Fuck off, I'm leaving

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  1. woweya‚
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    Chapter 1 - Work in Progress

    @elle song look


    Un pezzo alla volta l'avrei sistemata quella casa, mi ero trasformata in una tuttofare, dovevo sostituire tutti i pavimenti, le pareti, qualsiasi cosa non andasse, ero stufa di morire dentro ogni volta che ci mettevo piede.
    Non ero esperta quindi qualsiasi tipo di ripetizione probabilmente si sarebbe distrutta nel giro di un mese ma era un ottimo modo per distrarmi.
    Avevo preso tutti i mobili e li avevo trascinati fuori e con un machete li avevo fatti a pezzi prima di bruciarli, era stata la parte più bella e dio, spero che nessuno m'avesse vista mentre li affettavo con tanta rabbia.
    Lavoravo di giorno perché la sera non avevo luce in casa, ancora bloccata nel fuoco delle candele sparse per casa. Ora in casa non c'era niente, nemmeno un letto, dormivo su un materasso buttato a terra e non mi dispiaceva la cosa, forse un po' scomodo.
    Come ogni in ogni cosa il mio entusiasmo si era spento in poco tempo e ora mi ritrovavo con una casa vuota e ancora più inquietante.
    Ero seduta per terra nella piccola terrazza all'ingresso, davanti a me una macchia scura in mezzo al prato con i pochi resti dei mobili bruciati, i più forti, quelli che non si erano lasciati bruciare.
    Mi alzai in piedi e presi lo zaino alla mia destra e me lo misi in spalla, ero stufa di quella casa, sarei andata da qualche altra parte, forse una panchina sarebbe stata mille volte meglio.
    Ero stufa di avere incubi e divedere il corpo di mia mamma penzolare. Cioè, non che ci fosse realmente il corpo, l'evento era preannunciato da una sensazione di vuoto, poi si sentiva il rumore di passi, un rumore forte tada! Il corpo di mia mamma cadeva davanti a me, completamente privo di vita e attaccato ad una fune per il collo, non so se fosse qualche fantasma o se fossi pazza io ma era inquietante.
    Mi sarei presa un appartamento in affitto e questa volta, se mi avessero negato il diritto di vivere sotto un tetto solo perché avevano paura di me li avrei portati in tribunale, li avrei sotterrati vivi, metaforicamente si intende.
    Mi misi le cuffie e la feci partire, era la canzone che più mi dava la forza e mi rilassava, era la Sinfonia No. 9 di Beethoven, quando la ascoltavo era come se mi sentissi subito come una direttrice d'orchestra dove però ad eseguire i miei ordini era il mondo che mi circondava e poi tutti gli psicopatici amano la musica classica.

    Chiusi gli occhi per qualche minuto prima di iniziare a camminare abbandonando quella casa, sentivo la sua forza attrarmi come se dietro di me un lungo braccio stesse cercando di afferrarmi per trattenermi lì, potrei persino giurare di aver sentito la maglietta tirarsi.
    Raggiunsi il limite del prato, lì dove l'erba lasciava spazio a piante ben più grandi, ero dentro il bosco, percorsi il cimitero sconsacrato e lasciai la mia mano sfiorare le mura del cimitero, quello vero.
    Non ero mai entrata in quel posto, non mi piacevano i cimiteri, odiavo il concetto di dover pagare per essere sepolti, c'erano troppe contraddizioni in quel mondo, era normale impazzire prima o poi.

    Non sapevo dove sarei andata, era uno sforzo troppo difficile per me, credo che il primo passo sarebbe stato piombare in città scatenando il terrore degli abitanti di Besaid, li vedevo già correre con le mani in alto agitate Il Demonio è arrivato in città, si salvi chi può!
    Una volta trovato un luogo in cui vivere mi sarei occupata del secondo problema, il lavoro. Mi sarei accontentata di qualsiasi cosa, anche di pulire i cessi in un ristorante.
    Avrei stretto i denti e avrei tirato avanti come avevo sempre fatto, mi sarei integrata lentamente nella società e forse un giorno la gente si sarebbe dimenticata il mio passato lasciando spazio a Una psicopatica ma non è poi così male.
    La domanda che mi balenava in testa era Ce la farò veramente o abbandonerò il mio piano come ho fatto con la ristrutturazione della mia casa?.
    Avevo paura, paura che qualcuno si fosse messo in mezzo, avrei perso le staffe e addio vita dei sogni. Pessimismo? Here I am.
     
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    Ellen Tonje Hagen

    Come uno spirito smosso da alcun fine, Ellen, placidamente camminava. I suoi passi la portavano a pestare il terriccio al di sotto di lei, lasciando che le scarpe in esso quel tanto. Il suo corpo era interamente celato da un abito, decisamente poco alla moda, considerato sicuramente dai più conoscitori ed esperti vintage, sebbene questo dettaglio poco interessasse alla donna. Non si riguardava di cosa indossasse, non le interessava affibbiarsi a qualche marca o a qualche stile in particolare. L'importante era che quel groviglio di tessuto potesse degnamente ricoprirle il corpo, lasciando in qualche modo sfoggiare anche il suo gusto personale; quella peculiarità che la rendeva unica nel suo genere.
    Nonostante destasse così tanta curiosità in coloro che vivevano nel centro della cittadina, a Besaid, difficilmente qualcuno le si avvicinava intenzionalmente. I bambini la guardavano con sospetto, timorosi, nascondendosi di tanto in tanto dietro le figure slanciate delle loro madri o dei loro padri. I ragazzini, gli adolescenti, sembravano aver instaurato con lei una forte curiosità, sebbene, il timore aleggiasse sempre sopra le loro teste. Di notte, soprattutto, tentavano di mettersi alla prova: cercavano di scavalcare il cancello ferroso del Cimitero, andando a disturbare - affrontando quella sciocca prova di coraggio - non solo Ellen ma finanche gli individui ormai marciti e putridi, inabissati nelle loro tombe. Alcune dimenticate, altre, invece ricevevano ancora qualche blanda visita. Sì, tentavano di scoprire ciò che non riuscivano a comprendere quei mocciosi ma, bastava la comparsa improvvisa di Ellen per indurli tutti a scappare: correre lontano, col cuore in gola, urlando persino; perdendo quell'ardore vigoroso tanto dimostrato inizialmente.
    Ad Ellen non dispiaceva la solitudine. Aveva vissuto una vita intera rilegata e costretta ad esserla. Non conosceva altro. Probabilmente, non sarebbe stata capace di comprendere nessun'altra realtà. In quella prigione, in quella cella. Non riusciva a rammentare dove fosse, dove si fosse trovata e come fosse riuscita a scappare. Non riusciva a rammentare niente di nitido. I suoi ricordi erano tutti offuscati ma, quel volto, quella voce: non l'avrebbe mai davvero dimenticata. Le buscava, di notte e di giorno. Riempiva la sua mente, colmandola completamente. In lei, cresceva di pari passo il desiderio di vendicarsi, di squarciare quel corpo e di estrarne dal petto il cuore sanguinante e ancora sbatacchiante. Le sue mani tremavano d'impazienza e di godimento, immaginandosi una tale conclusione. Quando sarebbe accaduta, quando quel giorno sarebbe arrivato: lei sarebbe stata pronta.
    Nel frattempo, poteva migliorare le sue abilità mediante le missioni per la Setta della Libra. Quello fu sostanzialmente il primo luogo nel quale si sentì accolta e accettata per quello ch'era; nonostante la sua particolarità potesse dimostrarsi così vantaggiosa quanto no al contempo.
    Abbassò lo sguardo, momentaneamente, sulle sue mani. Esse erano celate dai guanti, lunghi e spessi, aderenti quasi fossero una seconda pelle ma, abbastanza robusti da impedirle di azionare quel strano meccanismo che viveva in lei. Sapeva e riusciva ad assorbire la particolarità altrui. Ne entrava in possesso, solo toccando, sfiorando o accidentalmente urtando una persona vivente provvista di tale peculiarità. La sentiva scorrerle nelle vene esattamente come avrebbe fatto il sangue all'interno dei suoi tessuti. La sentiva colmarla e occuparla totalmente, dalla sommità del capo sino ai rami che costituivano le sue dita. Poi, percepiva l'essenza stessa della persona. E la viveva, direttamente, potendo dare sfogo e utilizzare quella stessa particolarità che con la sua, nulla aveva veramente a che fare.
    Proprio per questo viveva così, dimentica dal mondo e dal mondo dimenticata. Salvo le rare eccezioni in cui, chi la comandava, chi ne richiedeva il suo intervento la spronava ad abbandonare il suo isolamento e il suo rifugio. Si privava finanche dei guanti lunghi, adagiandoli sul piano del comodino, decisamente antico e alquanto impolverato: ubicato nella sua stanza. Indossava abiti comodi, totalmente corvini, esattamente come la sua chioma e, quell'altra faccia della sua stessa medaglia: riconosceva finalmente e totalmente la libertà. Poteva essere libera e indipendente. Poteva semplicemente saziarsi e alimentarsi dei sentimenti più ripugnanti e sadici. Ed Ellen, ritornava a rigenerarsi dalle energie perdute. Forse era proprio per questo che, molti, pur non conoscendola e non sapendo niente di lei: l'evitavano. I loro sesto senso li mettevano in guardia. Ellen era pericolosa, micidiale se avesse desiderato. Mediante Ellen, si poteva scoprire un mondo totalmente nuovo e oscuro, fatto di crudeltà, di dolore e di strazio. Sì, poiché quella era la sua firma. Le torture, il dolore arrecato, le sofferenze sempre maggiori raggiungevano un solo culmine, un grido unanime nelle bocche di coloro che osavano mettersi sulla sua strada. Pietà? Oh sì, certamente. Pietà. Ellen però riconosceva un solo tipo di pietà... la morte.
    Con i polpastrelli della mano destra, sfiorò la lapide dimenticata, abbandonata di un uomo ormai morto da moltissimo tempo. Apprezzava quelle costruzioni, quegli esempi di marmo e pietra commemorativi, specialmente se arricchiti e avviluppati da foglie e piante arrampicanti e sperdute: i soli superstiti di un antichissimo passato.
    S'accovacciò, inducendo quindi le fibre del suo cappotto a sfiorare e adagiarsi come neve sul terriccio ai suoi piedi. Smosse l'arto e con esso, andò a scostare e far cadere le foglie rinsecchite. Erano così rosse, ma la tonalità non poteva considerarsi accesa e viva. Quel rosso era tanto smorto e, il fogliame, così secco e arricciato su se stesso. Se avesse voluto, stringendolo tra le dita, avrebbe potuto ridurlo in cenere, in piccolissimi frantumi, in una piccola e poco numerosa cascata di coriandoli di monocromatici. Se avesse voluto, ma non lo fece. La indusse a ricadere silenziosa e senza emettere il più impercettibile suono sul terreno. Ripulì la lapide. Lesse il nome di colui che identificava. Un nome come tanti altri, senza un volto.
    Il suono arcigno e stridulo, acuto e fastidioso del cancello ferroso le solleticò l'udito. Volse il capo, inclinandolo al contempo. Non un solo ciuffo della sua capigliatura si mosse, essendo acconciata com'era di suo gusto ed abitudine. Anch'essa, come i suoi indumenti, rievocavano una moda e un tempo passato: in parte dimenticato e in parte ancora ricordato e commemorato.
    Notò e riconobbe quel viso. Volto di donna, giovane donna. Cosa sapeva di lei? Niente. E l'altra, cosa conosceva di Ellen? Niente. Ma cosa faceva lì e perché? Nessuno mai, veniva volontariamente al cimitero. Lenta si alzò, abbandonando la sua postura accovacciata. La guardò, ma tacendo. Fece ricadere gli arti lungo i suoi fianchi femminei e adeguatamente rotondeggianti, nonché formosi. Strinse le dita. Il tessuto del guanto crepitò, sottile ma sufficientemente udibile a lei.

    Edited by LìäÐëBêäümônt - 10/1/2019, 17:05
     
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  3. woweya‚
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    @elle song look


    Avevo mosso qualche passo in quel posto dimenticato da tutti e già mi stavo chiedendo cosa diavolo stessi facendo, perché stavo perdendo tempo prezioso per vedere le tombe di persone che nemmeno conoscevo? Non lo so, forse volevo ritardare il più possibile il contatto con tutta quella gente che ci sarebbe stata in città, in questo periodo natalizio erano tutti così sorridenti, io non lo sopportavo eppure li invidiavo, invidiavo la loro vita così normale.
    C'era un leggero vento che mi solleticava il viso, ero infreddolita e i miei pensieri erano bloccati dalla morsa del freddo, era un bene perché più il mio cervello rimaneva assopito più era facile per me sopprimere gli istinti omicidi che avevo dentro.
    Con la coda dell'occhio vidi una macchia nera spostarsi, pensai a qualche animale, in fin dei conti ero circondata dal bosco, forse un cinghiale o qualcosa del genere. La forma nera era alta, di certo non era un animale, mi voltai per poterla guardare, un essere umano. sbuffai dentro di me, non potevo nemmeno avere pace lì dentro.
    C'era una parte di me che mi diceva di girarmi ed andarmene ma non volevo fare la figura della ragazzina impaurita, sarei rimasta lì per un po' e poi me ne sarei andata.
    Avanzai buttando lo sguardo qua e là, non c'era nulla di bello in quel posto, nessuna tomba particolare, tutte maledettamente normali, qualcuna avvolta da piante rampicante rinsecchite ed altre rotte e consumate dal tempo.
    Cosa ci faceva quella donna lì dentro? Non aveva un aspetto raccomandabile, oh no non mi riferivo alla sua bellezza, per quanto fosse coperta si poteva intuire fosse di più che bell'aspetto, mi riferivo al suo portamento, sembrava una strega, una di quelle dei film, sinistra. Per un attimo mi balenò l'idea che fosse una mia fan, una di quelle che va in giro cercando le persone che tutti ti dicono di odiare e confinare in un angolino, dove non possono farti del male.
    Scacciai via quel pensiero, era troppo adulta per lasciarsi andare a simili sciocchezze.
    Continuai ad avanzare ed ero ad una distanza troppo piccola per ignorarla ulteriormente, abbozzai un sorriso, così si faceva in giro con gli sconosciuti.
    Mi aveva forse riconosciuta? Non sembrava.
    Forse però poteva essere un buon trampolino di lancio per la mia introduzione nella società, in fin dei conti non era felice, non avrei rischiato di soccombere sotto le sue risate e battute. Ha i parenti? Esordii titubante e completamente incapace di iniziare una conversazione in modo intelligente.
    Un brivido mi percorse, ora che ero vicina era ancora più spaventosa, era forse una proiezione della mia mente Non è reale, non è reale Mi aspettavo da un momento all'altro la sagoma di mia madre svolazzare lì, magari attaccata al muro di cinta.
    Convinta di questo mio pensiero la superai cercando di non guardarla più, di lasciarla perdere, la urtai con la spalla e questo mi fece trasalire, era reale.
    In pochi secondi capii che mi ero comportata da stronza con una sconosciuta senza motivo, cosa che non mi apparteneva, e sopratutto lei era veramente inquietante.
    Scusi, sono inciampata Era una delle scuse peggiori che potessi inventare, inciampare da ferma? Credo fosse abbastanza improbabile.
     
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    Ellen Tonje Hagen

    Sì, Ellen aveva riconosciuto quei lineamenti, quelle fattezze. Per quanto alcuni aspetti della sua memoria potessero considerarsi ormai logorati, manomessi e compromessi dall'intervento di coloro che osarono sempre utilizzarla come una cavia - dal primissimo istante sino al suo ultimissimo - la donna, la trentaduenne sapeva ancora come immagazzinare determinate informazioni. A dire il vero, rammentarsi di qualcuno, di qualcosa di veduto e percepito mediante il senso visivo era una capacità che le riusciva davvero molto bene. Era necessario, in alcuni frangenti e momenti, specialmente per quel che riguardava e concerneva quell'altra vita; quella celata dalle ombre, quella nascosta a tutti se non a coloro che facevano parte della Setta della Libra. Ovviamente, anche questo aspetto e conoscenza, era rivolto finanche a coloro che cadevano prede nelle sue mani. Personalmente Ellen desiderava unicamente mettere gli artigli su colui che l'aveva imprigionata, ingannata, sfruttando la sua innocenza di un passato per permettergli di attuare tutte le sperimentazioni e le bizzarre pazzie ed alienazioni che, quella mente tanto intelligente ma contorta, aveva ambito attuare. Quell'uomo, quei lineamenti, non avrebbero mai abbandonato il ricordo e la memoria di Ellen. Lui, sarebbe stato il solo che la trentaduenne avrebbe ricercato intenzionalmente per ucciderlo. Senza attendere il verdetto di alcuno, il comando o semplicemente l'incarico del momento.
    Quella ragazza quindi, non le era estranea. Ricordò la primissima volta che la vide. Sembrava essere entrata in possesso di quella costruzione logora e malandata, trascurata da chissà quanto tempo e quindi prossima al tracollo. Essa, era ubicata non lontano dal cimitero e da dove, sostanzialmente, anche Ellen abitava e viveva. Sì, avvolta nel silenzio che quell'ambiente poteva solo conferire e, esiliata dal tram tram della città e delle persone vive e incuranti che la popolavano. In quel tardo pomeriggio l'aveva veduta spaccare e frantumare con un macete dei mobili antichi, ma ormai decisamente rovinati da anni e anni di indifferenza e abbandono. L'aveva osservata mentre issava quella lama incurvata e la lasciava ricadeva sui ceppi di legno, tagliandoli con insolito compiacimento. Chissà, probabilmente tra simili si potevano riconoscere. Determinate anime, per non volendo, erano ugualmente in grado di comunicare ed esplicare accidentalmente brandelli di segreti e misteri. Ma, un mistero non era come quella ragazza nutrisse timore per la sua figura. La guardò attentamente, non distogliendo mai lo sguardo su quel corpicino - decisamente smilzo forse anche troppo - avvicinarsi. Notò il modo stesso come quei bulbi oculari sgranarono notevolmente, rendendo quindi ancora più ampia la circonferenza e la dimensione naturale. Un'espressione per nulla estranea ad Ellen. Molti, tutti reagivano a quel modo. Era spaventati da lei, inquietati, ma al contempo per qualche strana ragione desideravano sempre indirettamente e inconsciamente appropinquarsi a lei: rivelare ciò che non poteva essere veduto o captato.
    Ellen non si scompose. Chiaramente e sinceramente una parte di lei iniziò ad annunciarle quanto sarebbe potuto essere pericoloso, fastidioso a dire il vero, ritrovarsi accidentalmente con qualche strana e bislacca - persino inutile in alcune rarissime occasioni - particolarità intenta a fluirle nelle vene e nella mente. Sapeva, di dover stare attenta, evitando che qualsiasi contatto fisico potesse accadere. Un breve timore, una flebile apprensione spezzata via poco dopo. Le bastò guardare quei guanti che le nascondevano le mani, il cappotto così pesante e così adatto alla stagione invernale; seppur fosse decisamente antiquato e passato di moda, rispetto a quella corrente. Intrappolato nel tempo, esattamente come poteva sembrare Ellen ad occhi d'una persona eccessivamente fantasiosa e ammaliata dal misticismo e dall'oscurità.
    Imperturbabile, impassibile attese. Quella giovane ragazza le si fece sempre più prossima ma poi, smise di camminare. Interruppe quel movimento dei piedi, restando apparentemente a debita distanza. Temeva forse che gli arti di Ellen si allungassero verso di lei e le ghermissero il cuore, strappandoglielo dal petto e lacerandone carne e tessuti? Una visione interessante, così tanto che se attuata, avrebbe indotto Ellen stessa a lapparsi gustosamente le labbra; specialmente la protuberanza inferiore, più carnosa della sovrastante. Ma no... Chi era quella se non una perfetta sconosciuta? Ellen, necessitava di prede, prede che un tempo furono predatori. Solo in questo modo poteva trovare veramente un godimento completo e totale.
    Ha i parenti? Ellen riportò lo sguardo sulla lapide, infine ritornò a guardare la giovane. Scosse il capo, negativamente. Così le rispose. L'altra, chissà forse annoiata, forse troppo spaventata o semplicemente disinteressata dalla poca partecipazione di Ellen, fece per muoversi ma, la scontrò. Velocemente Ellen, roteò totalmente su se stessa. La lombare andò pigiando sulla lapide di pietra e marmo, ingrigita dal tempo e dalle esposizioni ai mutamenti climatici. Gli occhi sgranarono e, presumibilmente, minacciarono indirettamente quella ragazzina. Nessuno doveva toccarla. Nessuno poteva farlo. Lei e soltanto lei, doveva essere a decidere se e quando. Scusi, sono inciampata. Respirò profondamente Ellen, non mutando la natura di quello sguardo. Così dannatamente diretto e così incredibilmente e paurosamente eloquente. Eppure, tentò di quietarsi.
    Il cimitero non è ancora aperto ai visitatori. Disse sussurrando le parole flebilmente, sembrando così tanto un'apparizione che, con le prime luci dell'alba sarebbe scomparsa: non lasciando nulla del suo iniziale passaggio.

    Edited by LìäÐëBêäümônt - 10/1/2019, 17:05
     
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  5. woweya‚
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    Elle Hoffmann - 27 - psychopath
    Aspettai una reazione da parte della ragazza, non serviva essere una donna, e quindi dotata di sesto senso, per capire che una persona vestita in quel modo, dalla pelle pallida e che frequentava i cimiteri senza avere i suoi parenti non sarebbe stata incline ad accettare le mie scuse, in fin dei conti nemmeno io le avrei accettate.
    Il suo sguardo era addirittura peggiore del mio nei momenti peggiori e sì che avevo passato parte della mia vita in mezzo ai miei simili, i matti.
    Presi un lungo e profondo respiro, quella situazione non mi stava affatto piacendo, sapevo che non sarebbe finita bene, speravo ci si sarebbe limitate agli insulti verbali anche se avevo davvero voglia di tirarle un pugno.
    Quello che veramente mi lasciò stranita fu la sua frase successiva, diede una connotazione alquanto strana a tutta la situazione, era anche lei una visitatrice e sopratutto da quando in qua c'erano degli orari di visita in questo posto? Era palesemente abbandonato, voleva allontanarmi o stava nascondendo qualcosa di più grande? Aveva ucciso qualcuno e l'avevo sorpresa mentre si sbarazzava del cadavere? Scacciai via anche questo pensiero, non volevo fantasticare troppo e finire per vaneggiare come avevo fatto poco prima.
    Alzai il sopracciglio, tutte le mie intenzioni di essere cordiale caddero Visitatori? Commentai E tu che saresti? L'amministratrice di un cimitero Feci una pausa per dare più peso ed enfasi alla prossima parola abbandonato? Scossi il capo con un sorriso infastidito Non mi importa che stai facendo qui ma non fare la stronza Strinsi con forza il coltellino che avevo in tasca, non mi separavo mai da quell'oggetto, era forse il mio migliore amico, mi aveva salvata da tante brutte situazioni e spesso aveva alleviato i miei malumori.
    Dovetti concentrarmi per evitare di combinare qualche stronzata, mollai la presa sul manico di quell'arma così piccola ma ugualmente letale.
    Alla tua età dovrebbe anche essere passato il periodo "Amo andare nei cimiteri e vestirmi dei neri per sembrare interessante" Simulai le virgolette con un gesto delle dita, il mio tono era sarcastico e infastidito.

    Era pieno di adolescenti che si cimentavano in strane scelte di vita tutto per essere accettati dal gruppo, avevo sentito che c'era gente che faceva certi strani giochi la cui fine era la morte, da regolamento, il tutto per il bisogno di apparire.
    Altri, i più "codardi", si limitavano a vestirsi in modi strambi, c'erano uomini che arrivavano a truccarsi solo per essere diversi dagli altri, un altro disperato bisogno di attenzione. Nonostante il genere umano stesse andando sempre più alla deriva la matta continuavo ad essere io.
    Lei sembrava proprio una di questi adolescenti ma con un'eta decisamente maggiore, forse faceva parte di quelle casalinghe disperate che si fanno cose strane per apparire giovanili e attirare ragazzi giovani ma farlo qui? In un cimitero? Forse era qui per scattarsi qualche foto e denunciare la situazione dei posti abbandonati a tutti i suoi seguaci con un'espressione provocante in primo piano ed una citazione ad effetto come descrizione.
     
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    Ellen Tonje Hagen

    Dopo quel leggero urto, quello scontro attuato chissà per quale assurda ragione dalla ragazza che aveva appena varcato la soglia ferrosa e cigolante del cimitero; Ellen poté rilassarsi. Non completamente certo. Qualcosa in lei prese a stuzzicarle lo stomaco, l'imboccatura dello stesso ad essere sinceri. Avvertì anche un senso di lieve stordimento, come se la sua mente, il suo cranio, si fosse svuotato magicamente dalla massa grigiastra e gelatinosa - presente al suo interno come in tutti quelli degli altri - e vi avesse lasciato spazio solo ad aria; semplice, impercettibile, invisibile ma pulitissima aria. Sapeva ricondurre tutte quelle sensazioni ad un qualcosa di chiaro e conosciuto.
    Non era la prima volta che le si presentava. Sì, lo aveva provato tante altre volte e in tutte quelle precedenti, quei sentori avevano portato Ellen ad agire secondo la sua indole: quella vera, quella che solitamente si manifestava unicamente in determinati momenti, prescritti e finanche moderatamente rilegati e vincolati dalle direttive del suo capo, o meglio, del capo della setta della Libra: Naavke.
    A lui doveva molto, doveva semplicemente tutto. Era stato lui ad invitarla nel museo quella notte, riparandola da un freddo che, molto probabilmente, sarebbe stato capace di ucciderla. Diventare una barbona nel mese più freddo e nel territorio più rigido mai conosciuto, non era stata una scelta saggia ma; non avrebbe potuto fare altrimenti. Non aveva alcuna memoria da dove provenisse, da cosa avesse fatto, per quale assurda ragione si ritrovasse in quell'ambiente. La sua mente e il magazzino nel quale dovevano essere riposti gli scaffali e le scatole con all'interno i ricordi del suo trascorso, sembravano essere stati derubati e svuotati: ben prima che lei varcandone la soglia potesse accendervi la luce e curiosare in essi. Tuttavia, era stato sempre Naavke ad aiutarla anche in questo, esattamente come le aveva permesso di entrare a far parte della Setta della Libra. Poteva finalmente combattere e vendicarsi, indirettamente, portando la sua versione di giustizia direttamente a coloro che promuovevano determinati atteggiamenti inumani: trattando coloro che possedevano particolarità peculiari come cavie di laboratorio; come topini rinchiusi in gabbia, in attesa che la morte potesse giungere a prenderli. Sì, la morte si era dimostrata sempre un'attesa compagna, una speranza sempre vivida.
    Ora, Ellen, poteva farne a meno. No, era lei d'altro canto ad evocarla e scagliarla come un petardo, una bomba, nella vita di coloro che meritavano d'esserne avviluppati dal manto nero.
    Ellen, tentò di placare quel richiamo impellente. Non era luogo, non era momento e sicuramente non era neanche la persona più adatta. Era solo una ragazzina che non si rendeva conto del pericolo in cui stava per cacciarsi; sempre se, avesse continuato su quella rotta e direzione. Pur tuttavia, Ellen avrebbe potuto agire, liberamente, privandosi di qualsiasi colpevolezza se, quella ragazzina, avesse continuato a stringere quel qualcosa nella mano. Ellen non poté scorgere nitidamente cosa fosse ma, se fosse stata un'arma, tagliente, lacerante, gelida a contatto con la pelle ma affilata... Sì, sarebbe stata capace di disarmarla in poche mosse, ribaltando i ruoli. Avrebbe osservato il sangue schizzarle e uscirle dalla pelle, mentre quegli occhi enormi diventavano più grandi, sempre di più, perdendo tuttavia quella luce vitale - anche se alienata - che sfoggiavano proprio adesso.
    Visitatori? E tu che saresti? L'amministratrice di un cimitero abbandonato? Non mi importa che stai facendo qui ma non fare la stronza. Alla tua età dovrebbe anche essere passato il periodo: "Amo andare nei cimiteri e vestirmi dei neri per sembrare interessante."
    Quante parole, sembrava non conoscere mai fine. Non parve neppure determinata o intenzionata a prendere fiato, rischiando di soffocarsi liberamente e da sola. Soffocamento. Oh sì, anche quella poteva dimostrarsi una validissima tortura. Occorreva essere abili nell'attuarla però, giacché bastava calcolare pessimamente le tempistiche e tutto sarebbe sfumato via. Un autentico peccato. Dopotutto, la morte doveva rappresentare una liberazione e non una condanna. La vera sofferenza stava nell'indurre esseri rivoltanti e inutili, colpevoli, in una massa di singhiozzanti esseri.
    La custode, in realtà. Rispose Ellen, non smettendo di guardare negli occhi quella giovanissima. Il cimitero non è abbandonato. Dichiarò nuovamente, rendendo la sua voce e il suo timbro particolarmente laconico, sforzandosi quanto meno di farlo apparire priva di mutamento o innalzamenti così come inabissamenti. Hm? Mugugnò poco dopo, inarcando le sopracciglia scure esattamente come la sua chioma, le quali però, cozzavano totalmente con la sfumatura chiara delle sue iridi. Interessante? Chiese nuovamente, fingendo di non comprendere a cosa alludesse o forse, Ellen, realmente non intuì: chi poteva saperlo davvero? Non è mia intenzione rendermi interessante. Concluse dicendo, sbattendo un poco le palpebre, rendendo impenetrabile e distaccata la sua espressione facciale.

    Edited by LìäÐëBêäümônt - 10/1/2019, 17:05
     
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  7. woweya‚
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    Elle Hoffmann - 27 - psychopath
    Alzai il sopracciglio quando si presentò come la custode del cimitero, ero scettica e non è che mi fidassi molto di quello che stava dicendo.
    Perché mai una donna della sa età si doveva ridurre a fare un simile lavoro? E poi seriamente esistevano i custodi dei cimiteri? Non li avevo mai visti ne qui ne in nessun altro posto, sì, per me erano tutte cazzate, stava nascondendo qualcosa.
    Io non volevo fare a botte, non volevo causare nessun problema, non in quel giorno che avevo scelto come punto di partenza per un nuovo inizio, dovevo assolutamente evitare qualsiasi tipo di casino.
    Ignorai i miei dubbi sulla veridicità delle sue argomentazioni Beh allora dovresti tenerlo in ordine, il cancello quasi cade per terra Commentai scettica voltando per un attimo lo sguardo all'entrata del cimitero.
    Ma io non riuscivo a trattenermi, ho sempre avuto qualche problema con la mia bocca, sin da quando ero piccola la diplomazia non è mai stata il mio forte, durante le cene con i parenti mi capitava di fare domande decisamente fuori luogo, una volta chiesi ad un'amica di mamma se anche lei durante la notte faceva strani versi mentre sbatteva il letto contro il muro, ero piccola perdio! Era calato il gelo per qualche istante e poi erano tutti scoppiati a ridere, non oso immaginare quanto avessero torturato di domande mia mamma mentre io non c'ero dato che era ufficialmente single.
    Come appresi qualche anno dopo, mia mamma ebbe un breve flirt col vicino di casa sposato distruggendo il suo matrimonio, mi spiegai perché la figlia, Violet, non venisse più a giocare da me, era forse una delle poche bambine che sopportavo, praticamente non parlava mai, se non per ringraziare e salutare. Restavamo ore sedute sul pavimento a costruire intere città con i lego per poi distruggerle inventandoci chissà quali calamità naturali.
    Così tornai a guardare la ragazza Io non credo tu sia veramente la custode di questo posto, troppe cose non tornano Annuii è piuttosto decadente e se tu fossi chi dici di essere ti saresti almeno preoccupata di liberarti delle erbacce e delle piante rampicanti che infestano ogni angolo Alzai il sopracciglio Senza contare il fatto che non ti ho mai vista qua Infilai le mani in tasca ma senza il pensiero di usare quell'arma che nascondevo e sinceramente non mi sarebbe importato nulla ma hai deciso di stimolare la mia curiosità Feci una pausa Quindi, chi diavolo sei? F
    orse tutto quel tempo che avevo passato ad osservare le persone mi aveva insegnato a non credere ad una singola parola che usciva dalla loro bocca, per natura gli esseri umani hanno bisogno di mentire su qualsiasi cosa, hanno paura di rivelare al mondo la propria natura per paura di essere giudicati ed esclusi da quella giostra chiamata società.
    Non escludevo che la mia insistenza avrebbe portato la ragazza a qualche gesto scellerato, ma in cuor mio sapevo che non si sarebbe abbassata a tirarmi qualche cazzotto o ad insultarmi, non era il genere di ragazza che si lasciava andare a comportamenti da bar.
     
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    Ellen Tonje Hagen

    Nulla sembrò mutare l'espressione e neppure la postura di Ellen. Apparentemente imperturbabile, apparve inizialmente interessata - forse concentrata più del dovuto - ad ascoltare quel sviolinare di parole e di frasi: espresse da quella giovanissima donna.
    Come asserito e ribadito precedentemente, Ellen, non sapeva chi ella fosse. Qualche volta, aveva avuto occasione di posare su di lei lo sguardo, fugacemente, senza eccessivo e spasmodico interesse: incoraggiata dal fatto e unicamente dal momento. Entrambe, abitavano in quei pressi striminziti e decisamente poco distanti gli uni con gli altri. Ellen stessa, possedeva il suo appartamento decisamente antico e alquanto piccino, non lontano dalle mura del cimitero: luogo di lavoro giornaliero. Era proprio in questo ambiente che la donna, trascorreva buonissima parte delle ore del giorno, provvedendo quindi a curare il perimetro come meglio preferisse e considerasse opportuno. Determinate ristrutturazioni non le competevano, giacché quel luogo apparteneva unicamente al Comune di Besaid. Lei, aveva il dovere solo di custodirlo, evitando che qualche sciocco o qualche vandalo potesse arrecare danno alle lapidi lì costruite. Ve n'erano tantissime di antiche. Alcune avevano superato più secoli d'esistenza. Presumibilmente, neppure i lontani parenti dei deceduti e ospitati in quella zolla di terra esistevano ancora su questo mondo: chissà, forse erano deceduti tutti.
    Comunque sia, Ellen, non riusciva a comprendere dove quella giovane volesse andare a parare con quell'ammasso di pensieri; riflessioni a dire il vero, proferiti liberamente: come se ella stessa non avesse mai potuto udirli veramente. Cosa credesse, cosa pensasse, non le riguardava affatto. Beh allora dovresti tenerlo in ordine, il cancello quasi cade per terra. Io non credo tu sia veramente la custode di questo posto, troppe cose non tornano è piuttosto decadente e se tu fossi chi dici di essere ti saresti almeno preoccupata di liberarti delle erbacce e delle piante rampicanti che infestano ogni angolo. Senza contare il fatto che non ti ho mai vista qua e sinceramente non mi sarebbe importato nulla ma hai deciso di stimolare la mia curiosità. Tante domande, tanti dettagli secondo la ragazza estremamente acuti di mente, non dimostravano assolutamente niente. Non possedevano abbastanza prove, o semplicemente una qualche attinenza abbastanza interessante o pressante; da poter effettivamente congiungere ad una qualche conclusione rivoluzionaria.
    Ellen, aveva avuto modo di rapportarsi con gente di questo genere. A suo dire? Eccessivamente curiosi e sicuri di poterla manipolare o semplicemente invogliare nel mostrare alcuni lati di se stessa; ingannandola e circuendola come avrebbero potuto fare con dei bambini; burlandosi della loro ingenuità dando in cambio - di una collaborazione o di un dire segretissimo - una caramella gustosa e appetitosa. Quella ragazza, di cui ignorava qualsiasi aspetto - tra cui anche il nome - non poteva credere davvero possibile un colloquio di tal senso. Non poteva certamente sperare che qualcosa di straordinario potesse avere luogo. Doveva essere semplicemente un'alienata, una personalità masticata e successivamente sputata dlala società: la quale, nulla aveva di meglio da fare che aprire bocca esplicando un insieme di sciocchezze inutili e del tutto irrilevanti.
    Per qualche secondo Ellen si estraniò da tutto. Quel vociare, così simile ad una nenia stridente, la stava annoiando terribilmente. Immaginò diversamente, di poterla plasmare come lei era abituata a fare specialmente nei confronti di coloro che; si dimostravano esserle sgraditi. Qualunque cosa avesse stretto in quella mano, nascosta, appartenente alla ragazza poteva essere usato con destrezza dalle dita allenate e abili di Ellen. Fantasticò una lama estremamente affilata e sottile. Immaginò di poterne tracciare la carne della pelle tesa del collo giovanile e femminile, recidendola ad ogni avanzo di centimetro. Si entusiasmò, nello scorgere - ipoteticamente - il sangue grondarle dalla ferita completamente aperta: cascante quel liquido scarlatto come un fiotto esagitato di un ruscello selvatico. Se solo avesse potuto, Ellen, avrebbe provveduto nel lapparsi con godimento il labbro inferiore. Pur tuttavia, sapeva, che determinati stimoli non le erano permessi. Doveva sempre contenersi e castrarsi, persino quando, talvolta, doveva adempiere ad alcune missioni inerenti e svolte a nome della Setta. Un autentico peccato. A volte rifletteva e giungeva al punto di considerare castrante tanta moderazione. Una parte di Ellen avrebbe voluto e desiderato spasmodicamente liberarsi completamente; dare totalmente sfogo e vita a quelle inclinazioni tutt'altro che salutari e umanamente concepibili - o semplicemente accettabili dalla società - senza rimorsi e senza precauzioni. Un'autentica e assoluta libertà. Pur tuttavia, aveva promesso e mai avrebbe messo in discussione qualsiasi comando le sarebbe stato rivolto da colui che tanto sinceramente e profondamente stimava. Quindi, chi diavolo sei? Fece appena in tempo nell'ascoltare questa ultimissima domanda. Lo sguardo momentaneamente distante di Ellen ritornò fisso sul viso della giovane ragazza.
    Sei libera di pensare qualunque cosa tu voglia. Iniziò dicendo la donna dalla chioma corvina, sfoggiandone quella moda così vintage e decisamente fuori dall'arco temporale dell'odierno. Ogni cosa in lei, effettivamente, sembrava essere ripescato dal secolo appena trascorso: ancora così vivo il suo ricordo. Il cimitero è chiuso. Concluse dicendo, inclinando il capo verso la spalla.

    Ciao! Scusami se ci ho messo tanto a rispondere ma ero molto indecisa su cosa scrivere. :gentleman: Purtroppo devo ancora familiarizzare per bene col personaggio xD
     
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  9. woweya‚
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    Elle Hoffmann - 27 - psychopath
    Non ero mai stata una chiacchierona e nemmeno una troppa taciturna, ho sempre parlato il giusto e decisamente male, tanti interventi nei momenti più opportuni con parole fuori luogo eppure in quell'occasione mi sembrava di essere io a tenere la cerimonia, ero io quella che si esponeva e si interessava alla situazione mentre la donna se ne stava sulle sue e se lei fosse stata davvero la custode avrebbe dovuto occuparsi in maniera differente dei suoi clienti.
    Gli onori di casa sono importanti ma lei si comportava come una non così soddisfatta della propria mansione, in realtà sospettavo che quella fosse tutta una copertura per qualcosa di più grande di un cimitero, a volte i traffici più bassi della società li abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni ma non ce ne rendiamo conto perché troppo distratti e impegnati a giustificare qualsiasi comportamento degli altri. Io però non ragionavo come le persone normali, ero mentalmente instabile e clinicamente matta e questo mi dava la possibilità di vedere le cose da un altro punto di vista che a volte è un bene ma ha tanti lati negativi come l'elevata possibilità di ficcare il naso in questioni che non ti riguardano finendo in guai che avresti voluto evitare.
    Questo fu quello che successe quel giorno, io ero uscita con le migliori intenzioni ma la mia curiosità e la mia determinazione al non essere presa in giro aveva prevalso sulla mia voglia di rivalsa.
    Avessi atteso alla fermata del bus probabilmente ora sarei stata già in città a nascondermi dagli occhi della gente e forse questo era successo in un universo alternativo, dicono esistano questo genere di cose, forse in uno di questi sono una ricca donna di successo circondata da serve che mi preparano il pranzo, mi lavano e mi vestono.

    Successe poco prima della sua ultima frase, il suo invito a levarmi dalle scatole facendomi notare che il cimitero fosse chiuso, avevo avuto un abbassamento di pressione e l'udito mi era calato rendendo tutto il mondo così ovattato. Quella sensazione mi era familiare, sapevo di averla già provata ma non ricordavo quando ma ci misi poco a scoprirne l'origine.
    Abbassai la testa ignorando la ragazza per un istante No, no, no mormorai con non so quale tono di voce e non so nemmeno in che lingua e se lo dissi veramente, era tutto confuso.
    Alzai nuovamente la testa e la rividi, mia madre morta al posto della ragazza, continuava a ripetere Il cimitero è chiuso, lo continuava a ripetere all'infinito, lei era l'imperfezione del mio cervello, il bug che non ero riuscita a risolvere e che non avevo nemmeno capito come riprodurre, era come il Blue Screen of Death, quello dei pc quando si spengono all'improvviso, ma mentre su un computer la conseguenza è la possibile perdita di un lavoro, su di me l'effetto era diverso.
    Mi tornarono alla memoria i medici morti durante la mia permanenza in ospedale, era lì che avevo provato la stessa sensazione, gli stessi sintomi e ora io avevo perso nuovamente il controllo di me stessa, mia madre era solamente una conseguenza del mio stress psichico, si era precipitata per darmi motivo di trasformare la mia malattia in morte e rovinarmi la vita.
    Avevo afferrato il coltello e lo avevo tirato fuori dalla tasca agitando la lama per colpire mia madre, volevo farla stare zitta, volevo cacciarla ma davanti a me non c'era mia madre, c'era la ragazza.
    Furono i trenta secondi più angoscianti della mia intera esistenza e quando terminò, circa trenta secondi dopo, lanciai via il coltello e scoppiai in una crisi isterica, iniziai a piangere, non guardai nemmeno la ragazza, non sapevo se l'avessi colpita, non volevo scoprire di aver ucciso un'altra persona così portai le mani davanti al volto e mi girai e barcollando mi allontanai, quasi caddi per terra, mi girava la testa e percorsi forse cinquanta metri aggrappandomi alle lapidi alla mia destra prima di lasciarmi scivolare contro la parete della cinta che circondava il cimitero, mi rannicchiai lì con la testa tra le gambe tenute insieme dalle braccia.
    Non ero preoccupata per lei, ero preoccupata per me.

    Forse avrei dovuto essere un po' più accorta, forse avrei dovuto scappare perché, se i miei timori sulla falsità della ragazza fossero stati veritieri, si sarebbe vendicata in qualche modo, forse mia avrebbe uccisa e seppellita lì, nessuno sarebbe venuto a chiedere spiegazioni, forse le avrebbero fatto addirittura una statua, l'avrebbero chiamata "Dio" in quanto sarebbe stata colei che aveva sconfitto il Demonio.
    Un braccio mi cadde e dal nervosismo la mano si mise a grattare il terreno riempendo le unghie di terra. Non volevo, non volevo, non era mia intenzione continuavo a ripetermi in testa cercando di convincermi che non era stata colpa mia ma di mia madre.
    Se del mio trascorso non avevo mai rimpianto nulla non potevo dire la stessa cosa di quell'atto, la ragazza non aveva mosso un dito contro di me, non aveva rappresentato una minaccia, era stata solo poco ospitale ma non meno di quanto lo erano state tante altre persone.


    Non preoccuparti tesoro, anche io devo prendere familiarità col mio pg c:


    Edited by woweya‚ - 20/1/2019, 22:23
     
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    Ellen Tonje Hagen

    Tutto avvenne velocemente, frettolosamente, confusamente. Il tempo di reazione fu misero, appena palpabile e intuibile. Era successo qualcosa in quell'arco di tempo; in quei brevissimi secondi che trascorsero dalla replica di Ellen alla ragazza - la quale aveva scorto già in qualche sporadica occasione, ma della quale ignorava ogni cosa - e le azioni concitate della stessa.
    Per un brevissimo istante quella giovane donna, parve ascoltare e conseguentemente metabolizzare quanto proferito da Ellen. I suoi occhi si soffermarono sul volto della donna più adulta e la scrutarono. Parvero poco predisposti ad accettare quanto era stato detto e proferito, come se, percepisse ciò che diversamente venne tenuto nascosto e celato. Ellen non riuscì a comprendere immediatamente se, quell'insistenza della ragazza potesse essere dipesa dalla sua eccessiva curiosità; dal suo essere - o apparire per di più - impertinente ed impicciona, o contrariamente fosse scaturito da qualcosa di più primordiale e specifico. Dopotutto, tutti gli abitanti di Besaid si ritrovavano in possesso di un segreto, un mistero che tuttavia, restava abilmente visionato e sottoposto sotto la visione di chiunque. Ed era anche per questo motivo che, molti, decidevano d'abbandonare la città: non potendo accettarsi e tollerarsi sotto quel punto di vista. Altri, contrariamente ambivano usufruirlo, utilizzandolo all'occasione, quando il momento risultava essere più opportuno al fine di conquistarsi qualcosa: qualunque cosa ambissero, desiderassero o si fossero prefissati nella loro scaletta di ambizioni.
    Ellen stessa non era estranea a questo genere di comportamento assecondante. La sua particolarità era importante, era tagliante, poteva - anzi la era - divenire estremamente pericolosa; specialmente se in possesso di personalità e di temperamenti incredibilmente distruttivi. La donna, non sapeva neanche lei cosa fosse e dove inserirsi in quell'insieme, suddiviso tra buoni e cattivi. In un certo qual modo, era consapevole d'essere divenuta quella che era per ciò che fu costretta a vivere ed essere sottoposta. D'altro canto, era convinta che l'oscurità albergasse da lei da moltissimo tempo. Troppo. Le sciagure e le sventure affrontate e con le quali fu costretta a farne i conti; accentuarono o semplicemente liberarono quell'altro aspetto di lei: il quale probabilmente, mai avrebbe avuto un'evoluzione tanto rilevante.
    Quel diniego, proferito così spasmodicamente e convulsamente dalla ragazza dalla lunga chioma scura, indussero i sensi di Ellen ad acuirsi. Aveva esperienza alle spalle. Non era una sprovveduta. Aveva avuto modo e occasioni per tastare e migliorare le sue competenze. Le sue stesse abilità. Le aveva aumentate d'intensità e di capacità. Ciò nonostante, la rivoluzione brusca di quella giovane, seppe ugualmente come coglierla leggermente alla sprovvista. Aveva ipotizzato tutto: non quello.
    La giovane si scagliò contro di lei. Ora i suoi occhi sembravano perduti in qualche lontana visione. Stava forse rivivendo un evento passato? Impugnò quel coltello, quell'oggetto affilato di cui Ellen era abile nel maneggiarlo all'occorrenza. Era il suo strumento preferito per infliggere dolore fisico; senza tuttavia sfruttare la sua particolarità. Era bella, sensazionale, conturbante la sensazione che sapeva donarle quella lama, specialmente se intenta ad infossarsi nell'epidermide e nella carne di qualcuno. Inoltre, c'era qualcosa di altamente sensuale e seducente, nello scorgere il zampillo del sangue emergere e sporcarne la pelle: chiara o scura che fosse.
    Ellen, riuscì ad evitare quel contatto: quell'essere ferita e penetrata dalla lama. Si mosse, esattamente come avrebbe fatto in qualsiasi missione. Miracolosamente, i palmi e le dita furono celati dai guanti. Ciò le permise di non acquisire la particolarità della ragazza, mediante l'assorbimento tattile. Il coltello ricadde sul suolo sottostante loro. Roteò finanche su se stesso, talmente fu forzuto quel breve contatto, quell'aggredirsi vicendevolmente: sia pure, motivato e scaturito da due intenzioni distinte e separate: diverse. Non poteva esserci nulla di più pericoloso se non risvegliare i sensi sadici di Ellen. Queste erano i momenti in cui, le sue fantasie, spasmodicamente le sbatacchiavano nel petto; esortandola affinché venissero compiute veramente, raggiungendo quindi una forma più materiale e meno astratta: evanescente perdendo quindi quella leggerezza impalpabile tanto simile ad un sonno pronto a sbiadire dalla mente obnubilata dalla stanchezza. Quello tuttavia non era il momento né il luogo. Non poteva farlo. La luce del giorno rischiarava qualsiasi cosa. Inoltre, si ritrovava nel cimitero e per quanto pochi ambissero varcare quella soglia - del cancello ferroso - da vivi - essendo tuttavia costretti nel farlo da morti - dunque; chiunque avrebbe potuto vederla. Non poteva permetterselo né fare in modo che accadesse e succedesse. Non poteva essere egoista, mettendo a rischio la Setta.
    Respirò profondamente, schioccando la lingua sul palato e successivamente questa andò ad inumidirle il labbro inferiore; carnoso ma non eccessivamente. Altrettanto lenta si accovacciò, recuperando il coltello situato non lungi dai suoi piedi. Con lo sguardo, con la coda dell'occhio, vide la ragazza. Era scappata ma neanche troppo. Sembrò afflosciarsi come una foglia costretta eccessivamente nell'essere attraversata da una pioggia consistente: violenta e battente. Dovresti prestare cautela a giocare con questi oggettini. Disse Ellen, una volta che fu prossima alla ragazza. La notò soperchiata dall'angoscia, da un moto emotivo desolante e asfissiante. Vide finanche il palmo, appoggiato sul terreno mentre le unghie affondavano nella terra, sporcandosi e recuperando inevitabilmente granelli di polvere ed erbaccia sottile. Infine, con un movimento fluido del polso - il quale roteò - porse l'oggetto tagliente alla legittima proprietaria. Ellen ne strinse abilmente la lama senza neppure lacerarsi pelle e tessuto - dei guanti - porgendo all'altra il manico sicuro e imbottito.
     
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  11. woweya‚
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    Piegata nella mia oscurità che volevo scacciare ma questo richiedeva un grande sforzo che non mi consentiva di concentrarmi su quello che mi accadeva intorno, in questi momenti ero vulnerabile, come quei supereroi che impiegano tutte le loro forze per l'arma finale e poi si accasciano al suolo sperando di aver neutralizzato il nemico.
    Nel mio caso però il mio nemico, se così si poteva definire, era ancora vivo e vegeto ed era di fronte a me per restituirmi il coltello che avevo usato poco prima nel tentativo di colpirlo.
    Sollevai il capo e osservai la donna rimanendo in silenzio, presi il coltello, lo richiusi e lo infilai in tasca, fui colta da un sentimento quasi d'affetto per quel gesto che in fin dei conti non avevo nemmeno compreso, perché ridarmi quell'oggetto? Ci pensai un po' su e arrivai alla conclusione di prima, stava nascondendo qualcosa, lei era decisamente troppo strana per essere una semplice custode, decisi di non andare oltre con l'interrogatorio, era il mio modo per ringraziarla.
    Frugai nella borsa con una mano fino ad estrarre un barattolo arancione quasi trasparente con il tappo bianco, lo svitai e presi due pillole che mandai giù senza pensarci su troppo.
    Non prendevo quel farmaco da più di un anno, mi aiutava a stare tranquilla, l'unico effetto collaterale era che mi rendeva un'altra persona, una che non conoscevo ma era quello che stavo cercando di fare quindi perché non provare a fare come le persone normali? Misi via le mie medicine e mi tirai su, con la mano mi ripulii dalla terra che si era attaccata al vestito, guardai le mie unghie sporche e lasciai ricadere il braccio sul mio fianco.
    Qualunque cosa tu faccia qui dentro Distolsi lo sguardo da lei Va bene, non mi voglio impicciare abbassai lo sguardo E scusami per prima, non ero in me
    Mi sentivo in pace con me stessa, un po' perché quell'attacco aveva rilasciato tutto lo stress che avevo accumulato e un po' perché le medicine iniziavano a fare effetto Se posso fare qualcosa per sdebitarmi non farti problemi Annuii sapendo che la mia offerta sarebbe caduta senza alcuna risposta, una donna come lei non avrebbe mai accettato aiuti da me, forse non li avrebbe accettati da nessuno.
    La sua figura mi schiacciava, io che per anni mi ero ritrovata ad incutere paura a chiunque senza volerlo ora mi ritrovavo davanti una persona che non aveva assolutamente timore, era una sensazione nuova alla quale non ero abituata e la cosa non è che mi piacesse particolarmente.
    Era così che si comportavano gli esseri umani normali? Quelli che vivevano in città? Se avessero imparato a non scappare alla mia vista io mi sarei ritrovata a disagio come lo ero in quel momento? Per un attimo mi dimenticai che lei non era normale, lei era molto più simile a me di quanto pensassi.
    Allungai la mano verso di lei Elle, avevo deciso di avere un approccio diverso con lei, per quanto fosse ostile qualcosa dentro di me mi diceva che sarebbe stata una bella conoscenza, dovevo imparare a socializzare, a prendere l'iniziativa invece di aspettare che fossero sempre gli altri a rivolgermi la parola.
    Presi nuovamente il coltello e glielo porsi Non lo voglio, tienilo te o buttalo se non ti serve, io avevo appena imparato l'arte del regalo ed era un altro piccolo gesto per liberarmi di quella parte di me che tanto odiavo in certi momenti.
    Mi sarei lasciata andare anche a qualche gesto più eclatante come un abbraccio ma dubitavo che la mia interlocutrice avrebbe apprezzato, non mi sembrava il genere di persona che amasse il contatto fisico.

     
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10 replies since 30/12/2018, 15:19   247 views
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