the ultimate untold story

Xavier & Lyra

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    Sudore freddo, tachicardia, nausea, formicolii preoccupanti. O c'era di mezzo un arresto cardiaco o era in preda ad una crisi di panico. In entrambi i casi, si sentiva prossimo alla tomba. Distese il braccio sinistro in alto, stiracchiò le dita e lo spinse indietro in un movimento che quasi gli dislocò la spalla. Ouch. Gli faceva male da prima? Ora non capiva se il dolore al braccio fosse dovuto al movimento appena fatto o ad uno dei più noti sintomi dell'infarto imminente. L'aveva vista. Era alla Tv. C'era davvero? Seduto sulla tavola abbassata del gabinetto, srotolò con mani tremanti della carta igienica. Voleva passarsela sulla fronte imperlata di sudore ma la vita si confermò infame e il rotolo, fuoriuscito dal suo gancio, cadde a terra per iniziare quel cammino di Santiago che l'avrebbe portato in terre lontane, fuori dai confini del cunicolo nel quale era stato piazzato ancora in fasce. Xavier cercò di riacciuffarlo prima che fosse...Troppo tardi, il rotolo era sgattaiolato già sotto la porta. Mentre guardava la striscia bianca inumidirsi sul pavimento di chissà quale sostanza, l'uomo pensò che doveva essersela immaginata. Possibilissimo, non sarebbe stata la prima volta. Come quando era andato in giro dicendo di aver visto un Dorsorugoso di Norvegia aggirarsi sui tetti della scuola elementare. Nessuno gli aveva creduto, nessuno crede mai ai bambini. La porta del bagno che aveva scelto come cassa mortuaria si era aperta e richiusa, un paio di scarpe vagavano sul pavimento. Senza che Xavier potesse vederne il resto del corpo, si ritrovò a immaginarseli soli al mondo quei piedi senza padrone. Lo sbattere di una porta fu talmente deciso da risvegliare i sensi assopiti di Xavier, riportandolo alla realtà. O almeno a una parvenza di essa tale da spingerlo in piedi e poi fuori dal gabinetto, di fronte ad un piccolo specchio dagli angoli scrostati che incoronava uno stretto lavandino sbilenco. Si osservò riflesso, il viso tutto occhiaie e segni del cuscino con cui aveva cercato di soffocarsi durante la notte. La conversazione con Jude lo aveva destabilizzato. Non era sicuro di cosa si aspettasse, se fosse andato alla stazione della polizia con la speranza che l'amico lo mandasse a casa con una fraterna pacca sulla spalla. Si era sbagliato, era forse pazzo? Non si trattava della donna che stava cercando. No, per quanto le somigliasse, non era lei. Invece niente manate sulla schiena, niente sorrisi accondiscendenti. Jude aveva stretto le labbra e Xavier aveva capito. La notizia fu talmente sensazionale da lasciarlo sotto shock, per questo si era rintanato nel bagno della caserma. Era lì per riflettere e cercare di non vomitare su qualche poliziotto ben piazzato. Tendeva a somatizzare tutto, dal giradito all'indice sinistro all'aver portato in vita la protagonista dei suoi racconti.
    Non era mai successo prima, e una parte di lui ancora non lo credeva possibile. Un conto erano piccoli oggetti tratti dai libri, al massimo fantasmi di personaggi ai quali si era affezionato e che svanivano nel giro di qualche istante. Questa... Lei parlava, e se ne era andata chissà dove camminando sui suoi piedi. Trovarla, ecco cosa doveva fare. Era il poi che lo spaventava a morte. Come mosso da una forza inarrestabile, Xavier si mise a correre. Corse fuori dal bagno finendo praticamente in braccio a un uomo dalla faccia cattiva, biascicò delle scuse sconnesse e riprese a correre; corse per i corridoi grigi della stazione di polizia e contro le sue porte; spingere o tiare? Odiava prendere decisioni ma c'erano in gioco un sacco di cose quel giorno, doveva concentrarsi. Spinse quando la risposta giusta era tirare. Tirò, uscì fuori e venne subito investito dall'aria gelida che sferzava di neve i tetti delle case di Besaid. Non si sarebbe mai abituato a quel clima da denuncia agli enti comunali terrestri, spesso si ritrovava a immergersi nei ricordi di lunghi bagni sulla costa della California. Ma non c'era tempo per quello! Jude gli aveva suggerito di cercare al centro d'accoglienza recentemente aperto in città, dove senza tetto e persone in difficoltà potevano trovare rifugio per qualche notte. All'interno della tasca del cappotto, le dita di Xavier si richiusero sulle chiavi dell'auto che subito fuori gli sfuggirono dalle mani. Le raccolse nella neve premendo il pulsante dell'apertura automatica, la nuca che girava freneticamente da destra a sinistra. Era distratto, Xavier, dimenticava sempre dove la parcheggiava e non aveva ancora memorizzato bene la sua stessa auto. A sua discolpa? L'aveva comprata qualche settimana prima da un rivenditore sull'intestatale. Dei fari arancioni lampeggiarono, uno squillo sonoro lo avvertiva che l'aveva trovata. Si diresse verso di lei nella neve ormai abbastanza alta da farlo affondare leggermente, rivoli ghiacciati si insinuavano ai lati delle scarpe lucide. Erano di seconda mano, proprio come la macchina. Ci si infilò in fretta e furia lasciando la valigetta sul sedile posteriore e sbagliando una, due, tre volte prima di riuscire a centrare la chiave nella toppa. Mise in moto e partì slittando sulla neve. Per fortuna le strade erano ancora abbastanza pulite.

    Avanzava piano, Xavier, la testa incassata nelle spalle e il collo teso in avanti a scrutare fuori dai finestrini. Con quel tempaccio erano poche le persone abbastanza coraggiose da avventurarsi fuori di casa, non sarebbe stato troppo difficile individuarla. Peccato per la neve che ora cadeva fitta e rendeva smussati i contorni delle cose, come in un sogno. Era proprio in un sogno-incubo che gli sembrava di avanzare, a passo di lumaca, lo sguardo all'erta e il cuore nelle orecchie. Temeva per lei, che non aveva un posto dove andare e nessuno a cui rivolgersi. Cercò di rimandare alla mente cosa indossasse l'ultima volta che aveva scritto di lei ma non ci riuscì. Le uniche immagini erano orribili, d'odio e tristezza, proprio come si sentiva lui ora che il padre era morto. I nostri padri sono morti. Specificò come a ricordare a sé stesso del male che le aveva inflitto nel disperato tentativo di sfogarsi e sentirsi meno solo. Ma se suo padre era morto per cause naturali, Xavier non aveva reso le cose facili per lei, che aveva dovuto sporcarsi le mani del... Frenò bruscamente, Xavier, la testa che impazzita cercava la migliore angolazione da cui osservare una figura sulla panchina. Era piccola, quasi minuta, la neve che le cadeva addosso aveva formato dei piccoli strati sulle spalle e sulla nuca che Xavier, nell'immaginò ormai umida, quasi avvertì la stessa sensazione. Non doveva essersi mossa da tempo e sarebbe potuta passare benissimo inosservata, aspettando d'essere completamente ricoperta di neve per trasformarsi in un cumulo umano. L'uomo si affrettò a accostare, trovando poi a piedi l'ingresso del parco. In quella distesa innevata i bordi della ragazza svettavano per contrasto,. Nero su bianco, come se fosse ancora su carta. Somigliava a una foglia caduta dal ramo più alto. Gli era di spalle, ma era sua, Xavier avrebbe riconosciuto quella sagoma tra mille, tante erano state le volte che ne aveva disegnato i contorni. Più avanzava, più veniva meno la sicurezza d'essersi abbigliato. Era lei. Doveva essere lei. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto dopo, come si sarebbe giustificato. L'unica cosa che voleva in quel momento era poterla guardare in viso. Per tutta la vita l'aveva accarezzata con il pensiero e sulla carta, ora aveva bisogno di sapere che non sarebbe svanita sotto il suo tocco. Voleva sentire i loro corpi che si sfiorano.
    Era ormai a pochi centimetri dalla panchina, allungò un braccio e le dita si adagiarono inquiete sulla sua spalla. Mel...? Un filo di voce talmente basso che Xavier non si udì nemmeno, il pompare del suo cuore faceva di gran lunga più rumore. A proposito de Il giovane Holden hanno detto "Un tale miracolo narrativo deve ancora ripetersi. La creazione di un essere umano con carta, inchiostro, stampa e immaginazione". Xavier non era J.D. Saliger ma era testimone di un rarissimo miracolo. Come potrà dirvi ogni scrittore, nella condizione più felice e più fortunata le parole non sgorgano da voi ma attraverso voi. Lei gli si era presentata da sola, lui aveva solo avuto la fortuna di poterla descrivere.
     
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    Lyra Melodie Mayfair | 29 anni | Scudo

    Camminava per quelle strade senza avere una meta precisa. C'era qualcosa di diverso in quel terreno che era solita calpestare, in quelle vie che aveva da sempre, conosciuto fin troppo bene. Lei era nata e cresciuta nella ridente cittadina di Besaid, aveva costruito lì le sue radici, salvo poi doverla abbandonare quando aveva iniziato a lavorare professionalmente come musicista - e soprattutto cantante - ma era lì che tornava, quando ne aveva la possibilità. Proprio come aveva fatto quel giorno con sua madre, Lya era tornata a casa, in quell'appartamento che aveva comprato con i primi risparmi che era riuscita a mettere via grazie al lavoro del disco e della tournée.
    Camminava e si osservava intorno, non ricordava quel negozio di panettiere all'angolo, dal quale fuoriusciva un aroma meraviglioso e quella statua simbolica all'inizio del parco principale della città, doveva essere nuova. Stava percorrendo le vie che dal distretto di polizia, portavano a casa sua senza rendersi conto che in quel relativamente breve periodo in cui lei era mancata per svolgere il suo lavoro, non potevano esserci stati tutti quei cambiamenti. Eppure, non poteva credere diversamente, lei era nata e cresciuta lì e le strade, erano proprio quelle che percorreva da bambina quando dalla roulotte lungo il fiume, doveva recarsi verso la scuola pubblica piuttosto che, quelle che la portavano nella zona dei gitani (o circensi) che lei amava tanto andare a spiare da piccina. Avevano qualcosa di diverso, ma erano sempre le strade di casa sua.
    Non c'era quasi nessuno in giro, al distretto l'avevano messa in guardia rispetto alla tormenta di neve che sarebbe arrivata di lì a poche ore. Faceva freddo e fortunatamente le avevano fatto dono di una coperta grigia, per scaldarsi. Voleva tornare solamente a casa e, nonostante le avessero detto che casa sua non esisteva, che non c'era nessun appartamento intestato a suo nome, che non c'era stato nessun omicidio in quella casa e nessuna persona scomparsa nella città, Lyra non poteva crederci perchè ricordava ancora la sensazione del sangue sulle sue mani. Aveva picchiato con forza, quel posacenere sulla testa di suo padre fino a questo non aveva perso conoscenza crollandole con tutto il suo peso addosso. La sua maglia candida era stata sporcata di sangue e le sue dita, avevano ancora dei segni di quel rosso purpureo sotto le unghie. Eppure le avevano detto che quel rosso non apparteneva al sangue di una persona o di un animale, bensì all'inchiostro che viene usato per scrivere sulle pagine bianche di un libro. Stava impazzendo?.
    Persa nei suoi pensieri era arrivata davanti a quella casa che, era proprio come se la ricordava. La facciata gialla zafferano e le finestre, così come le persiane, di un bianco candido a contrasto con il giallo più scuro. Lei aveva comprato l'appartamento al terzo piano, senza ascensore, quello che risultava essere il più economico ed adatto anche alla sua richiesta: due camera, un cucinotto con sala pranzo limitrofa ed un salotto ben illuminato, oltre al bagnetto di servizio e a quello ufficiale dove poteva trovare tutto quanto necessitavano. Xavier le aveva sempre associato il giallo nei suoi scritti, come colore. Il colore che simboleggia la luce, l'energia mentale ma anche fisica, il colore caldo dell'allegria e dell'ottimismo, ma anche della saggezza. Le aveva regalato quella casa che, fin da bambino ricordava bene perchè era il suo punto di riferimento per arrivare a casa dei suoi nonni, quando poteva permettersi di andare a trovarli per un weekend lungo, nei mesi più caldi. Avanzò di qualche passo fino ad arrivare al campanello dove sapeva, aver messo il suo nome e cognome. L'aveva comprato lei stessa nella mesticheria vicino al fiume, ed aveva fatto incidere sopra il suo nome Lyra Mayfair eppure, su quei campanelli non risultava esserci niente. Li osservò sfiorandoli con le sue dita uno ad uno, niente era come un fantasma, proprio come avevano detto al distretto. Dlin - Dlon! non potè fare a meno di suonare quel campanello che ricordava essere il suo Chi è? una voce rispose poco dopo Si.. mh.. cercavo Lyra Mayfair o il Signor Aleksey silenzio per pochi istanti e poi una voce scocciata rispose che lì non c'erano nessuna Lyra o Aleksey. Ripeté quel gesto per ogni campanello vicino a quella porta, sempre con lo stesso risultato non esistevano.

    Sconsolata e stanca da tutti quegli avvenimenti, Lyra decise di recarsi in quel posto dove usava andare sempre anche da piccina, quando suo padre era fuori di sè e la situazione in casa diventava insostenibile, il parco limitrofo al centro città, dove talvolta artisti di strada si esibivano e dove lei, aveva imparato ad amare la musica ancor prima di farlo a scuola con mezzi più tecnici. Voleva riposare un pò, prima di riprendere la sua ricerca, ma dove poteva andare? Dove poteva stare se non aveva più una casa? Si sdraiò sulla panchina che per qualche ora avrebbe potuto darle sollievo, allora chiuse gli occhi, dormendo fino a quando il freddo non la sopraffò, risvegliandola dalle tenebre dei suoi incubi che le stavano facendo rivivere quel suo ultimo gesto disperato. Era un assassina, aveva ucciso suo padre.
    Faceva freddo, così freddo che le era quasi venuto impossibile muoversi. La coperta che le avevano concesso al distretto di polizia era comunque troppo leggera per quella tormenta e la neve, l'aveva ormai inzuppata fino a renderla un oggetto più sconveniente, che conveniente. Il freddo le stava entrando nelle ossa e le sue labbra avevano preso un colore violaceo poco sano, così come la sua pelle che sembrava quasi marmorea. Tremava, ma le andava bene così, perchè o stava vivendo all'interno di un incubo, oppure non valeva la pena vivere. Se tutta quella situazione era reale, lei aveva ucciso suo padre con le sue stesse mani e quindi, era diventata un assassina e in quanto tale, non meritava di vivere. Voleva lasciarsi andare, farsi anestetizzare da quel freddo fino a non sentire più il dolore nel suo cuore e fino a non esistere più. Mancava poco, sentiva il suo respiro farsi sempre più affaticato e la sua mente, essere sempre più incapace di pensare, facendola sembrare meno in conflitto con sè stessa, più in pace.
    Mel..? quella voce, quelle parole. Erano reali? Era la sua testa che, ancora una volta voleva prendersi gioco di lei? Conosceva quel tono di voce caldo e leggermente roco, indeciso di dare voce ai suoi pensieri. Era Maverick. Voleva rispondergli, voleva voltarsi verso di lui per dirgli che si, era lei e che quindi esisteva davvero ma non le fù possibile girarsi, non le fù possibile muoversi e tanto meno il suo corpo così come la sua testa furono capaci di reagire. Fù solo quando lui si avvicinò a lei, abbassandosi all'altezza della panchina, che Melodie ebbe la forza di soffiare un flebile Sei. Tu? prima di svenire inerme su quella panchina che per delle ore era stata la sua casa.

    Edited by charmolypi - 6/1/2019, 11:08
     
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    Se qualcuno gli avesse detto che prima o poi si sarebbe ritrovato in quella situazione Xavier avrebbe riso nervosamente e detto qualcosa del tipo: "Ah ah ah! Una donzella svenuta fra le braccia?! Si, come no! Nel duemilamai." Per questo ora si ritrovava paralizzato, con il sudore freddo che colava a rivolo nel colletto della giacca e poi giù, in mezzo alle scapole. Avrebbe dovuto prendere più seriamente i discorsi mentali che di tanto in tanto si accendevano nella mente, ipotesi di scenari che non si erano mai realizzati. Fino a quel momento. Se solo gli avesse dato ascolto, forse in quel momento avrebbe evitato di starsene impalato senza sapere cosa fare. A differenza delle sue fantasie, Melodie non gli era svenuta addosso ma sulla panchina, e l'uomo non era neanche riuscito ad allungare le braccia per ammorbidire la caduta. Non era pronto, aveva paura, e non era bravo a improvvisare. No, quella era una delle tante doti di cui madre natura aveva dimenticato di fornirlo alla nascita. Tra le altre c'erano il carisma, l'audacia, la sicurezza e...Scosse fortemente la testa e tornò con i piedi per terra prima che uno dei due morisse assiderato. Con movimenti impacciati, attento il più possibile a non toccare parti compromettenti, fallendo e arrossendo in mezzo al freddo nordico che gli sferzava la faccia, Xavier riuscì a prendere Melodie fra le braccia. Per una frazione di secondo si sentì morire. Improvvisamente aveva caldo, si sentiva sciogliere, liquefarsi, andare in fumo a contatto con le basse temperature che invece li circondavano. La sua mente non accettava ancora completamente cosa stava succedendo. Ogni passo in cui affondava nella neve sembrava nato da un sogno, uno di quelli a occhi aperti in cui spesso inciampava nelle sue giornate. Se quello era un sogno, si trattava del più lungo e realistico che avesse mai avuto. Quando infatti giunse all'auto, Xavier era esausto e sudato, le gambe gli tremavano e il cuore stava per abbandonarlo. Prese nota mentale di doversi iscrivere in palestra, o almeno allenare il fiato con un po' di corsa mattutina. Aprire la portiera fu un'altra impresa titanica. Non voleva lasciarla cadere - non voleva lasciarla e basta - e con un po' di imprecazioni a denti stretti alla fine riuscì a sistemarla sul sedile posteriore. In uno sprazzo di cavalleria e a dispetto delle condizioni climatiche si tolse la giacca e la adagiò sul corpicino inerme, prima di chiudere la portiera e salire al posto di guida. Il rombo del motore non riuscì a coprire quello del suo respiro in iper ventilazione.

    Sedeva in bagno, a pochi metri dalla vasca nella quale Melodie giaceva. Aveva trascinato la poltrona dal minuscolo soggiorno al bagno che, vai a capire cosa era saltato in testa agli architetti, era invece più grande dell'intero appartamento. La scelta dell'inconsueta location rispondeva a necessità e obblighi impossibili da ignorare per uno come Xavier. Era bagnata fradicia e metterla nel letto in quello stato non sarebbe stata una scelta intelligente, non tanto per le lenzuola di cui non gli importava un fico secco, ma piuttosto per il freddo che, restandole addosso e sul materasso, avrebbe solamente peggiorato la situazione. Avrebbe dunque dovuto spogliarla di quegli indumenti appesantiti dall'acqua e forse una persona normale non ci avrebbe pensato due volte, ma non Xavier. Xavier erano due ore che rifletteva su quell'ipotesi, torturandosi le pellicine delle dita. Non poteva proprio metterle le mani addosso, proprio a lei e proprio mentre era priva di sensi. Era una questione di morale, di senso d'onore, di rispetto e... di panico. Con chiunque si sarebbe sentito a disagio, a maggior ragione se si trattava di lei. Non era così che si era immaginato il loro primo incontro.
    Nella testa in mayday mayday dell'uomo, si era allora fatta strada un'idea interessante. I film horror gli avevano dato la brutta fama di luogo creepy in cui tagliuzzare cadaveri e scioglierli nell'ammoniaca, ma la vasca da bagno era in realtà un'opzione pratica e del tutto sensata. Con un cuscino per la testa e parecchie coperte di lana, l'uomo l'aveva sistemata lì dentro.
    Rimase seduto senza osare toccarla. Non si era mosso, ad un certo punto doveva essersi dimenticato di respirare perché il petto si era contratto in uno spasmo doloroso e aveva continuato a far male per un po'. Il piede destro si era addormentato e Xavier aveva iniziato a muoverlo debolmente e senza troppa convinzione, neanche l'odioso formicolio riusciva a disturbare i suoi pensieri. L'aveva osservata da vicino senza però avere il coraggio di sfiorarla. Ma era indubbiamente lì, vera come potevano esserlo le mani tremanolanti di Xavier che non la smettevano di stuzzicarsi a vicenda, nervose. Melodie era lì nella sua stanza da letto, nel suo letto, ma la cosa più sorprendente di tutte era che fosse vera. Non era mai riuscito a trasportare un essere umano dalla carta al suo mondo, non importava quante volte ci avesse provato. Il fatto è che si sentiva solo, era una sensazione che provava da sempre. Il suono più assordante che puoi incontrare è quello della solitudine. Il rumore della porta che si chiude alle tue spalle lasciando fuori una lunga giornata di lavoro e non avere nessuno da salutare, i tuoi vestiti sistemati per occupare lo spazio doppio che hai a disposizione e quella parte di letto che sembra sempre troppo enorme e fredda. Non era mai riuscito a farsi troppi amici, e persino da sposato quel vuoto non si era mai riempito davvero. In ognuno di noi esiste una solitudine che nessuno può comprendere e nessuno può colmare. Una solitudine che non ha nome e, spesso, neanche origine. È quella in grado di fermare il tempo, le risate degli amici, la stretta di un abbraccio. È quella che dimora in un sospiro inatteso, in uno sguardo verso il cielo, in un suono che tiene in ostaggio il silenzio. Esiste una solitudine che sa nascondersi nelle cose più belle, nei luoghi comuni e in quelli in cui non siamo mai stati, nelle prime luci del mattino e nelle ultime della sera, nell’attesa di un treno in stazione. E non importa da quale parte del finestrino ti troverai. Non importa se sarai tu a restare o ad andare via. Lei sarà lì, sempre. Nel disincanto di un pensiero, tra tutte le storie che iniziano e finiscono. Lì. Senza alcun desiderio di essere spiegata. Senza alcuna voglia di essere capita. É che Xavier si sentiva completo solamente quando scriveva, quando le lettere si susseguivano l'una dopo l'altra a disegnare un mondo che, sapeva, lo avrebbe accettato. Era felice, per carità, quando riusciva a stare bene con qualcuno di reale, ma era successo così poche volte nella sua vita da poterle contare sulle dita di una sola mano. In terapia si era stabilito come Xavier non avesse avuto una vera e propria adolescenza, che aveva saltato a piè pari in con tutto ciò che comportava. La scoperta di un'identità personale, le prime esperienze, la droga, i party. Si poteva dire che l'uomo avesse vissuto la vita principalmente attraverso le storie del padre e, poi, quelle che inventava. Non che non avesse conquistato certi traguardi importanti. Si era spostato, aveva comprato una macchina, aveva divorziato e si era persino trasferito da solo dall'altra parte del mondo. In un certo senso però, anche quell'ultimo grande gesto era stato per il padre. Voleva seguire le sue orme, capire cosa lo avesse affascinato tanto di quella terra fredda e, in quel modo, trovare qualcosa di quell'uomo che non credeva davvero di conoscere. Questo fino a qualche giorno prima, quando il padre era morto. Da lì Xavier aveva perso completamente la propria bussola. Era rimasto solo e non sapeva proprio cosa farci con sé stesso. Per questo, in preda al dolore e alla rabbia, aveva scritto quell'ultimo, insensato gesto, cercando poi di farla arrivare da lui. Si vergognava ad ammetterlo, ma anche durante il matrimonio una parte di lui aveva sempre creduto che Lyra potesse essere l'unica donna per lui. Ma Lyra non esisteva e non era mai riuscito a plasmarla davvero. Fino a quel momento.
    Improvvisamente qualcosa nell'equilibrio della stanza cambiò. Il movimento appena accennato di Melodie, accompagnato da un soffice sospiro, scatenò una reazione esagerata in Xavier che saltò in piedi, fece un passo in direzione della vasca e cadde per terra. La gamba addormentata non l'aveva sorretto. Appoggiandosi al bordo di ceramica, Xavier si tirò immediatamente sù, zoppicante, imbarazzato ma intero. - Ehm. Ciao. - Fece tanto di gesto ampio con la mano, augurandosi che gli cadesse come punizione. Si era domandato se sapesse davvero chi fosse. A giudicare dalle due sillabe che gli aveva rivolto, Lyra si ricordava di lui, il che lo rese stupidamente felice. Si schiarì la voce, indeciso come al solito su come comportarsi. "Due ore immobile a fissarla e potevi almeno pensare a il dopo." Si maledisse interiormente, sorridendo però fuori, verso la ragazza che stava riprendendo sempre più conoscenza. La ragazza aveva fatto una smorfia ma Xavier non era sicuro se fosse per via del suolo duro sulla quale era stata adagiata o per qualche altro male. - Come ti senti? Aspetta, ti do un bicchiere d'acqua. - Disse subito mentre si dirigeva verso il lavandino e riempiva il bicchiere preso prima dalla cucina. Si accucciò allora di fianco alla vasca, aiutandola con la mano dietro la nuca a ingoiare piccoli sorsi. Non riusciva a staccarle gli occhi nocciola di dosso, pensando a quanto fosse identica alle varie riproduzioni che di lei aveva fatto nei suoi storyboard nel corso degli anni. Le forme e i contorni erano gli stessi, ma Xavier si stava rendendo conto che nessun colore - pastello, acquerello, matita e tutto il resto, avrebbe mai reso giustizia a quelli che gli si presentavano davanti agli occhi. I capelli, che in quel periodo della sua vita portava scuri, erano lunghi con qualche ciuffo appiccicato sulla fronte; gli occhi chiari dell'esatta forma che aveva disegnato e le labbra, piene e rosee come nessuna tinta artificiale avrebbe mai potuto avvicinarsi. - Oh ehm sì, sei nella mia vasca da bagno. I tuoi vestiti sono tutti bagnati, avrei potuto spogliarti ma non volevo. Non perché mi faccia schifo, voglio dire, non in quel senso. Eri svenuta e non mi sembra il caso. Sei nella vasca così puoi farti una doccia o un bagno caldo, come vuoi. Non sono un serial killer. - Aveva parlato quasi senza respirare e decise di alzarsi per poggiare il bicchiere prima di fare qualche altra pessima figura. Le voltò le spalle e prese un respiro profondo, chiudendo un attimo gli occhi per ripetersi interiormente: "ce la puoi fare, ce la puoi fare." Poi si voltò nuovamente e sbatté le mani l'una contro l'altra, stringendosele forte mentre tornava a sorridere. - Molto bene...! Lì ci sono degli asciugamani. - Indicò con la testa un mobile poco lontano. - Io sono fuori, se ti serve una mano. - In che modo le sarebbe potuta servire una mano non lo sapeva neanche lui. - Questa casa è minuscola, quindi se ti serve qualcosa sussurra e sarò da te. - Doveva uscire da quella stanza. Ora. - Okay. Vado. Ciao. - Si ritirò, tirandosi dietro la porta e poggiandosi con la schiena contro di essa, la testa verso l'alto. "Sei un idiota, Mav.", si complimentò con sé stesso dandosi addirittura una pacca sulla spalla da solo. Si staccò dalla porta e aprì il frigorifero, scoprendolo quasi deserto. "Fantastique!" Lo richiuse con uno sbuffo, le mani che andavano a incastrarsi fra i capelli arruffati. Cosa avrebbe fatto dopo? Dopo il bagno, dopo lo spuntino, dopo? Prese del pane in cassetta e una marmellata ancora da aprire. Una cosa per volta, altrimenti il cervello andava in cortocircuito. Avrebbe optato per qualcosa di leggero e sapeva che le piaceva la composta. L'aveva scritto lui.
     
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    Lyra Melodie Mayfair | 29 anni | Scudo

    Nel totale blackout della sua mente, Lyra si era ritrovata proiettata in attimi del suo passato, come se fosse stata riportata indietro nel tempo, da una macchina speciale.

    PARTE I - IN & OUT
    Era domenica e, come ogni domenica mattina, Lyra poteva permettersi di fare una bella doccia calda. Le piaceva fare la doccia, stare sotto l'acqua corrente e cantare le canzoni che favoriva, mentre il sapone creava una schiuma bianca che ricopriva il suo corpicino nudo, disegnando con questa delle immagini sul proprio corpo che diventava una tela per il sapone bianco: una stella, una cuoricino, una paperella. Quel rito così normale per molti altri bambini che frequentavano la sua classe, era per lei un evento della settimana, dato che gli altri giorni doveva imparare a farsi bastare una tinozza, piena di acqua tiepida con cui lavarsi i piedi, il sedere e le mani. Era rilassante e spesso, Lyra finiva per stare sotto quell'acqua più del dovuto, tanto che sua madre doveva apparire in bagno e portarla fuori dalla doccia, pregandola di cambiarsi altrimenti avrebbero fatto tardi per il pranzo. Così, Lyra usciva dal bagno per andare a prendere nel suo armadio - se tale poteva essere definito - il vestito più bello che poteva vantare. In realtà, era un abito di bassissima qualità, comprato a qualche mercatino in saldo eppure, lei lo adorava. Era del suo colore preferito, di un giallo ocra intenso ed aveva piccole parti rifinite in san gallo. La domenica, anzichè le solite scarpe da ginnastica, poteva indossare delle ballerine nere di seconda mano, che la facevano sentire una principessa. Poi, prendendo per mano sua madre, raggiungevano a piedi Aleksey nel fast food più centrale di Besaid, dove per poche lire avrebbero potuto vantare di aver mangiato fuori. Era buonissimo, per Lyra, come le patatine fritte in quell'olio cotto e ricotto ed era felice, perchè poteva vantare di essere andata a mangiare fuori con i suoi genitori.
    PARTE II - BREATH
    Respirava Lyra, quell'ultimo respiro pesante dopo aver finito quell'ultima canzone che aveva esibito sul palco. Era il momento che più temeva, quello in cui rimaneva in bilico sul filo trasparente tirato dal pubblico che c'era quella sera in sala. Avrebbero applaudito alla sua performance, oppure avrebbero continuato a mangiare, chiacchierare e bere tra di loro, senza complimentarsi con lei? Era importante quel momento, perchè Lyra scopriva il suo guadagno e scopriva anche, se l'avrebbero richiamata o meno ad esibirsi. Il silenzio assordante che separava quel sospiro tra le ultime note suonate di una canzone e la reazione del pubblico, la lasciavano in bilico e soltanto dopo l'applauso del pubblico, Lyra poteva riprendere di nuovo a respirare. Poi, come ogni volta che finiva di lavorare, Lyra si dirigeva verso il bancone del bar dove sperava di trovare qualcuno pronto ad offrirgli qualcosa da bere, se i proprietari del locale non avevano la decenza di farlo. Aveva solo sedici anni all'epoca e Lyra, non poteva bere alcolici ma ormai, era già abituata a farlo ed era anche piuttosto abituata a reggere l'alcol. Quella sera, c'era stato un uomo sui trentacinque che si era perfino alzato, per applaudirla e lei, lo aveva notato. In attesa del suo mojito, Lyra venne avvicinata da quell'uomo che decise di offrirle il secondo cocktail, poi il terzo ancora. Parlarono fino alla chiusura del locale e soltanto alla fine della serata, quando si sarebbero dovuti salutare, lui le chiese il suo nome. Melodie, rispose lei e lì, nacque quel nome d'arte che dipinse una persone strettamente legata a Lyra ma che, non aveva molto a che fare con le sue vere origini. Quella sera il trentacinquenne le chiese di andare via con lui e lei, accettò con piacere dando inizio a quella danza di corpi e di letti che si sarebbe susseguita da lì, agli anni successivi.
    PARTE III - THE SHOW MUST GO ON
    Era la sua prima vera esibizione dal vivo, davanti ad un pubblico, in un palazzetto, dove avrebbe potuto contare canzoni sue o dove, la gente aveva pagato un biglietto per poterla vedere ed ascoltare. Le piacevano le canzoni che avevano scritto per il suo album, le sentiva così vicine a lei che quasi, si chiedeva se non fossero state scritte da qualcuno che aveva potuta spiarla per tutti quegli anni, da quando era venuta in vita. Era così agitata che perfino le mani, che aveva sempre fredde, le sudavano e non riusciva a stare ferma un attimo, nonostante l'hair-stylist e la make up artist le chiedessero di farlo. Era vestita di lustrini e di una parrucca gialla sgargiante, il make-up era luccicante ed adatto a farla risplendere sotto la luce di riflettori. Si guardava i piedi, fasciati in quelle scarpe dal tacco molto alto, che era solita portare a causa della sua statura minuta ma che, aveva il terrore le avrebbero fatto fare una brutta figura facendola cadere al suolo, impacciata ed incapace di stare sul palco. Sentiva le urla ed il mormorare della gente fuori che, arrivata all'orario di inizio concerto scritto sul biglietto, aveva iniziato ad applaudire e fare il suo nome, creando una musica piacevole alle sue orecchie ma che al contempo, creava ulteriore tensione per le aspettative che questi avevano in lei. Era l'ora e Melodie, avrebbe dovuto varcare le tende per salire sul palco e dare inizio al suo show.

    ***


    La luce aveva iniziato a filtrare dalle sue palpebre, facendo si che si sentisse ancora viva. Aveva qualcosa addosso, poteva sentirne il calore nonostante, le facesse male il sedere e e tutta la schiena a causa della superficie dura sulla quale giaceva. Con fatica, Lyra aprì i suoi occhi che poterono constatare di trovarsi in un posto a lei sconosciuto. Un bagno, per la precisione e lei, era sdraiata in una vasca, avvolta in una coperta a quadri. Ehm. Ciao. Come ti senti? Aspetta, ti do un bicchiere d'acqua. una voce raggiunse le sue orecchie, facendola risvegliare da quello stato di trance che ancora la rendeva addormentata. Aveva sete e sentì di essere grata al suo salvatore per darle dell'acqua fresca grazie.. riuscì a dire a malapena, prima di riprendere a guardarsi intorno, cercando di ricordare perchè si trovasse lì e soprattutto, come ci fosse finita. Oh ehm sì, sei nella mia vasca da bagno. I tuoi vestiti sono tutti bagnati, avrei potuto spogliarti ma non volevo. Non perché mi faccia schifo, voglio dire, non in quel senso. Eri svenuta e non mi sembra il caso. Sei nella vasca così puoi farti una doccia o un bagno caldo, come vuoi. Non sono un serial killer. Sembrava averle letto nella mente, Maverick tanto che le spiegò cosa era successo Oh.. ti ringrazio disse appena, troppo stordita da tutta quella valanga di parole che erano uscite dalla bocca del suo interlocutore. Molto bene...! Lì ci sono degli asciugamani. disse l'uomo, indicando gli articoli poco lontano dalla doccia, prima di riprendere a parlare Io sono fuori, se ti serve una mano. Questa casa è minuscola, quindi se ti serve qualcosa sussurra e sarò da te. Okay. Vado. Ciao. Non fece neanche in tempo a ringraziarlo di nuovo, o a dirgli qualcosa che Maverick, prese e si catapultò fuori da quella stanza come se stesse per divampare un incendio. Sorrise appena, prendendo consapevolezza che ricordava quell'uomo in modo molto diverso nei suoi ricordi, dove era un tipo molto più sicuro e misterioso. Fù felice comunque di rimanere per qualche minuto da sola, giusto il tempo di riprendersi un attimo e fare un pò di chiarezza in quella testa che, di chiarezza ne aveva molta poca. Accese la doccia, godendosi il calore di quell'acqua che aveva tanto desiderato quando era più piccolina, accogliendo la stessa sensazione piacevole che poteva riscontrare all'epoca. Era bello, poter vantare un tetto sopra la propria testa ed era bello, profumare nuovamente di buono anche se quel bagnoschiuma, aveva il classico odore di un prodotto per uomini. Cercò di evitare di stare troppo tempo lì sotto ma, non poteva farne a meno, aveva bisogno di calore e di sensazione di casa.
    Indossato l'asciugamano come unico vestito che le rimaneva disponibile, Lyra si affacciò nella cucina-salotto dove potè trovare un Maverick intento a tirare fuori cibo dai pensili della cucina Volevo ringraziarti per avermi portata qui e per avermi dato la possibilità di fare una doccia.. esordì lei, cercando di attirare l'attenzione dell'uomo. Non si preoccupava troppo del suo look, Lyra aveva perso la sua pudicità molto tempo prima e non pensava che, comportarsi in determinati modi o piuttosto, presentarsi con determinati look poteva infastidire delle persone. Io.. io ti conosco, tu sei Maverick, vero? chiese lui, cercando una conferma a quell'unica certezza che dai "suoi sogni" ritrovava anche lì, in quel sottosopra dove si era ritrovata catapultata. Io sono Lyra ed avrei seriamente bisogno di una maglia da poter indossare.. finchè i miei vestiti non saranno di nuovo asciutti! ammise sorridendo, con i capelli ancora bagnati e quell'asciugamano troppo piccolo e troppo bagnato, per donarle un pò del calore di cui aveva bisogno.
    tesoro, penso di aver fatto un completo troiaio T__T
    tra sonno, stanchezza ed impossibilità di rileggere
    Abbi pietà di me
     
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    Aveva sempre avuto un sacco di tempo fra le mani, Xavier. Dalle torridi estati californiane passate sul portico cigolante davanti a un foglio di carta, alle lunghe ore davanti al portatile rinchiuso nello studio del suo piccolo appartamento di città davanti. Non era mai stato convinto di poter far ruotare la sua vita intorno alla sfera sociale, le sue abilità in materia mancavano in qualche modo sempre di efficacia nonostante gli sforzi compiuti, tra Mav e lo sport il disagio era sempre stato invalicabile e con la pesca e le auto non sapeva proprio cosa farci. Molto tempo e nessuna abilità con cui occuparlo; minuti e nessuno a cui parlare dei suoi pensieri. Così aveva iniziato a raccontarli al foglio di carta e a sé stesso, mettendosi a scrivere senza mai più smettere. Era cresciuto così, parlando attraverso scarabocchi e lettere nere su sfondo bianco, trovando in quello stratagemma l'unico modo per esprimersi. Così riusciva ad ammettere quelle parti di lui più difficili da accettare, le stesse che spesso si lascia sepolte dentro per paura di quali reazioni possano scatenare. A prima vista infatti il Maverick dei suoi racconti sembrava essere prua finzione, una figura enigmatica ricalcata sulle basi di un fantoccio il cui corrisponde nella realtà era pressoché inesistente. Sulla pagina web si descriveva come un eroe misterioso, serio e intrigante; in alcuni capitoli affrontava la sfera sessuale in modo schietto, crudo, scrivendo di desideri, tendenze e fantasie oscure. Quei due sembravano condividere il nome e nient'altro. E se invece ciò che Xavier scrivendo faceva non fosse altro che ammettere quella parte di lui che non riusciva a trovare sfogo nella realtà? Dar voce a quei recessi della sua persona che nella vita di tutti i giorni soffocava, ignorandoli con la goffaggine, la parlantina a sproloquio e le battute di sempre. Non sapeva come né perché, ma gli era difficili accettarsi come tutt'uno, rifuggendo l'altra parte come l'untore che volontariamente diffonde il morbo della peste spalmando in luoghi pubblici appositi unguenti venefici.
    E non creava forse anche gli altri personaggi con caratteristiche che, in un modo o nell'altro, gli appartenevano segretamente? E non era forse tramite le loro azioni avventate e al limite del decoro che Xavier sfogava l'inettitudine e codardia da cui sentiva di dipendere?
    Le personalità bianche e nere erano ben più che macchiette, sopratutto quella che fuoriuscì dal bagno di casa sua come se fosse la cosa più normale del mondo. In un perverso gioco del destino, Lyra era la personificazione vivente del concetto di personaggio tridimensionale tanto caro all'arco di trasformazione che ogni storia ben scritta deve avere. Ancora non si era abituato all'idea che fosse reale, figurarsi vedersela lì, 360 gradi di pelle e capelli bagnati e solamente un asciugamano intorno all'esile corpo. A quella vista il coltello gli sfuggì di mano e per un pelo non si tagliò via mezzo dito.«Figurati. Non potevo lasciarti lì a morire assiderata. Nessuno l'avrebbe fatto! Non io almeno...» Rispose riprendendo controllo del pezzo di pane che finì di spalmare con abbastanza marmellata da causare un attacco glicemico a chiunque. Se lei non era preoccupata per il suo look, dal canto suo Xavier le lanciava occhiate mal camuffate dal tentativo di apparire concentrato nel compito di imburrare un'altra fetta di pane. Io.. io ti conosco, tu sei Maverick, vero? Questa volta la lama del coltello gli tagliò leggermente la carne, spezzandola in due in una crepa superficiale che rigurgitò una sottile striscia di magma rosso. «Accidenti... Uhm no, non è niente.» Si affrettò a dire allungando il braccio "sano" verso di lei, come a trattenerla dal preoccuparsi troppo, mentre le labbra succhiavano via il sangue dall'indice. Si avvicinò al lavello e posizionò la mano sotto il getto d'acqua ghiacciato. Nessuno lo chiamava mai Maverick. Era Xavier per chiunque tranne che per lei, e questo rendeva la situazione più reale di quanto la sua mente riuscisse ancora a comprendere. Pensò a cosa dire, consapevole di quanto diverso apparisse dal Mav di cui le aveva fatto spesso sognare. «Maverick? Oh no, penso tu mi abbia confusa con qualcun altro. Ho una faccia comune, somiglio a tutti tranquilla! Mi chiamo Xavier.» Una parte di lui si era pentita sin dalle prime sillabe di quella bugia bianca. Asciugò le mani su un pezzo di carta, il cuore che non la smetteva di picchiare forte nel petto e nelle tempie, rendendogli la testa rumorosa. Mentiva spesso, Xavier, bugie innocue per rendere la sua vita più interessante. Doveva trattarsi di una specie di malattia perché non riusciva a farne a meno. Non voleva deludere nessuno, né tantomeno lei con le aspettative di un Maverick che non credeva di poter mantenere. Forse era meglio lasciarle credere che fosse qualcun altro. Probabilmente non avrebbe avuto lo stesso effetto su di lei che Maverick aveva, ma quella dolorosa privazione sarebbe stata meglio di scorgere la delusione in quegli occhi da cerbiatta. Con il cuore un po' più malconcio di qualche attimo fa, Xavier si schiarì la gola. «Maglia. Certo. Subito, aspetta qui.» Le disse mentre faceva il giro dell'isola della cucina. Aveva forse paura di vedersela sparire fra le dita? Passandole accanto ne avvertì il profumo, una fragranza che aveva provato innumerevoli volte a descrivere senza mai riuscirci davvero. Quando posava la testa sul cuscino, gli capitava di immaginarsi come sarebbe stato averla distesa di fianco a lui. Aveva sognato spesso un suo “vieni qua” mentre stendeva il braccio per farlo rannicchiare, seguire con l'indice i suoi lineamenti e respirare a fondo il suo odore. E ora era lì a espandersi dalla sua pelle tutt'intono, fino a toccarlo. Non sarebbe mai riuscito a trovare le parole giuste per quello. Si fiondò nella sua camera da letto e aprì vari cassetti, alla ricerca di un qualcosa di pulito, senza buchi o non troppo eccentrico che Lyra potesse indossare senza sentirsi un albero di natale. Alla fine l'unica che riuscì a trovare fu una felpa con lo stemma della Stanford, l'università californiana che aveva frequentato da giovane. La annusò per accertarsi che profumasse di bucato - e forse un po' di lui - prima di tornare nell'altra stanza e porgergliela. «É molto calda e ha anche il cappuccio. Sai, nel caso tu sia una di quelle persone con le orecchie perennemente fredde come le mie.» Le spiegò (perché aveva la mania di dover sempre giustificare ogni cosa?) pensando che le sarebbe calzata da vestito e chiedendosi se quelle gambe fossero soffici come apparivano. In realtà sapeva già che era proprio quel tipo di persona, e il fatto di averla scritta gli dava qualche marcia di vantaggio. Lasciò che si cambiasse in bagno, portando poi il piatto con le fette tostate alla marmellata sul tavolinetto di fronte al divano e alla poltrona. Si sedette. Allungò le gambe, poi le accavallò per decidersi infine a mantenerle davanti a sé in un angolo normale. Strofinò il palmo della mani sulle ginocchia, il piede destro che si muoveva nervosamente su e giù, giù e su. Dire quella bugia l'aveva già messo nei guai e non aveva pensato al passo successivo da compiere. «Wow.» Esclamò grattandosi il retro della nuca. «Jane e Leland sarebbero fiero di vedere il loro logo così! Sta decisamente meglio a te che a me.» Parlava decisamente troppo e troppo a sproposito. Però le aveva sorriso, un gesto dolce e caldo che sperava la facesse sentire meglio. Dopo averla invitata a sedersi le offrì quel misero pasto. «Marmellata di albicocche, la tua preferita.» si rese conto dell'errore troppo tardi e cercò di porvi rimedio con una risata nervosa. « Immagino ti piaccia. Voglio dire, non è forse la preferita di tutti?» Tamburellò con le dita sulle proprie ginocchia senza poter fare a meno di osservarla. Li conosceva bene i suoi movimenti, i suoi rumori, eppure era impensabile averli di fronte agli occhi. «Ehm... Se posso chiederlo...Cosa ti è successo? Cos'è l'ultima cosa che ti ricordi? » Non credeva che la ragazza sapesse cosa fosse o come fosse arrivata lì, ma voleva esserne certo. Era essenziale per capire cosa fare dopo. «E... Chi è Maverick?» Aveva il fiato sospeso. Era crudele da parte sua. Non avrebbe dovuto cedere, non avrebbe dovuto chiedere. Ma moriva dal desiderio di sapere se Lyra condividesse anche una minuscola parte di ciò che lui provava per lei.
     
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    Lyra Melodie Mayfair | 29 anni | Scudo
    Osservava con curiosità il ragazzo che aveva difronte chiedendosi se, finalmente aveva trovato qualcuno che poteva realmente aiutarla. Voleva capire perchè si trovava lì e perchè, nessuno sapeva chi fosse realmente o chi fossero, le persone che ricordava vicine a lei. Xavier, con la sua somiglia sorprendente a Maverick le aveva fatto tirare un sospiro di sollievo, facendole credere per qualche instante che non fosse diventata totalmente pazza.
    Non che il soggetto che avesse di fronte fosse del tutto con le rotelle a posto.. sembrava agitato, balbettava e rischiava di uccidersi con le sue stesse mani svariate volte in pochi nani secondi. Non riusciva a togliere gli occhi di dosso: il suo profilo, il suo fisico, tutto di lui le ricordava Maverick ma ogni gesto, ogni comportamento era lontano anni luce. Era sbadato e su di giri, inoltre non l'aveva mai realmente visto in volto Maverick e quindi, forse si stava sbaliando. «Maverick? Oh no, penso tu mi abbia confusa con qualcun altro. Ho una faccia comune, somiglio a tutti tranquilla! Mi chiamo Xavier.» Sul volto le si dipinse la delusione che l'aveva appena colpita, sentendo la risposta del ragazzo che le aveva appena confermato di non essere ancora arrivata a niente. Ah.. io.. speravo tu.. si rese conto di poter suonare come una pazza, ad andare oltre con quel discorso, raccontarle che sperava fosse una persona a lei conosciuta perchè, in quella città non conosceva realmente nessuno. Era triste Lyra, triste di dover cancellare tutti gli anni della vita vissuta, triste di dover riconoscere che forse, aveva subito un trauma mentale e che quindi, ricordava una realtà parallela che non era mai successa. Sentiva freddo adesso, vestita solo di quell'asciugamano bianco bagnato e troppo corto, per coprire il suo corpo minuto. Fù grata a Xavier di quella felpa calda, che le calzava esattamente come un vestitino - forse troppo corto - ma comunque copriva tutto ciò che aveva necessità di coprire.
    «É molto calda e ha anche il cappuccio. Sai, nel caso tu sia una di quelle persone con le orecchie perennemente fredde come le mie.» Sembrò giustificarsi, mentre la osservava con quell'abbigliamento, che era di sua proprietà. Ti ringrazio.. è perfetta ammise sorridendo, grata della gentilezza che le stava riservando senza alcun motivo apparente. Arrossì appena, quando Xavier le fece un complimento e Lyra, non era solita arrossire. Lei era abituata ai complimenti della gente, era abituata a farsi adulare perchè nel suo mondo, prima quello della povera che cercava di raccattare soldi dai ricchi, poi quella che doveva piacere alla gente per diventare popolare come cantante, Lyra si era sempre dovuta donare molto agli altri. Ed era brava nel farlo, era diventata esperta nel sedurre le persone, nel capire i loro punti deboli e lei, era un punto debole per Xavier, poteva vederlo da come i suoi occhi percorrevano ogni parte del suo corpo - soprattutto quando era nudo - ogni parte del suo volto, come se si stesse chiedendo se lei fosse davvero lì. Ed era strano, quello che sentiva verso di lui: era come se le inducesse uno stata di tranquillità, come se nonostante fosse un totale sconosciuto, lei potesse fidarsi di lui e questo, era molto strano e la imbarazzava, tanto quanto i commenti carini che lui faceva verso di lei. Si sentiva ancor più stupida, adesso.
    «Marmellata di albicocche, la tua preferita... Immagino ti piaccia. Voglio dire, non è forse la preferita di tutti?» sorrise ancora, avvicinandosi a Xavier ed al piatto di toast con marmellata che aveva preparato per loro. Oh bhe si.. balbettò appena, con lo stesso sorriso sempre spalmato in faccia, che la faceva sentire idiota ma che non riusciva a togliersi. E' decisamente la mia preferita.. e quella che riesce sempre ad essere decente, anche nei vecchi motel con le coperte che sanno di umido! confessò, prendendo posto sul divano affianco a lui. «Ehm... Se posso chiederlo...Cosa ti è successo? Cos'è l'ultima cosa che ti ricordi? E... Chi è Maverick?» Sapeva di dovergli delle risposte, seppur anche lei fosse totalmente confusa di quanto le era accaduto e quindi, per ricambiare la fiducia che lui le aveva donato, Lyra decise di essere del tutto sincera con lui. Io.. sono molto confusa.. credo.. bhè.. non sapeva da dove iniziare, voleva raccontargli tutto ma al contempo, non voleva spaventarlo e non voleva essere giudicata da lui, aveva bisogno di piacergli e non sapeva come parlargli per far si che non la cacciasse di casa. L'ultima cosa che ricordo, è di aver avuto una bruttissima colluttazione con mio padre.. lui è.. bhè, era un alcolista e mi ha quasi soffocata sospirò, cercando di riprendere fiato per raccontarle quelle ultime cose che riusciva a ricordarsi per staccarlo da me ho preso il primo oggetto a portata di mano e.. gliel'ho tirato in testa.. uccidendolo ammise, rendendosi conto di aver iniziato a tremare, ricordando quegli ultimi momenti vissuti con suo padre. Sentiva le guancie calde e gli occhi bruciare, era come se le lacrime prepotenti volessero sgorgare fuori ma lei, faceva di tutto per lasciarle dentro di sè. Poi mi sono svegliata, mi sono ritrovata nella foresta completamente ricorperta di rosso.. inchiostro mi hanno detto essere, dopo averlo analizzato alla polizia ma io.. quel rosso, quel rosso non era inchiostro.. io.. non continuò la frase, lasciò che Xavier ne intuisse il significato perchè già, aveva detto lui troppo, tutto ed era la prima persona, dopo il capo della polizia, a cui raccontava tutta la sua storia. Forse potrà sembrarti una follia ma io sono nata e cresciuta qui.. eppure tutto di questa città mi sembra nuovo, diverso.. mi è successo qualcosa e io non so, cosa ammise con un sospiro, sperando di non leggere la paura nei suoi confronti, negli occhi di Xavier. Non riusciva a guardarlo, teneva lo sguardo basso, sulle sue stesse mani che si muovevano appena alle sue parole, a quel suo racconto folle. Io non sono un assassina.. io, dovevo difendermi e.. non sono pazza pronunciò quelle parole sconfusionate, ricordandosi che le aveva chiesto anche un altra cosa Xavier, gli aveva chiesto chi era Maverick e forse, forse quella poteva essere una via d'uscita a quel discorso così folle. E, Maverick è una persona che mi ha sempre aiutata nei momenti di difficoltà.. non ho mai avuto modo di conoscerlo, o di ringraziarlo a dovere.. ma lui c'era sempre quando avevo bisogno di lui raccontà, dipingendosi nuovamente un sorriso tenero sul volto, che era prima scomparso per quel racconto brutto che aveva dovuto narrare. Tu.. gli somigli così tanto ammise a mezza voce, tornando finalmente a guardarlo negli occhi. Profondi occhi color nocciola.
     
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    C'era un'oscurità latente in lui di cui Xavier aveva timore. La rifuggiva, l'aveva sempre fatto, sin da quando da bambino ascoltando il respiro rantolante del padre pensava a come sarebbe stata la vita senza di lui. E rispondeva "migliore", prima di pentirsi e fare ammenda il giorno dopo, in ogni modo possibile. Il pensiero però rimaneva, un granello di sabbia così piccolo eppure tanto fastidioso incastonato fra i neuroni. Così come le fantasie che faceva, di cui non aveva mai parlato ad anima viva, e che riusciva veramente a sfogare solamente quando scriveva. Erano pensieri impuri, malati, sopratutto perché li matrimonio non li aveva fermati ma anzi, sembravano essersi accumulati proprio in quegli anni. Pensare a lei, sempre e solo a lei, contava come tradimento? Recarsi piacere al pensiero di un'altra, era da considerarsi adulterio? Non era sicuro se il fatto che l'altra fosse frutto della sua immaginazione fosse una scusante o, al contrario, rendesse la cosa ancora meno sana. Avrebbe voluto qualcuno con cui parlare, una persona con la quale essere sicuro di non venire deriso o abbadonato se solo avesse svelato i suoi più profondi segreti. Ma chi può promettere una cosa del genere? Chi, di umano, può giurare le proprie reazioni?
    Forse aveva bisogno di qualcosa che somigliasse in tutto e per tutto ad un essere umano senza però esserlo per davvero. Forse aveva la risposta proprio davanti agli occhi, forse tutto ciò di cui aveva bisogno era dire la verità alla figura avvolta nella sua maglietta, troppo grande per lei, e del cui profumo si stava impossessando. Sembrava umana in tutto e per tutto, Lyra, dai capelli bagnati che gocciolavano acqua alle gambe nude e pallide. Era sicuro di trovarle morbide, se solo avesse potuto toccarle, più reali al tatto di qualsiasi altre gambe avesse mai toccato. Ma era anche fantasia, un'idea complessa e elaborata da lui stesso creata. Fino a che punto era un suo prodotto, e da quando iniziava ad esistere davvero?
    Si rese conto di averla forse messa in imbarazzo con quel complimento, cosa curiosa perché lei non era solita arrossire. Maverick sapeva. Maverick sapeva sin troppe cose di lei, cose che non avrebbe dovuto al loro primo incontro.
    L'aveva creata lui così, di una forza che non vacilla sotto lo sguardo degli uomini ma anzi, vi si nutre;e anche fragile, di una fragilità non visibile a occhio nudo, come certe stelle troppo lontane da distinguere. E questa venne fuori nel momento in cui iniziò a parlere di suo padre mentre un nuovo brivido la scuoteva, questa volta d'orrore più che di freddo. Xavier si tormentò le mani per tutto il tempo di quella frammentata ricostruzione, mantenendo a stento il suo sguardo senza riuscire a fare a meno di sentirsi tremendamente in colpa. Il senso di colpa è una delle più brutte emozioni dello spettro umano, capace di annichilire i sensi e la mente in una spirale di lenta agonia. Come poteva dirle la verità?
    "per staccarlo da me ho preso il primo oggetto a portata di mano e.. gliel'ho tirato in testa.. uccidendolo" Le sue mani si fermarono di colpo, come se quell'ammissione di colpa avesse sorpreso anche loro. Così coraggiosa, così cristallina, Maverick non riuscì a reprimere un verso gutturale, una spece di lamento sommesso che sarebbe potuto sembrare di shock se non fosse stato tutto proteso verso il senso di colpa.
    Cosa aveva fatto a questa ragazza? Le aveva rovinato la vita, ecco cosa, perché da certe perdite non ci si riprende mai del tutto. E questo Xavier lo sapeva bene. Era vero o no che aveva sfogato il dolore per la perdita del proprio padre su di lei? Segmenti frammentati di quella notte gli adombrarono per un attimo la visuale. Vide sé stesso ubriaco, in sovimpressione a Lyra seduta di fianco a lui, cercare di mandare avanti un appuntamento con una ragazza, il suo rifiuto, e le lacrime che gocciolavano sulla tastiera quando si era messo a scrivere di lei. Aveva egoisticamente voluto farle provare lo stesso dolore che stava provando lui in quel momento, in mancanza di altri esseri umani che lo comprendessero. Non era giusto anzi, era stata un'azione meschina, ma di certo non avrebbe mai immaginato che Lyra avesse un giorno varcato la soglia di casa sua. L'aveva sempre passata liscia nei suoi racconti. Ora non più. In che senso "diverso"? Si morse l'interno guancia. Avrebbe dovuto starsene zitto ma nel contempo voleva capire quanto di questa storia Lyra sapeva o ricordava.
    Si era sempre ritenuto una frana nei rapporti umani. Per quanro lui le amasse, non sembrava piacere alle persone e di solito queste ultime evitavano ogni tipo di contatto con lui. Probabilmente era quell'umorismo difficile da cogliere, e la goffaggine con cui se ne andava in giro, ma in quel momento Xavier dimenticò per una volta tutte le sue paure, seguendo semplicemente ciò che l'istinto e il cuore gli dicevano di fare. Si fece più vicino mentre passava un braccio intorno a quelle esili spalle per stringere con delicatezza Lyra al suo fianco. Suona come autodifesa, però mi dispiace che tu debba essere passata per tutto ciò... Io comunque ti credo. Su tutto., fu la prima cosa che le disse. Come poteva non farlo? Forse non avrebbe trovato il coraggio di ammettere tutta la verità, ma voleva farle sapere che era dalla sua parte. Credimi, ce ne sono tante di follie in questa città. Ne vuoi sentire una? Nessuno sa il perché ma, una volta dentro i suoi confini, ognuno possiede una "particolarità" che prima non aveva. Le disse mentre ancora se la teneva contro, la mano che faceva su e giù lungo il suo braccio con una lentezza paralizzante. Non gli sembrava ancora vero di poterla toccare, quindi non voleva perdersi neanche un centimetro di quel piccolo appezzamento di cute che i suoi polpastrelli stavano esplorando. Il suo era un misero tentativo di farla sentire leggermente meglio, e di cercare di toglierle il ricordo del padre dalla testa almeno per qualche istante. Ti aiuterò a trovare il tuo "potere". Deglutì, il cuore sempre a mille. Ti aiuterò in ogni modo possibile, te lo prometto. Sentì che era arrivato il momento di lasciarla andare e così fece, scostandosi con un po' di imbarazzo nella posizione iniziale. Fu strano sentirla parlare di "Maverick" a quel modo. Strano ma bello, per quanto si sforzasse di ricordare la situazione in cui si trovava. Non avrebbe dovuto di certo sentirsi sollevato o lusingato, le stava mentendo e chissà per quanto lo avrebbe fatto. Senza contare che quel Maverick, per quanto lo desiderasse, non era lui ma solo una versione potenziata della sua persona. L'alter ego che avrebbe voluto essere e potuto essere se solo la vita fosse andata diversamente per lui. Oh caspita. Somigliare a quel tipo che descrivi suona proprio come un gran bel complimento, grazie. Biascicò distogliendo lo sguardo. Puoi restare qui fin quando ne avrai bisogno, e puoi farmi una lista di cose che ti servono così te le procuro. O possiamo andare insieme, come vuoi. Vuoi riposarti un po'? Ti lascio la mia stanza, puoi considerarla tua. Era tornato a tormentarsi le mani.

    ciao Giuy <3 Poi sentiamoci appena possibile su telegram così ci accordiamo sul da farsi, perché forse questa si può chiudere e aprire un'altra situazione da plottar tra noi *-*
     
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6 replies since 4/1/2019, 15:26   341 views
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