Remember, remember the 5th of November

Sofie e Kai | Giardino del Museo, 18:00

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    Le lezioni erano finite presto quel giorno: il giorno ideale per poter scappare via dal campus e andare qua e là a visitare una cittadina che stava cominciando a farla sentire sempre più a casa. Da quando era ritornata a Besaid tutti i ricordi, pian piano, anche grazie all'aiuto di Niko, erano cominciati lentamente a riaffiorare: c'era voluto un po' di tempo, com'era ovvio, ma ora le sembrava quasi che ogni cosa fosse tornata al proprio posto. Tassello dopo tassello, la sua memoria era ritornata quella di un tempo e, con essa, anche la sua personalità: c'era una differenza però, una lieve e piccola differenza. Al tempo si era sentita così invisibile da esser dimenticata, accantonata da chiunque nella sua famiglia eccetto che dai suoi fratelli. Al di fuori di quel nucleo familiare, così ostile per la piccole Sofie, c'era solo la sua cricca di amici, la piccola baby gang di Besaid che non avrebbe potuto far male ad una mosca: si era trovata a pensare a loro qualche volta, soprattutto sfogliando degli album di famiglia che aveva trovato a casa di Niko o, per meglio dire, a casa sua. Com'era strano chiamarla di nuovo "casa". Da quando era cambiata in quel modo, da quando non era più popolata da suo nonno, dai suoi genitori e da tutta quella gente, l'aspetto era totalmente differente. Né lei né suo fratello avevano abbandonato i propri appartamenti in centro, forse per comodità, forse perché non erano ancora entrambi pronti a fare un passo così grande, ma erano tornati ancora ad Eventyr House. Kai, Roy e Jona stavano insieme a lei in una foto fatta al compleanno dei gemelli: davanti alla torta c'era soltanto lei, con i suoi amici, una sorta di ragazzino ripulito con i capelli legati in un paio di treccine ed una specie di smorfia sul viso a causa di un dispetto di Roy che, al contrario, sghignazzava come se non ci fosse un domani. Quasi le era venuta una morsa allo stomaco ricordando quella giornata, ricordando quanto tempo fosse passato: chissà come se la passavano, chissà se tutti erano ancora a Besaid o se si erano trasferiti. Non aveva più i loro numeri, i suoi genitori avevano fatto scomparire ogni cosa quando erano scappati da quella cittadina e lei, complice di tutto ciò, non aveva fatto nulla per evitarlo: si sentiva terribilmente in colpa, sia nei loro confronti, sia nei confronti di Nora, la cugina di Roy, con la quale aveva stretto una bella amicizia, nonostante i loro caratteri che, in apparenza, parevano quasi cozzare per la loro forza.
    «Un pacchetto di Merit» disse al tabaccaio, fermandosi lì e sfilandosi dalle orecchie gli auricolari, nelle quali gli Arctic Monkeys suonavano la loro Why'd you only call me when you're high, a tutto volume. Si riusciva a sentire Alex Turner cantare nonostante la cuffietta fosse poggiata sulla spalla della ragazza. Il tipo le porse il pacchetto, chiedendole se volesse delle caramelle come resto poiché non aveva qualche corona da darle: «Ma sì» disse, incurvando appena le labbra chiuse in un'espressione piuttosto affabile, forse persino soddisfatta. Era da un po' che non mangiava quelle particolari caramelline: erano di quelle ricoperte di zucchero, quelle che "frizzano" in bocca e danno quella strana sensazione di pizzicore. Forse dieci anni che non si ritrovava a mangiarle.
    Uscì da lì con tra le labbra questa lunga striscia arcobaleno tra le labbra e, in mano, il pacchetto di sigarette appena acquistato: non aveva nulla da fare quella giornata, aveva persino avuto il tempo di rivedere la lezione che avrebbe tenuto qualche giorno dopo. Mise in borsa la confezione e rimise nell'orecchio destro la cuffietta che aveva tolto per parlare col tabaccaio, continuando a camminare, diretta verso il Museo: quel giorno tenevano una mostra sull'arte contemporanea, un tipo di arte che a Sofie non piaceva per niente, ma le avevano detto che per tutti quelli con il tesserino dell'Università ci sarebbe stata una riduzione del biglietto, per cui decise di andare a dare un'occhiata giusto per perdere un po' di tempo e, magari, imparare persino qualcosa di nuovo.
    Pagato il biglietto, ad un prezzo davvero ridicolo, la ragazza cominciò a darsi un'occhiata in giro, avendo nel cuore tutte le migliori intenzioni del mondo, sperando davvero che quella galleria celasse qualcosa che potesse piacerle: nulla, nulla, nulla ed ancora nulla. Più camminava e cercava disperatamente di farsi piacere strambe - ai suoi occhi - quanto ricercate opere d'arte, più sentiva di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Avrebbe preferito mille volte guardare una mostra su, bho, dei calamai e dei vecchi scrittoi, piuttosto che quella roba. L'arte contemporanea non è nemmeno arte. pensava passo dopo passo, erroneamente e con un buon grado di arroganza che pareva non aver mai posseduto: cercava davvero di vederci qualcosa di più ma, andiamo, cosa c'era poi di bello in un candelabro su di un telo rosso?! Sembrava un residuato bellico di una vecchia cena di Natale! Il Museo era un edificio davvero bello però, il suo sguardo si perse perlopiù ad osservare l'architettura di quel posto che le "opere d'arte" che stava ospitando.
    Non rimase lì per più di mezz'ora: un tempo indecente per poter dare un giudizio, ma non ce la faceva davvero più! Abbandonò la visita, lasciando l'audio-guida che le avevano fornito all'ingresso, in uno dei punti dedicati, e cercò l'uscita più vicina al grosso giardino che stava all'esterno della struttura. Era bello, c'era qualche panchina qua e là e, forse anche a causa dell'orario, ormai verso chiusura, non c'era poi tanta gente lì. Mentre si avviava verso una di quelle sedute in pietra, tirò fuori dalla borsa il pacchetto di sigarette, tirando la linguetta che lo teneva sigillato: tirò fuori una sigaretta e la mise fra le labbra, cercando, tra un passo e l'altro, anche l'accendino dalla borsa.
    Ecco perché preferiva gli zaini alle borse di quel tipo: trovare qualcosa risultava impossibile, come se fossero delle borse indemoniate. Gli zaini, al contrario, avevano scomparti per ogni cosa, soprattutto quelli che lei teneva in casa. Purtroppo, però, c'era da dire che presentarsi con un bello zainetto a lezione l'avrebbe fatta sembrare soltanto più ragazzina di quanto già non apparisse: una professoressa con quell'aspetto e quegli abiti era piuttosto singolare. Di per sé, dava già nell'occhio abbastanza, non c'era bisogno di apparire ulteriormente un maschietto, come quand'era piccola.
    Quel giorno aveva indossato le sue solite scarpe da ginnastica, un maglioncino a collo alto, chiodo in pelle e borsa a tracolla con all'interno computer e tutto ciò che le serviva per la lezione: non era passata per casa prima di andare al museo, aveva preferito usare quel pomeriggio direttamente per fare qualcosa invece che perdere tempo a cambiarsi e a posare ciò che aveva portato con sé. In lontananza, ma nemmeno poi così tanto, saranno stati un paio di metri, c'era un ragazzo, di cui poteva vedere soltanto la silhouette di spalle: aveva i capelli biondo cenere, l'unica cosa visibile da lì. Sembrava assorto nei suoi pensieri, con lo sguardo chino verso qualcosa, magari il cellulare o un libro. Avrebbe evitato volentieri di molestarlo e chiedergli la qualunque, ma, l'accendino non voleva sbucare e chiedere se avesse da accendere non le sarebbe certo costata la pena di morte.
    «Mi scusi» disse, picchiettando appena la mano sulla sua spalla, sollevandosi appena per arrivarvici: Sofie non era molto alta, ma dall'alto del suo metro e sessantacinque non si era mai preoccupata di apparire più slanciata. Era proporzionata abbastanza perché questo suo piccolo "difetto" non apparisse evidente, per cui continuava ad indossare le sneakers con la solita naturalezza che la contraddistingueva.
    «Ha da accendere?» domandò, tenendo fra indice e medio la sigaretta che aveva sfilato dalle labbra. Il tipo dinanzi a lei si voltò - giustamente - incrociando lo sguardo di Sofie, uno sguardo che cambiò in maniera alquanto radicale in una manciata di secondi: fu un crescendo, una sorta di shock che pian piano si rendeva più evidente all'interno di quelle iridi. Il girasole, così come lo aveva sempre chiamato insieme ai suoi fratelli, che aveva negli occhi sembrò diventare sempre più grande a causa della dilatazione della pupilla: «Kai?!» domandò. Era cambiato, era cresciuto, ma era lui, ne era più che sicura.

    Edited by Nana . - 5/11/2018, 22:25
     
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    Alzò gli occhi al cielo, abbastanza contrariato, quando qualcuno bussò per l’ennesima volta alla porta del suo ufficio. -Sì? - chiese, con evidente fastidio, mentre un ragazzino si mosse velocemente per entrare nella stanza, vistosamente impaurito, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento. -Signor Göransson… - iniziò a dire, rimanendo sulla soglia della porta, ad una ben definita distanza da lui, come se temesse che avrebbe potuto mangiarselo se soltanto avesse fatto un passo di troppo. Malakai sollevò lo sguardo su di lui, fissandolo intensamente per qualche secondo, facendogli intendere di non perdere altro tempo. -E’… è arrivato il Signor Beckett, il vostro appuntamento delle 16.00, è un po’ in anticipo. - sputò fuori finalmente, preoccupato che quella colpa sarebbe stata attribuita a lui, piuttosto che a quell’uomo. -Lo so, il suo volo è stato più veloce del previsto. - mormorò, con l’aria di chi non era troppo convinto di quanto gli fosse stato detto. Raramente un aereo partiva in anticipo, il più delle volte, nella sua personalissima esperienza, erano in ritardo. Doveva esserci sotto qualcosa, probabilmente non era partito dal luogo che gli aveva detto, sicuramente stava tramando qualcosa. Il ragazzino rimase ancora lì, immobile. -Quindi? Che fai ancora qui? - chiese Kai, guardandolo ora con molta più attenzione, lo sguardo chiaro scintillò per un momento mentre, senza aggiungere altro, rendeva evidente quanto trovasse fastidiosa la sua presenza in quel momento. -V… volete che faccia qualcosa? Lo faccio salire? - balbettò il piccoletto e Kai si ritrovò quasi a ridere di quella sciocca domanda. No, non era affatto quello che aveva in mente. - Il Signor Beckett attenderà il suo appuntamento delle 16.00, esattamente come era stato concordato. Non modificherò la mia agenda soltanto perchè lui ha deciso di arrivare in anticipo. - chiarì lui, con un tono che non ammetteva alcun tipo di replica. Il ragazzino schiuse le labbra, in cerca di qualcosa da dire, ma lui riprese. -E questo è tutto. Puoi andare Martin. Chiamami sul telefono dell’ufficio alle 16.00 in punto. - terminò, accompagnando il tutto con un veloce gesto della mano, invitandolo a sparire dalla sua vista e tornare al suo lavoro. Detestava quei maledetti incontri d’affari, detestava quelle persone che chiamavano per fissare appuntamenti con lui nella speranza di riuscire a fargli cambiare idea. Era davvero così necessario giungere sino alla Norvegia e fargli perdere tutto quel tempo quando sarebbe bastata una telefonata? Evidentemente ritenevano di essere molto più convincenti di persona, o forse non credevano che lui potesse avere la stessa leadership di suo padre, ed era forse questo, più di tutto, a farlo imbestialire. Erano due persone diverse, questo era innegabile persino per lui, ma aveva trascorso abbastanza tempo in contatto con l’uomo da imparare a comprenderlo e carpirne tutti i segreti. La Göransson Corporation non aveva ottenuto un posto tra le più grandi e potenti multinazionali al mondo perché i suoi capi erano delle persone dal cuore d’oro, capaci di ascoltare ed empatizzare con le persone, tutto il contrario. C’erano voluti impegno, fatica, e anche una buona dose di cinismo e questa era sempre stata una delle caratteristiche principali di Malakai. Solo pochissime persone nella sua vita erano riuscite a farlo tornare sui suoi passi e quelle pochissime persone erano le uniche a cui si fosse mai legato davvero. Un gruppo di sciocchi azionari non sarebbe certo riuscito in ciò che una banda di ragazzini scapestrati avevano fatto.

    L’incontro era stato, come previsto, una noia mortale. Il Signor Beckett era esattamente come lo ricordava: un ometto tarchiato, sulla sessantina, ormai quasi completamente privo di capelli, puzzava di acqua di colonia ormai stantia, un profumo che doveva essere legato a qualche ricordo della sua giovinezza che Kai non poteva certamente comprendere, né voleva farlo. Portava una fede nella sua mano grassoccia, segno che qualcuna, forse disperata, o forse semplicemente innamorata dei suoi soldi, doveva persino aver deciso di sposarlo e di dargli dei figli, tre per l’esattezza. Lo sapeva perché l’uomo aveva passato la prima ora a parlare dei suoi ragazzi e di quanto fiuto avessero per gli affari. In soldoni, il motivo per cui si era spinto sin lì era che voleva l’appoggio della G Corp per aprire un’azienda per i suoi figli, senza avere alcun buon investimento alla base, nessuna idea particolare su quella che sarebbe stata la loro attività, niente di niente. Cercava di vendergli fumo e sogni. Se avesse tentato con del fumo vero avrebbe avuto sicuramente molto più successo perché qualche sostanza stupefacente era esattamente quello che gli serviva per riuscire a sopportare quell’uomo per le due ore che gli aveva messo a disposizione. La risposta di Kai era stata ovviamente negativa, ma questo il Signor Beckett avrebbe già dovuto saperlo visto che aveva mandato una mail il mese prima per chiedere la stessa cosa e all’ultima riunione i dirigenti avevano discusso per rigettare quella proposta. Doveva aver pensato che lui neanche l’avesse vista, o analizzata in prima persona, ma si sbagliava. Malakai era un maniaco del controllo e nessuna decisione veniva presa in azienda senza che lui l’avesse vagliata con attenzione. Era per questo che, negli ultimi mesi, si sentiva così stanco e aveva sempre quel bisogno di staccare e di prendersi qualche momento per se stesso. Fortunatamente, quindi, per unire l’utile al dilettevole e non buttare completamente quel pomeriggio, aveva deciso di condurre quell’incontro al museo, così da poter dare un’occhiata all’ultima mostra di arte contemporanea che Naavke aveva fatto allestire. Era sempre stato un amante dell’arte, in tutte le sue forme e non riusciva proprio a perdersi nessuno dei nuovi eventi che venivano organizzati al museo. Che fosse per suo interesse personale o per dare un’occhiata al lavoro del suo padrino acquisito nella speranza di incrociarlo anche soltanto per un momento non era ben chiaro a nessuno, neanche a lui.
    Mentre quello parlava, continuando ad elencare le incredibili doti dei suoi figli, Kai rimaneva in silenzio, fermo davanti a questa o a quell’opera, mentre proseguiva il suo percorso. Osservava gli squarci su una tela rossa, come il sangue, e si sentiva come quell’uomo stesse lentamente squarciando i suoi timpani, graffiando, cercando di andare sempre più in profondità. Possibile che non capisse che quella era una guerra persa sin dall’inizio? Smise persino di ascoltarlo ad un certo punto, mentre cercava di dare una sua personale interpretazione ad un’altra tela, finendo con l’essere di nuovo distratto. A quel punto, ormai al limite della sua sopportazione, si voltò verso l’uomo. Lo sguardo glaciale di Malakai si puntò in quello più scuro e caldo dell’uomo, che si zittì di colpo, trattenendo il fiato. Una tempesta alleggiò nel suo sguardo, pronta ad abbattersi su quell’uomo. Se fossero stati in un diverso contesto, se quella non fosse stata una faccenda di lavoro, se lui in quel momento non fosse stato il capo della Göransson Corporation sarebbe esploso come un fiume in piena e lo avrebbe travolto, senza rimorso, senza neanche pensarci. Ma non poteva, ne andava della sua reputazione, lo sapeva più che bene. Quindi, prima di parlare, prese un profondo respiro, ragionando sulle parole più adatte da dire. -Comprendo il suo punto di vista, Mr. Beckett e sono sicuro che i suoi figli sarebbero più che qualificati per dirigere un’azienda, ma noi non siamo un ente di beneficienza e non possiamo appoggiare tutte le proposte che giungono a noi. - iniziò, cercando di rendere piuttosto evidente quale fosse il suo punto di vista, sebbene imbellettato da qualche parola gentile che si sarebbe volentieri risparmiato. -Quindi, esattamente come le è stato comunicato dallo studio qualche settimana fa, ci vediamo costretti a rifiutare la vostra richiesta. Quando avrete chiarito almeno alcuni dei nostri dubbi potremo riparlarne, ma per il momento la risposta rimane la stessa. Mi dispiace che lei sia venuto sin qui soltanto per questo. - chiuse, con un vago sorrisetto divertito. In realtà non era affatto dispiaciuto di avergli dovuto rispondere in quel modo, gli dispiaceva soltanto di essere stato costretto a vederlo. Quello iniziò a lamentarsi e sbraitare, alzando un po’ troppo la voce per una sala come quella, tanto che il personale del museo fu costretto ad allontanarlo per evitare che disturbasse troppo persone.
    Con un sonoro sbuffo irritato Kai si diresse verso il giardino. Quella conversazione l’aveva messo di pessimo umore e ora persino la cravatta di quel maledetto abito che era costretto a portare tutti i giorni lo infastidiva. La allentò appena, provando immediatamente una sensazione di benessere nel sentire la sua gola un po’ più libera. Estrasse il pacchetto di sigarette dalla tasca e se ne portò una alle labbra, accendendola di fretta. Aveva bisogno di allentare un po’ di tutta quella tensione, di sfogare un po’ del suo nervosismo, quindi agguantò il suo telefono. Sentiva la necessità di organizzare qualcosa, magari di buttarsi con un paracadute o qualcosa del genere, tutte quelle cose normali da persone assolutamente normali. Poi, dal nulla, qualcuno picchiettò la mano sulla sua spalla. Quella voce femminile suonò stranamente familiare alle sue orecchie, ma mantenne quell’espressione scocciata sul volto mentre, molto lentamente, si voltava verso di lei, che gli domandava se avesse da accendere. Quando il suo sguardo si puntò su quella figura familiare, l’espressione sul suo volto divenne decisamente più confusa. Battè le palpebre per qualche secondo, non del tutto sicuro di avere davanti chi realmente credesse. Non poteva essere dopotutto, eppure… Quando lei pronunciò il suo nome, poco dopo, sorpresa quanto lui, non potè più avere alcun dubbio. -Sophie? - domandò, come se stesse parlando con un fantasma, ancora piuttosto confuso da quella sorpresa. -Sei tornata? Quando sei tornata? - chiese, mentre i ricordi di tutti quegli anni trascorsi insieme iniziavano a passare in rassegna dietro le sue palpebre, invadendogli la mente e lasciandolo in uno stato ancora più confusionale. Aveva pensato che avesse dimenticato ogni cosa, che anche se fosse tornata non avrebbe potuto riconoscerla e invece eccola lì, più grande, più bella, ma sempre la stessa. Senza aggiungere altro la abbracciò di slancio, stringendola a sé, inspirando per qualche momento il suo profumo, trattenendo quella stretta per diversi secondi, prima di lasciarla andare. Un enorme sorriso ora aleggiava sulle sue labbra. Quella giornata aveva preso una piega del tutto inaspettata, ma non c’era cosa più bella che gli potesse capitare. Il suo cellulare iniziò a squillare, ma lui chiuse la chiamata, ormai del tutto disinteressato a qualunque cosa avesse cercato di organizzare prima, l’attenzione del tutto focalizzata sulla ragazza che aveva di fronte. -Pensavo che fossi sparita per sempre, e invece eccoti qui! Non sei cambiata di una virgola, a parte la borsa, quella ora è decisamente più femminile. - la prese in giro, come avevano sempre fatto, sin da piccoli. Probabilmente era proprio per quella sua aria da maschiaccio che era riuscita a fare breccia in quel piccolo gruppetto di ragazzini e lasciare una traccia indelebile nel loro cuore.
    Estrasse l’accendino dalla tasca, offrendoglielo, rispondendo così alla domanda con cui lo aveva avvicinato, scuotendo poi appena il capo con aria divertita. -Cavolo! Questa proprio non me l’aspettavo. Mi spieghi che diavolo ci fai tu in questo posto? Non ricordavo fosse il tuo genere di preferenze. - chiese, più per capire quanto fosse effettivamente cambiata, che per altro. -Vieni, ti offro qualcosa. - continuò poi, indicando con un gesto del capo la caffetteria che dava sul giardino. Non aveva alcuna intenzione di lasciarla fuggire via senza avere neanche l’occasione di parlare un po’ con lei.
     
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    Fu così strano per lei sentirsi catapultata nuovamente nella sua infanzia: i suoi occhi erano fissi in quelli di Kai, dello stesso gelido colore che li aveva sempre contraddistinti - com'era normale - e che non aveva dimenticato, così come il sorriso di Roy così trascinante ed il loro modo di divertirsi, tutti insieme, in mezzo a quella cittadina che sembrava volerli inghiottire. Ognuno diverso, ognuno con una storia diversa, eppure si erano trovati ed avevano costruito quella piccola famigliola che gli era sempre mancata, chi per un motivo, chi per un altro.
    Quanto era assurdo rivedersi in quel modo dunque? Quell'uomo, di cui aveva potuto osservare solo la figura di spalle, le era sembrato fin troppo altolocato per una come lei che, sì, era nata in una famiglia ricca, ma ormai si era abituata ad un tenore di vita ben differente, a farcela con le proprie forze e a guadagnarsi da vivere da sé: se non avesse riconosciuto quei tratti, da lontano, forse nemmeno avrebbe riconosciuto il suo compagno di giochi. Com'era vestito?! Non che ci stesse male, anzi, pensò che quegli abiti gli donassero tutto sommato, insieme a quell'aria fintamente altisonante che scomparve di lì a poco.
    «Qualche mese fa» rispose lei, con sulle labbra incurvate in quell'espressione che aveva al suo interno un po' d'imbarazzo. La domanda più brutta che potesse fargli era arrivata subito, senza darle nemmeno il tempo di prevederla: se lo sarebbe dovuto aspettare, era piuttosto normale che gli venisse posta considerato che, al tempo, era sparita senza lasciare alcuna traccia di sé. Tutti dovevano averne intuito il motivo, immaginato cosa avesse spinto lei ed i suoi genitori ad allontanasi da Besaid, a scegliere di dimenticare ogni cosa e di abbandonare Nikolaj, ma questo non la rendeva meno colpevole a parer suo. Non era una ragazzina, avrebbe potuto dire di no, mostrarsi per quella che era sempre stata e non fare la scelta sbagliata, ma non ce l'aveva fatta: Sofie in quell'occasione si era lasciata influenzare troppo da sua madre, da quell'attenzione mai ricevuta, dalla possibilità di non essere più così invisibile agli occhi di chi aveva sempre e solo amato da lontano. Sarebbe stato più facile, forse più naturale: un nuovo inizio.
    Se avesse avuto solo più tempo, probabilmente, avrebbe desistito e se ne sarebbe rimasta al capezzale di suo fratello, occupandosi dell'unica persona in vita che aveva fatto lo stesso con lei. La sua mente spesso si era ritrovata a pensare a cose del genere, in quel periodo, ed ogni volta la conclusione, il quesito che continuava a darle il tormento, rimaneva sempre lo stesso: Niko sarebbe riuscito a perdonarla? Lo sperava, lo sperava davvero, ma lei probabilmente al suo posto non ce l'avrebbe fatta. Il legame fra i gemelli è qualcosa di così intimo e profondo che sentiva quasi di conoscere davvero la risposta di suo fratello, di sapere con certezza matematica cosa sarebbe accaduto: semplicemente non riusciva a guardare concretamente in faccia la realtà. E gli altri? Anche in quel caso, quando si era ritrovata a ricordare ogni cosa e a guardare le foto del suo passato, aveva pensato che si fosse comportata in maniera così immatura da non meritare il perdono dei suoi vecchi amici: loro c'erano stati per lei, lei era scomparsa senza fornire alcuna spiegazione.
    Il suo volto si incupì appena ma Kai non ebbe modo di vederlo perché colmò la lieve distanza che intercorreva tra loro con un abbraccio così stretto che quasi si sentii soffocare, in senso positivo: aveva le braccia attaccate al corpo, incapace di alzarle del tutto, e persino un po' in difficoltà da quell'affetto che non sentiva da un bel po' di tempo. In generale, inoltre, Sofie non era mai stata una ragazza particolarmente affettuosa, di solito tendeva a dimostrare quel che sentiva piuttosto che a dispensare abbracci e baci come se non ci fosse un domani: normalmente non avrebbe fatto nulla dunque, sarebbe rimasta lì, immobile, fra le braccia di una qualunque persona, senza dire una sola parola, senza ricambiare. In quel caso però, con Kai, cercò per quanto possibile di sollevare le braccia per ricambiare, arrivando soltanto a toccare la sua schiena con le mani: «EHI, vorrei tornare a respirare dopo!» gli disse, con una voce appena ovattata, persa all'interno del suo soprabito d'alta sartoria, ma con un sorriso che sembrava non volersene più andare.
    Sciolto l'abbraccio, osservò il volto di Kai, non tanto dissimile dal suo e si sentii quasi sollevata: anche il suo modo di fare non era affatto cambiato, continuava comunque a prenderla in giro come se dinanzi a lui vi fosse la ragazzina che aveva lasciato. Gliene fu grata, davvero grata, ma questo non lo disse, si limitò soltanto a pensarlo mentre la sua espressione si mutava appena in una più fintamente afflitta: «Continuo a preferire gli zaini ma, che ci vuoi fare, se mi ci presento all'Università mi scambiano per una studentessa» gli confessò, sollevando appena le spalle e tornando a sorridergli. I suoi occhi, incurvati leggermente verso l'alto, erano più eloquenti di qualunque cosa potesse dirgli: non era poi così brava ad esprimere i propri sentimenti, era decisamente più brava a mostrarli con quegli stessi occhi che da bambina non gli erano mai piaciuti.
    «E tu invece?» gli domandò, allontanandosi appena. «Questo look da uomo d'affari ti rende così simile a Nikolaj che faccio fatica a distinguervi» gli disse, ironica, portandosi una mano al mento e sollevando ed abbassando lo sguardo lungo la sua figura, come se lo stesse studiando a fondo. Era strano vederlo in quegli abiti e non nei classici vestiti più o meno sportivi che tutti indossavano quando andavano a scuola o giocavano insieme, ma non per questo lo giudicò: aveva immaginato, al tempo, che anche lui sarebbe finito con l'ereditare l'azienda di famiglia, ma sapeva anche che lui non ne volesse sapere di ciò, almeno da qualche conversazione origliata - brutto vizio il suo - e aveva sempre sperato che alla fine la sorte avesse girato verso la sua direzione. Cos'era accaduto in tutti quegli anni l'avrebbe tuttavia scoperto in seguito, almeno così sperava.
    «Proprio un elegante pinguino, in linea con l'inverno che sta per arrivare» gli disse, facendo appena la voce più grossa per imitare la celeberrima frase di Game of Thrones, una serie che aveva spopolato in ogni dove e che, sperava, che nonostante tutto il suo ipotetico da fare anche lui avesse visto. Quanto tempo era che anche lei non faceva una bella maratona di serie tv o film?! Cominciava a mancarle avere tempo libero, come ad Oslo.
    Kai, intanto, prese l'accendino dalla tasca e glielo porse: L'accendino, giusto. pensò, catapultata com'era stata all'interno di quel mare di ricordi quasi si era dimenticata la domanda con la quale l'aveva praticamente abbordato. Ringraziò con un cenno del capo, accendendosi la sigaretta e ispirando una boccata di fumo, che rilasciò andare solo un attimo più tardi, restituendo al legittimo proprietario il'accendino. Un angolo delle labbra le si curvò sentendolo dire che quello non era affatto un posto per lei: forse aveva detto anche alla sua insegnante quanto pensasse delle opere d'arte contemporanea? Probabile, molto, molto probabile.
    «Infatti non lo è» gli disse, come se avesse rimarcato l'ovvio, sempre con l'ironia che la contraddistingueva. «Avevo tempo libero ed uno sconto, per cui ho pensato di venire qui, ma ho sbagliato tutto gli confessò, scuotendo il capo ed abbassandolo appena con un fare fin troppo solenne, interrotto di lì a poco dal suo sguardo quasi giudicante: «Come fa a piacervi questa roba? L'arte contemporanea non è nemmeno arte!» gli disse, ripetendo quella stessa frase che era stata per lei quasi un mantra, oltre che la croce della loro insegnante di storia dell'arte al liceo.
    «Tele con graffi. UAO!» gli disse, strabuzzando appena gli occhi con finto stupore dello sguardo. Probabilmente Kai fece per dire qualcosa, ma lei non gli diede nemmeno il tempo di aprire bocca: «Scusa, ho sbagliato. Tele di colori diversi, con graffi.» sentenziò, portando la sigaretta alla bocca e facendo, almeno per qualche secondo, silenzio.
    «Lo so che può piacere, ma davvero non ci riesco a vedere niente di bello.» concluse, stavolta con maggiore serietà e sollevando le spalle: probabilmente non era abbastanza sensibile per certe cose.
    Ad ogni modo, in tutto quel parlare, Kai si propose di offrile qualcosa, indicando la caffetteria che si trovava lì vicino, offerta che Sofie accettò immediatamente senza repliche. Ci vollero pochi passi perché potessero arrivare lì e, già che entrambi stavano ancora fumando, si sedettero in un tavolino all'esterno, attendendo il cameriere che giunse quasi immediatamente per le loro ordinazioni: «Facciamo i raffinati con un bell'aperitivo?» chiese a Kai la ragazza, distogliendo quasi subito lo sguardo dal tipo che stava in attesa. Non aveva grosse preferenze, probabilmente si sarebbe limitata ad un "quello che prende lui" senza essere una di quelle clienti rompiscatole che pretendono l'impossibile: sotto quel punto di vista era molto accomodante.
    Una volta deciso cosa prendere, i due si ritrovarono nuovamente soli: «Prima che tu mi dica tutto quello che è successo in questi anni» incominciò, facendo suonare quelle parole più come un ordine che come una richiesta - lo fece in buona fede, era semplicemente curiosa di sapere ogni cosa -. «Vorrei scusarmi. So che sono sparita ma le cose si erano fatte...» cercò di dire, senza trovare un vero aggettivo che la convincesse. Aveva appena chinato lo sguardo, perdendosi all'interno del posacenere d'alluminio che stava al centro del tavolo, con accanto il dispenser per i fazzoletti. «...complicate disse infine, rialzando gli occhi ed incontrando quelli di ghiaccio di lui.
    «E so anche di non avere scusanti, però ci tenevo a farlo.» concluse. Tutto qua. pensò, ritenendo che avrebbe potuto fare di meglio, ma era proprio vero che lei non era ben in grado di rapportarsi con i sentimenti e con tutto ciò che questi comportavano: era stato già abbastanza assurdo che piangesse con Niko, forse quell'episodio le avrebbe garantito l'immunità per gli anni successivi, chissà.
    «E tu invece? Dov'è il resoconto scritto di tutto ciò che mi sono persa?» gli chiese, poggiando i gomiti sul tavolo e il mento sulle sue mani, come una bambina in attesa della sua storia della buonanotte.
     
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    Il suo sguardo si corrucciò appena al sentirle dire che era tornata ormai da qualche mese e che in tutto quel tempo non aveva mai pensato di contattarlo, di fargli sapere che era tornata. Sentì un moto di fastidio a quella rivelazione, il ragazzino ferito che era stato lasciato indietro diversi anni prima da quella stessa ragazza continuava a sentirsi come se il tempo non fosse passato, come se lei, ancora una volta, avesse scelto di metterlo da parte, di allontanarlo dalla sua vita. Quanto tempo avrebbe aspettato ancora se quell’incontro fortuito non l’avesse costretta a ritrovarsi faccia a faccia con lui? Avrebbe mai cercato di contattarlo? La parte più irrazionale e ancora immatura di lui avrebbe voluto fermarla in quel momento e chiederle perché: perché non si fosse più fatta sentire, perché fosse sparita, perché non lo avesse contattato quando almeno parte della sua memoria era tornata. Invece rimase in silenzio, sfoderando un sorriso affabile che con il tempo aveva imparato a rendere terribilmente credibile, uno di quei sorrisi di circostanza che era costretto a tenersi sulle labbra per lavoro. Poteva comprendere che cosa l’avesse spinta ad allontanarsi da quelle città, quanti ricordi dolorosi aveva potuto lasciarsi alle spalle in quel modo, ma non poteva comprendere per quale motivo avesse scelto di lasciare tutti loro all’oscuro, perché non avesse pensato di chiedere il loro supporto, perché avesse semplicemente deciso di cancellarli, come se non fossero mai esistiti. Ormai quasi niente era rimasto di quel gruppetto di ragazzini che avevano trascorso insieme ogni attimo della loro infanzia. Si era illuso che un’amicizia come quella potesse durare per sempre, che nulla sarebbe mai riuscito a separarli, che non sarebbero mai cambiati. Ma si era sbagliato e i cambiamenti che avevano interessato la sua vita e quella di Roy negli ultimi tempi ne erano la prova evidente. Davvero poco di quel ragazzino era rimasto nell’uomo che ora Sophie si trovava davanti, quasi gli sembrava incredibile che, nonostante tutto, fosse comunque riuscita a riconoscerlo. Cercò di ricacciare indietro tutti quei pensieri negativi, di non soffermarsi su quegli inutili dettagli che, lentamente, avevano minato le fondamenta del suo carattere. Era stato proprio con il suo abbandono che qualcosa aveva iniziato a cambiare in lui, che molte delle sue convinzioni avevano iniziato a vacillare, sino a convincerlo a mettersi proprio su una strada che aveva sempre giurato a tutti che non avrebbe mai voluto intraprendere. La paura della solitudine, era stata quella a guidarlo negli ultimi anni tanto che, se soltanto si fosse voltato a guardarsi indietro, neanche lui sarebbe più riuscito a riconoscersi. Eppure lo specchio gli rimandava sempre indietro la stessa figura. Nessuno si era accorto di ciò che si era spezzato dentro di lui, ad eccezione forse del suo nuovo mentore, l’uomo che era divenuto la sua guida in quegli ultimi mesi, dopo la morte di suo padre. Lo aveva accolto tra le sue fila, nella sua famigli e Kai aveva cercato di fare tutto il possibile, sin da subito, per ripagarlo di quel gesto. Che cosa avrebbe pensato Sophie se avesse scoperto in quali giri era andato a immischiarsi? Ma fortunatamente lei non poteva saperlo, non poteva vedere tutto lo sporco che, in quegli anni, lui aveva sapientemente nascosto sotto il tappeto.
    Gli abbracci e i gesti affettuosi non erano mai stati una pratica troppo diffusa tra di loro, entrambi piuttosto riservati, amanti dei loro spazi personali, restii a far entrare qualcuno di nuovo nella loro vita, ma in quel momento non riuscì a trattenersi. Sentiva il bisogno di stringerla a sé per essere certo che lei fosse reale, che fosse davvero lì, davanti ai suoi occhi. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che l’aveva vista da aver ormai perso la speranza di poterla incontrare di nuovo. La lasciò comunque andare non appena lei gli fece presente che iniziava a stringerla un po’ troppo e che se avesse continuato così lei non sarebbe più riuscita a respirare. Rise appena, divertito dal tono di voce comunque piuttosto allegro di lei. -Te lo sei meritata, dopo tutto questo tempo! - disse lui, come se il suo fosse stato un dispetto e non un gesto dettato soltanto dall’incredibile affetto che continuava a provare per lei. Per quanto fossero passati ormai più di dieci anni lei sarebbe sempre rimasta una delle sue migliori amiche. E ridacchiò ancora, quando lei gli spiegò il motivo di quella borsa. -Che cosa fai esattamente all’Università quindi? - chiese lui, piuttosto sorpreso, cercando di conoscere qualcosa di più sul suo conto. Erano diverse le risposte che avrebbe potuto dargli: poteva essere divenuta una ricercatrice, poteva essere una dottoranda, oppure, beh, una docente ovviamente; tutte sarebbero state senz’altro altrettanto valide e lui non voleva neanche provare ad indovinare da solo. -Sicuramente tuo fratello mi direbbe che questo è un gran complimento, ma immagino che invece dovrei prenderla come un’offesa, non è così? - chiese quindi, prendendola appena in giro, quando lei lo paragonò a Niko. Il rapporto tra i due si era fatto un po’ più stretto negli ultimi tempi, soprattutto negli ultimi mesi, anche se i caratteri abbastanza ostici di entrambi non permettevano comunque loro di dire apertamente di considerarsi amici. Era strano come, in tutti quegli anni, nessuno dei due fosse mai riuscito a fare riferimento a Sophie, entrambi avevano sempre evitato l’argomento con cura, come se fosse un tabù impossibile da rompere. -Potrei dirti che andiamo dallo stesso sarto, ma sarebbe una stronzata. - aggiunse poi, lasciandosi andare ad un’altra leggera risata. Era abbastanza convinto che Nikolaj fosse piuttosto geloso dei suoi sarti personali, di quelle povere anime che si prodigavano nell’esaudire tutte le sue richieste. Lui, dal canto suo, non aveva mai sentito quell’esigenza, ancora faceva fatica ad abituarsi a vestirsi in quel modo tutti i giorni. Colse la sua citazione alla celebre serie tv ma non fece alcun commento a riguardo, limitandosi a scuotere appena il capo con aria divertita. Era incredibile come lei fosse riuscita, in così poco tempo, a metterlo di buon umore.
    Come ben ricordava quello non era esattamente il posto in cui Sophie era solita trascorrere il suo tempo, ma ammise di avere uno sconto sul biglietto e del tempo libero ed era stato quello a spingerla a provarci, con pessimi risultati, chiaramente. Trattenne una leggera risata, cercando di immaginare la faccia che avrebbe potuto fare il curatore del museo se l’avesse sentita parlare in quel modo delle opere esposte in quella nuova mostra, sicuramente le avrebbe rivolto una pessima occhiata e non si sarebbe neanche degnato di proferire una parola, ma per lui era diverso. Per quanto fosse in grado di apprezzare quel genere di arte, non in tutti i suoi risultati ovviamente, poteva anche comprendere che non fosse così semplice riuscire a guardarla con i giusti occhi e quindi ad interpretarla. -Magari ti manderò un biglietto per la prossima mostra e ci andremo insieme, vedremo se riuscirò a fartela apprezzare almeno un minimo. - si offrì, immaginando che non sarebbe stata in grado di rifiutare un invito come quello. Avevano così tanto tempo da recuperare che probabilmente si sarebbe mal volentieri immolata per la causa e lo avrebbe seguito in quel suo esperimento, ovviamente chiedendo qualcosa in cambio per quell’immenso sacrificio. Avrebbe cercato di spiegarle che cosa lui riusciva a vederci.
    Le fece strada verso la caffetteria del museo, lasciandole la scelta del tavolo all’esterno e anche dell’aperitivo, lasciando la sua ordinazione al cameriere, prima di concentrarsi di nuovo su di lei. Era quasi sul punto di inondarla di domande, di iniziare a chiederle di raccontargli un po’ di quello che era accaduto negli ultimi anni, ma fu lei a prendere la parola per prima, scusandosi per essersene andata in quel modo. Lo colpirono quelle sue parole, che non si era certo aspettato così presto e ci mise qualche secondo ad assimilare quelle scuse. -Sono sicuro che tu abbia avuto le tue ragioni per farlo. - disse, mentre il tono della sua voce si faceva appena più scuro e il suo sguardo si abbassava per qualche momento, andando a posarsi sul posacenere che avevano di fronte. -Ma avrei preferito che tu me ne parlassi, che tu condividessi con noi che cosa ti stava succedendo. Sai che avresti sempre potuto contare su di noi, che puoi sempre contare su di me. - terminò, con aria forse sin troppo seria, puntando lo sguardo dritto su di lei nel comunicarle quelle ultime parole. Voleva che lei sapesse che, nonostante tutto, le cose per lui non erano cambiate e che l’affetto che aveva provato per lei sin dall’infanzia non si era mai spento. Lasciò comunque che l’argomento si spegnesse abbastanza in fretta e che lei iniziasse a chiedere di lui, prima di farle qualche altra domanda. -Mah, nulla di speciale… - iniziò lui, assumendo un’aria vagamente pensierosa e cercando di decidere che cosa le sarebbe potuto interessare sapere. -Ho preso una laurea in Economia, qui a Besaid, e un dottorato. Ho viaggiato qua e là in giro per il mondo con mio padre e poi da solo e da qualche mese sono a capo della Göransson Corporation. - continuò, elencando quelle varie cose facendo spallucce, senza prestarvi troppa attenzione. In effetti non era nulla di così incredibile. -Il che mi fa guadagnare un sacco di soldi ma è anche una grandissima scocciatura, la gente non fa che mandarmi email per chiedermi di incontrarmi con assurde proposte. Davvero una gran perdita di tempo. - mormorò quindi, alzando gli occhi al cielo per un momento al solo ricordo dell’episodio di qualche minuto prima. Era proprio avere a che fare con le persone la cosa che più lo infastidiva del suo lavoro. Non fece troppi riferimenti a suo padre, non sapeva se Niko la avesse già aggiornata sulla faccenda, ma in ogni caso iniziare con un “Mio padre è passato a miglior vita” non gli sembrava esattamente la cosa migliore. Se lei avesse avuto particolarità curiosità sul suo conto non si sarebbe messo troppi problemi ad approfondire questo o quell’argomento.
    -Tu invece? Dove sei stata? Raccontami qualcosa. - disse, congiungendo le mani davanti a sé per un momento, prima che il cameriere tornasse al loro tavolo con le ordinazioni. -Com’è stato tornare? - aggiunse ancora, dopo averle dato un po’ di tempo per rispondere alle prime domande. Forse erano tutte curiosità un po’ troppo personali, ma non se la sarebbe presa se lei avesse scelto di non rispondere.
     
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    Con Kai era facile sorridere, tornare ad un periodo più spensierato, in cui non vedeva l'ora di finire di mangiare per poter uscire a giocare con i suoi amici oppure semplicemente a prendere una birra insieme alla sua strana cricca: avrebbe voluto dire "Vi ho pensato tanto in questo periodo di assenza", ma non era possibile, quella sorta di maledizione che circondava Besaid gliel'aveva impedito. Lo sguardo del suo migliore amico si corrucciò appena quando lei gli confessò da quando fosse lì: fu impercettibile, forse davvero millimetrico, mascherato ad arte da un sorriso che, tuttavia, non bastò a farla sentire meglio. Forse avrebbe visto un'espressione delusa in ogni caso, anche qualora non ci fosse stata: su certe cose Sofi soffriva di manie di persecuzione piuttosto evidenti, soprattutto nel caso in cui si sentisse particolarmente in colpa e, in quel caso, di colpe ne aveva a iosa. Quanto fu piacevole non pensarci più, per un attimo, sentendo le braccia di Kai attorno al corpo? Quell'abbraccio così stretto le tolse letteralmente il fiato, ma la rese così contenta da non poterlo esprimere a parole: non era proprio capace di fare i conti con i sentimenti, non per bene, non come avrebbe desiderato poterlo fare con coloro che, nonostante tutto, continuava ad amare con tutta se stessa.
    «Hai ragione, hai ragione.» gli rispose, sollevando entrambe le mani in segno di resa, con un sorriso sul viso, appena rabbuiato per la realtà che le era piombata addosso bruscamente. Il discorso, nonostante tutto però, non poté che apparire naturale e spontaneo, come se davvero non si fossero visti per una manciata di minuti piuttosto che per anni ed anni: tanto era cambiato, ma quello, il loro rapporto, sembrava l'unica certezza rimasta costante nel tempo. Probabilmente anni prima non avrebbe mai pensato di poter girare conciata in quel modo, con una borsa tanto scomoda, eppure eccola là che mostrava fiera una borsa tanto femminile da non appartenerle quasi: «Insegno lettere, come supplente, ma devo dire che non mi dispiace.» gli spiegò, sollevando le spalle. Non l'aveva ancora detto a voce alta, fu strano pensare che tutto sommato Jørgen ci avesse preso e che non fosse poi così male, nonostante i suoi pregiudizi su se stessa: gli studenti erano attenti, spesso le scrivevano per chiarimenti e le parlavano senza troppi problemi, portandole rispetto ma non facendola apparire come una delle vecchie bacucche che tanto detestava quando stava a scuola. Era un bel passo avanti, soprattutto considerato come aveva varcato la porta di quell'Università solo due mesi prima. «E non sono nemmeno così mediocre come temevo!» aggiunse, lasciando che i suoi pensieri fluissero spontanei dalle labbra, con un leggero sorriso, quasi un'espressione fiera di sé. Sì, era davvero strano pensare di non esser poi così malaccio in qualcosa in cui si credeva totalmente incapace: Se lo raccontassi ora a William non ci crederebbe. pensò, sentendo il suo ego gonfiarsi appena un pelino in più. Era una bella vendetta verso un ex ragazzo che tutto desiderava, fuorché il suo benessere: "Bel ragazzo di merda" avrebbe commentato se non si fosse trattato di lei, ma magari di una sua amica. Due pesi e due misure: c'era il mondo e c'era lei, distinti, separati come da una barriera inscindibile. Ovviamente, nel mondo c'erano poi altre sottocategorie importanti: quelli che aveva a cuore ed il resto, tutto ciò che non la riguardava insomma. «Esaaaatto!» rispose, ridacchiando appena. Abbassò il capo, rimanendo con gli occhi su di lui, mentre le sue labbra si aprivano in una leggera risata, pensando a come fossero diversi anche i modi in cui Niko vedeva se stesso e lei vedeva lui. - Potrei dirti che andiamo dallo stesso sarto, ma sarebbe una stronzata. - aggiunse in seguito Kai, facendola annuire di rimando: «Non lo metto in dubbio: sono piuttosto sicura che faccia venire un sarto specializzato in un tipo di ricamo particolare che soltanto lui può indossare, facendolo emigrare in Antartide per non essere ritrovato da nessun ammiratore del suo inconfondibile stile!» gli rispose, sottolineando come davvero fosse unico lo stile del suo gemello, scuotendo in seguito la testa, ironicamente severa. «Secondo me se mi impegno riesco persino a trovare qualche contratto che possa inchiodare il pover uomo!» continuò, farneticando. Nell'invenzione di storie strane Sofie era tra le migliori, a volte la sua fervida fantasia si divertiva più del previsto, sia in ciò che le piaceva, sia nel parlare di ciò che invece proprio non le andava a genio, come l'arte contemporanea per l'appunto: non ebbe alcun pelo sulla lingua nell'esprimere la sua opinione e, come immaginava, Kai non se la prese affatto, anzi, si propose di accompagnarla alla successiva mostra per fargliela apprezzare almeno un po'.
    «...e dopo andremo a bere una birra all'Egon per dimenticare questi deliziosi pezzi d'arte che, sicuramente, appenderò in giro per il mio appartamento.» continuò, scherzando sulla mostra, ma senza per questo rifiutare. Era un invito vero il suo e sperava che venisse colto: le avrebbe fatto davvero piacere ritrovarsi con lui al pub, magari cercando di recuperare quanto più possibile il tempo perso. Cominciarono subito a farlo, ma di certo non poteva bastare un caffè o due per poter raccontare cosa fosse accaduto in tutti quegli anni passati separati l'uno dall'altra: ritrovatisi seduti fuori la caffetteria del museo, Sofie pensò bene di togliersi il primo sassolino dalla scarpa, facendo quel che per lei era più duro d'ogni altra cosa. Quanto si stava scusando in quel periodo ormai non lo sapeva nemmeno lei, ma sentiva davvero di doverlo fare, di dovergli qualcosa di più di un aperitivo.
    Perché siete tutti così comprensivi!? pensò, mentre Kai aveva cominciato a risponderle. Lei, al contrario, non disse nulla, aspettò che ebbe finito il discorso per schiudere ancora una volta le labbra: quasi sentì una fitta al cuore nell'udire le successive parole, una fitta positiva, ovviamente. Anche da bambina, quando si sentiva sola, sapeva di poter contare sulla gang, sui suoi amici che continuavano a starle accanto nonostante tutto, nonostante tutta la mole di problemi che la bella Residenza Mordersønn portava con sé insieme alla famiglia che la popolava. «Lo so rispose, a voce più bassa, come una sorta di pensiero più dolce di quel che intendeva: le uscì spontaneo, dal cuore. «E' stato tutto così veloce a quel tempo e mi sono comportata da perfetta idiota.» disse, in seguito, a voce stavolta più alta. Sospirò, prese un respiro profondo, e tornò a guardarlo e a parlare ancora: «Quando sentii della separazione di Niko e Jakob quasi impazzii: mi assentai anche a scuola, per un po'. Non capivo perché avessero scelto di fare questa cosa senza dirmelo: Niko mi ha sempre detto ogni cosa, che mi piacesse o meno, eppure per l'operazione nulla.» spiegò, sollevando le braccia e poggiando i gomiti sul tavolo. Senza dubbio il gesto fu poco carino ed elegante, ma comodo abbastanza: poggiò il mento sulle mani e, senza distogliere lo sguardo da Kai, si fece forza per continuare. Doveva dirgli qualcosa, glielo doveva. Non faceva che ripeterselo, come quando si era ritrovata a casa di Niko solo qualche tempo prima, riprendendo pian piano consapevolezza di sé e del suo passato, parzialmente. «Ed io ho fatto lo stesso, tacendo su tutto quello che mi passava per la testa. Quando poi mia madre mi ha chiesto di andare via... Non lo so, Kai, è stato come se non potessi dirle di no. Non so nemmeno come Niko mi abbia... perdonata? Non so se l'abbia fatto totalmente...» continuò, come un flusso di coscienza. Quando cominciava a parlare di sé, disabituata com'era, finiva sempre col non avere un freno: tutto o niente, così era la sua meccanica. «In ogni caso mi ha rivoluta con sé nella sua vita, per qualche motivo, e mi ha anche aiutata a ricordarmi tutto, anche di voi, sebbene solo da poco tempo. Abbiamo un sacco di foto che devo farti assolutamente vedere.» mormorò, lasciandosi sfuggire un leggero sorriso. Beh, aveva detto tutto, adesso sperava solo che Kai non alzasse i tacchi e la lasciasse lì: non lo credeva ma, qualora avesse deciso di farlo, l'avrebbe rispettato ed accettato.
    Il discorso che in seguito intrapresero fu decisamente più leggero ma non per questo meno interessante: con ancora il viso poggiando sulle mani, Sofie ascoltò tutto quello che le stava venendo raccontato: «"Guido una multinazionale che fattura miliardi all'anno, ma sai, niente di speciale"» lo prese in giro, canzonando la sua voce ed il suo sguardo, scuotendo in seguito la testa. «Che idea malsana che hai di "speciale"» gli disse, alzando appena il sopracciglio. Doveva esser dura cavarsela da solo a capo di una grande azienda come quella, soprattutto considerato che, almeno quand'erano ragazzi, non sembrava nemmeno entusiasta di dover intraprendere quel tipo di carriera alla morte del padre: era venuto a mancare dunque? Non se la sentì di domandare, non subito almeno, se lo appuntò mentalmente pensando di andare a domandare a suo fratello magari in seguito o, perché no, cercare online qualche informazione.
    «Io non ho fatto davvero nulla di speciale.» gli disse, quando ebbe finito. «Siamo andati a vivere ad Oslo, dove ho fatto poi l'Università: ho studiato Lettere moderne. Ho lavorato come giornalista per una rivista, sotto consiglio del mio ragazzo dell'epoca. Che posto di merda quel giornale... Frivolo fino allo sfinimento, se leggessi i miei articoli nemmeno mi riconosceresti!» gli spiegò, scrollando le spalle, quasi a volersi scrollare di dosso anche quel periodo. «Consiglieri fraudolenti 2.0, Dante sarebbe fiero di lui.» aggiunse, senza troppo rancore ormai. «Tornare è stato... bello.» gli disse, ponderando appena l'aggettivo da usare. «Ci credi se ti dico che ho rivisto Niko perché mi sono infilata ad Eventyr House come una ladra? Qualche settimana fa quel poveraccio stava aspettando la pizza e si è trovato me in giardino che guardavo ammirata quella bella casa.» Nel raccontare, sollevò una mano e la poggiò sulla fronte, mentre sorrideva appena: in effetti adesso che lo raccontava era piuttosto ironico come si erano svolte le cose. Il cameriere intanto, fra tutto quel parlare, colse quel momento per poggiare sul tavolo quanto avevano ordinato, accompagnandolo con qualche stuzzichino di vario tipo, augurando loro buon appetito. Prese, quasi come se la stesse rubando, una patatina dal piattino, mangiandola rapidamente.
    «Comunque, pian piano mi ha aiutato a ricordare come ti dicevo. Sto cercando di riprendere tutti i legami che avevo, anche se a piccoli passi: ho rivisto all'Università anche Nora, la cugina di Roy, te la ricordi?» domandò, approfittando di quel breve momento di silenzio per prendere anche delle noccioline. «Se non ci fossimo beccati qui forse anche tu mi avresti vista fra le siepi di casa tua, con tra le mani un sacchetto con birra e panini di benvenuto.» disse, con un sorriso, facendo un sorso della bibita che aveva davanti. Non era poi così assurda come immagine!

    Edited by Nana . - 28/11/2018, 20:23
     
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    Cercò di discolparsi per quello slancio affettivo un pò troppo marcato, per quella stretta un po’ troppo forte in cui l’aveva incastrata, senza neanche chiederle il permesso. Non voleva neanche chiedersi che tipo di libertà potesse prendersi con lei, non voleva pensare che qualcosa fosse cambiato e che l’amicizia che li aveva legati si fosse ormai spenta del tutto. Non voleva neanche formulare l’idea che, ora che si erano finalmente rincontrati, lei volesse stargli lontana. Ascoltò con molto interesse, senza perdersi neanche una parola, quando lei gli disse di essere divenuta una docente di lettere, anche se per il momento soltanto come supplente. -Wow! Quindi ti ritrovi un sacco di ragazzini costretti ad ascoltare quello che dici! Poveracci, non li invidio di certo! - mormorò, con un sorrisetto irriverente, sollevando appena l’angolo delle labbra per smorzare una leggera risata. In realtà credeva che dovesse essere piuttosto brava nel suo lavoro, aveva sempre pensato che Sophie fosse una ragazza brillante e che sarebbe potuta arrivare ovunque se soltanto lo avesse voluto. E così era stato, in effetti, dato che non era da tutti insegnare a quell’età, sebbene ancora non avesse una posizione definitiva. -Penso che mi imbucherò ad una delle tue lezioni prima o poi, sai, giusto per poter avere un giudizio obbiettivo. - continuò poi, senza far comprendere se la sua fosse una proposta seria o meno. Era piuttosto curioso di vederla in quel ruolo, di scoprire quanto fosse cambiata rispetto alla ragazzina taciturna che lui ricordava. Sembrava decisamente più spigliata, più aperta dei confronti del prossimo e gli dispiaceva di non essere stato lì per poter vedere i suoi cambiamenti, per poterla vedere diventare la donna che era ora. Aveva un’aria così fiera e sicura, si chiedeva quante cose dovesse essersi perso, quante di quelle avrebbe potuto recupero.
    Non gli sembrò così strano sentirsi paragonare a Niko in quel momento. In quegli anni si erano avvicinati più di quanto lui avrebbe mai potuto credere ed erano divenuti simili, sotto certi aspetti. Due uomini a capo di imprese ben più grandi di loro, che cercavano di trovare la loro strada e si ergersi in mezzo alla folla, a modo loro. Per Kai era stato piuttosto difficile ambientarsi all’interno di quel nuovo ruolo che tanto gli stava stretto, fingere di apprezzare le inutili riunioni che lo trattenevano in ufficio più del tempo che lui era in grado di sopportare, ma era l’unica cosa che gli fosse rimasta di suo padre, il suo ultimo lascito e si era reso conto di non essere in grado di rinunciarvi e mettere tutto da parte. Quello che aveva sempre desiderato era soltanto un po’ di sostegno da parte sua, la sicurezza di essere apprezzato, amato, qualcosa che non era mai riuscito ad ottenere davvero. Ma si sentiva come se, portando avanti l’impresa di famiglia dopo la sua morte, avesse la possibilità di onorare la sua memoria e tenerlo in vita, in qualche modo. Era con questa idea che, nonostante il fastidio che provava tutti i giorni, continuava a vestirsi in maniera impeccabile per andare a lavoro e a fare del suo meglio per mantenere impresa una multinazionale di quelle dimensioni. Non aveva mai neanche creduto di poterne essere in grado e invece, contro ogni aspettativa, era ancora lì e l’impresa di reggeva ancora sulle sue solide gambe. -Quell’uomo avrà scoperto troppo tardi in quali terribili guai era appena andato a cacciarsi! - continuò, in risposta alle sue parole, con tono vagamente melodrammatico, per cercare di ingigantire le sofferenze di quell’ipotetico sarto. In realtà non sapeva se quella figura esistesse davvero. -Devi assolutamente cercarlo, ho sempre voluto saperlo. - le chiese quindi, con uno sguardo luminoso sul volto, quando lei asserì di essere sicura che, scavando tra i documenti presenti nella loro abitazione, sarebbe sicuramente riuscita a trovare quel famoso contratto. Gli era mancato quel senso di complicità, quella continua voglia di scherzare. La sua vita si era fatta decisamente più seria negli ultimi tempi, ma era comunque bello rivivere almeno un minimo di ciò che aveva provato quando era più piccolo.
    -Due birre e l’accordo è concluso! - mormorò poi, allungando una mano verso di lei affinchè la stringesse per sigillare l’accordo, quando gli disse che, se mai lo avesse seguito ad una mostra di arte contemporanea, poi sarebbero dovuti andare a rifugiarsi all’Egon. Cercò di farle comprendere quanto ancora tenesse a lei, spiegandole che, sebbene la sua partenza lo avesse ferito, lui ci sarebbe sempre stato per lei, se soltanto lo avesse voluto. Sorrise appena quindi, quando lei affermò di saperlo e di essersi semplicemente lasciata sopraffare dalla velocità degli eventi. Non poteva neanche immaginare come si fosse sentita quando aveva scoperto della decisione dei suoi fratelli, quanto potesse essersi sentita tradita per non essere stata chiamata in causa. In parte poteva comprendere che i ragazzi pensassero che quella fosse soltanto una loro decisione, una scelta che dovevano prendere da soli, senza farsi condizionare da nessun altro, ma lei era la loro unica sorella e doveva sempre aver amato entrambi allo stesso modo. -Immagino che non sia stato semplice neanche per loro. - disse, esprimendo più che altro un suo parere personale. Lui e Niko non avevano mai parlato dell’operazione, quell’argomento non si era mai neanche affacciato nelle loro conversazioni. Kai non pensava che fossero affari suoi, né di dover chiedere una spiegazione, ma per Sophie era diverso. Ascoltò le sue spiegazioni, le sue motivazioni, il modo in cui aveva semplicemente acconsentito alla richiesta di sua madre senza neanche stare a pensarci, come se non avesse avuto altra scelta e di come Niko, al suo ritorno, le avesse chiesto di tornare da lui. Era stato proprio il fratello a mostrarle qualche vecchia foto che le aveva piano piano permesso di ricordarsi di tutti loro. -Immagino che siano tutti reperti storici che devono essere tenuti accuratamente nascosti. - immaginò, quando lei gli disse che c’erano alcune foto che doveva assolutamente fargli rivedere. Doveva sicuramente trattarsi di qualche momento buffo che non avrebbe aiutato molto la sua immagine a rimanere salda nel mondo degli affari se fosse stata resa pubblica, ma erano comunque bellissimi ricordi che avrebbe custodito con estrema cura e dai quali non si sarebbe mai voluto separare.
    Gli fece il verso, con aria sin troppo divertita, quando lui cercò di minimizzare l’importanza della carriera che aveva appena intrapreso. In effetti, sino a quel momento, l’aveva sempre visto maggiormente come un dovere che come un’opportunità. Tutto gli era semplicemente capitato tra le mani senza che riuscisse a respingerlo e quando si era voltato indietro era ormai troppo tarsi per lasciar perdere. -Oh beh, diciamo che non è stata del tutto una mia scelta e che ancora non mi sono del tutto abituato all’idea. - le rivelò, ridacchiando appena, quando lei gli disse che lui doveva avere un’idea molto strana di “speciale”. Probabilmente molte persone avrebbero fatto i salti mortali per trovarsi dov’era lui in quel momento, per avere il suo lavoro, ma lui non era troppo convinto che quella fosse davvero la strada giusta da intraprendere, che non si sarebbe pentito, un giorno, di averla presa tanto alla leggera. Si accese un’altra sigaretta mentre lei gli raccontava del suo periodo ad Oslo, dell’università, della rivista per cui aveva lavorato. -Oh beh, questa si che è una notizia, appena tornò a casa cercherò di scovare qualche bellissimo articolo a suo nome. - borbottò, ridacchiando, cercando davvero di immaginare che cosa potesse esserci scritto. Era incredibile che fosse stata a Oslo per tutto quel tempo. Quante volte si era recato in quella città insieme a suo padre e poi da solo? Quante possibilità avevano avuto di incrociarsi senza tuttavia mai riuscirci davvero? era sempre stata lì, ad un passo, e lui non lo aveva mai saputo. Il suo sguardo si fece impercettibilmente più serio quando lei gli parlò del suo “ragazzo” dell’epoca. Sia lui che Roy erano sempre stati piuttosto protettivi nei confronti dei loro affetti e quindi un leggero moto di gelosia lo aveva invaso a quel punto. -Il ragazzo di allora? E quello di adesso che tipo di consigli ti da? - le chiese, sfoderando un sorrisetto malizioso, cercando però di capire seriamente come fosse messa la sua storia sentimentale in quel momento. Se c’era qualcuno nella sua vita avrebbe fatto il possibile per conoscerlo e per darle la sua opinione a riguardo. Sapere però che Sophie si era imbucata nella loro vecchia casa come una ladra, spinta da chissà quale curiosità, cancellò dalla sua mente tutti gli altri pensieri. Cercò di immaginare la scena, di immaginare la faccia di Niko nel ritrovarsi davanti sua sorella che girava con aria confusa intorno alla casa. -E’ un miracolo che Niko non ti abbia fatta arrestare per il disturbo della sua importantissima quiete. - la prese un po’ in giro, raddrizzando appena la schiena e cercando di fare il verso a suo fratello mentre diceva quelle poche parole. in realtà immaginava che, dopo un primo momento di confusione, dovesse essere stato felice di rivederla e di sapere che, nonostante la sua memoria non fosse ancora tornata, qualcosa l’avesse spinta a tornare a casa. Annuì, quando gli chiese se ricordava Nora, per poi scuotere appena il capo, con aria divertita, quando gli disse che, probabilmente, si sarebbe fatta trovare fuori da casa sua con della birra e dei bambini. -Credo che mia madre non l’avrebbe presa troppo bene. - rivelò, lasciandosi andare ad una grossa risata, prima di appoggiarsi meglio contro la sedia. -Non abito più lì, ti farò avere il mio nuovo indirizzo, in caso prima o poi tu voglia portare davvero quelle birre. - aggiunse, facendole un leggero occhiolino. Erano anni ormai che aveva abbandonato la casa di famiglia, preferendo trasferirsi in un posto tutto suo, dove poter avere maggiore libertà. -Roy è uscito di prigione, è tornato anche lui in città, giusto qualche settimana fa. - le spiegò, dato che lei lo aveva citato. Immaginava che lei doveva essersi persa i suoi ultimi sviluppi e che Niko, non sapendone niente, non potesse avergliene parlato. -Penso che verrà a stare da me per un po’, quindi potremmo farci una rimpatriata in quel periodo. - le propose, mentre mandava giù qualche altro sorso di birra e mangiucchiava alcune patatine. -Sono stati anni complicati per lui, per entrambi, in realtà. - mormorò, decidendosi a prendere coraggio e cercare di iniziare quel discorso, mentre abbassava appena il capo. Parlare di se stesso non gli era mai piaciuto molto, non doveva essere una novità per lei. -Mio padre è morto l’anno scorso, è stato una cosa abbastanza improvvisa, neanche tutti i suoi soldi sono riusciti a salvarlo. - disse, sforzandosi di tirare fuori un mezzo sorriso divertito. Quando gli aveva chiesto di passare a casa, per dirgli di persona della sua malattia, non ci aveva creduto. Aveva pensato che fosse soltanto uno stupido scherzo per cercare di riavvicinarlo, una gran bella trovata pubblicitaria. Scoprire la verità lo aveva turbato e lo aveva spinto sull’orlo di un precipizio dal quale ancora non era riuscito a uscire del tutto. -E’ stato difficile affrontarlo da solo, Roy era in carcere e non ho voluto parlargliene troppo, è così che sono finito a capo della multinazionale. Un giorno ro libero di fare tutto quello che volevo e quello dopo mi sono ritrovato in ufficio a firmare un sacco di scartoffie. - continuò, con un mezzo sorrise triste, al ricordo di quei giorni. Non le rivelò della setta, di come avesse perso il controllo della sua particolarità in quel periodo e avesse avuto bisogno di un notevole aiuto per rimettersi in piedi. Non aveva mai apprezzato molto le proprie debolezze e faceva sempre fatica ad ammetterle davanti a qualcuno. -In realtà comunque è soltanto una grandissima scocciatura: una serie infinita di riunioni, tantissime persone che pretendono un po’ del tuo tempo. Sono così stufo che vorrei già la pensione. - terminò, con aria melodrammatica, cercando di smorzare un po’ della tensione che aveva rimesso nell’aria parlando di suo padre. Non erano mai stati molto legati, non c’erano mai state giornate padre-figlio tra di loro, eppure, nell’ultimo periodo della sua vita, si era comunque sforzato di cercare di tenere in piede un rapporto che non aveva mai poggiato su delle vere basi.
     
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    «Una cosa del genere, sì.» gli rispose, annuendo appena alla spiegazione che le fu data: poveracci sì, doveva esser piuttosto noioso sentirla parlare e blaterare della qualunque. Ancora, se ci pensava, rimaneva stranita dal fatto che non scappassero in massa dall’aula sentendola spiegare questo o quell’altro autore: non era così male come si era sempre detta e come, prim’ancora di provarci, aveva creduto potesse essere. Certo, da qui al far assistere a qualcuno non dell’ambiente, qualcuno che la conosceva come la ragazza di sempre, c’era un bell’abisso: scosse categoricamente la testa di fatto alla proposta di Kai, sperando di tutto cuore di non vederlo fra i banchi di scuola, giusto per non sentirsi a disagio, cosa che poteva capitare solo con lui, con suo fratello o comunque con coloro che aveva a cuore. «Non ci provare per nessun motivo al mondo!» gli disse, continuando a scuotere il capo, socchiudendo appena gli occhi per un attimo, fino a quando almeno non si rese conto dell’inutilità di quanto gli stava chiedendo: «Almeno non ti far vedere…» ritrattò, con un lieve sorriso quasi compassionevole, sciogliendolo in una risata leggera qualche attimo dopo. Era davvero così facile scherzare in quel modo… Più parlavano e più si sentiva una perfetta idiota a non essersi fatta sentire prima, ad essersene andata in quel modo sciocco senza dire niente, né a lui né agli altri: oramai era tutto acqua passata, non poteva piangere sul latte versato, non l’avrebbe mai fatto ma non poteva comunque evitare di sentirsi terribilmente stupida. «Oh, senza alcun dubbio. Credo che darò inizio ad un operazione di salvataggio infatti: giustizia per il sarto di Nikolaj!» continuò lei, sulla falsa riga melodrammatica già utilizzata da Kai. Per quanto scherzassero c’era sempre un briciolo di timore che potesse davvero fare cose del genere: era un tipo talmente possessivo che, in fondo, non ci sarebbe stato da stupirsi. Magari non in Antartide. commentò mentalmente Sofie, tenendo per sé quel pensiero, evitando di infamare ulteriormente suo fratello: poveraccio anche lui, era tornata da poco e già eccola che riprendeva a prenderlo in giro insieme ai suoi amici di sempre. Perché erano ancora amici, giusto? Ma sì, sì che lo erano. Forse era più un modo che utilizzava per autoconvincersi, ma non voleva accettare l’idea d’aver compromesso per sempre anche la sua amicizia con la gang, proprio non ce la faceva a sopportare anche questo, d’esser stata così tanto distruttiva.
    «Andata!» rispose qualche attimo dopo, afferrando saldamente la mano di Kai con un sorriso. La sua voce tradiva forse un po’ troppo entusiasmo, ma era normale: era forse la prima volta dopo tanto tempo che sentiva d’essere davvero tornata alla “normalità”, con tutti i pezzi al proprio posto. Certo, non erano tutti, non ancora, ma era un ottimo inizio, uno dei migliori forse. Il suo sguardo si rabbuiò nel momento in cui, proprio per evitare di rovinare tutto, si mise a dare tutte le spiegazioni del caso, con non poca difficoltà: diavolo, era assurdo che nell’ultimo periodo stesse parlando così tanto di sé e quasi sentisse l’esigenza di doverlo fare. Non era da lei, non dalla “solita” lei almeno: forse aveva davvero imparato qualcosa dagli errori del passato. «Ne dubito. Mi sarebbe piaciuto esserci di più per loro, ma forse ero troppo egoista e bambina al tempo.» concluse, con un sorriso mesto e lo sguardo perso all’interno del drink che aveva davanti. Giocò appena col ghiaccio che vi stava all’interno, facendolo tintinnare contro il vetro del bicchiere, sollevando poi lo sguardo con un’espressione meno severa: «Per ora un paio le ho messe in casa: non sarà mica un problema?» rispose, ironica, ma nemmeno del tutto. Le aveva davvero affisse su una piccola bacheca che teneva in cucina, accanto alle quali vi erano post e bigliettini utili, tipo quello della pizzeria vicino casa e del ristorante cinese che consegnava da asporto: poteva vederle sempre e, chissà, magari riuscire pure a ricordare qualcosa in più giorno dopo giorno. Erano così divertenti e carine che non era riuscita a non rubarle da quell’album per portarle a casa. «Non le pubblicherò in giro, tranquillo.» aggiunse poi, un po’ più seria, immaginando che dovesse esser importante per lui mantenere un immagine seria ed irreprensibile, soprattutto considerato il lavoro che faceva. Poteva capirlo, avendo visto suo nonno ed, in seguito, sentito diversi membri dello staff fare le medesime ramanzine a Niko che, al contrario, pareva non avere molto a cuore la sua posizione nell’azienda: le sue ultime foto su instagram ne erano un lampante esempio, ma era per questo che lei lo apprezzava dopotutto.
    «Non so se sono cose a cui ci si riesce ad abituare, sai?» gli disse, inclinando appena la testa. Lei non l’avrebbe fatto almeno se si fosse trovata nella medesima situazione, ne era certa: era stata una fortuna che qualcun altro, di nettamente più portato di lei, avesse preso le redini della famiglia e si fosse fatto carico di tutto quel mare di responsabilità e doveri. Economia… Ma come avrebbe mai potuto fare a gestire un tale impero una come lei?! Era nettamente più brava – e più portata – verso una carriera più “artistica”, per così dire, sebbene i suoi precedenti non fossero così eccelsi: «Se hai del tempo da buttare ti basta andare sul Putsji… Meraviglioso giornale norvegese guarda, alto giornalismo.» commentò, alzando di poco le spalle con un’espressione disgustata. Se solo si fermava a riflettere a quanto tempo aveva sprecato lì dentro le venivano i brividi: si era lasciata abbindolare da una comfort zone che di comfort non aveva proprio niente, se non forse la comodità di qualcuno con cui condividere una casa e, di conseguenza, le bollette e tutte le spese del caso.
    «Quello di adesso?» domandò, per un attimo perplessa. Il tono utilizzato da Kai pareva quasi malizioso, ma lei non colse immediatamente il segnale: dopo un paio di secondi però sorrise, come proprio fosse una giovane innamorata alle prese col primo amore. Afferrò dunque dalla tasca il cellulare e sbloccò lo schermo: «Con lui è diverso. Mi consiglia di rimanere a casa tutti i giorni della mia vita e di amarlo per sempre.» concluse, lasciando la presa sullo smartphone e facendolo scivolare in mano a Kai, permettendogli di vedere a cosa si stesse riferendo. Come sfondo, aveva una foto in cui vi stavano lei, in un elegante pigiama di tuta e felpa grigio topo, con in braccio una palla di pelo nero dagli occhi blu: il suo gatto, Jak. Senza nemmeno rendersene conto l’aveva chiamato come il nomignolo che dava a suo fratello che, in comune a quel micio, aveva lo stesso colore d’occhi: la mente a volte faceva scherzi davvero strani.
    «Ti presento il mio ragazzo, Jak: è molto possessivo, non ama condividermi con nessuno.» aggiunse, in maniera più seria, scherzando chiaramente ma con un fondo di verità. Jak aveva davvero detestato William con ogni fibra del suo corpo: non si era mai comportato male con nessuno, eccetto che con lui e, di fatto, si era trattato di una vera e propria convivenza forzata fra i due. Doveva essersi sentito meglio quando si era diretta in fretta e furia via da quella casa per andare a vivere in un posto differente ma che, per quanto gelido e solitario, aveva un importante lato positivo: il caro e vecchio Will non c’era.
    «Tu invece?» chiese, poggiando la guancia sulle mani, tenendo il capo leggermente inclinato, senza però distogliere lo sguardo da lui. «Puoi vantare una salda relazione come la mia?» domandò, sinceramente curiosa di sapere se quel lato di lui fosse o meno cambiato. Tra tutti, era l’unico che non aveva mai visto – insieme a lei chiaramente – cercare di instaurare una relazione che fosse davvero duratura, che avesse qualcosa che non durasse un giorno o due: per lei c’era stata l’eccezione ad Oslo, eccezione che forse se avesse vissuto a Besaid non avrebbe proprio avuto luogo. Era una Sofie diversa quella, una Sofie decisamente meno riservata di quanto non fosse nella realtà, senza una serie di scheletri nell’armadio che, invece, lì non poteva che portare sempre con sé.
    «Beh, mi ha aperto seminudo e mi ha invitata ad entrare… Teoricamente avrei potuto prenderlo per un maniaco e scappar via in lacrime!» gli rispose, con una lieve risata a sua volta. Che scena assurda.. Più ne parlava più appariva surreale: se solo non fosse stata lei, ne era sicura, l’avrebbe davvero arrestata per disturbo alla quiete pubblica, altro che mangiare una pizza insieme e dividere drink e sigaretta, come al contrario propose a Kai. «Non credo di esserle mai piaciuta più di tanto in effetti.» confessò, socchiudendo appena gli occhi in una smorfia vagamente divertita. Che poi questo non l’avrebbe comunque fermata dall’andare a casa sua, era un’altra storia: fu lieta di sentire che avesse lasciato la casa di famiglia ed annuì alla sua proposta di portare delle birre. Non stava scherzando, le andava davvero di passare una serata come ai vecchi di tempi, magari chiamando anche tutti gli altri: aveva voglia quasi – quasi eh, rimaneva pur sempre anaffettiva – di abbracciare Jona e Roy. Aveva saputo di quest’ultimo da Niko ed era rimasta un po’ perplessa nello scoprire del suo vissuto e di tutto quello che si era persa: senso di colpa a go go, ma questo non poteva essere una novità. «Volentieri, pensavo alla stessa cosa!» rispose, entusiasta all’idea di una rimpatriata. Lo sguardo di Kai, tuttavia, si rabbuiò appena dopo qualche parola e non fu complicato capire il perché: le raccontò del come fosse finito a capo della multinazionale, di cosa avesse passato durante quegli anni e di quanto fosse stato solo. Non aveva avuto nemmeno Roy accanto, troppo altruista nei confronti del suo amico per potergli dare un altro pensiero. Sofie allungò una mano verso quella di Kai, gelida, come sempre, inclinando il capo per ribeccare il suo sguardo: «Non hai ancora dato fuoco a nulla però, immagino che tu sia stato più bravo di quel che credessi.» gli disse, cercando di smorzare a sua volta la tensione generata. Sorrise e strinse di poco la presa sulla dita del ragazzo, aggiungendo: «Anche io adesso voglio un po’ del tuo tempo: se mi lasci il numero della tua segretaria fisso un incontro in settimana. Cena, pranzo, colazione, quello che ti pare!» mormorò, sperando che, con quella frase, fosse chiaro quel che aveva in mente. Non se ne sarebbe andata, non più, non aveva intenzione di perdere ancora una volta quel che aveva e che, per qualche strano motivo, non era ancora scomparso.
    «Devo pur sempre farti conoscere la mia dolce metà, non credi?» domandò, allargando il suo sorriso e lasciando qualche attimo dopo la presa sulla mano di lui. Dopotutto, era pur sempre la relazione più duratura ed importante che avesse mai avuto.
     
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    Scherzò un po’ sul suo lavoro, cercando di punzecchiarla per comprendere quanto la Sophie che aveva davanti fosse diversa dalla ragazzina con cui aveva trascorso tutta la sua infanzia e la sua adolescenza. Sperava che, nel profondo, tutto fosse rimasto esattamente com’era, nonostante in apparenza lei apparisse diversa: più grande, più sicura, più tranquilla, più donna. Sembrava stare bene, felice e sebbene lo ferisse il fatto che lei fosse riuscita a raggiungere tutte quelle cose da sola, senza il loro supporto, non riusciva comunque a fare a meno di essere contento per lei. Rise, quando lei cercò categoricamente di negargli di presentarsi alle sue lezioni, per poi arrendersi all’idea e chiedergli, almeno, di non farsi vedere. -Prometto che passerò del tutto inosservato. - disse, portandosi una mano sul cuore, come a farle una promessa solenne che non avrebbe sciolto per nessun motivo al mondo. Non sapeva se sarebbe davvero riuscito a passare all’Università di Besaid per cercarla e intrufolarsi ad una delle sue lezioni, ma sicuramente ci avrebbe provato. L’avrebbe aspettata all’uscita, incapace di perdersi l’occasione di commentare quanto aveva appena visto, proprio come avrebbe fatto un ragazzino. Quando stava con i suoi amici si sentiva ancora la persona di un tempo, altrettanto irresponsabile e giocherellone ed era proprio per questo che amava tanto quei momenti, gli permettevano di staccarsi, almeno per qualche ora, dall’uomo che si era costretto a diventare.
    Terminò il suo drink mentre programmavano uscite future, giusto prima che lei cercasse di dargli qualche spiegazione riguardo la sua partenza e il suo ritorno e il modo in cui, lentamente, stava cercando di riacquistare la sua memoria. -Per ricordarti quanto eravamo affascinanti? - chiese, continuando con quell’aria da sbruffoncello che tanto gli si addiceva, fingendo che la sua rivelazione non lo avesse colpito. Era felice che lei avesse deciso di appendere alcune delle loro foto in giro per la casa, probabilmente per aiutarsi a recuperare la memoria e cercare quindi di riprendere i contatti con loro, anche se in senso figurato. -No, ti conviene evitare, se non vuoi ritrovarti una schiera di avvocati agguerriti alle calcagna. - rispose poi, annuendo tra sé in maniera piuttosto seria, come un vero uomo d’affari, prima di scuotere il capo e ridacchiare. -Scherzo, puoi farne quello che vuoi, non sarebbe davvero un problema. - aggiunse poi, un po’ più serio, rivolgendole un sorriso più dolce e sincero. Lui non sapeva dove fossero andati a finire i suoi album dei ricordi, sua madre doveva averli nascosti da qualche parte in cantina, per evitare che il suo passato ribelle potesse tornare a galla e farlo tornare sui suoi passi. C’era così tanto materiale compromettente sul suo conto in giro per il web che qualche foto della sua infanzia non avrebbe certo potuto peggiore le cose. -Temo di non avere molte scelte, o mi abituo o finirò con l’impazzire. - ridacchiò poi, riferendosi al proprio lavoro. Era trascorso circa un anno ormai e lentamente iniziava a divenire tutto più semplice, anche se c’erano ancora diverse cose che non riusciva a farsi andare a genio. Avrebbe volentieri pagato qualcuno per evitare di trovarsi ad avere a che fare con certi individui ma sapeva che era parte del lavoro e che non poteva sempre delegare tutto, anche lui doveva prendersi le sue responsabilità e metterci la faccia. C’erano dei giorni in cui doveva mettere mano a tutta la sua pazienza, per evitare di dare di matto davanti a un socio o a un cliente, ma ci teneva a conservare il buon nome di suo padre e non fare troppi danni.
    Si appuntò velocemente sul telefono il nome del giornale che aveva appena nominato Sophie, pronto a dare un’occhiata a quegli articoli una volta rientrato a casa. -Saprò a chi rivolgermi allora se mi servirà far pubblicare qualcosa. - scherzò, mentre riappoggiava il telefono sul tavolo e cercava di farsi gli affari dell’amica, indagando sulla sua vita sentimentale, cogliendo la palla al balzo. Sapeva che probabilmente si sarebbe dovuto fare i fatti suoi, che avrebbe dovuto aspettare di riprendere un po’ di confidenza con lei prima di farle certe domande, ma Kai non aveva mai avuto un simile ritegno nei confronti dei suoi amici. Per quanto sapesse essere una persona attenta e silenziosa, quando si trattava dei membri della gang finiva sempre con il dire o il chiedere qualcosa di troppo. Voleva sapere tutto sul loro conto, voleva essere sicuro che stessero bene e come poteva saperlo se evitava di chiedere? Si sistemò quindi meglio sulla sedia, guardandola in maniera piuttosto seria quando lei sembrò iniziare a parlare del suo fidanzato, per poi scuotere appena il capo, sentendosi un po’ sciocco per averle inizialmente creduto, quando lei gli mostrò la foto di un gatto. In effetti avrebbe dovuto notare che c’era qualcosa di strano nelle sue parole quando aveva parlato di restare in casa per il resto dei suoi giorni. -Davvero un bel tipo però, siete una bella coppia. - mormorò lui, ridacchiando, soffermandosi per qualche altro momento sulla foto, prima di restituirle il suo telefono. Da qualche tempo anche lui aveva imparato quanto gli animali sapessero essere possessivi nei confronti dei loro padroni, sebbene il suo piccolo amico fosse decisamente più incline a condividerlo. -Io al momento sono incastrato in una relazione un po’ complicata. - le rispose quindi, di rimando, mentre cercava una foto di Bullet da mostrarle nel suo telefono. -Viviamo insieme da due anni e quando sto fuori troppo a lungo mi manifesta la sua gelosia con qualche dispetto. Adora fare sparire le mie scarpe e le mie cravatte, è un asso in questo. - continuò, mostrandole una delle foto più buffe che aveva di lui, mentre giocherellava con qualche cravatta che era riuscito a tirare fuori dal suo armadio, finendo con il rimanere incastrato e non riuscire più a uscire dalla morsa del tessuro. -Io e Bullet abbiamo ancora un po’ di lavoro da fare, ma direi che stiamo imparando ad appianare le nostre divergenze. - terminò poi, con un sorriso divertito. Non aveva mai avuto un animale da compagnia prima di lui, eppure aveva imparato ad abituarsi presto a tutte le attenzioni che lui richiedeva continuamente. Si svegliava molto presto, tutte le mattine, per portarlo a fare la sua passeggiata, e la sera, quando rientrava, lui era sempre il suo primo pensiero. Era stato strano in origine pensare di avere qualcuno a cui badare, ma ben presto era divenuto piacevole, tanto che era arrivato a chiedersi come avesse fatto senza di lui per tutto quel tempo. Poteva essere un insopportabile giocherellone quando ci si metteva, ma gli era stato accanto nei momenti più difficili di quegli ultimi anni e avere qualcuno a cui pensare lo aveva aiutato a tenersi a galla e non lasciarsi sprofondare troppo.
    Il primo incontro di Sophie e Niko dopo tutti quegli anni era stato piuttosto buffo. Più lei gliene parlava e più gli dispiaceva non essere stato lì per assistere ad una scena come quella e a documentarla con un bel video per poterla rivivere nel tempo. -A mia madre non è mai piaciuto nessuno. - borbottò, con una leggera scrollata di spalle, mentre appoggiava in maniera un po’ più scomposta la schiena contro la sedia. -Nessun comune mortale è alla sua altezza. Figurati che ancora si lamenta per quello che indosso. - continuò, alzando gli occhi al cielo. Aveva ancora impresse le immagini del funerale di suo padre, quando l’unica cosa che lei era riuscita a dirgli era che la sua camicia non era abbastanza appropriata per un evento così doloroso. Fu forse questo pensiero a spingerlo a raccontarle qualcosa di quegli ultimi anni, in particolare riguardo suo padre e Roy. Sollevò lo sguardo su di lei, un po’ colpito nel sentire la mano più calda di Sophie nella sua e abbozzò un leggero sorriso. -Quello che dava fuoco alle cose era Roy, non io. Davvero te lo sei dimenticata? - chiese, senza riuscire a trattenere una risatina divertita, prendendola appena in giro. -O mi sono perso qualcosa sul tuo conto? - domandò poco dopo, curioso di scoprire se lei nel frattempo fosse divenuta una piccola piromane e avesse quindi cercato di seguire le orme dell’amico. O forse, più semplicemente, il suo era stato soltanto un modo di dire.
    -Fanculo la segretaria, quella stronza mi da sui nervi. - sbuffò, al solo sentirla nominare, sebbene fosse abbastanza convinto che la sua fosse soltanto una battuta e che non volesse davvero parlare con lei. Quella donna era una delle poche persone davvero in grado di fargli perdere la pazienza, riusciva sempre a fissargli più incontri di quanti fosse in grado di gestirne e finiva con l’essere sempre di fretta e arrivare a fine giornata più furioso che mai. -Ti lascio il mio numero e il mio indirizzo, in caso le cose con la tua metà non dovessero andare come previsto. Puoi scrivermi quando vuoi, ogni scusa è sempre buona per cercare di sfuggire al lavoro. - affermò poi, mentre allungava la mano libera per afferrare un taccuino dalla sua borsa e scrivere quelle poche informazioni. Avrebbe anche potuto semplicemente dettarglieli, ma per qualche motivo gli sembrò più giusto tornare alle vecchie abitudini, proprio come quando erano bambini. -Così puoi sempre usare la scusa di averlo perso. - aggiunse, ridacchiando, dopo averle offerto il foglietto, sperando però che la cosa non sarebbe accaduta davvero. Temeva ancora che lei fosse soltanto un’illusione, un buffo e inaspettato scherzo della sua mente, ma sperava, in realtà, che non sarebbe più andata via.
    -Assolutamente sì, devo darti la mia opinione a riguardo e sarò severissimo, come sempre. - aggiunse, quando scherzarono di nuovo sulle loro metà. In passato non si erano mai risparmiati i commenti nei confronti delle persone che gli altri frequentavano e, sebbene non fosse davvero quello il caso, non si sarebbe trattenuto dall’esprimere il suo giudizio se lei gli avesse presentato una futura fiamma, questo era poco ma sicuro. -Io ti avverto, Bullet non ti darà tregua, adora le persone nuove e pretende tutte le loro attenzioni. - spiegò, prima che il suo telefono iniziasse a squillare e una sveglia gli ricordasse del suo successivo appuntamento. Sbuffò con aria piuttosto scocciata, per niente felice di quell’interruzione. -Devo essere in ufficio tra mezz’ora, c’è un posto dove posso riaccompagnarti? O sei qui con la tua auto? - chiese, non ancora disposto a separarsi da lei, sperando in cuor suo che lei fosse a piedi, così da poter prolungare il momento dei saluti.
     
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    L’idea che qualcuno che l’aveva vista per tanti anni comportarsi in una maniera tanto normale potesse assistere alle sue lezioni era strana, ma si trattava di Kai: dopotutto più che prenderla un po’ in giro come faceva sempre, con o senza motivo, cosa poteva accadere?! Risero insieme per quel suo rassegnarsi e Sofie si raccomandò di mantenere la promessa che le aveva fatto. Mano sul cuore, ormai era vincolato a comportarsi bene! Era strano come davvero fosse tutto come un tempo, per quanto loro fossero ormai cresciuti e le loro vite cambiate: strano ma bello. Sofie poteva dire di non essersi mai sentita così tanto a casa come in quel frangente, come se tutti i pezzi fossero andati al loro posto una volta incontrato lui e, immaginava, che si sarebbe sentita ancor meglio una volta beccati anche gli altri. Quasi le stava venendo voglia di andare in tutti i loro posti segreti, come per fare una sorta di tour dei ricordi e rivedere questo o quell’altro nascondiglio: da brava maschiaccio quale era sempre stata e, soprattutto, da ragazzina chiusa, non poteva essere che una delle promotrici più assidue di posti ignoti in tutta Besaid. Si sentiva bene, davvero bene, ed era felice di vedere che nonostante il suo comportamento di merda – perché solo così poteva esser definito – anche da parte di Kai pareva esserci la leggerezza che da sempre aveva caratterizzato il loro rapporto.
    «Quello non si può dimenticare, il fascino di quel gruppetto di bambini era noto a tutta la bella “aristocrazia” della città.» rispose, assecondando l’amico con quel modo di fare sbruffone e convinto, quasi pieno di sé. Il suo volto poi cambiò nel descrivere, con una serietà senza pari, cosa le sarebbe accaduto se avesse fatto circolare le loro foto in giro per il web: di getto, Sofie sollevò entrambe le mani come se qualcuno le stesse puntando una pistola, tenendo gli occhi fissi su di lui. «E la testa di cavallo nel letto? Quella al prossimo step?» chiese, abbassando le mani ed inclinando di poco il capo con un lieve sorriso sul volto.
    La sua casa non era tanto grande, ma stava cercando di sistemarla al meglio per sentirla più sua, per sentirla davvero come casa e non solo come un qualunque appartamento in cui vivere, un po’ com’era stato in passato ad Oslo: non aveva più voglia di vivere in quel modo, di vivere in maniera tanto cieca ogni cosa, in maniera patetica, così come le era stato praticamente imposto da William. Le venivano i brividi se ripensava a quella ragazza, a quanto una vita diversa da quella che aveva sempre detestato poteva averla cambiata – in peggio –. Era più gentile, certo, forse era persino più semplice fare amicizia e trovare qualcuno con cui uscire la sera, ma cosa ci aveva guadagnato se non un periodo in cui dividere l’affitto e credere d’esser felice.
    Era così, lei aveva soltanto creduto d’esser felice, senza esserlo davvero. Una vita ovattata e facile, priva di rischi, priva di veri confronti col mondo e con gli altri. Se solo avesse saputo prima la mole di ricordi che l’avrebbe inondata tornando a Besaid l’avrebbe fatto prima, non avrebbe aspettato così tanto, ma purtroppo Besaid, come le aveva detto anche Jorgen, prende e dà allo stesso tempo: era la sua particolarità, il suo più grande mistero.
    «Temo di non avere molte scelte, o mi abituo o finirò con l’impazzire.» le disse in risposta. Sofie annuì, guardandolo con le labbra appena incurvate ed il capo inclinato verso di lui: non doveva esser facile, per quanto sorridesse e ci scherzasse su. Il senso di colpa fece nuovamente capolino, ma cercò di scacciarlo via, preferendo non incupirsi e godersi quell’incontro fortuito com’era giusto che fosse, continuando a scherzare con lui e mangiare quel che avevano appena ordinato.
    Fu divertente, in particolare, come i suoi occhi si fecero seri nel sentirla parlare del suo ragazzo in quel modo, “ragazzo” poi: dopotutto il suo rapporto con quel gatto era davvero annoverabile ad una relazione sentimentale, dato che doveva occuparsi più di lui che di chiunque altro al mondo.
    «Visto? Credo che la nostra sarà la relazione più duratura di sempre.» gli rispose, fiera, mettendo via il cellulare ed attendendo che fosse lui a risponderle adesso. Non sapeva cosa pensare a scatola chiusa: ormai doveva essere impegnato con il suo lavoro e tutto il resto, per cui non credeva che fosse tanto facile gestire anche una relazione, almeno lei non credeva ne sarebbe stata in grado considerato che pessima fidanzata si era ritrovata ad essere.
    I suoi pensieri scomparvero nel vedere di chi si trattava, scoppiando a ridere nel vedere le varie foto divertenti che gli aveva scattato. «Vuole farti capire che il tuo vero stile non è alla Niko Mordersson!» gli rispose, osservando con quanta foga il suo cane si divertisse a rubargli le cravatte. Che indumento fastidioso… Come facessero a portarlo era un mistero per lei ed era forse uno dei pochi motivi per cui le piaceva esser donna, sebbene anche queste ultime avessero i loro grattacapi, primo fra tutti il maledetto reggiseno col ferretto.
    «Siete davvero una bella coppia, aspetto la partecipazione per le vostre nozze!» scherzò infine.
    Fu quasi un sollievo appurare che avesse lasciato la casa della sua famiglia: in effetti, a sua madre non solo non era mai piaciuta Sofie ma, come la corresse lui, non era mai piaciuto nessuno. Un po’ come a suo nonno, che non faceva che lamentarsi di questa o di quell’altra cosa, riempiendo di parole la testa dei suoi figli e dei suoi nipoti. «La tua mancanza di stile è evidente infatti, su questo non posso che darle ragione.» rispose, fingendo di scrutarlo dall’alto in basso in maniera ironica. Per quanto fosse strano vederlo così ben vestito, in maniera tanto diversa rispetto ai suoi ricordi, nemmeno per un attimo aveva pensato che ci stesse male, anzi, aveva pensato che un aspetto tanto curato gli donasse più di quel che gli aveva lasciato credere.
    Il prendergli la mano fu naturale, nemmeno ci pensò: le dita si erano mosse da sole e i suoi l’occhi avevano ricercato il suo sguardo per… consolarlo forse? Magari semplicemente dargli il suo parere senza giri di parole, senza inutili fronzoli come era abituata a fare quando, tra l’altro, scriveva proprio presso il giornale di cui aveva parlato male pochi attimi prima.
    «Pignolo» quasi lo rimproverò sentendosi correggere dopo aver nominato Roy: come se potesse dimenticarlo. Le loro particolarità erano l’una opposta rispetto all’altra, era forse questo che li aveva resi tanto amici: lei e Jonah erano forse il punto di congiunzione fra i due antipodi, fra fuoco e ghiaccio.
    Sciolse la presa sulla sua mano approfittandone per chiedergli numero di telefono ed indirizzo, non avendo così più alcuna scusa per non incontrarsi una seconda, una terza, una quarta ed una quinta volta. Ridacchiò sentendo con quanto astio parlasse della sua segretaria, pensando a quanto dovesse esser fastidiosa per farlo irritare solo a nominargliela e, di lì a poco, osservò i suoi gesti con gli occhi: scrisse tutto ciò che gli aveva chiesto su di un taccuino e glielo passò, aggiungendo che in questo modo avrebbe persino avuto una scusa per non farsi sentire.
    «Giuro, non lo perderò!» gli assicurò, mettendosi una mano sul cuore, come aveva fatto lui prima: era tornata, a tutti gli effetti, e voleva recuperare il tempo perso ad ogni costo. Si sbaglia una volta, non mille.
    Prese il bicchiere dal tavolo e lo avvicinò a sé, vuotandolo, mentre intanto Kai scherzò insieme a lei su Jak e su Bullet: «Ah anche io non mi risparmierò, gli animali meritano tutto l’amore che non do agli esseri umani!» rispose a sua volta. Cani, gatti, le piacevano più o meno tutti e non vedeva davvero l’ora di conoscere quello che condivideva l’appartamento con Kai e a cui lui sembrava essere molto affezionato.
    La conversazione si appianò nel sentire un suono squillante: pensò fosse una chiamata ma il modo in cui fu spenta gli fece capire non si trattasse che di un promemoria. Si alzarono dunque entrambi e si allontanarono da lì: «Sono a piedi ma tranquillo, ne approfitto per fare due passi e comprare qualcosa da mangiare per cena.» lo tranquillizzò, cominciando a muovere insieme a lui qualche passo verso l’uscita. Parlarono ancora qualche minuto, riconfermando quanto avevano detto sul vedersi e, dopo essersi salutati, entrambi andarono per la propria strada.
     
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