coffee, tiramisù and writer's block

Blue & Xavier | Pasticceria Anthemis | 10 am

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    Era in crisi. Il blocco dello scrittore o Dio solo sa cos'altro l'aveva colpito. Forse una malattia mortale. Aveva sempre immaginato la sua morte per mano di un tumore al cervello. Era spesso il tuo pezzo forte il primo a lasciarti, vita infame. In questo caso per Xavier, appunto, la testa. Si era anche ripromesso che avrebbe preferito farla finita piuttosto che lasciarsi lentamente spegnere. Non pensava troppo spesso al suicidio, ma gli era bastato vedere il declino del padre per convincersi che, nel caso sopra citato, sarebbe saltato giù dal ponte più alto di Besaid. Suo padre era sparito così, senza lasciare traccia, si era dissolto lasciandosi dietro soltanto il ricordo. Per ora però Xavier voleva vivere, anche se il cervello non sembrava voler funzionare bene. Aveva passato quattro giorni chiuso in casa impedendo persino alla vicina di entrare nell'appartamento. Era una vecchietta molto gentile che si era presa a cuore il destino dello scapolo trentenne, accertandosi che mangiasse almeno due pasti al giorno e che la casa venisse rassettata una volta alla settimana. Senza la signora Org, Xavier sarebbe probabilmente morto, inondato da quegli stessi fogli che giorno e notte disegnava, sepolto vivo dalle proprie storie. Eppure capitavano certe giornate nere, proprio color inchiostro, in cui non riusciva a partorire nessunissima idea. Sentiva la mente in secca, un po' come quei fiumi che d'estate spariscono. Tornano sempre in inverno, quando il cielo è plumbeo le piogge si infittiscono, almeno fino a quando l'uomo non ha rovinato tutto con l'effetto serra e il surriscaldamento globale. Stava succedendo la stessa cosa a lui? La materia grigia si stava forse ritirando, un lento processo che l'avrebbe lasciato più arido del deserto del Gobi? Fare di qualsiasi cosa una tragedia era una caratteristica che Xavier ancora non sapeva se reputare pregio o difetto. Immaginare scenari apocalittici lo aiutava a evitare certe delusioni che, lo sapeva, sarebbero arrivate. Non si trattava di pessimismo, era questione di sopravvivenza.
    Il problema di quella sceneggiatura era il non avere una trama sostanziale. Patetica, scialba, priva di colonna vertebrale, gli era stata commissionata una pagliacciata sfociante nel genere a luci rosse. Non era la durezza del tema a spaventarlo, Xavier apprezzava il realismo quando era fatto bene. Era la scarsezza di contenuti e la profondità dei temi degna di un cucchiaino da tè a fargli cadere le braccia. - Vogliono del sesso? E glie lo daremo! - Si era detto, le dita che febbrili andavano ad arrotolare le maniche della camicia sgualcita - l'unica superstite all'assenza di Org che fosse in uno stato semi decente, a parte la macchia di non so bene cosa sul polsino destro. Dopo appena dieci minuti da quella vana forma di auto-incoraggiamento Xavier s'era alzato, aveva infilato giacca, capello e sciarpa e con il computer nella borsa di pelle malridotta a tracolla, si era chiuso l'uscio di casa alle spalle.

    Quando era uscito per affrontare il freddo di quel Gennaio senza pietà, Xavier sapeva esattamente dove andare. C'era quella pasticceria non troppo lontana dal centro, l'ambiente era rilassato e di solito tranquillo. In più servivano un ottimo caffè e il tiramisù più buono della città.
    Mezz'ora dopo Xavier entrava nel piccolo locale e la sua presenza venne annunciata dal tintinnio di una campanella posizionata strategicamente sopra la porta per far imbarazzare le persone come lui. Fece un sorriso alla proprietaria, accennando addirittura un gesto veloce con la mano. Qualche settimana prima aveva scoperto quel piccolo angolo appartato di mondo e erano ormai diverse volte che vi si rifugiava, in cerca di quella pace e di quel silenzio che nella solitudine del suo appartamento proprio non gli riusciva di trovare. Ordinò una tazza grande di caffè e il suo amato tiramisù, poi si defilò silenziosamente per sedersi al solito tavolino, quello vicino alla finestra. Ogni volta era apparecchiato per due, e ogni volta l'uomo prendeva le posate e le trasferiva nel tavolo di fianco. Non voleva sentirsi più solo del dovuto. Tirò fuori il computer, attaccò il carica batterie alla presa più vicina e lo aprì come una conchiglia che si schiude al comando del mare. Ma non c'era nessuna perla o tesoro magico lì dentro, solamente la pagina vuota della sedicesima scena. Dopo mezz'ora erano già tre le tazze che aveva consumato, ma la pagina era sempre e irrimediabilmente vuota. Invece di scrivere, Xavier si era messo a disegnare uno dei suoi personaggi. Di quelli inventati da lui, non di certo intrappolati negli stereotipi di quella sceneggiatura su commissione. Intorno al pc c'erano infatti moltissimi fogli. Alcuni erano storyboard, altri solamente caratterizzazioni visive di persone che vedeva nella vita reale e che per un motivo o per un altro lo colpivano. Poteva essere attratto da uno sguardo, o più semplicemente dal neo all'angolo della bocca che la signora dietro di lui continuava a stuzzicare con la punta delle lingua. Ce ne era uno della proprietaria della pasticceria, Amarantha, le cui rughe sul volto avevano catturato l'attenzione dell'uomo come talismani di un tempo lontanissimo. Le trovava preziose e bellissime. Quello poteva essere il viso di uno sciamano, perfette per un possibile soggetto futuro. Senza rendersene conto, Xavier aveva disegnato proprio tutte le poche persone che abitavano al momento la pasticceria, anche la ragazza che serviva. Si prese il viso fra le mani, sbirciando di tanto in tanto il computer fra gli spazi tra un dito e l'altro, come se sperasse che magicamente qualcosa potesse apparire. Abbassò la testa, le dita fra i riccioli castani e ribelli, e all'improvviso una voce lo fece letteralmente volare sulla sedia. - Caffè? - Fissò la ragazza come se fosse un alieno sceso sulla terra per sterminarlo. Sì, solo lui, perché anche l'universo gli era contro. - Uhm?! Oh caffè. Sì sì sì sì. Per piacere e grazie. - La gamba si muoveva a ritmo di uno stress tutto interiore, mentre la mano tamburellava sul touch pad del Mac, segno di nervosismo ma anche spia della troppa caffeina ingerita. Aveva un problema Xavier, lo sapeva bene. Ogni volta che andava lì, Xavier notava la ragazza che gli stava versando il caffè. Gli lanciava degli sguardi con la maestria di un elefante su una corda, incuriosito da quei capelli color degli aranci in primavera. Non si erano scambiati mai più di qualche sorriso, di quei "caffè?" e "si molte grazie" ormai rituali per loro. Xavier si trovava molto più a suo agio a parlare con la nonnina che gestiva il locale, della quale sapeva vita morte e miracoli. Quella era una regola che in generale aveva sempre funzionato per lui, come se il suo organismo non fosse tarato per attaccare bottone con gli under 50. La rossa stava per voltargli le spalle quando Xavier la richiamò. - Hei! - Aveva sentito la sua voce percependola tuttavia come proveniente da un altro corpo. Quando si era voltata, l'uomo aveva accennato ad un sorriso imbarazzato. - Hey...So che può suonare assurdo ma sono davvero disperato e mi servirebbe un consiglio esterno. Come si fa a descrivere la ventottesima scena di sesso in modo diverso? - Si vedeva che era frustrato, il viso ancora segnato dalle impronte digitali che il cuscino aveva lasciato sulla faccia. Si rese conto un nano secondo dopo aver chiesto quella domanda che quella era una domanda davvero tremenda. La prima volta che le parlava e già faceva la sua solita figura. Non è per me, ovviamente. - Sto scrivendo una sceneggiatura per un soggetto ideato da... Boh, gente brutta deve essere per forza per inventarsi una cosa del genere. Comunque ecco, non c'è trama né intreccio, e qualsiasi cosa io provi a costruire mi viene rimandata indietro richiedendo sempre e solo la stessa cosa: più sesso. Insomma, cosa ci sarà mai di così esaltante? Voglio dire, ovviamente è parte integrante delle vita di ognuno di noi e è una cosa bellissima, spesso e se sei fortunato. Però in una storia deve esserci anche qualcosa di più, qualcosa al di là, altrimenti sarebbe solo realtà. Non credi? - In tutto quel delirio, Xavier sembrò ricordarsi solo in quel momento delle dozzine di fogli e foglietti sparsi sul tavolo, ognuno ritraente scene e volti di persone presenti quel giorno. Compresa lei. Cercò di impilarli uno sopra l'altro il più velocemente possibile. - Okay. Che ne dici di premere il tasto cancella - o anche Bandersnatch, non so se hai visto la serie Netflix - e di ricominciare? Io sono Xavier, è un piacere conoscerti. Fai del caffè buonissimo, ne sono drogato. - Allungò una mano macchiata di inchiostro da disegno, il sorriso ampio a voler nascondere l'imbarazzo in cui si era cacciato poco prima.

    non ho riletto ciccina, perdonami ma sono stanchissima quindi SICURAMENTE ci saranno cafonate.
     
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    BLUEBELL SERENA BLYTHE ❖

    Scrutando il proprio riflesso nello specchio appeso al muro del retrobottega dell’Anthemis, Serena fece scorrere le dita tra le ciocche di capelli vermigli, sollevandoli sulla nuca sino a fissarli in una coda alta. Con attenzione, posizionò qualche forcina per tenere a bada le ciocche più ribelli. Recuperò il grembiule verde salvia dalla borsa e lo indossò, fermandolo con un grazioso fiocco sul davanti della vita. Ne lisciò appena le piegoline e sistemò nella tasca anteriore il piccolo block notes – accompagnato dalla penna – per le ordinazioni. Era di ottimo umore, a tal punto da mormorare sottovoce qualcuna delle sue poesie preferite; forse avrebbe persino canticchiato, se solo le fosse stato possibile ascoltare un qualche motivetto. Se il periodo di apprendistato al Queen of Tarts era stato divertente, lavorare all’Anthemis le piaceva davvero: il locale, decorato con colori pastello ed uno stile shabby-chic, era adorabile, i pasticcini terribilmente invitanti e il tempo, in compagnia di Liv o di sua nonna Amarantha, scorreva sempre incredibilmente veloce anche negli orari di punta.
    Dopo essersi lavata le mani, entrò nel locale già illuminato ma ancora deserto. Sebbene fuori fosse ancora piuttosto buio, i primi clienti sarebbero arrivati di lì a poco per una tazza di caffè e qualcosa di goloso prima di affrontare l’ennesima giornata di lavoro. Nell’aria, un misto di odori dolci, invitanti ed accoglienti proveniva dal retrobottega, segno che Amarantha si stava dedicando alla preparazione delle vivande per la giornata. In attesa che l’orologio appeso alla parete scoccasse l’orario di apertura, Serena armeggiò con la macchinetta del caffè. Dopo qualche istante – e con uno sbuffo di vapore – il liquido bollente iniziò a sgorgare dal beccuccio, sino a riempire la caraffa di caffè appena fatto; in pochi minuti, il sentore della bevanda scura si mischiò a quelli dei dolci, prepotente e corposo. Ancora vagamente assonnata, la giovane se ne versò una tazza, cercando di sopprimere uno sbadiglio. Alzarsi presto non le pesava, ma le basse temperature invernali e le poche ore di luce la rendevano più letargica del solito e, talvolta, il thè verde con cui faceva colazione non era sufficiente a svegliarla. In attesa che il caffè raggiungesse una temperatura bevibile, si assicurò che i tavolini ed il bancone fossero perfettamente puliti. Stava per dirigersi in cucina quando Amarantha la anticipò, sbucando dal retro reggendo due ampie teglie. Vedendola, la donna le sorrise. «Buongiorno Bluebell.» Era una delle poche persone, al di fuori di sua madre, a chiamarla con il nome di battesimo. Serena non si preoccupò di correggerla o protestare. Sapeva che Amarantha amava particolarmente i fiori, Liv glielo aveva raccontato e lo stesso nome della pasticceria ne era un esempio lampante. «Hai già fatto colazione, cara?» Si informò, depositando le teglie sul ripiano ed iniziando a spostare il loro contenuto nei vassoi esposti nella vetrina. Serena annuì, avvicinandosi per aiutarla. «Sì, grazie. Però ho preso una tazza di caffè. Di inverno faccio sempre un po’ fatica a… mettermi in moto Ammise, posizionando i tramezzini ben farciti in bella vista. «Questi sono gli ultimi o ce ne sono ancora?» Domandò, impilando le teglie. «Sono rimasti i biscotti ed il vassoio di tiramisù.» Mentre la donna sistemava i vassoi, Serena ne approfittò per recarsi in cucina a recuperare il tiramisù ed i biscotti appena sfornati. Sebbene lavorasse all’Anthemis da poco, aveva scoperto in fretta che Amarantha era una donna sorprendentemente indipendente e dolce al tempo stesso. Era evidente che fosse abituata a darsi da fare ma, nel vederla trasportare oggetti pesanti od ingombranti, a Serena veniva istintivo offrirsi di aiutarla – dopotutto, era pagata per quello – anche se, a volte, tentava di contenersi: lei stessa, per prima, detestava che le persone accorressero costantemente in suo aiuto quando non era assolutamente necessario.
    Riemerse dal retro reggendo un vassoio in ciascuna mano e li sistemò come i precedenti, avendo cura che l’insieme di leccornie proposte risultasse gradevole anche alla vista. Una ventata d’aria fresca – seguita dal tintinnio della campanella posta sopra all’entrata – la avvertirono che il primo cliente della giornata era appena arrivato: una donna sulla quarantina dalle guance arrossate per il freddo, stretta in un piumino grigio. Serena le sorrise. «Benvenuta all’Anthemis. Cosa gradisce?» Domandò allegramente.
    La mattinata trascorse in un baleno. Clienti abituali e non si alternarono ininterrottamente davanti al bancone – chi ordinando bevande calde da consumare al tavolo accompagnate da qualche peccato di gola, chi richiedendo la colazione in contenitori o sacchetti di carta per poterla portare via – sino quasi alle 9.30. Solo allora, mentre nel locale si ritornava a respirare l’aria di intimità e tranquillità che lo caratterizzava, Serena riuscì a finire la tazza di caffè ormai freddo. Nel mentre, un paio di clienti abituali si erano accomodati ai tavoli preferiti, leggendo in silenzio o lavorando al computer. Piacevolmente cullata da una sorta di routine abitudinaria, la giovane si premurò di dare una pulita ai vari tavolini, prima di apparecchiarne la metà per il pranzo. Spazzò accuratamente il pavimento in prossimità del bancone, dove si erano accumulate diverse briciole e, dopo essersi lavata le mani, si accorse che la caffettiera era ormai vuota: erano rimaste si e no due dita di caffè, freddo. “Sarà meglio prepararne dell’altro.” Pensò, fra sé e sé, gettando una rapida occhiata alle poche persone presenti. Tra loro, due donne avevano ordinato degli infusi accompagnati da piccola pasticceria, mentre il giovane seduto al tavolino accanto alla finestra sembrava necessitare di tanto caffè quanto un’auto d’epoca di benzina. Le era rimasto impresso; non aveva mai incontrato nessuno che bevesse così tanto caffè in un breve lasso di tempo: sebbene avesse iniziato a lavorare all’Anthemis da poco, Serena ricordava di averlo già incontrato durante il suo turno, seduto al medesimo tavolino e costantemente attorniato da fogli o concentrato sul portatile. Immaginando che avesse già terminato la tazza precedente, gli si avvicinò con la caraffa piena di caffè caldo e fumante, appena fatto. «Caffè?» Domandò, con un leggero sorriso. Dovette averlo preso alla sprovvista poiché, alzando lo sguardo nella sua direzione, l’uomo la guardò con aria confusa e – almeno così parve a Serena – quasi spaventata. «Uhm?! Oh caffè. Sì sì sì sì. Per piacere e grazie.» A giudicare dal rapido movimento della gamba e delle dita, forse ingerire ulteriore caffeina non era la cosa migliore ma, senza protestare, Serena gli riempì generosamente la tazza. Gli rivolse un ultimo sorriso ma, prima di voltarsi completamente per tornare al bancone, colse con la coda dell’occhio il suo richiamo. «Hei!» Gli prestò nuovamente la propria attenzione ma, prima che potesse chiedergli di ripetere ciò che aveva detto, lui aveva già ripreso a parlare. «Hey...So che può suonare assurdo ma sono davvero disperato e mi servirebbe un consiglio esterno. Come si fa a descrivere la ventottesima scena di sesso in modo diverso?» Serena battè le palpebre, perplessa. Per un istante pensò di non aver capito bene: doveva esserle sfuggito qualche movimento delle labbra, oppure aveva confuso le sue parole. La sua spiegazione la investì in pieno: lavoro, niente trama, più sesso. Le ricordò uno dei piloni del marketing dell’era moderna, come ripeteva sempre uno dei suoi professori all’Università di Warwick: il sesso vende. Ovunque. Soprattutto nell’intrattenimento. «Oh.» Replicò, senza sapere bene cosa dire. Si strinse nelle spalle, vagamente a disagio. Lei non era certo la persona giusta a cui chiedere un consiglio simile: la sua mancanza di esperienza diretta al riguardo - esperienza vissuta in prima persona, non informazione, sia chiaro: sapeva perfettamente come nascevano i bambini e tutto il resto – la rendeva piuttosto ingenua e, forse, eccessivamente “romantica”. «Non saprei. Voglio dire… credo che ognuno lo viva in modo diverso, no?» Biascicò, arrossando e sperando di dare un vago senso compiuto alle proprie parole. Dal canto suo, Serena non si era mai preoccupata troppo al riguardo: escludendo qualche cotta infantile e mai ricambiata, la sua vita sentimentale non era mai realmente decollata e ciò aveva irrimediabilmente eliminato a priori la necessità di dover bilanciare fede e sentimenti, nonché tutte le problematiche correlate e relative al desiderio fisico.
    Senza un apparente motivo, l’uomo si affrettò a sistemare i fogli sparsi sul tavolo e, per delicatezza, Serena mantenne lo sguardo fisso su di lui. Non voleva risultare impicciona e, se fosse incappata in qualche sceneggiatura passionale, la situazione sarebbe diventata ancor più imbarazzante. «Okay. Che ne dici di premere il tasto cancella - o anche Bandersnatch, non so se hai visto la serie Netflix - e di ricominciare? Io sono Xavier, è un piacere conoscerti. Fai del caffè buonissimo, ne sono drogato.- » Pur non avendo idea di ciò a cui l’altro si stesse riferendo, la giovane dai capelli rossi annuì leggermente. Xavier le sembrava un tipo gentile, forse un po’ bizzarro, ma allegro e chiacchierone. L’aveva inondata di parole in pochi minuti e, al contrario della maggior parte delle persone, a Serena ciò non dispiaceva: raramente gli sconosciuti si soffermavano a chiacchierare con lei, soprattutto una volta notata la cicatrice dietro l’orecchio ed intuita la sua sordità. In genere non si trattava di cattiveria, quanto di sorpresa e disagio; chi non aveva mai avuto simili esperienze faticava ad approcciarvisi e, nella maggior parte dei casi, la soluzione più semplice a portata di mano risiedeva nel limitare l’interazione. «Mi chiamo Bluebell, ma preferisco Serena. Solo i miei genitori usano il mio nome di battesimo.» Allungò la mano a stringere quella che lui le porgeva ma, nel compiere quel movimento, si inclinò lievemente in avanti, abbassando il braccio con cui reggeva la caraffa piena di caffè. Fu un movimento leggero ma ormai il danno era fatto: il liquido scuro traboccò oltre il bordo, rovesciandosi sui pantaloni di Xavier ed allargandosi in una minacciosa macchia scura e bollente. «Oh no!» Accorgendosi del disastro, Serena appoggiò la caraffa sul tavolino accanto, recuperando una manciata di tovaglioli. «Scusami!» Si chinò accanto a lui e tentò di asciugare il liquido bollente, tamponando con i tovaglioli contro la sua gamba. «M-mi dispiace tanto!» Balbettò, con le guance che ormai avevano raggiunto lo stesso colorito dei capelli, cercando – inutilmente – di limitare i danni. Era possibile essere più impacciate di così? Alzò lo sguardo su di lui, le mani ancora piene di tovagliolini e poggiate sulle sue gambe, sebbene sul tessuto fosse già evidente la macchia di caffè. «Ti sei fatto male? Il caffè era bollente…» Domandò, sperando di non averlo ustionato. Se così fosse stato si sarebbe sentita in colpa per sempre. «La consumazione di oggi la offro io. E anche la lavanderia per i pantaloni.» Aggiunse. Nel panico, getto una rapida occhiata al tavolino su cui erano sistemati il pc ed i fogli. Se non altro, il resto della roba era rimasta illesa.

    Sei liberissima di rendere il tutto ancor più imbarazzante, se possibile.
     
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    Granelli di polvere in controluce, piattini che sbattono, sedie che stridono sul pavimento. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in lui, la stessa cosa che lo spingeva a parlare a vanvera e a disegnare ritratti di sconosciuti fermi alla fermata dell'autobus. Qualcosa di strano che metteva a disagio le persone, che le faceva scappare. O mantenersi alla larga. Al posto degli altri lui non si sarebbe avvicinato a sé stesso. Già solo i capelli spettinati, l'aria trasandata e la mente sempre chissà dove urlavano: "per carità". Insomma, non poteva biasimare il prossimo per averlo lasciato tutto solo. Se l'era cercata, senza volontà né colpa, ma alla fine toccava fare a lui i conti con la sua solitudine. E con il fallimento. E con la propria inettitudine. Grandi sogni, belle parole, e si ritrovava a chiedere a una perfetta sconosciuta di descrivergli il sesso in maniera diversa, non stereotipata. Tutto regolare. Tra i tanti difetti e le innumerevoli colpe, qualcosa Xavier sapeva fare, ossia interpretare le persone. O meglio, tranne conclusioni dalle cose che non dicono. Gli umani sono composti dal 45% di parole, il resto sono tutte cose non dette. Xavier era bravo a leggere quel 55% di messaggi fra le righe. E oh, quell': «Oh.» celava tutto l'imbarazzo in cui l'aveva messa. Non appena lo sentì, si pentì della domanda, ancora prima di vederne i risultati dipingersi d'incertezza sul viso della ragazza. Denti che cozzano, sapore ferroso sulla lingua. Sì, hai ragione. Io ho finito tutti i "modi di viverla" che mi vengono in mente. Anche quelli più fantasiosi. Spiegò con un'alzata di spalle. Il movimento causò il distendersi di qualche nervo accavallato tra la scapola e il collo. Che male cane. Scusami, ho un talento speciale nel mettere in imbarazzo le persone, sopratutto quelle che non conosco. Sentiva la necessità di scusarsi a più riprese, come se il suono di quelle lettere potesse far tacere il disagio intorno a loro. Azzittire no, alleviare, forse. Risistemare i disegni prima che l'altra si accorgesse che, fra i vari, le pile di fogli ospitavano anche un suo sketch. Cercò di compiere quel gesto con naturalezza e nonchalance, una persona qualunque che mette in atto un gesto qualunque, quasi soprappensiero. Mettendoci troppa fretta però incespicò con le dita, fece fin troppo rumore, e non riuscì a farlo passare per un'azione normale. Sapeva che Blue sapeva, era solo troppo gentile da sforzarsi di maniere lo sguardo puntato altrove. Si domandava spesso, Xavier, se fosse nato così o se era stata "colpa" della sua infanzia. Sempre preponderante per la seconda, ultimamente però aveva rimuginato sulle possibilità di essere semplicemente in quel modo e basta. Niente se, niente ma, Xavier non avrebbe potuto fare altro per cambiare sé stesso. Crogiolarsi in quella convinzione era un sollievo, una boccata d'aria dopo aver sollevato il macigno dal petto. Era una sicurezza fragile però, che poteva crollare da un momento all'altro se solo avesse permesso alla realtà di fare irruzione. La realtà, sempre lei arrivava a rovinare i piani. Perché non poteva vivere in uno dei suoi libri? Lì si che la sua vita avrebbe avuto senso. E invece eccolo lì, un uomo che ha passato la trentina, single e con un divorzio alle spalle, un appartamento minuscolo, un talento sprecato e un lavoro che farebbe accapponare la pelle al Papa. Bella la vita, eh?
    Non furono le parole della ragazza a riscuoterlo da quelle lugubri fantasie, non aveva proprio sentito il nome che gli era stato detto, bensì ci pensò qualcosa di ustionante all'altezza del cavallo a riportarlo con i piedi per terra. Aveva perso qualche secondo a cercare di capire in che emisfero si trovasse, quando il liquido -caffè?-aveva impregnato i pantaloni per giungere finalmente alla meta finale. La sua pelle. Lanciò un grido, o un lamento, mentre faceva per tastarsi addosso trovando però già le mani di Blue su di lui. Le sue mani sulla sua gamba. Devo ripetere? Fece scattare le braccia in alto, lo stesso gesto che fanno le persone sotto mira della polizia, o quelli che non hanno idea di cos'altro farci, con le proprie mani. Se possibile, quel contatto era ancora più doloroso del caffè bollente sulla pelle. Lo stesso dolore che si prova la prima volta che si sta così vicino ad una ragazza. N--No No, sto b-bene. Biascicò senza riuscire a fermare la frenesia che aveva di asciugargli l a gamba. Suona patetico, ma ne era passato di tempo dall'ultima volta che era stato sfiorato senza dover pagare. Non che chissà cosa stesse facendo, sia chiaro, ma vuoi per le squallide scene che era costretto a scrivere, vuoi per la prolungata astinenza, il tovagliolo che Blue strofinava sulla gamba risultava piacevole. Non sapeva che la coscia potesse essere un punto erogeno maschile. Impiegò qualche secondo a realizzare a cosa stesse pensando, e Blue non aiutava per niente la situazione. Doveva fermare a tutti i costi quelle dolorose e amorevoli manine. Disgustato da sé stesso, le strinse con leggerezza le dita intorno ai polsi, bloccandola finalmente. Okay, okay...Sto bene, tranquilla. Disse a bassa voce, mentre con le guance paonazze la lasciava subito andare e con un fazzoletto tamponava ancora un po' la macchia. Si ricompose leggermente, infilando le gambe sotto al tavolo per nascondere il più possibile eventuali e indesiderate presenze. Davvero, non è grave... Blue, ma preferisci Serena, giusto? É solo caffè, ho fatto di peggio con l'inchiostro, fidati! Cercò di tranquillizzarla perché, spavento e imbarazzo a parte, capiva fin troppo bene come si stava sentendo Blue in quel momento. Con lui poteva stare tranquilla però, non era certo una persona che si arrabbiava per quelle cose, o che teneva così tanto alla moda. Sembrerà solo che me la sia fatta addosso, niente di che! Forse dovrò aspettare un po' che si asciughi meglio, quindi ti toccherà avermi tra i piedi. Le fece un sorriso simpatico, per niente sarcastico. Gli era capitato di peggio. Nell'osservarla chinata di fianco a lui e nel panico generale causato dall'esplosione di caffè, Xavier non aveva potuto fare a meno di notare l'apparecchio acustico ben nascosto dietro le orecchie, sorprendendosi di non averlo visto prima. Non per niente, ma da scrittore - in crisi o no - aveva sempre fatto affidamento sulla sua capacità d'osservazione, una qualità esercitata e perfezionata con il tempo che, evidentemente, non era infallibile quanto credeva. Doveva essere in grado di leggere il labiale, altrimenti non si spiegava la conversazione appena avuta, ma Xavier volle provare una cosa che sperava non l'avrebbe fatta arrabbiare. Mosse le mani in una sequenza di gesti che stando ai ricordi che aveva del linguaggio dei segni doveva suonare più o meno come un: "ciao, come stai? Sei nata qui? Hai tempo per sederti un po' con me di fronte a un caffè?" Ma Chissà poi che ne era uscito fuori! Per questo aspettava la reazione di Blue, gli occhi che sprizzavano speranza di aver fatto un inizio migliore del primo. Scusa, abbiamo detto di ricominciare dall'inizio e volevo provare a rispolverare un po' della mie conoscenze . Spesso più parlo, più faccio casino, quindi stare in silenzio a volte mi aiuta. Come sono andato? Ho un terzo tentativo di premere il tasto re-start? Non era sicuro del perché avesse provato a parlarle in silenzio, forse l'avrebbe presta malissimo e l'avrebbe lasciato lì. Sperava di no, perché Bluebell lo incuriosiva molto. Moltissimo.

    pucci, chiedo venia per il ritardo cosmico e per i probabili errori, è da un bel po' che non scrivo e devo riprendere la mano! Appena posso mi metto a rileggere e correggo <3
     
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    BLUEBELL SERENA BLYTHE ❖

    Serena sapeva perfettamente come ci si sentisse ad essere un pesce fuor d’acqua. Lo aveva vissuto sulla propria pelle, più e più volte, in un circolo vizioso senza fine che, a dispetto di longitudine e latitudine, sembrava perseguitarla come una maledizione. Dapprima per colpa dei continui spostamenti dovuti al lavoro dei suoi genitori, quando la sua tenera età le aveva impedito di stringere amicizie durature. Poi in collegio, la sua timidezza le si era ritorta contro, ancor più difficile da abbattere di una vera e propria disabilità. All’epoca dell’università, infine, si era sentita un’estranea. Eccessivamente timida, eccessivamente sola, eccessivamente tranquilla. Mentre i suoi coetanei non facevano altro che divertirsi, intraprendere relazioni amorose e approfittare della lontananza da casa e della primitiva indipendenza per trasgredire e scoprire sé stessi, Serena viveva tutto ciò solo di riflesso, sullo schermo della televisione, grazie a qualche telefilm. Era sin troppo consapevole che quello stile di vita non facesse per lei eppure, crogiolandosi nel sapore agrodolce di quella consolazione, una parte di lei si era sempre sentita in difetto. Troppo innocente, troppo ingenua. Predisposta a dire e fare – ed essere - la cosa sbagliata in ogni situazione, a prescindere da tutti i suoi sforzi.
    Forse fu proprio quella la ragione per cui, a dispetto dell’imbarazzante approccio di Xavier, tentò maldestramente di essergli d’aiuto. Sì, hai ragione. Io ho finito tutti i "modi di viverla" che mi vengono in mente. Anche quelli più fantasiosi. Lo osservò per un istante, forse rivedendo in lui qualcosa di simile a sé stessa. Un’ombra di nervosismo e insicurezza, un velo impalpabile che, a dispetto di mille sforzi, nessuno dei due era ancora riuscito a scrollarsi di dosso. Scusami, ho un talento speciale nel mettere in imbarazzo le persone, sopratutto quelle che non conosco. Bluebell accennò ad un sorriso, rivolgendogli un piccolo cenno del capo. Quello era un ambito in cui anche lei eccelleva, talvolta anche solo grazie alla sua silenziosa presenza. «Non fa niente, davvero.» Replicò, cercando di dissimulare l’imbarazzo, nonostante le sue guance fossero ancora decorate da un rossore insistente. Si schiarì leggermente la voce, sperando di riuscire a darsi un contegno. Non voleva peggiorare ulteriormente la situazione né fare la figura di una puritana. A dispetto della sua mancanza di esperienza diretta, infatti, Serena era cresciuta in un ambiente strettamente scientifico e, inevitabilmente, i suoi genitori avevano sempre fatto in modo di fornirle qualunque conoscenza oggettiva che potesse risultarle utile, anche sul sesso. Lo comprendeva perfettamente a livello biologico, l’impulso al contatto e alla riproduzione era logico, chiaro. Lo aveva approfondito persino dal punto di vista psicologico, a Warwick. Tuttavia, non sapeva cosa si provasse davvero nel desiderare una persona, nel sentire un altro corpo contro il proprio, nel concedere a qualcuno di conoscere la parte più vulnerabile di sé stessa. Se solo fosse stata meno timida lo avrebbe chiesto a Xavier, affinchè glielo descrivesse.
    Gli riempì nuovamente la tazza di caffè mentre, improvvisamente agitato, il giovane uomo sistemava freneticamente l’innumerevole quantità di fogli ed appunti che aveva sparso su tutto il tavolo. Serena evitò accuratamente di impicciarsi ulteriormente, lo sguardo chiaro fisso sul viso del suo interlocutore, senza alcuna intenzione di risultare fastidiosa. Aveva scorto qualche schizzo ma, a parte una sincera sorpresa, non si era sentita a disagio: se solo fosse stata certa di non metterlo in ulteriore imbarazzo, si sarebbe complimentata con Xavier per il modo in cui, attraverso dei tratti a matita, era riuscito a cogliere la natura di Amarantha. Per quanto riguardava la sua… non era mai davvero riuscita a comprendere quale percezione il mondo avesse di lei. Né, forse, lo aveva compreso in prima persona.
    Fu questione di un istante. Un secondo di distrazione che, nel compiere quel lieve movimento, si rivelò decisivo. Il caffè bollente sgorgò dalla caraffa senza che Serena se ne accorgesse, riversandosi in pieno sul cavallo dei pantaloni di Xavier. Il ragazzo sobbalzò, gridando per il dolore. Abbandonata la caraffa, Serena si affrettò a tamponare il tessuto con dei tovagliolini, le guance imporporate per l’imbarazzo ed il cuore che le batteva violentemente nel petto. Continuava a scusarsi, soffocata dal senso di colpa. Come aveva potuto essere così distratta? «Mi dispiace davvero. Brucia molto? Posso andare a prendere del ghiaccio…» Parlò a raffica, evidentemente in preda al panico, mentre tentava impacciatamente di aiutarlo. Con lo sguardo sulla sua gamba, non si accorse che Xavier stava tentando di fermarla, sino a quando non le prese i polsi, bloccandola in una stretta delicata. Si ritrovò a fissare i suoi grandi occhi scuri, improvvisamente conscia di quanto fossero vicini. Okay, okay...Sto bene, tranquilla Serena deglutì, senza riuscire a scacciare la sensazione di avere un groppo in gola. Era mortificata e terribilmente a disagio, conscia che quel piccolo incidente aveva attirato l’attenzione di tutti gli avventori del locale. Davvero, non è grave... Blue, ma preferisci Serena, giusto? É solo caffè, ho fatto di peggio con l'inchiostro, fidati! Si morse il labbro inferiore e lo fissò, domandandosi se fosse sincero o se, come sospettava, stesse solamente tentando di farla sentire meglio. Le guance paonazze la fecero propendere per la seconda ipotesi. Sembrerà solo che me la sia fatta addosso, niente di che! Forse dovrò aspettare un po' che si asciughi meglio, quindi ti toccherà avermi tra i piedi. Annuì, dopo qualche secondo di indecisione. «Mi fa piacere se rimani.» Replicò, senza nemmeno rendersene conto. Arrossì nuovamente, iniziando a balbettare. «Voglio dire… puoi rimanere quanto vuoi. Anche per delle ore. Anche fino a chiusura.» Biascicò, senza riuscire a mettere un freno alla propria lingua.Le avrebbe fatto piacere davvero e, dopo il disastro che aveva combinato, era il minimo che avrebbe potuto fare per farsi perdonare. Si obbligò a tacere per qualche secondo, approfittando del silenzio per schiarirsi le idee e raccogliere i fazzoletti.
    Si rialzò, spolverando distrattamente il grembiule, nello stesso momento in cui Xavier cominciava a rivolgersi a lei nella lingua dei segni. Impiegò qualche istante a comprendere ciò che le stava dicendo, presa in contropiede da quell’improvviso cambio di linguaggio. Si portò istintivamente la mano all’orecchio, alla ricerca dei capelli, raccolti in una coda alla sommità della testa. Anche se ormai vi aveva fatto l’abitudine, si sentiva sempre un po’ nuda quando non poteva nascondere l’apparecchio e le cicatrici. Scusa, abbiamo detto di ricominciare dall'inizio e volevo provare a rispolverare un po' della mie conoscenze . Spesso più parlo, più faccio casino, quindi stare in silenzio a volte mi aiuta. Come sono andato? Ho un terzo tentativo di premere il tasto re-start? L’espressione spaesata sul viso di Serena mutò, sciogliendosi in un sorriso timido ma sincero. Annuì, tormentando tra le dita i fazzoletti pregni di caffè. «Non te la sei cavata male.» Ammise, evitando di soffermarsi su qualche piccola incorrettezza. «Dove hai imparato il linguaggio dei segni?» Lei lo aveva imparato sin da bambina, per necessità. Eppure, crescendo, aveva dato priorità al saper leggere le labbra, supportata anche dai genitori che ritenevano, in tal modo, di offrirle la possibilità di spaziare oltre i confini del mondo dei non-udenti. Raramente le era capitato di incontrare qualcuno che sapesse parlarlo, al di fuori di ambiti ristretti. Si guardò attorno, notando che il locale era ancora tranquillo. Probabilmente la clientela non sarebbe aumentata notevolmente sino alla pausa pranzo. Tornò a guardare Xavier, esitante. «Se non hai fretta… » Iniziò, indicando il pasticcio che aveva combinato per terra: caffè, tovaglioli zuppi, orme ovunque. «Do una pulita e poi possiamo chiacchierare un po’. Ti dispiace spostarti nell’altro tavolino?» Domandò, indicandogliene uno lì accanto, pulito ed immacolato. Afferrò la caffettiera che aveva abbandonato sul tavolo e tornò dietro al bancone, sparendo poi nel retro per recuperare lo straccio. Nel giro di pochi minuti il pavimento era nuovamente splendente, privo di macchie o di schizzi di caffè. Serena portò il secchio e lo straccio sul retro e, dopo averli sciacquati, si lavò le mani. Stava per tornare in sala quando, ricordandosi dell’ordinazione preferita di Xavier, si soffermò accanto al frigo, estraendo una fetta di tiramisù. Vi spolverò sopra un po’ di cacao e sistemò una fragola nel piattino, reggendo con l’altra mano una tazza di thé per sé stessa. Ne aveva abbastanza di caffè, per quella mattina. «Ecco. Offro io.» Mormorò, spingendo il piattino verso di lui con un sorriso e, al contempo, accomodandosi dalla parte opposta del tavolo. Posò le mani in grembo, tormentandosi distrattamente le dita sotto il tavolo. Non era brava a fare conversazione, non con gli sconosciuti. Non con i ragazzi. «Allora…» Si inumidì le labbra, alla ricerca di qualcosa da dire. Avrebbe voluto chiedergli se era riuscito a farsi venire in mente qualcosa di nuovo per la sceneggiatura ma, a ben pensarci, non era il miglior modo di cominciare una conversazione senza ulteriori imbarazzi. E, probabilmente, domandargli dei disegni sarebbe stato altrettanto indiscreto. «Come mai vieni a lavorare qui? Non ti da fastidio avere della gente intorno?» Domandò infine, con sincera curiosità. Per lei non aveva mai fatto molta differenza, nemmeno quando studiava. Anche in una stanza affollata si era sempre sentita sola.
     
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    I gioielli di famiglia si erano salvati dall'ustione, pensava, pericolo scampato. Alla fine era quello il pensiero di ogni uomo, non poter più usufruire della bacchetta magica per compiere straordinarie imprese. Ma non per lui, che in una situazione intima c'entrava come un sottomarino fra le nuvole. No, lui era preoccupato di quello che gli altri potessero pensare della macchia scura sul cavallo dei pantaloni. È caffè - nessuno lo avrebbe creduto, odora! Patetico, in misura minore però dell'idea di avere un medico a esaminare l'ustione e comparare misure. Imbarazzante. Mentre la mente viaggiava in alto dipingendo scenari di apocalittica miseria, Xavier lasciava liberi i polsi della ragazza e si rimetteva seduto, i piedi ben piazzati per terra. Continuava a scuotera la testa, volendo scacciare ogni residuo di colpevolezza dai lineamenti di Blue, e lo fece con tanta intensità da avere il collo dolorante quando finalmente riuscì a fermarsi. Era carina, non poteva corrompere quella dolcezza con l'imbarazzo in cui l'aveva cacciata. Perché alla fine, gira e rigira, aveva iniziato lui quella conversazione con il piede decisamente sbagliato. Partiva sempre tutto da Xavier, finendo per il 99% delle volte col l'altra persona che decideva di alzare i tacchi e fuggire. Dispiaceva sempre un po' quando accadeva, merlino solo sa se avesse bisogno di amici, ma gli sarebbe dispiaciuto un bel po' di più se anche quella volta sarebbe finita allo stesso modo. Lo incuriosiva il mondo che poteva celarsi dentro di lei, se solo si scostava il velo che immaginava arancio, del colore dei suoi capelli. Si ritrovò a ridacchiare, nervoso e lusingato all'idea di poter restare così a lungo. Nessuno lo aveva mai voluto fra i piedi, non fino a chiusura. Faceva piacere essere visibili, lui che dimenticava di esistere. A volte. Attenta a quello che desideri. Cosa? Quelle frasi da stallone non gli si addicevano per niente. Era imabarazzo, il nostro improbabile Schwarzenegger, tamburellando con le dita sul tavolino si concesse l'ennesimo sorriso di scuse, non farci caso, voleva dire. Aveva così poco contatto umano da dimenticare come si esisteva, un manuale di istruzioni avrebbe fatto comodo, possibilmente più semplificato di quelli dell'Ikea. A proposito, comprare delle mensole non avrebbe guastato all'appartamento, non ci si camminava quasi più fra gli scatoloni ancora da aprire. Accarezzò la superficie del tavolo, una dolce carezza. Dove l'avete preso questo? Si mostrò improvvisamente interessanto al pezzo di arredamento, infilandolo in mezzo alla discussione come se c'entrasse qualcosa. Sottomarino fra le nuvole, l'ho già detto. O forchetta fra cancelleria, come preferite immaginarlo, immaginatevelo. Non volendo, era bravissimo nel mettere in imbarazzo le persone - una delle poche questioni in cui eccelleva con estrema restia. Non doveva neanche provarci, era un talento innato. Che culo! Fu lieto che Blue avesse compreso il maldestro tentativo di comunicare con il linguaggio dei segni, l'approvazione era qualcosa che Xavier aveva sempre rincorso. Maestri, genitori, professori, ex moglie, datori di lavoro, non era importante da chi provenisse ma riceverla era essenziale. Non capitava mai spesso quanto avrebbe voluto l'uomo, che viveva la vita in constante apprensione in attesa di una parola di conferma. Che poi l'avesse invitata a bere un caffè... avrebbe pensato dopo a come affrontare il rifiuto. Autodidatta, per lo più tutorial su YouTube. È solo un'altra delle cose a cui mi appassiono, lo trovo interessantissimo e anche molto complicato. Mi piace pensare di poter comunicare senza parlare... Lasciò la frase a metà. Dio se avrebbe voluto avere un caffè. Magari potresti insegnarmi meglio? Azzardò alla fine, uno sbuffo d'aria compressa che sibilava dal naso. Il rifiuto lo terrorizzava forse più di ogni altra cosa, compresa l'orribile sensazione di panico che le superfici bucherellate gli scatenavano. La situazione era degenerata dopo che la moglie, Beatrice, l'aveva lasciato senza troppo preavviso e Xavier era caduto dal magico mondo dei peri, sfracellandosi al suolo. Sapeva incassare bene quei colpi, aveva mantenuto un'espressione neutra durante il discorso dell'ex moglie capendone ogni punto a cui annuiva. Era a casa, da solo, che tutto usciva fuori senza argini. Poteva stare tranquilla, Blue, non avrebbe fatto scenate se avesse rifiutato caffè e lezioni. A perdere ci si abitua con fin troppa facilità. Forse però non era neanche tanto bravo a leggere le intenzioni altrui, perché Blue lo sorprese accettando di passare un po' di tempo insieme, nonostante fosse ancora in servizio. Fu colto alla sprovvista e alla richiesta di Blue si alzò tanto in fretta da scalciare la sedia all'indietro, riacciufandone il bordo all'ultimo minuto per evitare un fracasso. Un moderno Peter Parker . Yes ma'am! Si spostò al tavolino indicato, aspettando poi che spuntasse di nuovo per il caffè in compagnia che gli aveva promesso. Passò qualche minuto scandito dalla gamba che faceva su e giù, nevrotica. Troppo caffè, pensò, ma non rifiutò l'altra tazza quando Blue sopraggiunse offendogliela. Non rifiutare mai cibo o bevande che ti offrono, gli aveva insegnato la madre, e quella era una regola che aveva sempre rispettato, a costo di scoppiare. O di convivere con l'aritmia cardiaca per il resto dei suoi giorni, in questo caso. Oh guarda, tiramisù! Lo ordino sempre. Esclamò raggiante, come se fosse stupito da quell'allinearsi conciliante di pianeti che aveva permesso quella casualità. Impiegò anora qualche secondo per realizzare che Blue lavorava lì e che lo aveva servito almeno una dozzina d'altre volte e che, forse, non era di caso che si trattava. Sollevò lo sguardo castagno su di lei, incredulo. Di solito cercava di far sorridere gli altri e ricevere un gesto tanto dolce era qualcosa di raro per lui. Per una volta nessuna appendice corporea era in nervoso movimento. Wow è...Sei gentile, grazie. Riuscì solo a dire, messo per una buona volta a tacere dalla dolcezza altrui. Era servita una fragola spolverata di cacao per zittirlo. Le sorrise ancora, non si sarebbe mai stancato, prendendo un grande sorso di caffè mentre pensava a qualcosa di cui parlare. Sesso, pipì e tavoli, no grazie. Fastidio? Oh no, anzi, guardare le persone spesso mi serve d'ispirazione. Guardo qualcuno e penso: chi è? cosa sta facendo? aspetta qualcuno o è solo? Si è levato i denti questa mattina? Tipo... Si appoggiò sui gomiti, spingendosi con il busto sul tavolino per starle più vicino. Era ora di parlare a bassa voce. La vedi quella signora lì? indicò con il capo una signora sulla cinquantina, seduta lateralmente, tacchi alti e rossetto impeccabile. Frida. Cinquantun anni, ne toglie sempre un paio quando conosce qualcuno per la prima volta; due divorzi alle spalle, senza figli. Le piace dire che non può averne ma la verità è che odia i bambini, non capisce perchè una donna deve per forza essere anche madre. Usa il filo interdentale tre, meglio se quattro volte al giorn, e va a dormire con i bigodini, rinvigoriscono i capelli. Le piace vestirsi bene, da imprenditrice, ma è la segretaria del ricco magnate della metallurgica. È moderatamente felice, in questo momento vorrebbe sorseggiare un martini ma sono le undici e mezza, "cosa pensarebbe la gente di lei?" Mentre poggiava nuovamente la schiena contro lo schienale rigido della sedia, Xavier era soddisfatto. Faceva quel piccolo gioco da moltissimi anni, forse ancora prima di aver raggiunto la pubertà. Perdersi negli altri riusciva a calmarlo come nient'altro, scrittura a parte. Lo trovi strano vero? È bizzarro lo so. Si affrettò a dire mentre prendeva il cucchiaino e, prima cosa, raccoglieva la fragola. Le cose speciale le prendeva per prime, non era bravo a conservarle per ultime. Tieni, la fragola è tutta tua. Allungò il braccio in un gesto a dir poco azzardato, indeciso se porgerle l'arnese o lasciare che fosse lui a "imboccarla". Lasciava a lei il compito di decidere.
    Poi toccò a lui infilazare il tiramisù senza pietà, lasciandosi andare in un rollio di occhi e delle espressioni di sublime piacere che neanche il kamasutra proprio. Ma lo fai tu? Ora che ci conosciamo, svelam i segreti della cucina di questo posto. Chiese con la bocca mezza piena di mascarpone e crema. Bevucchiò un po' di caffè per far scivolare meglio tutto giù, aggiungendo poi con curiosità. E tu? Cosa ti piace fare quando non lavori? La immaginava fra piante e fiori. O a dipingere piante e fiori. Leccò un po' il cucchiaino mentre girovagava con lo sguardo per la sala poco affollata. Comunque, ti va di provare? Dai quella coppia lì, vicino la finestra. Secondo te sono felici? Tornò sul discorso di prima, aspettando che Blue desse il via alla fantasia per ricamare storie su quei due personaggi con cui dividevano lo spazio. Era strano condividere quel "gioco" con un'altra persona, era come far entrare qualcuno nel suo mondo. Ciò non accadeva da tanto, tantissimo tempo.

    cutie ciao, perdona gli eventuali errori ma non ho tempo di rileggere. E scusa l'enorme ritardo <3
     
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    BLUEBELL SERENA BLYTHE ❖

    Era curioso come, a dispetto dell’imbarazzo che l’aveva attanagliata quando aveva rischiato di procurargli un’ustione degna del pronto soccorso, Xavier fosse in grado di distrarla sin quasi a farle dimenticare la fonte di tanto disagio. Il modo in cui le sorrideva, l’incapacità di stare fermo sulla sedia senza compiere piccoli movimenti – toccarsi i capelli, dondolare nervosamente le gambe o muovere le mani – tradivano un impalpabile nervosismo che Serena aveva sperimentato sin troppo spesso in prima persona. In qualche modo, rivedeva sé stessa in Xavier e quella consapevolezza, unita all’impacciato modo di fare del giovane, suscitava in lei una profonda curiosità. Ai suoi occhi, era evidente che fosse una persona genuina, fper quanto un po’ distratto e sopra le righe; non che lei si sentisse nella posizione di poterlo giudicare, comunque. «Dove l'avete preso questo?» Lo fissò per qualche istante, interdetta, prima di comprendere che si stava riferendo al tavolo. «Oh.» Mormorò, stringendosi nelle spalle. «Non lo so, non sono io a occuparmi degli arredi. Però posso chiedere ad Amarantha – la proprietaria, sai – se ti piace.» Si offrì, con aria sinceramente dispiaciuta. Xavier le piaceva e, di conseguenza, le dispiaceva non potergli essere d’aiuto. In un certo senso sentiva di doverglielo, una sorta di metaforica scusa per il danno che gli aveva arrecato e per la gentilezza con cui il giovane scrittore aveva liquidato l’intera faccenda. Non tutti avrebbero mostrato tanta comprensione, al suo posto.
    Ma le sorprese non erano ancora finite: seppur lievemente maldestro, il tentativo di Xavier di comunicare con la lingua dei segni fu più che comprensibile. Serena rimase momentaneamente interdetta, un misto di sorpresa ed imbarazzo – non tanto dovuto a Xavier in sé, quanto al timore, del tutto interiorizzato, che la sua disabilità finisse irrimediabilmente per intaccare sul nascere l’ennesimo rapporto. Il timore di venire considerata o ricordata per il suo difetto più evidente, piuttosto che per la sua individualità, era una paura che la accompagnava dall’infanzia: aveva avuto origine nella difficoltà dei suoi compagni di scuola, all’epoca poco più che bambini, ad approcciarsi a qualcosa di sconosciuto e che, per forza di cose, richiedeva piccole accortezze sin troppo complicate per quella giovane età. In seguito, la sua timidezza e la difficoltà dei suoi genitori a lasciarle il proprio spazio, avevano fatto il resto. «Autodidatta, per lo più tutorial su YouTube. È solo un'altra delle cose a cui mi appassiono, lo trovo interessantissimo e anche molto complicato. Mi piace pensare di poter comunicare senza parlare...» Esisteva forse qualcosa a cui Xavier non si appassionasse? Probabilmente no, a giudicare da quel poco che Serena aveva scoperto su di lui in pochi minuti di conversazione. Quel ragazzo era una sorpresa continua e, per quanto inusuale, la faceva sorridere. Averlo intorno era divertente – quando non le faceva domande sul sesso, ovviamente. «Magari potresti insegnarmi meglio?» Ecco, quello poteva farlo; e anche volentieri. Annuì, arrossendo appena. «C’è qualcosa in particolare su cui vorresti concentrarti, oppure andrebbe bene una conversazione generale?» Gli domandò, parlando lentamente e accompagnando le parole con i gesti equivalenti per riprodurne il significato nella lingua dei non-udenti. Mostrargli quei movimenti le fece uno strano effetto. Non la mise a disagio ma fu… strano. Le era capitato raramente di utilizzare il linguaggio dei segni con gli udenti, mai da quando si era trasferita in Norvegia. Ancor più, era la prima volta in tutta la sua vita che si trovava a ricoprire il ruolo di insegnante, qualcosa di insolito per lei che, nel corso della sua carriera accademica, era giunta a patti con la consapevolezza di non essere affatto portata per un compito tanto importante e delicato. Poter condividere con qualcuno ciò che sapeva – invece di imparare e basta, come solitamente accadeva – aveva per lei un significato più profondo di quello che Xavier avrebbe mai potuto immaginare: si sentì importante, utile. E quella sensazione era qualcosa che inseguiva da tutta una vita.
    Improvvisamente di ottimo umore, quasi dimentica del pasticcio che aveva combinato, ripose sul retro il necessario utilizzato per pulire e raggiunse Xavier al tavolo che gli aveva indicato. Lo vide muovere nervosamente la gamba sotto il tavolo, lo sguardo scuro che si spostava nella stanza sino a posarsi su di lei nello stesso momento in cui, giunta al tavolo, faceva scivolare verso di lui la tazza colma di caffè ed un piattino contente una porzione di tiramisù. « Oh guarda, tiramisù! Lo ordino sempre.» La reazione dell’uomo alla vista del dolce le ricordò quella di un bambino: sgranò appena gli occhi, le iridi improvvisamente brillanti, l’aria sognante. Serena ridacchiò, incapace di trattenersi. Non voleva prendersi gioco di lui, ma era la prima volta che assisteva a tanto entusiasmo alla vista di un dolce – in particolare da parte di un adulto. «Lo so.» Rispose, con una punta di imbarazzo, inclinando appena il capo e distogliendo lo sguardo dl viso di lui per una frazione di secondo. Non voleva interrompere la comunicazione ma non sapeva bene come comportarsi: a livello teorico era piuttosto evidente che si stesse prospettando una conversazione, a livello pratico… non era affatto così semplice. Riportò lo sguardo vedastro su di lui e si costrinse a smettere di mordicchiarsi il labbro inferiore, stringendosi nelle spalle quando la ringraziò. «Figurati. Mi… mi fa piacere. Ed è il minimo, dopo averti quasi mandato al pronto soccorso.» Accompagnò le parole con un sorriso nervoso, nel tentativo di scherzare. Poteva sembrare assurdo ma costruire un’interazione dal nulla – e, in particolare, con un ragazzo – era un passo enorme per Serena, abituata a vivere nel proprio mondo ristretto in cui, per lo più, la maggior parte delle sue conoscenze erano costituite da familiari o individui notevolmente più grandi di lei con cui, per forza di cose, aveva instaurato un rapporto formale. Portò la tazza alle labbra e soffiò sul liquido bollente, lo sguardo fisso sul viso di Xavier, per non perdersi nemmeno una parola. Nel mentre, riusciva quasi ad immaginarlo mentre delineava la vita altrui secondo la propria fantasia, attorniato da fogli, appunti e schizzi, esattamente come lo aveva visto quella mattina. A modo suo, Xavier era uno studioso – del genere umano, Incerta, esitò per una frazione di secondo quando lo vide sporgersi verso di lei ma, vinta dalla curiosità, lo imitò ben presto. « La vedi quella signora lì?» Seren annuì, gli occhi che seguivano delicatamente il profilo di una donna dall’aria elegante e distinta. Persino da quella distanza, mentre era intenta a sorseggiare una tazza di liquido bollente, sprizzava sicurezza da tutti i pori. Una parte di lei la invidiò profondamente. Le sarebbe piaciuto avere anche solo un decimo di quella determinazione, se non altro per sapere cosa si prova. Più Xavier parlava, aggiungendo dettagli su dettagli, più il sorriso sulle labbra della ragazza si allargava, le iridi brillanti di divertimento. Fu costretta a smettere di bere e appoggiare la tazza sul tavolo, coprendo la bocca con la mano pallida per soffocare una risata. «Lo trovi strano vero? È bizzarro lo so.» Forse tradendo le sue aspettative, la giovane scosse il capo. Sorrideva ancora, seppur stesse cercando di mantenere un minimo di contegno. «Non è strano.» Lo rassicurò. “Fidati, io so cosa vuol dire essere strani.” «Sei bravo a inventare dettagli e ad osservare le persone. Frida sembra il personaggio di un film o di un libro, ma anche una persona vera. Non è esagerata e poco credibile, anzi. E’ qualcuno che tu ed io potremmo incontrare per strada… è quasi reale Lo pensava davvero: in poche parole era riuscito a fornirle una descrizione incredibilmente accurata, così tanto da farle pensare che Frida potesse essere sua zia o una vicina di casa. Riusciva persino a figurarsela, intenta a sistemarsi i bigodini prima di andare a dormire o a snocciolare innocenti bugie ad un primo appuntamento. «Dovresti scrivere un libro. O anche solo un racconto. Io leggerei volentieri di Frida.» Lo disse senza nemmeno pensarci, sinceramente colpita; ci voleva una buona dose di spirito di osservazione, fantasia e abilità per poter rendere veritiero un personaggio immaginario. Xavier allungò il cucchiaio nella sua direzione, porgendole la fragola e Serena gli rivolse un’occhiata confusa, senza sapere come prenderla. Si sporse appena nella sua direzione, prendendo il frutto con due dita, una mano a cucchiaio sotto di esso per evitare che cadesse sul tavolo. «G-grazie.» Mormorò, il battito cardiaco che accelerava appena. Mangiucchiò la fragola, stando ben attenta a non sporcarsi, assistendo da una posizione privilegiata alle espressioni estasiate che si susseguirono sul viso di Xavier. «A volte lo preparo io, altre volte Amarantha. La ricetta però è sua e non credo che sarebbe felice di sapere che ti ho svelato il suo segreto. È gelosissima delle sue ricette.» Gli confidò, ripensando affettuosamente all’anziana proprietaria del locale. Le faceva tenerezza e ormai la considerava un po’ come una nonna, lei che i suoi veri nonni non li aveva mai conosciuti. «E tu? Cosa ti piace fare quando non lavori?» Quella domanda la colse alla sprovvista. Scrollò appena le spalle, senza sapere cosa rispondere. Difficilmente le persone si interessavano a lei, a quello che pensava o a ciò che le piaceva e, di conseguenza, parlare di sé stessa la metteva sempre un po’ in imbarazzo. Era qualcosa di intimo per Serena, un processo delicato in cui, inevitabilmente, finiva per rendersi vulnerabile. «Nulla di particolare. Qualche volta vado in palestra con Liv, la mia collega. Forse l’hai vista qualche volta, è la nipote della proprietaria. Ogni tanto la invidio perché è sempre piena di energia, mi piacerebbe riuscire a darmi d fare tanto quanto lei. Non sono propriamente il tipo che ama fare sport, ma ho scoperto che lo yoga mi piace molto. Mi aiuta a rilassarmi e a pensare.» Ridacchiò, tra sé e sé. Sino a poco tempo prima non avrebbe mai pensato di dire una cosa simile. «Mi piacciono molto le mostre fotografiche ed i cavalli. Quando ero in Inghilterra facevo equitazione e mi piacerebbe riprendere, anche solo per passeggiare di tanto in tanto, ma non conosco nessun maneggio nei dintorni. Oh, ogni martedì e giovedì ho il corso di Ikebana. Mi affascinano queste cose e anche il significato dei fiori, il loro linguaggio. Mi piacerebbe poter aprire un negozio di fiori, un giorno.» Abbassò lo sguardo sul tavolino di legno. Non aveva mai confessato a nessuno quel desiderio, un sogno che sino a quel momento non aveva ancora preso realmente la forma di un progetto. Come sempre, Serena temeva di deludere le aspettative altrui, in particolare quelle dei sui genitori. «E la sera leggo sempre qualche pagina di un libro, poesie per lo più.» Fine. Non avrebbe biasimato Xavier se fosse rimasto deluso: la sua vita non era nulla di entusiasmante, totalmente priva di adrenalina e colpi di scena. Si mosse appena sulla sedia, quasi sentisse il bisogno di aggiungere altro, di arricchire – per lo meno a parole – la sua esistenza monotona e abitudinaria. «Io non… N-non mi piace particolarmente la confusione, perciò… la mia vita è un po’ noiosa.» Per lo meno aveva evitato di menzionare la messa della domenica e le sedute settimanali al Mordersonn Insititute. Da noiosa a invasata era un attimo, dopotutto. «» Seguì lo sguardo di Xavier sino ad una coppia seduta alla finestra, entrambi loro coetanei o forse un poco più giovani. Avevano l’aria rilassata, le mani intrecciate sul tavolino di legno. Lui leggeva e lei scribacchiava qualcosa, i capelli castani fermati dietro la nuda con una bacchetta cinese. Ricordava di aver portato loro due cappuccini e una fetta di cheesecake che avevano condiviso, scambiandosi la forchetta. «Penso di sì.» Replicò, lanciando a Xavier un’occhiata nervosa. Non era sicura di essere brava in quel gioco, senza contare che non ne sapeva assolutamente nulla della vita di coppia. «Mi sembrano… in armonia. Sono rilassati, guarda la postura. E anche se non parlano e sono impegnati in altro, non si stanno ignorando. Continuano a guardarsi, di tanto in tanto, e muovono le dita, senza sciogliere mai la stretta.» Si inumidì le labbra, prendendosi qualche istante per osservarli. «Credo che lei frequenti l’Università. Qualcosa tipo design o belle arti, probabilmente ama le influenze orientali o bohemièn. Pensa di essere nata nell’epoca sbagliata.» La bacchetta tra i capelli ed i grossi orecchini di bigiotteria erano un indizio evidente. «Lui… lui è più difficile da inquadrare. Deve essere una personalità più pratica e concreta, forse uno studente di economia o giurisprudenza. È molto intelligente ma non è presuntuoso. Ama l’ordine e manca un po’ di fantasia.» Sorrise appena, ormai immersa in quel suo mondo immaginario. «Sembrano all’inizio di una relazione ma in realtà stanno insieme da almeno un paio d’anni. Per certi versi sono gli antipodi, ma si completano piuttosto bene. Litigano raramente e se ne dimenticano in fretta. Lei è distratta e lui è minimalista, perciò potrebbero avere qualche difficoltà quando decideranno di andare a convivere.» Storse leggermente il naso. Preferiva i lieto fine ai finali dolce-amari. Almeno i personaggi immaginari meritavano di essere felici. «Ma amano condividere e sono pazienti. Potrebbero funzionare.» Annuì, come a voler confermare quel verdetto, prima di riportare lo sguardo su Xavier. «Come sono andata?» Domandò, sorseggiando il suo thè. Prima che lui potesse risponderle, però, la porta della sala da thè si aprì accompagnata da una folata di vento freddo. Era giunta l'ora di pranzo ed i primi impiegati iniziavano a riversarsi all'interno del locale. Serena si alzò di scatto, accorgendosi solo in quel momento di quanto il tempo fosse passato velocemente. «Oh, accidenti Sfilò la forchetta dalla mano di Xavier e la impilò sul piatto, pronta a sparecchiare il tavolo e rimettersi al lavoro. «Scusami, devo proprio andare. Appena posso ti porto un'altra tazza di caffè. Resti anche per il pranzo?» Gettò una rapida occhiata ai suoi pantaloni. La macchia era evidente, praticamente impossibile da nascondere e, probabilmente, anche da lavare. «M-mi dispiace per i pantaloni.» Tentennò, rimanendo impalata a fissarlo con i piatti sporchi tra le mani. Aprì la bocca e la richiuse, le guance che avevano raggiunto la medesima sfumatura dei capelli. «Se ti va, potremmo...» Prese un respiro profondo. «Nel weekend lavoro solo di mattina. Se non hai da fare potremmo andare in centro.» Pronunciò quella frase in una sola emissione di respiro, forse un po' troppo bruscamente. «Nonperunappuntamentoeh Si obbligò a calmarsi, prima di rischiare di dire qualcosa di ancora più imbarazzante. «Io non... Non conosco molte persone e c'è una mostra che vorrei vedere, perciò... Non sei obbligato. Magari non ti interessa o hai già un impegno, perciò non preoccuparti se vuoi rifiutare.» Deglutì, il cuore che le batteva all'impazzata. Non era abituata a fare la prima mossa, in nessun senso. Per lo più, le poche amicizie di cui si era circondata erano nate grazie all'intraprendenza altrui che Serena si era limitata ad assecondare. Liv e Adrian ne erano un chiaro esempio. «Potrei anche accompagnarti a comprare degli altri pantaloni se la macchia non va via.» Shopping e una mostra fotografica di nicchia, non era certo l'invito più emozionante della storia. Eppure Serena sperava che Xavier accettasse. Passare il tempo con lui le piaceva, la faceva sentire normale.
     
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