By the pricking of my thumbs, Something wicked this way comes

Nora & Elle

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    Camminava piano, mettendo sempre un passo dietro l’altro con una certa attenzione, come se fosse sempre sul punto di cadere e facesse una certa fatica nel mantenersi in piedi sulle sue stesse gambe. A Nora non era mai importato troppo della sua vita, lo dimostrava il suo aspetto costantemente stanco e sciupato, il risultato di anni e anni trascorsi a dormire sempre il meno possibile e nutrirsi in maniera del tutto inadeguata. Aveva sempre avuto una mente brillante e accesa, in grado di attivarsi in pochissimi secondi per trovare le soluzioni migliori ai problemi più disparati, ma ci metteva ancora meno ad accendersi per trascinarla dentro il caos che lei stessa si era creata. Cresciuta in una famiglia che si era sgretolata ancora prima della sua nascita, non aveva mai imparato davvero che cosa volesse dire sentirsi apprezzata, amata, sapere di avere qualcuno su cui poter sempre contare. Per tutto il tempo che avevano trascorso insieme sua madre le aveva sempre detto che lei non era altro che l’errore peggiore che avesse commesso nella sua vita e che per questo era certa che non sarebbe mai riuscita a combinare nulla di buono. Emily la odiava, con tutte le sue forze e non aveva mai smesso di ritenerla l’unica causa dell’addio di Patrick. Aveva sempre creduto che se Nora si fosse mostrata un po’ più socievole, più simile alle altre bambine, allora suo marito non avrebbe avuto bisogno di crearsi un’altra famiglia. Non poteva accettare di essere stata lei stessa la causa della fine del suo matrimonio. E la bambina aveva finito per crederci. Sentiva di non meritare molto, di non essere assolutamente in grado di tenere delle persone accanto a sé, così come tempo prima non era riuscita a fare con suo padre. Lo aveva osservato prendere la sua valigia e muoversi verso la porta della loro abitazione senza dire neanche una parola anche se dalle dimensioni del suo bagaglio aveva intuito che non sarebbe tornato molto presto. Aveva sempre allontanato tutti, senza stare neanche a pensarci, troppo poco abituata al dialogo per riuscire a portarne avanti uno a lungo senza l’aiuto di alcol o droghe. Con quegli ausili riusciva a lasciarsi andare, ad essere una tra le tante, a comportarsi come gli altri si sarebbero aspettati che facesse. Le persone erano sempre state il mistero più grande della sua vita. A lei non era mai bastato uno sguardo per comprendere che cosa gli altri pensassero, per farsi un’idea di che tipo di persona si trovasse davanti. Eppure, nonostante cercasse sempre di tenersi ben lontana da chiunque, la gente la affascinava ed era per questo che, nel suo tempo libero, trascorreva intere ore alla ricerca di notizie riguardanti qualcuno. Il più delle volte si fissava su dei target del tutto casuali, apriva il profilo di una persona su un social media e poi iniziava a scavare nella sua vita andando sempre più a fondo. Le notizie superficiali, quelle che tutti potevano reperire, non le bastavano, cercava le cartelle cliniche, le fedine penali, i conti in banca, andava sempre a cercare tutta la polvere nascosta sotto il tappeto. Era fermamente convinta che tutti quanti avessero qualcosa da nascondere e lei voleva essere pronta in caso un giorno le fosse servito avere qualcosa da utilizzare contro qualcuno. Tutti erano potenziali ostacoli, pericoli, tutti potevano essere un problema. Non si fidava quasi di nessuno, a parte di pochissime persone che si potevano contare sulle dita di una mano e a lei stava bene così.
    Varcò la soglia dell’Egon Pub, andando a posizionarsi su uno sgabello a caso vicino al bancone, senza prestare troppa attenzione a chi si trovava vicino a lei. La musica fluiva attorno a lei senza che quasi la percepisse, ma riusciva a sentire le occhiate fastidiose delle persone che si erano puntate su di lei appena era entrata. Non era vestita come gli abituali clienti del posto, non si era preoccupata di mettersi addosso qualcosa di carino, che potesse spingere la gente a parlare con lei. Soltanto il ragazzo dall’altro lato del bancone le sorrise, ormai abituato alla sua strana presenza. Erano bastate poche occasioni perché comprendesse le sue abitudini e imparasse a servirle sempre un cocktail diverso, più colorato e bizzarro della volta precedente. Per lei non faceva molta differenza quello che le serviva, l’importante era che contenesse una generosa dose di alcol. Con aria distratta e annoiata iniziò a guardarsi attorno, senza sapere neanche lei esattamente che cosa stesse cercando. Aveva incontrato molte persone in quel luogo, così come in tanti altri locali della città, ma era raro che riuscisse a ricordare tutti i dettagli delle sue serate dato che erano poche le volte che riusciva a tornare a casa senza che qualcuno dovesse riaccompagnarla. Posò un gomito sul bancone, con aria decisamente poco femminile, mentre continuava a muovere lo sguardo attorno a sé, per poi fermarsi su una figura in particolare. C’era una ragazza, seduta a pochi sgabelli di distanza dal suo, che non aveva mai avuto modo di incontrare prima di quel momento ma di cui credeva di sapere molte cose. Aveva letto molto online di questo famoso Demonio che si era trasferito in città e aveva letto alcuni tratti del libro che sua madre aveva scritto sul suo conto. Le era sembrato, per certi versi, di risentire le parole che Emily non faceva che ripeterle. Anche lei aveva sempre creduto di essere la vittima, di aver fatto ogni cosa possibile per impedire che sua figlia venisse fuori così sbagliata, ma purtroppo non c’era riuscita.
    Rimase a fissare Elle Hoffmann per diversi secondi, senza preoccuparsi di risultare scortese o indiscreta. Nora agiva spesso d’impulso, basandosi soltanto su quello che il suo cervello le suggeriva, senza preoccuparsi di quello che imponevano le convenzioni sociali. Chiunque avrebbe saputo che fissare uno sconosciuto era una cosa del tutto scortese, lei stessa detestava quando qualcuno lo faceva con lei, eppure lo aveva fatto comunque. Poi, attratta dal movimento del barman di fronte a lei riportò l’attenzione su di lui e sul drink che aveva appena depositata a qualche centimetro dal suo gomito. -Ecco a te. - le aveva detto velocemente, per poi spostarsi di un passo, immaginando che avrebbe avuto bisogno del solito tempo prima di rivolgergli anche soltanto un saluto. -Senti… - mormorò invece, a voce piuttosto bassa, allungando appena la mano per attirare l’attenzione del ragazzo. -Potresti portarle un Devil Hole? - chiese, inclinando appena il capo in direzione della ragazza seduta poco più in là.
     
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    Elle Hoffmann - 27 - psychopath
    Era il mio secondo giorno come persona assunta in prova nella città di Besaid, assunta con un contratto a tempo indeterminato da un'azienda chiamata società.
    Non sapevo dopo quanto tempo mi sarei potuta considerare a tutti gli effetti una cittadina con pari diritti, non credo bastassero i canonici sessanta giorni, ero più orientata sull'unità di misura degli anni.
    In primo luogo dovevo guadagnarmi il rispetto di quella gente, dovevo fare in modo che si fidassero di me e per fare questo era essenziale trovare un lavoro ma non dovevo fare il passo più lungo della gamba. Sebbene avrei preferito servire birre dietro un bancone, dovevo ammettere che il rischio di perdere la pazienza a causa della clientela era ben maggiore rispetto ad un lavoro dietro le quinte.
    Forse come lavapiatti sarei andata bene, ci pensai su per diversi minuti prima di realizzare che l'ambiente di lavoro sarebbe stata una cucina e lì ci sono i coltelli, un cocktail micidiale per la riuscita di un disastro, non dovevo fidarmi di me stessa. e della bravura con la quale avevo controllato i miei impulsi omicidi fino ad allora.
    Sarebbe stato meglio occuparsi di qualche magazzino in un supermercato, cose semplici e ripetitive, magari mettere la roba sugli scaffali, nulla di complicato ma che avrebbero dimostrato a chiunque che ci stavo provando a fare qualcosa di utile nella mia vita.
    Il lavoro mi avrebbe aperto le porte anche per un possibile appartamento che al momento non avevo ancora e non per una questione economica, li avevo i soldi per potermi permettere un affitto, il problema era che gli affittuari e le agenzie non volevano dare a me un posto in cui dormire, pensavano che ci avrei sgozzato capretti e fatto rituali satanici, poveri imbecilli.

    Mi ero sforzata di andare in un pub, uno di quelli abbastanza affollati ma non troppo di classe, non avrei mai e poi mai voluto far prendere un infarto alle vecchiette abbienti della società, non potevo giocarmi così la mia unica chance.
    Stavo seduta al bancone, non mi interessava particolarmente interagire con le persone, come primo passo mi sarebbe bastato rimanermene lì e provare a me stessa che potevo sopportare tutto quello, tutto quel bisbigliare, urlare ed essere molesti.
    A metà serata avevo speso i soldi solo per una birra ma non era l'unica cosa che avevo bevuto, mi erano stati offerti già un Long Island, uno shot di vodka e uno di Sambuca da parte di ragazzi che avevano visto in me solo un oggetto da portare sotto le coperte, mi ero sforzata di non rispondere male alle loro offerte e avevo fatto come fanno tutte le ragazze, bevi, sorridi e va avanti.
    Non ero particolarmente avvezza al consumo di alcolici, per questo il mio cervello si sentiva già decisamente alterato, ogni tanto il barista mi rivolgeva la parola, più che altro mi chiedeva se andasse tutto bene, era piuttosto strano per lui vedere una ragazza come me da sola al bancone senza la minima energia vitale di alzarsi nemmeno per fumarsi una sigaretta.
    Io rispondevo sempre che era tutto ok, ero più concentrata su ciò che passava nella mia testa piuttosto che sulla festa che si era creata in quel locale, mi risvegliai quando sentii un bicchiere sbattere sul bancone davanti a me Te lo offre la ragazza, ringraziarla sarebbe gentile Guardai il barista e feci una smorfia, un'altra delle mie, di quelle da ragazzina infantile che non vuole farsi comandare.
    Presi il bicchiere e lo osservai per un istante prima di spostare lo sguardo su chi me lo aveva offerto, le ragazze mi fanno sentire più a mio agio, sono normalmente più deboli rispetto ai maschi e tendenzialmente più accorte al modo di comportarsi, questo abbassa di parecchio le probabilità che una discussione finisca male, almeno con la sottoscritta.
    Mi spostai accanto a lei e la fissai per qualche secondo con la cannuccia tra le labbra. A cosa lo devo? Dissi indicando con l'indice il drink che intanto posavo con delicatezza sul bancone.
    Mi chinai verso di lei scrutandola, posai una mano sul suo mento e lo tirai verso l'alto, il mio sguardo era quello di quando si sta studiando qualcosa di nuovo Tu non hai la faccia da lesbica Commentai No no, tu hai la faccia da impicciona Ritrassi la mano la scelta di un cocktail chiamato Devil Hole non è stata delle più felici Ritornai con la schiena dritta, presi un altro sorso mentre continuavo a fissarla.
    Rimasi ferma senza spostare lo sguardo per trenta secondi prima di alzarmi e affiancarmi a lei, le cinsi la vita con un braccio e mi chinai con le labbra verso il suo orecchio Vieni fuori a fumare sussurrai I miei non erano mai inviti, forse tra persone normali lo sarebbero stati, ma con me no, io afferravo sempre le persone e le costringevo a seguirmi e lo stesso feci con lei, le presi il braccio e la trascinai dietro di me, non con violenza ma con decisione.
    Mi appoggiai al muro poco fuori dal locale in un punto in penombra, le lasciai il braccio e mi accesi una sigaretta Puoi rilassarti dissi distrattamente Non ho nessuna intenzione di farti del male cercai di rassicurarla, a mio modo
     
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    La società era un elemento complesso, a tratti incomprensibile per una come Nora che aveva sempre preferito passare il suo tempo da sola piuttosto che in compagnia. Le persone la incuriosivano ma, per qualche motivo, dopo qualche minuto iniziava a sentire il bisogno di isolarsi, di chiudersi nella tecnologia, di riportare la sua mente dentro un mondo in cui si sentiva decisamente più a suo agio. Non era brava con i primi incontri. Ci provava, qualche volta, ad attaccare bottone con qualcuno, ma sapeva che, per il 99% delle volte, tutto sarebbe andato velocemente a puttane. La sua pazienza aveva un limite molto sottile e non ci voleva molto per raggiungerlo. Eppure, nonostante tutto, nei giorni immediatamente prossimi alle sue visite nello studio della Dottoressa Lane, cercava comunque di lasciare spazio alla versione più istintiva di se stessa e non a quella troppo razionale, che si metteva sempre ad analizzare ogni parola di una battuta, non riuscendo quindi a trovarla divertente. Analizzava tutto continuamente, senza riuscire a capire mai davvero perché qualcuno la stessa guardando, che cosa volesse dire il tono della sua voce, se stesse scherzando o se fosse del tutto serio, era questo il suo problema. Stare in mezzo alle persone la metteva a disagio, ma la sua testardaggine la invitava a continuare a provarci, ancora e ancora, come se fosse stato un importante test da superare. Fu strano e inaspettato intravedere una figura di cui tanto aveva letto e sentito parlare, qualcuno che le persone comuni avrebbero definito famoso. Fu l’istinto quindi a guidarla nel compiere quella scelta che, normalmente, non avrebbe fatto. Le aveva mandato quel cocktail senza aspettarsi niente di particolare. Lei non era solita ringraziare chi le offriva qualcosa quindi, quando questa si avvicinò, accomodandosi sullo sgabello accanto al suo, Nora si limitò a guardarla per un momento, con la coda dell’occhio, come se l’avesse colta di sorpresa. Alle madri perfette. Povere vittime dei disturbi delle loro figlie. - rispose, in tono piuttosto neutrale, quando Elle le pose quella prima domanda, guardando dritta davanti a sè. Qualcuno sosteneva che parlare dei propri problemi con uno sconosciuto fosse più semplice perché di tendeva a pensare che questo non potesse in alcun modo giudicarti, ma Nora non riteneva Elle un’estranea. Sapeva abbastanza cose sul suo conto da potersi persino illudere di conoscerla da sempre. Si voltò verso la ragazza soltanto quando questa le afferrò il mento, costringendola a voltarsi nella sua direzione. Fu con un’espressione visibilmente scocciata che la guardò quindi, inarcando il sopracciglio con la faccia di chi stava cercando di fare il possibile per non esplodere in una serie di insulti a caso soltanto per un gesto come quello. Nora detestava il contatto fisico e dalla sua postura doveva essere piuttosto evidente. Il sopracciglio si sollevò ulteriormente quando quella affermò che credeva fosse più un’impicciona che una lesbica. -A dire il vero non ho particolari preferenze. - rispose, giusto per marcare il fatto che l’altra non la conoscesse affatto, sebbene cercasse di comprenderla attraverso i suoi gesti o le sue espressioni. Le etichette erano qualcosa di troppo scomodo da portarsi addosso ogni giorno e Nora le rifuggiva meglio che poteva.
    Era d’accordo sul fatto che la sua scelta per il cocktail non fosse troppo felice, ma non era stato questo a spingerla a farlo. -Eppure mi pare che tu sia comunque qui. - ribattè quindi, arricciando appena le labbra, mantenendo lo sguardo su di lei, ora finalmente più attenta. Per quale motivo lo aveva fatto quindi? Per una pura e semplice convenzione sociale? Non ebbe il tempo di chiederglielo poiché l’altra, dopo averle cinto la schiena con un braccio, la invitò in maniera piuttosto decisa a seguirla fuori a fumare. Con uno sbuffo abbastanza insoddisfatto si alzò, seguendola senza alcun trasporto. Non aveva ancora bevuto abbastanza per poter essere davvero felice all’idea di seguire qualcuno all’esterno. Una volta fuori, in un punto un po’ più tranquillo e decisamente meno frequentato, Elle lasciò andare il suo abbraccio, andando ad appoggiarsi contro un muro poco distante, per poi cercare di rassicurarla sulle sue buone intenzioni. Nora si lasciò andare ad un leggero verso divertito a quel punto, scuotendo appena il capo. -Il pensiero non mi aveva neanche sfiorato. - ammise quindi, prima di tirare fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca ed accendersene una a sua volta. Forse sbagliava a “fidarsi” di lei, ma la verità era che a Nora non era mai importato davvero della sua incolumità. La manica della sua giacca scese di qualche centimetro, mentre aspirava una prima boccata di fumo, lasciando intravedere alcuni dei segni che lei stessa si era lasciata quando aveva tentato, in più occasioni, di farla finita. Il mondo non era un posto adatto a lei. Emily glielo aveva ripetuto così tante volte in passato, quando non era altro che una bambina, da essere riuscita ad imprimere a fuoco quelle parole nella sua mente e convincerla che fosse davvero così.
    Mise la mano sinistra dentro la tasca dei suoi pantaloni mentre, silenziosamente, continuava a fumare. L’aria fresca della sera era piuttosto pungente, ma era comunque meglio del calore eccessivo che si respirava dentro il locale in cui erano state fino a pochi momenti prima. -Per quale motivo siamo qui? - chiese quindi, inclinando appena il capo e puntando il suo sguardo scuro su quello dell’altra. Era una delle cose che più strane che le fosse capitata e non riusciva davvero a darsi una spiegazione logica da sola. Poi, come se qualcuno avesse silenziosamente fatto scattare una molla nel suo cervello, e le avesse ricordato che esistevano le buone maniere e che qualche volte era il caso di provare ad utilizzarle, parlò di nuovo. -Ah, io sono Nora comunque. - si presentò brevemente, rendendosi conto che l’altra di certo non aveva fatto alcuna ricerca sul suo conto e che non poteva quindi sapere chi si trovasse davanti.
     
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    Elle Hoffmann - 27 - psychopath
    Rimasi in silenzio per svariato tempo anche dopo che la ragazza si presentò, non la conoscevo e questo non mi stupiva, non conoscevo nessun abitante di quella città.
    Dovetti cercare in qualsiasi armadio e cassetto del mio cervello per trovare quella cianfrusaglia di convenzioni sociali e anche se non sentivo nessun bisogno di presentarmi, dato che ero certa che mi conoscesse già, decisi di fare uno sforzo Elle mormorai.
    C'era troppa confusione dentro e avevo bisogno di una sigaretta scostai lo sguardo da lei uscire ignorandoti sarebbe stato poco gentile a detta del barista e magari al mio rientro non ti avrei più ritrovata Presi un lungo tiro da quella sigaretta, in realtà non mi piaceva affatto fumare, non sopportavo il gusto ne tantomeno l'odore addosso ai vestiti, lo facevo senza motivo convinta che quella droga legale mi avrebbe calmata ma non aveva nessun effetto rilassante sul mio corpo.
    Lo facevo solo quando ero in mezzo alle persone perché erano quelli i momenti più difficoltosi per me. Forse la sola convinzione che mi avrebbe aiutata era essa stessa un aiuto.
    Tutte stronzate, era così che definivo le mie teorie quando la mia mente era libera da qualsiasi stimolo esterno ma non riuscivo a farne a meno.
    Non temevo nemmeno per la mia salute, convinta che con tutti i farmaci che mi avevano fatto prendere in ospedale, ero diventata immune a qualsiasi tipo di malattia.
    Mi abbassai col fianco per poterla spegnere nel posacenere che c'era al mio fianco Tu perché sei qui? Cosa significa quel cocktail? Feci una pausa Sei tipo una mia fan? Alzai il sopracciglio guardandola.
    Era una cosa che avevo sempre trovato assurda il fatto che in giro per il mondo ci fossero dei gruppi di persone che mi idolatravano, era una cosa folle, io ero una persona cattiva e non era sano considerarmi come un punto di riferimento. Avevo imparato ad accettare la presenza di questo mio lato e lo stavo combattendo, non volevo farlo riemergere anche se ero sicura che prima o poi avrei colpito di nuovo e niente mi impediva di pensare che magari sarebbe stata proprio Nora la mia prossima vittima.
    Incrociai le braccia nell'attesa di una sua risposta e che finisse di fumare, avevo freddo e volevo rientrare perché senza niente tra le mani l'ansia era ancora più forte e incontrollabile, quanto siamo stupidi e deboli noi esseri umani, sempre alla ricerca di qualcosa da stringere, che sia una mano, una sigaretta o un cocktail, dobbiamo sempre tenerle occupate perché se no ci renderemmo conto di quanto le nostre vite siano vuote e inutili, spendiamo un sacco di tempo davanti ai telefoni a leggere cose di cui non ci importa niente, a volte nemmeno leggiamo, guardiamo solo lo schermo senza motivo nell'illusione di essere impegnati a fare qualcosa di concreto.
    Ripensai al fatto che non fosse intimorita dalla mia persona, non so se fosse sincera ma la trovavo una cosa stupida e non perché fosse in una reale situazione di pericolo ma perché sottovalutava come potessero cambiare le cose quando sia ha a che fare con dei malati di mente, a volte basta semplicemente una parola fuori posto per innescare una bomba.
    Qualcuno che usciva dal locale la guardava senza che lei potesse accorgersene data la sua posizione ma non erano gli occhi di chi vede una bella ragazza, erano occhi protettivi, pronti ad intervenire contro di me.
    Mi spinsi in avanti e la abbracciai anche se lei non poteva comprenderne il motivo perché lei, quegli occhi non li aveva notati, era il modo di urlare al mondo che ero lì in pace, che ci stavo provando ad essere normale.
    Nascosi il volto contro la sua spalla e la tenni ben stretta.
     
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    In risposta alla presentazione di Nora anche l’altra disse a voce alta il suo nome, nonostante la prima avesse già chiarito di sapere piuttosto bene chi lei fosse e non ce ne fosse quindi bisogno. Spiegò di aver avuto bisogno di una sigaretta e di una boccata d’aria. -Avresti potuto chiedermelo. - rispose, con una leggera scrollata di spalle, quando l’altra le disse che non era sicura che l’avrebbe ritrovata dentro se fosse uscita da sola. La tecnopata tendeva ad essere molto diretta in quel genere di cose. Non essendo brava nel comprendere le persone preferiva sempre chiedere molto chiaramente ciò che desiderava e rispondere in maniera abbastanza onesta. Non era un problema per lei dire chiaramente a qualcuno che non aveva intenzione di trascorrere neanche un minuto con lui, così come neanche dirgli il contrario. Certo, quando era sobria poteva risultare un po’ freddo e sulla difensiva, ma dopo qualche bicchiere in più riusciva a sciogliersi e godersi la serata senza troppi pensieri.
    Anche Nora si accese una sigaretta, incapace di riuscire a trattenersi troppo a lungo dal consumare quel genere di sostanze. Fumare era una delle poche cose che riuscivano a renderla tranquilla, un vizio che era divenuto un modo di tenersi calma, qualcosa che aveva iniziato a fare anche durante gli appuntamenti con la sua nuova psichiatra. Helen non doveva esserne troppo lieta, ma aveva acconsentito, giusto per farla sentire maggiormente a suo agio, sperando forse che così per lei sarebbe stato più semplice aprirsi e raccontarle qualcosa. -No, non sono mai stata una grossa fan di niente e di nessuno, a dire il vero. - ammise, forse un po’ troppo onestamente, mentre continuava ad inspirare il fumo dalla sigaretta, per poi lasciarlo andare verso l’alto e osservarlo sparire, fondendosi con l’aria, come se non ci fosse mai stato. Era così che Nora aveva sempre visto le persone, boccate di fumo che sparivano in un semplice battito di ciglia, senza lasciare niente. Per un attimo cercò di farsi venire alla mente qualche figura a cui potesse essersi ispirata, persone che si erano dimostrate un esempio per lei, senza tuttavia riuscire davvero a trovarne nessuna. -Un cocktail è, in fin dei conti, soltanto un cocktail se non gli dai alcuna particolare accezione. - continuò, con lo sguardo ancora rivolto verso l’alto. Non capiva perché le persone volessero vedere troppe cose in gesti piuttosto semplici e scontati. Si aspettavano sempre qualche risposta particolarmente esaustiva, qualche spiegazione brillante che lei non sapeva davvero dare. Non era brava a pensare, quando si trovava in mezzo alle persone. -E poi… in realtà, i giornali e le persone possono scrivere quello che vogliono. - proseguì, dopo qualche istante di silenzio, mentre spegneva la sigaretta nel posacenere, a sua volta, per poi puntare di nuovo lo sguardo sulla ragazza. -La tua vera storia la sai soltanto tu. - terminò, mormorando delle parole che, in realtà, stava dicendo anche a se stessa. Detestava che le persone pensassero sempre di poter capire gli altri con poche parole, o soltanto dal modo in cui apparivano, da ciò che qualcuno aveva raccontato sul loro conto, detestava essere etichettata, o fissata, o che la gente si rivolgesse a lei come quella stramba, esattamente come le succedeva quando era una bambina. Ma con il tempo aveva smesso di preoccuparsi di quello che pensavano gli altri, delle loro opinioni, aveva smesso di prestare loro attenzione. E forse era una cosa che avrebbe dovuto imparare a fare anche Elle, visto quanto sembrasse a disagio, persino lì fuori, quando qualcuno usciva dal locale e le rivolgeva qualche occhiata.
    Rimase immobile per qualche istante, paralizzata dalla strana reazione della ragazza che, senza alcun preavviso la strinse tra le braccia, nascondendo il volto sulla sua spalla. Spalancò gli occhi, un po’ a disagio, guardandosi lentamente attorno prima di cercare di sollevare le braccia e, un po’ timidamente, rispondere alla sua stretta, senza troppa forza. Non era affatto brava con quel genere di cose, nel consolare le persone e forse in effetti non capiva neanche bene che cosa stesse accadendo. -Perché sei così preoccupata? - le sussurrò all’orecchio, trattenendola per qualche altro momento. -La gente ha sempre qualcosa da ridire su tutti, non farti abbattere da loro. - terminò, per poi allontanare piano il capo da lei, gettando un’occhiataccia a due persone che continuavano a fissarle. -Beh? Che cazzo hai da guardare? - chiese, per poi terminare tutto con un non troppo educato dritto meglio, che fece borbottare i due ragazzi, per poi convincerli ad andare via. -Avrei una certa fame, ho dimenticato di pranzare. Vieni con me? - le propose, facendole un leggero cenno con il capo in direzione di una stradina sulla sinistra che le avrebbe condotte in una paninoteca che restava aperta tutto il giorno e anche la notte.
     
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