How do you heal a broken heart?

Liv & Niko

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    Liv Frida Berg | 28 anni | Autoriflessi

    Posso giurare di aver sentito il mio cuore spezzarsi. È una sensazione strana, effettivamente. Ti si mozza il fiato per qualche secondo, poi senti una sorta di vuoto, di voragine, perforarti lo stomaco. E accade: riprendi a respirare ma non sei più vivo.

    Era una settimana che Liv non riusciva ad avere sonni sereni. Ogni mattina si svegliava sudata e stanca, come se non avesse affatto dormito e questo, perchè i suoi sogni erano stati agitati anche se, non era capace di ricordarseli. Succedeva sempre in quel periodo dell'anno, da ormai undici lunghi anni. Novembre, era il mese in cui una persona molto cara, era venuta a mancare e nonostante Liv cercasse di cancellare dalla sua mente ogni ricordo legato a quella - o meglio a quelle - persone, il suo cuore non poteva farlo e inconsciamente ogni anno, in quegli esatti giorni del mese di novembre, Liv iniziava ad essere irrequieta e a provare una sorta di vuoto dentro, come un mattone sullo stomaco che non riusciva a togliere in nessun modo.
    Così, ogni mattina Liv si svegliava ed irrimediabilmente finiva per doversi fare una doccia che durava più di quanto erano solite durare. Sperava che l'acqua corrente portasse via con sè i ricordi, il dolore, quell'estrema sensazione di impotenza e di perdita che la faceva sentire uno schifo. Non voleva ricordare, non voleva pensare eppure, le era impossibile non farlo, specialmente quel giorno. Abbiamo deciso di separarci quelle parole riecheggiavano nella sua mente, senza riuscire a lasciare spazio ad altro, se non all'angoscia dell'attesa che Liv stessa aveva provato il giorno dell'operazione dei due gemelli e poi, la paura ed il vuote, ad anticipare lo squillo del telefono e la voce rotta di suo padre che aveva appreso per primo la notizia. Ma Liv lo sapeva, lo sapeva già, aveva sentito per un piccolo ma intenso momento, il suo stomaco contorcersi e quello, era stato l'esatto momento in cui la sua coscienza aveva percepito che uno dei due se n'era andato e che poco dopo, dalla voce di suo padre avrebbe appreso solo il nome i chi non avrebbe mai più potuto vedere, salutare, abbracciare. Erano i giorni in cui era cambiato tutto, perfino lei.
    In tutti quegli anni, suo padre aveva provato spesso a chiedere a Liv di accompagnarlo al cimitero, per portare dei fiori sulla tomba di Jakob ma lei, si era sempre rifiutata di farlo e da quando i gemelli Mordersonn avevano affrontato l'operazione, Liv aveva chiuso del tutto i contatti con loro. L'ultima volta che aveva parlato con Nikolaj, aveva detto lui che non sarebbe più stata la stessa cosa, senza addentrarsi in discorsi più profondi, a causa della rabbia nei suoi confronti, a causa del dolore immenso che provava e che non riusciva a controllare, quel dolore che non la faceva dormire, non la faceva mangiare e la faceva durare fatica a vivere, nei giorni dopo la scomparsa. Come poteva guardare Niko negli occhi? Come poteva guardare il riflesso più spavaldo di una persona che non c'era più? Come poteva ammettere che si sentiva anche un pò responsabile di quello che era successo? Sapeva che prima o poi Nikolaj, il gemello più forte ed indipendente avrebbe sentito il bisogno di slegarsi dal gemello, eppure in quella scelta, in quel bisogno di vivere due vite separate lei si sentiva coinvolta perchè, conosceva ed aveva sempre percepito i sentimenti che legavano loro tre.
    Finita ormai la doccia, si ritrovò ad osservare il suo riflesso allo specchio appannato per il vapore che l'acqua bollente aveva creato. Con la mano, liberò la zona del viso cercando di renderla più nitida ed osservare la sua stessa colpa riflessa. Si, perchè era vero che era stata anche un pò colpa sua, quel desiderio di separarsi. Lo era perchè Niko glielo aveva velatamente confidato, chiedendogli di stare con lui. Era stata parte integrante della rovina di Jakob e non sarebbe mai riuscita ad accettarlo, non ancora almeno e nonostante si fosse chiesta più di una volta come stava Niko, se sentiva quello stesso peso che provava lei, allo stesso modo non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi. Nel tempo, aveva dovuto imparare a convivere con il suo riflesso allo specchio, doveva per forza convivere con la sua persona ma i Mordersonn, loro poteva evitarli, poteva non vederli e quella, era stata la via più facile, quella che decise di percorrere undici anni fà. Mentre continuava ad osservare il suo volto allo specchio, con un velato sentimento di disprezzo, Liv iniziò a spazzolarsi ed asciugarsi i capelli morbidamente mossi, che aveva cambiato quasi a voler dare un taglio alla sua vita: un tempo lunghi e biondi, quasi a farla sembrare una ninfa del bosco, adesso erano scuri e portati più corti, nella zona delle spalle. Finito di sistemare i capelli e truccato gli occhi verdi con un pò di mascara, indossò i vestiti che l'avrebbero portata da qualche parte, lontana da sè stessa.

    Erano le undici, questo aveva potuto constatare quando aveva alzato il suo polso per poter vedere l'orario sull'orologio Rolex che la famiglia Mordersonn le aveva regalato per la maggiore età. Quello era l'unico oggetto di loro, da cui non si era ai allontanata e che dietro, era personalizzato con le loro iniziali: J.N.M. in una calligrafia corsiva molto aggraziata. Aveva camminato per ben tre ore e mezzo, senza neanche rendersene conto e senza far caso al percorso toccato, se non per quando era passata da Fjord a dargli una carota e a spazzolarlo un pò, come usava fare ogni mattina - verso le 7.30 - da quando aveva salvato quel cavallo dal macello. Un esemplare così bello che rischiava di essere ucciso solo perchè non era più utile ai padroni, se tali potevano essere chiamati. Liv l'aveva acquistato per una cifra esigua di 500,00 € e da allora, tra loro due si era creato un legame particolare, come se a tutti gli effetti il cavallo avesse capito che lei era la sua salvatrice.
    Alzando gli occhi, Liv potè constatare di essere davanti al fioraio dal quale usava sempre andare a prendere il suo regalo per Jake, quel regalo che celebrava non solo la sua venuta al mondo, ma anche la sua uscita. Ogni anno, quel giorno, acquistava per lui un giglio bianco che, nel linguaggio dei fiori è il simbolo di verginità, di purezza e regalità d’animo, nobiltà ed eleganza e nel silenzio della notte, nella sua veste più segreta e lontana dalla ragazzina quale un tempo era stata, andava a lasciare delicatamente su quell'imponente tomba che riesaltava candida, nella cappella privata della famiglia. Poggiava quel fiore sul marmo chiaro, all'altezza di quello che sarebbe stato il cuore umano, prima di scomparire come un fantasma nella notte oscura, incapace ancora, nonostante tutti gli anni che erano passati, di soffermarsi per più tempo. Mi manchi, mi mancate erano le uniche parole sussurrate e spezzate che riusciva a pronunciare prima di scappare via ed essere inghiottita dal suo stesso dolore che, inesorabilmente la portava ad andare a sfogare la sua rabbia e malinconia, in qualche attività illegale nella notte, come dei combattimenti o delle gare clandestine in moto.
    Osservando il fioraio, che privo di clienti cercava di rimettere a posto i suoi fiori studiando delle composizioni migliori, Liv fece qualche passo in avanti fino a trovarsi davanti alla porta del negozio che spinse, quasi con timore. Un giglio bianco e quel nastro là disse all'uomo, indicando un nastro verde in tessuto lucido, prendendo poi quei pochi soldi che usava tenere nelle tasche, quando decideva di uscire senza borsa. Confezionato il fiore, Liv ringraziò il commesso del negozio per poi avviarsi verso l'ingresso del cimitero che fissò per moltissimi minuti, prima di decidersi ad entrare. Una volta davanti alla cappella privata, non sarebbe fuggita come una codarda alla luce del giorno ed avrebbe dovuto affrontare la verità dei fatti, senza nascondersi dietro una maschera (Heda) o dietro l'ombra della notte. Non fare la codarda Liv, il cuore ti ha portata fin qui ed ora, tu devi ascoltarlo e trovare la forza per muovere i tuoi passi verso Jake si incitò nella sua testa, dandosi la forza per dirigersi verso la zona centrale del cimitero, dove trovò la cappella vuota e questo la rincuorò, in quanto era uno dei motivi per il quale aveva da sempre deciso di recarvisi di notte. Si chinò con calma, cercando ancora la forza per restare lì e non fuggire via dal suo malessere interiore, lasciando cadere con dolcezza quel fiore bianco candido, come l'anima dell'uomo a cui lo regalava.

    Edited by charmolypi - 24/11/2018, 12:29
     
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    Le prime luci dell'alba trovarono l'uomo disteso sul proprio letto nella grande stanza di Evntyr House, dispersa nei boschi adiacenti Besaid. Sebbene da diversi anni risiedesse ufficialmente nell'attico all'ultimo piano del Mordersonn Institute e quell'imponente dimora fosse stata delegata a location per gli eventi di cui si faceva promotore, l'uomo aveva iniziato a spendere molto del suo tempo libero fra quelle antiche mure. Vagava per le stanze polverose, sfiorando di tanto in tanto i lunghi lenzuoli bianchi che coprivano la maggior parte del mobilio dell'ala est, quella privata. Più che di scelta, si era trattano di una vera e propria necessità, le cui origini risiedevano nell'inaspettato ricongiungimento con sua sorella, Sofie, e con Fae. Per quanto lo infastidisse ammetterlo, odiava le sorprese, quegli incontri dovevano averlo segnato a tal punto da spingerlo quasi inconsciamente a cambiare le proprie abitudini quotidiane.
    Dormiva dunque, Nikolaj, il corpo spossato dopo lunghe ore di silenziosa battaglia contro l'insonnia alla quale si era dichiarato sconfitto solamente un paio d'ore prima. Quel conglomerato di carne e muscoli giaceva nudo e solo, il suo pallore contro il bordeaux del lenzuolo di seta a metà busto creava un contrasto interessante, da vivisezione. Ogni cosa era immobile, persino l'aria sembrava in attesa, solamente il leggero e ritmico alzarsi e abbassarsi del ventre faceva di Nikolaj l'unico essere vivente nel raggio di chilometri.
    Un fremito improvviso al di sotto di quelle palpebre venate d'azzurro, un guizzo del collo verso sinistra e l'immobilità tutt'intorno sembrò come essere sconquassata da un terremoto. Nikolaj stava sognando.

    Sedevano l'uno di fronte all'altro. A prima vista sembrava che Nikolaj stesse fronteggiando sé stesso, ma non gli ci era voluto neanche un battito di ciglia per capire la verità. Quello che lo stava fissando non era la sua mera copia fisica, era Jakob, suo fratello gemello.Non erano solo gli occhiali e l'abbigliamento dal gusto dubbio a differenziarli, c'erano altri piccoli dettagli che uno sconosciuto non avrebbe potuto notare ad una prima occhiata ma che l'uomo conosceva benissimo. Il più però era dato dagli occhi, del suo stesso colore ma più dolci quelli di Jakob, e dalle sensazioni che il gemello trasmetteva. Era sempre stato così, Jakob riusciva a tranquillizzare chiunque gli stesse intorno, stregandoli con la gentilezza che traspirava da ogni suo poro.
    Nikolaj non osava muoversi, il fiato trattenuto nei polmoni fino a quando non fecero male. "Ciao, Niko. E' bello vederti." Solo a quel punto Nikolaj ricominciò a respirare seppur lentamente, con cautela, quasi come avesse paura di poter distruggere il gemello con un solo respiro. Perché non era ancora disposto a lasciare che finisse, qualunque cosa fosse. Non era sicuro di ciò che voleva dire o fare, ma aveva bisogno di un'altro po' di tempo. Continuava a fissare con le labbra schiuse, confuso e guardingo, il gemello tirare fuori dalla tasca dei jeans un francobollo, uno dei tanti che amava collezionare quando era in vita. "Puoi usarlo per quella lettera. Non devi mandarla per forza, ma puoi attaccarcelo. E' uno dei più preziosi." aveva teso la mano verso di lui, Jakob, ma Nikolaj non si era mosso. "Nessuno scrive più lettere da anni." Era riuscito a dire, deglutendo con appena più difficoltà. Jakob aveva sospirato, il sorriso che si faceva più mesto, addolorato. "La lettera che stai pensando di scrivere. Quella di addio per i nostri genitori, per Fì e per i tuoi amici. Conoscenti." Chiarirono i due gemelli all'unisono sorridendosi appena entrambi. Nikolaj tornò immediatamente serio mentre il significato delle parole del gemello gli entrava nelle ossa insieme a una bruttissima sensazione di malessere all'altezza dello stomaco. "Non capisco di cos-" Fu questione di un battito di ciglia, quando Nikolaj riaprì gli occhi Jakob era scomparso. "Ci rivediamo presto, fratello." Quel sussurro all'orecchio sinistro fu causa di un sobbalzo e quando l'uomo provò a voltarsi con il corpo non ci riuscì. Jakob era comparso al suo fianco, gli occhiali erano spariti e lo sguardo che aveva somigliava di gran lunga più a quello di Nikolaj. "Me l'hai promesso, te lo ricordi?" Jakob o meglio, la copia di sé stesso di fronte alla quale si trovava ora aveva riso, di una risata cattiva, quasi demoniaca. Nikolaj provò ad alzarsi senza riuscirsi. Solo allora abbassò lo sguardo su di sé rimanendo sconvolto da ciò che vedeva: dove da undici anni a quella parte c'era la lunga cicatrice, ora tutto il fianco sinistro era attaccato all'altro corpo. Erano di nuovo un tutt'uno. Nikolaj cercò di alzarsi, graffiando in preda al panico con le unghie la pelle tesa su costato. Intanto Jakob/l'altro Nikolaj continuavano con quella risata infernale.


    NO! Nikolaj si tirò su a sedere, svegliatosi di soprassalto da quell'incubo, madido di sudore. Col fiato corto, le mani andarono immediatamente a tastarsi il fianco nudo che sentiva pulsare. La cicatrice era ancora lì, sgraziata e nodosa, in tutta la sua ripugnanza. Alcuni graffi profondi bruciavano all'altezza dell'anca, dove la pelle era gonfia e arrossata. Li lasciò perdere con una smorfia, portando poi la parte bassa del palmo delle mani a premere sugli occhi chiusi e bagnati. Rimase così per un po' di tempo, per permettere al respiro di stabilizzarsi e al cuore di battere il più normalmente possibile. Il sudore si era ormai ghiacciato sulla pelle quando Nikolaj finalmente si mosse. Tirò su con il naso e, tolte le mani dal viso, scostò le lenzuola per scendere dal letto. L'acqua della doccia lo aiutò a schiarirsi le idee, anche se niente avrebbe potuto levargli di dosso la sensazione che quel sogno gli aveva lasciato dentro.
    Quando uscì di casa le sue difese erano ancora traballanti, ma per fortuna il luogo dove stava andando sarebbe stato isolato e silenzioso quasi quanto quella casa. O almeno così sperava. Nessuna radio, nessuna musica per quel tragitto. Era lì, seduto al volante, mentre meditava in silenzio sulla consapevolezza di star per morire da un momento all'altro, mentre ingannava chi lo circondava dicendogli che andava tutto bene. Erano undici anni che si sentiva così, sull'orlo del burrone con solamente la propria egoistica volontà di vita a tenerlo in equilibrio.
    Ma c'era Fì, ora. Non era più solo. Se da una parte il pensiero della sorella accendeva un piccolo calore da tempo dimenticato all'interno del suo cuore, dall'altra Nikolaj non si era mai sentito così spaventato in vita sua. Come poteva, dopo tutti quegli anni, tornare ad aprirsi, a perdonare... e a perdonarsi? Non sapeva come fare né tantomeno se ne fosse capace.
    Erano pochissime le volte in cui era andato a trovare Jakob. Potevano contarsi sulla punta delle dita ed erano sempre state in concomitanza di eventi che avevano dissestato la routine grigia in cui Nikolaj si era avvolto. Complice quel terribile sogno più simile ad una profezia nel giorno della ricorrenza dell'operazione e altri recenti avvenimenti che l'avevano destabilizzato, Nikolaj quasi non si accorse di aver parcheggiato di fronte ai cancelli del cimitero.
    Non era sicuro del perché non andasse più spesso da lui.Forse per via di una serie di omissioni di cui Nikolaj continuava a cibarsi, negandosi qualsiasi emozione. Non mi sento in colpa. Non fa male. Non mi manca.
    Quando i suoi primi passi riecheggiarono nella cappella di famiglia, gli fu subito chiaro che non era l'unico essere respirante lì dentro. Circondata da ciò che rimaneva dei suoi antenati, c'era una delle tante persone che Nikolaj aveva dichiarato morte be prima della data del loro decesso biologico. Si arrestò, un'ombra che oscurava l'ingresso della cappella, allungandosi fino a congiungersi a quella di Liv, Frida come l'aveva sempre conosciuta lui. Aveva fatto in modo di non incrociarla mai più, riuscendoci con sorprendente facilità nonostante le modeste dimensioni della città in cui vivevano. Nel vederla lì, china sulla tomba di suo fratello morto, una fredda rabbia si impossessò di Nikolaj. Era suo, quel momento, non avrebbe voluto condividerlo con nessuno. Tantomeno con lei che, proprio come tanti anni prima, si intrufolava ancora tra i due gemelli per dividerli. Aveva perso il fiato, bloccato da qualche parte tra polmoni e trachea, colpito da quella seconda, scioccante apparizione di quella giornata. Ed era solo mattina. Non dovresti essere qui. Disse quasi a labbra serrate, le mani infilate nella giacca a vento che indossava. C'era stato un tempo in cui gli era sembrato che quella ragazza, donna ormai, significasse tutto e tanto per lui tanto da aggiungersi a una delle innumerevoli ragioni che lo spinsero a separarsi da Jakob. Ricordava ancora la folle gelosia che lo aveva preso ad ogni carezza che Frida aveva rivolto al gemello anziché a lui, ad ogni parola, sguardo e sorriso che era costretto a condividere con l'altro. Frida aveva significato molto di più di quanto Nikolaj avrebbe mai ammesso, ma nel guardarla in quel momento l'uomo si chiese se ne fosse valsa la pena, perdere la metà più pura di lui. Undici, lunghi anni e ancora ti intrometti in cose che non ti riguardano.
    Soprattutto, quei due avevano imparato a conoscere la morte, a un'età in cui di solito ci si considera immortali.


    I couldn't stand the person inside me, I turned all the mirrors around

     
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    Liv Frida Berg | 28 anni | Autoriflessi

    Hei Frida, questa non sarà una delle mie solite lettere, una di quelle che usavo infilare di nascosto nel taschino interno del tuo morbido giubbotto in cachemire, quando tu e Niko eravate distratti a fare tutt'altro seppur così vicini. Questa è una lettera che mi pesa scriverti dal profondo dell'anima e che, non avrei mai voluto dover scrivere. Mio fratello è seduto qui affianco a me, nel triste e ignorante pensiero che io stia facendo i compiti. Liv, tu sai quanto io odi mentirgli, eppure mi trovo obbligato a farlo perchè devo chiederti aiuto. Niko è sempre più convinto di volersi separare, di voler affrontare quell'operazione che ci ha dato per persi nella più grande percentuale dei casi e io ho paura. Ho paura di non farcela, ma ancor più ho paura che qualora dovessi superare l'operazione, lui potesse non farcela e io, io non riuscirei a convivere con questo.
    Frida ti prego, aiutami a fargli cambiare idea, tu sei una delle poche persone che ha una buona influenza su di lui ed una delle poche persone che ascolta. Sei l'unica che ci è sempre stata vicina nonostante tutto e che sempre ci sarà. Parlaci per favore, cerca di convincerlo a cambiare idea e cerca di fargli capire che è troppo pericoloso.
    Credo fermamente che Nikolaj abbia preso questa decisione anche a causa tua, sai. Ormai penso che tu l'abbia capito, che siamo entrambi innamorati di te e che questa cosa non può funzionare, così come non potrebbe funzionare con qualsiasi altra persona.. ma sai anche che io avrei scelto sempre e comunque lui, che mi sarei fatto da parte per lui, sempre.. ma tutto questo forse non gli basta più. Tu ci conosci bene, sai quanto siamo diversi, quanto io sia più accondiscendente e quanto lui invece abbia bisogno di emergere. Non voglio che tu ti senta in colpa per queste mie parole, perchè sai benissimo che prima o poi ci troveremo ad affrontare questa separazione, ma non adesso. Parlaci, ti prego e prova a regalarci più tempo.
    Ti voglio bene piccola grande Frida e ti prego di restare sempre con me, con noi.


    Ricordava ancora ogni singola parola di quella lettera fugace che Jakob le aveva nascosto in quel cappotto blu acceso che tanto adorava da ragazzina. Erano tutte impresse nella sua mente e nel suo cuore ed erano anche l'ultimo ricordo tangibile che Liv aveva di lui. Jakob non le avrebbe mai voluto fare del male ma, quelle parole l'avevano comunque colpita nel profondo e l'avevano resa complice di quel disgraziato omicidio che si era svolto, durante l'operazione dei gemelli. Era una loro scelta, questo continuavano a ripetergli nei giorni successivi alla morte di Jakob eppure, lei non aveva fatto niente per salvarlo ed evitare l'operazione. Aveva provato a parlare con entrambi e farli ragionare, aveva persino provato a stilare con loro un foglio dei pro e dei contro, ma non era servito a niente perchè alla fine, i due erano andati sotto i ferri nonostante tutto.
    Cosa era cambiato? si era chiesta spesso, perchè scrivere quella lettera per poi cambiare idea a distanza di un paio di giorni? Cosa era realmente successo? lei lo conosceva bene Jakob e questo le faceva credere fermamente che prima di scriverle una lettera del genere, ci avesse fermamente pensato. Custodiva gelosamente quella lettere scritta con una grafia più nervosa, rispetto alla solita dolce del ragazzo, chiusa dentro il cassetto della scrivania di camera sua, nel diario della sua infanzia dove sulla copertina aveva attaccato con l'attak una foto di Nikolaj con addosso una delle coroncine di fiori che si divertita a preparare nel giardino di villa Eventyr, durante la primavera. Jakob le dava sempre una mano a preparare quelle coroncine, mentre Nikolaj brontolava perchè era un gioco stupido, noioso e da femminucce così per dispetto, Frida andava sempre a mettergliene una in testa strappandogli qualche volta una risata sghemba, che quasi faticava a tirare fuori visto il suo caratteraccio.
    Nel gelido freddo di quel luogo pieno di malinconia, Liv osservava la tomba del fratello perduto, chiedendosi per la millesima volta perchè, aveva cambiato idea così all'ultimo, cosa era successo tra lui e Nikolaj per arrivare a prendere quella decisione. Nel silenzio sordo di quel luogo, interrotto soltanto da qualche verso di corvo ce vagava alla ricerca di qualche anima da salvare, Liv ascoltava il battito del suo cuore crescere e suonare sempre più violento. Non stava bene, quando si parlava di loro, non stava bene quando si trovava nei luoghi che rievocavano i suoi ricordi d'infanzia. Era strano come i rapporti potevano cambiare nel corso della vita, Frida non si sarebbe mai potuta immaginare la sua vita futura senza la presenza dei due Mordersonn eppure, oggi si ritrovava a scappare dalla loro presenza o dal loro ricordo. Dall'ultima volta che aveva sentito Nikolaj, erano passati dieci lunghi anni e da allora, entrambi avevano fatto di tutto per non incontrarsi nonostante l'esigua vastità della città in cui abitavano. Lei conosceva lui, così come lui conosceva Liv e quindi, sapevano perfettamente come comportarsi per non incontrarsi. D'altronde, lo stile delle due famiglie era sempre stato agli opposti: una ricca, dal cognome importante e dalla presenza ingombrante nella cittadina, l'altra mediocre e silenziosa.
    Tu-tun. Tu-tun. Tu-tun. Il battito veloce del cuore di Liv prese a fare melodia con un altro rumore, quello dei passi di una persona che le si stava avvicinando e che fece, spegnere il suo respiro che rimase nella cassa toracica. Il terrore prese il sopravvento e senza il coraggio di voltarsi, si drizzò in piedi lasciando le spalle a quella persona che sapeva conoscere bene, nonostante gli anni passati. Socchiuse gli occhi, nella speranza di trovare quella forza che le mancava per affrontare quel momento che aveva rimandato per tutti quegli anni. Non dovresti essere qui la voce di Nikolaj arrivò tagliente fino alle sue orecchie, riconoscendo quel tono che aveva sentito per molto tempo e che era maturato con l'età, divenendo più gutturale. Una carica di emozioni contrastanti le esplose dentro e dovette aspettare qualche secondo prima di voltarsi per fronteggiare il suo rivale in quel luogo che tutto meritava, tranne uno scontro tra titani. Per te, non dovrei essere qui rispose voltandosi verso un Nikolaj sempre uguale, ma più cresciuto, più fintamente adulto per lui devo esserci rispose cercando di rimanere pacata. Osservava quella figura che conosceva fin troppo bene, cercava di percepirne i cambiamenti, come l'altezza decisamente più slanciata ed il corpo, più asciutto e muscoloso ma il volto, il suo viso era sempre lo stesso macchiato solo da più ombre e da due occhiaie marcate che lasciavano immaginare non avesse dormito sonni sereni. Undici, lunghi anni e ancora ti intrometti in cose che non ti riguardano sorrise Liv, di un sorriso amaro a quella sua affermazione, riconoscendo che non era cambiato niente in lui, che era sempre il solito ragazzino carico di rancore e rabbia quale era sempre stato, per motivi diversi. Che cosa non mi riguarda, Nikolaj? La promessa che ho fatto a tuo fratello di stargli sempre vicino, in una dimensione o in un'altra? domandò avvicinandosi di qualche passo a lui, ricordandone adesso l'odore nascosto solo dal profumo - sicuramente costoso - che indossava Adesso non hai più il potere di deciderà quanto tempo io possa passare con lui ammise. Non riusciva a capire cosa provava nei confronti di Nikolaj, se rabbia o delusione, se affetto o pena. Era un insieme di sentimenti mescolati tra loro che non riusciva a scindere e che facevano a cazzotti, come ad impedirgli di essere lucida nel cosa dire o cosa provare realmente. Erano passati undici anni dall'ultima volta che aveva avuto a che fare con lui e per tutti quegli anni, quel minestrone di sentimenti si era alimentato dentro di lei.
     
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    Erano passati sei mesi prima che Nikolaj fosse giudicato pronto. Pronto a cosa? La risposta variava da chi lo si chiedeva. Per i medici, il diciottenne era stato operato, aperto, ricostruito; le ferite visibili avevano sì lasciato il loro segno, un marchio terribile, una lunga linea dissestata, una catena montuosa che, colpevole, lo divideva mostruosamente a metà; però era stato ricucito, era vivo, respirava autonomamente, aveva imparato di nuovo a camminare. Certo aveva ancora qualche problema di equilibrio e la gamba sinistra sarebbe sempre stata più debole, ma in fondo era quasi un miracolo, c'era solo da essere grati. Se lo si chiedeva ai genitori oh, lo erano eccome. Immensamente riconoscenti all'equipe e al Dio che aveva salvato uno dei loro figli. In fondo, meglio così che niente. Eppure...Jakob era un'anima buona, si dissero, uno spirito candito che per ore aveva giaciuto sul tavolo di metallo della sala operatoria solo, abbandonato, al freddo. Erano felici, certo. Nikolaj era sopravvissuto, forse aveva portato Jakob dentro di sé. Eppure chiunque lo conoscesse avrebbe giudicato impossibile che qualcosa di più dell'aspetto si fosse salvato, che il gemello vivesse ancora dentro quelle orbite incavate che ombrose sembravano tutto giudicare.
    Non erano stati pronti, mamma e papà Mordersonn, non ce l'avevano fatta a guardare quel corpo crescere e invecchiare e accettare fino in fondo che non fosse Jakob. E invece Nikolaj? Voleva solamente che il dolore passasse. C'era la morfina a mitigare quello che gli straziava i tessuti, era invece più difficile fare i conti con quello che aveva dentro. Una parte di lui era rimasta lì nella sala operatoria, come se i medici, nella furia di richiuderlo, avessero dimenticato un pezzettino di lui, quella parte che sapeva essere buona, che riusciva a voler bene nonostante la paura, la stessa cosa che faceva sorridere gli occhi senza fermarsi alle labbra. Non sapeva se fosse pronto, Nikolaj, nessuno glie l'aveva chiesto, e quando era uscito dall'ospedale la prima cosa che aveva fatto era andare da lei. Forse sapeva che qualcosa era andato perduto e voleva provare a scongelare il sorriso, farlo arrivare di nuovo agli occhi. L'unica persona che poteva aiutarlo era Frida.
    Quante speranze aveva riposto in quel corpo apparentemente fragile, in netto contrasto con la figura invece alta e possente di Nikolaj. Eppure quella sera mentre la fronteggiava Nikolaj sembrava quasi accartocciarsi, un foglio di carta che lentamente veniva corroso dal fuoco. E l'anima di quel gigante di quasi due metri diventò minuscola, appassiva mentre le chiedeva di prenderlo. Nella sua testa malata ora sarebbero potuti stare insieme, Nikolaj si sarebbe imposto nel mondo come corpo a sé stante e sarebbero stati felici. Ma aveva bisogno di lei per farlo, glie lo disse con chiarezza e un'onestà mai stata così cristallina. Ma era evidente che fosse troppo, l'essere unito a Jakob, quello che Nikolaj pensava fosse un impedimento, si scoprì essere invece un legame indispensabile. Senza di esso, non c'era abbastanza affetto rimasto. Anche Frida non era pronta.
    Aveva imparato una cosa importante da quel crollo, tuttavia: il sistema di difesa che aveva eretto nei mesi precedenti non era ancora abbastanza forte. Perciò rafforzò le barricate, costruì nuovi muri, più alti e invalicabili, e tracciò confini più netti.
    Pensava di averla superata, in fondo ne era passata d'acqua sotto i ponti. E invece gli bastò osservare la la sagoma di quelle spalle per capire che tutto era ancora lì, dentro di lui, e spingeva per uscire fuori. Non era più il dolore bruciante e fresco di quasi undici anni prima ma piuttosto somigliava al pulsare sordo del cuore che a volte si avverte in altri parti del corpo. É fastidioso, si capisce che non dovrebbe essere lì, ma non importa quanto ci si impegni a muovere la parte colpita, quella sensazione non se ne va quando vuoi tu ma quando decide di andarsene. La fibrillazione atriale, così chiamata in medicina, è una condizione che può essere tenuta a bada, facilmente curata. Nikolaj sperò di potersi liberare di Frida con altrettanta semplicità, così come ci si sbarazza di un malanno antipatico, ma dalla risposta che ricevette capì che non è così che sarebbe andata.Serrò più forte le labbra tra di loro, i molari cozzarono stridendo, la mascella si contrasse mentre gli occhi scrutandola si assottigliavano. Non dovresti essere qui perché è una cappella privata destinata ai famigliari e, per quanto ne sappia, tu non fai parte della mia, della sua famiglia. Non riuscì proprio a dire nostra. O sei riuscita in qualche subdolo modo a intrometterti anche in questo caso? Fu una domanda retorica carica di disprezzo. Nonostante avesse cercato di dimenticare, Nikolaj ricordava ogni dettaglio. Tra la piega di quel collo aveva lasciato i primi incauti baci, per ore aveva tracciato diorami invisibili su quella pelle candida. Ne ricordava il profumo, persino la consistenza gli sembrava ancora palpabile sotto le dita, come se qualcosa di lei fosse rimasta attaccata ai polpastrelli e lo odiava, eccome se odiava tutto quel rivangare un passato che sarebbe potuto essere ma che non era stato. Odiava non riuscire a dimenticare. Che cosa non mi riguarda, Nikolaj? La promessa che ho fatto a tuo fratello di stargli sempre vicino, in una dimensione o in un'altra? Non riuscì proprio a trattenersi e una piccola risata cattiva fuoriuscì dalle labbra dell'uomo, più simile ad uno sbuffo che ad un riso vero e proprio, spingendolo a reclinare leggermente la testa. Sei brava in quello che fai, nelle promesse che giuri. Usi le giuste parole, sei convincente lo riconosco. Iniziò non appena quella risata gli morì gelida fra le labbra. Aveva istintivamente indietreggiato di quanti passi lei s'era avvicinata, allungando persino un braccio in avanti per essere sicuro che quella distanza fosse rispettata. Ricordo delle parole simili fra noi due, poi ti sei tirata indietro proprio all'ultimo. Cosa mi avevi detto, Frida, te lo ricordi? Come tutti quelli che conoscevo. Con un finto sospiro di rassegnazione aggiunse. Sono sicuro che Jakob capirebbe però se non mantenessi la tua parola.Infrangere le promesse è come rubare: la cleptomania è una malattia che va curata. Lasciò che trascorresse del tempo per far sì che quelle parole le atterrassero sulle spalle, pesanti e inutilmente crudeli. Voleva ferirla, farle male, vendicarsi per avergli portato via Jakob, per averlo illuso e per avergli spezzato il cuore. Nella forsennata ricerca di capi espiatori, Nikolaj incolpava chiunque li avesse in qualche modo sfiorati, tutto pur di non ammettere ad alta voce io. Sono stato io a fare questo. Le passò accanto dunque, superandola senza tuttavia sfiorarla. Non voleva sentire il profumo, rischiare un contatto che non era certo di cosa avrebbe scatenato. In qualche modo si temeva quando lei era nei dintorni. Si accovacciò dinanzi la candida tomba che recitava poche semplici parole:

    Chi io fui tu sei
    chi io sono tu sarai.
    La stella più luminosa
    è quella che si spegne per prima.

    Jakob L. Mordersonn
    15 Dicembre 1988 - 3 Marzo 2008



    E rimase ad osservarla per un po' con il cuore che grondava colpevolezze. Con la destra raggiunse la tasca interna che, proprio all'altezza del cuore, conteneva un piccolo francobollo. Era quello che Jakob gli aveva lasciato, il più prezioso di tutti e, nonostante Nikolaj avesse al tempi denigrato la passione del gemello, gli era più prezioso di qualsiasi bene avesse. Lo posò allora sul marmo costoso che il nonno aveva scelto di usare come tetto per l'aldilà di Jakob. Quel gesto era carico di una dolcezza che sia Frida che Niko avrebbero fatto fatica ad associare all'uomo. Adesso non hai più il potere di deciderà quanto tempo io possa passare con lui. Nikolaj si alzò lentamente, un ginocchio emise un leggero scricchiolio accompagnato dal frusciare del lungo cappotto, e si avvicinò a Frida più di quanto avesse mai fatto in undici anni. Se ci avesse tenuto così tanto ti avrebbe parlato della decisione di dividerci e invece non l'ha fatto. Nessuno di noi l'ha fatto. Non eri così importante come credi, Frida, fattene una ragione e lasciaci in pace. Fu un sibilo basso ma chiaro, quasi una minaccia nell'orecchio destro. Inventava bugie, Niko, nel tentativo di ferirla nascondendo un dolore troppo grande per essere espresso a parole. La guardava con insistenza, si aspettava ubbidisse e uscisse da quella cappella e dalla loro vita. Ci mancava poco che allungasse il braccio a puntare il dito contro l'uscita, neanche Frida fosse alla stregua di un cane randagio. Abituato com'era a portarselo addosso da solo, Nikolaj rifiutava di credere che qualcuno potesse arrivare a capirlo, figurarsi condividerlo. Nell'arrogante convinzione di provarlo solo lui, era del tutto ignaro che forse Frida poteva essere davvero l'unica in grado di farlo.

    I couldn't stand the person inside me, I turned all the mirrors around



    Edited by mesmeric - 30/12/2018, 21:37
     
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    In tutti quegli anni aveva cercato notizie per vie traverse di lui, anche se non voleva vederlo e non voleva parlarci, Liv aveva bisogno di sapere che stesse bene, che non si fosse cacciato in qualche guaio e che, non l'aveva materialmente perso. Frida aveva perso in realtà l'uomo molti anni prima, quando aveva deciso di allontanarlo da sè stessa e di non incontrare la sua richiesta di provare a superare quella parte difficile della vita insieme eppure, sapere che era vivo, che da qualche parte di quella cittadina lui provava a sopravvivere, la consolava. Sapeva che Nikolaj non stava bene, nonostante all'apparenza volesse dimostrare il contrario, sfoggiando la sua parte più forte ed indifferente verso il mondo, lei sapeva che dentro era rotto, come lo era lei. Frida e Nikolaj erano ormai come dei carillon troppo vecchi per suonare bene, per quanto provavi ad aggiustarli e per quanto questi ripetessero in modo quasi totalmente corretto la loro canzone, c'era una nota in cui stonavano sempre e che era impossibile da aggiustare. Non funzionavano più bene, come quando erano nuovi, loro erano feriti così profondamente da non poter essere aggiustati e questa ferita, li avrebbe per sempre accompagnati nel loro cammino.
    Lo aveva spiato soltanto una volta, vestita di quella maschera che le permetteva per qualche instante di non essere nè Liv nè Frida, piuttosto una guerriera in nero capace di aiutare gli altri come non aveva fatto con i gemelli. Quello era il suo modo per cercare la redenzione, nonostante non funzionasse bene come sperava. Cercava di salvare anime innocenti, come lo erano state loro, soltanto ragazzini incapaci di capire dove stavano andando a cacciarsi, senza la capacità dei genitori di prevenire quel disastro che da lì a qualche anno, si sarebbe compiuto in una sala di ospedale, sopra un lettino in acciaio sterilizzato. Heda aveva vestito la sua maschera migliore e si era diretta in quel luogo dove sapeva lo avrebbe trovato: il palazzo dei Mordersonn nel centro città, dove Nikolaj adesso viveva lontano da quella villa che era stata la loro culla. Aspettava di vederlo uscire da quel palazzo imponente e ricco, nella speranza di tastare con i suoi stessi occhi chi fosse vivo e consapevole che aveva bisogno di scrutare il suo profilo. Non erano passati molti anni da quando avevano fatto l'operazione ed il suo corpo era visibilmente provato. Si muoveva impacciato, come se gli mancasse l'equilibrio che era dato un tempo da suo fratello. Aveva la testa altrove e lo si poteva leggere in quello sguardo perso nel vuoto, diretto chissà dove nei pensieri dentro di sè, fuori era buio ed ad illuminare la sua persone era solo la flebile luce dei lampioni sulla strada. Stava aspettando qualcuno, forse il suo autista personale eppure, Heda era convinta che se anche se lo fosse trovato davanti lui non l'avrebbe realmente visto. Indossava un lungo cappotto scuro, a coprire la figura lanciata e non aveva minimamente visto quei due ragazzi poco raccomandabili che lo aspettavano all'angolo della sua strada. Nikolaj era una persona ricca e potente, questo lo rendeva un bersaglio facile per chi non aveva niente da perdere, nonostante non fosse suggerito fare lui un torto. Eppure quei due continuavano ad osservalo, perso com'era tra i suoi sentimenti saliti su di un ring. Nikolaj, sta attento avrebbe voluto gridare, eppure sapeva che se avesse parlato, lui l'avrebbe riconosciuta in mezzo a mille altre persone. Erano pronti all'agguato e lei, non poteva lasciarlo stare, nonostante sapesse che era capace di proteggersi da solo, lo era sempre sfacciatamente stato. Allora si fece avanti, attenda a non farsi fissare negli occhi da lui che, troppo furbo e troppo impresso nel suo cuore, l'avrebbe smascherata senza troppi problemi. Sparì come era venuta, in un battito di ciglia lasciando solo alla memoria una guerriera vestita di nero che aveva legato ad un palo i due malfattori. Da allora, non si era più presentata davanti a lui in nessuna forma, perchè si era accorta di non essere pronta a farlo, perchè si era accorta di sentirsi terribilmente e schifosamente in colpa per averlo abbandonato.

    Difronte a lei, adesso si eleggeva un bambino cresciuto che però, era sempre uguale al ragazzo che aveva conosciuto fin troppo bene anni prima, non fosse stato per quelle profonde occhiaie e quel volto fin troppo rigido e invecchiato che indossava. Poteva riconoscerlo lontano un miglio, per quel suo modo ancora goffo di muoversi, nonostante Jakob non fosse più con lui. Aveva ancora quella postura imposta dalla condivisione di un altro corpo, nonostante avesse chiaramente provato a cancellare quella presenza ormai invisibile al suo fianco. Era bello, come lo era allora, con quello sguardo pieno di fuoco dentro di sè, che un tempo poteva essere passione ed oggi si era trasformato in rabbia e rancore. Erano sempre stati gli occhi a comunicare con lui, a differenza del fratello che era capace di dipingere reali espressioni sul suo volto, Nikolaj era da scoprire. Lui non rideva, lui non dimostrava rabbia o delusione sul suo volto piuttosto dovevi imparare a leggere la luce che brillava nei suoi occhi e Frida, aveva imparato fin troppo bene a farlo e nonostante fossero passati lunghi anni, ancora oggi poteva riconoscere la luce che brillava dentro di questi e che, l'avevano fatta innamorare di lui. Perchè si, Liv si era innamorata di lui, si era innamorata di loro e nonostante avesse sempre saputo dentro di lei a chi dei due sarebbe stata destinata, non era mai riuscita ad ammetterlo o a scegliere, a discapito della loro anima che, per quella scelta di sarebbe sgretolata. Come poteva ammettere di amare un pò di più uno dell'altro? Come poteva scegliere, lasciando uno da parte, seppur così vicino e palpabile? Non voleva metterli in competizione, non voleva sciupare il loro legame eppure, era riuscita a farlo comunque, a ferirli e a farli decidere di prendere una decisione così pericolosa che li aveva allontanati per sempre. Lei era parte integrante del problema, della colpa che aveva portato alla morte di Jake e nonostante non fosse stato quello un omicidio, lei si sentiva colpevole e con le mani sporche di sangue per quello che era successo. Non aveva mai avuto il coraggio di confessarlo a nessuno, alla sua famiglia, a suo fratello o a Runa, teneva quello sporco segreto dentro di sè a tingerle il cuore di nero, incapace di tirare fuori quella sua colpevolezza tangibile.
    Non dovresti essere qui perché è una cappella privata destinata ai famigliari e, per quanto ne sappia, tu non fai parte della mia, della sua famiglia. O sei riuscita in qualche subdolo modo a intrometterti anche in questo caso? lo lasciò parlare, abituata a sopportare quella sua tagliente freddezza. Lo aveva sempre fatto, attaccare per mettersi in difesa. Anche quando era più piccolo e si trovava in una posizione scomoda, Nikolaj attaccava e feriva, non gli importava chi ci fosse davanti a lui, quella era la sua arma di difesa migliore e gli riusciva terribilmente bene ferire le persone. Serrò le mascelle ed i pugni in una ferrea presa, cercando di trattenere il suo carattere irruento e permaloso perchè sapeva che era inutile rispondere al fuoco, con altro fuoco. Gli disse semplicemente la promessa che aveva fatto a Jakob, in quell'ultima fugace lettere che gli aveva scritto e la risposta di Nikolaj, ancora una volta malvagia, non tardò ad arrivare Sei brava in quello che fai, nelle promesse che giuri. Usi le giuste parole, sei convincente lo riconosco. lo guardò indietreggiare, mettere della distanza tra loro mentre lei cercava di accorciarla. Aveva ancora paura di lei, dell'effetto che quel corpo minuto poteva avere su di lui, nonostante tutti quegli anni. Provava la stessa cosa Liv, schiacciata dal dolore e dal risentimento, dalla rabbia e dal rimpianto. Ricordo delle parole simili fra noi due, poi ti sei tirata indietro proprio all'ultimo. Cosa mi avevi detto, Frida, te lo ricordi? Come tutti quelli che conoscevo. Lei lo aveva abbandonato, come tutte le altre persone che conosceva lo aveva lasciato come una barca in balia delle onde nel bel mezzo dell'oceano in tempesta. Un puntino solo ed indifeso nella grande ed insidiosa tempesta del mare, pronto a sgretolarsi senza avere nessuno intorno che si preoccupasse per lui, pronto a tendere una mano. Lei aveva sempre cercato di sapere come stava, ma non c'era realmente stata per lui e anche quella, sarebbe stata una cosa che non si sarebbe mai perdonata eppure, aveva scelto di non esserci. Liv non poteva stare con lui perchè era stata sua complice nell'omicidio di Jake, non poteva stare con lui perchè avrebbe donato lui il suo intero cuore e la sua anima, girando le spalle a quell'amico che c'era sempre stato per lei, senza mai ferirla come invece aveva fatto delle volte il gemello. Non poteva farsi beffa di lui, adesso che si trovava nell'aldilà lei non poteva e non voleva godere di quello stato privilegiato in cui si era ritrovata. Lei aveva voluto sempre più Nikolaj di Jakob perchè lui, aveva quella velata incoscienza da cattivo ragazzo che l'aveva sempre attirata, lui aveva sempre quel lato da scoprire che la rendeva ingorda di lui, lui aveva quel lato malizioso che la attraeva in mari ancora non navigati. Eppure Jake era sempre lì, tra loro a mettere la parola giusta nel momento giusto, quell'aria rassicurante e pacifica di cui Liv non poteva fare a meno. Lui c'era e ci sarebbe sempre stato, sarebbe stato un baricentro importante nella vita di Liv e non poteva farne a meno, non poteva scegliere Nikolaj e ferire il fratello e dopo la sua morte, non poteva ancora sceglierlo beffando il corpo e l'anima di un innocente morto per colpa e mano loro. Erano due assassini, questa era la verità che celata, Frida non aveva il coraggio di ammettere.
    Sono sicuro che Jakob capirebbe però se non mantenessi la tua parola.Infrangere le promesse è come rubare: la cleptomania è una malattia che va curata. lo lasciò ancora parlare, sfogare quella sua rabbia tenuta dentro per troppo tempo e causa in primis da lei, che era stata per Nikolaj un punto fermo e di salvezza. Lo guardò muoversi goffamente, dirigersi verso quella tomba fredda e candida, dove poteva riversare il suo dolore. Hai sempre fatto così Nikolaj, hai sempre ferito le persone ed io mi sono abituata ad incassare i tuoi colpi confidò lei, con voce sospirante. Se ci avesse tenuto così tanto ti avrebbe parlato della decisione di dividerci e invece non l'ha fatto. Nessuno di noi l'ha fatto. Non eri così importante come credi, Frida, fattene una ragione e lasciaci in pace. Eppure lei lo sapeva, sapeva tutto grazie a quell'ultima lettera che conservava gelosamente. E se invece fossi stata a conoscenza di tutto? E se non fossi stata capace di fermarvi.. di fare qualcosa per salvarvi perchè avrebbe salvato entrambi, la vita di Jakob e l'anima di Nikolaj. Eppure chi gli avrebbe detto che loro volevano essere salvati? Che lui voleva essere salvato? Ancora una volta aveva preferito lui, quello che più facilmente l'aveva sempre ferita.. lo aveva lasciato andare avanti nel suo cammino, senza frapporsi tra lui e Jakob, tradendo la fiducia che quest'ultimo aveva riposto in lei scrivendo quelle ultime parole Jakob contava su di me e io l'ho tradito diventanto complice nella sua morte ammise con voce spezzata, incapace di tenere quella confessione che in verità voleva seppellire dentro di sè e che non avrebbe mai voluto confessare, tanto meno che a lui. Eppure le parole avevano preso la loro strada, uscendo dalla sua bocca.

    Why did you leave? Why did you go leaving me lonely?
    Didn’t you know you were the home, you were the only?
    Where did you go? Where did you go? Where did you go?
    Come back to me

    You were my one, you were my one
    When all has been said, all has been done
    You were my one, you were my one
    Now I am left reaching above me, oh, oh

    Time goes by and still I’m stuck on you, ooh, you, ooh
    Time goes by and still I’m stuck on you, ooh, you, ooh
     
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    Per quanto lo riguardava, non l'aveva mai più cercata. C'erano stati momenti - sopratutto all'inizio della sua nuova vita - in cui le dita avevano sostato sul fascicolo che la riguardava, indugiandovi qualche secondo di troppo, animate da dubbi che non gli appartenevano. Non l'aveva aperto intatti, riuscendo in qualche modo a tenerla lontano dalla sua mente di cui, a sentir parlare Niko, non meritava neanche le zone periferiche. Era difficile dimenticare per lui, a tratti impossibile. Del rifiuto di Liv aveva fatto tesoro, giurando che non avrebbe permesso al suo cuore d'essere vulnerabile una volta di più. E così si era rafforzato quel processo di distacco iniziato già molti anni addietro e acuitosi con la serie di abbandoni che avevano costellato la sua vita. Il risultato si stagliava in tutto il suo metro e novanta, un'ombra altissima che sembrava occupare l'intera cappella mangiandosi via la poca luce rimasta. Nikolaj Mordersøn aveva capito che le persone ti lasciano quando diventi scomodo, vero, sincero, per questo non tornava quasi mai sui suoi passi, rarissime le eccezioni. Come Sofie, arrivata da un passato che l'uomo aveva così ardentemente combattuto. Poteva aver anche perdonato la sorella, ma non avrebbe dimenticato mai. Vittima e carnefice di un processo evolutivo che non ammette ripensamenti, a Nikolaj sembrava di non provare più niente. Né gioia, né tristezza, solo del rancore sottile ma sempre presente. Si era convinto che nella vita non c'era niente che fosse poi così sconvolgente. Era consapevole del fatto che avrebbe dovuto avvertire qualcosa, mentre fissava i grandi occhi di Frida. Un affetto sopito, una tristezza mal ricucita, una qualsiasi emozione sarebbe andata bene. Ma il subconscio spingeva ogni cosa più in fondo nell'esofago, accertandosi che niente sfuggisse la presa mortale, se non risentimento. Invece l'uomo osservava la ragazza con occhi gelidi, due bottoni azzurri persi sul fondale del mare, ormai mezzi seppelliti nella sabbia. Era sott'acqua e si convinceva di avere tutto, sé stesso, sotto controllo, di star nuotando. Hai sempre fatto così Nikolaj, hai sempre ferito le persone ed io mi sono abituata ad incassare i tuoi colpi Inarcò le sopracciglia, un gesto che incitava a farla proseguire. Perché altrimenti non capiva cosa avrebbe dovuto farci, Nikolaj, con quell'affermazione. Sentirsi in colpa? Un mostro? Piangere? Ma la ragazza non disse nient'altro a riguardo, e Nikolaj si domandò se quello non fosse il maldestro tentativo di Liv di ferirlo. C'era stato un tempo in cui si era creduto innamorato di quella ragazzina ma riconosceva ora di aver avuto torto. Nessun amore valeva tanto. Nessun essere umano era degno della sua totale abnegazione. E tu hai sempre avuto una propensione per il ruolo della vittima. Il tono di voce era chiaramente infastidito, come se trovasse tutta quella faccenda un noioso contrattempo. Infilò le mani nella tasca del capotto nero a doppio petto nel tentativo di scaldare le appendici ghiacciate e, inconsciamente, di proteggersi. Non poteva perdonare o lasciar correre.
 Si sarebbe dovuto incazzare, sbattere la verità in faccia alla gente, avrebbe dovuto urlare, sfogarsi. Doveva dire tutto quello che pensava, non doveva tenersi niente dentro, perché dentro ristagnava e finiva per far male solo a lui. Eppure non ci riusciva, Nikolaj, con i sentimenti sembrava aver anche smarrito la capacità di aprirsi verso l'esterno. E se invece fossi stata a conoscenza di tutto? E se non fossi stata capace di fermarvi.. di fare qualcosa per salvarvi Per un momento qualcosa dentro di lui aveva smesso di funzionare, o almeno così gli parve. Un'articolazione, un ingranaggio da qualche parte tra lo sterno e l'addome si era bloccato e a Nikolaj mancò d'improvviso il fiato. Il viso impallidì ancora di più, e quella era forse la prima reazione umana a cui Frida assisteva. Paura.
    Avanzò istintivamente di qualche passo, colmando una buona volta la distanza che fino a quel momento si era premurato di tenere a livelli di sicurezza. La afferrò, le mani che stringevano saldamente le braccia all'altezza delle spalle. Cosa hai detto? Sibilò chino su di lei, il viso a pochi centimetri dal suo. Nessuno sapeva, nessuno avrebbe mai saputo come erano andate davvero le cose. Era uno di quei segreti che si portano nella tomba, stretti al petto senza lasciarli mai andare. Forse Frida poteva scorgere la paura, il terrore, negli occhi plumbei dell'uomo mentre la scrutavano in cerca di una risposta che gli calmasse l'animo. Sentì la famigliare e formicolante sensazione di piccoli filamenti trasparenti che dai polpastrelli delle dita attaccavano il corpo della ragazza, finendo per unirli senza che nessuno dei due lo volesse davvero. Non aveva mai pensato a cosa le vittime provassero in quei momenti, se si rendessero conto che presto avrebbero perso controllo del loro corpo.Non era sua intenzione usare la particolarità in quel momento, eppure quella connessione non era dettata da scelte razionali. Desiderava che se ne andasse, che lo lasciasse in pace, e forse il suo corpo aveva risposto a quel desiderio cercando di far vincere l'uomo come spesso faceva, con facilità. Gli sarebbe bastato muovere le dita per farla andare via, obbediente come una marionetta di legno. Jakob contava su di me e io l'ho tradito diventanto complice nella sua morte. Socchiuse gli occhi, inspirando aria dalle narici mentre il corpo ebbe un leggero fremito. Poi spalancò entrambe le mani, lasciando la presa che aveva mantenuto su Liv per poco più di una manciata di secondi. Non sai di cosa stai parlando. Non sai niente Frida. E ormai non ha più importanza, non è rimasto più niente, solo io. Quindi smettila di giocare a fare l'eroina, perché alcune persone non possono essere salvate. Non vogliono essere salvate. aveva fatto un passo indietro, le braccia lungo i fianchi. Dimentica lui, dimentica me. Dimentica tutta questa faccenda, perché non ne hai mai fatto parte. Mentì, forse anche solo per farla andare via con l'animo in pace. Bisogna rimboccarsi le maniche e salvarla, la propria vita, e Nikolaj non aveva intenzione di muovere un dito. Quando non la vide fare un passo, decise che forse non le erano bastate le parole cattive. Forse aveva bisogno di una spinta in più per decidersi ad andarsene, a salvarsi. Cosa vuoi davvero? Soldi? Ecco. Aveva tirato fuori il portafoglio di pelle nera, afferrando fuori circa duecento corone e tendendogliele con il braccio in avanti. Prendili e va' via. Non sapeva bene come sentirsi, in quel momento. Sarebbe più facile, più comodo, più naturale, accettare che alcuni eventi vanno semplicemente come devono andare, che esiste un’evoluzione dove la nostra volontà non basta a modificare andamenti inesorabili. Se non lo puoi vivere, lo puoi dimenticare.
     
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    Liv Frida Berg | 28 anni | Autoriflessi

    Era calato come il gelo, in quella camera ardente già abbastanza carica di desolazione. Liv, osservava Nickolaj rendendosi conto di quanta acqua sotto i ponti era passata, in tutti quegli anni in cui, erano stati separati. Le braccia lasciate cadere lungo i fianchi, le mani chiuse in pugni ben stretti tra di loro ed il cuore, la mente, pronti a fare una rivoluzione. La fermavano soltanto le unghie che, affondavano nel palmo chiuso della propria mano e che, avrebbero lasciato dei piccoli archetti come memoria di quell’incontro. Doveva sfogare la propria inquietudine, la propria rabbia, tutto quel caos che aveva dentro e che non si era mai trovata a dover affrontare in tutti quegli anni. Aveva badato bene di incontrarlo, da quando era successo di Jakob perché sapeva che, incontrarlo avrebbe fatto troppo male e avrebbe riportato alla mente ricordi che, avrebbero riportato Liv a fondo.
    Gli anni che aveva passato a casa Mordersønn, erano stati alcuni degli anni più felici di Frida, nella spensieratezza di una ragazza ancora troppo giovane per affrontare tutti i problemi della vita eppure, al contempo aveva a che fare con due personaggi fuori dall’ordinario. Aveva sempre ritenuto Jake e Niko, due ragazzi speciali e non solo per la loro condizione fisica ma, soprattutto per i loro caratteri così diversi e interessanti. Avevano passioni ed interessi completamente diversi a parte quello per lei ed il fatto di essere così vicini, di essere una persona li aveva portati a caricarsi di mille informazioni perché quello che chiedeva o che voleva vivere Niko, lo viveva e sentiva anche Jakob e viceversa. In quel preciso istante, mentre Nikolaj fronteggiava il corpo minuto di Liv, quest’ultima si chiese se fossero mai stati, realmente affini o se fosse stato da sempre Jakob ad unirli dato che, era proprio lui l’anello più socievole e pacato di quella famiglia. Si chiese anche se non fosse stato un capriccio di Nikolaj, amarla, per portarla via al fratello che molto spesso si divertiva a sfidare. Era arrabbiato con lui, perché non poteva donargli una propria vita, era arrabbiato con lui perché doveva condividerci tutto, era arrabbiato con lui perché Jakob sembrava aver accettato quella loro condizione mentre lui, non riusciva a farlo e quindi, la sua ribellione si faceva viva. E Frida li aveva amato, per quelle loro diversità, per diventare una persona così completa quando erano insieme, collegati l’uno a l’altro. Li aveva amati profondamente, come amici e come amanti, anche se non vi era mai stato quel qualcosa in più che i loro amici invece provavano a sperimentare per via della loro età, dell’adolescenza che aveva trasformato la loro innocenza in qualcosa di più complicato da gestire, come la malizia. O almeno, quella c’era segretamente anche per loro ma, quella condizione così particolare alla quale erano obbligati, li aveva portati tutti e tre a dover sopire quegli istinti naturali di un corpo che mutava, maturava.

    #flashback
    Quel pomeriggio era arrivata a casa Mordersønn troppo presto, Nikolaj e Jakob stavano ancora facendo un pisolino pomeridiano che, ogni tanto si concedevano. Non era facile dover condividere un corpo, dover sorreggere due persone e doversi trovare ad agire per due. Nonostante loro fossero abituati, perché nati così, dei giorni potevano essere più stancanti degli altri o semplicemente più complicati.
    Stanno riposando un pò, Signorina Berg, ma credo che a breve si sveglieranno le aveva comunicato una signora del personale a disposizione della famiglia così, come era solita abituata a fare, Frida si avviò verso camera dei suoi due amici. Una volta arrivata davanti alla porta socchiusa, la giovane si tolse le scarpe pronta a varcare quel luogo che per lei era divenuta una seconda casa. Li vide, entrambi dormire come due angioletti e nell’osservarli, un sorrisino stupido si dipinse sulle sue labbra. Erano così simili, eppure così diversi i due gemelli. Anche nel loro modo di dormire, nelle loro espressioni facciali si poteva leggere l’animo più pacato di Jake, rispetto a quello più combattivo di Nikolaj che, anche nel sonno riusciva ad avere sempre un piccolo broncio dipinto sul volto. Rimase immobile a fissarli, beandosi di quell’immagine pacifica che per sempre le sarebbe rimasta nel cuore e nella mente fino a quando, la voce gutturale di Nikolaj non la raggiunse hai intenzione di rimanere lì per molto? gli chiese, provocandole un leggero rossore sulle guance per essere stata presa in fragrante sshh! O sveglierai Jake commentò lei, facendo lui segno di abbassare la voce e raggiungendolo poi sul suo lato del letto, sedendosi al suo fianco. Le coperte di casa Mordersønn erano sempre così soffici, che Frida amava distendercisi sopra e tanto più, le piaceva farlo quando poteva essere in compagnia dei suoi amici. Erano confezionate, con i materiali più puri e costosi che potessero esistere e i piumoni nei quali amava tanto affondare, erano fatti in pura piuma d’oca siberiana. Queste coperte sono la cosa più morbida sulla faccia della terra.. dopo le tue guance, ovviamente! lo prese in giro lei, facendo attenzione a non alzare troppo la voce per non svegliare Jake, mentre con il dito indice affondava delicatamente il dito sulle guanciotte di Nikolaj che, aveva preso a sbuffare. Le piaceva provocarlo, dargli noia perché lei, aveva la possibilità di poterlo fare all’epoca. Era gelosa, di quei rari momenti in cui poteva godere di uno solo dei due, quei momenti in cui imparava a conoscere un lato più segreto dei gemelli e quando quei rari attimi si presentavano alla porta, Frida cercava di goderseli a pieno, gelosa di quel tempo che sempre troppo presto veniva interrotto da qualcuno o più semplicemente, da uno dei due. Non aveva paura, di essere sfacciata nei loro confronti o di dimostrare affetto, come in quel momento esatto in cui si sdraiò al fianco di Nikolaj, prendendo la forma mancante che andava a completare la sua silhouette. Sai di buono, devi esserti fatto finalmente la doccia! lo scherzò nuovamente, cercando di rendere più leggero quel pensiero profondo nei confronti di lui, lasciando poi affondare il suo naso tra la spalla ed il collo di Nikolaj che immobile, sperava a sua volta di non svegliare il fratello, mentre si lasciava inondare dalla presenza di Frida.

    Oggi, era cambiato tutto.
    Non sai di cosa stai parlando. Non sai niente Frida. E ormai non ha più importanza, non è rimasto più niente, solo io. Quindi smettila di giocare a fare l'eroina, perché alcune persone non possono essere salvate. Non vogliono essere salvate. Dimentica lui, dimentica me. Dimentica tutta questa faccenda, perché non ne hai mai fatto parte.
    E sapeva che non erano vere quelle parole, così come sapeva che lo stesso Nikolaj non si sarebbe mai potuto dimenticare di lei. Sorrise amareggiata, ma non sconfitta da quelle parole che la toccavano si, ma in un certo senso da lontano, come ormai erano lontani lei è Nikolaj. Erano stati l’uno per gli altri una parte troppo importante per poter dimenticare, per potersi lasciare tutto alle spalle e per sempre, avrebbero provocato un sentimento nell’altro. Come l’odio, o la rabbia, che entrambi stavano provando in quel momento, oltre al rancore e al dispiacere di non aver potuto fare niente che rimuginava nella testa di Liv.
    C’era dell’altro, c’era qualcosa che Nikolaj non aveva detto a nessuno, qualcosa che teneva chiuso nella parte più oscura e profonda di sè stesso e Liv l’aveva potuta scovare, in quell’attimo di panico che aveva potuto leggere negli occhi del suo interlocutore. Non sapeva cosa è forse, non l’avrebbe mai saputo ma lo aveva letto e nonostante Nikolaj provasse a nasconderlo con tutta la bravura di un corpo vestito da una maschera, Frida aveva imparato a conoscerlo troppo bene, troppo intimamente, in quella parte di sè stesso che da pochi aveva fatto raggiungere. Liv, avrebbe potuto dimenticarlo eppure, conosceva di quello sguardo e di quelle espressioni ogni minima sfaccettature, ogni più piccola ruga o guizzo nello sguardo. Era passato del tempo ma quella parte di lui - così come di lei - era rimasta invariata. Paura, rabbia, odio.
    Cosa vuoi davvero? Soldi? Ecco. aveva esclamato, tirando fuori il portafogli e porgendole delle banconote Prendili e va' via. Voleva chiudere quella conversazione e anche lei, voleva farlo. Non sapeva perché si era trattenuta così tanto di fronte a lui, non sapeva perché non se ne era andata alla prime parole storte dell’uomo. Era uN ingenua, lo era sempre stata quando si trattava di questioni che le toccavano il cuore.
    Ti ricordavo sfacciato e prepotente Nikolaj, ma adesso ti sei caricato anche di una bella dose di tristezza commentò, osservando i soldi che teneva in mano, senza muoversi di neanche un passo e sfidandolo poi, posando i suoi occhi verdi oceano in quelli di lui. Non erano mai stati i soldi e Nikolaj lo sapeva bene, anche se adesso era accecato da tutt’altro.
    Un giorno scoprirò com’è andata davvero.. che tu lo voglia o meno lo provocò infine, mentre scorrendo al suo fianco per lasciare quel luogo, non si disturbò di scansarlo. Voleva fare chiarezza in quella storia, ancora di più dopo che il terrore aveva velato gli occhi di Nikolaj. Qualcosa non tornava in e Frida, non poteva rimanere inerme davanti a quel guazzabuglio che le si era mosso dentro.
     
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6 replies since 11/11/2018, 21:26   324 views
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