi e quella spiaggia non sembravano più così alieni, al contrario, erano tornati ad essere casa sua. Similarmente, alla Casa degli Specchi, Adam aveva provato l'incertezza più crudele di tutte: quella che si avverte quando si è in bilico tra la vita e la morte - non solo sua, ma anche di chi gli era accanto. La consapevolezza di poter perire in qualsiasi momento era lacerante, ed assomigliava ad un rumore bianco che assordante si era insinuato nelle anime di tutti quegli otto improbabili compagni di sventura. Poi c'era Engel, c'era Ivar, c'era Fae e... quella donna misteriosa, che così fortemente Adam aveva voluto strappare dagli arti mostruosi dei Wendigo. Non aveva mai capito come mai si sentisse così visceralmente legato a lei, ma già dopo poco tempo a contatto con lei aveva capito che ci fosse qualcosa di non detto tra loro; era indubbio, quella ragazza bruna doveva appartenere al passato ormai scomparso di Adam, ma più lui la guardava, più qualsiasi appiglio a lei svaniva, e per questo era terribile ed al tempo stesso rincuorante osservare le sue iridi, che brillavano di una luce così familiare. E poi, l'incubo finì. Tutti tornarono rotti ma non distrutti alle loro case, dalle persone che li aspettavano, e Adam rimosse una seconda volta quello sguardo fiero e vivace dalla sua memoria - non del tutto, mai del tutto. Non avrebbe mai potuto eliminare niente di quelle ore alla Spiegelhaus definitivamente, ma aveva avuto bisogno di rinchiuderle in un angolo della sua mente per non lasciare che gli dessero il colpo di grazia che non aveva ricevuto quel giorno. Quindi, non si premurò di contattare quella donna, di cercarla, di capire quale fosse il segreto che condividevano. Forse era stata un'impressione, forse quelle emozioni troppo forti avevano falsato le sue percezioni, ma Adam era convinto che qualcosa fosse accaduto tra loro ma che non riuscisse a ricordarlo. C'erano tanti pezzi mancati nella sua vita, tuttavia la lezione più grande che aveva imparato nell'anno precedente era quella di dover abituarsi a convivere con l'assenza, sia di persone che di ricordi. Ormai l'importante non era più ricomporre, nè recuperare i pezzi perduti, ma saper andare avanti senza di essi.
    Proprio come i giorni che si susseguivano imperterriti, anche le onde ne riflettevano l'andamento scontrandosi con il bagnasciuga, ed Adam si cullava in quel ritmo, in quei momenti di pace assieme alle creature che amava di più. Maina e Thunder scorrazzavano ben contenti sulla spiaggia, ed il guardiacaccia non si preoccupava di nulla quand'era in loro compagnia; si sentiva un po' come se effettivamente non fosse lui a prendersi cura di loro, bensì che accadesse il contrario. La forza guaritrice degli animali era molto potente, e Adam cercava di accoglierla il più possibile, di rispettarla e di farla propria. Il loro comportamento, il loro interesse ed il loro affetto era spesso incondizionato, sincero e senza filtri, e questa era una lezione importante da assorbire tra le molte che la natura aveva continuamente da offrire. Prendendo un ampio respiro, Adam lasciò entrare nel suo corpo l'aria pungente e fredda di quella mattinata invernale, in modo da rilassarlo ulteriormente, ed in quei momenti il ragazzo si soffermò ad apprezzarne la quiete, nonostante avvertisse una tensione sottesa ad essi. Cercò comunque di non pensarci, soffermandosi sui suoi cani e sull'ambiente circostante, e sorrise non appena Maina gli riportò il rametto che le aveva lanciato, iniziando a passeggiare con lei e Thunder sulla riva del mare. Nel mentre, Adam prese a guardarsi attorno, esplorando con i suoi occhi attenti il paesaggio circostante e le persone che lo costellavano. Tutto sembrava essere in ordine, tranquillo, normale. Da quando era a Besaid però, quella parola aveva iniziato a suonare stranamente inappropriata alle sue orecchie, poichè egli ne intuiva le discrepanze. Si, la cittadina era abitata da esseri umani, che come tali vivevano le loro esistenze tramite piccoli e grandi problemi quotidiani, emozioni, azioni, eppure nulla di Besaid era "al suo posto". Era un po' come se quella piccola cittadina incastonata tra il mare, il bosco e le montagne vivesse sfalzata rispetto al resto del mondo, su una pagina della storia apparentemente identica, ma che si trovava in un capitolo diverso - ed i suoi abitanti altrettanto. In bilico tra raggianti luci e profonde ombre, quel luogo fenomenale ed unico aveva richiamato Adam a sè, ma gli aveva anche fatto capire che ogni esperienza lì sarebbe stata vissuta all'estremo, in una vulnerabilità fuori dal comune, poichè sono proprio le particolarità a rivelare chi si è davvero - nel bene o nel male.
    Tutti quei pensieri, quelle considerazioni e quei ricordi vennero spazzati via dalla mente di Adam non appena scorse la forma di un passato perduto in lontananza, intrappolato nel corpo di una ragazza. Era lei, la donna della casa degli specchi, ed ancora una volta i suoi grandi occhi castani si erano esposti in tutta la loro fiera familiarità nascosta, quasi impossibile da catturare. I suoni pacifici e felici di Thunder e Maina per qualche attimo sembrarono allontanarsi anni luce, come se fossero in un universo parallelo vicino eppure poco tangibile. Quel contatto visivo durò secondo, forse anche meno, ma quel lasso di tempo era stato abbastanza per far scattare il già prepotente istinto di Adam, che accolse i movimenti del suo corpo - per quanto lo stessero sorprendendo. Conoscendosi, il suo primo impulso sarebbe stato quello di scappare, di nascondersi, di rifuggire il passato che quella ragazza rappresentava. Eppure, non solo era rimasto fermo dov'era, ma aveva anche fatto un passo avanti, in un tentativo di ricongiungersi con la parte mancante di sè che Tori era. Naturalmente, Adam aveva paura. Sarebbe stato da sciocchi pensare che l'ignoto ed i ricordi recenti e remoti che la bruna custodiva non fossero almeno un minimo spaventosi per lui; tuttavia, nonostante le insicurezze ed il timore, il guardiacaccia non esitò nel farsi avanti, mostrando un cambiamento profondo in se stesso, una maturazione che gli stava dando la forza necessaria per affrontare il suo passato. Chi sei... Mormorò lui, tra sè e sè, poichè la donna era tropo lontana per riuscire a sentire quelle parole che trasudavano tensione, slancio, apertura, inquietudine. Adam voleva sapere, voleva finalmente capire ciò che – o meglio, chi - fino a quel momento gli era parso impossibile da leggere. A rompere quel momento fu l'abbaio di Thunder, che morbidamente scontrò poi la testolina contro la coscia di Adam, come se volesse richiamare la sua attenzione. Fu allora che il ragazzo fu costretto ad interrompere quel contatto visivo per qualche secondo per dedicarsi alle necessità del suo cane, e proprio in quei momenti la donna si alzò, facendo per andarsene rapidamente. Quelle azioni leggere vennero captate dalla coda dell'occhio del guardiacaccia, che sollevò nuovamente il capo, incapace di togliersi quella espressione sorpresa dal volto. Fu allora che la ragazza si fermò, schiudendo le labbra, e Adam puntò gli occhi scuri su di lei, mentre il suo cuore iniziò a battere più velocemente, vittima di un'impazienza che lui non aveva mai provato prima d'allora. Quella donna estranea sembrava non esserlo affatto, ed assieme allo slancio che imponeva ad Adam di avvicinarsi a lei, si univa anche la frustrazione di non riuscire a capire, a ricordare chi lei fosse. Queste sensazioni, più i secondi passavano, più si facevano intense, tanto da dare l'impressione ad Adam di non riuscire a respirare, opprimendogli il petto con una forza invisibile e potente. Allora, il guardiacaccia cercò di avvicinarsi ulteriormente, di uno, due, tre passi, sino a riuscire ad udire la voce della bruna quando lei gli sussurrò «…m-mi dispiace.», voltandosi per poi forse non rivederlo più. Le spalle del ragazzo si abbassarono lievemente, sintomo del dispiacere che lo invase più prepotentemente di quanto lui avrebbe mai voluto. Avrebbe dovuto fermarla, andarle dietro, chiederle di tornare. Ma a quale scopo? Se lei aveva deciso di andarsene, era perchè forse non voleva essere ritrovata. Sopraffatto da quelle emozioni e quei pensieri, Adam restò qualche secondo immobile, sorpreso e con lo sguardo che puntava verso la sabbia del bagnasciuga, in uno stato di stordimento quasi cronico, che gli impediva di agire. Ed ecco che quel rumore bianco era tornato, ancora una volta, sempre più assordante - uguale a quello della Spiegelhaus. Stava forse per perdere un altro pezzo di sè?
    Poi, all'improvviso, silenzio. L'unico rumore percepibile era quello delle onde del mare, che come Adam si eliminavano e rinascevano proprio nel loro vivere continuo. Le braccia della ragazza erano ora attorno al collo del guardiacaccia, che a quel contatto sussultò appena ma non mosse un muscolo. Avrebbe potuto allontanarsi, rimuoversi da quel tocco, eppure lui sapeva fin troppo bene che conoscendosi, la realtà ed il legame fisico con la natura e con gli altri esseri umani per lui era imprescindibile; era il suo modo di vedere le cose, di percepirle, di ricordarle, ed ora aveva un'opportunità che non avrebbe sprecato per nessuna ragione al mondo. Stava accadendo tutto terribilmente in fretta, ma nel sentire il respiro caldo della ragazza contro la clavicola, l'umidità delle sue lacrime contro la pelle e la stretta delle sue braccia fu come se tutto avesse riacquistato senso. Socchiudendo gli occhi, Adam abbassò appena la testa per appoggiare la guancia sui capelli della donna, il cui odore terribilmente familiare lo riportò a sensazioni e ad un vissuto che aveva ormai perso. Non riusciva ancora ad articolare nessun pensiero, a ricollegare adeguatamente ogni pezzo che sentiva stava emergendo - poichè nessuno di questi elementi aveva forma, e probabilmente non l'avrebbe mai avuta. Tuttavia, lui sapeva che quella persona che ora lo stava stringendo così disperatamente gli era legata, glielo suggeriva il modo in cui lei l'abbracciava, in cui stava leggermente tremando ed in cui silenziosamente piangeva. Era parte del branco, della sua famiglia. Quella realizzazione lo colpì immediatamente, con una forza indiscriminata ma calda, accogliente. Così, Adam allargò le braccia quanto bastava per avvolgerle attorno al torace minuto della bruna, ricambiando la sua stretta e tenendola a sè in un abbraccio che sentiva gli era mancato tremendamente. I suoi occhi si inumidirono, proprio perchè ora tutto era chiaro. Non c'era stato bisogno di parole, non subito almeno. Tori. Senza che neanche sapesse da quale certezza scaturisse la pronuncia di quel nome, il guardiacaccia lo lasciò scivolare dalle labbra, mentre spostava una mano tra i capelli della ragazza per stringerla leggermente più forte a sè. Tori. Sei tu, so il tuo nome. Ripetè a bassa voce emozionato, confermando a se stesso che da qualche parte, nella sua mente, sapesse chi fosse quella donna che era parte di lui. Per attimi che parvero eterni, Adam restò fermo a stringerla, incapace di fare altro, nel rendersi familiare a quel corpo che sapeva avesse già incontrato prima, sin da piccolo. Quel silenzio non era più teso, ma era pieno di una quiete struggente che i due condividevano, nel riprendersi il tempo che avevano perduto. Solo dopo qualche lungo minuto, il ragazzo decise di slacciare la presa, restando però vicino a Tori, e tenendo le mani ai lati delle sue braccia più esili, come se volesse assicurarsi di sentirla sotto le dita per non perderla ancora. Le iridi castane si mossero tranquille su quei lineamenti che erano così simili ai suoi, tracciandone i contorni femminili non più così sconosciuti ai suoi occhi. Ti prego, aiutami a ricordare.
     
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    VICTORIANNE FAWNIE ÅRUD ☾

    Mentre lo stringeva a sé, avvolta dal suo odore familiare, Tori si rese conto che, in qualche modo, Adam era lentamente scivolato via dalla cerchia delle poche persone che, nel corso degli anni, la avevano stabilmente gravitato attorno come satelliti. Il loro rapporto era cambiato nel corso del tempo – si era approfondito, rinsaldato e, infine, pericolosamente crepato – e, ora, si trovava dinanzi alla spaventosa consapevolezza che, forse, nulla sarebbe più stato come prima. Come inevitabile conseguenza dello scorrere dei giorni, lentamente mutati in stagioni ed anni, ognuno aveva vissuto la propria vita; a Besaid, Tori aveva riempito le proprie giornate con i bisogni di Lexi, facendo della piccola la sua principale motivazione per andare avanti, giorno dopo giorno, senza che nulla riuscisse più a scalfirla davvero. Il pensiero di Adam, lontano chissà dove, non era mai sparito del tutto: si ripresentava, ostinato, nei pochi momenti in cui la grande casa degli Arud scivolava nel silenzio, attimi fuggevoli in cui Victorianne, troppo stanca per addormentarsi, non riusciva a rifuggire completamente dai propri rimpianti. Tante volte aveva desiderato tornare indietro, ascoltare ciò che lui aveva da dirle ed essere meno impulsiva. Se solo avesse potuto, si sarebbe comportata diversamente: avrebbe ingoiato l’orgoglio, soffocato il proprio ego, e lo avrebbe cercato per tentare, se non altro, di sistemare le cose. Invece si era chiusa in sé stessa, innalzando un muro di testardaggine e muto rancore che si era infrapposto tra lei ed Adam come un ostacolo invalicabile. Il filo invisibile che li legava era stato teso al massimo e, sino a quel momento, Tori non aveva mai saputo se quel litigio di tanti anni prima lo avesse definitivamente spezzato.
    Inspirò profondamente, il viso nascosto nella spalla del guardiacaccia, senza sapere bene cosa fare. Sentiva gli occhi bruciare, il sapore salato delle lacrime in bocca, e la sua mente pareva incapace di produrre un pensiero coerente. L’unica cosa che comprendeva, con certezza assoluta, era che finalmente, Adam era tornato. Deglutì, assimilando quella rivelazione. Quanto era passato dall’ultima volta che lo aveva avuto così vicino? E da quando aveva parlato, riso insieme? In quell’istante, il senso di colpa si fece prepotentemente largo dentro di lei, deridendola, ricordandole come, anche nell’ultimo anno, si fosse vigliaccamente mantenuta a distanza da tutto ciò che riguardava Adam. Ancor prima di scoprire che era tornato, prima che la Spiegelhaus intrappolasse entrambi in un perverso gioco in cui la loro stessa esistenza costituiva il premio finale, Victorianne si era comportata da codarda. Approfittando del suo nuovo ruolo di madre, si era accuratamente mantenuta a distanza da tutto ciò che le ricordava Adam: nel momento peggiore, aveva troncato i contatti persino con sua zia, salvo gli auguri in occasione delle festività o qualche veloce saluto quando, casualmente, la incrociava in giro per le pittoresche stradine di Besaid. Anche se non aveva avuto il coraggio di raccontarlo a nessuno, il ricordo di Adam le faceva male e dimenticarlo – o almeno provarci –, accantonandolo come se fosse solamente una delle tante parentesi della sua vita, era stato più semplice che affrontarlo. Forse era stata spaventata dalla possibilità che qualcuno dei suoi parenti, accennando a lui, cogliesse il senso di colpa che le oscurava lo sguardo ogni volta che il nome di Adam saltava fuori durante una conversazione. Oppure, più semplicemente, non poteva sopportare il pensiero che se ne fosse andato così, abbandonandoli tutti – abbandonando lei – pur sapendo che, giorno dopo giorno, li avrebbe pian piano dimenticati. Una volta resasi conto che era troppo tardi per sistemare le cose, quel pensiero aveva ben presto originato un barlume di rabbia. Il risentimento era venuto a galla piano piano, sempre più velenoso, tentando di sovrapporsi alla cicatrice lasciata da una ferita profonda, mai perfettamente rimarginata. Se Adam aveva deciso di andarsene, dimenticandosi di lei, perché mai avrebbe dovuto continuare a pensare a lui? Per quale motivo, se lui non l’aveva cercata nemmeno per dirle addio, avrebbe dovuto sentirsi in colpa per ciò che aveva fatto? Ad Adam non importava un accidente di nessuno di loro, se non di sé stesso. Quella conclusione le era parsa evidente, dolorosa, innegabile. La sua sola assenza glielo aveva ricordato ogni giorno, inasprendo i suoi sentimenti e soffocando la consapevolezza che, indipendentemente dalle scelte che Adam aveva compiuto, Tori non poteva fare a meno di chiedersi dove fosse, se fosse felice e, soprattutto se, qualche volta, qualche insignificante dettaglio del legame che gli univa gli tornasse alla mente come una sorta di deja-vu, effimero ed incomprensibile.
    Poi vi era stata la Spiegelhaus. Per mesi, il ricordo di ciò che era accaduto nella casa degli specchi l’aveva tormentata, nascosto dietro il sorriso affabile, la perfetta recita che, insistentemente, proponeva a chi la circondava. Andava tutto bene. Si era ripetuta quel mantra sino alla nausea, sino quasi a convincere persino sé stessa. Di nuovo, il pensiero di Adam aveva risvegliato in lei la rabbia che, fino a qualche tempo prima, l’aveva trattenuta dal cercare sue notizie. Il modo in cui lui l’aveva guardata – un misto di confusione e indifferenza – le era rimasto impresso, scolpito nella mente. Le era bastato quell’unico scambio di sguardi per comprendere. Il tempo aveva fatto il suo corso e, come recitavano le leggende, i ricordi di Adam erano pian piano svaniti come neve al sole, senza alcuna eccezione.
    Le braccia di Adam le circondarono il busto e Tori ne avvertì il calore familiare attraverso i vestiti, il corpo del cugino che, al pari del porto sicuro che aveva rappresentato nella sua infanzia, le offriva riparo dal vento che soffiava dal mare. Il calore di quella stretta si espanse oltre gli indumenti, sotto la pelle e le ossa, sino al cuore, il cui battito accelerato risuonava quasi assordente nelle orecchie di Victorianne. «Tori.» La voce di Adam, appena udibile, fu seguita dalla leggera sensazione pungente della sua barba sulla tempia. Tori annuì appena, la tensione che le impediva di pronunciare anche solo una parola. Tremava ancora, ma non per il freddo. Dentro di lei si agitavano, incontenibili, una serie di emozioni variegate e contrastanti. Felicità perché, forse, Adam non l’aveva dimenticata del tutto. Paura perché temeva il ricordo del loro ultimo incontro. « Tori. Sei tu, so il tuo nome.» Trattenersi fu impossibile: un singulto le abbandonò le labbra e la giovane gipsy venne scossa da un tremito. Lacrime copiose le rigavano le guance stranamente pallide, bagnando il tessuto della giacca di Adam, accompagnate da singhiozzi che, nonostante i suoi sforzi, Tori non riusciva a soffocare. Si sentì particolarmente stupida; c’erano così tante cose che avrebbe potuto dire eppure, mentre si trovava stretta in quell’abbraccio, nulla di ciò che l’aveva tormentata in precedenza le parve avere la minima importanza. Mosse delicatamente il capo, come per confermare la veridicità delle sue parole. Sentirgli pronunciare il proprio nome, due sillabe semplici ed immediate, le parve quasi irreale: probabilmente non vi avrebbe creduto se non fosse stata in grado di toccarlo, circondata dal suo odore familiare – un odore che, nonostante tutto, sapeva ancora di casa.
    Avvertì le sue mani scivolare sulla stoffa della giacca, scostandosi senza tuttavia liberarla completamente da quell’abbraccio: si fermarono ai lati delle braccia, leggere ed al contempo percettibili, persino attraverso gli indumenti. Incapace di alzare lo sguardo, Tori si sfregò la guancia umida con la mano destra – la ruvida sensazione del denim contro la pelle arrossata – senza riuscire a cancellare completamente i segni del pianto. Aveva gli occhi rossi, gonfi, le ciglia umida, il respiro ancora irregolare e, ne era certa, la voce incrinata da una sfumatura acuta, tremante. «Ti prego, aiutami a ricordare.» Deglutì e strinse spasmodicamente le dita, racchiudendole a pugno e rilasciandole bruscamente. Il suo cuore non sembrava intenzionato a rallentare, mentre Victorianne si sentiva soffocare, assalita dal timore che una sua sola parola sbagliata potesse ricordare ad Adam l’unico avvenimento nella loro vita che, se possibile, avrebbe desiderato cancellare. Cosa avrebbe pensato di lei? Come avrebbe potuto fidarsi, volerle bene, se il suo lato peggiore gli fosse stato svelato in modo tanto plateale? Lei stessa, nei panni di Adam, avrebbe si sarebbe negata la possibilità di fare ammenda. «Io…» Iniziò, bloccandosi immediatamente. Cercò di soppesare le parole, i lineamenti contratti in un’espressione nervosa, quasi spaventata. «Io sono tua cugina. Le nostre famiglie sono legate… anche se ci vorrebbe troppo tempo per spiegare esattamente come Fece un leggero movimento con la mano, come per scacciare quell’argomento. «Noi… noi siamo cresciuti insieme.» Nel pronunciare quelle parole, il nodo alla gola si ripresentò più doloroso di prima. Victorianne si sforzò di nasconderlo, accennando ad un sorriso poco convincente. «Tu ci sei sempre, in quasi tutti i miei ricordi. Ai compleanni, alle cene in famiglia, Natale e d’estate, quando mio nonno ci lasciava giocare vicino agli scogli mentre pescava. E poi quando tu e Darius mi avete insegnato ad andare in bicicletta, l’estate in cui Lars si ruppe il braccio cadendo dall’altalena e Leonor ti obbligò a farci da babysitter per portarlo in ospedale e…» Ora che aveva iniziato non riusciva più a smettere di parlare. Senza un preciso ordine cronologico, snocciolava episodi che, impressi nella memoria, vedevano Adam sempre presente, sempre al suo fianco. Cosa altro avrebbe potuto dire? Come avrebbe potuto spiegargli ogni istante che avevano trascorso assieme, ogni difficoltà che, con il suo appoggio, era riuscita ad affrontare? E, soprattutto, come poteva confessare di aver rinnegato tutto ciò nello stesso istante in cui aveva tentato di assoggettarlo alla propria particolarità? Si interruppe improvvisamente, rabbuiandosi. «Non sono brava con le parole, ma… spesso sono stata egoista. C’è stato un periodo della mia vita in cui ho fatto tutte le scelte sbagliate…» Sospirò, scrollando appena le spalle. «anche con te, io… ho commesso degli errori e anche se non volevo ho rovinato tutto Sollevò lo sguardo su Adam, incerta. «In un certo senso ho dovuto farlo ma non è una scusante. Forse… forse per te tutto ciò non ha senso ma voglio che tu sappia che mi dispiace.» Pronunciò le parole lentamente, con delicatezza, come se stesse maneggiando un oggetto fragile ed incredibilmente prezioso. «E, anche se cercavo di non pensarci, mi sei mancato ogni singolo giorno degli ultimi quattro anni.» Esprimere ad alta voce quella confessione fu come spogliarsi di un primo strato di corazza e offrirgli un punto sensibile e scoperto, sotto il costato, in cui Adam avrebbe potuto affondare una lama con estrema facilità. Eppure Tori non aveva paura: si fidava di lui, così tanto da privarsi volontariamente delle precauzioni che ergeva nei confronti del resto del mondo.
     
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    Il corpo di Tori era minuto e leggermente tremante tra le braccia di Adam, eppure a lui sembrò di star avvolgendo una roccia. Non sapeva perchè, ma era certo che quella donna fosse stata tremendamente importante per lui, che l'avesse sostenuto e che l'avesse amato con una profondità che ancora non riusciva ad articolare o verbalizzare a se stesso. Da molti, un contatto simile sarebbe stato considerato inappropriato, specialmente tra persone apparentemente sconosciute, ma Adam non riusciva a smettere di pensare che tutto ciò che stava succedendo era solo il corso naturale degli avvenimenti. Lo sguardo di Tori era sempre rimasto nella sua mente, racchiuso in un angolo recondito di essa, e pronto ad emergere al momento opportuno. Alla Spiegelahus, questo era successo. Era stato così strano, avvertire con Victorianne un legame così viscerale da sentirlo sin nelle ossa e non poterlo nominare. Ora, sembrava che tutto avesse senso perchè non c'era neanche il bisogno di spiegare alcunchè. Era bastato toccarsi, per far combaciare i pezzi del puzzle nonostante Adam fosse cambiato profondamente durante gli anni. Era come se una versione più immatura e caotica fosse morta, lasciando spazio alla rinascita di un altro uomo che ora aveva guadagnato esperienza e strumenti per affrontare al meglio la vita. Come tutti, anche se in circostanze un po' fuori dal comune, Adam si era evoluto, era diventato una persona migliore, e nonostante non ricordasse chi fosse prima di abbandonare Besaid, ne era certo. Non sapeva moltissimo di ciò che era accaduto in precedenza, se non dalle parole di Jude, il quale però non conosceva ogni singolo membro della famiglia dell'amico, e che quindi aveva inevitabilmente dovuto tralasciare delle informazioni, ad esempio, parlargli di Tori. Era ormai chiaro che per via di un litigio che riguardava i suoi legami familiari travagliati, Adam aveva deciso di abbandonare la cittadina. Era stata una scelta avventata, impulsiva, caotica come il ragazzo era allora, e lasciarsi tutti indietro aveva senza dubbio originato un grande vuoto nelle vite di chi era rimasto oltre che nella sua memoria. Avrebbe dovuto premurarsi di avvisare, di rendere partecipi le persone importanti di questo repentino cambiamento. Invece, in preda alla rabbia, aveva deciso di prendere le sue poche cose e lasciare la città per non tornare mai più. Per quanto le sue ragioni fossero state comprensibili, era vero, se n'era andato perchè non aveva avuto la maturità o la consapevolezza di guardare oltre se stesso, e forse era stato proprio dimenticarsi di tutto e di tutti a offrirgli tale sensibilità una volta tornato.
    Avvolgendo Tori un po' più stretta a sè mentre lei piangeva contro la sua spalla, Adam poteva sentire il cuore battere velocemente nel petto, così tanto da costringerlo a respirare più intensamente. Non riusciva a capire come mai quella insistente ansia si fosse insinuata tra le altre emozioni che stava provando. Fino a quel momento aveva assaporato una pace anomala, come se riunirsi a Tori avesse significato trovare il suo pezzo mancante, ciò che per tutto quel tempo non era riuscito a collegare di Besaid, ed era realmente così. Tuttavia, dopo qualche minuto, era stato come se il fantasma del passato fosse tornato ad infestargli la mente. Era stato lui a rovinare tutto, a lasciare indietro coloro che avrebbero dovuto essere il suo branco, Tori compresa. Del resto, proprio come la cugina aveva fatto con lui, anche Adam aveva desiderato estraniarsi dalla sua famiglia, evitarli per un lungo periodo di tempo ed isolarsi come era solito fare in momenti molto negativi e bui. Avevano agito, nonostante tutto, in modi piuttosto simili, ed entrambi avevano avuto buone ragioni per farlo. Forse, c'erano ancora delle azioni le cui conseguenze il guardiacaccia avrebbe dovuto affrontare assieme a Tori, parlarne e fare in modo da riprendere il rapporto in termini positivi e sereni questa volta. Mentre silenzioso abbracciava la ragazza, Adam socchiuse gli occhi e cercò di calmarsi, quasi inconsapevole del fatto che un paio di lacrime iniziarono a scendergli dagli occhi, segno del fatto che si stava liberando anche lui dalle frustrazioni e dai pesi. Era così terribile non sapere, restare nel buio ed essere consapevoli di aver fatto qualcosa di male. Si sentiva così amareggiato nel non sapere precisamente per cosa avrebbe dovuto scusarsi, cosa aveva rotto e poteva forse riparare. Per questo motivo, il giovane avvertì l'impulso di parlare con la cugina, di riprendere familiarità con lei e se possibile, farsi riaccogliere nella sua vita. Il nome della donna gli scivolò via dalle labbra come se fosse sempre stato lì, nascosto dentro di esse sino al momento più opportuno. Era stato così facile, e anche se Adam non si ricordava neanche del volto di sua cugina l'anno prima, era come se il suo nome fosse sempre rimasto impresso dentro la sua mente, irrimediabilmente incastonato nei suoi ricordi sbiaditi dal tempo e dalla maledizione della piccola città norvegese. Il corpo di Tori tremava appena, ed il ragazzo poteva sentirlo chiaramente attraverso la stretta ferma e calda dentro cui l'avvolgeva. Era una vera meraviglia, sapere di conservare almeno un microscopico appiglio alla presenza della cugina, così tanto che Adam dovette per forza esprimerlo a voce. Un singhiozzo scosse il corpo di Tori proprio in quel momento, e lei sembrò riuscire a sfogare la sua emozione in un pianto intenso e liberatorio. Proprio quando la testa di lei si mosse impercettibilmente in un cenno d'assenso, un pesante sospiro uscì dalle labbra di Adam, che si rese conto di essere davvero tornato, di aver ritrovato la persona che più di tutti aveva sempre considerato la sua famiglia.
    Per questo, il guardiacaccia lasciò scivolare i palmi delle mani sino ai bicipiti della ragazza, per distanziarsi da lei solo quanto bastava per osservare i suoi occhi, che iniziò a cercare con lo sguardo. Le chiese di aiutarlo a rimettere assieme i pezzi, ora che lei era lì assieme a lui. Tori sembrò visibilmente agitata, in preda a un dibattito interiore irrequieto, che lasciò il ragazzo con il dubbio di dover forse rallentare e non farle domande, non per il momento almeno. Stava per dirle di non preoccuparsi, quando lei iniziò a parlare. «Io…» Le iridi castane di Adam restarono ferme sul volto della cugina, senza però sembrare pressanti, specialmente una volta che aveva letteralmente riconosciuto la paura insinuarsi dentro di lei. La sentiva, a pelle. «Io sono tua cugina. Le nostre famiglie sono legate… anche se ci vorrebbe troppo tempo per spiegare esattamente come.» Le labbra del giovane si schiusero appena, in un'espressione leggermente sorpresa nell'aver appreso quale fosse la natura del legame tra di loro. Se lo stava chiedendo sin dal primo momento, che cosa li unisse, ed aveva intuito che si trattava di un'unione di sangue, anche se non era certo di quale tipo. Erano cugini, e questa notizia gli provocò un accenno di un sorriso sul volto. Tuttavia, non sarebbe stato il caso di domandare ulteriori dettagli in quel momento, dato il piccolo gesto della mano di Tori, che suggeriva di andare avanti. «Noi… noi siamo cresciuti insieme.» Lo sguardo di Adam, che già era particolarmente languido perchè perso nella grande quantità di emozioni di quei momenti, s'intenerì ulteriormente, nel sapere che tra lui e Tori c'era un legame forte, possibilmente simile a quello tra un fratello e una sorella. Eppure, mancava qualcosa. Perchè la ragazza era così tesa, e perchè sembrava essere spaventata nel comunicargli quelle notizie che in fin dei conti non erano che positive? «Tu ci sei sempre, in quasi tutti i miei ricordi. Ai compleanni, alle cene in famiglia, Natale e d’estate, quando mio nonno ci lasciava giocare vicino agli scogli mentre pescava. E poi quando tu e Darius mi avete insegnato ad andare in bicicletta, l’estate in cui Lars si ruppe il braccio cadendo dall’altalena e Leonor ti obbligò a farci da babysitter per portarlo in ospedale e…» Fu allora, che Adam abbassò lo sguardo. Velata malinconia gli tinse le iridi scure, nella consapevolezza di non poter più ricambiare quel discorso che Tori gli stava facendo. Lui c'era sempre in tutti i ricordi di Victorianne, ma d'altro canto, lei era sparita dai suoi, per colpa di chissà quale scelta avventata. Come aveva fatto a buttare al vento anni ed anni di legami e ricordi? Come aveva fatto a desiderare di cancellare una presenza così importante dalla sua vita?
    «Non sono brava con le parole, ma… spesso sono stata egoista. C’è stato un periodo della mia vita in cui ho fatto tutte le scelte sbagliate…» La presa di Adam si allentò lievemente, nel momento in cui capì che poteva davvero comprendere ciò che Tori stava affermando. Anche lui era stato egoista, anche lui aveva commesso errori dai quali non poteva più tornare indietro. «anche con te, io… ho commesso degli errori e anche se non volevo ho rovinato tutto. In un certo senso ho dovuto farlo ma non è una scusante. Forse… forse per te tutto ciò non ha senso ma voglio che tu sappia che mi dispiace.» Quando lo sguardo di Tori si fermò esitante nel proprio, Adam scosse appena il capo, lasciando intendere che non avrebbe dovuto essere lei a scusarsi, che probabilmente entrambi avevano pesi sulla coscienza da dover risolvere, ma forse proprio per questo avrebbero potuto ripartire da zero, costruire un nuovo futuro sulle basi degli insegnamenti del passato. «E, anche se cercavo di non pensarci, mi sei mancato ogni singolo giorno degli ultimi quattro anni.» Sembrò che in quel momento il cuore di Adam avesse smesso di battere per un paio di interminabili secondi. Portò con calma le mani ai lati delle guance di Tori, e le accarezzò appena, sfiorando la pelle umida, per poi chinarsi leggermente e appoggiare la fronte contro la sua e restare in silenzio qualche attimo. Chiuse gli occhi, e respirò piano, concedendosi il tempo di percepire la presenza di sua cugina, che in carne ed ossa era lì davanti a lui, non come un ricordo intangibile del passato, ma come una persona con la quale costruire un nuovo futuro. Sono io che devo scusarmi. Mormorò poi, restando fermo. Non so cosa sia successo in passato, ho perso tutto e voglio scusarmi con te, perchè non sono riuscito a capire il valore di ciò che avevo. Forse, ero troppo preoccupato a pensare a chi non era con me, piuttosto che apprezzare chi c'era sempre stato. Fu allora, che il guardiacaccia riaprì gli occhi, per poi distanziarsi lentamente dalla cugina e restare a contatto con lei con le mani nuovamente contro le sue braccia esili. Magari un giorno ci racconteremo tutto, e non ho fretta di sapere. Ora ciò che conta non è più il passato, ma il presente e il futuro... E nemmeno io sono tanto bravo con le parole, quindi se mi vorrai di nuovo nella tua vita ti dimostrerò a modo mio di aver imparato la lezione. Ora sono consapevole di quanto preziose siano le persone che ho attorno, e la famiglia non si lascia indietro. Non ti voglio perdere di nuovo, Tori. Vorrei invece sapere di te adesso, di chi sei diventata e com'è la tua vita ora. Le parole di Adam erano misurate, oneste e mansuete come al solito, ma al tempo stesso straripavano di emozioni che neanche lui riusciva bene a comprendere, ed era giusto così. Mi dispiace di com'è andata in passato, ho davvero rovinato tutto andando via da Besaid, ma ora che mi è stata data una nuova occasione vorrei davvero cercare di costruire un nuovo futuro anche con te, se me lo permetterai. Piene di speranza, le parole del guardiacaccia sembravano davvero testimoniare la sua volontà di riprendere il rapporto con sua cugina da zero, promettendo a se stesso e a lei di agire con più saggezza e consapevolezza. Se ritieni necessario parlarmi di ciò che è successo adesso, sono pronto ad ascoltare. In caso contrario, va bene così. Vorrei conoscerti meglio, ed essere per te un cugino migliore. Proprio in quel momento, Thunder trotterellò verso di loro, strofinando appena il muso contro la gamba del ragazzo, che abbassò lo sguardo e sorrise, portando una mano ad accarezzare il pelo bianco del suo amico.
     
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4 replies since 22/10/2018, 02:19   174 views
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