Ham and waves

Sydney & Leander

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    « Sydney, hai messo sale nel mio caffè al posto dello zucchero? »
    La voce di Frank, l’Avvocato per il quale lavorava ormai da tre anni, accorreva verso la sua scrivania reggendo l’ansa della tazza scura e fumante con il volto contrito: detestava quando lo faceva, poiché le rughe ai lati degli occhi si accentuavano ancor di più e sul collo scoperto andavano ad esporsi le vene che, minacciose, parevano sempre sul punto di scoppiare. E per completare il quadretto inquietante, come da copione gli occhi spiritati e le pupille fisse si arrossavano accompagnando il colore bluastro del viso. Ogni volta che lo vedeva aprir bocca, il tempo sembrava come arrestarsi: fissava l’uomo ad occhi sbarrati, contando a mente quegli interminabili secondi con la speranza che giungessero presto al termine. Ultimamente si infuriava spesso, anche per una cosa da niente come quella; era pur vero che – unicamente per sbaglio – una volta Sydney avesse messo nel suo caffè del sale anziché le sue due solite zollette di zucchero, ma la colpa era ricaduta su chi aveva invertito – nella cucina dell’ufficio – le posizioni dei due contenitori. E sì, era pur vero che i due fossero diversi, ma la ragazza era oramai talmente abituata a prenderlo nello stesso punto, che oramai non guardava nemmeno più il suo colore prima di attingervi con il cucchiaino.
    Nonostante la poca attenzione per i dettagli, il vero motivo di quella sfuriata – e di tutte quelle che durante la settimana si erano susseguite – era l’ennesimo divorzio: era risaputo, oramai, quanto fossero intelligenti le mogli dell’uomo nello spillargli profumati quattrini, ma finché il suo stipendio non ne risentiva andava tutto bene. E se questo significava sopportare qualche urla ingiustificata, pazienza.
    Per quanto ammetterlo le pesasse non poco, i soldi le servivano.
    E poi farlo arrabbiare la divertiva.
    Aveva persino pensato di indire delle scommesse su quale sarebbe potuto essere il motivo della prossima aggressione emotiva immotivata, solo che probabilmente se Frank lo avesse scoperto non l’avrebbe sicuramente presa benissimo.
    « No, ma a giudicare dal tuo umore avrei dovuto optare per qualcosa di rilassante. Ti do un indizio: è bianca, ma non si tratta di zucchero a velo. »
    Un occhiolino accompagnò la frase proferita, con annesso schiocco delle dita ed un sorriso imbarazzato stampato sulle labbra: di certo non aveva fatto una scelta saggissima rispondendo in quel modo, ma nelle rarissime volte che negli occhi di Frank scorgeva una lieve aura di pentimento cercava di mettere la buona, in un modo o nell’altro. Non sempre, tuttavia, ci riusciva – anzi, quasi mai –, ma tentare non scostava nulla.
    Dalle labbra dell’uomo non arrivò alcun suono. Rimase semplicemente a fissare il volto idiota e sorridente della Huntzberger per qualche secondo, poi posò la tazza sulla sua scrivania ed infine se ne tornò nel suo ufficio.
    Le due ore successive le trascorse guardando il muro spoglio dall’altro lato della stanza, chiedendosi se questa volta si fosse giocata la possibilità di garantirsi il pane ogni giorno e di crearsi una propria indipendenza lavorativa: poteva sempre attingere al famoso conto impronunciabile dei suoi genitori, ma non era quel genere di persona che si dava per spacciata con così tanta facilità.
    Giunte le 19:00 in punto, Sydney si alzò velocemente dalla sedia e recuperò borsa e giacca dall’attaccapanni all’entrata: non era mai uscita dall’edificio così lesta, dopotutto non era nemmeno sicura che il giorno seguente avrebbe potuto tornarci per davvero. E di certo non per pregare Frank di ridargli il lavoro.
    Immergendosi nella strada caotica, decise di fare una deviazione prima di tornarsene a casa: d’altra parte in frigo non aveva nemmeno dell’acqua (non era proprio un’amante dei supermercati, faceva la spesa di rado ed il più delle volte cenava fuori, visto che pranzava direttamente in ufficio) ed era anche da qualche settimana che si arrangiava con un panino, per cui prenderne di nuovo uno al bar vicino la spiaggia non sarebbe stato un grosso problema.
    Ultimato il suo acquisto, si tolse calze e scarpe e li mise nella borsa, dopodiché immerse finalmente i piedi nudi nella sabbia ghiacciata: faceva freddo, ma gli piaceva la sensazione che solo i granelli di sabbia in mezzo alle dita sapeva dare. Continuò a camminare lungo la riva mordicchiando avidamente il suo panino al prosciutto e formaggio (non era il massimo della bontà, ma almeno contribuiva a zittire il rumore fastidioso del suo stomaco affamato) e stando attenta – divertendosi con poco, neanche fosse un cagnolino – a non farsi beccare dalla schiuma lasciata dalle onde.
    Il chiacchiericcio e le risa di un gruppetto di ragazzi attorno ad un falò scoppiettante attirò la sua attenzione; voltandosi verso la fonte di quel rumore, si apprestò ad osservare da lontano la scena: lavorare in quell’ufficio legale la faceva sentire vecchia, ancor più consapevole di non aver mai concluso nulla di sensato.
    Piegò la testa di lato e rimase ad osservarli, la luce del fuoco riflessa nelle iridi ancora blu, fin quando gli parve come se gli fosse stato vuotato un secchio di cubetti di ghiaccio sulla testa: la schiuma lasciata dell’onda le raggiunse i piedi, bagnandoli e ghiacciandoli istantaneamente. Non credeva fosse la serata giusta per perdere qualche dito.
    « Fanculo! »
    Urlò, indietreggiando nel tentativo di "difendersi" dagli schizzi minacciosi; e per rigirare maggiormente il dito nella piaga, senza che potesse salvarlo dalla sabbia, il panino mangiucchiato le cadde dalle mani. Per un breve istante fu quasi tentata di raccoglierlo e dargli un altro morso, ma rimase semplicemente a fissarlo infastidita.
    Ed ecco che andava a concludersi la giornata tipo di Sydney Huntzberger.

    Edited by <Baxx> - 10/1/2019, 23:01
     
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    Leander "Lee" Gundersen
    25 years old - energy absorption - loose cannon

    [Warning: bad language.]

    City's breaking down on a camel's back
    They just have to go 'cause they don't know wack
    So while you fill the streets, it's appealing to see
    You won't get out the county 'cause you're damned and free


    Rimase per un attimo immobile, con la sigaretta accesa a penzolare tra le labbra, mentre davanti ai suoi occhi si stendeva silenzioso sulla superficie delle cose, sulla pelle delle cose, il freddo di una terra che non sapeva parlare; la terra dei fiordi, sentieri di mare incastonati tra pareti rocciose ripide come un urlo che accumulava intensità, scivolando sulla roccia, senza però riuscire a scoppiare incontrando l'immobile freddezza dell'acqua; una città di una bellezza da cartolina muta, costellata di case colorate le une vicine alle altre, ma per lui a volte ancora troppo calma persino sotto l'intonaco sgargiante più graffiato, scavato e rovinato. Per Lee Gundersen vivere in quella porzione di mondo, svegliarsi e dover cercare il sole sotto le nubi, richiedeva una vera e propria propensione caratteriale che non credeva di avere fino in fondo. Nocche sbucciate e argento vivo dentro, lui si vedeva più a muoversi su di un suolo afoso, investito dal sole più insistente e attorniato da palazzi tipici delle grandi città difficili da seguire con lo sguardo. Voleva immensità in cui perdersi senza incappare mai in se stesso, né in quegli angoli di silenzio che la serenità apparente di quel luogo gli donava. Ma ecco che proprio quando credeva di essere nel posto per lui più inadatto al mondo, Besaid lo stregava di nuovo. E lo faceva in silenzio. Bastava poco: uno scorcio dallo specchietto retrovisore sul mare, quando l'auto era in corsa e il vento gli scompigliava i capelli; le lunghe giornate passate sotto la pioggia, rintanato con un gruppo di amici sotto un rifugio improvvisato come un'esedra naturale con gli alberi in semicerchio al posto di colonne; incrociare un volto amico tra mille sconosciuti; la poesia del ghiaccio sottile che brillava incontrando il riflesso di un freddo sole d'inverno. E nei momenti di noia, o di immobilità, c'erano le cose, che poi erano i surrogati della felicità più comuni in tutto il mondo. Acquistare oggetti per colmare lacune emotive con l'illusione che, accumulando da un lato, tutto si sistemasse dall'altro. Un peso della bilancia falsato. Automobili nuove, cambi di look temporanei, droghe sintetiche e non, un mobilio più sobrio, un mobilio più sfarzoso, un dispositivo tecnologico di ultima generazione per sentirsi parte del mondo costruito sul web, un paio di occhiali da sole di ottima marca e quell'oggettino inutile, ma per qualche misterioso motivo appetibile come non mai, che conclude puntualmente la spesa online su Amazon. Picchi di breve entusiasmo sulle ali del fascino della novità, flebili scintille su un mucchietto di cenere che voleva tornare ad essere fuoco. Ci era cascato persino lui, ben consapevole di quella trappola di marketing, ed ora si ritrovava ad aspettare un suo amico sotto casa, appoggiato con la schiena contro la nuova auto che aveva acquistato senza ancora aver finito di pagarla. Feel Good Inc. dei Gorillaz esplodeva ancora in strada, fuggendo da un finestrino aperto, quando il suo amico Lennart, detto Lennie, comparve fuori dal portone. « Era ora cazzo. Ti stavi facendo una sega? »
    « La linea temporale è questa: ho iniziato a farmi una sega, poi mi hai chiamato, mi hai messo pressione per prepararmi in fretta e si sa che sotto pressione la qualità della performance cala. »
    « La linea temporale è questa: se non muovi il culo e non sali in macchina entro tre secondi, te la fai a piedi. » Gettò la sigaretta sull'asfalto, aprì lo sportello dell'auto e si posizionò al sedile del guidatore.

    You got a new horizon, it's ephemeral style
    A melancholy town where we never smile
    And all I wanna hear is the message beep
    My dreams, they got her kissing, 'cause I don't get sleep, no


    « Metti giù i piedi. » Con un brusco scossone alle gambe di Lennie, lo costrinse a una posizione più educata. Lennie sbuffò. « Ma che hai oggi? Mi stai trattando troppo male. Sembri in preciclo e mi stai facendo prendere male. » Lo guardò in cagnesco e incrociò le braccia al petto, adagiandosi su un angolo del sedile come per allontanarsi da Lee. Quest'ultimo lo guardò di sfuggita e gli scappò prima un sorriso, poi un risolino. « Faccio paura da incazzato eh? Ti stavi cagando sotto dai, ammettilo. » Un occhiolino e alzò il volume della musica, ridendo in quel modo sgraziato che lo contraddistingueva. Il solito Lee, sempre pronto agli scherzi più idioti per ricavarne soddisfazioni personali. Lennie lo spinse. « Vai a fare in culo. » Fece per posare ancora i piedi sul cruscotto, ma Lee glielo impedì. Di nuovo. « Sulla macchina ero serio però. Non l'ho ancora finita di pagare. Fin quando non sarà mia a tutti gli effetti, la devi trattare come una vergine. Con rispetto. Un dito alla volta, senza fretta. » La solennità con cui lo disse, estraendo al contempo il pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans, sapeva di un'ironia iperbolica spacciata per verità assoluta. Lennie lo guardò mentre si portava una sigaretta alle labbra e gliela accese con l'accendino, reprimendo per poco una rapida sensazione: « Lee, non prenderla male, ma mi dai l'impressione che ti manchi qualcosa. La macchina nuova, l'altro giorno hai comprato una nuova televisione... » Iniziò ad insinuare qualcosa, ma Lee sbuffò e lo troncò a metà pensiero. « Per la televisione, te l'ho già detto. Ero a fare compere perché mi serviva cibo spazzatura per la fame chimica e l'ho vista. Mi sono innamorato. Una televisione di 55 pollici ultraHD a metà prezzo. E che fai, la lasci là? E poi, ho venticinque anni. Lo sai cosa scatta nella psiche di un uomo a quest'età. Quando fai venticinque anni, volente o nolente inizi ad entrare nel mood casalingo. Ci entri bene a trent'anni, ma già qualche anno prima cominci ad entrarci. Cazzo è una cosa che mi fa incazzare, ma è scienza. Istinto. Cioè capisci che quando vedo un bell'oggetto in offerta a me viene duro? Cioè capisci che quasi sborro nelle mutande? Le donne si bagnano, a noi uomini viene duro. Scienza. » Lee e la scienza: due linee parallele non destinate a incontrarsi nemmeno nel campo della geometria Euclidea. La strada scorreva sotto le ruote dell'asfalto, il paesaggio scorreva oltre i finestrini; chiazze di colori diversi, mischiati in un guazzabuglio di luci confuse, sotto un cielo già disertato dal sole. « Inizi a volere una casa più bella. Una casa più casa. Perché io penso che uno si rompe i coglioni dopo un po' di masturbarsi sempre sullo stesso divano ormai da buttare. No? »
    « Ma che cazzo... » Stranito, Lennie lo guardò come si guarda un animale di una specie non ancora identificata. « Io intendevo che credo ti manchi qualcosa dentro. Qualcosa tipo... » Si strinse nelle spalle, vergognandosi di quella parola. Ogni uomo un po' si vergogna, di quella parola. Soprattutto se la si pronuncia a uno pronto a sfottere qualcuno per la sua debolezza. « Tipo qualcuno da amare. » E lo disse, lo sputò fuori rapido, abbassando il tono di voce come se la vergogna fosse irrazionalmente troppo forte. Lee voltò lo sguardo in sua direzione, restando in silenzio per qualche attimo prima di scoppiare a ridere. « Aw, sei un sentimentale. Sei tenero come un muffin appena sfornato. » Un'altra risata e poi tornò mortalmente serio, aspirando il fumo dal filtro della sigaretta. « Per me amare è impossibile. Sai, è genetica. »
    « Ti prego non profanare un'altra branca della scienza. »
    « No, senti, è vero. Mio padre è l'emblema dell'uomo inutile. Ha passato tutto il tempo della mia infanzia a scoparsi ragazzine di diciannove anni. Il classico uomo che va dietro alle studentesse, sai il tipo. Mia madre lo sapeva, ma non gliene è mai fregato un cazzo. Si concentrava su di me. Era quasi sollevata di non doverla dare a quell'uomo. Poi un giorno l'ha presa male. Ma male male. Innanzitutto ha beccato l'amante di turno di mio padre in casa nostra, che è un po' un affronto di per sé. Ma l'affronto per mia madre è stato un altro. La ragazzina che mio padre si era appena scopato somigliava a lei quando era più giovane. Stesse forme, stesso colore dei capelli, stessi occhi. Lì, e solo lì, le son girate le palle. Se prima il suo ego era tranquillo, dopo quella ragazzina ha subito un colpo troppo grande. Capisci? Non ha mollato mio padre per infedeltà, ma perché ha ferito il suo ego. Lì è ricaduta in depressione, le hanno prescritto psicofarmaci ma non li hai mai presi perché dice che le tolgono la rabbia, l'unica cosa che la tiene vigile nel niente. E ora cura la sua depressione torturando psicologicamente gli uomini. Ha un compagno stabile da diverso tempo, ma non durerà. Non dura mai. Odia mio padre anche se sa che basterebbe un suo schiocco di dita per farlo tornare da lei, proprio come un cane dimenticato all'Autogrill, e mio padre la odia perché lei non le schiocca, quelle dita. » Una breve sintesi sul suo vissuto che sorprese Lennie per la naturalezza con cui gli arrivò all'orecchio, come se Lee stesse parlando di qualcosa che non gli apparteneva; una storia ben impressa nella sua mente ma lontana anni luce dal presente attuale, spiattellata con tono quasi impersonale. Parcheggiò rapidamente e tirò il freno a mano, cercando lo sguardo dell'altro solo allora. « E tu sei più simile a tuo padre o a tua madre? »
    « Per carità, a nessuno dei due. » Una piccola risata mentre rigirava le chiavi dell'auto in mano, sbracciandosi poi verso i sedili posteriori per prendere il suo zainetto nero. « Ma ho incamerato la loro aridità affettiva. Non fraintendere, so voler bene. Voglio bene a te così come voglio bene a uno sconosciuto che suona a casa mia per portarmi la pizza. Ma certe cose da me te le aspetti, la differenza è questa. Ho preso la macchina solo per darti un passaggio, ma sai che io vivo a quindici minuti a piedi qui. Sai che non resterò sobrio questa sera per poterti accompagnare a casa al ritorno e dovrai arrangiarti in altro modo. Lo sai no? Sono un egoista di merda, tu lo sai, io lo so. Nessun rancore. » Una leggera pacca sulla spalla di Lennie e aprì lo sportello per uscire dall'auto. « Tempo di uscire, dai piccolo muffin. Ma piangi mentre scopi? Tu mi sai di uno che piange mentre scopa e poi vuole le coccole. Secondo me ti attacchi tipo cozza. » E mentre camminava verso la spiaggia, con lo zainetto in spalla, tra una risata e l'altra iniziò a fare ipotesi ridicole sulla vita sessuale del povero Lennie.

    Laughin' gas these hazmats, fast cats
    Linin' 'em up like ass cracks
    Play these ponies at the track
    It's my chocolate attack
    Shit, I'm steppin' in the heart of this here (yeah)
    Care Bear rappin' in harder this year (yeah)
    Watch me as I gravitate, ha-ha-ha-ha-ha!


    Un falò al centro di un gruppo di sconosciuti riuniti per una festicciola, una quantità ancora scarsa di alcol in circolo e, nel sottofondo di onde che si abbattevano placide contro la battigia, risate scoppiate sotto un cielo scuro come ossidiana: Besaid era anche questo. Coperto da una felpa nera provvista di cappuccio, un paio di jeans grigi stretti e i piedi nudi sulla sabbia fresca, Lee rigirava tra le dita una bottiglia vuota di vodka, sollevandola dal suo appoggio in plastica dura, e rideva tra sé. « Il gioco della bottiglia? Siete seri? Manco gli adolescenti smaniosi di infilare la lingua in bocca a qualcuno. » Commentò così quel gioco che tutti avevano intenzione di intraprendere, riscaldati dall'alcol e desiderosi di aggiungere un po' di ignoranza giovanile in campo ludico. « Io che ci gioco a fare? Senza offesa, ma vi siete guardati allo specchio? Ci vuole un'altra persona attraente come me. Perché se mi capita Lennie ok, lo slinguazzo comunque, ma con meno soddisfazione. » Si guardò intorno come in cerca di un'ispirazione fulminante, reggendo una birra in una mano e scoprendo il volto coperto dal cappuccio con la mano libera. Proprio in quel momento, a scarsa distanza da quel gruppo di sette persone, composto da quattro uomini e tre donne, vide una ragazza ferma sulla riva del mare, in piedi a consumare la sua cena. Un panino che le cadde pure sulla sabbia. « Qualcuno tipo lei. » La indicò con un cenno del capo e il resto del gruppo si voltò a guardarla, in preda alla curiosità. « Ehi tu! Sì, tu! » La chiamò a gran voce senza alcun tipo di imbarazzo, causandolo però agli altri: gente che si portava una mano in faccia, gente che ridacchiava intimandogli di non gridare, gente che si alzava per avvicinarsi al fuoco seguendo l'istinto classico del "io questo non lo conosco." « Vuoi unirti a me e a questi sei sfigati? Abbiamo alcol, cibo e hashish. » Queste tre cose erano poi le priorità in assoluto di Lee. Proprio dopo qualche secondo, il falò prese una piega imprevista: ci fu una vampata improvvisa, fumo che si sparpagliava nell'aria in enormi spirali e un odore familiare. Gli venne un sospetto. Prese lo zainetto che aveva portato con sé e lo aprì, ravanando all'interno. « Noooo, cazzo no. Chi l'ha preso? » Guardò i presenti e nessuno sembrava capire, salvo una delle ragazze che lo guardò dubbiosa. « Il mattone che avevi lì dentro? L'ho messo vicino al fuoco per scaldarci sopra del cibo. Anche se non sembrava molto solido. »
    « E grazie al cazzo che non era solido, era un panetto di hashish da un kg. Ti pare che vado in giro coi mattoni nello zaino? » La scena aveva un che di comico: Lee che gridava contro la ragazza, quest'ultima che si passava una mano tra i capelli nell'agitazione, una fitta coltre di fumo nell'aria che sembrava quasi nebbia artificiale. Sperava solo che non arrivassero i poliziotti. Erano come cani molecolari, col fumo. Non erano molto in gamba nell'acciuffare i seri signori della droga, né molti colpevoli per gravi omicidi, ma nell'acciuffare ragazzetti sballati erano magnifici. Non c'era molto di cui preoccuparsi in realtà, poiché tutto era stato dato al fuoco e non avrebbero trovato nulla addosso a nessuno di loro, ma l'incazzatura era legittima. Si alzò in piedi, scrollò via la sabbia dai jeans e si avvicinò alla ragazza in riva al mare reggendo un bicchiere di vodka lemon in una mano (l'aveva preparata lui stesso, portando nello zainetto vodka liscia e una bibita zuccherata al limone) e un pacchetto di patatine nell'altra. Per lei. « Aggiornamento: niente hashish. Ma c'è l'alcol. C'è il cibo. E poi ci sono io, che sono come una canna ma senza l'abbiocco post fattanza. » Un occhiolino giocoso mentre alle sue spalle il fumo del falò diveniva sempre più fitto, gli altri si guardavano intorno per il timore degli sbirri e Lennie gridava contro Lee da lontano perché "porca troia mi hai fatto viaggiare con te in macchina e tu avevi un kg di merda nello zaino.", col rischio che li fermasse la polizia.
     
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    Le giornate di merda erano oramai un must nella vita della venticinquenne, talmente tanto scontate da farle venire un dubbio quando non capitava almeno una “disgrazia” ogni dodici ore. Alle volte, giusto per rimanere tranquilla, le provocava anche spontaneamente; una volta aveva addirittura lasciato deliberatamente un panino tra le piastre calde perché si bruciasse – anche se, inconsciamente, sapeva di averlo fatto perché, per una svista, aveva sbagliato a metterci dentro il giusto condimento. Tanto valeva, quindi, finire il lavoro in bellezza.
    E a proposito di lavoro, le mattine non potevano essere considerate tali senza che arrivasse in ritardo in ufficio: nonostante dovesse timbrare il cartellino alle 09:00 in punto, il suo nome non spuntava mai tra i presenti prima delle 09:15 – con tanto di occhiataccia da parte di Frank, talmente tanto scontata da non farci nemmeno più caso. Eppure non poteva non essere sorpresa del fatto che l’uomo non l’avesse ancora licenziata, anche se si rifiutava categoricamente di accettare le teorie delle sue colleghe: al solo pensiero che potesse avere una cotta per lei le veniva da ridere, visto che durante quegli anni non aveva mostrato alcuna speciale preferenza nei suoi riguardi. La sgridava proprio come faceva con tutti gli altri; la fissava arrabbiato come faceva anche con il postino delle 16:00; strabuzzava gli occhi proprio come lo faceva con il resto delle ragazze del piano. Semplicemente non l’aveva ancora buttata fuori perché, sotto sotto, adorava i suoi caffè annacquati e smielati.
    E vedere il suo panino al prosciutto e formaggio finire sulla sabbia anziché dentro al suo stomaco non la sorprese per nulla, anzi la reazione avuta di conseguenza le fece piegare la testa di lato: avrebbe dovuto aspettarselo dopotutto, quindi prenderne uno di riserva come faceva di solito non sarebbe stata poi un’idea malsana.
    Il rumore delle onde infrangersi contro gli occhi e la schiuma arrivare a riva la distrasse per qualche attimo: rimase, per un istante, ad osservare i suoi piedi nudi e bagnati. Erano piccoli ed insignificanti, proprio come pareva esserlo la sua esistenza. Inutile e vuota. Riusciva ad osservarsi da lontano ed il panorama che scorgeva sembrava sbiadire in una coltre di fumo ogni momento di più. Era come tentare di prendere uno Smarties al volo, sbagliando continuamente la mira. Il confetto cadeva sempre per terra e lei rimaneva costantemente con la scatolina vuota. A pancia vuota e a cuor pesante.
    A distrarla, questa volta, fu tutt’altro: ciò che prima la distrasse dal camminare sulla sabbia gustandosi la sua fredda cena arrangiata, attirò la sua attenzione facendola voltare verso il falò attorno al quale aveva visto aggirarsi un gruppetto di ragazzi. A giudicare dai toni usati e dalle parole proferite, non dovevano avere più di diciotto anni – venti al massimo –, comunque tutt’altra cosa rispetto a Sydney. Non che mentalmente lei ne dimostrasse realmente venticinque (neanche fisicamente in realtà), ma credersi superiore – almeno in presenza di chi più piccolo di lei – la faceva sentire appagata. Grande. E pretendeva anche il giusto rispetto, mica lasciava correre con così tanta facilità.
    E sì, Sydney Huntzberger era invecchiata tutt’assieme. E se ne vergognava anche tantissimo.
    Strinse gli occhi a due fessure per mettere a fuoco le ombre scure che scorgeva in lontananza – dovevano essere sette in tutte, con tre ragazze comprese, a quanto ne aveva capito – e si avvicinò bruciando per due metri per capire meglio cosa stesse urlando uno di loro. E pareva rivolgersi proprio a lei. Per un attimo si chiese se il ragazzo la conoscesse per davvero, ma a giudicare dal modo in cui le si rivolgeva non pareva avere idea di chi Sydney fosse. Continuando a fissare gli occhi verso la stessa direzione, si indicò il petto con il pollice per avere una conferma del fatto che si stesse realmente rivolgendo alla Sydney Huntzberger e quando questa arrivò d’istinto alzò il sopracciglio sinistro. Udì le parole dell’apparente sconosciuto con un’espressione indecifrabile dipinta in volto, la stessa che lui non avrebbe mai potuto scorgere e che lei stessa non riusciva ad interpretare.
    Alcol, cibo e hashish: queste furono le tre parole che, più del resto, Syd riuscì a comprendere.
    Era sempre stata una persona controcorrente, l’eccezione alla regola, l’eccentrica, la fuori di melone che si discostava dal gruppetto delle amiche con la puzza sotto al naso. Ed il periodo sesso con scosciuti-droga-alcol lo aveva attraversato anche lei – come chiunque altro adolescente del resto –, ma nonostante questo una lezione dai suoi genitori la aveva imparata: non si accettano le caramelle dagli sconosciuti.
    Anche se gli sconosciuti erano carini.
    Oppure sì?
    Forse aveva preso sonno prima che la signora Huntzberger potesse concludere la frase aggiungendo quell’eccezione. Gli piaceva pensare che fosse così.
    Non ebbe nemmeno il tempo di dire nulla che dovette assistere ad una scenetta interessante: non poté nascondere di avere il desiderio di recarsi lì da loro fingendosi un agente in borghese, ma nessuno avrebbe mai potuto prendere sul serio il sorrisetto idiota che, sicuramente, si sarebbe andato a dipingere sul volto della giovane. Syd era una pessima attrice, questo non si poteva nascondere.
    Rimase ad osservare quella scenetta da lontano (non “faceva festa” da un po’, ma da quanto ne sapeva non era proprio conveniente urlare all’aria aperta di avere un mattoncino di hashish nello zainetto, non si poteva mai sapere che girasse lì intorno) mettendo un piede dietro l’altro per cercare un maggiore equilibrio. Chinò il capo e vide il panino insabbiato ancora riverso sotto di sé, lo stesso che prontamente recupererò reggendolo con l’indice ed il pollice: cominciò a spezzettarlo e, avvicinatasi di più al mare, ne tirò un po’ in acqua.
    « Prendete pure, cari pesciolini! Almeno qualcuno questa sera riuscirà a mettere qualcosa sotto ai denti. »
    Continuò a sparpagliare cibo come se stesse tirando in aria coriandoli per Carnevale, quando il giovane che la chiamò da lontano (lo capì dallo stesso tono di voce) le si avvicinò con tanto di bicchiere colmo e pacco di patatine tra le mani. Sydney rimase ad osservarlo per qualche istante, spostando le iridi ancora cobalto dapprima su ciò che reggeva nella mancina e nella destra e poi sul suo volto. Lo studiò, convincendosi dell’esatto opposto rispetto a poco prima: lo stesso che aveva giudicato diciottenne, adesso pareva non avere meno di ventidue anni, anche se il suo modo di approcciarsi accorciava quel numero pari di almeno una decina d’anni.
    « Bella scena, vero? Di solito riesco anche a prendere il panino tra le dita dei piedi, ma sapevo di essere osservata e mi sono emozionata. La mia performance ne risente non poco, altrimenti non mi tirerei indietro dal mettere su uno spettacolino. E riuscirei a farci anche un mucchio di soldi, ma dovrei fare i conti con un’atroce realtà: rimarrei senza cibo se comprassi vagonate di panini conditi per le prove e quindi la mia vita sarebbe comunque vuota. Buia. Affamata. Quello è per me? »
    Concluse quell’inutile frase, ondeggiando col corpo sul posto, indicando con l’indice della mano dominante il pacco di patatine retto dallo sconosciuto.
    “Non si accettano caramelle dagli sconosciuti” avrebbe dovuto tatuarsela sulla pelle per non rischiare di dimenticarla, ma i rumori imbarazzanti provenienti dal suo stomaco al momento non le permettevano di pensare lucidamente. E non voleva mangiare la sabbia. Ma solo perché non era sicura che sarebbe stata in grado di digerirla, eh.
    « Che gusto sono? Vado matta per quelle al formaggio, ma solitamente quando muoio di fame sarei capace di mangiare anche, uhm, anche un’alga umidiccia. »
    Prima però che il ragazzo potesse risponderle alla domanda, Sydney afferrò il pacchetto e ci infilò una mano per recuperare una patatina: mettendola in bocca alzò gli occhi al cielo per concentrarsi sul suo gusto.
    « Classiche. Va bene lo stesso. Grazie. Uh! Prendo anche questo! »
    Acciuffò poi anche il bicchiere e ne bevve un generoso sorso: strabuzzò gli occhi rendendosi conto di cosa esso contenesse in realtà, scostò all’istante il bicchiere dalle labbra e rimase a bocca serrata per qualche secondo. Le bruciò la gola e cercò di parlare, ma senza riuscirci. Agitò una mano davanti al viso chiudendo gli occhi e quando finalmente riuscì a proferire una sillaba, disse:
    « E’ bello forte! Aspetta. Non stai cercando di drogarmi per stordirmi e vendere i miei organi al mercato nero, giusto? Ma, hey, sai che ti dico? Fanculo! Io ho fame. E credo di non avere più monete con me, per cui questo pacco di patatine e questo.. coso, saranno il mio unico conforto. E poi non provo quella roba - l’ashish, ecco - da un bel po’, non ho nemmeno idea di che effetto potrebbe farmi se la provassi. Meglio evitare perciò, non credi anche tu? Ma non ne abbiamo più, per cui il problema non si pone. La stessa cosa vale per quella canna, quindi non penso che starti vicino sia saggio. »
    Scrollò le spalle in un sorriso infilando nuovamente la mano dentro al pacchetto e lo indicò con il mento parlando a bocca piena.
    « Tu non ne vuoi? È squallido mangiare da soli. Anche se lo faccio sempre. Quindi sì, sono squallida, ma forse non avrei dovuto ammetterlo con così tanta facilità davanti a te che ti chiami.. uhm, come ti chiami? Hai la faccia da “Richard”, ma credo che anche “Berry” potrebbe fare al caso tuo. »
    Ancora una volta la mano finì dentro il pacchetto, senza però che gli occhi si discostassero dal viso del ragazzo: quella era decisamente un’eccezione al programma serale di Syd, ma almeno includeva una pessima figura dinanzi ad uno sconosciuto, quindi non poteva dire di essere uscita del tutto fuori tema.
    Tutto sommato doveva essere fiera di sé stessa.
    Ma i pesci il prosciutto lo mangiavano?

    Edited by <Baxx> - 10/1/2019, 23:01
     
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2 replies since 7/1/2019, 03:05   134 views
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