Music is the language of Love

Erik&Ophelia

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    Il ritorno a Besaid era stato abbastanza turbolento per lui. Il suo padrone di casa sembrava un tizio uscito da un film dell’orrore di bassa qualità, con quel passo strascicato e la voce gracchiante che sembrava provenire direttamente dall’oltretomba, e anche il posto dove dormivano non era certo un loft di prima classe, ma se ci avessero messo un po’ di impegno sarebbe stato possibile personalizzarlo un minimo e renderlo un luogo molto più vivibile. I vicini di casa erano per lo più strani tizi che facevano i rumori più impensabili a qualunque ora del giorno e della notte e che si lamentavano invece quando loro cercavano di provare alcune nuove canzoni. Ovviamente se ne erano fregati e li avevano lasciati bussare contro il soffitto con manici di scopa o chissà quali altri strumenti. Se volevano un minimo di rispetto avrebbero dovuto iniziare loro a comportarsi in maniera decente oppure avrebbero continuato a suonare in qualunque orario avessero ritenuto opportuno. C’era però per fortuna un ragazzo più simpatico rispetto a tutti gli altri, con cui Erik aveva iniziato a fare amicizia e che gli aveva dato alcune dritte sui migliori ristoranti da asporto e tutti i servizi più vicini che potevano trovare. Sebbene avesse vissuto ventisei anni della sua vita in quel luogo non riusciva ancora ad averne alcuna memoria. Probabilmente il motivo principale era che, in passato, non aveva mai frequentato luoghi di quel tipo e la sua memoria non poteva quindi andare a ripescare ricordi che non possedeva.
    Varcare per la prima volta la soglia dell’Egon Pub, invece, era stato un tantino diverso. Era come se ci fosse qualcosa di molto importante che gli stava sfuggendo, qualcosa che rimaneva fermo sulla punta della sua lingua senza riuscire a venire fuori. Non erano in grado di riconoscere quel posto, anche per via di alcuni piccoli cambiamenti che avevano compiuto qua e là, ma gli bastarono pochi istanti per sentirsi come se, finalmente, fosse tornato a casa. Si guardò attorno con aria incuriosita, in attesa che il proprietario del locale lo raggiungesse per ultimare gli ultimi dettagli del giorno successivo. Non avevano ancora deciso a che ora avrebbero iniziato a suonare, né per quanto tempo lo avrebbero fatto. Era stata la paga l’unica cosa di cui era certo e la cosa che, più di tutto, lo aveva convinto ad andare a Besaid. Mai nessuno prima gli aveva offerto una cifra così alta e per qualche ragione invece il proprietario pensava che avrebbe potuto rifiutare. Chissà che strana idea doveva avere di lui. Gli parlava come se fosse una persona importante, come qualcuno che aveva alle spalle una famiglia piuttosto ricca e lui, troppo sorpreso da una cosa così sciocca, non era riuscito a dire niente per convincerlo del contrario. Lui neanche ricordava se avesse mai avuto dei genitori. Negli ultimi anni era stato tutto così confuso nella sua mente e la vita frenetica che aveva condotto per riuscire a guadagnare qualche soldo non gli aveva permesso di fermarsi neanche per un momento a riflettere davvero sul suo passato. Soltanto a tarda notte, quando non crollava sul letto per la stanchezza, si era fermato qualche volta a chiedersi per quale motivo non ricordasse nulla del suo passato e della sua famiglia. E il nome strano di quella cittadina aveva popolato i suoi pensieri come un fastidioso tarlo. Aveva fatto delle ricerche su Besaid, senza trovare niente di particolarmente interessante. Era come se nessuno cercasse di attirare dei turisti in quel luogo, come se non ci fosse nulla da vedere, nulla da scoprire, nulla di troppo entusiasmante. Era solo un punto come tanti su una cartina. Eppure doveva esserci qualche traccia del suo passato, ne era sicuro, doveva soltanto capire dove andare a cercare.

    Avevano impiegato diverse ore il giorno precedente e quella mattina per terminare le prove. Avevano provato gli strumenti e tutto l’apparato tecnico che gli sarebbe stato utile per lo spettacolo, così da evitare possibili problemi durante la serata. Tutto doveva essere perfetto, o almeno era questo che gli aveva detto il proprietario prima di salutarli e dare loro appuntamento a qualche ora più tardi, quando il locale sarebbe stato pieno di persone. Non era la prima volta che suonavano di fronte ad un pubblico, eppure quella sera si sentiva molto più agitato del solito. Ci doveva essere davvero qualcosa di strano in quella città, a cominciare dalle strane abilità che lui e il suo amico avevano casualmente scoperto di avere. Era stato uno shock scoprirlo e avevano dunque cercato di dare la colpa all’alcol, al lungo viaggio o al cibo avariato, ma alla fine avevano dovuto convincersi che quella fosse la normalità. Forse era per quel motivo che avevano deciso di fuggire da quella città una volta. O forse c’era dell’altro, sepolto da qualche parte. Ad ogni modo non avevano tempo in quel momento per soffermarsi su quelle bizzarrie, non se volevano che tutto quanto filasse liscio. Aveva ordinato un drink per iniziare la serata con il piedi giusto e sciogliere un po’ di nervosismo, ritrovandosi a guardare le persone con aria piuttosto confusa quando qualcuno iniziò a salutarlo in maniera sin troppo amichevole. Sembrava che un buon numero dei clienti di quel posto conoscesse il suo nome, anche se lui non credeva di aver mai visto nessuna di quelle persone in vita sua. Si sentiva come un animale allo zoo, dentro una gabbia, esibito in modo che tutti potessero vederlo e riconoscerlo, senza che lui potesse fare niente per impedirlo. Provò l’impulso di tornare a casa e mandare tutto quanto all’aria, di mandare tutti quanti al diavolo, ma come avrebbe potuto avere delle risposte se si fosse arreso così in fretta? No, la soluzione migliore sarebbe stata quella di provare ad avvicinarsi ad una di quelle persone alla fine della serata e interagire con loro come se nulla fosse, nella speranza che qualcuno si lasciasse sfuggire qualcosa. Doveva soltanto stringer ei denti per qualche altra ora e mantenere la concentrazione, dimostrare a tutte quelle persone che cosa sapevano fare. Quale miglior biglietto da visita per un musicista delle sue stesse canzoni?
    Tenne tra le mani alcuni degli spariti, ripassandoli per l’ennesima volta mentre mandava giù il drink, contando distrattamente i minuti che mancavano alla performance. Gli capitò tra le mani una delle prime canzoni che aveva scritto, quando ancora la memoria non era andata via del tutto, che parlava di una ragazza che doveva aver conosciuto molto tempo prima. Gli era sempre sembrato un discorso accorato verso qualcuno anche se non aveva idea di chi fosse la lei di cui stava parlando. Lanciò una veloce occhiata all’amico, mostrandogli il titolo della canzone per poi chiedergli di metterla in chiusura, al posto di quella che avevano precedentemente scelto. Lui annuì senza troppe storie. L’avevano suonata così tante volte in giro per la Norvegia da non avere più neanche il bisogno di provarla per essere sicuri che sarebbe venuta per il meglio. Prese in mano la sua chitarra elettrica e poi, dopo un altro lungo respiro, salirono finalmente sul palco, tra le urla della gente. Sarebbe stata un’ora piuttosto lunga, se lo sentiva, eppure, allo stesso tempo, nel vedere tutte quelle persone, gli sembrò di essere finalmente tornato a casa.
     
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    Ophelia Jensen-Spector | 24 anni | proiezione mentale

    Non ricordava bene l'ultima volta che era stata veramente felice. Ophelia, era sempre stata una persona positiva e dall'animo estroverso, che raramente si lasciava abbattere dalla vita e che in ogni caso, cercava sempre di trovare il lato positivo. Anche quando era morta sua madre, ancora adolescente, Ophelia aveva trovato il modo di risalire dal fondo della disperazione e della solitudine creando così un opportunità per lei e suo padre, di rinascita e conoscenza l'una dell'altro. La piccola infatti, aveva passato gran parte della sua infanzia in compagnia della madre, in quanto il padre viaggiava molto - seppur per periodi molto brevi, di massimo 3/4 giorni - per svolgere il suo lavoro di beer sommelier e crearsi una svariata clientela, passando quindi molto meno tempo rispetto alla moglie, con la loro figlia. Da quando la Signora Jensen-Spector invece era venuta a mancare, Robert aveva dovuto imparare a vestire i panni sia di padre, che di madre iniziando ad incrociare la sua strada con quella della figlia, imparando a comprenderla e cercando di capire le necessità di un sesso così diverso dal suo e alle volte, molto più sensibile e complicato. Robert aveva dovuto scoprire il mondo dello sviluppo femminile con Ophelia, imparando a capire quali assorbenti comprare alla figlia e imparando a parlare con lei, delicatamente e non da uomo ad uomo del sesso. Anche in quell'occasione, Ophelia aveva trovato il lato positivo della loro triste storia e aveva creato intorno a sè, un'aurea di pace ed allegria che aveva permesso di non far abbattere un uragano sulla loro famiglia. Perdendo parte della loro famiglia, Ophelia e Robert si erano avvicinati in modo indissolubile dando vita ad un rapporto che altrimenti, non si sarebbe mai formato in modo così profondo. In quel periodo difficile, e sopratutto a causa di quel periodo difficile, Ophelia aveva avuto anche l'opportunità di incontrare Astrid, la persona che in breve tempo si sarebbe trasformata nella sorella che non aveva mai avuto e di costruire con lei, il primo vero rapporto di amicizia fraterno. Lei ed Astrid si erano conosciute proprio perchè il padre della rossa, aiutava la Signora Jensen con le cure per il cancro e se sua madre fosse stata sana, Ophelia non avrebbe mai avuto l'opportunità di incontrare Astrid e suo padre, che in breve tempo diventarono per lei una seconda vera famiglia.
    Era così Ophelia, un animo speranzoso che cercava sempre di vedere la luce in mezzo al buio eppure, tutte quelle esperienze negative che si erano rafforzate anche con la partenza di Astrid e la fine della sua relazione con Erik, l'avevano portata ad allontanarsi un pò dalle persone. All'apparenza, risultava sempre una persona piacevole e disponibile, divertente e solare, ma se prima apriva facilmente il suo cuore alle persone, adesso lo faceva con sempre più difficoltà ed il cerchio delle sue amicizie strette, era finito per diventare sempre più stretto così da assicurarsi minori ferite, minori perdite. Ophelia era diventata la classica ragazza con moltissime conoscenze ma, pochissime amicizie reali perchè il suo cuore non sopportava più, il dolore della perdita di persone a lei troppo care. Anche in ambito amoroso, Ophelia aveva chiuso il suo cuore, troppo scottato da quella sua relazione cui lei aveva creduto tanto. Aveva messo un blocco, creato uno scudo tra sè ed il genere maschile che era palpabile dato che erano pochissime le persone che avevano provato a valicarlo Ophelia, si vede lontano un miglio che non vuoi essere avvicinata.. il tuo sguardo, il tuo atteggiamento mette distanza tra te ed il genere maschile, portando le persone a non provarci con te! le aveva detto una volta Ivar, dopo che si erano ritrovati nella sua falegnameria per studiare il prototipo di uno sgabello. E forse, aveva ragione. Da quando Ophelia aveva concluso la sua relazione con Erik o meglio, da quando lui se n'era andato senza dirle una parola, lei aveva silenziosamente deciso di non dedicare il suo cuore più a nessuno, a meno che non ne valeva veramente la pena. D'altronde tutta la sua relazione con il ragazzo non era stata facile: lui, ragazzo ricco e complicato, amava creare degenero e partecipare a tutte le feste possibili ed immaginabili, vincendo l'oscar come scapolo più ambito della sua età mentre Ophelia, lottava ogni giorno per essere indipendente e non gravare troppo sulle spalle del padre, vivendo la sua vita con la testa sulle spalle. Erik era entrato in modo assurdo e spavaldo nella sua vita, facendole credere di riuscire a gestire i suoi sentimenti verso di lui, di riuscire a farci qualche uscita per scappare via da quella vita monotona che da sola si era creata intorno invece, quei suoi modi di fare così sfrontati e spensierati l'avevano incastrata. Erik aveva teso una tela intorno al cuore di Ophelia, trasparente ma netta, invisibile ma efficace così tanto da lasciare la preda intrappolata al suo interno. Ophelia aveva detto più di una volta sia ad Astrid che a Sam, che usciva con il ragazzo perchè si divertiva con lui ma che, non era assolutamente il suo tipo e non si sarebbe mai potuta innamorare di uno così, invece Erik dai gesti dolci al momento giusto, Erik dalle sorprese inaspettate, Erik dal cuore molto più tenero di quanto voleva far trapelare, l'aveva conquistata. Le aveva rubato il cuore e l'anima fino a far sì, che fosse per lei come una droga, anche nelle difficoltà che spesso di trovavano ad affrontare per quel loro essere così diversi.
    Ophelia non era più stata veramente felice, da quando aveva perso due dei perni più importanti della sua vita: Astrid ed Erik, e nonostante ci fossero persone capaci di regalargli attimi di felicità, la costanza di quella sensazione non si era più fatta vivida in lei per un tempo che andava oltre la giornata. Ophelia era felice perchè aveva passato la giornata con Roberto o con Sam, era felice perchè lei ed Iva avevano trovato la formula perfetta per un progetto, era felice perchè l'università stava andando bene o perchè aveva ricevuto una bella notizia. Viveva per attimi felici e godeva a pieno di quegli attimi, trasmettendo la sua felicità ad altri a da tanto tempo ormai, non viveva nella felicità costante della sua vita.

    Quella sera, aveva promesso ad un paio di amiche di corso di unirsi a loro per una serata dal vivo all'Egon Pub. Nonostante un tempo fosse uno dei locali che più frequentava a causa di Erik, dopo la sua partenza ci metteva poco volentieri piede a causa dei ricordi che questo le evocava. Là dentro, la conoscevano tutti come la ex di Erik e nonostante fossero abbastanza accorti da non palesare questa verità - soprattutto anche perchè alcuni di questi si erano realmente affezionati a lei - questa era palese agli occhi di tutti. L'Egon era il locale preferito di Erik, quello dove si ritrovava con i suoi amici quando avevano voglia di stare fuori da casa, di fare una bevuta in tranquillità o di prendersi la sbronza, quello dove organizzavano festini e dove spendevano moltissimi soldi arricchendo le casse del proprietario che con il passare del tempo aveva imparato a riservargli un tavolo fisso e a trattarli con un occhio di rispetto. Anche a distanza di tempo, il proprietario così come il barista storico del locale, ricordavano la bevuta preferita di Ophelia che automaticamente preparavano quando la vedevano entrare il moscow mule e lei ne era grata, perchè questo le permetteva di saltare tutto il casino che c'era al bar ogni sera.
    Fuori dall'ingresso del pub, Ophelia attendeva l'arrivo delle sue amiche mentre una strana sensazione si stava impossessando di lei. Era sempre stata molto sensibile, quasi come se parte della sua anima fosse appartenuta ad una strega celtica capace di captare situazioni nell'aria. Saltava da un piede all'altro nell'attesa, mentre cercava di ignorare quel vuoto allo stomaco e quella pesantezza che sentiva alla testa. Il suo battito cardiaco non era regolare ma bens', acellerato di qualche centesimo di secondo. Non le succedeva spesso di provare quelle sensazioni ma, alle volte quando qualcosa di importante succedeva a persone a lei molto care, quello stato strano del suo corpo si faceva vivo in lei.
    oh-oh, when i was yoouunger
    Parole di una canzone a lei sconosciute si facevano vive ad ogni apertura della porta
    o-oh got a new girlfried
    Una voce familiare, conosciuta si faceva spazio in lei ad ogni strofa ascoltata in più, mentre l'ansia cresceva inspiegabilmente in lei.
    Voleva andarsene e l'avrebbe fatto se non fossero arrivate le sue amiche pronte a placcarla e a trascinarla dentro il locale dove uno spettacolo inaspettato si parò difronte ai suoi occhi.
    L'aria iniziò a mancarle, così come la presa salda sul braccio delle sue amiche e la stabilità dei suoi piedi sulla terra. Il cuore prese a battergli in modo così violento da sembrare volerle fracassare la cassa toracica per uscirne fuori e prendere aria. Se fino a pochi secondi prima era capace di percepire quella voce a lei familiare, adesso tutto il mondo sonoro - e visivo - intorno a lei pareva essere ovattato.
    Oph-e-lia? Uh-uh, ci sei? la richiamò una delle sue amiche. No, non c'era. Non c'era per niente e non doveva essere lì. Che cosa ci faceva? Perchè aveva accettato quell'invito? Perchè non aveva ascoltato le sensazioni del suo stomaco che sembravano non sbagliarsi mai?
    Le mani della sua amica non tardarono a frapporsi tra la sua visuale e quella del palco, in un invano tentativo di richiamare la sua attenzione, mentre di peso cercavano di portarla verso il bancone del bar dove si erano fatte riservare un paio di posti. Gli occhi del proprietario dell'Egon, così come quelli del barista, fluttuarono tra la figura di lei e quella del cantante, mentre le amiche della giovane provavano a riportare la ragazza nel mondo dei vivi.
    Era troppo tardi, gli occhi di Ophelia avevano ormai incontrato le iridi di quelle di lui.
     
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    Erik non aveva alcuna memoria della sua infanzia o della sua adolescenza. Gli unici ricordi che portava nella mente erano legati a quegli ultimi anni della sua vita. Non aveva idea di chi fosse la sua famiglia, di chi fossero stati i suoi amici o i suoi affetti e, scioccamente, aveva creduto che tutto andasse bene così. Dopo le prime domande a cui né lui, né il suo migliore amico erano riusciti a dare risposta, aveva semplicemente pensato che fosse meglio così e aveva quindi lasciato perdere. Che senso aveva interrogarsi su cose per le quali non si poteva avere alcuna risposta? Era andato avanti senza guardarsi indietro, senza mai soffermarsi davvero ad analizzare i suoi passi per cercare di capire che cosa si fosse lasciato alle spalle, che cosa aveva dimenticato, che cosa avrebbe dovuto assolutamente recuperare. Aveva continuato a guardare di fronte a sé, a muoversi senza fermarsi davvero, pur di riempire le giornate e sforzarsi di non pensare. Una parte di lui era convinta che ci fosse qualcosa di molto importante che stava trascurando, qualcosa che sembrava voler emergere nei suoi testi ma che lui non riusciva davvero ad afferrare. C’era una figura ricorrente, senza nome, che si mostrava come uno spettro ricorrente in tutti i suoi testi che sembrava volergli dire qualcosa. Era forse soltanto un’idea? Un concetto astratto che non riusciva mai a comprendere davvero? O si trattava in realtà di qualcuno che non riusciva a ricordare? C’era sempre questa fantomatica lei, qualcuno a cui sembrava tenere molto, qualcuno che era stato davvero importante, ma che per lui, in quel momento, non era che un insieme di parole sulla carta, a cui non poteva dare una spiegazione logica. Ci si era arrovellato su parecchie volte, aveva domandato al suo amico se tutto quello che aveva scritto gli diceva qualcosa, ma lui gli aveva risposto che doveva trattarsi dell’alcol, o che, semplicemente, poteva trattarsi di un gioco della sua mente. Alla fine aveva deciso di fidarsi di lui e di metterci una pietra sopra. Le canzoni erano belle, gli piacevano, e se venivano soltanto da chissà quale musa ispiratrice che viveva solo nella sua testa per lui poteva andare bene, purchè gli altri continuassero a voler ascoltare le loro canzoni. Era quella l’unica cosa importante, l’unica che gli permetteva di arrivare a fine mese senza troppi problemi.
    Avevano impiegato qualche mese ad entrare davvero in sintonia mentre suonavano, come se anche loro due avessero avuto bisogno di un po’ di tempo per conoscersi di nuovo prima di poter partire per quell’avventura, ma alla fine tutti i loro sforzi avevano dato dei buoni frutti. Era bello poter vivere di qualcosa che ti piaceva e che era in grado di riempirti il cuore, giorno dopo giorno. Ma era anche, al tempo stesso, piuttosto complesso. Non potevano mai davvero prendersi una pausa, decidere di staccare per un’intera settimana e andare a farsi un giro, per schiarirsi la mente e trovare le idee per nuove canzoni. Avevano la necessità di esibirsi di continuo, almeno fino a quel momento, per poter mettere da parte i soldi necessari per continuare a spostarsi e a suonare. Non riuscivano mai a stare troppo a lungo nello stesso posto, alla fine i locali chiamavano un altro gruppo, iniziavano a stancarsi di avere sempre le stesse canzoni e loro non avevano abbastanza tempo per prepararne delle nuove. La notte era sempre stata l’unico momento in cui Erik riuscisse a sentirsi in pace, come se durante la giornata il sole lo mettesse in soggezione e gli facesse perdere tutta l’ispirazione. Quando calava il buio invece, e attorno a lui il mondo si faceva più silenzioso, riusciva a trovarsi maggiormente a suo agio, come se avesse una particolare affinità con le ombre e le tenebre. Soltanto quando era tornato a Besaid si era reso conto di poter avere un reale contatto con quella materia oscura, quando era riuscita a muoverla per qualche momento prima che questo lo facesse uscire fuori di testa. Besaid era una città molto più strana di quanto avesse creduto e gli sarebbe servito un po’ di tempo per ambientarsi, sempre che avessero deciso di restare un po’ più a lungo del solito, per riuscire a scoprire qualcosa sul proprio passato.
    Ritrovarsi quindi a suonare all’Egon pub era strano ed entusiasmante al tempo stesso. Si sentiva un po’ a disagio nel ritrovarsi in un posto in cui molte persone sembravano guardarlo come se lo conoscessero, eppure, sotto altri aspetti, era come vivere la vita di una celebrità. Intuiva che non fosse per la sua fama, che dovevano esserci motivi molto diversi se il proprietario di quel locale lo aveva contattato, ma avrebbe cercato di affrontare quell’argomento nei giorni successivi, dopo aver ricevuto almeno metà della paga che gli aveva promesso. E poi, doveva ancora riflettere su quali fossero le migliori domande da porre e riuscire a trovare il coraggio di esprimerle a voce alta. Chissà, forse non sarebbe neanche stato necessario, magari qualcuno del pubblico gli avrebbe rivolto la parola di sua iniziativa e avrebbe iniziato a raccontargli qualcosa, magari avrebbe trovato qualcuno in grado di alleggerire il peso che aveva sentito quando aveva messo piede in quella città, oppure se la sarebbe dovuta sbrigare da solo, come aveva fatto negli ultimi due anni. Di una cosa comunque era abbastanza convinto: non aveva intenzione di lasciare quella città fino a che non fosse riuscito a chiarire almeno qualche dubbio.
    Avevano suonato per quasi quarantacinque minuti quando il proprietario gli fece cenno di prendersi una piccola pausa e scendere dal palco, accompagnati dagli applaudi del pubblico che chiamava i loro nomi a gran voce. Sorrise, lieto di ricevere fugaci complimenti e pacche sulle spalle, sentendosi davvero come si trovasse a casa, circondato da amici, in un ambiente incredibilmente confortevole. Si avvicinò al bancone del bar, raggiungendo un gruppetto composto da tre ragazze. -Una birra, per favore. - chiese, al ragazzo dietro il bancone, che lo guardò per un momento con un’aria un po’ spaesata, come se non si aspettasse una richiesta come quella. -Non vuoi il tuo solito mojito Erik? - chiese, come se fosse la cosa più naturale del mondo, lasciandolo per qualche attimo senza parole. Perché avrebbe dovuto fare una scelta come quella? -No, io non bevo mai il mojito. - ribattè quindi, alzando appena le spalle e sollevando le mani in aria, come per chiedergli come gli fosse venuta quell’idea. Non si chiese come facesse a sapere il suo nome, ipotizzò che glielo avesse detto il proprietario per farli sentire un po’ più a loro agio. Aspettò la sua birra per qualche momento mentre il barista continuava a rivolgergli occhiate un po’ confuse, alternando lo sguardo tra lui e la ragazza bionda seduta su uno degli sgabelli vicino al bancone. L’aveva notata diversi minuti prima, mentre stava suonando e una strana scossa aveva illuminato la sua colonna vertebrale quando il suo sguardo aveva incrociato il suo per un momento, per poi spostarsi su qualcun altro, mentre continuava a suonare e a cantare. Anche lui, a quel punto, spostò lo sguardo su di lei e sulle sue amiche, che sembravano essersi zittite quando lui aveva raggiunto il bancone. Si allontanò di un passo, portandosi quindi tra la ragazza bionda e una delle sue amiche per poterla guardare con maggiore attenzione. Sembrava avere un’aria familiare, anche se non riusciva davvero a ricordare dove l’avesse già vista. Forse assomigliava a qualcuna che aveva incrociato in uno dei suoi viaggi, o forse davvero si conoscevano, quindi perché non fare un tentativo? -Ehi, ciao! - esordì quindi, con un leggero sorriso sul volto, mentre iniziava a mandare giù un sorso della sua birra. -Ci siamo già visti da qualche parte per caso? - chiese, in maniera piuttosto ingenua, non riuscendo davvero a ricordare. Se soltanto avesse avuto anche un minimo frammento della sua memoria e dei ricordi passati con lei, avrebbe saputo che la ragazza che aveva di fronte era la persona più sbagliata con cui iniziare ad interagire in quel bar e se ne sarebbe tenuto il più lontano possibile. Invece continuava a guardarla con quel sorriso, senza allontanare gli occhi da lei. Aveva soltanto pochi minuti di pausa prima di dover salire di nuovo sul palco e sapeva che, ben presto, qualcuno lo avrebbe richiamato all’ordine, ma nel frattempo voleva godersi un po’ di quella finta tranquillità.
     
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    Ophelia Jensen-Spector | 24 anni | proiezione mentale

    Non amava tornare all'egon, in realtà Ophelia non amava più frequentare i posti che aveva vissuto con lui, quei posti che le portavano alla memoria sia belle, che brutte cose. Erik era stato la sua adolescenza, il suo primo amore ed una delle persone più importanti della sua vita e come tale, aveva portato tanta gioia, ma anche tanto dolore alla ragazza.
    Non aveva potuto declinare l'invito delle sue amiche e quindi, Ophelia era andata incontro al suo destino accettando di uscire all'egon, dove quella sera avrebbe suonato un gruppo formidabile. In realtà nessuno si era preso la briga di informare la giovane dei nomi, dei due performer che, Ophelia avrebbe potuto riconoscere senza alcun dubbio: Erik e Jesper, una coppia che scoppia. Da sempre il nome di Erik era affiancato a quello del suo migliore amico, Jesper. Culo e camicia, uno l'ombra dell'altro e sicuramente, dei duo quello che faceva l'ombra era Jesper, dato che la mente malefica di quell'accoppiata scoppiettante e che faceva girare la testa a tutte le ragazze di Besaid, era proprio il caro Erik.
    Aveva pensato molte volte a come sarebbe stato rivederlo, le sensazioni che avrebbe provato e come avrebbe reagito se lui fosse andato incontro a lei. Il suo stomaco finiva in subbuglio ed il suo cuore iniziava a battere forte. Non l'aveva mai dimenticato in tutto quel tempo e mai, avrebbe potuto farlo. Ophelia, era una ragazza seria che si legava in modo molto radicale alle persone e tanto più, se a queste donava il suo cuore. Erik, avrebbe sempre avuto un pezzo del cuore di Ophelia e questo, la rendeva estremamente fragile nei suoi confronti. Nei suoi sogni, quando immaginava di rivederlo, Erik era cosciente di chi lei fosse e della loro storia, sognava che tornava da lei e che si redimeva per tutto quello che le aveva fatto, che avrebbe fatto di tutto per rimettere le cose a posto. In quei sogni, lei aveva il coraggio di tenergli testa e di metterlo in difficoltà, lasciandogli poi in fin dei conti la possibilità di dimostrarle che ci teneva veramente a lei.
    Tutto invece nella realtà era diverso.
    Erik se n'era andato insieme a Jesper da Besaid, era stato via un paio di anni e questa lontananza lo aveva portato a dimenticarsi di lei. Questa cosa la feriva, le faceva male perchè trovava assurdo che tutti quegli anni vissuti insieme erano diventati come fumo. Eppure, Ophelia doveva accettare quella verità perchè non sarebbe mai potuta cambiare.

    Seduta sullo sgabello di quel bar che conosceva fin troppo bene, Ophelia muoveva in modo nervoso la sua gamba. Non riusciva a stare tranquilla e l'unica cosa che voleva realmente fare era fuggire da quel posto. Eppure, non poteva farlo perchè sapeva che tutti, all'interno di quel bar avrebbero parlato alle sue spalle e fatto dei ricami allucinanti su quello che era stato, e che poteva essere, di lei ed il suo ex fidanzato. Tutti si comportavano come se niente fosse eppure, sentiva i loro occhi posati su di lei per vedere come si sarebbe comportata. D'altronde Erik era stato uno dei migliori clienti di quel pub, lui e la sua combriccola organizza feste faceva base lì per ogni cosa: la bevuta di ogni sera, una festa non organizzata a casa, le ubriacate prima delle feste, il luogo dove cercare le ragazze da importunare. Poi era arrivata lei ed Erik era cambiato, si era fatto più affabile e più tranquillo, nonostante non mancasse di mantenere alto il suo onore.
    Ophelia vuoi smetterla di far ballare le gambe? Fai tremare anche noi... risero le sue amiche, mettendo entrambe le loro mani sulle cosce di Ophelia per fermare quella danza frenetica che aveva messo in atto. Ragazze, quello è Erik fù l'unica cosa che la giovane riuscì a pronunciare, facendo attenzione che il barista non origliasse la loro conversazione cioè.. quell'Erik? domandò una delle due, alzando un pò troppo la voce, che abbassò immediatamente notando lo sguardo fulmineo che Ophelia le lanciò, annuendo poi con un gesto della testa. Oh cazzo! pronunciò l'altra. Loro due, erano le uniche ragazze del corso con cui Ophelia aveva legato maggiormente e, l'uniche a conoscere alcuni dettagli sulla sua storia con il ragazzo. Bhè.. ora capiamo perchè non ti accontenti tanto facilmente..! scherzò una, riferendosi all'aspetto di Erik che, nonostante il tempo era rimasto sempre in forma anche se, a differenza di allora sembrava essere più naturale e meno tirato.
    Una birra, per favore!
    Non vuoi il tuo solito mojito Erik?
    No, io non bevo mai il mojito
    Avrebbe riconosciuto la sua voce in mezzo a mille altre. Il tono caldo, leggermente rauco e profondo, affascinante, così come il suo sguardo strafottente e sicuro. Ophelia aveva sempre odiato le persone spocchiose, e l'Erik che aveva conosciuto lei faceva proprio parte di quel gruppo di persone tanto che, criticava sempre le sue amiche che lo idolatravano come usavano fare gran parte delle ragazze della loro età. La celebrità della scuola, durante i percorsi obbligatori e poi, anche quella dell'università. Ci aveva messo molto, ad accettare il suo primo invito, non voleva avere niente a che fare con lui e lo vezzeggiava quando poteva, prendendo in giro quel suo essere così altezzoso. Trovò quasi il modo di obbligarla ad accettare il suo invito e da allora, iniziò a scoprire un lato di lui più umano che la portarono ad accettare un secondo invito, poi un terzo e via dicendo. Non che Erik fosse un tipo che rinunciasse alle cose che voleva, ricorda ancora quando declinò il secondo invito e dopo poco se lo trovò sotto casa minacciandola di mettersi a cantare o suonare il campanello fino a quando non fosse uscita e montata in macchina con lui. Era stato insistente, molto insistente con lei e quella perseveranza l'aveva premiato, facendo si che la dolce biondina si innamorasse follemente di lui con il corso del tempo.
    Dovresti provarlo, il mojito.. un tempo era il tuo must have esclamò lei, senza trovare il coraggio di girarsi in sua direzione. Le bolliva il sangue, la sua testa stava scoppiando e il cuore aveva preso a battere in modo ancor più violento di prima. Ne era certa, avrebbe sfondato la sua cassa toracica. Ehi, ciao! Ci siamo già visti da qualche parte per caso? si girò Ophelia, incrociando i suoi occhi con quelli di lui e fù allora, che quel delirio che aveva dentro uscì prepotentemente dalla sua coscienza mentale, per proiettarsi in quella del ragazzo che aveva difronte. Erano loro due, era il loro primo incontro, era un Ophelia che lo criticava per essere l'ennesimo ragazzo viziato che per assenza d'amore dei genitori, si sfogava sul resto del mondo incapace di fronteggiarlo, c'era un ragazzo rimasto affascinato da una ragazza carina che per la prima volta, si metteva testa a testa con lui, senza cadere ai suoi piedi. Sfuggì tutto via, in un misto di confusione, parole soffiate, ricordi volati nel vento della loro coscienza.
    Non sapeva come spiegare tutto quello, non sapeva come giustificarsi con lui e non sapeva neanche cosa avrebbe realmente percepito di quella confusione di ricordi e sensazioni che erano scappati via dalla sua proiezione mentale. Non avrebbe voluto farlo, non avrebbe voluto fargli vedere niente di quello che un tempo erano stati eppure, Ophelia non era in grado di controllare bene il suo potere quando il panico o le emozioni troppo forti la colpivano nel profondo. Una leggera emicrania ed un piccolo giramento di testa furono solo la conseguenza di quella fuga di informazioni, le ci vollero pochi minuti a riprendersi per cercare nuovamente lo guardo di lui e cercare di capire cosa avesse realmente appreso. Era spaventato? Aveva capito qualcosa?
    Io sono Ophelia balbettò, non sapendo cosa dire e cosa fare.

    Proiezione mentale, cioè l’abilità di proiettare la propria coscienza e/o emozione dentro alla mente di un altro individuo.
    Ha quindi la capacità di far affluire i suoi pensieri - siano questi semplici sensazioni, ricordi - nelle menti degli altri, materializzandoli in immagini o semplici pensieri.
     
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    Era tornato a Besaid senza aspettarsi troppo da quella città. Non aveva ragionato, prima di mettersi in viaggio, sul fatto che lì potesse esserci qualcuno che tempo prima si era lasciato indietro: una famiglia, una ragazza, degli amici. Si era semplicemente lasciato guidare dall’istinto, dicendo a se stesso che, se davvero ci fosse stato ancora qualcuno di così importante nella sua vita in quella città, non se ne sarebbe certo andato senza guardarsi indietro e, soprattutto, ne avrebbe conservato qualche ricordo. Come potevano esistere così tante persone di cui non aveva alcuna memoria? Non poteva certo sapere, lui, che Besaid era davvero un posto speciale, dove le cose non andavano come in qualunque altro posto. Sapeva, due anni prima, a che cosa andava incontro quando aveva scelto di mettersi in auto e allontanarsi dai suoi confini, ma si era detto che sarebbe stato via solo per due settimane, che sarebbe bastato far sbollire la rabbia, placare un po’ di quei pensieri e dei sensi di colpa, e poi sarebbero rientrati, lui e Jesper, senza riscontrare alcun problema o perdita di memorie importanti. L’idea di rimanere molto più a lungo, di avere bisogno di molto più tempo per riflettere, non gli aveva neanche sfiorato l’anticamera del cervello, era successo e basta. Lentamente i ricordi si erano affievoliti, i volti delle persone erano sbiaditi, ma si era detto che avrebbe fatto in tempo, che aveva ancora qualche giorno prima che fosse troppo tardi. E poi, una mattina, si era svegliato e non era rimasto più nulla a cui aggrapparsi per tornare indietro. Besaid era divenuta soltanto l’ombra di tanti ricordi, impossibile da riportare in superficie senza una bella spinta, senza l’aiuto di qualcuno. La telefonata da parte dell’Egon era stata il primo appiglio che aveva ricevuto dopo tutti quegli anni e lui aveva sentito come un richiamo, una forza invisibile che lo aveva spinto ad accettare e fare le valigie il più in fretta possibile per mettersi in macchina e tornare indietro. Aveva sperato che mettere piede in quel posto gli trasmettesse qualcosa, che quei luoghi risultassero finalmente familiare ai suoi occhi, ma quando aveva visto il cartello con il nome della città non era successo assolutamente niente. Non aveva avuto un incredibile senso di nostalgia, nessun sorriso era comparso sulle sue labbra davanti a qualcosa di familiare. Era come se non avesse mai visto quel posto e il fatto che all’Egon le persone sembrassero riconoscerlo non era che un problema nuovo e più pesante da portare sulle spalle, che di certo non facilitava una più veloce integrazione in quel luogo.
    Dopo una prima ora di concerto finalmente si recò al bancone, ordinando una birra che lo avrebbe sicuramente aiutato ad affrontare quella situazione nel migliore dei modi. Erano anni ormai che lui e Jesper si ritrovavano di fronte ad una bella birra ghiacciata per discutere dei loro testi e delle ragazze che avevano adocchiato, dei problemi che potevano occupare le loro menti o anche soltanto di qualche nuova idea. Era diventato naturale ormai per lui pensare che fossero sempre state quelle le sue abitudini. Sentirsi quindi rivolgere quella strana domanda dal barista, accompagnata da un’occhiata confusa, lo lasciò per un attimo senza parole. Trovava strano e un po’ irritante che tutte quelle persone si comportassero come se lo conoscessero da tempo e sapessero tutto di lui, mentre lui era abbastanza convinto di non averle mai viste e di non condividere affatto il loro punto di vista sulle sue preferenze. Che cosa gli stava sfuggendo? Che cosa non riusciva a capire?
    La ragazza dall’aria familiare seduta al bancone, poco distante da lui, lo invitò a provare davvero il mojito, affermando che un tempo era stato il suo preferito, senza tuttavia voltarsi a guardarlo. Ancora una volta quelle parole suonarono piuttosto strane alle sue orecchie, ma era troppo incuriosito da quella figura, la prima che sembrasse riuscire a trasmettergli qualcosa, dopo tutto quel tempo, per evitare di chiedere di più sul suo conto. Era come se una voce dentro di lui gli suggerisse di averla già vista, di conoscerla, eppure non riusciva davvero a ricordare dove si fossero incontrati. Forse era accaduto in qualcuno dei suoi viaggi in giro per la Norvegia? Era già stata ad altri suoi concerti per caso? Poi, un istante dopo, tutto intorno a lui mutò. Appena gli occhi della ragazza si sollevarono sui suoi la sua mente venne invasa da immagini che sembravano non appartenergli: istantanee di loro due insieme, momenti che era convinto di non avere mai visto o vissuto e che eppure, dopo essere apparsi nella sua mente, lasciarono uno strascico difficile da mandare via del tutto, un sapore amaro che non riusciva a spiegarsi. Una strana sensazione di nausea gli invase la bocca dello stomaco quando quelle immagini sparirono, lasciando il posto di nuovo alla sala del locale dove si trovavano in quel momento. Puntò lo sguardo a terra, visibilmente disorientato, mentre cercava di comprendere che cosa fosse appena accaduto. Perché avevo visto quelle strane immagini? Ma soprattutto, erano vere? Rimase in silenzio, senza quasi rendersi conto della birra che il ragazzo al bancone aveva tirato fuori per lui, troppo preso da quel vortice di pensieri che stava rischiando di fargli venire la nausea. Entrambi rimasero in silenzio per un po’, prima che lei prendesse parola rivelandogli il suo nome, Ophelia. Un’immagine quasi sfuocata di lei che gli sorrideva si impose nei suoi pensieri come una secchiata d’acqua gelida in pieno volto mentre lui cercava ancora di comprendere che cosa stesse accadendo. Non gli era mai capitato di pensare a quella ragazza prima d’allora, quindi perché aveva la strana sensazione di conoscerla davvero?
    Dopo qualche altro istante si decise a risollevare lo sguardo su di lei, ancora abbastanza confuso, osservandola in maniera un po’ più guardinga ora, decisamente meno euforico di prima. -Erik. - disse, allungando lentamente una mano verso di lei, come se non fosse davvero convinto di quel gesto. Temeva forse che, toccandola, potesse generare altri strani ricordi, strane sensazioni che avrebbero potuto pregiudicare l’andamento del resto della serata. Soltanto allora, con la coda dell’occhio, notò la sua birra e si affrettò ad afferrarla, mandandone giù un sorso direttamente dalla bottiglia, come se avesse avuto la pressante necessità di mandare giù qualcosa di ghiacciato per poter parlare ancora. -Senti io… - iniziò, per la prima volta un po’ a disagio di fronte a qualcuno. Aveva sempre saputo cosa dire, aveva sempre avuto una battuta sulla punta della lingua da sfoderare nei momenti meno opportuni, eppure, in quel momento, davanti a lei, si sentiva completamente disarmato. -Dovrei tornare sul parco ora, non ho molto tempo. - disse, mentre sentiva Jesper iniziava a chiamarlo per ricordargli la sua birra e l’imminente ripresa dello spettacolo. Non voleva allontanarsi da lei, temeva che, se soltanto si fosse girato, lei fosse sparita esattamente come era apparsa. -Ma… vorrei parlare un po’ con te dopo, se puoi trattenerti. - mormorò, chiedendole di restare, di non scappare via prima che lo spettacolo fosse terminato, dato che neanche lei sembrava molto a suo agio con lui. Le immagini che si erano succedute nella sua mente avevano mostrato una versione di se stesso decisamente più intraprendente e sprezzante, una versione che non sembrava calzargli del tutto a pennello ma che in qualche modo gli suonava familiare, come se un minuscolo pezzetto di un ampio puzzle fosse finalmente tornato al su posto.
    Attese ancora qualche momento, sperando di ricevere una risposta positiva o almeno un cenno con il capo poi, voltandosi qualche volta a guardarla, come per accertarsi che davvero fosse ancora lì, si mosse di nuovo verso il suo amico, lasciandogli la sua birra tra le mani. -Ehi amico, sembra che tu abbia visto un fantasma! Tutto bene? - chiese quello, ridacchiando e il volto di Erik si rabbuiò per un momento, prima di scuotere appena il capo. -Sto bene. - disse quindi, non troppo convinto, cercando di scacciare quei pensieri dalla sua mente almeno per un po’, senza riuscirci troppo bene. -E ora finiamo la nostra scaletta. - aggiunse, mentre riprendeva in mano la sua chitarra, più impaziente che mai di finire quello spettacolo.
     
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    Ophelia Jensen-Spector | 24 anni | proiezione mentale

    Nel percorso di vita di ognuno di noi, ci sono delle persone che rimarranno per sempre indelebili, come un tatuaggio inciso dentro al cuore, impossibile da cancellare. Persone che, passo passo, avevano avuto la possibilità di percorrere con te il proprio cammino di vita e che, avevano condiviso con te esperienze delle più diverse. Queste persone, erano quelle capaci di farti provare le gioie ed i dolori più grandi, perché con queste avevi deciso di condividere passi importanti della propria esistenza che, per qualsiasi umano è talmente breve da dover selezionare bene le persone dalle quali farsi circondare.
    In loro, contavi di trovare una persona con la quale potersi confidare, poter ridere e piangere, poter viaggiare, studiare e fantasticare, persone delle quali ti potevi fidare ed inspiegabilmente ti facevano capire quanto la casa, spesso non era fatta da semplici pareti in muratura ma, da persone con le quali costruire e condividere qualcosa. Tu, sei la mia casa. Era una frase che Ophelia aveva potuto incontrare spesso in film o libri che aveva letto e fin tanto che non aveva provato quella sensazione sulla propria pelle, aveva quasi deriso la profondità di quelle parole poi, aveva trovato le sue migliori amiche e parte di quella realtà le si era mostrata di fronte, trovando in loro un supporto ed un amore infinito. Astrid e Sam le avevano fatto posare il primo mattone mobile, di quella casa che sembrava più essere una membrana capace di racchiudere uno degli organi più importanti del suo corpo: il cuore. Poi era arrivato Erik, nonostante la loro relazione fosse sempre stata complicata per le divergenza sociali e di pensiero, per lui aveva provato quel sentimento così prepotente e capace di farti mancare il fiato, che non aveva mai provato prima per nessun’altra e, un’altra porzione di quella casa mobile intorno al suo cuore, aveva preso vita. Si sentiva piena e forte, con quelle persone intorno a sè Ophelia, come capace di poter battere il mondo intero per loro fino a quando, Astrid non creò la prima crepa in quella membrana che racchiudeva quel muscolo pulsante, crepa che venne decisamente accentuata dalla scomparsa di Erik che, senza neanche lasciarle un messaggio se ne era andato via, lontano. Eppure, nonostante quel muscolo fosse divenuto più vulnerabile, continuava a battere e a lottare, a far sentire Ophelia a casa perché c’erano persone come suo padre e Samantha che continuavano a tenere saldo quel legame, fortificandolo sempre di più. Loro l’avevano ascoltata e protetta, l’avevano fatta sfogare, piangere e combinare quelle piccole cavolate che un cuore ferito sentiva il bisogno di fare. Così, loro avevano fatto capire ad Ophelia la costanza di cui era capace l’amore, la perseveranza e la potenza per la quale, una persona poteva prendere per mano un’altra e camminarci silenziosa al fianco, facendone sentire la presenza ma senza mai essere ingombrante. Grazie a loro aveva potuto trasformare i ricordi che le facevano più male, in quadri piacevoli della propria vita ed in modo, più o meno arrangiato, aveva provato ad archiviarli nei cassetti della sua memoria, consapevole che sarebbero rimasti chiusi li per un bel pò di tempo.
    Poi Erik era tornato.

    Mi convinco di non provare nulla per te, ma poi quando ti vedo scateni emozioni, di cui mi sono dimenticata l'esistenza.
    Penso solo a come questa infatuazione possa danneggiare entrambi, come può qualcosa di innocuo avere un effetto così devastante?


    Sapeva Ophelia, di non dover incrociare i suoi occhi con quelli del ragazzo eppure, la voglia di incontrare nuovamente quegli occhi nocciola, dalla forma allungata andava sopra ogni altre volontà. Sapeva di non doverlo fare, perché in quel momento non era in grado di intendere e di volere, era preda delle emozioni che violente le si stagliavano dentro come un mare in tempesta. Sapeva che, ogni minimo contatto con Erik poteva essere come una scintilla vagante volta ad infervorare il fuoco che aveva dentro in quel momento e che avrebbe reso vano ogni suo sforzo di controllare la sua capacità. Non aveva mai avuto grossi problemi Ophelia, a controllare la sua proiezione mentale eppure, quando andavano ad intaccare la più profonda sfera emotiva, tutto sembrava perdere il controllo come un piccolo orologio a pendolo che aveva perso il suo fermo, battendo ogni secondo all’impazzata. Ma certe volta, il cuore e l’istinto battono la razionalità e la logica facendoci fare le cose più stupide ed insensate e nonostante lo sforzo di impiegare tutta la propria volontà, il corpo fà esattamente ciò che non dovrebbe fare, come far posare i propri occhi dentro quelli della (ex)persona amata, scatenando l’avvenire.
    Ophelia sentì chiaramente, il proprio corpo e la propria mente distogliersi dal resto del mondo, come proprietaria in una realtà parallela ed una raffica di immagini attraversare la sua testa - e quella dell’interlocutore - di immagini, come fossero diapositive scattate una dietro l’altra, correlate dalle emozioni di quel momento vissuto.

    #1: Ophelia era fuori dalla scuola con le sue amiche, intenta a chiacchierare dello scoop della giornata: i posh avevano organizzato una festa nella suite dell’albergo più rinomato della città ed oltre ad aver ridotto la stanza un totale schifo, due ragazzi di sesso opposto erano finiti in ospedale per overdose.
    Ancora non si hanno novità sui due ragazzi? aveva chiesto una delle sue amiche, mentre Astrid, Sam e Ophelia si trovavano ad alzare le spalle interdette, non avendo nessun contatto con quella fascia elitaria. Poco dopo, quasi per magia, il gruppo Posh si materializzò di fronte a loro, pronto a sfilare via diretto chissà verso quale altra cazzata. Fù in quell’esatto momento che ci fù il primo vero contatto tra Ophelia ed Erik, quando lui la prese di striscio, troppo intento a fare il cazzone, senza premurarsi troppo di chiederle scusa ma posando più semplicemente i suoi occhi in quelli di lei. [click]
    #2: Da un paio di anni Ophelia frequentava un corso di volontariato per alzare i crediti scolastici e spesso, veniva accompagnata da Sam - una delle sue migliori amiche - spesso si trovavano ad aiutare gli anziani oppure, a doversi prendere cura di animali abbandonati e lei, certamente non si aspettava di ritrovarsi i Posh davanti. Oh cazzo! era raro che dicesse parolacce, eppure ogni tanto rendevano più chiaro il concetto da esprimere. Anche Sam non voleva crederci ed entrambe, si fecero il segno della croce consapevoli che quei tipi, potevano portare solo danni. Dovevano scontare delle ore di volontariato per una delle loro marachelle ed Ophelia, sperava vivamente di non trovarseli tra i piedi, specialmente il capobanda che, tanto era bello quanto sfacciato e spocchioso. Un giorno lo vide, fissarla mentre era intenta a pulire la cuccia/gabbia di due cagnolini che c’è?! Devo asciugarti la bava come faccio con la terza età? gli chiese, senza rendersi conto di risultare sicura di sè con quell’affermazione. Non si sentiva bella anzi, il problema principale era proprio il fatto, che odiasse sentirsi al centro dell’attenzione e lui la metteva a disagio. Lui la guardò, con uno sguardo tra lo stupito ed il divertito, mentre sul volto gli si dipingeva il famoso sorriso sghembo che faceva impazzire tutte [click].
    #3: i giorni del volontariato furono più di quanto entrambi si fossero aspettati e più la loro vicinanza aumentava, più l’interesse cresceva in entrambi. Ophelia era scettica, Erik era una persona che aveva avuto molti flirt e che non era famoso per essere fedele eppure, era come una calamita per lei. Quando non usava stupide scuse per avvicinarla - nonostante lei facesse finta di non voler passare del tempo con lui - Ophelia si sentiva sconfitta ed ogni volta che lui si avvicinava a lei, un sorriso le si dipingeva in volto quando lui non poteva vederla. Poi glielo chiese, finalmente, di uscire insieme. Il cuore di lei prese a battere all’impazzata ed era terrorizzata di balbettare nella risposta eppure, riuscì ad essere molto più sicura di quanto non pensasse ti porto a vedere l’aurora boreale e non accetto un no, come risposta. Sabato sera alle 9 sotto casa tua era deciso, sapeva cosa voleva e questa cosa aveva sempre affascinato Ophelia. Io porto la cioccolata calda lo aveva preso in giro lei, eppure l’aveva portata davvero nel termos, mentre lui aveva portato due coperte nelle quali avvolgersi mentre osservavano il cielo colorato della Norvegia [click].
    #4: Non era pronta Ophelia, a dire a tutta la scuola che stava frequentando uno dei più desiderati - e coglioni - della scuola in quanto, aveva sempre denigrato i tipi come lui e anche dentro sè stessa, svolgeva delle lotte interne dove si chiedeva se fosse giusto, lasciarsi travolgere da quella relazione, la sua prima relazione, proprio con uno come lui. Perfino Erik, sembrava non sopportare più quella situazione di limbo e segretezza. Eppure girava già la voce, che qualcuno avesse fatto capitolare Erik che sembrava essere meno assetato alle ultime feste che avevano organizzato lui ed i suoi amici e dove - miracolosamente - erano state invitate anche Ophelia e le sue amiche. Ma gli sguardi d’intesa e maliziosi che si scambiavano nei corridoi, erano palesi e sarebbero sfuggiti ancora per poco ai più curiosi della scuola [click].
    #5: l’Egon club era stracolmo di persone, gli amici di Erik avevano già preso posto al loro tavolo preferito, quello dal quale potevano controllare tutto il locale. Jesper stava tenendo testa a tutti gli altri, mentre con il mixer si divertiva ad improvvisarsi dj - ed era anche piuttosto bravo - Ophelia ed Erik erano appena arrivati e non passarono molti minuti prima che un cameriere allungò un Mojito a quest’ultimo, per poi chiedere a lei, cosa avrebbe voluto bere. Non amava i cocktail e spesso, non sapeva cosa prendere così, Erik andò in suoi aiuto proponendole un Daiquiri il preferito dallo scrittore Hernst Hemingway [click]

    Fortunatamente, per quanto la capacità era sfuggita al controllo di Ophelia, questa era riuscita a proiettare nella mente di lui solo immagini fugaci dei loro primi incontri evitando, la parte più intima e longeva del loro rapporto. Non voleva sconvolgerlo, non era sua intenzione eppure certe cose non poteva comandarle. Lui era stato parte integrante della sua vita ed in più, aveva rappresentato una delle fette più importanti, lasciando un vuoto incolmabile dentro di lei quando se n’era andato ed ora, che se lo ritrovava difronte dopo ben due anni, Ophelia si rese spaventosamente conto che molti dei sentimenti che provava verso di lui erano ancora vividi in lei, misti a quelli di rabbia, delusione, dolore.
    Quando la capacità rientrò, Ophelia venne investita da una forte emicrania con capogiro tanto che, non riuscì ad accorgersi della totale confusione, seguita all'imbarazzo, che aveva risvegliato in Erik nonostante, sapesse perfettamente cosa quelle immagini potevano aver scatenato un una persona che, non ricordava più niente di ciò che era stato. Dovrei tornare sul parco ora, non ho molto tempo. Ma… vorrei parlare un po’ con te dopo, se puoi trattenerti.
    Davanti a quella proposta, come succedeva sempre quando si trattava di lui, Ophelia era divisa in due: voleva rimanere, voleva passare del tempo con lui ed assicurarsi che stesse bene e forse, voleva anche un pò che lui potesse risvegliare qualche ricordo sopito di lei ma anche, voleva scappare, voleva andare via lontano e non dover affrontare un approccio con lui dato che, non sapeva esattamente cosa dirgli. Le sue amiche, erano rimaste imbambolate a vedere tutta la scena, anche loro troppo curiosa di vedere Ophelia alle prese con un uomo - figuriamoci se con lui. Non erano abituate le sue amiche, a vederla in quella veste perché lei, era sempre stata una di quelle persone che si legava in modo profondo con gli altri, che non era capace di relazioni di poco conto e che raramente, riusciva ad essere maliziosa e provocante con il sesso maschile. Erik, era stato l’unico vero ragazzo di Ophelia, l’unico (ed il primo) a cui aveva donato tutta sè stessa e nonostante avesse provato a frequentare un paio di ragazzi nel corso di quei due anni, con nessuno era andata mai oltre.
    Quando il concerto fù finito, le sue sue amiche di prepararono per andare via, mentre Ophelia rimase incollata sulla seduta, persa un po’ dentro l’alta marea che aveva dentro e sembrava, essere stata incollata con l’attack su quello sgabello anche un pò scomodo, se proprio la si vuole dire tutta. Allora che fai? Vieni con noi? chiese la mora, delle due noi domani abbiamo un corso in università, quindi preferiamo andare.. si giustificò l’altra, consapevole della richiesta che aveva fatto prima Erik a lei.
    Doveva rimanere, oppure doveva darsela a gambe?
    Poco lontano da loro, Erik e Jesper erano stati inglobati da un gruppetto di persone. Il suo ex, sembrava intento a trovare un modo per distaccarsi da loro ma, trovava delle difficoltà soprattutto perché, molti di quei ragazzi erano persone a loro un tempo molto familiari. Poi lo vide, lo sguardo di lui cercare la sua figura, bisognoso di quella sicurezza che lei fosse ancora lì, quello sguardo che aveva già visto in passato, rivolto in sua direzione. Annuì, semplicemente, facendogli capire che sarebbe rimasta, che non sarebbe andata da nessuna parte. D’altronde Ophelia non era come lui, non fuggiva alle difficoltà piuttosto, le affrontava a testa alta sperando di trarne in qualche modo, la parte più positiva. Era strano vederlo lì, navigare nel nulla cosmico dei suoi ricordi e notare che, non riusciva a riconoscere nessuno di loro. La trovava terrificante Ophelia, quella cosa, il fatto di voler cancellare parte importante della vita vissuta, persone che avevano fatto parte integrante del proprio percorso, le faceva venire i brividi.
    Quando finalmente Erik fù libero di andarsene da quel gruppetto di persone, lasciando Jesper ad intrattenerle, Ophelia era già al suo secondo cocktail e non essendo molto abituata a bere, sentiva già l’angioletto buono nella sua testa ripeterle che non era una buona idea, finirlo tutto. Bentornato, Erik Mathias Andersen.. lo salutò lei, ponendo attenzione questa volta a non lasciare che la propria capacità la sopraffacesse vedo che al tuo vecchio gruppo di amici, è piaciuta molto la vostra esibizione continuò, provocandolo appena, consapevole che lui era incapace di ricordarsi tutti quei volti siete bravi, comunque! commentò poi, passandogli il mojito che aveva chiesto al barista non appena, aveva visto che si stava liberando per andare verso di loro dai, provalo lo incitò lei sorridendo curiosa. Si era promessa, di provare a non serbare rancore con lui, almeno per quella sera e di provare a parlarci normalmente.
    non ho riletto cuore!
     
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    Si era sentito piuttosto tranquillo in quegli ultimi due anni, vagamente turbato dall’assenza di ricordi particolarmente importanti della sua vita, di legami di parentela o ulteriori amicizie a parte Jesper. Aveva trovato piuttosto strana quella sensazione che lo avvolgeva ogni volta che cercava di ricordare qualcosa senza riuscire a cavare un ragno dal buco. In qualche occasione infatti si era sentito un po’ a disagio di fronti a nuovi amici che gli raccontavano tantissimi aneddoti sul loro passato e sulla loro infanzia, aspettandosi che lui facesse altrettanto. Non aveva comunque provato a rivolgersi ad un medico, a qualche specialista per cercare di capire che cosa fosse accaduto e perché avesse dimenticato il suo passato. Non sapeva neanche quando esattamente fosse successo o che cosa fosse successo. Si era semplicemente detto che quella fosse sempre stata la sua routine, che nulla fosse davvero cambiato. Aveva trovato un modo di andare avanti, di mettere da parte i dubbi e le incertezze per evitare che questi potessero trascinarlo a fondo e impedirgli di continuare a vivere. Eppure il passato prima o poi riusciva sempre a raggiungerti e arrivare a bussare alla tua porta e così era stato per lui quando aveva ricevuto l’invito di suonare a Besaid. Forse sapendo in anticipo quanto sarebbero state strane le cose in quella cittadina avrebbe rifiutato, cercando di tenere al sicuro quello che si era lentamente conquistato in quegli anni, che aveva messo da parte con fatica costruendosi da zero una nuova esistenza. O forse, se avesse davvero saputo che si era lasciato qualcosa di importante alle spalle, qualcuno che avrebbe fatto meglio a ricordare, avrebbe compiuto esattamente la stessa scelta, con ancora più convinzione. Per il poco che sapeva della sua esistenza non ricordava di essere mai stato un codardo, uno che fuggiva dai problemi per evitare di risolverli, ovviamente non poteva sapere quanto si sbagliasse. In quegli anni aveva sempre affrontato tutte le situazioni di petto, mettendoci sempre la faccia e cercando di imparare il più possibile dai suoi errori per evitare di poterli commettere ancora. Non poteva immaginare quanto i suoi vecchi amici avrebbero potuto trovarlo diverso dal ricordo che avevano di lui, quanto lei avrebbe potuto trovarlo diverso dopo appena due anni.
    Forse staccare la spina gli aveva fatto bene, forse se non lo avesse fatto non sarebbe mai riuscito a crescere davvero e diventare il tipo di persona che, vivere lontano dal lusso e dai vizi, gli aveva permesso di essere. Non era assolutamente preparato a incontrarla di nuovo, a rivedere quel viso che era stato nei suoi pensieri per anni e che era stato il più difficile per lui da dimenticare quando era andato via. Se ne era andato per lei, per l’ultima furiosa discussione che avevano avuto sulla loro relazione ed era incredibile che proprio la prima persona di cui fosse riuscito a ricordare il nome fosse appunto lei. Era come se fosse sempre rimasta sospesa nella sua mente, troppo importante per poter essere dimenticata del tutto e troppo dolorosa per poter essere riportata alla mente senza un piccolo aiuto. Non immaginava che avvicinarsi a quella che per lui era una completa sconosciuta avrebbe potuto dargli simili sensazioni né che quella stessa ragazza potesse lasciarsi sfuggire alcuni fugaci ricordi del loro passato. Tutto d’un tratto la sua mente si popolò di immagino che lui aveva sepolto chissà dove. Inizialmente gli sembrò di non avere niente a che fare con quello che stava vedendo, con le persone che scorrevano davanti ai suoi occhi, ma quando il suo sguardo incrociò per la prima volta quello di Ophelia fuori da scuola gli sembrò di ricordare qualcosa. Quello era lui, poteva riconoscere il suo volto nonostante fossero passati degli anni, ma non riusciva a mettere perfettamente a fuoco quel momento all’interno del suo passato. C’erano troppi tasselli mancanti, troppi buchi. Rimase sospeso in quello sguardo per qualche secondo prima che le immagini mutassero e lui venisse catapultato all’interno di una stanza che aveva un che di vagamente familiare. Vivere le cose dal punto di vista di lei era incredibilmente strano eppure si ritrovò a muoversi come uno specchio quasi e compiere le stesse azioni che il ragazzo davanti a lui faceva ogni volta che la incrociava. Una parte di lui non riusciva a riconoscersi del tutto in quelle azioni mentre un’altra sapeva che era esattamente quello il modo in cui sentiva che si sarebbe comportato. Non c’era niente di più strano che guardare qualcuno che gli assomigliava così tanto e non riuscire davvero a riconoscervisi. Lei invece sembrava così bella quando era immersa nei suoi pensieri, così sicura di sé.
    Non riusciva a comprendere quanto tempo passasse tra una scena e l’altra, tutto ciò che riusciva a intuire, semplicemente osservando quelle due persone dall’esterno, era che doveva esserci stato un forte legame tra di loro, qualcosa che avevano costruito con tempo e fatica e che non era sempre andato per il verso giusto. Gli tornò alla mente la prima volta in cui le aveva chiesto di uscire e qualcuna delle discussioni che avevano avuto prima di decidere, finalmente, di uscire allo scoperto. Non riusciva davvero a capire perché fossero stati così reticente, che cosa li avesse convinti a tenere tutto in gran segreto all’inizio. Doveva esserci qualcosa di molto importante sul suo passato che gli sfuggiva, qualcuno che doveva essere anche profondamente legato al fatto che tutti sembrassero conoscerlo, che tutti si aspettassero di sapere esattamente chi fosse e quali fossero i suoi gusti, anche se non sembravano azzeccarli mai. Era possibile che una persona potesse cambiare così tanto e in così poco tempo? Vide persino una conferma della teoria che sia la ragazza che il barista avevano sul mojito, vide se stesso prenderne uno e consigliare a lei qualcosa da bere, anche se fino ad un attimo prima era stato convinto di non averne mai assaggiato uno e di non volerlo neanche fare. Sembrava uno di quei drink da ricconi con la puzza sotto il naso, qualcosa che in effetti non pensava neanche di potersi permettere, eppure tutto sembrava volergli suggerire il contrario.
    Quando finalmente riuscì a fuoriuscire da quell’intricato percorso di non memorie non sue si ritrovò a fissare la ragazza senza sapere bene che cosa dire o che cosa fare. Aveva un gran mal di testa e anche un principio di nausea per via di quei repentini cambi privi di preavviso, ma si sforzò di rimanere fermo davanti a lei sperando di poter leggere nel suo sguardo una spiegazione. Perché aveva visto quelle cose? Era stata lei a mostrargliele? E come aveva fatto? C’era per caso qualcosa di magico in quella città? Era stato quello il motivo per cui se ne era andato e aveva cercato di dimenticare ogni cosa? Non ne aveva idea e per quanto si sforzasse di riportare alla mente qualche episodio o motivazione non riusciva davvero a capire. Nonostante la confusione, tuttavia, riuscì a scorgere con la coda dell’occhio l’amico che cercava di richiamarlo verso il palco, visto che il loro spettacolo sarebbe ripreso di lì a pochi minuti. Non era tanto sicuro di riuscire a salire sul palco con la stessa tranquillità e sicurezza di prima dopo quanto era appena accaduto, ma avrebbe comunque dovuto provarci, o almeno mostrare al pubblico che tutto andasse bene. Avrebbe voluto avere il tempo di chiederle qualche spiegazione, di capire che cosa era appena successo ma si sforzò di rimandare quelle domande a circa un’ora più tardi, quando sarebbe stato finalmente libero di fare quello che voleva e prendersi tutto il tempo di cui aveva bisogno. Sperava che lei non avesse alcun impegno urgente a breve scadenza e che avesse voglia di restare in quel pub ancora per un po’. Piuttosto preoccupato di ricevere una seccata risposta negativa tentò comunque di chiederle di trattenersi almeno sino alla fine del concerto per poter scambiare quattro chiacchiere. Una parte di lui, sebbene piuttosto remota e nascosta, sapeva di stare probabilmente chiedendo troppo, che visto che non ricordava come erano andate le cose tra loro, come fossero giunte al termine, forse sarebbe stato meglio lasciarla in pace, permetterle di continuare a vivere tranquillamente la sua vita come aveva fatto sino ad allora. Ma un’altra invece non riusciva a smettere di chiedersi che cosa fosse accaduto, che cosa lo avesse spinto a spezzare ogni legame con quel luogo e con tutte le persone che lo abitavano. Si mosse velocemente, con le due birre tra le mani, per raggiungere Jesper e terminare quindi un po’ più in fretta la pausa. Sebbene la sua mente fosse ancora concentrata su di lei si sforzò di riprendere con il concerto, così da portarlo a termine il prima possibile. Era incredibile come le priorità potessero mutare in fretta, a causa di un incontro casuale. Se fosse stato il suo amico ad avvicinarsi al bancone del bar al suo posto magari non l’avrebbe mai rincontrata, non avrebbe mai saputo che una persona che un tempo era stata così importante per lui era stata solo a pochi metri da lui e che avrebbe potuto avere l’occasione di parlarci e scoprire qualcosa.
    Chiuse gli occhi per un momento quando iniziarono a suonare una canzone che aveva portato sul palco tantissime volte in passato e che soltanto in quel momento capì a chi poteva essere dedicata. Probabilmente era a lei che aveva pensato quando l’aveva composta, quando aveva scritto di gesto quelle parole che parlavano di amore di abbandono, di una lontananza di cui doveva essersi pentito in un certo momento, anche se non riusciva a richiamare chiaramente quei dettagli nella sua mente. Avrebbe voluto eliminarla dalla scaletta almeno per quella sera, ma era stato il proprietario del locale a sceglierla quando aveva ascoltato il loro repertorio ed era convinto che non sarebbe stato troppo felice di un cambio dell’ultimo minuto. Riaprì gli occhi soltanto verso la fine, puntandoli su di lei, come per accertarsi che ci fosse ancora, o forse per capire se quelle parole l’avessero in qualche modo colpita, se l’espressione sul suo volto fosse mutata, se le fosse piaciuta. Neanche lui sapeva dire con esattezza che cosa si aspettasse ma sentiva il bisogno di guardarla, di trovarla in mezzo a quella folla. Cercò di liberarsi velocemente dalla moltitudine di persone che si erano affollate attorno a loro appena il concerto si era concluso e loro erano scesi dal palco. In tantissimi sembravano volerlo salutare, chiedergli notizie sull’ultimo periodo, capire dove fosse stato, ma lui continuava a sollevare il capo in cerca di lei e di una buona motivazione per filarsela il più in fretta possibile. Notò le sue amiche alzarsi dallo sgabello vicino al bancone e iniziare a prendere le loro giacche ma lei rimase seduta, immobile. La vide annuire appena nella sua direzione e allora lui sospirò appena, come se si fosse appena liberato di un peso e sorrise. -Scusatemi, ho urgente bisogno di andare al bagno. - disse, non riuscendo a trovare una motivazione più sensata per liberarsi dalla folla. -Ci becchiamo sicuramente in giro però. - aggiunse, rivolgendo un mezzo sorriso e un occhiolino in direzione di quelli che si erano mostrati maggiormente delusi, prima di sgusciare velocemente fuori dal gruppo, prima che qualcun altro potesse bloccarlo.
    Rallentò il passo soltanto quando fu ormai a pochi metri da lei, sentendo di nuovo nascere dentro di sé una certa agitazione. Era stato lui a chiederle di aspettarlo per parlare, di rimanere oltre il concerto, eppure ora che quel momento era arrivato non era più certo che la sua fosse stata la decisione migliore. Lo colpì sentirsi chiamare con entrambi i suoi nomi e persino il suo cognome. Immaginava che fosse un modo, da parte di lei, di dirgli che lo conosceva davvero e che sapeva molte cose sul suo conto, probabilmente più di quante ne sapesse lui stesso. Abbozzò un sorriso nella sua direzione, mentre andava a sedersi nello sgabello proprio di fianco a lui, cercando di mostrarsi tranquillo e sicuro. -Ciao. - disse soltanto, senza aggiungere molto altro, restando poi ascoltare le sue parole. -Ah, dovrebbero essere i miei amici? - chiese, con un’espressione abbastanza dubbiosa sul volto mentre rivolgeva loro un’altra fugace occhiata. -Onestamente non ho idea di chi siano quelle persone. - ammise, senza neanche provare a fingere che la situazione fosse diversa. Non ricordava molto di lei e non ricordava assolutamente nulla di nessuno di loro. Anche lei comunque affermò di averli trovati abbastanza bravi. -Oh beh, grazie, Ophelia. - disse, trattenendosi appena su quel nome, come se non fosse certo di averlo detto nel modo più corretto per poi ridacchiare divertito, scuotendo appena il capo, quando lei gli offrì un mojito. -E’ davvero una cosa così importante? - chiese, mentre teneva il bicchiere tra le mani e lo osservava con una certa attenzione. Mandò giù un primo sorso, piuttosto lentamente. Doveva ammettere che non era così male come aveva pensato. -Ok, lo ammetto, non è così male, ma preferisco la birra. - ammise, con un sorriso sghembo, riappoggiando momentaneamente il bicchiere sul bancone per concentrarsi maggiormente su di lei. -Tu bevi ancora il Daiquiri? - chiese, cercando di capire quanto anche lei fosse cambiata rispetto alle immagini che aveva visto poco prima. La osservò a lungo, come se volesse imprimere ogni dettaglio del suo volto nella sua mente per impedirsi di dimenticarla ancora. -Che cos’erano quelle immagini che ho visto prima? - chiese, immaginando che non fosse la maniera migliore di iniziare una conversazione, ma non riuscendo comunque a trattenersi. -E perché le ho viste? - domandò ancora, sperando che lei potesse avere qualche risposta e soprattutto che volesse dargliele. -E soprattutto.. perché non ho alcun ricordo di te? Anche se sono certo di conoscerti? .- chiese portandosi la mano sinistra dietro la nuca per grattarsela appena, terribilmente confuso, prima di sbuffare. -Ok. No. Direi che non è la maniera migliore di iniziare questa. - mormorò subito dopo, piuttosto velocemente, cercando di impedirle di rispondere alla serie di domande che le aveva appena fatto. -Ophelia. - ripetè quindi, quasi distrattamente, come se sperasse che ripeterlo ancora e ancora avrebbe potuto aiutarlo. -Scusami.. speravo di avere qualcosa di più intelligente da dire e invece.. non so davvero da dove cominciare. -ammise allora, sospirando di nuovo per poi rivolgerle un’espressione vagamente colpevole, sperando che lei avesse qualcosa da dirgli. Non immaginava quanto in passato fosse complicato per lui chiedere scusa, anche per le cose più sciocche e quanto questo anche per lei potesse essere una grossa novità.
     
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    Ophelia Jensen-Spector | 24 anni | proiezione mentale

    Non era facile farsi spazio tra la confusione che Erik aveva sempre scaturito in lei. Fin da quando lo aveva conosciuto, Ophelia aveva provato sensazioni totalmente opposte nei suoi confronti. Avvolte lo trovava un ragazzo intelligente e singolare, altre volte gli sembrava superficiale ed amalgamato a tutta la massa dei suoi amici. In dei momenti appariva una persona interessante, quasi volta ad ascoltare gli altri e proteggerli, altre volte invece appariva come egoista e scapestrato. Nel corso degli anni, Ophelia aveva imparato a conoscere le varie sfaccettature del ragazzo e a riconoscere che facevano parte di un grosso scudo che si era costruito davanti per apparire meno fragile di quanto in realtà fosse. Erik proveniva da una famiglia importante a Besaid, una di quelle che doveva puntualmente apparire come perfetta e la migliore quando in realtà, dentro aveva lacune a tutti gli angoli. Era un ragazzo pacato e dolce, bisognoso di un amore reale e palpabile che non gli era mai stato donato e che aveva ritrovato soltanto nei suoi amici ed in lei. Era abituato ad apparire, a fingere, a dover mostrare sempre un lato di sè che in gran parte non gli apparteneva ma che ormai, talmente tanta era la finzione aveva iniziato a far parte di lui. Era come se dovesse perennemente recitare la parte di un personaggio che ormai, conosceva così bene da vestire automaticamente i suoi panni, non riuscendo più a distinguere chi lui fosse realmente. Soltanto quando era con la sua famiglia - quella scelta, e non quella di sangue - la luce penetrava nel suo cuore facendo uscire la parte più dolce ed intelligente del suo essere.
    Ophelia aveva avuto modo di conoscere entrambi i lati del suo ragazzo e spesso, si era ritrovata a discutere con lui per quella ambivalenza che ormai faceva parte di sè. Sapeva di non dover forzare troppo la mano, sapeva che anche per lui era difficile non comportarsi come si era sempre comportato nella sua vita, sapeva che per Erik non era facile buttarsi in un sentimento che si poteva dire, aveva letto soltanto nei libri o visto nei film ma Ophelia, non riusciva a giustificarlo sempre, non quando per lei sbagliava ad esempio. Per lei era normale renderlo partecipe della propria vita, delle proprie decisioni. Era normale avvisarlo se usciva con una sua amica per lui invece, che era sempre stato abituati a fare ciò che voleva - soprattutto se teneva alto il nome della propria famiglia, nonostante lui nella maggior parte dei casi giocasse proprio per farla incazzare, quella famiglia essente - non era abituato a renderla parte della sua routine soprattutto se, quella routine poteva farla “sbuffare un po’”. Erik era abituato a vivere fuori casa, ad andare sempre al locale favorito e poi, quando ne aveva voglia andava a ballare o a divertirsi da qualche parte con i suoi amici. Ophelia invece era una ragazza molto più pacata e tranquilla, che talvolta preferiva vedersi il pomeriggio con le amiche per una tazza di caffè, piuttosto che ritrovarsi la sera per fare baldoria. Facevano parte di due mondi diversi che però, stranamente riuscivano ad amalgamarsi bene insieme, forse perché nel profondo del suo cuore Erik sapeva di essere molto più strutturato rispetto al ragazzo “bello e tenebroso” che era abituato a far apparire.
    Anche in quel momento, a distanza di molto tempo, Erik riusciva a metterla in confusione. Quella canzone che aveva cantato e che chiaramente raccontava della loro separazione, l’aveva stordita è messa KO. Le faceva vedere quel lato di un ragazzo spaventato da una storia che aveva il terrore, potesse trasformarsi in qualcosa di quanto più simile alla relazione dei suoi genitori, o di tutte le persone che gli avevano sempre circondati, molto I'm a Barbie girl in a Barbie world. Life in plastic, it's fantastic! e si era sentita da un lato superficiale nel non averlo capito e nell’aver (forse) forzato la loro relazione ma dall’altra, si sentiva sottovalutata, sentiva come se il loro amore fosse stato letto da lui in modo molto più precario di quanto lo sentiva lei. Ophelia avrebbe lottato con le unghie ed i denti pur di averlo al suo fianco e poter passare i suoi giorni con lui, invece Erik aveva preferito tenere tutti i “suoi problemi” dentro, non comunicare con lei fino a diventare una di quelle coppie che non riusciva più a capirsi e che finiva sempre per discutere, proprio come succedeva in casa sua. Aveva ottenuto la sua certezza e se n’era andato.
    In quel preciso momento, mentre la loro canzone andava a sfumare e lui si stava dirigendo verso di lei, Ophelia avrebbe voluto sentire le campane del ring suonare e gridare la sua sconfitta. Eppure, era sempre stata una ragazza forte che non amava lasciare le cose al caso e questa, era una delle cose che Erik apprezzava di lei. Non cascava mai ai suoi piedi come facevano tutte le altre, lei diceva la sua e controbatteva, non le importava che lui fosse un Andersen. Quella consapevolezza, quella parte del suo carattere erano stati il motivo per cui aveva deciso di rimanere, oltre alla inconsapevole volontà di non essere ancora pronta salutarlo e a non poter vedere quel suo faccione dal sorriso sghembo e l’espressione sicura, ancora una volta.
    Ah, dovrebbero essere i miei amici? Onestamente non ho idea di chi siano quelle persone. Ophelia sorrise, un po’ amareggiata, un po’ intenerita da quel vuoto che riempiva la testa di Erik. Come per la sua amica Astrid, anche nel suo caso pensava che fosse assurdo voler cancellare interi anni della propria vita dalla mente, senza porsi il problema di lasciarsi alle spalle persone e cose, che potevano essere state per lui importanti. Si, avete fatto le scuole insieme fino al momento dell’Università.. certo, Jesper è sempre stato la camicia sul tuo culo.. ma alcuni di quei ragazzi erano quanto di più simile a dei fratelli per te! disse, facendo girare il ragazzo ed indicando due specialmente, uno riccio con la maglietta bianca e l’altro castano chiaro, con una camicia azzurra. Non voleva forzare la mano, dargli troppe informazioni tutte insieme ma al contempo, non aveva assolutamente voglia di mentire per lui, non almeno dopo averla abbandonata. Lui aveva scelto di andarsene e dimenticare tutto, lui aveva scelto di tornare e rivedere volti che aveva ormai dimenticato. Lei aveva deciso di rimanere ed essere sè stessa, come aveva sempre cercato di fare, ciò nonostante, cercò di distrarlo, allungando il mojito che il barista aveva preparato per lui. Sapeva che le domande sarebbero arrivate, probabilmente a raffica, una dopo l’altra e lei, sapeva che avrebbe risposto a tutte quelle domande ma anche lei, aveva bisogno di prendersi il suo tempo. Ok, lo ammetto, non è così male, ma preferisco la birra..Tu bevi ancora il Daiquiri? chiese infine, riferendosi anche a quelle immagini che, Ophelia era quasi sicura aver proiettato nella sua testa ma che, non ne era del tutto cerca. Capitava, quando la sua particolarità le sfuggiva di mano, sopraffatta da emozioni troppo forti per essere contrastate. In realtà anche io preferisco birra e vino, mio padre è beer sommelier, sono un pò avvezza male alle birre e qui, hanno decisamente migliori i cocktail.. quindi mi sono buttata sul moscow mule! sorrise, prima di essere sopraffatta dalla domanda di lui, che si aspettava di ricevere da un momento all’altro. Le domande arrivarono, una dietro all’altra tanto che Ophelia non ebbe ne l’opportunità di rispondere, nè quella per dirgli di calmarsi. Erano domande sensate, che sicuramente avrebbe posto anche lei si fosse trovata nel suo stesso caso. No. Direi che non è la maniera migliore di iniziare questa.
    No, direi di no ammise lei, comunque in modo totalmente tranquillo e naturale, senza voler soppesare troppo sul ragazzo che subito, si accorse di essere stato troppo irruento. Ophelia. Scusami.. speravo di avere qualcosa di più intelligente da dire e invece.. non so davvero da dove cominciare. Le fece strano sentire quelle parole uscire dalla bocca di Erik. Questo le fece ricordare che poteva non essere più lo stesso ragazzo che aveva conosciuto un tempo e che, le esperienze che aveva fatto successivamente alla sua partenza potevano averlo toccato e modificato. Non se ne era posta il problema, fino a quel momento: lei vedeva Erik, vedeva il suo ex fidanzato che se ne era andato da quella città senza aver avvisato nessuno, vedeva la persona che l’aveva tradita - non fisicamente, ma moralmente - e trasportata da quel sentimento nero, Ophelia non aveva pensato a chi poteva essere lui oggi, due anni dopo. Risponderò alle tue domande confessò lei, con voce pacata nonostante dentro il cuore le battesse all’impazzata .. ma, andiamoci con calma ammise, prima di prendere un sorso dal cocktail che ormai, era quasi giunto al termine. Ti va se andiamo a sederci ad un tavolo? propose, volendo allontanarsi da tutta quella gente che probabilmente aveva installato all’interno del loro orecchio un amplifon pur di scoprire cosa i due si stessero dicendo. Ophelia era stata l’unica ragazza capace di far capitolare Erik e questo, aveva sempre incuriosito sia i suoi amici, che i dipendenti di quel posto che ormai conoscevano il ragazzo come le loro stesse tasche - o almeno la parte che lui amava mostrare. Erano stati quindi tutti molto sorpreso, quando avevano visto apparire al suo fianco una ragazza bionda, piuttosto normale, che lui guardava e rispettava come se fosse realmente importante per lui. Ophelia si incamminò verso il tavolo più appartato, senza aspettare neanche una risposta del ragazzo - d’altronde le aveva chiesto lui, di trattenersi, no? - e prese posto sul divanetto morbido. Iniziamo dalla parte più facile iniziò lei sospirando questa città, la tua città natale, è speciale. C’è qualcosa di sconosciuto, per il quale qualsiasi persona vi abiti per un periodo abbastanza consistente, sviluppa una particolarità.. è per questo motivo che tu hai potuto vedere quei flash nella tua testa. Quando ci siamo parlati, la mia particolarità ha fatto affluire nella tua mente la mia coscienza, i miei primi ricordi di te.. confessò, avendo paura della sua reazione ma al contempo, sperando che la sua coscienza più profonda, ed il fatto che nel passato anche lui aveva familiarità con le particolarità, non lo scuotessero troppo. Automaticamente, forse per tutelare gli abitanti della città, quando qualcuno decide di lasciarla per un tempo sempre più crescente, tutti i ricordi legati a questa - e quindi anche alle persone che la abitano - vanno a scomparire.. fino a non rimanere quasi niente, se non piccole sensazioni da poter risvegliare L’aveva visto con Astrid, prima di lui, lo avevano sempre raccontato all’interno della città per tutelare chi, doveva andarsene anche per motivi lavorativi o personali. Tutti sapevano di dover portarsi dietro dei promemoria, tutti sapevano di dover tornare.
     
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    Era stato difficile per lui andare avanti in quegli ultimi anni, si era sentito come catapultato in un mondo che non gli apparteneva e in cui non riusciva più a riconoscersi. Ci aveva messo del tempo a ricostruire la sua bussola personale, a capire che direzione voleva prendere, ormai libero dai pregiudizi e dal peso che le pretese degli altri potevano rappresentare. Erik non era stato assolutamente nessuno in quegli ultimi due anni. Neanche ricordava di avere una casa o una famiglia, figuriamoci di avere un cognome di una certa importanza, uno pesante, da non oltraggiare. Liberarsi di tutto ciò che lo aveva sempre ancorato alla sua vita, ad un’esistenza che non era mai stata del tutto sua, gli aveva permesso di trovare se stesso, quello vero probabilmente, ma gli aveva anche fatto perdere molte altre cose. Ritrovarsi in quel locale quindi, in mezzo a persone che credevano di conoscerlo e che cercavano di rivangare vecchi momenti passati insieme, lo fecero soltanto sentire più confuso, di nuovo smarrito, come se gli ultimi due anni non fossero mai esistiti. Non aveva idea di chi fosse la persona di cui tutti intorno a lui continuavano a parlare, niente di ciò che dicevano o che alludevano lui avesse fatto gli era familiare. Era piuttosto sicuro di che tipo di persona lui fosse, di quali fossero i suoi gusti, di che cosa volesse dalla vita. E allora perché tutti quanti non facevano altro che cercare di convincerlo del contrario? Tutti quei volti per lui non erano altro che sconosciuti, nessuno gli aveva dato neanche per un momento la sensazione che potesse averlo già conosciuto, a parte lei, l’unica di cui gli interessasse sentire la versione. Non poteva certo dire che vederla e condividere quelle strane immagini gli avesse permesso di ricordare ogni cosa sul suo conto, di sapere chi lei fosse, che cosa fosse accaduto tra loro e perché, ma sapeva che quello sarebbe potuto essere un punto di inizio per lui, se lei gli avesse concesso un po’ del suo tempo e non fosse fuggita via subito dopo lo spettacolo. Dal modo in cui gli altri li guardavano era evidente che lui fosse l’unico a non riuscire a comprendere l’entità del loro rapporto. Si sentiva quasi a disagio mentre tutti continuavano a fissarli, come se si aspettassero chissà quale gesto teatrale. Avrebbe voluto mandarli tutti quanti al diavolo o chiedergli in malo modo di lasciarli semplicemente in pace, ma non aveva alcuna attenzione di attirare altre attenzione su di loro, o spaventare la ragazza che ancora se ne stava seduta vicino al bancone del bar.
    Con un leggero sorriso di ringraziamento quindi si affrettò a raggiungerla, in modo da non farle sprecare più tempo del dovuto se per caso avesse avuto altri impegni. Dopotutto erano trascorsi almeno due anni dal loro ultimo incontro, non poteva sapere quanto la vita di lei fosse cambiata, magari c’era qualcuno ad attenderla a casa che non avrebbe certo accolto di buon grado l’idea che lei si fosse trattenuta in un pub a parlare con il suo.. ex? O almeno questo era ciò che gli era sembrato di capire. Si accomodò accanto a lei, accusando il colpo quando si rese conto che, in effetti, lei sembrava davvero averlo conosciuto in passato, sapere chi si trovava davanti senza alcun tipo di dubbio. Era snervante invece, dal canto suo, non poter dire lo stesso. Forse aveva sbagliato a tornare in quella città, a tornare in quel locale soltanto perché qualcuno lo aveva telefonato e gli aveva chiesto di farlo. Si sentiva come un animale in gabbia, impossibilitato a fuggire o a rispondere agli attacchi, eppure cercò comunque di mantenere la calma, di restare tranquillo. Dopotutto era lui quello a cui servivano le informazioni, gli altri potevano vivere benissimo anche senza raccontargli nulla, quindi si sentiva come se dovesse guadagnarsele. La vide rivolgergli un sorriso un po’ amareggiato quando lui ammise di non conoscere nessuna di quelle persone, come se fosse una cosa triste che lei si era già aspettata. Osservò appena le persone a cui si stava riferendo, quelle che, a suo dire, erano stati come fratelli per lui, senza riuscire a provare nulla nei loro confronti. Gliene indicò due nello specifico e lui cercò di sforzarsi di memorizzare quei volti, nella speranza di poterli recuperare da qualche foto, o chissà che altro. -Come si chiamano? - chiese, senza riuscire a trattenersi. Forse avrebbe dovuto trovare un po’ di tempo per parlare anche con loro, ma per il momento avrebbe desiderato di avere soltanto dei semplici nomi da cui partire. Magari avrebbe potuto provare a cercarli sui social. Per quella nottata comunque aveva intenzione di concentrarsi soltanto su di lei, di fare un passo alla volta, senza esagerare. La guardò piuttosto incuriosito quando lei gli raccontò del lavoro di suo padre e dei suoi gusti quindi piuttosto particolari in quanto a birre. -Allora saprò a chi chiedere consiglio per trovare delle vere birre da intenditore. - aggiunse, con un leggero sorriso, tenendo lo sguardo su di lei. Avrebbe voluto chiederle di più su quella cosa, magari persino invitarla a portarlo in uno di quei posti, ma si trattenne. Lei non si sentiva affatto a suo agio in sua compagnia, era evidente dal modo in cui lo guardava, dalla sua postura. Probabilmente doveva essere stato lui a rompere, in qualche modo, a spezzarle il cuore ed era quindi già un miracolo c he lei continuasse a restarsene lì, seduta, a rispondere alle sue domande.
    Non riuscì tuttavia a trattenerle, nonostante sapesse che fosse davvero un pessimo modo per iniziare una conversazione, o magari per cercare di riparare un rapporto di amicizia. Si scusò quindi piuttosto in fretta, sperando che la sua eccessiva esuberanza non la portasse ad alzare i tacchi e andare via. Non sempre riusciva a riflettere con attenzione prima di agire, spesso era l’istinto a farlo parlare, senza quasi rendersene conto. si morse la lingua quindi, continuando ad osservarla mentre anche lei conveniva che non era stata un’idea geniale quella di rovesciarle addosso un mare di domande così in fretta. Annuì in silenzio, rivolgendole un leggero sorriso di ringraziamento quando Ophelia accettò di rispondere alle sue domande, a patto però di poterlo fare con calma. Quella era una parola non molto diffusa all’interno del suo vocabolario, ma avrebbe cercato di stare fermo e aspettare. -Non volevo rubarti molto tempo, immagino avrai altre cose da fare o.. qualcuno da cui tornare.. - mormorò, dando voce agli ultimi dubbi. Dopotutto anche lui si era fatto una vita, aveva frequentato delle persone, immaginava che anche per lei fosse stato lo stesso. -Però se puoi trattenerti si, meglio andare ad un tavolino. - continuò, ridacchiando appena, per mascherare parte del suo nervosismo. Era la prima volta, da che lui ricordasse, che si ritrovava senza qualcosa da dire, senza avere una battuta pronta per ogni cosa. Le lasciò scegliere il tavolo, seguendola senza aggiungere molto altro, portandosi dietro il suo drink, andando poi ad accomodarsi in una poltroncina di fronte a lei, in modo da poterla osservare senza costringerla a stargli troppo vicino. Era strano non poter comprendere a fondo cosa si celava dietro gli sguardi di qualcun altro, che cosa provasse. Com’era possibile dimenticare così tanto della propria vita? Aveva per caso avuto un incidente? Era successo qualcosa?
    Inarcò leggermente un sopracciglio quando lei iniziò a descrivere Besaid come una città speciale, che faceva sviluppare nelle persone delle strane abilità, come ad esempio le immagini che lui aveva visto poco prima, che erano stato i suoi primi ricordi di lui. Prese un profondo respiro, concentrandosi sull’ombra che il suo bicchiere faceva sul tavolino, allungandola appena e facendola diventare quadrata, prima di rivolgere di nuovo l’attenzione su di lei. -Intendi questo? - chiese, un po’ turbato, mostrando una delle ultime stranezze che era riuscito a notare e che lo avevano quasi fatto uscire fuori di testa. Ancora una volta si era sentito come in un limbo, a metà tra una sensazione familiare e qualcosa che invece non riusciva assolutamente a capire. Non lo disse a voce alta comunque, non fu troppo specifico, sintomo che, in qualche modo, la cosa lo terrorizzava. Non ne aveva voluto parlare neanche con Jas, si era limitato a fingere che fosse stato uno scherzo della sua immaginazione, magari qualche bicchiere di troppo. E ora, invece, sembrava che fosse tutto vero e anche abbastanza normale. Cose da non credere! Si accigliò ancora di più quando lei gli spiegò che, andando via dalla città per un tempo abbastanza lungo, si finiva con il dimenticare ogni cosa. Scosse appena il capo, allibito. -Ma come diavolo è possibile? - chiese, per niente convinto di voler credere a quella sua ultima spiegazione. In fin dei conti tutto avrebbe avuto molto senso, avrebbe potuto spiegarsi molte strane sensazioni e il fatto di non avere alcuna memoria del suo passato, ma suonava tutto così assurdo da rendergli impossibile di fidarsi ciecamente della sua parola. -Che cosa c’è di strano in questa città? - chiese, sperando che lei potesse dargli una spiegazione un po’ più razionale, qualcosa di più semplice da comprendere e da accettare. Perché pensare che ci fosse una sorta di strana stregoneria legata al suo luogo di nascita non gli piaceva per niente.
    Mandò giù un altro sorso del cocktail, forse sperando che l’alcol potesse aiutarlo a schiarirsi le idee e sospirò. -Quindi secondo te che cosa dovrei fare? I ricordi torneranno? - chiese sperando di ricevere una risposta positiva. Non poteva fare a meno di rivolgersi a lei come se fosse in qualche modo una figura conosciuta, sebbene non fosse altro che un’estranea molto carina ai suoi occhi. Forse se fosse rimasto abbastanza a lungo, se avesse fatto chissà quale strano rituale in grado di fargli ricordare ogni cosa.. no, probabilmente non c’era alcun modo di riportare a galla ciò che aveva cancellato. E allora quale sarebbe stata la cosa giusta da fare: restare e cercare di ricominciare? O andare via di nuovo e riprendere dalla vita che aveva lasciato?
     
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    Era strano trovarsi proprio lì, con lui. Era come fare un salto indietro nel tempo, peccato che non si trovavano in ritorno al futuro e che soltanto poche personalità di Besaid, erano in grado di giocare con il tempo. Era cambiato tutto, dall’ultima volta che erano stati all’Egon pub insieme ed Erik, non poteva che continuare a confermare quella verità in ogni suo gesto: quegli atteggiamenti così lontani dalla persona che era stata un tempo, forse più umani, meno regali e con quelle nuove scelte, così poco d’alta classe e più “da comune mortale”, che oggi lo caratterizzavano. Era come un promemoria vivente, che voleva ricordare ad Ophelia che i bei tempi con lui erano ormai andati e che quel volto, che un tempo era stato il suo miglior rifugio, era stato anche il suo più grande dolore. Lo aveva amato con ogni centimetro della sua pelle, così come lo aveva odiato quando l’aveva lasciata sola, senza troppe spiegazioni, partendo per una meta ad entrambi sconosciuta. Aveva sperato così fortemente di vederlo tornare, durante quei lunghi anni che li avevano separati da quel momento, che quando aveva saputo che era tornato, quasi si era arrabbiata con lui. Proprio adesso che quella speranza l’aveva abbandonata, proprio adesso che iniziava a stare bene e ad accusare meno la sua mancanza, lui aveva deciso di tornare a Besaid, ricordandole che infondo, non l’avrebbe mai abbandonata realmente. Non che sarebbe mai potuto succedere, dato che con lui aveva alcuni dei ricordi più belli ed importanti della sua vita, trasformando la sua persona in un tatuaggio indelebile nel cuore della bionda.
    Lo osservava muoversi, compiere i suoi gesti per spostarsi dal bancone affollato, al tavolino più appartato che lei aveva adocchiato e, anche nella sua camminata, riusciva ad essere sempre spavaldo e sicuro di sè come lo era stato un tempo, ma oggi meno impettito, più naturale e rilassato. Era come se Erik, avesse deciso di abbandonare tutta la parte di sé che lo etichettava come una ragazzo dell’alta società, uno di coloro che erano obbligati a rispettare delle etichette di bon-ton, perché la sua famiglia ed il suo livello sociale glielo imponevano. Si notava comunque, che era stato abituato, sin da piccolo, a seguire un’educazione rigida ma, in quegli anni di assenza, aveva sporcato quella realtà famigliare, scoprendo forse la parte più veritiera del suo Io più profondo. Si chiedeva Ophelia, se fosse quello il vero Erik, quello da conoscere e da scoprire, anziché quel ragazzo, troppo influenzato dai suoi genitori e dai suoi obblighi, che aveva avuto al suo fianco per un bel pò di anni.
    Vedo che hai già re-incontrato la tua capacità ammise la bionda, mentre lo osservava sforzarsi per mostrargli quella stranezza che lo aveva colpito da quando aveva messo piede in quella bizzarra cittadina. Sembrava turbato, da quella verità che non era scientificamente provabile e che, non la accomunava a nessun’altra città della zona. Non so come sia possibile.. in realtà, per me questa è pura normalità. Io sono nata a cresciuta in questa terra, ho sempre convissuto con le mie capacità e ho sempre incontrato persone che le avevano a loro volta.. purtroppo non posso darti una risposta su questo ammise, un po’ dispiaciuta ed al contempo consapevole di non aver mai ricevuto lei stessa delle risposte a quelle domande ma posso dirti che, la perdita dei ricordi penso sia strettamente legata ad una tutela della cittadina e che, chi decide di tornarvi, non riesce a recuperare tutti i ricordi ma, passando sempre più tempo sulla sua terra e condividendo del tempo con le persone che erano parte integrante della “vecchia vita” disse, mimando le virgolette con le mani, mentre parlava piano piano può riuscire a recuperare dei ricordi e delle sensazioni di quanto ha vissuto qui cercò di spiegare lui, nella speranza di essere stata chiara e di averlo un po’ tranquillizzato. Era strano come, nonostante tutto, nonostante la rabbia, Ophelia avesse la necessità di aiutarlo, di farlo stare bene e rincuorarlo. Non smetterai mai di amarlo, perché non può finire un amore rimasto in sospeso nel tempo, un amore importante che non aveva avuto l’opportunità di mettere il punto fine, alla loro storia. E forse Amarantha (ndr. La proprietaria dell’Anthemis) aveva ragione. Era una donna adulta e sincera, che ne aveva vista passare di acqua sotto i ponti, e come diceva sempre sua nipote Liv, raramente aveva torto. Ophelia era felice, di aver trovato nella signora e in sua nipote, delle donne con cui potersi confrontare in quanto, ormai da troppo tempo aveva a che fare soltanto con suo padre tra le mura di casa e spesso, una visuale adulta e femminile, le veniva a mancare.
    Non sapeva che reazione aspettarsi da Erik, non sapeva se sarebbe rimasto o meno a Besaid per dell’altro tempo oppure, se avrebbe fatto un altra volta le valigie scappando a gambe levate. Da una parte, sperava che sarebbe rimasto ma in quel preciso istante, non era in grado di ammetterlo neanche a se stessa. Posso chiederti una cosa? domandò, aspettando un suo cenno prima di continuare a parlare e, come immaginava, non tardò ad arrivare perché stasera, hai scelto me? con tutte le persone che c’erano all’interno del locale, perché aveva deciso di rivolgersi a lei piuttosto che a qualsiasi altra? Perché non alle sue amiche, che erano bellissime e sorridenti, mentre lei aveva dipinto sul volto un alone di terrore. Era andato da lei, perché gli ricordava qualcuno? Oppure era andato da lei perché, i gusti non si smentivano e continuava a piacergli, nonostante il tempo passato? Oppure si era avvicinato a lei, perché tornava più comodo, piuttosto perché le sembrava una ragazza più facile delle altre? Era una domanda che si era posta fin dall’inizio, fin dal momento in cui lui aveva deciso di parlarle. Aveva sperato, che lo facesse con lei e non con qualsiasi altra ragazza del locale, ma perché, aveva scelto proprio lei?
     
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    Era piuttosto strano per lui trovarsi in quel locale, immerso in una sensazione non ben definita, a metà tra il familiare e lo sconosciuto. Era come se una parte di lui volesse ricordare la sua vecchia vita, il suo passato, i suoi errori, le sue gioie, ogni cosa che lo aveva reso la persona che era stata, mentre un’altra continuava a non riuscire a farlo. Quando lei gli aveva mostrato, attraverso quella che aveva poi scoperto essere la sua particolarità, alcuni momenti che avevano trascorso insieme, non aveva potuto fare a meno di chiedersi come fosse possibile non ricordare assolutamente nulla di quel periodo. Si era posto spesso quell’interrogativo, lasciandolo tuttavia sempre da parte, immaginando che fosse perché non c’era niente di troppo interessante da tenere a mente. Ma ora che si era trovato davanti qualcuno che avrebbe dovuto ricordare non riusciva più a credere che fosse ancora tutto normale. Doveva esserci qualcosa di sbagliato in lui o nella sua mente se aveva rimosso così tanti anni della sua vita con un colpo di spugna, come se non fossero mai esistiti. Annuì appena, un po’ sovrappensiero, quando lei gli chiese della sua capacità, anche se non poteva ancora dire di averci capito granchè. Tentò di chiederle delle spiegazioni, sperando che almeno lei potesse averne, anche se quello purtroppo sembrava essere solo un mistero legato a quella stramba cittadina, qualcosa che accomunava tutte le persone che la abitavano. Nessuno sembrava sapere da cosa derivassero quelle strane abilità, né perchè si manifestassero, era soltanto qualcosa che tutti si limitavano ad accettare. I ricordi, invece, erano qualcosa di maggiormente noto. Lei gli disse che tutti coloro che si allontanavano dalla citta li perdevano e al loro ritorno non riuscivano mai a recuperare completamente quello che avevano perduto. -Quindi i ricordi non torneranno. - mormorò, più a se stesso che a lei, quasi a chiedersi se avesse davvero senso a quel punto restare. Se non c’era modo di riallacciarsi alla sua vita, di recuperare quello che aveva perduto, perché non lasciare direttamente perdere e abbandonarsi di nuovo tutto alle spalle? L’idea che tutte le persone che aveva conosciuto in precedenza potessero continuare a fissarlo e giudicarlo senza che lui potesse comprenderlo non gli andava affatto a genio.
    Era ancora parzialmente immerso in quei pensieri quando alle sue orecchie giunse la domanda della ragazza, che gli chiese quasi il permesso di rivolgergli degli interrogativi a sua volta. -Certo. - disse quindi velocemente, quando riuscì ad assimilare le sue parole, annuendo appena mentre puntava lo sguardo su di lei, pronto a sentire che cosa aveva da chiedergli. Rimase interdetto per qualche secondo, senza sapere bene cosa risponderle quando lei gli chiese perché l’avesse scelta quella sera. Non era certo che fosse andata esattamente in quel modo, che fosse stato lui a sceglierla e non piuttosto uno strano scherzo del destino, ma in fin dei conti era stato lui a chiederle di trattenersi e avrebbe dovuto immaginare che lei lo avrebbe trovato quanto meno strano. Dopotutto lui non aveva idea di come le cose fossero andate a finire tra di loro. -Credo di non avere una risposta molto chiara da darti, perché in realtà non lo so bene neanche io.. - iniziò, mentre mandava giù un altro sorso del suo drink, arrivando quasi alla fine, continuando a guardarla, senza sapere davvero come spiegarsi. -E’ come se ci fosse qualcosa in te ad attirarmi, qualcosa che non riesco a spiegarmi. - continuò, pur sapendo che quelle parole non sarebbero state affatto chiare alle orecchie di qualcun altro visto che erano confuse persino per lui. -C’è una parte di me che spinge per conoscerti, per recuperare almeno una parte del rapporto che abbiamo perso, mentre l’altra mi fa presente che, non sapendo quanto tempo sia passato, sicuramente tu sarai andata avanti con la tua vita. - ammise, senza troppi peli sulla lingua. Sperava di poter ricostruire, per il tempo che avesse deciso di rimanere, almeno alcuni dei suoi rapporti più importanti, ma ovviamente la cosa non sarebbe dipesa solo da lui. -Quindi.. so che probabilmente ti sembrerò soltanto un caso disperato per il modo in cui ti ho approcciata. Di solito non sono così spento, te lo assicuro.. anche se forse tu questo lo sai meglio di me. - borbottò, ridacchiando appena, mentre iniziava a percepire un certo nervosismo, che si sforzò di mandare via il prima possibile. -Sto straparlando.. - ammise, con un leggero sorriso divertito, prima di scuotere appena il capo, quasi a darsi dell’idiota da solo. -Sei una ragazza molto bella, ma.. sappi che non mi aspetto niente da te.<b> - ci tenne e precisare, temendo che lei potesse avere qualche pregiudizio sul suo conto per cose che lui neanche ricordava. <b>-Non penso che solo perché siamo stati insieme in passato tu ora voglia uscire con me o sia rimasta ad aspettarmi. Non so neanche come sia finita tra noi, quindi se tu mi odiassi probabilmente non potrei fartene una colpa. - aggiunse ancora, assumendo per un momento un’espressione pensierosa. In effetti non sarebbe stato male capire almeno da che cosa dovevano ripartire e come fossero stati i loro rapporti al momento della rottura. -Mi piacerebbe poterti conoscere, di nuovo. Poterti ricordare. - terminò, con una leggera alzata di spalle, mentre mandava giù l’ultimo lungo sorso del suo drink, per poi rivolgerle un nuovo sorriso. -Ma la vera domanda è.. perché tu sei ancora qui? Perché non mi hai ancora mandato a quel paese? - chiese, dopo qualche breve momento di silenzio, ancorando lo sguardo in quello di lei. Si stava per caso trattenendo dal dargli uno schiaffo e inveire contro di lui? Stava aspettando di capire quanto lui ricordasse e di avere delle spiegazioni? Davvero non riusciva a comprendere per quale motivo lei avesse scelto di restare.
     
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    Seduta su quella sedia, ripensava a quanto fosse assurda la vita. Niente era programmabile, gli imprevisti facevano parte integrante della vita di un essere umano, così come le sorprese. Se qualcuno le avesse chiesto se pensava di rivedere Erik Mathias Andersen calpestare il terreno di Besaid, Ophelia avrebbe risposto certamente che sì senza alcuna esitazione ma sicuramente, non avrebbe mai pensato di rivederlo così presto. Erik era sempre stato una persona piuttosto meticolosa in merito a quanto lo riguardasse da vicino: raramente accettava dei no ed ogni mossa fatta da lui, era ben studiata ed utile ad un determinato scopo (a meno che non fosse dettata dall'istinto di dover proteggere le persone a lui molto care, in quel caso era capace di perdere il lume della ragione). Mai, Ophelia si sarebbe potuta immaginare un Erik convivere serenamente con la totale assenza nella memoria, di metà della sua vita. Era certa che prima o poi, si sarebbe fermato e avrebbe iniziato a porsi delle domande, domande che avrebbero trovato delle risposte, nel breve o nel lungo termine perchè lui, non accettava di perdere, non accettava di non avere risposte, non lo aveva mai fatto in vita sua. Per quanto l’allontanarsi da quel luogo e dalla sua vita, l’avessero potuto cambiare, l’indole di una persona e le caratteristiche più profonde di questa, non potevano essere del tutto mutate. D’altronde, si era tutti un pò come scolpiti su pietra, dei grandi David di Michelangelo creati dai nostri genitori e seppur la pioggia e le intemperie potevano scalfire e arrotondare parti di questa pietra, smussarne gli spigoli, l’essenza della creazione rimaneva la stessa, perseguiva nel tempo.
    Lo guardava e vedeva lo stesso Erik, percependone però le differenze, senza riuscire ad isolarle e definirle. Era lui, ma non era lui. Il suo fisico si era fatto più adulto e trasandato, la sua voce era più grave ed il suo modo di esporsi con lei era meno sicuro, meno strafottente. Torneranno, alcuni dei tuoi ricordi dico.. ma non potranno tornare tutti sospirò non si può riavere qualcosa che si è deciso di perdere. Consapevolmente.. ammise. Forse si era spinta oltre, forse faceva meglio a tenere quel commento per sè eppure, era la triste e pura verità. Erik se ne era andato consapevole di scordate e probabilmente, era andato via proprio per quello e se da una parte quella caratteristica della città poteva essere una maledizione, per alcuni era anche un dono per ricominciare da capo, senza dover combattere con troppi tarli nella testa.
    Cercò di cambiare argomento, di spostare la conversazione su altro, perché un po’ aveva paura dei suoi ricordi e delle sue domande. Gli chiese ciò che la tormentava fin dall’inizio, dal momento in cui lui aveva cercato un approccio con lei. Ed ascoltò le sue risposte, quel suo giustificarsi in modo forse un pò assurdo e sconfusionato. L’Erik che ricordava, non era così. Era più deciso, più spavaldo e se si vuole dire tutta, forse anche più falso. Era raro che trapelasse in lui insicurezza o imbarazzo, anche quando lo provava realmente a sua volta, mascherava quel suo lato più intimo e delicato di sè. Gli piaceva quel nuovo aspetto di lui, la faceva sorridere quella parte più umana, meno “da supereroe”. Probabilmente perché i tuoi ricordi stanno bussano nella tua testa.. ma tu ancora non sei pronto per aprire loro! ammise ancora, continuando a sorridere lievemente. Non era facile combattere con l’arrabbiatura e anche con l’amore che aveva provato - e tutt’ora provava per lui. Era stato l’uomo più importante della sua vita e per quanto provasse rancore e rabbia nei suoi confronti, era capace di mettere quei sentimenti così prorompenti da una parte per aprire il suo cuore a sentimenti più docili e pacati. Si rendeva conto che, non riusciva a trattenere piccole frecciatine nei suoi confronti, suo unico vero sfogo ma che al contempo, non poteva rinvangare qualcosa che era stato e che per lo più, lui si era dimenticato. Si sarebbe sfogata su un corpo inerme, incapace di capire e di dargli spiegazioni ed Ophelia era consapevole che martoriarlo, l’avrebbe poi portata soltanto a sentirsi in colpa e a rimpiangere di averlo trattato così male. Lo sapeva, l’aveva sempre saputo perché era sempre stato così con lui, in grado di farla sentire in colpa anche quando poteva aver avuto ragione durante un litigio, perché il sentimento che provava per lui e la paura di perderlo, sovrastava tutto il resto. Quando lo lasciava, quando gli chiudeva una porta in faccia, Ophelia si sentiva in colpa, si sentiva spaventata di poterlo non vedere più l’indomani e quella sua sensazione, nel tempo si era rivelata pura realtà. Lo conosceva, forse fin troppo bene e questo era uno svantaggio, oggi che si trovava a giocare e parlare con una persona diversa. Tranquillo, non mi sembri un caso disperato solo che… sei diverso da come ti ricordavo.. più.. spontaneo rivelò, guardandolo negli occhi, cosa che era riuscita a fare ben poco in quelle ultime ore.
    Le fece piacere sentire dire che avrebbe voluto conoscerla di nuovo, ricordarla. Era qualcosa che le aveva provocato un tornado dentro, qualcosa che sapeva essere in grado solo lui di provocare. Non riusciva a spiegare neanche a sè stessa il legame che aveva instaurato con lui, era come se Ophelia avesse donato lui la chiave del suo cuore e nonostante tutto, nonostante il dolore, lui ne fosse ancora in possesso, libero di giocarci e decidere di questo. In due anni, lei non era riuscita a donare il proprio cuore a nessun altro, come se stesse aspettando invano il suo ritorno ed oggi che lo aveva nuovamente di fronte, il suo cuore aveva ripreso a battere, a provare emozioni ormai sopite da tempo. Era assurdo, incredibile e se Sam avesse sentito anche la metà di quei suoi celati pensieri, le avrebbe sicuramente staccato la testa eppure, Ophelia doveva ammettere di non aver mai messo veramente da parte , i sentimenti che aveva provato (e provava) per lui.
    Ma la vera domanda è.. perché tu sei ancora qui? Perché non mi hai ancora mandato a quel paese? già, perché non lo aveva fatto? Perché non lo aveva mandato a quel paese? Non lo aveva fatto perché dentro di lei vivevano due persone: quella razionale, con il dito alzato, pronta a riprenderla e a dirle che stava sbagliando, che doveva mandarlo a quel paese con tutto quello che le aveva fatto passare. E poi c’era quella emozionale, con le mani in grembo, pronta ad ascoltare e a capire cosa l’uomo avesse da dirle, quella che provava sentimenti forti. Ma questo non poteva certamente dirglielo, decise quindi di ripiegare con un semplice sei stato una persona importante per me.. probabilmente se me ne fossi andata mi sarei chiesta molto volte cosa sarebbe cambiato se fossi rimasta, cosa sarebbe successo se avessi accettato il tuo invito a rimanere confessò una volta un saggio mi disse i se ei ma, sono il patrimonio delle *fave aggiunse infine, sperando di ovviare oltre alla domanda.
    Deve essere strano, non ricordare gran parte della propria vita… chiese poi, facendo riferimento ai ricordi perduti e cercando di capire, cosa passava per la testa di queste persone che erano in grado di convivere con questo grande vuoto. Io mi spavento se non ricordo come ho progettato qualcosa, il giorno prima.. o le modifiche che volevo fare ad una borsa! alzò nuovamente lo sguardo su di lui, ricordando che lei era una sconosciuta ai suoi occhi studio interior design all’universita di Besaid e a tempo perso, disegno borse per un artigiano della città che le produce a mano come pezzi unici spiegò, ricordando anche quanto si trovassero bene con il loro lato artistico e creativo. Piaceva ad entrambi sentire musica dal vivo - anche se per immagine, Erik amava farsi vedere in discoteca - e piaceva ad entrambi andare a vedere mostre o teatro.
    *Fave = in Toscana, ma in particolare a Firenze, è un’offesa, bonaria se detta scherzosamente (es. cretino, coglione etc)


    Edited by charmolypi - 26/9/2019, 22:53
     
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    In quegli anni non aveva potuto fare a meno di chiedersi per quale motive non avesse alcuna memoria del suo passato, della sua casa, della sua famiglia. Era assurdo che non esistesse alcun biglietto, che non ci fosse una spiegazione, una traccia. Nei primi mesi aveva ricevuto molti messaggi di persona che sembravano conoscerlo, ma di cui lui non sapeva nulla e, per evitare di avere troppi pensieri per la testa e di ritrovarsi continuamente tutte quelle chiamate e quei messaggi aveva deciso di cambiare numero, mettendo da parte la vecchia sim del suo telefono e sostituendola con una nuova che gli aveva permesso di mettere da parte tutte quelle stranezze e di iniziare davvero una nuova vita. Forse era stato l’ultimo frammento del vecchio se stesso rimasto a spingerlo a cancellare ogni cosa, con un colpo di spugna, per evitare che il suo passato potesse raggiungerlo e spingerlo a tornare indietro. Probabilmente in cuor suo aveva sempre saputo che prima o poi lo avrebbe fatto, ma aveva preferito cercare di temporeggiare il più a lungo possibile per non dover fronteggiare i suoi errori troppo presto. Sapeva di averne commessi molti nel corso della sua vita, di avere parecchie cose a cui rimediare, ma lui non era pronto per avere a che fare con quel genere di responsabilità, per assumersi le sue colpe e tornare indietro. Dopo il primo mese trascorso lontano da Besaid si era sentito come se, all’improvviso, tutto quel peso che aveva sempre gravato sulle sue spalle si fosse finalmente alleggerito. Non c’erano più stupide feste a cui prendere parte, non c’erano mani da stringere, sorrisi da rivolgere anche alle persone che mal sopportava. C’erano soltanto lui e Jasper e una vita ancora tutta da scrivere. Forse il suo unico vero errore era stato quello di partire senza di lei, di non chiederle di seguirlo, di iniziare quel nuovo percorso insieme a lui, lontani dalle costrizioni che la sua famiglia gli avrebbe sicuramente imposto. Chissà come sarebbero andate le cose se lei fosse stata al suo fianco, in quei due anni… Invece Ophelia se ne stava lì ora, seduta di fronte a lui ad un tavolino dell’Egon, cercando di fare luce su delle faccende che per lui sarebbero probabilmente state per sempre oscure. Aveva ragione lei, dopotutto, che senso aveva recuperare qualcosa che probabilmente aveva scelto di lasciar andare? Se soltanto non fosse stato così curioso a riguardo, così desideroso di rimettere insieme quanto meno i pezzi fondamentali che lo avrebbero aiutato a chiudere il cerchio, si sarebbe detto che probabilmente stava molto meglio così, senza un passato che ormai non aveva più alcun valore. Aveva letto il leggero fastidio nella voce di lei, nel mettere in luce quel particolare dettaglio della storia, ma cercò di non scomporsi. Non poteva certo fargliene una colpa, dopotutto, non sapendo che cosa potesse provare lei in quel momento ritrovandoselo davanti. Da quanto tempo era terminata la loro relazione quando lui era partito? E soprattutto, in che modo era terminata? Di certo chiederglielo apertamente non lo avrebbe aiutato a mantenere la conversazione su toni distesi.
    Arricciò in maniera quasi impercettibile le labbra, con aria vagamente pensosa, quando lei disse che forse la strana forza che lo attirava verso di lei erano soltanto i suoi ricordi che cercavano di bussare senza ancora riuscire a trovare una via per tornare vividi. Non era la prima volta che gli capitava qualcosa di simile, lo aveva notato quando alcune canzoni erano venute fuori di getto, senza che lui riuscisse a comprendere quale stato d’animo potesse averle generate. Erano strano ora pensare che, tutte quelle cose che gli erano sembrate frutto di una fervida immaginazione potevano essere invece un messaggio del suo subconscio che voleva suggerirgli che c’era qualcosa che non andava. Anche questo preferì tenerlo per sé. Sebbene quella ragazza sembrasse conoscerlo lui non poteva purtroppo dire lo stesso e non gli sembrava quindi il caso di attaccare con tutti i suoi dubbi e le sue riflessioni. Ci avrebbe pensato con più calma una volta rientrato a casa e avrebbe cercato di trovare almeno qualche traccia di quel vecchio se stesso. Inarcò un sopracciglio, guardandola con aria un po’ più confusa quando gli rivelò di avere un ricordo di lui decisamente meno spontaneo di quanto sembrava in quel momento. -Ed è un problema? - chiese, quasi di getto, onestamente curioso di conoscere la sua risposta. Perché se lui era disposto a conoscere di nuovo le persone che un tempo avevano avuto un posto nella sua vita, non era detto che quelle fossero altrettanto disposte ad avere a che fare con quella che sembrava essere una versione piuttosto diversa di lui. Doveva essere complicato, anche per loro, trovarsi davanti qualcuno di apparentemente noto e che invece risultava in qualche modo sconosciuto, ma lui non era certo di essere disposto a cambiare soltanto per fare felici le persone che lo avrebbero voluto vedere diverso. E per quanto potesse essere curioso di ricostruire qualche pezzo del puzzle, di conoscere quella ragazza così carina e gentile che si trovava davanti, non sapeva se per lei sarebbe stato lo stesso. Avrebbe voluto imparare a conoscerlo di nuovo? O avrebbe preferito mantenere i ricordi che aveva di lui ed evitare di modificarli?
    Non riuscendo a trattenere la curiosità le chiese per quale motivo avesse deciso di restare. Dalle sue parole comprese che il loro legame doveva essere stato piuttosto forte, anche se non riuscì ad afferrare del tutto quello che lei stava cercando di dirle. -Il mio invito a restare? – chiese quindi, abbastanza confuso a riguardo visto che sembrava essere lui quello che aveva scelto di non restare in quella città. Quindi cos’era esattamente che stava cercando di dirgli? -E conoscevo questo saggio? - domandò poi, con un’espressione leggermente divertita sul volto, cercando di allentare la tensione. Non capiva perché, ma non riusciva a sentirsi del tutto a suo agio in quella situazione. Continuava a sentire una stranissima sensazione, come se ci fosse qualcosa che avrebbe dovuto capire e che invece rimaneva del tutto oscura al suo sguardo. -Si, molto strano.. - iniziò, fermandosi dopo pochi momenti, ripensando a tutte le domande che si era fatto nel corso degli anni. Si era chiesto chi fossero i suoi genitori, dove si trovassero in quel momento. Ascoltò con interesse i piccoli dettagli in più che lei volle dargli sul suo conto: il corso di studi che frequentava, la sua università, e il suo hobby. Sembrava una ragazza piena di vita e con una grandissima curiosità. Si ritrovò a sorridere, senza quasi volerlo, nel sentirla parlare in quel modo di se stessa, come se fosse stata piuttosto fiera di condividere i suoi traguardi. Era davvero molto bella mentre continuava a parlare, come se non si sentisse più così a disagio di fronte a lui. -Wow sembrano cose piuttosto impegnative, e riesci a trovare anche un po’ di tempo per riposarti in mezzo a tutti questi impegni? - chiese, cercando di sondare il terreno per un possibile altro incontro, magari a distanza di qualche giorno.
    Con la coda dell’occhio riuscì a notare il suo migliore amico fargli un cenno, da lontano, cercando di attirare la sua attenzione mentre gli indicava l’orario. Lui sbuffò appena, scocciato per quella interruzione. -Jas dall’altra parte sta cercando di farmi capire che vuole che lo riporti a casa. - le disse quindi, scuotendo appena il capo con aria non troppo contenta. -E immagino di averti rubato anche troppo tempo per oggi. - aggiunse, con un sorriso un po’ triste sul volto, senza tuttavia ancora alzarsi in piedi. -Beh.. è stato un piacere rivederti Ophelia, e spero di beccarti di nuovo in giro magari. - le disse, allungando appena una mano nella sua direzione, non sapendo come altro salutarla.
     
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    Dover confrontarsi con Erik, le richiedeva un certo impegno e per i più disparati motivi: in una situazione normale, Ophelia lo avrebbe messo senza dubbio alle strette, chiedendogli spiegazioni sulla sua fuga passata e con una grinta, decisamente diversa da quella che teneva in quel momento. Inoltre, dover tenere testa alla sua capacità, in casi come quelli dove la sua mente era proiettata in ricordi vivi dentro di lei (belli e dolorosi che fossero) le richiedeva un certo impegno. Non ci volle molto, prima che una forte emicrania la raggiungesse e se inizialmente il trovarsi vis a vis con il suo ex fidanzato era stato spiacevole (e al contempo piacevole) solo per i ricordi, la rabbia, i sentimenti che questo le faceva provare, adesso la cosa si era ulteriormente complicata e la ricerca di argomenti semplici a cui fare appiglio, si era rivelata fondamentale. Parlare dei suoi studi, porre delle domande a lui riguardo altro era stata la via di fuga migliore, quella che non la portava a ripensare a loro, anche se non era così facile dato che lo aveva davanti ai suoi occhi.
    Non era un problema avere davanti a sè quella versione di Erik anzi, era piacevole riscontrare cambiamenti in una persona che ti aveva ferita nel cuore e nell’anima perché, dava speranza che tutti potessero cambiare prima o poi, migliorare magari. Ma Ophelia decise di non dirglielo, non ancora almeno. Annui semplicemente, per non lasciare quella domanda senza una risposta e si chiese quanto, doveva essere realmente cambiato è ancora perché, se ne fosse andato senza dargli neanche una spiegazione. Codardo, infame!, ma anche questo, non poteva ancora dirglielo. Dai, è una sala piena di persone, potevi invitare chiunque, no? È automaticamente hai deciso di parlare con me. Non con Emy, non con Zoe che erano comunque lì con noi anzi, forse ancor più a portata di mano. spiegò ancora, cercando di alleggerire l’argomento tornerà, qualcosa tornerà nella tua mente.. succede sempre! Solo che non potrai ricordare tutto e dipende anche quanto tu voglia effettivamente ricordare! Come in tutte le cose, gli sforzi e la volontà incidono molto.. e anche se non ricorderai tutto, potrai comunque chiedere aiuto per ricordare.. o potrai semplicemente decidere di costruire qualcosa di nuovo. Sempre che tu voglia restare, almeno un pò ammise ancora.
    Quando iniziò a parlare di sè stessa, a presentarsi ad una persona che l’aveva conosciuta anche fin troppo bene, Ophelia senti il ronzio nella sua testa diminuire, allietandola almeno un po’. Era difficile combattere con le proprie capacità e c’era chi, come Iwar ad esempio, era stato più sfortunato di lei e doveva ancora di più lottare contro la propria natura, contro quella parte di loro che la città aveva risvegliato. No, mi piace essere impegnata in realtà.. non riesco a stare troppo tempo ferma e mi diverte quello che faccio, quindi fino a quando non sarà un peso continuerò a fare tutto ciò che posso! confidò ancora immagino sia lo stesso per te, con la tua musica.. avrai molto da fare, tra scrivere le canzoni, trovarne la melodia, cercare i posti dove poter suonare e provare continuò, sapendo bene quanto la vita di ognuno di loro, anche la più insignificante, poteva richiedere molto impegno. Di canto suo, Ophelia non era mai stata una ragazza pigra e le piaceva svolgere le attività. Di contro, quando non le piaceva proprio fare qualcosa, era in grado di diventare un vero bradipo e di portare le persone affianco a lei allo sfinimento. Sembrava tranquilla, una faccia d’angelo eppure anche la giovane dagli occhi acquamarina, aveva molte più sfaccettature di quanto desse ad immaginare.

    Tra una chiacchiera e l’altra, il locale si era praticamente svuotato e le lancette del suo orologio lasciavano intendere che erano ormai quasi le 2. L’Egon avrebbe chiuso di lì a qualche minuto e anche Erik sembrava essere stato distratto da qualcosa - o meglio, da qualcuno - in quella loro conversazione.
    Jas dall’altra parte sta cercando di farmi capire che vuole che lo riporti a casa. E immagino di averti rubato anche troppo tempo per oggi. Beh.. è stato un piacere rivederti Ophelia, e spero di beccarti di nuovo in giro magari. annuì Ophelia, guardando in direzione del ragazzo che un tempo, era stato un po’ geloso del tempo che lei aveva sottratto loro e che, in un primo momento non aveva supportato la loro storia, per poi cambiare molto velocemente idea. Sorrise in sua direzione, salutandolo con la mano, un po’ per abitudine, un po’ per cortesia. Anche Jesper non si ricordava niente di lei, eppure sembrava sempre lo stesso Jesper che l’aveva salutata scaruffandole i capelli la notte prima di darsela a gambe: fastidioso e dolce come era solito essere nei suoi confronti. È decisamente l’ora di andare, si è fatto tardi anche per me e qui stanno per chiudere spiegò lei, prima di chiedere ad Erik di aspettarla qualche secondo e dirigendosi poi verso il bancone del bar dove chiese carta e penna.
    Tieni, questo leggilo quando sarai fuori di qua, da solo! disse lui, porgendogli un foglietto bianco piegato in quattro parti. Al suo interno, Erik avrebbe trovato una piccola mappa schematizza con i suoi luogo del cuore quelli dove fin da bambino - così almeno aveva raccontato ad Ophelia - gli piaceva andare. Tra questi c’era anche la via di casa sua, quella di Jesper, il punto del parco dove si divertivano a ritrovarsi quando il tempo era più mite, la via di casa di Ophelia (dove avevano collezionato molti ricordi, tra cui la loro prima volta insieme) ed altri piccoli punti nevralgici della città. Sperando tu ti possa sentire un po’ più a casa. Questi erano i tuoi luoghi. Aveva scritto in fondo, firmando poi con il suo nome. Per il resto, era certa che se solo avesse voluto rivederla veramente, l’avrebbe cercata e trovata senza troppi problemi. Buona notte Erik lo saluto poi, prima di sparire dietro il buio della notte.

    ROLE CONCLUSA
     
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