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Coco&Roy | Tramonto

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    Sprofondare nello sconforto, nelle peggiori consapevolezze che possano esserci e credere di poterne uscire prima o poi. Non sapeva quanto sarebbe durato, quando tutto quel buio fosse calato su di lei. Coco semplicemente non lo aveva mai visto arrivare, come se fosse stato lì presente assieme a lei per tutta la sua esistenza. Niente ricordava della propria infanzia nel prima, se non quel breve ed intenso ricordo recuperato da così poco tempo da non averlo neanche potuto affrontare con cognizione di causa. Delle immagini che si ripetevano dentro la sua testa come il nastro ininterrotto di un video che non avrebbe voluto mai vedere. Avrebbe ricordato sempre di quella macchia di sangue sotto il viso della donna che probabilmente era stata sua madre, così come le dita minute di quel bambino strette attorno alla propria mano ancora bambina. Erano stati giorni tremendi, pieni di tutto e vuoti allo stesso tempo. Il respiro aveva vacillato così spesso nel suo petto che, per qualche breve istante, aveva addirittura pesato di poter essere morta. Eppure, non era stata la fine, non arrivava mai la fine: solo una montagna di pause che si accavallavano l’una sull’altra in attesa di poter riprendere la corsa, in attesa che le sue dita premessero nuovamente sul tasto play. Questa volta però sembrava non essere pronta a tornare, non avendo avuto neanche il tempo necessario per elaborare ogni cosa, ogni frammento di quel lungometraggio. Si erano susseguite in scene veloci quelle immagini e lei non aveva saputo osservarle con attenzione, restandosene impalata di fronte alla polvere che avevano lasciato tutto intorno nel momento in cui avevano finito di scorrerle dinanzi agli occhi chiari. Il viso adirato di Roy era stata la più frequente, fra le tante; un ricordo che non avrebbe potuto eliminare con facilità, se solo lo avesse desiderato. Eppure, tutto il contrario di ciò che avrebbe dovuto essere, era. La consapevolezza di lui fuori dalla prigione era ormai divenuta una costante nella vita di Calypso. Un pensiero che non riusciva mai a scacciare e che al mattino si apriva su di lei come le palpebre scorrevano veloci sui suoi occhi, pronte ad aprirsi e a permetterle di affrontare nuovi contorni, nuove immagini poste dinanzi ad essi. Ogni giorno diveniva una sfida: evitare di pensarci, evitare di scrivergli, evitare di rispondere a qualsiasi suo messaggio, qualsiasi sua chiamata, evitare di stare maledettamente male nel fare tutto questo. Un combattimento che non l’avrebbe mai vista vittoriosa, al riguardo sembravano entrambi abbastanza sicuri. Allora, se da un lato quel nome le provocava irrimediabilmente la pelle d’oca su tutto il corpo, dell’altro scatenava in lei un’ira che conosceva bene e che per lungo tempo era stata l’unico sentimento di cui si fosse nutrita. Fu abbastanza chiaro ad entrambi quanto avessero ancora in sospeso, e mentre le parole di quell’ultimo incontro aleggiavano imperterrite fra le pareti della loro abitazione, Coco chiudeva gli occhi e provava a cacciar via le lacrime, tentando di non dare a lui l’ennesima parte di sé. Un’ulteriore sfida, una dichiarazione di guerra ai propri sentimenti per nulla assopiti, vivi e laceranti mentre strisciavano in lei, incatenati e costretti al silenzio per un orgoglio e un amor proprio che a stento avrebbe potuto esser considerato tale. Nei suoi sogni, quando il buio calava sul suo viso e la notte prendeva possesso del suo corpo, Calypso viveva in un luogo diverso, in un tempo parallelo, dove ogni attimo sembrava essere eterno e lei non avrebbe dovuto compiere scelte, non avrebbe dovuto vedere la vita abbandonare la sua strada, così come la stretta di Roy sembrava essersi legata talmente tanto alla sua da permetterle di non riuscire a comprendere parole come perdita o distacco. Così, alcune volte ci pensava: sarebbe bastato pochissimo, per riavere una parte di quel buio nuovamente scacciato via da un fascio di luce. Sarebbe bastato lasciarlo avvicinare, lasciarlo entrare. Ma faceva tremendamente male e lei non sentiva di essere pronta a quell’esplosione di dolore, una bomba cancerogena che avrebbe distrutto tutto il suo già precario equilibrio.
    Roy aveva suonato il campanello innumerevoli volte, disturbando quella quiete esterna da cui si era lasciata avvolgere per breve tempo, prima che lui giungesse alla sua porta ancora una volta. Non aveva voluto farlo entrare, comunicando con lui solo attraverso quella porta che un tempo si erano spesso chiusi alle spalle insieme. Avevano imprecato, urlato, i vicini avevano udito quel caos e nel momento in cui avevano allungato lo sguardo per apprendere cosa vi fosse di tanto caotico, la figura di Roy era riapparsa dinanzi a quegli occhi invadenti dopo una lungo silenzio di due anni; il tempo non aveva acquietato però gli animi, neanche un po’. E il ciclo riprendeva a voltare su se stesso come se non avesse fatto altro per tutto quel tempo, come se una separazione fisica non valesse altro: tornava tutto come prima, tutto come quando litigavano per poter risalire o no su quell’isola felice. «Mi hai rotto.» furono quelle, le prime parole che gli rivolse una volta spalancata finalmente la porta. Le labbra serrate, una mano ferrea stringeva la maniglia argentata mentre l’altra si andava a posare sullo stipite della porta, quasi volesse farlo crollare o lasciare che corrodesse sotto al suo tocco caldo. Una ciocca di capelli ricci le ricadde sul viso nel momento in cui avanzava nella direzione di Roy, attenta a non andargli comunque troppo vicino mentre si esponeva a lui per uscire di casa, tirandosi poi la porta con violenza per richiuderla, una volta fuori. Fissò il suo sguardo serio in quello di lui, restando immobile di fronte alla sua figura e cercando di non pensare al fatto che in quel momento avrebbe preferito mettergli le mani addosso e strozzarlo. Corrucciò le sopracciglia in uno sguardo nervoso, infastidito. Avrebbe voluto urlargli contro, spingerlo contro la parete e forse farci l’amore, urlargli contro di smetterla e di lasciarla in pace, lasciarla semplicemente andare. Avrebbe voluto molto altro, eppure, con le spalle e la schiena costrette contro il legno della porta di casa, Coco chiuse le mani in due pugni ferrei, mantenendo la presa salda lungo i propri fianchi e indugiando ancora qualche secondo con lo sguardo in quello vispo di lui, tornato alla carica. Forse lei lo aveva aspettato, forse lo aveva sperato, e alla fine lui era tornato e non si era fatto bastare niente di tutto quello che si erano già detti solo qualche giorno prima. «Vengo con te, basta che la smetti e non fiati per tutto il tragitto!» impose, muovendo quasi impercettibilmente un piede in direzione del ragazzo e sollevando una mano verso di lui, indicando la sua figura con il solo dito indice, prima di ritirare la mano e sorpassarlo lateralmente per farsi spazio e strada. Fu nel momento in cui lui le disse di salire in macchina che si pentì di aver ceduto, ancora. Da quando Roy aveva un’auto?

    L’asfalto sfrecciava sotto le ruote di quel catorcio mentre Coco se ne stava a braccia conserte sul sedile del passeggero, il capo posato lateralmente sul vetro freddo del finestrino, lo sguardo che solleticava silenziosamente la coltre di nubi bianca che presagiva una nevicata, di lì a poco. L’autunno sembrava essere nel pieno della propria vitalità, pronto però al contempo anche a far largo per l’entrata dell’inverno. Amava quel periodo dell’anno, Coco, immaginandosi spesso nel mezzo di una coltre di neve morbida, pronta a sprofondare in essa e a raggelare nel freddo che si sarebbe insinuato sotto la sua pelle. Il naso le si faceva subito rossastro non appena le temperature iniziavano a sfiorare i dieci gradi e giù di lì fino al gelo più totale, eppure a lei non dispiaceva sentirsi catturata da quel freddo. Le sembrava di essere a casa. «Dove stiamo andando?» chiese in un mezzo sussurro, prima di voltare appena il viso in direzione di Roy, alla guida dell’auto. Avevano superato le vie abitate della città da un po’, raggiungendo i paesaggi mozzafiato che circondavano Besaid e che la dividevano dal resto del mondo, oltre quei confini spaventosi. Non aveva idea di quale fosse la meta da lui prestabilita, ma il pensiero che potesse decidere di portarla oltre iniziava a solleticarle la mente e creare ansiose aspettative in lei. Da un altro lato, però, in quell’auto sembrava aver trovato una tranquillità che non aveva potuto afferrare nei giorni precedenti. Le sembrava di essere stata catapultata su un altro pianeta, sconosciuto e silenzioso, sul quale i passi sembravano essere ben più leggeri, rispetto al momento in cui venivano premuti sul suolo terrestre. Si sollevò con la schiena, raddrizzandosi contro lo schienale e staccando la fronte dal finestrino tornò a guardare per un breve momento il viso di Roy. Il profilo ben marcato era sempre lo stesso, solo un po’ più corrucciato del solito e più cresciuto. Gli si era indurito lo sguardo, in cella, glielo aveva notato la prima volta in cui l’aveva rivisito, quando aveva fatto irruzione in casa loro. Non aveva idea di cosa avesse dovuto vedere in quelle mura, di cosa avesse dovuto sopportare per poter venire fuori, per poter raggiungere lei di nuovo. Non aveva idea di molte cose, Coco, eppure lui continuava ad essere un’interminabile certezza. Lo avrebbe voluto negare, poter dire di non essere dipendente da quelle mani e da quel sorriso sporco, che non fosse lui il centro delle sue giornate. Avrebbe mentito, naturalmente: Roy era effettivamente ciò che smuoveva il suo mondo, perfino quando non c’era. «Voglio scendere.» impose, chinandosi appena in avanti e cercando di attirare la sua attenzione su di sé, mentre con il volto andava ad imporsi nella visuale del ragazzo. «Fammi scendere o riportami a casa, Roy.» protestò, scuotendo il capo e spingendosi con fretta nuovamente in direzione del sedile, lasciando che la schiena aderisse nuovamente ad esso. Strinse ancora una volta le mani attorno al tessuto della felpa grigia che le avvolgeva le braccia, provando a contenere quella sensazione di caduta, quella fitta allo stomaco che perpetuava, turbolenta, dal momento in cui solo qualche ora prima il campanello aveva preso a suonare. Era uno spazio ristretto, quello, e l’odore della pelle di Roy era ovunque intorno a lei: avrebbe dovuto soffocare per non avvertirlo. Ogni movimento l’avrebbe portata a sfiorarlo, ogni suo avvicinamento o tentativo era difficile da schivare in quell’auto, e la battaglia tra ciò che voleva e ciò che non poteva era un dettaglio irrilevante, se presa in considerazione.

    «So cosa voglio fare da grande. Voglio stare con te.» Era stata quella, l’illusione della sua vita. Una promessa buttata lì nel mezzo di una serata tranquilla, lontana dal resto del tempo, lontana dal resto del mondo. Eppure, qualche tempo dopo quel desiderio era stato tramutato in una bugia, la finzione in cui lui l’aveva gettata senza preavviso. Quando le aveva detto che si sarebbe arruolato non ne era rimasto niente, se non un forte ed incontrollabile eco. Il riflesso di un crollo, di una perdita, di una distanza. Non aveva potuto nulla, Coco, se non infrangere la credibilità di quelle parole che per un periodo avevano cullato i suoi sonni. Non voleva stare con lei, da grande. Non voleva tenerle la mano. Voleva piantare pallottole nella carne di gente che non avrebbe mai davvero conosciuto.
    Lo aveva lasciato andare, non senza protestare e rifilare a lui quella rabbia che le lasciava dentro abbandonandola per sfuggire a ciò che non gli piaceva di sé, a ciò che non gli piaceva di loro. Una delle innumerevoli ferite che avevano preso a sanguinare ogni volta in cui lei cercava di voltargli le spalle, forse cercando di proteggere se stessa.


    «Ferma questa dannata auto, Roy. ORA.» urlò, allungando le mani verso il cruscotto e lasciandovi con rabbia degli schiaffi, dei pugni, protestando contro di lui e il modo in cui andava e tornava a suo piacimento. Sembravano non aver vissuto insieme dieci anni, sembravano essere tornati al primo giorno: non lo vedevano, ma un velo li divideva di nuovo.
     
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    I wanna know what it's like to walk away from this life

    ♣︎♣︎♣︎


    Se ne era andato, Roy, fuori da quella casa che da loro era tornata ad essere solo sua, di Coco. Insieme alla porta aveva sbattuto dietro di sé una situazione fin troppo dolorosa per lui, proprio lui che sembrava avere una gran bella vita ed essere sempre in grado di affrontare qualsiasi cosa. Ma in realtá, ci sono parecchie cose che possono rovinare la vita di un uomo, dipende solo da quale lo travolge prima. Non lo sapeva neanche lui, ma Roy era diventato forte solo perché doveva. Soprusi fisici e mentali avevano iniziato a piovergli addosso sin dalla tenera età e Roy, senza che qualcuno gli avesse mai mostrato e fornito altri mezzi, aveva sin da subito imparato ad affrontare la vita con cipiglio arrogante, rispondendo alla violenza con più violenza. Fino al giorno in cui, quasi senza accorgersene, non c'era stato più bisogno di un motivo esterno, un attaccabrighe ubriaco o una parola di troppo, per esercitare violenza. Era ovunque, fuori e dentro di lui, Roy non riusciva a combatterla e aveva finito per abbandonarsi ad essa. Chi conosce il dolore ne riproduce l'eco per tutta la vita, come le conchiglie fanno con il mare. Questo fino a quando non era apparsa Coco, semi nascosta dietro quella tenda dai colori pastello. Ondeggiavano alla brezza autunnale, la tenda e i capelli della bambina, come le onde del mare sulla scogliera. Ed era stato in quel preciso momento che la vita aveva deciso per loro, senza che lo sapessero, che sarebbero stati proprio come il mare e gli scogli. Alla mercé della forza centrifuga che muove le maree, si sarebbero allontanati per poi riavvicinarsi, infrangendosi con violenza l'uno contro l'altro, mescolandosi a vicenda per conservare particelle dell'altro. Così non sarebbero mai rimasti soli, anche nella bassa marea. Erano quei momenti di pace che Roy amava di più, quando l'acqua calma e piatta lo cullava, tranquillizzandone l'animo irrequieto per natura. Non c'era nessuno che riuscisse a calmarlo come sapeva fare lei, le mani sulle spalle o sul suo viso, i pollici premuti delicatamente sulle palpebre chiuse di Roy. Uno, due, tre, quattro. Stesi su quel letto, contavano i respiri insieme in una delle tante notti in cui Roy era stato svegliato da un incubo dovuto ai terrori notturni di cui soffriva dal ritorno dall'Iraq. E piano piano, un sussurro di Coco dopo l'altro, Roy si calmava fino a riaddormentarsi.
    Ad un certo punto bisogna saper andar via. Lui era il tipo che voleva sempre restare fino all’ultimo, fino a che la festa non era finita, finché c’era vita c’era speranza, fino a che non gli si diceva chiaramente che era ora di andare. Invece avrebbe dovuto imparare a sparire, a un certo punto, perché tanto alle persone piaceva sentire la mancanza di qualcuno, più della sua presenza.Era scappato dunque. Ancora una volta si era lasciato la terra ferma alle spalle, il nido sicuro vegliato da quegli occhi azzurri. Aveva girato la testa a quei capelli ribelli che d'inchiostro indelebile gli avevano macchiato il cuore, incurante delle lacrime che scorrevano su di lei e Sembravano voler allagare la stanza. Era davvero già tutto affondato?
    Lo aveva creduto, Roy, le spalle contro il muro a pochi isolati dall'abitazione dalla quale si era catapultato fuori in fretta e furia. Improvvisamente era stanco, aveva male dappertutto e non se la sentiva più di lottare.Prendeva aria, gli occhi serrati sembravano intenzionati a non voler vedere più niente del mondo. La percepiva filtrare dalle narici, poi giù nella gola, ma continuava a sentirsi soffocare. Come se d'improvviso il mondo mancasse di abbastanza ossigeno per permettere a sette miliardi di persone di vivere su quel pianeta e avesse deciso di iniziare con il soffocare lui. Strana la vita, eh? Quei due anni di solitudine, maltrattamenti e percosse erano niente in confronto al male che Coco gli aveva inferto negli ultimi venti minuti. Nel buco tu buco ristretto della sua cella , Roy aveva ancora la piccola finestra sbarrata da cui la osservava camminare ogni giorno, illudendosi di averla ancora. Perché doveva per forza esserci una motivazione, qualcosa che la tenesse lontana da lui. In isolamento la mente inizia a credere a qualsiasi cosa pur di proteggersi, salvaguardarsi da un dolore che, aggiunto agli altri, avrebbe finito per ucciderlo. Aveva quindi tenuto duro grazie anche all'idea di poter avere qualche risposta una volta fuori perché, lontano dal mondo esterno, può essere difficile accorgersi della verità.
    Ma Roy si trovava nel mondo da più di due settimane ormai, rilasciato sulla fedina penale ma non ancora completamente libero. Non lo sarebbe mai stato se prima non l'avesse affrontata e in quel momento, inerme di fronte alla verità di cui si era rifiutato di credere, Roy desiderò non averlo mai fatto. Con i pugni che si serravano e si riaprivano, Roy era rimasto lì a lungo, fino a quando il cuore aveva smesso di ferirgli il costato e la voglia di vomitare era svanita. Si era alzato allora, avviandosi verso una meta sconosciuta persino a lui, la a testa china e le mani nelle tasche dei jeans sdruciti.

    Chi lo conosceva sapeva però che testa dura fosse Roy. Non riusciva proprio ad arrendersi, neanche messo di fronte a prove schiaccianti o quando gli si urlava di andarsene. Non lo faceva mai, non con le pochissime persone importanti per lui. Si arrabbiava, certo, urlava e minacciava di non farsi vedere mai più per poi tornare indietro. E Roy trovava sempre il modo di tornare da Coco, anche se questo volesse dire attaccarsi al campanello del suo appartamento per giorni interi senza che porte sbarrate e parole urlate attraverso di esse lo facessero desistere. Se lì per lì ci aveva creduto, dopo appena ventiquattr'ore e numerose birre, Roy aveva già cambiato idea.
    Non era possibile. Non si possono fermare le maree, il ciclo delle stagioni, la pioggia e il movimento planetario. Non gli avrebbe incollato addosso la parola fine, non così facilmente, senza una ragione detta ad alta voce. Era convinto che ciò che valesse per lui fosse lo stesso per tutti gli altri. Se lui non poteva dirle addio, era scontato che Coco provasse lo stesso. Era certo facesse tutto parte del loro gioco, del "se mi spingi ti spingo più forte", del "non ti amo se non me lo dici prima tu." Voleva fagliela pagare per qualcosa che aveva fatto, forse per l'essersi fatto arrestare. Cosa ne poteva sapere. Ma qualcosa c'era e su quello non sbagliava. Non poteva però neanche lontanamente immaginare la serietà di ciò che Coco non voleva dirgli.
    Il quarto giorno, finalmente Coco aprì la porta. Rivederla era sempre come fosse la prima volta, poco importava se fossero passati giorni o anni; in quegli occhi ci si poteva perdere all'infinito.
    «Mi hai rotto.» Buonasera anche a te, ladybug. Sei più raggiante che mai! L'aveva salutata con un sorriso sghembo pregno di sarcasmo, in netto contrasto con l'espressione seria - quasi imbronciata - che invece Coco non si preoccupava di nascondere. Con indosso uno dei vecchi maglioni di Fred, Roy si stagliava di fronte a Coco preso un po' alla sprovvista. Aveva messo in conto il rischio di dover continuare a darle fastidio per almeno altre due settimane prima che , cocciuta com'era, si decidesse ad affrontarlo. Si era completamente dimenticato del livido che, ormai di una sfumatura giallognola, svettava sull'occhio e sul sopracciglio ricucito da un paio di punti neri. «Vengo con te, basta che la smetti e non fiati per tutto il tragitto!» Si spostò si lato per lasciarla passare, le braccia sollevate all'altezza delle spalle a mo' di resa prima che, con l'indice e il pollice della mano sinistra uniti, Roy mimasse il gesto di una zip che gli sigillava le labbra sottili. Improvvisamente era stanco, aveva male dappertutto e non se la sentiva più di lottare.

    L'auto mangiava l'asfalto sotto i loro piedi e, nel silenzio fra i loro corpi, Roy teneva lo sguardo fisso sulla strada. Mentre la mano destra era chiusa sul voltante, la sinistra incastrava una sigaretta fra le sue labbra e, una volta accesa, Roy abbassò un po' il finestrino per evitare che l'abitacolo si riempisse di fumo. Anche se lui non lo avvertiva come tutti gli altri, cominciava a fare davvero freddo. Non voleva che Coco ne soffrisse troppo per via del finestrino aperto ma non era neanche disposto a rinunciare al piacere della nicotina nei polmoni.
    Mantenuta fede alla sua promessa, Roy non aveva proferito parola e così anche Coco che, da quando avevano lasciato la sicurezza della casa dentro la quale si era nascosta per tutto quel tempo, non aveva fatto altro che guardare fuori dal finestrino. Come faceva a saperlo? Anche se non lo dava a vedere, Roy la teneva d'occhio, lanciandole qualche occhiata laterale. Molte volte avrebbe voluto allungare una mano per sentire l'esile gamba della ragazza sotto i polpastrelli ma non l'aveva fatto. Forse per paura di ricevere qualche altro ricordo irraggiungibile, forse perché non voleva interrompere quel silenzio che, in qualche modo, non sembrava una cosa negativa. Difatti nonostante tutto quello che c'era di non detto fra i due, Roy in quel momento era tranquillamente immerso nei suoi pensieri che viravano, immancabilmente, su di lei e su di loro. Non aveva mai provato a non farle pesare la paura che aveva di perderla. Ma gli innamorati a volte non se lo dicono di amarsi, se lo tengono dentro l’amore, quasi a nascondersi, perché a volte l’orgoglio e la paura sono più forti. «Dove stiamo andando?» Il soffice sussurro di Coco riportò l'uomo alla realtà. Hai freddo? Rispose a quella domanda con un'altra domanda. Senza guardarla e con un movimento veloce delle dita, Roy buttava la cicca ormai consumata fuori dall'auto per poi riavvolgere manualmente il finestrino. Comunque, non lo so neanche io. Rispose con una scrollata di spalle. Era la verità, Roy non aveva programmato nulla. Si allungò, la mano destra che si avvicinava alle gambe di Coco senza però toccarle ma virando per il piccolo portaoggetti in mezzo a loro. Tirò fuori una barretta peanut butter tutta ammaccata di cui addentò un pezzo dell'involucro, tentando di aprirlo con una mano sola. Un po' maciullata ma aperta ne addentò un primo morso con voracità, per poi porgergliela come se niente fosse. Vuoi un pezzettino? Chiese in attesa di vedere se l'avesse voluta assaggiare o meno. «Voglio scendere.» Disse una prima volta, la testa riccia che si sporgeva verso di lui mentre cercava di attirare la sua attenzione invadendogli il campo visivo. Dal canto suo, Roy sorrise ampiamente mentre scuoteva leggermente il capo da destra a sinistra. Abbiamo ancora all'incirca....Hm... quarantacinque litri di benzina a disposizione. Possiamo andare avanti fino a Tromsø. A proposito, ti piace questa bellezza? Batté con il palmo della mano sul cruscotto, orgoglioso come se stesse parlando di sua figlia. Ho trovato un lavoro con i controcazzi, sai? Aggiunse lanciandole un'occhiata per vedere la sua reazione. Una parte di lui ancora ci teneva a fare una buona impressione su di lei, come se l'avere un lavoro più o meno stabile potesse aiutare a risolvere i loro problemi. Era un inizio però, no? Continuava a masticare con gusto la barretta, avrebbe davvero continuato a guidare fino a quando non avesse ricavato qualcosa di più di quelle noiose lamentele da parte di Coco. «Fammi scendere o riportami a casa, Roy.» Inarcò le sopracciglia, voltandosi a guardarla come se fosse una malata mentale. Ci senti o sei sorda? Se vuoi scendere o tornare a casa prima del tempo dovrai arrangiarti da sola, Coco. Un consiglio però, se posso: non buttarti da un'auto in corsa, fa molto, molto male. Potresti anche morire se sbattessi la testa. Constatò mentre si puliva la bocca con la manica del maglione. Continuava a tenere gli occhi sulla strada, entrambe le mani ora sul volante. Il paesaggio aveva già iniziato a cambiare sotto i loro occhi e le luci delle città si facevano sempre più rare, lasciando solo la luce del tramonto a illuminare il loro cammino.
    Non gli interessavano le sue proteste, non l'avrebbe lasciata scendere dall'auto tanto presto. «Ferma questa dannata auto, Roy. ORA.» Coco iniziò a prendere a piccoli schiaffi il cruscotto di fronte a sé, scalciando neanche fosse una bambina di due anni e Roy quasi si strozzò per le risate con l'ultimo pezzo di dolcetto. Porca puttana Coco, smettila. Ti fai male così, cretina. La rimproverò tossicchiando per cercare di non morire soffocato. Puoi anche piangere e gridare, non mi fermerò. Ho intenzione di guidare fino a quando non mi darai delle spiegazioni. Voglio sapere cosa è successo, cosa ti ho fatto di così imperdonabile dalla mia cella di isolamento. Il tono della voce di era improvvisamente indurito, l'osso mandibolare che si contraeva, rigido e in tensione. Aggiungici anche delle scuse. Mi farebbero piacere, cazzo. Puntualizzò ancora prima di lasciare che il silenzio riempisse di nuovo lo spazio fra loro. Il cuore tornava a ingrigirsi ogni volta che a Roy tornava in mente il modo in cui lo aveva ignorato negli ultimi due anni. Era stata capace di cancellare dalla sua vita con una facilità apparente che lo lasciava senza fiato né parole. Lui l’amava. Amava lei e i suoi capricci, il suo viso, la sua voce. Succedeva sempre così: poteva scappare, ma quando lei non c’era, quando lei smetteva di sfiorarlo.... Quando lei non lo sfiorava più, Roy sfioriva. Si accorgeva sempre troppo tardi che gli mancava come manca l'estate nel giorno più freddo dell'inverno, quando fuori piove. Non si dimentica una persona così, la si torna sempre a cercare. Per quell'esatto motivo Roy sedeva in quello spazio confinato cercando di andare oltre il risentimento e il dolore che Coco gli aveva causato. Se lo conosceva davvero, avrebbe dovuto capire quanto Roy ci stesse provando. Alla loro destra, d'improvviso come un fulmine a ciel sereno, il mare si aprì alla loro vista. L'auto che li conteneva gli sfrecciava accanto in una linea retta infinita.
    Dopo un cartello stradale verde, senza preavviso Roy svoltò in una stradina laterale. Non voleva essere una rotaia che non s'incantava mai con la gemella. Voleva avvicinarsi al mare. Roy non avrebbe aspettato l'infitto per toccare Coco. Fermò la macchina e il silenzio calò completamente, ormai neanche il rumore del motore li separava. Qui. Andiamo. Scese dopo essersi assicurato di aver estratto le chiavi per metterle al sicuro nella tasca interna del cappotto che si era infilato. Si avventurò sulla spiaggia da solo, la sabbia resa dura e compatta dal freddo sembrava roccia sotto i suoi piedi. Si fermò solamente quando la punta delle sue scarpe fu sul bagnasciuga, allora alzò lo sguardo in alto, verso il cielo sul quale le tenebre stavano ormai calando. Grazie alle particelle di origine solare che entrano in contatto con l'atmosfera terrestre, una luce verdognola si stava lentamente allungando sopra le loro teste mentre, proprio in quel momento, i primi piccoli fiocchi di neve iniziavano a cadere. Senza neanche il bisogno di voltarsi, Roy avvertì subito la presenza di Coco al suo fianco. Le loro figure si stagliavano nella notte, illuminate solamente dall'Aurora boreale e dai fari dell'auto dietro di loro. Roy aprì la bocca per catturare qualche fiocco di neve, alzando contemporaneamente le braccia di lato. Dopo qualche secondo le rimise giù, la testa che si voltava finalmente verso di lei e la risata che sbiadiva mentre incrociava quegli occhi azzurrissimi.
    La guardò ancora. E ancora. E ancora. Aveva i capelli sciolti, un po’ umidi sulla fronte.
    Da quando era in libertà non c'era stato niente tra di loro, se non quel contatto appena accennato. Niente baci, niente sesso, niente di niente. Però si sentiva pieno, riempito di lei. Come se la sola presenza di Coco fosse abbastanza. In fondo aveva temuto di non rivederla mai più. Siamo appena fuori Besaid, Coco. Le disse con semplicità, anche l'ombra che era rimasta di quel sorriso ora svaniva completamente dal viso di Roy. Non era certo che la ragazza avesse notato il cartello stradale. Se stessimo qui abbastanza a lungo dimenticheremmo tutto. Ci scorderemo di noi. Lo vorresti? Fece un sospiro mentre tornava a guardare l'orizzonte, le mani infilate nelle tasche. Io ci sono già passato e non vorrei. Però questo, tu che mi respingi, io che non capisco un cazzo... Fa male Coco, fa fottutamente male. Aveva tirato su con il naso, il freddo che cominciava a penetrare sotto la sua pelle ben più calda di quella di chiunque altro. Restò per qualche secondo in silenzio prima di tornare ad abbassare lo sguardo verso di lei. Non riesco a pensare a niente tranne che te. Non si dichiarava mai a voce: ma, se gli sguardi hanno un linguaggio, anche il più autentico imbecille avrebbe potuto accorgersi che ne era innamorato cotto.

    Edited by mesmeric - 3/12/2018, 01:21
     
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    Nello sguardo di Roy, Coco vi aveva sempre visto amore. Non aveva mai saputo di che tipo e quanto fosse profondo, ma ogni volta che lui l’aveva guardata, le era venuto meno il respiro, piano piano, in silenzio. Come quando ti tolgono le terra da sotto i piedi e proprio non sai come potrai tornare a camminare ancora su quel suolo, dopo aver provato l’ebrezza dello stare in aria. Per lei, ogni suo tocco si trasformava in una scarica di tensione, a volte positiva e altre volte invece negativa. Si lasciava avvolgere da essa senza mai potercisi abituare e desiderandone ogni secondo una piccola porzione in più, sempre più grande, sempre più stretta attorno al suo corpo. Le mani di Roy avevano saputo come sfiorare la sua pelle bianca, disegnando su di essa confini che mai nessun altro avrebbe potuto realmente raggiungere e scoprire. Vette silenziose che solo lui aveva potuto scalare, e che Coco stessa aveva dovuto dimenticare di avere, una volta andatosene via lui Non aveva desiderato altro, Calypso, se non il tocco del suo ragazzo di una vita. Contorni da lui descritti sulla mappa del proprio corpo mentre se ne stavano sdraiati su quell’isola, lontani da ogni distrazione, lontani dal mondo esterno che graffiava e scalpitava per buttar giù la porta di quella casa. Avevano visto giorni migliori di quelli che poi eran giunti all’improvviso, eppure mai nulla era stato davvero perfetto. Malgrado ciò, Coco moriva dalla voglia di tornare indietro, di compiere qualche passo nel buio dei ricordi che aveva cercato di allontanare dal proprio cuore solo per non stare così male. A nulla era servito, ovviamente, ma la sua testardaggine non faceva altro che premere ancora sulle ferite aperte, cercando di fermare lo scorrere del sangue. Amavano le tragedie, quelle piene di urla e rimpianti, eppure sempre ricolme di sentimenti così dannatamente accesi da non riuscire mai ad appassire, neanche quando sembrava mancasse l’ossigeno ad entrambi. Forse lo aveva saputo sin da subito: nel momento in cui i propri occhi avevano incrociato quelli di Roy attraverso la tenda, ogni lotta sarebbe stata perduta, ogni combattimento sarebbe stato vano. Il sentimento che aveva covato dentro, in silenzio, mentre lui provava a tutti i costi ad avvicinarsi a lei, era stata la fiammella divenuta poi incendio; non aveva mai voluto estinguere quel fuoco, spegnere il desiderio che provava nei suoi confronti solo per cercare di trovare la propria strada. E come avrebbe potuto mai, se la sua strada altro non era che quella percorsa da Roy?
    Lo aveva visto darle le spalle e andare via, questa volta perché lei aveva voluto in quel modo. Erano rimaste nella gola, quelle parole. Sarebbe bastato dare loro voce e lui avrebbe potuto voltarsi a guardarla, arrendendosi di nuovo a lei e lasciando che anche Coco abbassasse le difese. Ma no, non aveva parlato, non lo aveva richiamato. Era scivolata piano sul pavimento, incontrando il suolo per primo con le ginocchia e poi con i palmi delle mani. Aveva avvertito l’umidità sul proprio viso laddove le lacrime segnavano un percorso nuovo, pronte a fiondarsi sul pavimento ruvido sotto le sue mani. Era rimasta su quel pavimento per qualche secondo, forse, ma a lei era sembrata un’eternità. Se da un lato aveva sentito la propria felicità scalpitarle dentro nel momento in cui Roy aveva rimesso piede in casa loro, dall’altro la paura di non resistergli, di non riuscire ad allontanarlo aveva attanagliato ogni più piccola parte del suo corpo. Non aveva più voglia di combattere, e se mentre lui era in cella stargli lontano era stato almeno un po’ più semplice, da quel momento in poi, lo sapeva, non avrebbe più potuto evitarlo neanche se lo avesse voluto per davvero.

    Era ricominciato tutto di mattina, così presto da farle credere fosse nuovamente solo un sogno. Se la prima volta, dopo quei due anni, il suo ritorno così improvviso sembrava essere stata la continuazione di uno stupido incubo, quella seconda volta il campanello sembrò aver assunto un suono fin troppo familiare. Non ne era rimasta spaventata, malgrado lui l’avesse presa di nuovo alla sprovvista, eppure non gli aveva comunque concesso di vederla. Era rimasta chiusa, quella porta, per quattro lunghi giorni ancora; Nascosta dietro di essa, una Coco forse un po’ più rassicurata, più disponibile ad aprirsi di quanto lei potesse immaginare. Ricordava ancora le parole di Nora, che amare si erano scontrate contro di lei solo qualche tempo prima. Le aveva intimato di stargli lontano e, sebbene la sua razionalità le suggerisse di assecondare i voleri della cugina di Roy, Coco non riusciva ad immaginare per davvero il proprio mondo senza il suono insistente del campanello di casa, il quale altro non faceva se non annunciare quanto ancora si desiderassero. Perché, se non fosse stato così, Calypso non avrebbe mai aperto quella porta: ritrovarselo davanti ancora una volta, soffermarsi sui tratti marcati del suo volto e quei lividi violacei che ne costernavano una parte del viso, fu come fare un tuffo in una vasca d’acqua fredda. Un tempo forse gli avrebbe urlato contro, chiedendogli dove si fosse conciato in quella maniera e perché desiderasse tanto farsi così male, ma in quel momento, mentre lo sguardo blu di lei si soffermava in quello appena più chiaro di lui, Coco dovette fermare l’istinto di sollevare una mano in sua direzione per carezzare quei lividi. Non le sarebbe stato ammesso di chiedere, pretendere spiegazioni, eppure moriva dalla voglia di conoscere ogni aspetto di quei suoi giorni, ogni singolo momento in cui non erano insieme. Buonasera anche a te, ladybug. Sei più raggiante che mai! fu la sua risposta, il segnale di quanto quell’amore non potesse mai finire. Il suo portafortuna, la coccinella fortunata che si posa sulle nocche magre della sua mano. Dovette abbassare lo sguardo per restare integra, per non farsi prendere dai ricordi, sempre pronti mentre si accingevano a passarle davanti agli occhi. Si era spinta quindi di lato per passare, concedendogli un po’ del tempo che insieme a lei chiedeva. Assecondare quella richiesta sarebbe stato sciocco, ma l’idea di lasciare che la porta restasse ancora chiusa le pareva ancora più insensata. Il corpo del ragazzo era avvolto in un maglione che, ci avrebbe giurato, non gli era appartenuto prima di quel frangente. Di una o due taglie più grandi, forse, gli stava addosso come se scivolasse lento lungo le sue braccia e la schiena, mentre parte di una delle clavicole fuoriusciva dal colletto largo. Un’occhiata fugace e veloce ne risalì l’intera figura, un po’ per accertarsi che stesse bene, un po’ per cedere alla curiosità che si muoveva silenziosa dentro di lei: era stato con qualcuna? C’erano segni di altre, su di lui? Lo stomaco si contorse per qualche secondo, mentre gli voltava frettolosamente le spalle e avanzava a grandi falcate: più lungo il passo, più la distanza che si lasciava con lui alle spalle. Facile, pensarla così, eppure con Roy le leggi della fisica sembravano ribellarsi solo per sbatterle in faccia che, nonostante il tempo, i milioni di passi compiuti separatamente, loro erano ancora e nuovamente lì, insieme.

    Chiudersi lì dentro, lontano da chiunque, era quello che sapevano fare meglio: I spent the entire night casting spells to bring you back lesse Coco, schiudendo le palpebre e lasciando che il proprio sguardo vagasse in un primo momento per la stanza, soffermandosi poi sulla finestra ancora chiusa. Il libro se ne stava stretto fra le sue dita, per metà posato sul materasso accanto a lei. Le aveva sorriso, Roy, e lei lo aveva notato dal suo respiro leggero che sembrava rinascere così come l’espressione rilassata che gli si apriva in viso. Allungando una mano verso di lei e circondandole il fianco, aveva provato ad avvicinarsi alla ragazza distesa al suo fianco. Mentre Coco e Roy se ne stavano fermi su quel letto, i granelli di polvere sembravano avere più vita di loro: volteggiavano per la stanza semiscura mentre i corpi stanchi dei due si stringevano appena sotto le leggere coperte biancastre. Si era poi voltata leggermente, riscoprendo il viso di Roy nascosto dietro i riccioli castani della propria chioma. Si era rigirata completamente, restando incatenata sotto il peso del suo braccio e lo aveva guardato per qualche secondo senza dire niente. Poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, gli aveva lasciato un bacio affettuoso sulla fronte nuda. Gli occhi di Roy erano rimasti ancora chiusi, serrati per combattere la stanchezza che gli incubi di quella notte avevano portato. Love will come and when love comes, love will hold you, love will call your name and you will melt sometimes though love will hurt you but love will never mean to, love will play no games… ‘cause love knows life has been hard enough already - a voce bassa, in un sussurro accanto alle orecchie, aveva ripreso a leggerli le poesie di Rupi Kaur, una dopo l’altra, come se fossero l’unica cosa che potesse calmarlo. Era abbastanza certa che non ne comprendesse appieno i significati nascosti in quelle parole, ma l’idea che lui potesse far parte di quella piccola parte dei suoi interessi era qualcosa a cui non avrebbe voluto rinunciare. E mentre Roy restava lì accanto a lei, in silenzio, Coco pensava di non voler più tornare fuori. Non le serviva respirare l’aria esterna, se tutto ciò di cui necessitava era lì con lei. Non le serviva altro ossigeno, aveva il respiro di Roy che s’infrangeva caldo sulla sua pelle e le ricordava di quanta vita condividessero entrambi.

    Non si rese immediatamente conto del finestrino abbassato e del fumo di sigaretta che s’infrangeva nell’abitacolo prima di venire catturato dall’ambiente esterno, così freddo e ormai pregno di inverno. Se non fosse stata così impegnata ad evitare di guardarlo o parlargli, Coco si sarebbe sicuramente accorta della pelle d’oca che si frastagliava lungo tutta la superficie cutanea del proprio corpo, malgrado fosse ben coperta dal tessuto dei jeans e della felpa grigia che indossava. Non aveva pensato a prendere una giacca o una sciarpa, poiché quando si trattava di Roy, Calypso perdeva il filo della propria quotidianità, incapace di pensare a qualsiasi altra cosa che non portasse il nome del ragazzo che ancora -avrebbe detestato ammetterlo- amava. Non aveva idea di cosa potesse significare davvero la parola amore, perché da quando era stata una bambina, lei ne aveva associato l’appellativo alla figura di Roy, malgrado tutto.
    Alla domanda riguardando la rotta che avevano preso, Roy rispose chiedendole se avesse freddo e solo in quel momento Coco finalmente si rese conto che, dopo tutto, un lieve tremore stava effettivamente scuotendo le sue gambe. Non glielo disse, preferendo tenere per se quella considerazione ed evitando in ogni caso di lamentarsi anche per il finestrino aperto: quello era forse l’ultimo dei problemi. Comunque, non lo so neanche io. le rispose dopo un po’, scrollando le spalle. Fu in quel momento che una delle mani di Roy si allontanò dal volante per richiudere il finestrino e avvicinarsi al portaoggetti incastonato nel cruscotto della macchina, esattamente dinanzi alle gambe di lei. Le strinse l’una contro l’altra, schivando attentamente la rotta della mano di Roy ed evitandone nuovamente il contatto. Un comportamento che non stava realmente controllando con ferocia, ma che in qualche modo le risultava più meccanico di quanto lei stessa potesse aspettarsi. Era stata schiva con chiunque, da sempre, prediligendo la parola ad un contatto fisico con chiunque. Non si sentiva mai a proprio agio quando c’era da condividere parte del proprio spazio con qualcuno. Con Roy, però, era sempre stato tutto completamente diverso: lui era riuscito a farsi largo, piombando nella sfera d’aria che Coco aveva cercato di riservare solo a se stessa. Ne aveva infranto le pareti di ghiaccio e aveva sempre avuto il permesso, così, di allungare le proprie mani per stringerla anche solo in un abbraccio. C’era voluto diverso tempo, ma alla fine lei non aveva saputo più respingere quegli attacchi, decidendo di abbattere quella schiera di ghiaccio che avrebbe dovuto proteggerla dal resto del mondo e soprattutto anche da lui, i cui occhi avevano sempre ricercato quelli di Coco pretendendo di far parte dei suoi ricordi.
    Strinse quindi le proprie dita attorno alle braccia, tenute incrociate davanti al busto, mentre le gambe andavano a spostarsi leggermente verso destra per dare modo a lui di aprire il portaoggetti per tirarne fuori una barretta al burro d’arachidi. Gliene offrì un morso, sebbene Coco cercasse di restare invisibile seduta sul sedile del passeggero, accanto a lui. Espirò profondamente dal naso, appena prima che le proprie labbra potessero schiudersi per dar voce al bisogno impellente di fermare tutto, tornare indietro, dove avrebbe potuto pentirsi in solitudine di quella scelta, dell’aver detto sì alle insistenti pressioni di Roy. E mentre pensava a quanto avesse sbagliato, si detestava per ciò che provava nei suoi confronti, una pressione leggera che si spingeva sulle sue tempie, generando in lei delle fitte alla nuca che quella sera, ne era certa, le avrebbero rifilato un bel mal di testa. Abbiamo ancora all'incirca....Hm... quarantacinque litri di benzina a disposizione. Possiamo andare avanti fino a Tromsø. A proposito, ti piace questa bellezza? Roy la evitava, evitava le sue domande e si scontrava contro le richieste di Coco come se non avesse atteso altro per così tanto tempo. Non rispose, lei, tornando a posare lo sguardo oltre il finestrino, pronta a lasciar correre almeno lui fuori da quell’abitacolo, lontano da entrambi. Ho trovato un lavoro con i controcazzi, sai? continuò quindi Roy, riportando poi la barretta alle labbra e addentandone ancora un pezzo. Avrebbe voluto voltarsi e guardarlo negli occhi, capire se stesse solo inventando balle per cercare di attirare la sua attenzione o se ciò di cui stava parlando fosse reale. Un lavoro? La mente di Coco volò altrove, cercando di immaginarsi Roy ormai lontano da lei, un lavoro che avrebbe potuto renderlo felice e il momento in cui avrebbe potuto condividere quella soddisfazione personale con qualcuno. Quel qualcuno però, faceva incredibilmente male immaginarlo, forse non sarebbe stata lei. Non aveva idea di come si sarebbero messe le cose, eppure sentiva di essere stanca, in lotta perenne contro il tempo, alla ricerca del momento giusto, quello in cui loro due sarebbero stati felici. Aveva perso le speranze da un po’, si erano spente come la fiammella di una candela che si scioglie quasi completamente, lasciando intorno a se solo cera indurita e ormai vecchia.
    Si voltò finalmente nella sua direzione, imponendogli di riportarla a casa; si sentiva stretta lì dentro, impossibilitata nel fare movimenti, costretta su quel sedile accanto alla persona che aveva aspettato da tutta una vita e che, per qualche motivo, stava cercando di allontanare. Ci senti o sei sorda? Se vuoi scendere o tornare a casa prima del tempo dovrai arrangiarti da sola, Coco. Un consiglio però, se posso: non buttarti da un'auto in corsa, fa molto, molto male. Potresti anche morire se sbattessi la testa. furono le sue parole, mentre terminava la barretta e riportava le mani sul volante, intenzionato ancora a non fermarsi. Non gliel’avrebbe data vinta, questo Coco lo sapeva, ma più passavano i secondi e più si rendeva conto che, se non lo avesse fermato in quel momento, se non gli avesse detto di riportarla indietro, non ci sarebbe stato più alcun modo di fermarsi. Non avrebbe più avuto alcuna scelta e, ne era certa, sarebbe crollata ai suoi piedi, stanca e debilitata come un corpo che sta per perdere la propria vita. Gli avrebbe fatto del male, avrebbe cancellato forse ogni cosa bella che fra di loro c’era stata, rompendo quell’innocenza che sin da bambini li aveva tenuti per mano.
    Rise, Roy, quando la sua Coco prese a tirare schiaffi e pugni contro il cruscotto, protestando per quel viaggio che non avrebbe voluto portare a termine. Porca puttana Coco, smettila. Ti fai male così, cretina. cercò di suggerirle Roy, quasi soffocandole davanti per le risate. Si fermò solo quando l’osso laterale della propria mano andò a sbattere violentemente contro il cruscotto dell’auto, lasciandole un segno rossastro. La portò quindi accanto alla gemella, lasciando che questa ne massaggiasse la parte indolenzita e cercando di riprendere il ritmo regolare del proprio respiro. Con le labbra schiuse e i capelli appena più arrivati del solito, Coco si voltò verso la figura di Roy, ancora intento a guidare fino a chissà dove. Si spinse nuovamente contro lo schienale del sedile, portandosi la mano sana ai capelli e spostando alcune ciocche dietro la propria nuca, noncurante del fatto che sembrava avesse messo le dita nella presa elettrica. Non notò lo sguardo di Roy che s’induriva, i lineamenti del volto che tornavano seri mentre lasciava che quelle parole venissero fuori per colpevolizzarla ancora. Puoi anche piangere e gridare, non mi fermerò. Ho intenzione di guidare fino a quando non mi darai delle spiegazioni. Voglio sapere cosa è successo, cosa ti ho fatto di così imperdonabile dalla mia cella di isolamento. Aggiungici anche delle scuse. Mi farebbero piacere, cazzo. disse lui quindi, lasciando che il silenzio piombasse ancora nell’abitacolo mentre questo sfrecciava su una strada che Coco neanche conosceva. Non aveva idea di dove si trovassero e di quanto fossero ormai distanti da casa, ma in quel momento, dopo che le sue orecchie catturarono quelle sillabe, quelle parole amare, niente sembrò avere più così tanta importanza. Fu istintivo e non potè neanche controllarlo, ma le proprie sopracciglia si aprirono in due grandi archi, mentre gli angoli delle labbra si curvarono all’ingiù e la voce le morì in gola. Spiegarglielo a parole, far comprendere a Roy che parlarne avrebbe riaperto una ferita ancora non del tutto guarita era insensato, impossibile per Coco. Come avrebbe potuto parlargli di ciò che avevano perso? Del futuro che, da un giorno all’altro, aveva ribaltato le carte in tavola, uccidendo letteralmente ogni speranza di vita che Coco aveva immaginato di poter avere, di potergli dare. Non era mai stata convinta di niente, fino a qualche anno prima, ma una sola e stupidissima cosa l’aveva saputa: con lui ci avrebbe passato il resto della vita, senza se e senza ma, e di lui avrebbe fatto il proprio pilastro, la forza che le avrebbe permesso di fare un ottimo lavoro in tutto, persino con una famiglia tutta loro. No, non avrebbe potuto dirglielo a parole.
    Il mare comparve alla loro destra, un invito ad immaginare cosa ci fosse oltre quell’orizzonte arancione mentre Roy svoltava proprio in quella direzione. Non disse più nulla Coco, calmatasi nuovamente e persa nei sensi di colpa che quelle parole avevano risvegliato in lei, ricordandole un’ennesima volta dei due anni in cui gli aveva negato il proprio sostegno, la propria vicinanza. Se per Roy il tempo era passato lentamente e inesorabilmente in attesa di vederla arrivare, per Coco ogni giorno aveva avuto il sapore della sconfitta e del dispiacere, dell’incredibile desiderio che aveva covato dentro, sperando che un giorno ognuno di loro avrebbe dimenticato ciò che era stato, sperando che lui avrebbe trovato qualcuno che potesse rendergli giustizia. Se da un lato iniziava a pensare di non poter essere quella giusta, da un altro Coco sapeva che, al pensiero di un’altra donna al suo fianco, lei sarebbe letteralmente morta dentro.
    Fermò l’auto poco distante dalla riva, laddove fosse ancora possibile alle ruote dell’auto di roteare e fermarsi. Qui. Andiamo. esclamò, prima di tirar via le chiavi dalla toppa d’accensione per inserirle nella tasca della giacca che si era infilato. Restò ferma, lei, mentre il proprio sguardo seguiva la figura di Roy che scendeva dall’auto e si chiudeva la portiera alle spalle. Si voltò verso i sedili posteriori, lasciando che le iridi chiare studiassero l’abitacolo alla ricerca di qualcosa da indossare, dato che la temperatura esterna iniziava a calare in fretta mentre il sole si congedava per lasciar spazio al buio della sera. Afferrò quindi la prima giacca sui cui riuscì a posare le mani, rendendosi conto solo dopo di quanto effettivamente fosse stretta per essere un modello maschile. La indossò, lasciando che il nero della giacca coprisse il grigio della felpa che indossava e cercando di non pensare all’odore di erba che emanava. Serrò le labbra, tirando su i capelli in un gesto semplice e istintivo, così da liberarli dalla stretta del tessuto che aveva appena ricoperto le sue spalle. Si chiuse la portiera alle spalle e cercò per un breve istante la figura slanciata di Roy, a qualche metro di distanza da lei. Se ne stava in piedi accanto al bagnasciuga con lo sguardo fisso in alto, verso il cielo che si scuriva ogni secondo più in fretta. Non si accorse immediatamente delle splendidi luci che danzavano nel cielo sopra le loro teste, e solo quando fu accanto a Roy si concesse di sollevare lo sguardo.
    Dei piccolissimi fiocchi bianchi presero a cadere, piovendo dal cielo così lentamente da poter seguire il tragitto di ognuno di essi. Alcuni si posarono sui volti di entrambi, altri vennero catturati dai loro capelli asciutti e spettinati, altri ancora si unirono alla superficie appena movimentata del mare, poco distante da entrambi. E mentre l’aurora boreale divideva il cielo in tante piccole parti, Coco sentiva di essere esattamente allo stesso modo; divisa, spezzata, un po’ sofferente e dolorante. Non amava sentirsi in quel modo, ma quando Roy non c’era stato, lei aveva semplicemente perso il conto dei giorni, degli attimi in cui si era sentita bene. Era stanca di portare quel peso, stanca di non poter sorridergli e lasciare che tutto passasse in fretta. Se solo avesse allungato una mano verso di lui, tutto sarebbe stato più complicato, sì, ma forse avrebbe avuto una fine. Si spense in fretta, il sorriso aperto sulle labbra carnose di Roy, mentre lui si voltava per guardarla, per lasciare che i propri occhi incontrassero i suoi ancora una volta. Siamo appena fuori Besaid, Coco. le disse in un sussurro quasi. Se stessimo qui abbastanza a lungo dimenticheremmo tutto. Ci scorderemo di noi. Lo vorresti? - una domanda che fece male, andandosi a infrangere esattamente contro la parete di ricordi che aveva allestito nella propria testa: nei suoi ricordi, che fossero i più recenti o i più distanti e vecchi, c’era sempre stato lui. Una costante nella vita di Coco che non era mai svanita neanche quando lui aveva deciso di lasciarsi tutto alle spalle, qualche anno prima, lei compresa. Era tornato e Coco aveva donato tutta se stessa alla persona che aveva accanto e solo per rivedere il suo sorriso aprirsi dinanzi a lei, quando quegli occhi che amava si posavano sul proprio viso. Aveva atteso pazientemente, allungando una mano verso di lui e cercando di offrirgli amicizia, una casa, un luogo sicuro. Non si trattava di pareti, di mura solide, ma Coco si era offerta di custodire ogni suo più piccolo segreto, ogni sua paura, ogni suo desiderio, attendendo il ritorno di Roy, non solo fisico, ma anche cognitivo. Non avrebbe voluto averlo lontano, sapere di non essere più il suo porto sicuro avrebbe rotto ogni sua più piccola parte, persino quelle andate già in frantumi tutte le volte in cui aveva deciso di sbattergli una porta in faccia. Io ci sono già passato e non vorrei. Però questo, tu che mi respingi, io che non capisco un cazzo... Fa male Coco, fa fottutamente male. continuò Roy, prima di tornare a puntare le proprie iridi chiare in quelle di lei, che lo ricercavano, incapaci di allontanarsi ancora. Immobile, ferma, bloccata nel proprio corpo, Coco sentiva il respiro venire meno, le sabbie aprirsi sotto i suoi piedi solo per risucchiarla al centro della terra. Non riesco a pensare a niente tranne che te. furono quelle, le sue ultime parole. Furono quelle a fare breccia nella compostezza di Coco, minandone l’autocontrollo e generando una seconda ondata di sentimenti e sensazioni che mai aveva imparato a gestire. Ticchettava, dentro il suo petto, una bomba ad orologeria. Era incontrollabile e nessuno sapeva quando sarebbe stato possibile innescarla: ignoto a chiunque, tranne che a Roy. Lui sapeva scegliere i momenti giusti, usare le dovute parole e puntare lo sguardo su di lei nei momenti opportuni, per far sì che ogni particella di lei esplodesse in aria, come in quel momento: si voltò di scatto, allontanandosi da lui di qualche passo e portando le mani alla bocca, le congiunse per coprire parte del proprio viso mentre un piccolo gemito di disapprovazione veniva su, lasciando i polmoni e morendole nella gola. Serrò gli occhi per qualche momento mentre sollevava il mento verso l’alto, la schiena dritta le faceva da scudo, proteggendola dallo sguardo di Roy, che fisso su di lei, lo sapeva, puntava alla sua schiena. Tornò a guardarlo, distendendo le braccia nuovamente lungo i propri fianchi e prendendo un profondo respiro mentre gli occhi s’inumidivano nel freddo della sera. Osservò Roy per qualche secondo, ancora a debita distanza, le mani chiuse in due pugni stretti e nascoste oltre i bordi delle maniche di quella giacca nera. Aveva il viso sconvolto, Coco, mentre avanzava frettolosamente in direzione di Roy, allungando le mani e afferrandogli i lembi del giaccone che indossava. Non ci fu nulla di gentile in quel gesto, nulla di sereno. Ne trapelò rabbia, stanchezza, e forse solo un po’ di tenerezza. Lo tirò a se, restando però a qualche centimetro da lui nel momento in cui i loro corpi furono nuovamente più vicini. Non aveva voglia di contenersi, non aveva voglia di trattenere ancora il mix di sensazioni che provava dentro, la frustrazione che si attanagliava ai suoi nervi, scuotendoli e capovolgendo tutto. «Mi dispiace, ok?» parlò, finalmente, e non erano sussurri, non era un tono di voce sereno. Trapelava il tentennamento che cullava le sue giornate ormai da diverso tempo; trapelava la sua disperazione, il voler stargli accanto e il non volerlo, il senso di colpa e l’inerzia con cui aveva lasciato che le cose precipitassero. «Mi dispiace, Roy… Ma, ti prego, smettila!» il tono della voce salì appena, sovrastando tutto il resto, oscurando ciò che di meraviglioso avevano intorno. Tirò ancora, più forte, avvicinandosi appena di più a lui e detestando la sensazione di tepore che avvertì nel cogliere il respiro caldo di Roy così vicino alla propria pelle. Gli occhi di Coco se ne stavano fermi nei suoi, imprecando per qualcosa che Roy forse ancora non capiva. Gli chiedeva di smetterla, ma non lasciava andare la presa sulla sua giacca. Gli chiedeva di finirla, ma ogni volta che tornava a bussare alla sua porta, lei apriva. «Non posso più allontanarti, non ci riesco, devi smetterla, devi lasciarmi andare, Roy! Perché non lo fai?! Perché, semplicemente, non fai quello che ti chiedo?» una cantilena vibrante, tremolante, imperfetta e senza fondo. Tremavano le mani di Coco strette attorno al tessuto della giacca di Roy, le gambe pronte a cedere da un momento all’altro mentre, oltre ai fiocchi di neve, lente e silenziose lacrime iniziavano a segnarsi l’ennesimo percorso sul viso della ragazza dai lunghi capelli ricci. Si strinse appena nelle spalle mentre provava nuovamente a serrare le labbra e lasciava che, per qualche secondo, il proprio sguardo si perdesse in quello di lui. C’era una casa nelle sue iridi blu e come ogni volta, come ogni notte in cui lui rientrava, lei lo aspettava sveglio. Rompeva quel silenzio e lei ne era sollevata, chiedendosi quando avrebbe smesso di lasciarla ad aspettare da sola.
    «Non posso dimenticarti, non voglio che tu vada via! Non so più niente e non ne ho più le forze per combattere contro me stessa…» un lieve sussurro, un via vai di contraddizioni, di sentimenti che Coco non era brava a spiegare, quando la bomba ad orologeria decideva di esplodere. Perse la forza nelle gambe, lasciando che queste si piegassero e seguendone il movimento con il resto del corpo. Abbassandosi e giacendo nella sabbia, Coco tirò giù anche Roy per via della continua presa stretta attorno ai lembi della giacca che indossava. Si ritrovò poggiata contro di lui, la fronte che andava a premersi contro l’incavo del suo collo e i capelli che le scivolavano davanti al viso ormai bagnato. Piccoli singhiozzi di dispiacere, confusione e paura le scuotevano il petto e non permettevano al tremore nelle mani di fermarsi. Non voleva farsi vedere in quel modo da lui, non voleva che pensasse di non essere amato, perché così non era. E forse non aveva mai provato per lui sentimenti così maturi, fino a quel momento. Non si trattava di qualcosa che il tempo avrebbe potuto schiacciare, poiché lo aveva provato sulla sua stessa pelle e mai niente aveva potuto alleviare il suo dolore. Roy era la sua ragione di vita, il motore che muoveva il suo mondo, il sole che tramontava al mattino e filtrava dalle finestre, oltrepassando le tende ed illuminando fiocamente la stanza. Era il ragazzino che bussava alla sua finestra a casa Evjen, la testa calda che detestava seguire le regole, la sua prima volta e la paura di non essere abbastanza per lui. Aveva sempre pensato di poter stare accanto a Roy e colmare tutti i suoi vuoti, per poi ritrovare uno spazio immenso ed inabitato dentro se stessa. Ne era sicura, un tempo aveva avuto la sua forma, tuttavia aveva visto i cambiamenti che l’avevano portata a comprendere quanto la vita avesse giocato sporco con loro e quella consapevolezza, forse, l’aveva conosciuta solo lei. Ed era ciò di cui lei voleva privarlo. «No, non lasciarmi andare.» sussurrò in fretta, quasi avesse paura che un qualsiasi suo movimento potesse annunciare il suo distacco. Restò immobile per qualche altro istante ancora, le mani sempre strette sulla presa del colletto e le palpebre serrate, mentre la fronte era posata contro la sua spalla coperta. Si allontanò piano, il tremolio delle mani appena più calmo mentre il respiro le moriva nei polmoni. Puntò lo sguardo ormai bagnato nel suo, cercando di fermare lo scorrere delle lacrime. Poi, come se cercasse di lasciarsi andare, avvicinò le proprie labbra a quelle di Roy, schiudendole appena e lasciando che quelle nuove impronte potessero cancellare il ricordo di ciò che qualche giorno prima era avvenuto. Si spinse appena con il busto contro di lui, colmando quella distanza ancora una volta e concedendo alle proprie labbra di ritrovare il sapore di quelle di Roy, un ricordo che aveva pensato di poter dimenticare. E mentre le ginocchia sprofondavano nella sabbia ormai umida, il corpo di Coco perdeva le forze e si lasciava andare contro quello di lui. Se in un primo momento potè in qualche modo sentirsi nuovamente completa, quello dopo fu solo l'eco di ciò che andava nuovamente in frantumi. Non riusciva, Coco, a tenere niente insieme, sotto quella pelle pallida. Una delle mani si era staccata dalla giacca ed era andata a posarsi sulla guancia caldissima di Roy. Tornò indietro per l'ennesima volta, ma non era da sola.

    Aveva il manto dei capelli castani ormai completamente bagnato, la fronte fradicia di sudore così come la sua schiena. Abbassò lo sguardo, serrando le labbra e cercando di respirare profondamente dal naso mentre i propri occhi seguivano una scia d’acqua rossa che scivolava già dal basso ventre lungo le sue gambe, finendo sul pavimento liscio della doccia e regalandone delle striature spettrali. Deglutì rumorosamente, incapace ormai anche di respirare. Faceva male come se qualcuno si stesse divertendo a pugnalarle il costato ripetutamente, come se stessero lacerando le sue carni senza alcuna pietà. Sentì scivolare via quel poco che restava di una vita sconosciuta portata dentro quasi inconsapevolmente, una sconosciuta linfa nata da qualcosa di molto più grande di lei e per il quale aveva lottato così tante volte da non sapere più quando tutto quel caos aveva avuto una fine. Fu strano per lei sentirsi quasi consapevole di aver conservato almeno una parte di Roy e di star perdendo anche quella, senza avere la possibilità di fermare il tempo. Posò quindi anche l’altra mano sulla mattonella bagnata, chiudendo gli occhi e posizionando il viso esattamente sotto il getto dell’acqua che ricopriva i lineamenti morbidi del suo corpo. Perse le forze quando la terza fitta di dolore -e anche la più intensa- andò a premere sui suoi muscoli dall’interno, spingendoli a contrarsi e causando l’ennesima perdita di sangue. Le gambe cedettero, tirandola giù e lasciando che il suo corpo privo di sensi finisse sul fondo della doccia, laddove le striature di sangue seguivano la corrente, finendo nello scarico, assieme ad una parte di lei, l’ennesima andata perduta.

    «Non odiarmi, Roy.» l'ennesimo sussurro che lasciava le sue labbra mentre si allontanava da lui, le lacrime avevano ripreso a scorrere veloci, una dopo l'altra, interminabili e chiassose.
    Inerme, svuotata. Gli arti le facevano male, gli occhi bruciavano, il cuore pulsava eppure lei non lo avvertiva.
    Lo avrebbe distrutto?

    Edited by ƒiordaliso - 10/12/2018, 01:07
     
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    Quando era appena un bambino, Roy s'era domandando perché ogni cosa bella dovesse finire prima o poi. Come il cono gelato, ad esempio. Quando gli venne comprato per la prima volta fu una gran festa per Roy, una delle pochissime occasioni in cui veniva chiesta la sua opinione. Gli piaceva che la ragazza dietro il bancone si rivolgesse proprio a lui guardandolo negli occhi, uno sguardo che sosteneva fiero perché non gli era mai piaciuto essere trattato da bambino. La cosa più bella era poter scegliere, lui a cui di rado se ne dava l'occasione. E quei gusti, la loro accoppiata, - con o senza praline? Con, ovviamente -erano frutto del gusto e delle decisioni di Roy e, quindi, solo e soltanto suoi. Impossibile descrivere la sensazione provata mentre le unghie mangiucchiate si stringevano sul cono, gli occhi si perdevano fra i colori di quelle onde vellutate e l'acquolina rischiava di colare giù dalla bocca semichiusa. Allora la bocca si apriva, gli occhi si socchiudevano, la lingua spuntava dalla tana quasi in slow motion con le papille già turgide ed eccitate al solo pensare all'imminente esplosione che avrebbe coinvolto loro e gli squisiti sapori a cui andavano incontro. Una botta feroce alla mano e Roy osservò le due palline di gelato che per terra iniziavano già a sciogliersi. La risata cattiva del padre lo superò perdendosi fra la folla, il bambino aveva occhi solamente per quella cosa bellissima che si stava sgretolando ai suoi piedi, lo sporco del cemento che già ne insozzava i colori. Quel giorno promise a sé stesso che avrebbe fatto di tutto per salvare quella gioia, ne voleva un assaggio, anche una dose minuscola in grado di fargli dire sì, l'ho provata. Ma ogni volta che riusciva a convincere la mamma, puntualmente il padre o lo buttava al suolo o, facendo della sua altezza un'arma, lo mangiava in fretta e furia. Ben presto la storia del gelato divenne un'ossessione così grande da togliere il sonno a Roy, per cui la notte era l'unico momento in cui gli era permesso di pensare per i fatti propri, lucidamente, senza che gli oggetti in frantumo contro le pareti spezzassero anche il filo dei suoi ragionamenti.
    La dodicesima volta cercò di scappare, il cono stretto fra le mani, e quando il padre con un calcio lo mandò con la faccia per terra a pochi centimetri dal cono spiaccicato, Roy pensò che quella sarebbe stata l'ultima volta che si accaniva così tanto per una cosa bella.
    Imparata la lezione, Roy si era disegnato un giubbotto antiproiettile sul petto in modo che nessuno fraintendesse: mai più sarebbe finito con la faccia sull'asfalto all'inseguimento di qualcosa che non sarebbe durato.
    Poi da dietro quella tenda, senza dire o fare niente, Coco aveva spazzato via ogni sua convinzione, distrutto qualsiasi dei suoi argini. Era stata come una seconda nascita per lui, la scossa elettrica necessaria a Frankestain per ritrovare la vita. E si era ritrovato a voler che quella cosa bella fosse sua per sempre, più gli anni passavano più gli sembrava ormai impossibile immaginarsi senza di lei. Sembra incredibile pensarlo, ma sotto tutti quegli strati Roy aveva sempre voluto avere per sé qualcosa che non finisse mai. Quel suo andare via, tornare, scappare e riavvicinarsi di nuovo era l'unico modo che conosceva per non essere costretto a guardare il gelato sciogliersi in terra, per non essere ferito. Senza di lei tornava a sentirsi come si era sentito per tanti anni, poco e niente.

    Rivederla l'aveva scombussolato dentro. La curva di quel volto, i riccioli di quei capelli e gli occhi cerulei avevano come operato una magia oscura e ora Roy sentiva di avere gli organi al posto sbagliato. Il cuore nello stomaco, i polmoni che gli respiravano nelle orecchie e il cervello nelle mutante. Durante tutto il tragitto in macchina Roy l'aveva tenuta d'occhio, lunghi sguardi lanciati a intermittenza come le lucine di Natale che s'accendono e si spengono ma restano sempre lì. Una parte di lui temeva saltasse davvero fuori dall'auto in corsa, la ragazza che conosceva sapeva essere imprevedibile, l'altra non voleva perdersi niente di lei. La guardava come si guardano le cose che non si possono avere, con sofferenza, un dolore fisico che gli dava alla testa, qualcosa che è vicino ma non riesci proprio a toccare. Teneva come al solito le mani impegnate in qualche azione, una qualsiasi che trattenesse le dita dal sfiorarle i capelli. Avrebbe toccato ogni centimetro che i suoi occhi sfioravano e non, perché averla contro la pelle era qualcosa che gli mancava terribilmente. Non sapeva proprio cosa farci con quelle dannate dita. Stringevano il volante, a tratti tamburellavano su di esso, avvolgevano una sigaretta, la lasciavano volare fuori dal finestrino, tornavano sulla plastica dell'auto, afferravano la barretta, fremevano per la vicinanza al ginocchio di Coco, l'avrebbero anche sfiorato se lei non si fosse ritratta. Aveva paura di lui? Sospirò. Era un'agonia starle accanto. Da tempo Roy aveva imparato a conoscere i suoi silenzi senza per questo rispettarli in ogni occasione. Pur risultando spesso una persona taciturna, quando litigavano Roy avvertiva l'urgenza di colmare il vuoto che li divideva, come se riempiendolo di parole anche loro si sarebbero riuniti. Il problema era che infilava sempre parole sbagliate, inadeguate per l'occasione e quasi sempre inutilmente crudeli. Gli pareva di dover farsi sentire a tutti i costi, che se pure con male parole quello fosse l'unico modo che aveva di impedirle di andare via da lui. Non funzionava mai anzi, erano spesso i lunghi silenzi, l'insopportabile presenza dell'assenza a unirli di nuovo.
    Nello stretto abitacolo di quella vecchia auto, anche in silenzio tutto urlava in lei. L'aveva sentita sin da subito, quella voce che, nascosta dietro la tenda indico, muta gli gridava sono qui, mi vedi? Perché la silenziosa Coco voleva essere vista per davvero, e lui l'aveva fatto senza alcuno sforzo, come con un bisogno primario che viene naturale soddisfare. Si accettavano senza necessariamente capirsi, senza piacersi in ogni singolo aspetto ma amando ogni ferita, smussatura e imperfezione di cui erano fatti. Cos'è, Manecoso t'ha mangiato la lingua? Disse con il tono di voce troppo alto per quello spazio così piccolo. Avrebbe fatto di tutto per farsi guardare ancora, ogni volta che lo faceva Roy si sentiva come spaccato a metà da un fulmine. Non vuoi parlare? Va bene, non parliamo. Disse a brutto muso con il tono di un bambino offeso. In quel momento stava odiando quel silenzio di cui si era circondata per due anni. Tutte quelle parole, quei tentativi, Roy sapeva che erano solo fiato sprecato. Coco non avrebbe parlato fino a quando avesse deciso di farlo, ma insultare il gatto rachitico con cui l'aveva sostituito dava comunque una certa soddisfazione all'uomo che sfoggiava il solito sorrisetto strafottente. Dentro? L'anima era in burrasca.
    In carcere aveva rivissuto ogni istante passato insieme e nella sua testa tutto si ripeteva all'infinito. Non smetteva mai. Non c'era una fine. A pensarla, la parola fine, faceva ridere. Non l'aveva mai fatto in tutti quegli anni, come poteva pensare che Coco finisse proprio ora? Erano passati due anni e ne aveva sentito il trascorrere sulla pelle, come il sale che gli scivolava addosso in certe giornate di mare di tanti anni prima, quando andavano per un picnic sulla spiaggia. Gli piaceva nuotare, la sensazione del suo corpo che non aveva peso lo faceva sentire in qualche modo libero di poter fare qualsiasi cosa. Quella era una cosa che faceva spesso anche da piccolo. Passava ore a pancia all'aria, lasciando che la corrente lo trascinasse lontano. Ricordava di aver spesso adocchiato con una certa curiosità il pensiero di scomparire. Se solo avesse chiuso gli occhi era sicuro che li avrebbe riaperti in un altro mondo. Un mondo fatto di cosa, non ne era certo. Anche all'epoca forse non era troppo sicuro di cosa volesse dalla vita. Forse tutto, forse niente. Ma aveva sempre tenuto gli occhi ben aperti e puntati sul sole fino a quando, distolto lo sguardo, macchie gialle e rosse gli graffiavano il campo visivo rendendolo come una vecchia fotografia mangiata dal tempo. Nonostante lo pensasse spesso, non aveva mai avuto il coraggio di scomparire davvero. E in quei momenti, quando tornava a riva e non c'era nessuno pronto ad accoglierlo in un grande asciugamano caldo, con i denti che battevano dal freddo ed il rumore del vento che fischiava nelle sue orecchie, era allora che il sale sulla pelle non sembrava più quella sostanza saporita che si divertiva a leccare via dai polpastrelli delle dita. Quei minuscoli granelli bianchi si seccavano, la pelle si irritava, cominciava a pizzicare e un'associazione di idee lo portava a pensare, di nuovo, a Coco. O per meglio dire, alla sua assenza. Quando erano insieme, Roy si sentiva di nuovo quel bambino senza peso che galleggiava in mezzo al mare. Con Coco, quando erano sdraiati sul letto della loro isola felice, riusciva persino a chiudere gli occhi per lasciarsi cullare da lei. Era come succede ai gatti: se arrivano a dormire con te è perché si fidano tanto da abbassare la guardia. Roy aveva rincorso quella sensazione per tutta la vita, cercandola nei posti più infimi che il mondo ha da offrire ma trovandola solo e sempre in Coco. All'inizio ne era sorpreso, come può una persona essere la sola tra miliardi di altre? Poi tutto cominciò ad assumere una forma, ad avere un senso. In fin dei conti l'aveva sempre saputo, Coco era per lui l'oceano e non ci si può sbarazzare di qualcosa di così grande e impetuoso, non importa quanto ci si impegni. Quando aveva aperto gli occhi però, quello che lo circondava non era esattamente il mondo che si ero aspettato di trovare. Nessuna oasi di pace, nessun sorriso che gli dava il buongiorno dall'altra parte del letto ma vuoto, assenza e il compagno di cella che russava dall'altra parte della stanza. E allora li sentiva di nuovo, quella miriade di granelli di sale che strusciavano forte sulla sua pelle, ferendolo. Come può l'oceano sparire così velocemente?

    La linea del mare li affiancò, così dritta e così diversa dal tortuoso percorso che le loro vite avevano consumato fino a quel momento. Quando sterzò, Roy aveva in mente soltanto quella distesa blu. Con appena la quinta liceo sulle spalle, tutto quello che sapeva Roy lo doveva alle letture notturne di Coco. Quando gli incubi lo svegliavano con il grido ancora incastrato in gola, l'unica voce in grado di rassicurarlo era quella della ragazza che, morbida come il tocco di una madre, gli leggeva fino a farlo riaddormentare. Raccontami di Calipso. Le aveva chiesto una notte quando, gli occhi stanchi sul viso segnato, poggiava la testa castana sul ventre piatto di Coco. Sapeva che c'era una storia dietro quel nome, ma i ricordi della scuola erano talmente sbiaditi da non lasciare altro che un vago ricordo di creature marine e d'amore. E allora Coco aveva iniziato a leggere un passo dell'Odissea, una Wendy che raccontava storie al suo Peter Pan. Roy che raramente trovava qualcosa interessante, si appassionò immensamente alla storia della Nereide - dea del mare - che si innamorava di Ulisse tanto da tenerlo prigioniero per sette anni sull'isola di Ogigia. La storia di quel nome gli piaceva, probabilmente perché era il suo e Roy aveva sempre associato al mare quello che Coco gli scatenava dentro, dalla calma tranquillizzante di quelle nottate alla tempesta indomabile dei litigi. Con lei su quel letto, Roy mostrava una parte di sé che in pochi conoscevano. Roy aveva trovato una persona con cui poter essere debole.

    Accostarono e l'uomo scese lasciandola indietro sull'auto. Sentiva la strana urgenza di toccare l'acqua, elemento che aveva sempre sentito vicino, somigliante a loro. Quando parlò lo fece con il cuore in mano, come sempre quando si trattava di lei, nel bene o nel male. Quello che successe dopo non ebbe inizialmente molto senso per lui ma fu così forte da far si che lo spettacolo mozzafiato che si stava esibendo intorno a loro passasse in secondo piano. Lei era capace di occupare tutta la scena, come la luce che riempie una stanza in oscurità.
    Si allontanò, Coco, stava raccogliendo le energie necessarie per affrontarlo e Roy lo sapeva. Le trapassava la schiena con lo sguardo, voleva farle sapere che non avrebbe mai smesso di insistere con lei. Non poteva, non era programmato per arrendersi, gli dispiaceva ma era così. D'improvviso lei si voltò, iniziò a marciargli contro con uno sguardo che Roy non aveva mai visto prima. Non c'era felicità dentro le iridi opache, non la felicità che l'ammissione appena fattale avrebbe dovuto scatenare. Resistette all'impulso di arretrare solo perché subire quella rabbia era sempre meglio del silenzio con cui l'aveva punito fino a quel momento. Ci moriva, dentro quei silenzi. Si lasciò afferrare per la giacca, reso inerme da quella vicinanza improvvisa. Gli aveva tolto il respiro, quel viso che ,congestionato dal freddo, gli era ora a pochi centimetri. Se avesse piegato leggermente la testa Roy avrebbe potuto strusciare la punta del naso contro la sua tempia. Seppur nella tragicità delle sue supplice, delle labbra screpolate, degli occhi tristi e arrossati e dei capelli che come sbuffi di fuliggine erano mossi dal vento, Roy la osservai e pensò che era davvero bella, di una bellezza non ostentata, fatta di minuscole imperfezioni che nell'insieme producevano un ammirevole equilibrio. «Non posso più allontanarti, non ci riesco, devi smetterla, devi lasciarmi andare, Roy! Perché non lo fai?! Perché, semplicemente, non fai quello che ti chiedo?» La guardò negli occhi senza capire, lo sguardo cupo di chi sta cercando di comprendere qualcosa che ancora gli sfugge. Non capiva le sue ragioni, quelle motivazioni che Coco cercava di trasmettergli con lo sguardo e che Roy non riusciva ancora ad afferrare. Però una cosa l'aveva già capita. Era stata ferita e ora era cambiata. Non posso. Ammise con arrendevolezza, il tono di voce basso reso un po' rauco dal freddo e dalle tante ore passate senza proferir parola. Lasciarla andare significava perdersi e Roy aveva bisogno di lei per ritrovarsi.
    Non era sempre stato gentile con le donne, neanche con l'unica che contasse davvero. Erano poche le cose della sua vita che riusciva a tenere insieme e sembrava che con Coco riuscisse a farlo solamente scontrandocisi. Solo con delle esplosioni potevano creare quei soli che si vedono di notte in nord Europa. «Non posso dimenticarti, non voglio che tu vada via! Non so più niente e non ne ho più le forze per combattere contro me stessa…» Nonostante la confusione che quella lacrime causavano in lui, un'onda di sollievo gli scaldò le ossa, una sensazione dolce che non provava da troppo tempo. Le passò la punta delle dita ai lati del viso, prendendogli delicatamente la nuca fra le mani posizionate all'altezza delle orecchie, sui capelli ricci che le fitti le coprivano. Sono qui Coco, non vado da nessuna parte. Le sussurrò fra i capelli mentre la seguiva nella caduta che forse preannunciava il male dietro l'angolo che, ancora non lo sapeva, l'avrebbe spezzato a metà.
    Ci sono muri interiori altissimi che si sgretolano di fronte a un gesto di pura tenerezza, e Roy lasciò perdere i suoi, avvolgendole le braccia intorno al corpo scosso da violenti singhiozzi. Nonostante l'ambiguità della situazione, accecato da certe emozioni che la vicinanza di Coco risvegliava in lui, Roy si sentiva ingenuamente rincuorato. Nella sua testa, aveva sempre lasciato quella stanza aperta per lei, anche quando tutto era buio e sembrava perduto, e ora era pronto a raccoglierla ancora una volta. «No, non lasciarmi andare.» Scosse piano la testa, ormai non avrebbe più lasciato la presa, non avrebbe fatto più una cazzata dopo l'altra, nessun tradimento. Lo giurava. Coco finalmente sollevò il capo verso di lui che, chino su di lei sembrava volerle fare da scudo umano. Roy non avrebbe di certo potuto immaginare che la minaccia che era sul punto di esplodere non sarebbe arrivata dall'esterno ma dall'interno, dallo spazio tra i loro corpi che diminuiva ogni secondo di più. Con il cuore martellante nelle orecchie, Roy deglutì un istante prima che le loro labbra si incontrassero. Era agitato, Roy, mentre succhiava via il sale dalla bocca di lei e chiudeva gli occhi, un'espressione serena che i lineamenti del viso non incontravano da tempo.
    Ma quella era forse solo un’illusione, come l'estate nelle mattine di aprile, e loro danzavano su un campo minato evitando le bombe seppellite nella terra.

    Non disse niente, ma dentro di lui si levò un lungo e penoso grido di dolore. Si era istintivamente ritirato, le braccia che prima l'avvolgevano ora sostavano lungo i fianchi come rami di un albero spezzato alla radice. Coco...Cosa... Ma la voce si spezzò, strozzandolo. La fissava con una disperazione che mai aveva espresso prima. Cercava una rassicurazione, una conferma che quello che avevano entrambi appena rivisto non era altro che una menzogna. Ma lo sapeva, Roy, sapeva che era tutto vero. Avvertì una violenta sensazione allo stomaco. Perdita, mancanza di qualcosa che non aveva mai davvero avuto. Non se ne capacitava ma era lì, più forte che mai, tra l'esofago e lo sterno, premeva forte sul costato tanto che respirare era diventato difficile. Come poteva mancargli qualcuno di cui aveva appreso l'esistenza quando ormai era già perso, annegato nel sangue di una vasca da bagno troppo candida per far da sfondo a un tale orrore. Seppur per breve tempo e al riparo nel grembo di Coco, qualcosa nato da loro era esistito, s'era cominciato a formare, cellula dopo cellula e chissà, forse se Roy fosse stato meno orgoglioso e meno stupido, se fosse stato lì insieme a lei, quell'altra cosa - quella bruttissima che non riusciva proprio a dire - ecco sì, quella non sarebbe successa. L'aveva guardata negli occhi per un tempo lunghissimo, lo sguardo che si spezzava mentre cercava di tenere insieme disperatamente, senza riuscirci, tutti i pezzi del suo cuore che continuava a rompersi ad ogni battito. Senza volerlo, insieme alla tristezza, l'accusa si era insinuata nell'azzurro dei suoi occhi, la scrutava addossandole la colpa di non essersi aperta con lui prima. Avrebbe potuto risolvere se solo Coco avesse parlato, nella mente confusa e resa sorda dal dolore, Roy si convinse che avrebbe potuto aggiustare tutto. Abbassò la nuca, le mani che premevano forte la base dei palmi sugli occhi serrati, e in ginocchio di fronte a lei si concesse quel momento di debolezza. Respirava forte come se fosse un sommozzatore alla ricerca d'ossigeno. Il giubbotto freddo, umido di neve, lo appesantiva, facendogli tremare le mani un po’ di più. Spingeva forte, sperava che il male fisico acquietasse quello che dentro lo riduceva in brandelli. Alla fine si mosse, i palmi che spingevano verso l'alto e le mani che dagli occhi si perdevano fra i corti capelli con una tale forza da pensare che Roy volesse strapparseli. Tirò su con il naso mentre si passava la manica sugli occhi, e quando finalmente si raddrizzò gli occhi erano rossi e irritati. Fece per aprire la bocca, voleva chiederle molte cose, se fosse suo, quando era successo, accusarla persino; avrebbe voluto arrabbiarsi, urlare mentre la stringeva e le baciava le lacrime via dalle guance. Ma la richiuse, quella dannata bocca, distogliendo lo sguardo. La amava più di quanto avesse mai amato qualcuno, ma non riusciva in quel momento a guardarla. Gli veniva da piangere, ma non ci riusciva. Provava solo un'amara stanchezza, una nausea triste, come quando ti senti giù, che più a terra non potresti. Si alzò servendosi di tutta l'energia rimasta per non crollare di nuovo a terra. All'improvviso sentiva l'impellente necessità di allontanarsi da quella spiaggia e da quei giochi di colori che da così belli gli sembravano ora odiosi. Allungò una mano verso di lei aiutandola a alzarsi, poi si diressero in silenzio verso l'auto, due silhouette nere che curvate sotto il peso di quello che avevan appena condiviso, si allontanano sulla spiaggia.

    Il tragitto in auto passò nel più assoluto dei silenzi. Roy fumò molto, buttava la sigaretta prima che fosse consumata e ne ricercava subito un'altra. Correva, il piede schiacciato sull'acceleratore che spingeva l'auto ben sopra i limiti di velocità. Non gli interessava, sentiva di aver subito una perdita che in qualche modo giustificasse ogni sua azione sconsiderata. Era mio. Fu l'unica cosa che sussurrò all'improvviso, il lucido degli occhi che brillava ad ogni saltuario lampione. Fu più una constatazione privata che fece a sé stesso, perso in chissà quali discorsi, utile per convincersi che ciò che era accaduto andasse al di là delle sue capacità. Ma farsene una ragione sembrava impossibile. Lo sapeva, era suo, poteva sentirlo e Roy non riusciva proprio a cacciare indietro la nausea.
    Si fermò davanti casa di Coco e spense il motore, l'aria che diventava di nuovo immobile fra di loro. Non ci pensò due volte e scese aspettando che lei facesse lo stesso. Nonostante avesse bisogno di pensare, Roy non era intenzionato a lasciarla da sola. Si mossero all'unisono come se tra loro si fosse instaurato un mutuo accordo che tacito li spinse a salire le scale insieme, Coco qualche gradino più in su di Roy. Entrare nell'appartamento non fece male come la prima volta, trovava quel dolore banale rispetto al vuoto che gli comprimeva la cassa toracica. Sentiva ancora il desiderio, quasi una necessità, di sfiorarla, di sgretolarsi insieme a lei. La stava infatti per seguire nella camera da letto quando invece si bloccò, buttandosi a pancia in su sul divano in fondo al salone. Decidendo di tenere il ragazzo fuori da quel dolore, Coco aveva fatto sì che Roy dovesse affrontare quella perdita da solo prima di poterne parlare con lei. Non ti odio. , sussurrò piano prima che lei scomparisse nell'altra stanza. Con la decisione di restare con lei Roy le voleva far capire che c'era, era lì e non se ne sarebbe andato. Non era molto bravo con le parole, per questo le azioni che Roy compiva parlavano più chiaro di qualsiasi altra cosa. Aveva solamente, e per la prima volta, bisogno anche lui di tempo.






    Edited by mesmeric - 31/12/2018, 02:45
     
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    Esiste un solo luogo dove l’essere umano si sente per davvero completamente al sicuro, eppure neanche lo ricordiamo. E’ un rivestimento in carne che ci avvolge teneramente e ci tiene insieme, si stringe contro di noi per tenerci caldi e al tempo stesso ci passa letteralmente della vita. È il luogo in cui crediamo che niente di spiacevole possa accadere, in cui siamo completamente devoti alla sicurezza e non abbiamo nessuna consapevolezza, e nonostante questo ci sentiamo parte integrante di qualcosa molto più spessa di noi, molto più grande. Quel luogo è il grembo di una madre, la fonte della vita e la prima finestra sul mondo come esseri viventi. È la parte della nostra esistenza che, seppur così insignificante ed effettivamente incalcolabile, ci crea e ci da una prima forma, ci spinge ad acquisire la forza che si necessita per lasciare che il cuore batti, che i polmoni ci permettano di respirare, che gli occhi ci lascino assorbire la luce del mattino e il buio della sera. Coco non avrebbe mai potuto ricordare com’era stato sentirsi cullata dall’ondeggiare del lento e calmo del petto di sua madre, ad ogni singolo respiro, eppure aveva sempre immaginato fosse una delle sensazioni più piacevoli che al mondo potessero esistere. Lo avrebbe ricercato ancora, quel contatto, se solo avesse potuto. Avrebbe riconosciuto l’odore della sua pelle ovunque, se solo l’avesse ricercato. Eppure, una volta fuori da quel ventre e capace di poter camminare sui propri piedi, Calypso e sua madre avevano dovuto separarsi per sempre, senza che una delle due potesse effettivamente scegliere di stare lontana dalla sua rispettiva. L’unica vera consolazione, per Calypso, era stato sapere di esserle appartenuta almeno per un po’, il tempo necessario per farsi una corazza e andare ad affrontare il mondo. Lei, diversi anni dopo, non era stata capace di fare la stessa cosa con quella piccola anima che aveva voluto mettere in lei le proprie radici. Non ci aveva mai pensato seriamente all’idea di metter su famiglia: troppe cose ancora in ballo, troppo inspiegabile e vacillante senso di inadeguatezza. Coco aveva dato per scontato che, prima o poi, sarebbe accaduto. Aveva spesso immaginato una famiglia banale, di basso profilo, magari con Roy, l’unico che le avesse davvero dato mai qualcosa, l’unico che avesse mai fatto in modo che lei si sentisse amata per davvero, nei momenti in cui invece non faceva il contrario. Forse un figlio, forse due, Coco non era riuscita ad immaginare mai niente del genere e, solo qualche tempo dopo, avrebbe compreso il perché. Era giunta inaspettata, quella consapevolezza; l’aveva spinta a portare le sue mani tremanti attorno ad un anonimo bastoncino di plastica che, non era possibile, sembrava metterla davanti ad una verità che non sapeva di essere pronta ad accogliere. Con la ragione e l’emotività che avevano iniziato a farsi la guerra dentro di lei, Coco aveva avuto solo paura e aveva mantenuto il silenzio, credendo che il tempo le avrebbe concesso di realizzare ciò che stava accadendo: avrebbe dovuto dirlo a Roy, era stata pronta per farlo, ma qualcuno aveva rotto il silenzio ed era approdato sulla loro isola felice senza chiedere il permesso, l’avevano portato via da lei, via da loro, e non ne era rimasto niente. In ginocchio di fronte alla porta spalancata che affacciava sul buio della notte, Coco non aveva avuto la forza di respirare, non aveva avuto la forza per urlare. Aveva chiuso le palpebre una, due volte, sperando di riaprirle e rendersi conto di essere nel mezzo di un incubo. Avrebbero dovuto vivere ancora tutta una vita, e lui non c’era. Avrebbe dovuto dirgli che qualcosa, dentro la sua pancia, avrebbe spintonato giorno dopo giorno per farsi sempre più spazio dentro di lei e che, ne fosse stato felice o meno, avrebbe richiesto anche le sue cure. Aveva avvertito le spalle d’un tratto terribilmente appesantite, il battito del cuore che non accennava a volersi regolare di nuovo, mandando in tilt tutto il resto: respiro, tremore delle mani, la forza delle gambe. Non era rimasto niente di Roy, se non ciò che lei aveva portato dentro per altre poche settimane, fino al momento in cui era stata Coco stessa a succhiare via quella vita senza neanche rendersene conto.

    Era stato Eyr a trovarla in quel bagno, stesa nella vasca e priva di sensi. L’aveva tirata su per le braccia, cercando di svegliarla, provando a richiamare la sua attenzione su di se e, quando finalmente c’era riuscito, Coco aveva aperto gli occhi ma non l’aveva guardato davvero. «Il feto è morto indebolito dal suo potere.» l’aveva sentito dire, Coco, e neanche sapeva da chi, neanche sapeva più quando. Era stata l’unica frase che, per settimane intere, aveva ronzato nella sua testa. «Che significa?» l’aveva chiesto suo padre, lui che voleva sempre comprendere ogni più piccola particella del mondo, ogni più piccola nozione di logica, di vita. Ogni punto di domanda era, per Naavke, forse un punto di partenza. «Bè, che anche le future gravidanze potrebbero essere a rischio.» e non c’era stata emozione in quella voce piatta, una sconosciuta in camice bianco che aveva decretato la fine di alcune possibilità, la fine di alcune speranze. Aveva finto di dormire, Coco, la mano stretta a quella di Eyr. «Potrebbero?» aveva domandato Naavke, sempre un passo avanti. Un attimo di silenzio e poi, come un pungo nello stomaco, ciò che forse non avrebbe mai voluto udire. «…lo sono.» morirono lì, quelle parole, mentre le dita di Coco si stringevano attorno a quelle di Eyr.

    Era successo senza che potesse prevederlo, era bastato un solo tocco e anche lui aveva visto. Con Roy era sempre tutto così fragile, anche Coco lo diventava. Er incapace di mettersi dei freni, quando lui era nelle vicinanze. Tutto il suo mondo sembrava perdere la sua forma conosciuta, quella che si era costruita intorno mentre lui era stato via ed era bastato solo un piccolo cedimento affinché ogni cosa crollasse ancora, di nuovo. Un lavoro durato due anni che andava a frantumarsi violentemente contro quei granelli di sabbia che avevano sotto i piedi e sui quali si lasciarono trascinare dalla scompostezza di quelle parole, di quel ricordo. Non aveva saputo evitarlo, Coco, perché Roy così vicino annebbiava tutto, persino il suo solito scudo fato di pelle, fatto di silenzi. Silenzi che lui era riuscito a infrangere, oltrepassandoli e andando alla disperata ricerca della verità nascosta dietro di essi. Ci riusciva sempre, Roy, e questo lei lo sapeva. Era il motivo per il quale l’aveva tenuto distante, il motivo per il quale Coco aveva deciso di essere solo Coco, e non più la sua Coco. Ma era stata un’illusione, un frangente durato due anni per chiunque, millenni per lei, che non aveva dimenticato niente di ciò che era stato. Sono qui Coco, non vado da nessuna parte. tremò nell’udire quelle parole, dovette chiudere gli occhi per un momento e godere di quel contatto, stringersi sotto la sua presa e desiderare di morire fra quelle braccia, se qualcuno avesse dovuto chiederglielo. Avvertì la leggera pressione delle sue mani stringersi attorno al suo busto per sorreggerla, un luogo sicuro che non avrebbe voluto abbandonare mai. Forse era in quel modo che ci si sentiva, abbracciati dal corpo di una madre. È Il tatto, il primo dei sensi che un piccolo essere umano sviluppa all’interno del grembo materno. Prima di poter ascoltare i rumori della vita, prima di poter riconoscere confini visivi e i giochi delle ombre, un bambino inizia a modellare il proprio corpo a seconda del tatto: avverte la pressione di quelle pareti di carne, l’acqua all’interno della quale si rigenera, giorno dopo giorno. E Coco, fra le braccia di Roy, si sentì rigenerata, per solo qualche breve ed intenso istante. Non sapeva quanto potesse essere vero questa volta, non sapeva quanto sarebbe rimasto. C’erano altri silenzi oltre quelli che era riuscito a spalleggiare in quel momento, e forse non avrebbe potuto sorreggerli. Fu per quello che durò tutto così maledettamente poco: Roy sciolse l’abbraccio, lo sguardo che andava a frantumarsi, lasciando che il cuore si manifestasse dentro quelle iridi per farsi vedere mentre, come un fiume in piena, travolge ogni cosa. Coco…Cosa… e si spezzò, quella voce. Restò appesa ad un filo, incerta, impaurita, incompresa. Sebbene avesse paura di guardarlo negli occhi, Coco sollevò il viso e lascio che le proprie iridi incontrassero le sue, vergognose, timide, colpevoli. Avrebbe preso tutto, ogni sentimento, ogni accusa. Avrebbe incassato ogni colpo, voleva che lui lo sapesse, e quindi non distolse mai lo sguardo, cercando più che altro di non lasciare che le lacrime annebbiassero completamente il suo campo visivo, sbattendo le palpebre più e più volte mentre le mani, come sempre, andavano a ritirarsi, a lasciare la giacca di lui, per stringersi attorno al proprio busto. Si teneva stretta, Coco, quando non rimaneva altro da fare. Ciò che aveva voluto nascondergli per tutto quel tempo, la vergogna che sapeva avrebbe provato nel mostrargli di essere difettosa, quelle non avrebbe potuto eliminarle mai. Coco era un marchingegno di carne che non funzionava bene come gli altri.
    Osservò Roy per tutto il tempo, attendendo qualcosa, una reazione, degli insulti, forse delle lacrime. Lei non lo sapeva, sembrava esser divenuto tutto terribilmente grigio attorno a loro. Non vi erano più due anime che si ritrovano sotto l’aurora boreale, ma solo due persone che, un tempo, erano riuscite a completarsi così tremendamente bene da far nascere qualcosa di unico, qualcosa di speciale che avrebbe cambiato la loro vita, se solo Coco non ne avesse soffocato ogni possibilità. Lo vide raddrizzarsi, accorgendosi di non essere più l’oggetto del suo sguardo, puntato ovunque, ma non più su di lei. Detestò quella distanza, detestò avercelo davanti e, per la prima volta dopo tanto tempo, essere lei quella che veniva rifiutata. Si portò le mani al viso, lasciando che dei singhiozzi morissero fra quei palmi e urlassero al posto suo quanto in realtà fosse dispiaciuta, quanto volesse poter tornare indietro per aggiustare le cose.
    Non lo aveva scelto lei: avrebbe tanto voluto funzionare bene solo per lui, Coco, per renderlo felice.

    Lo aveva seguito fino all’auto senza dire niente, sfinita dalle lacrime, il viso un rivestimento di pelle umida e rigonfia. Ogni tanto rivolgeva il proprio sguardo nella sua direzione, accertandosi che fosse ancora lì, mai silenzioso come in quel momento. Roy di solito cercava di riempire i suoi silenzi, ne faceva una bacheca intrinseca di argomentazioni varie, cose che a volte neanche aveva capito come riuscisse a collegare fra di loro. Ed in quel chiasso aveva saputo, Coco, che le cose si sarebbero sistemate, perché era così che funzionava: Coco se ne stava muta e Roy lasciava che le parole diventassero fiumi in piena. Un equilibrio che aveva sempre funzionato, almeno fino a quel momento.
    Con il viso rivolto verso il finestrino, Coco questa volta si nascondeva da lui non perché volesse sfuggirgli, ma perché non aveva il coraggio di mostrargli quanto si sentisse maledettamente sbagliata in quel momento. Non le importava della velocità, delle innumerevoli sigarette che, l’una dopo l’altra, si erano susseguite fra le labbra di Roy. Non importava niente, in quel momento, se non l’eco del dolore che da Roy si espandeva in tutta l’auto, chiassoso malgrado nessuno dei due stesse fiatando. E se durante il viaggio d’andata aveva desiderato che lui non la toccasse, in quel momento sperava con tutta se stessa che le dita del ragazzo si stringessero sulle sue, o che con una delle sue smorfie andasse a carezzare le sue gambe avvolte nei jeans ormai freddi e sporchi di sabbia. Ma non accadde nulla. Restarono due sagome distinte, lontane anni luce da ciò che qualche ora prima avevano creduto di poter possedere. Era mio. disse quindi Roy, rompendo quella quiete stridente. Graffiò nel punto più profondo di Coco, le lacerò l’anima in due, scostando la pelle che la ricopriva e prendendosi parte delle verità che gli spettavano. Si strinse nelle spalle, lei, voltando appena il proprio viso nuovamente verso di lui e lasciando che i propri occhi lucidi carezzassero il suo viso contratto. Restò muta, Coco, cercando qualcosa da dirgli. Ogni singola parola avrebbe potuto ferirlo, in quel momento, così come il suono dei loro respiri nuovamente così vicini. Ogni cosa faceva male all’interno di quell’abitacolo, e Coco ne stava sentendo il pizzico sulla pelle, che strato dopo strato sembrava stesse indebolendosi. «Era tuo.» confermò solamente, in quello che flebile e fragile venne fuori come un sussurro. Non disse altro e lui nemmeno, fino al momento in cui giunsero sotto la casa che aveva visto i loro momenti peggiori così come quelli migliori. Quando spense il motore dell’auto, a Coco prese il panico. Iniziò a respirare freneticamente, il petto che si sollevava e abbassava ad una velocità che non avrebbe potuto controllare neanche se lo avesse fortemente desiderato. Aveva paura che lui le dicesse di scendere, che rimettesse in moto e lei dovesse trovare la forza di salire quelle scale da sola. Non ne aveva la forza, Coco, avrebbe preferito accasciarsi sui primi fiocchi di neve posatisi su quell’asfalto, piuttosto che ritornare da sola in quel nido. Non lo aveva mai sentito proprio, da quando lui non ci aveva più messo piede. Coco non aveva avuto più nessuno che si chiudesse la porta dietro di lei e che si accertasse di chiudere le tende, impendendo al sole di sorgere troppo presto anche fra quelle mura. Era sempre stato così con Roy, e poi tutto era finito. Eppure, lui non lo disse. Scese prima di lei, aspettando in piedi di fianco all’auto che anche lei facesse lo stesso. Si fece coraggio, allora, spingendosi al di fuori della macchina ed evitando di guardarlo mentre faceva strada, certa però che lui l’avrebbe seguita. Aprì la porta di casa, mentre il corpo elettrizzato di Coco avvertiva la presenza di Roy, troppo distante da lei, troppo immobile. Non c’erano le sue mani che la cercavano, non c’erano le sue labbra che, come tante volte era accaduto, si posavano sulla pelle nuda del suo collo, desiderose della sua carne, affamate ed incapaci di attendere che si trovassero al riparo fra le loro mura di mattoni, un regno sconosciuto al resto del mondo.

    Non ti odio. aveva sussurrato piano, Roy, ma Coco era stata capace di sentirlo mentre varcava la soglia della propria stanza per dirigersi al bagno. Sarebbe stata anche capace di fermarsi, se il tumulto che aveva avuto per tutto il tempo nello stomaco non avesse spinto per venire fuori. Si era quindi diretta verso il bagno, chiudendocisi dentro e lasciando, di nuovo, Roy fuori ad una porta. Non seppe esattamente quanto tempo restò lì dentro, Coco, cercando di lasciare che tutto smettesse di girare, provando a distaccarsi da quello che era appena avvenuto, e non riuscendo a capacitarsi delle scelte che aveva preso, in due anni, e che avevano portato esattamente al punto in cui non avrebbe voluto giungere. Non sapeva più a cosa fosse servito, stargli lontana. Allora si consumò in quel bagno, uscendone qualche momento dopo con il viso impallidito e lo sguardo arrossato, le pupille che danzavano in un vortice di scariche rosso fuoco. Non ebbe il coraggio di raggiungerlo, preferendo liberarsi dai vestiti che odoravano ancora di mare, per indossare una delle sue tute scure, accucciandosi poi sul materasso che li aveva visti felici, mentre con lo sguardo non faceva altro che delineare gli intagli nel vetro della porta che li divideva. Era abituata al silenzio in quella casa, ma non quando c’era lui. Non riusciva a pensare ad altro, Coco, se non a Roy disteso sul suo divano a soli pochi passi da lei. Aveva bisogno di un luogo sicuro quanto il grembo di una madre, Coco, e in quella camera non vi era niente che pressasse contro la sua pelle, niente che la spingesse a rannicchiarsi contro una parete di pelle. Si sollevò, scivolando silenziosamente con i piedi sul pavimento e camminando in punta di piedi fino all’uscio che divideva i due spazi di quell’appartamento. S’affacciò nel buio, sporgendo la testa oltre lo stipite della porta e cercando con lo sguardo la sagoma di Roy, nel buio. Si avvicinò lentamente al divano, riconoscendo la forma del suo corpo disteso sui cuscini avvolti nel buio della stanza. Restò immobile per qualche istante, sperando che lui facesse qualcosa, che dicesse qualcosa. Ma Roy era come privo di se stesso, svuotato per ciò che avevano perso. Era rimasto in bloccato in quell’istante, il suo ragazzo, perso nel dolore che non aveva conosciuto a tempo debito. Mentre una debole lacrima scorreva sul viso di Coco, la ragazza andò a sistemarsi accanto a lui, distendendosi di fianco e stringendo le mani contro il petto mentre Roy continuava a darle le spalle. Non era importante che lui la guardasse, e neanche che si voltasse per accogliere il suo corpo con le braccia. Coco promise a se stessa che per quella sera sarebbe bastato quello, che non gli avrebbe chiesto niente di più che di dormirgli accanto cullata dal suo respiro che, di notti come quelle, strano dirlo, ancora non aveva mai vissuto.
     
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