Fighting with some beer and soccer.

Taylor e Zach

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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi e durante tutta la role sono presenti tematiche di: [linguaggio scurrile, rissa e violenza fisica.].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico. Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.





    «Che giornata di merda.» borbottò, uscendo dal laboratorio e portandosi alla bocca una sigaretta. Con lui c'era l'assistente del professor Andersen che, proprio quel giorno, gli aveva chiesto un passaggio. «Hai il casco?» gli chiese. La ragazza scosse la testa e, di rimando, lui sospirò: la base, era la base. Prese dalla sacca laterale della moto il suo casco e glielo porse, salendo sulla sua Harley e mettendola in moto poco dopo: «Sali. Dov'è che abiti?» Non fu gentile nel chiederlo, nonostante quel che stava facendo fosse, in effetti, un atto di cortesia. «Alle spalle dell'Egon, puoi lasciarmi anche al parcheggio.» mormorò, mentre si allacciava l'elmetto. Era perfetto, almeno poteva fermarsi a sgranocchiare qualcosa. Una volta che la ragazza si fu sistemata accelerò ed uscì dal parcheggio dell'università, diretto al pub col panino più buono di tutta Besaid.

    ***

    Nonostante Zach fosse un uomo etero e virile - i due aggettivi quasi erano prerogativa assoluta della categoria che sto per citare - non faceva parte dei club amanti degli sport: a lui piaceva il pugilato, ma solo da fare, trovandosi sul ring, non di certo da guardare in televisione. Un discorso simile, ma ancor più distaccato, lo faceva per il calcio: non gli piaceva nemmeno giocarlo, non era proprio nelle sue corde fare la parte dell'idiota che rincorreva un pallone per poterlo tirare nella porta della squadra avversaria. Non capiva come potessero investire miliardi in qualcosa di tanto sciocco. Purtroppo però, nonostante i suoi pensieri in merito, non era raro che si trovasse all'Egon durante qualche partita di campionato, magari persino qualche derby. Gli piaceva mangiare in quel posto e, volente o nolente, era anche costretto dai tempi a star lì: in settimana, quando usciva tardi dal lavoro, era l'unico che trovava aperto lungo la strada per andare a casa. C'era anche il ristorante cinese, ma gli era venuto il vomito al solo pensare di andarci di nuovo: friggevano ogni cosa eppure rimanevano magri come giunchi, delle diete assurde che, più ci pensava, e più non comprendeva. Forse mangiavano altro, qualcosa di diverso rispetto a quel che servivano, magri com'erano. Dunque, conscio di questa consapevolezza, finiva col mangiare un panino, della carne o dei contorni all'Egon, il cui barista aveva persino imparato i suoi connotati: c'era la solita gente, soprattutto in orari morti come quelli, in particolare quando non c'erano partite. Un posto davvero magico quando la tv era su un canale a caso e non su un campo d'erba verde.
    Quel giorno - ovviamente - non era la giornata adatta per passare una serata tranquilla al pub: era entrato con lo sguardo piuttosto assente, sedendosi al banco. Alla sua sinistra vi era un gruppo di accaniti tifosi di qualche squadra x - non aveva neanche avuto la voglia di alzare lo sguardo per poter capire di che squadra si trattasse - che commentava con enfasi ogni mossa dei calciatori; alla sua destra, vi era invece un uomo piuttosto tranquillo, almeno a guardarlo, che non sembrava così preso dallo sport.
    «Ciao, puoi portarmi una tagliata di carne ed una pinta di birra?» chiese al ragazzo che gli stava dinanzi che, prontamente, prese l'ordinazione e, dopo avergli dato la bibita, sparì in cucina per portare l'ordine: tornò poco dopo, domandandogli se la carne la volesse ben cotta o al sangue. Non c'era dubbio, al contrario della sua ex - che cercava disperatamente di diventare vegetariana - a lui piaceva la carne quasi cruda. «Al sangue.» rispose, prendendo il boccale e facendo un bel sorso di birra. Non seppe bene cosa accadde mentre lui pensava bellamente ai fatti suoi, ma qualcosa in campo fece molto arrabbiare la cricca di amichetti che gli stava accanto, tanto che finì con l'essere urtato e col rovesciare un po' di birra sia addosso a sé sia sul pantalone del tipo che gli stava accanto che, d'altra parte, non doveva esser molto contento di come le cose stavano andando.
    «Scusa, sono stati 'sti amichetti qua di fianco a spingermi.» si scusò - male - col ragazzo, controllando i suoi jeans. Quel giorno aveva indossato dei jeans ed un maglione piuttosto stretto, accompagnato da una giacca di pelle che l'aiutava nei viaggi in moto, almeno in quel periodo che non era ancora troppo freddo - d'inverno, preferiva qualcosa di nettamente più caldo, com'era giusto che fosse -. «Che cazzo hai detto?» gli disse l'amichetto numero uno, quello che l'aveva spinto, forse senza nemmeno farlo a posta. «Che siete stati voi a spingermi e a rovesciare la birra addosso a...» s'interruppe, guardando il tipo di fianco a lui che, sul tavolo, poco distante da lui, aveva un casco da motocicletta. «Ah, sei un motociclista anche tu?» gli domandò, come se l'amichetto numero uno non lo stesse guardando con aria minacciosa. Che paura, Zach stava davvero tremando per lo spavento. Aveva fatto così tante risse - soprattutto quando era alle superiori e all'Università - che quasi gli mancava poter picchiare davvero qualcuno, senza l'ausilio di guantoni e protezioni che evitassero a tutti di farsi male.
    Lo schermo sul televisore dava delle pubblicità, Zach lo vide con la coda dell'occhio e se ne accorse solo perché gli altri due amichetti si voltarono a guardarlo con aria "minacciosa": davvero? Volevano davvero fare una rissa per una cazzata come quella? Niente l'avrebbe davvero reso più felice, soprattutto perché era abbastanza certo, nonostante fosse solo, di poterla vincere. «Tu che cazzo hai da guardare?» disse all'altro tipo, al motociclista. Zach si voltò verso di lui e, in quell'arco di tempo - giusto un attimino, si beccò un pugno - dato anche piuttosto male sulla guancia destra: fu una fortuna che seppe come riceverlo senza farsi troppo male. Certo, non era stata una carezza, ma non si era fatto "niente", per così dire.
    Il cameriere ritornò dalla cucina con un paio di pezzi di carne, ancora da cuocere, e un volto che cambiò espressione nell'arco di pochi secondi: aveva l'aria di chi sapeva cosa sarebbe successo ma non sapeva bene come reagire per poterlo evitare. Zach avrebbe definito quel volto con poche parole: "Maledetti ultras". Questo diceva, o così pensava, soprattutto nel vedere come, senza nemmeno un vero motivo, l'amichetto numero due si era fiondato sul povero ragazzo che stava seduto di fianco a Zach e che non c'entrava davvero niente: aveva pensato forse erroneamente che i due fossero amici o stessero insieme, una gran cazzata visto che nemmeno aveva detto il suo nome, non conoscendolo. Ad ogni modo, troppo stupido per poter fare due più due, gli aveva mollato un pugno in pieno volto, dando inizio a quella che sembrava una rissa ma che, alla fin fine, non era che un sano divertimento. Non c'era modo migliore di sfogare lo stress se non alzando un po' le mani.
    Si fece scrocchiare la mano sinistra, strinse il pugno e lo affondò nel volto di quello che lo aveva colpito, più deciso, con maggiore forza, calibrando un bel destro che lo fece andare indietro e per poco non gli fece perdere l'equilibrio: a qualcosa serviva quel maledetto sacco che c'era in palestra.

    Edited by Nana . - 24/10/2020, 15:56
     
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    Taylor Hoogan

    Warnings: rissa e violenza fisica

    Era il tramonto quando finalmente arrivò l’orario di chiusura del Drømme. La luce aranciata del sole calante accarezzava il suolo, interrotta solo dalle ombre delle due ante del cancello del luna park che lentamente si richiudevano su loro stesse. A quell’ora della sera il Drømme assumeva un fascino tutto suo, gli sgargianti colori delle giostre e delle bancarelle venivano esaltati dai raggi del sole morente. Tutto assumeva una delicata sfumatura dorata che dava un senso di vera magia a quel posto che rappresentava le favole e i sogni dei grandi e dei piccoli.
    Taylor fece scattare il lucchetto del cancello, si mise in tasca le chiavi ed estrasse un pacchetto di sigarette già rollate per fumarsene una. Mentre si accendeva la sigaretta iniziò ad incamminarsi verso la sua moto parcheggiata vicino all’ingresso dei dipendenti. Aspirò una prima boccata profonda, godendosi la sensazione del fumo che gli invadeva la bocca e poi la gola. Aveva preso quel vizio molto giovane e non aveva mai smesso, in realtà non ci aveva mai nemmeno provato.
    ”Non ubriacarti troppo stasera figlio di putt*na!” la voce ruvida di Finn, un collega del ragazzo, riempì l’aria silenziosa della sera. Anche lui aveva finito il suo turno lavorativo e stava andando a casa.
    ”Mi scolerò anche le birre che non ti fa bere tua moglie vecchio str*nzo!” Taylor scosse la testa con aria divertita in sua direzione. Senza aspettare una risposta salì sulla sua moto, mise il casco, avviò il motore e partì alla volta del centro.
    Il vento s’infilava prepotente negli indumenti di Taylor, attraversava con facilità la giacca di pelle marrone aperta sul petto per raggiungere la maglietta bianca sbracciata che indossava sotto. Amava quella sensazione sulla pelle, non poteva spiegare a parole per quale motivo il tocco del vento sul corpo gli desse un forte senso di libertà... forse perché a differenza sua non aveva vincoli e non aveva limiti. Come si poteva afferrare l’aria? Impossibile, poteva fare ciò che voleva, accarezzare o distruggere e nessuno poteva fermarla.
    La strada scorreva veloce davanti ai suoi occhi, un manto grigio senza forma che sfrecciava in un’unica direzione. Avanti. Taylor non aveva voglia di ammirare il panorama del lungo fiume quella sera, non vedeva l’ora di raggiungere l’Egon pub per mangiare un boccone al volo per poi andarsene a casa. Da quando si era trasferito in un appartamento tutto suo era davvero raro che ci tornasse se non per dormire, era immacolato come se lui fosse un maniaco dell’ordine, in realtà si trattava solo di un luogo poco vissuto. In fondo anche la vita stessa era così: chi si limitava a guardare il mondo da spettatore aveva i capelli sempre apposto, i vestiti perfettamente stirati e gli occhi spenti; invece che lo assaporava appieno il mondo aveva i capelli scompigliati, i vestiti sgualciti e gli occhi vivi.
    Taylor era arrivato a destinazione. Scese dalla moto, tolse il casco, mise la catena ed entrò nel locale. Cristo, si era dimenticato che quella sera c’era la partita e si accorse subito dall’abbigliamento dei presenti che era pieno di tifosi. L’Egon era uno dei pochi locali che aveva un maxi schermo dove proiettavano le partite di calcio più importanti della stagione. Per un attimo Taylor pensò di andarsene, ma la sua battaglia interiore venne vinta dalla voglia di una bistecca al sangue. Lì avevano la carne più buona di tutta Besaid a suo parere. Un pò coi denti stretti Taylor si fece spazio tra i tifosi ed arrivò al bancone dove ordinò una bistecca al sangue e un boccale di birra grande. Se doveva passare il tempo lì dentro la birra doveva essere enorme!
    Con la coda dell’occhio notò che alla sua destra si accomodò un ragazzo ben piazzato dai capelli chiari, ma soprattutto non poté fare a meno di notare la sua barba. Per Taylor la barba era come un marchio di fabbrica che pochi potevano permettersi.
    In pochi minuti arrivo la pinta di birra, ma malauguratamente nel momento in cui la prese in mano ne rovesciò una parte sul bancone perché l’uomo al suo fianco lo spinse. Stava per rispondergli a tono, ma prima che potesse proferire parola arrivarono le sue scuse.
    ”Scusa, sono stati 'sti amichetti qua di fianco a spingermi.” effettivamente era vero, un paio di tifosi che erano seduti accanto a loro già si erano rivolti a loro in cerca di rogne.
    ”Che cazzo hai detto?” un ometto basso dai tratti marcati si voltò verso il ragazzo seduto al suo fianco con aria minacciosa. Ci mancava solo quella talpa a fargli andare di traverso la cena.
    Proprio in quel momento gli portarono l’ordinazione, ma pareva che quella serata non fosse fatta per mangiare perché appena si portò il boccone alla bocca il suo vicino gli chiese se per caso anche lui non fosse un motociclista. Taylor annuì con un grugnito, non aveva voglia di parlare. Mandò giù un paio di bocconi cercando di ignorare ciò che gli stava accadendo intorno. Sapeva che se lo avessero provocato avrebbe dato sfoggio del peggio di se’, quindi provò ancora per qualche istante a far finta che quella marea di magliette bianche e rosse non esistessero.
    ”Tu che cazzo hai da guardare?” come fregarsi con le proprie mani. Ma quelli se ne erano accorti che lui e il ragazzo al suo fianco erano il doppio di tutti loro messi assieme. Quella non poteva definirsi in altro modo se non stupidità.
    ”Che branco di cogli*ni.” borbottò rivolgendosi al giovane al suo fianco a cui avevano iniziato a dare fastidio per primo. Accadde tutto molto velocemente, uno dei tifosi si alzò e diede un cazzotto al ragazzo alla sua destra, ma era palese che non era il suo primo “combattimento”. Aveva incassato il colpo piuttosto bene, non era di certo un principiante. Le cose erano più interessanti così. Si preannunciava una scazzottata per motivi futili, chi era lui per dire di no a certi inviti allettanti come una donna che si apre la camicetta davanti ai tuoi occhi?
    ”Visto che credono che siamo compari, io mi chiamo Taylor.” lo disse con voce strascicata, mentre si scrocchiava il collo prima a destra e poi a sinistra. Tempo di mandare giù un veloce sorso di birra vide il ragazzo biondo restituire il colpo al tipo che gli aveva dato un pugno prima.
    ”Non te la cavi male...” Taylor si tolse la giacca e la tirò sulla sedia. Con la coda dell’occhio si accorse che uno dei tifosi gli stava andando in contro con aria minacciosa.
    ”Che caz*o credi di fare?” gli piazzò un destro sul naso, facendolo finire addosso a una sedia vuota. Taylor soffiò sul proprio pugno stretto come fosse un’arma da fuoco. Avevano dato inizio a una rissa impari, a quanto pareva erano in due contro un’intero gruppo di ultras. Taylor non aveva affatto paura di fare a botte, anzi per un lungo periodo della sua vita era stato il suo pane quotidiano. Veniva pagato per spezzare le ossa alla gente, era una cosa che gli riusciva piuttosto bene e col passare degli anni aveva acquisito una grande conoscenza dei punti deboli del corpo umano.
    ”Io vorrei finire la mia bistecca prima che si freddi, li buttiamo giù come un set di birilli e torniamo a mangiare... che te ne pare?” detto ciò Taylor si avventò su un ragazzetto mingherlino che gli stava correndo incontro a mani aperte perché aveva colpito un suo amico. Troppo facile così. Gli mise le mani sulle spalle e lo spinse con forza contro il ragazzo rosso che si stava avvicinando al suo “compagno di squadra”. I due persero l’equilibrio e finirono a terra.
    ”Non ti pare troppo facile contro questi pivellini?” fu proprio quando pronunciò quelle parole che gli si presentò un omone alto almeno 1.85 di stazza veramente imponente che li fissava dall’alto coi suoi occhi vitrei. Stupido, ma massiccio. Una razza pericolosa perché quelli come lui non usavano il cervello per colpire, ma solo la rabbia grezza che non portava da nessuna parte.
    ”Pensavate davvero di cavarvela senza neanche un graffio?” fece finta di rifilare un pugno al ragazzo biondo che avevano preso di mira, in realtà con l’altra mano inflisse un colpo allo stomaco a Taylor che si piegò incassando la botta. Un paio di colpi di tosse gli fecero riprendere aria.
    ”Grosso e sleale, vuol dire che ti cag*i sotto! Non credere di farmi paura mezzo nano.” Taylor si rimise dritto ridendo con strafottenza, poi si rivolse al ragazzo con cui a quanto pareva stava facendo squadra. ”Se io lo distraggo, tu sai cosa fare?” disse a bassa voce.
    Senza ulteriori spiegazioni Taylor si allontanò dai due con un movimento fluido e veloce.
    ”Chi è che se la fa sotto ora?” l’omone gli andò dietro proprio come previsto. Se era intelligente il ragazzo biondo lo avrebbe bloccato da dietro quel gigantone senza cervello, di modo che Taylor potesse colpirlo liberamente. E adesso non gli restava che attendere la mossa del suo “compagno di squadra”.

    Edited by Aruna Divya - 15/3/2020, 14:55
     
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    Trovò ironico che il malcapitato accanto a lui, implicato in quella sottospecie di rissa che aveva ben poco di spaventoso a guardarla, fosse un motociclista. Si disse che avrebbe dovuto chiedergli che moto aveva: ne parlava sempre volentieri con chi le apprezzava, trovava fosse un ottimo modo per imparare qualcosa di nuovo su quell'ammasso di ferraglia di cui riteneva di non sapere mai abbastanza. Dalla sua, quel tipo, non aveva soltanto una passione in comune con Zach ma anche la stessa voglia di far conversazione e la stessa idea su quell'ammasso di idioti: a occhio e croce, poteva dire che gli avesse fatto una buona impressione, in una maniera alquanto malata, s'intende. Non ci fu tempo di dire qualcosa a riguardo però: gli amichetti - ormai nella sua mente avevano quel nome - si erano già avvicinati pericolosamente a lui, colpendolo in pieno volto. «Visto che credono che siamo compari, io mi chiamo Taylor.» fece il ragazzo poco dopo, mentre le dita di Zach si richiudevano a pugno, pronto a restituire il favore ai bulletti di quartiere. «Zach.» si presentò, muovendo finalmente il passo decisivo. «Ad ogni azione ne corrisponde una uguale e contraria. Lo insegnano a scuola.» disse all'uomo che aveva indietreggiato, e parlò quasi fosse davvero il suo maestro, con un'arroganza nella voce mista a soddisfazione che, diciamolo, forse chiunque avrebbe avuto dopo aver sferrato un colpo su qualcuno che voleva cercare di fare lo stesso, con risultati davvero scadenti.
    «Non te la cavi male...» Era sbagliato sorridere per quel complimento? Ma che importanza aveva dopotutto. Sul volto di Zach si levò un sorriso sghembo e pensò che, dopotutto, allenarsi in maniera più seria gli aveva insegnato a tirare pugni in maniera più consapevole rispetto a quando era un ragazzino che menava le mani in maniera casuale. Attorno ai due si stavano accalcando parecchi occhi, curiosi per la maggior parte. Sarebbe stato divertente se qualcuno avesse scommesso sulla vittoria dell'uno o dell'altro ma purtroppo non erano in un film. Se lo fossero stati probabilmente avrebbero avuto pochi scommettitori su di sé: erano solo in due e dinanzi a loro c'era un intero gruppo di ultras incazzato nero. Zach non aveva paura, nemmeno un po', quasi gli solletivano le mani all'idea di poter davvero picchiare qualcuno: era un divertimento gratuito, poco sano forse, ma decisamente soddisfacente, come se ad ogni pugno sferrato un pezzo dello stress accumulato andasse via, librandosi nell'aria.
    ”Io vorrei finire la mia bistecca prima che si freddi, li buttiamo giù come un set di birilli e torniamo a mangiare... che te ne pare?” «Ottima idea. Detesto la carne quando si cuoce troppo.» gli rispose, volgendo nuovamente lo sguardo verso l'allegra comitiva. Due, in particolare, si stavano avvicinando a loro, ma non ebbero nemmeno il tempo di sfiorarlo: Taylor aveva preso, senza nemmeno esercitare troppa forza probabilmente, un uomo piuttosto esile e l'aveva quasi lanciato contro il rosso che si stava avvicinando a Zach, facendo perdere l'equilibro ad entrambi. ”Non ti pare troppo facile contro questi pivellini?” «In effetti... La metafora dei birilli è perfetta.» Ma non ci furono molte altre parole perché, quasi come l'arma letale, un grosso uomo che superava ampiamente il metro e ottanta si figurò dinanzi ai loro occhi. Generalmente quelli come lui non erano molto bravi, avevano dalla loro soltanto la voglia di picchiare senza guardare a chi avevano dinanzi. Zach sollevò entrambe le braccia dinanzi al viso per pararsi dal colpo che stava per incassare, ma non arrivò niente: era un diversivo, in realtà aveva deciso di colpire Taylor. Per fortuna - doveva avere esperienza in merito - era riuscito ad attutire il colpo nonostante non se lo aspettasse. Zach gli si avvicinò appena per sincerarsi del suo stato d'animo e, dopo aver annaspato, si rese conto che stava bene, tanto da poter rispondergli a tono.
    «Grosso e sleale, vuol dire che ti cag*i sotto! Non credere di farmi paura mezzo nano.» «Non essere così sgarbato, mi aspettavo che menasse le mani senza riflettere invece sa anche pensare! E' un passo avanti per la scienza.» Il tono, va da sé, era sarcastico come pochi.
    «Se io lo distraggo, tu sai cosa fare?» gli parlò a voce bassa, attento a non farsi udire da quell'ammasso di carne e poca testa. «Vai.» gli disse, annuendo appena e scostandosi a sua volta da lui, come a volersi occupare degli altri che, probabilmente per paura, se ne stavano accanto al loro "capo" o quel che era. «Chi è che se la fa sotto ora?» Come si poteva essere così idioti? Così gli toglieva tutto il divertimento. Zach si mosse rapido alle spalle dell'omone, gli prese entrambe le braccia e gliele incrociò dietro la schiena, in uno scatto così veloce da lasciarlo incapace di rispondere: Taylor, comunque, non fu da meno. Lasciò la presa su quell'individuo solo dopo che si fu sincerato della sua tacita resa. Solo un folle avrebbe insistito, soprattutto conscio di non poter rispondere ancora a lungo.
    «Temo che sia finito lo spettacolo.» disse ai curiosi che ancora li fissavano e che, di tutta risposta per la maggior parte, tornarono a guardare i piatti che gli stavano davanti.
    Zach si voltò verso Taylor che ancora gli stava dinanzi e, con ogni probabilità, desiderava mangiare la sua benedetta bistecca tanto quanto lui: «Piacere di conoscerti comunque.» fece, porgendogli la mano destra. «Non te la cavi male neanche tu. Dovrò tenerti presente come tipo da non far incazzare.» Anche se, doveva ammetterlo, l'idea di provare a sfidarsi su di un ring lo stuzzicava. Sarebbe stata una sfida decisamente equa, al contrario di quella che avevano sostenuto.

    Edited by Nana . - 24/10/2020, 15:50
     
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    Mai disturbare un uomo davanti alla propria bistecca, non glielo avevano insegnato le madri? Erano le basi della convivenza quelle, se non volevi finire con qualche osso fracassato, s’intende! Taylor fu costretto ad abbandonare il suo piatto pieno per prestare attenzione ad un branco di ultras di scarse capacità fisiche, non solo gli stavano facendo freddare la carne, per di più non erano nemmeno un avversario stimolante. Il ragazzo con cui avevano attaccato briga per primo la pensava esattamente come lui, aveva scoperto che si chiamava Zach il suo compagno di squadra per quella sera. Aveva la beffarda convinzione che loro due da soli sarebbero stati più che sufficienti per mandare all’aria quella manica di teste calde, alcuni di loro erano così vecchi da non potergli contare i peli bianchi sulla barba a occhio. Con un sospiro si alzò e propose a Zach di fare strike con quel gruzzoletto di birilli per dedicarsi a cose più importanti come la loro bistecca. ”Ottima idea. Detesto la carne quando si cuoce troppo. In effetti... La metafora dei birilli è perfetta.” andavano piuttosto d’accordo per essere due persone che si erano appena conosciute, mentre chiacchieravano amabilmente tra di loro Taylor scaraventò il più lontano possibile un omuncolo che tentava di aggredirli, con la scusa aveva fatto una combo mandandolo a sbattere contro un roscetto che pareva sin troppo desideroso di conoscerli da vicino. Avrebbero potuto parlare del tempo con una tazza di tè in mano sferrando cazzotti qua e là visto il livello di quei pivellini, ma finalmente arrivò una sfida leggermente più corpulenta. Un uomo piuttosto alto e robusto fece la sua comparsa giocando troppo sporco persino per un senza cervello come lui, fece finta di colpire Zach e invece rifilò un pugno in pieno stomaco a Taylor che incassò il colpo senza troppi problemi. Era avvezzo alle risse e a molto peggio di quello, essendo stato membro di una gang negli Stati Uniti per molti anni aveva partecipato a vere e proprie guerriglie in strada. Aveva imparato dai migliori ad essere pronto ad ogni tipo di sorpresa, all’inizio tornava a casa sempre malconcio e grondante di sangue facendo spaventare a morte i suoi genitori. Poi col tempo era diventato a sua volta uno dei migliori, aveva fatto esperienza sulla sua pelle di cosa voleva dire essere il pivellino prima di poter incassare colpi da persone molto più grosse di lui a quel modo. Non era quello il momento adatto per rivangare il passato, il ricordo del sapore ferroso del sangue sulla lingua era sparito con la velocità con cui era arrivato. Si rimise dritto ridendo di gusto per quel blando tentativo di fotterlo con un pugno da femminuccia, era quasi tentato di sputargli addosso mentre gli dava dello sleale, ma quell’energumeno non meritava nemmeno una goccia della sua saliva tanto era scemo.
    Taylor si voltò verso Zach chiedendogli se era pronto a un diversivo per dare una vera lezione all’unica vera “sfida” della serata. ”Vai.” quel ragazzo sapeva il fatto suo, era molto spavaldo ed apprezzava quel tratto del suo carattere che stava uscendo fuori. Scattò in avanti per farsi andare dietro dal tipo lasciando a Zach il compito di bloccarlo da dietro, il che avvenne abbastanza velocemente, persino troppo. Non c’era gusto a vincere così facilmente, neanche il tempo di far salire l’adrenalina al cervello per annebbiarlo per un po’. Taylor sollevò un pugno in aria, ma non fu necessario sferrarlo perché quel coglione del boss degli ultra tremava come una foglia. ”E questo ci ha fatto freddare il cibo?” lo guardò con aria disgustata come se avesse davanti un lombrico o qualche specie di insetto da schiacciare sotto il tacco della scarpa. ”Ti toccherà pagarci la cena per questa spavalderia, lo sai? Clelyo!” gridò il nome del proprietario del pub per farsi sentire anche a distanza. ”Il conto lo paga questo bamboccione, qui!” gli diede un pizzicotto sulla guancia un po’ troppo forte e lo spinse via con aria annoiata senza nemmeno accorgersi di averlo fatto inciampare e cadere a terra con un grande tonfo. Taylor stava guardando Clelyo che gli fece un cenno affermativo col dito e fece portare via i loro piatti dal bancone per dargli una leggera scaldata prima che lui e Zach tornassero a sedersi. ”Temo che sia finito lo spettacolo.” disse il suo compagno di squadra a coloro che continuavano a fissarli con aria curiosa per vedere la loro prossima mossa che sarebbe stata addentare la loro bistecca gratis. ”Piacere di conoscerti comunque. Non te la cavi male neanche tu. Dovrò tenerti presente come tipo da non far incazzare.” Taylor afferrò la mano che il ragazzo gli porse stringendola a sua volta con sicurezza, gli rivolse un sorriso divertito prima di spostarsi con lui verso il bancone per riprendere i loro posti vuoti. ”Se lo scontro fosse stato tra noi stasera non saprei chi ne sarebbe uscito peggio, meglio essere alleati!” si sedette poggiando un piede sul sostegno dello sgabello e lasciando l’altra gamba stesa verso l’esterno, come se fosse in sella al suo destriero. Sollevò una mano verso il padrone del locale in segno di ringraziamento quando i loro piatti furono di nuovo davanti a loro e senza dire una parola addentò il pezzo che aveva già tagliato in prima di essere interrotti. ”Vieni spesso qui? Non posso dirti che mi ricordo di te, non sei il mio tipo… troppa barba!” rise con la bocca mezza piena, ripulendosi l’angolo destro col dorso della mano. Afferrò il boccale di birra e ne mandò giù metà tutto d’un fiato. ”Ho notato che hai una buona tecnica quando sferri pugni, hai fatto qualche sport di lotta?” chiese guardando Zach con la coda dell’occhio mentre continuava a mangiare. ”Sai che quasi quasi ci siamo meritati anche delle patatine e un secondo giro di birra? Tanto paga l’amico bianco e rosso!” si allungò sul bancone e stavolta incrociò un ragazzo che sapeva chiamarsi Leo, lo salutò calorosamente con una pacca sulla spalla e fece la sua seconda ordinazione. Si riaccomodò sullo sgabello, stavolta più compostamente quasi come un ragazzo per bene, ma la sua giacca di pelle e i numerosi tatuaggi parlavano a voce piuttosto alta per lui. Non era un teppista, non più e non lì a Besaid. Erano terminati i tempi in cui in quello stesso pub molti di quegli uomini sarebbero usciti solo con un’ambulanza oppure con un telo bianco steso sopra. Non poteva dirsi cambiato, ma ci stava provando, non aveva perso quella ruvidezza che lo caratterizzava da sempre non era quella la parte che gli interessava di se stesso. Non aveva voglia di raccontarlo a quel ragazzo che aveva appena conosciuto, ma si era contenuto e nonostante la grezza spavalderia aveva gestito la situazione con grande distacco. Da quando viveva a Besaid stava tentando in ogni modo di allontanarsi dall’ombra invadente di chi era stato, lo doveva ai suoi genitori, ma soprattutto a se stesso. Aveva perso ogni cosa e… e non era il momento di pensarci. ”Visto che ormai siamo compari, raccontami cosa fai per vivere in questo posto piccolo quando il buco del culo dell’intera Norvegia?” afferrò una manciata di patatine bollenti non appena Leo le lasciò vicino ai loro piatti ormai quasi vuoti e le mangiò una per una, si sentiva quasi un Lord per non averle messe in bocca tutte insieme. Aveva le dita piene di sale così aprì il tovagliolo e lo usò per ripulirsi mentre ascoltava quello che sembrava essere un nuovo potenziale amico…

    Edited by Aruna Divya - 30/6/2020, 13:43
     
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    La personalità di Zach era boriosa di suo: era nato così, un dono di madre natura, visto il carattere ben più pacifico dei suoi genitori, in particolare di sua madre. Un dono, sì, perché la vedeva proprio in quel modo. Rise di gusto nel sentire il tremore di quell'omaccione che pareva così tanto minaccioso e che, invece, non valeva che due soldi. E questo ci ha fatto freddare il cibo? «Pare di sì. Ti sento infreddolito? Sarà il riscaldamento?» fece lui, con palese sarcasmo, accompagnando quelle parole con il rilascio della presa dal suo corpo. Si era ormai stabilito chi avesse "vinto" quell'incontro e non era stata di certo l'allegra combriccola di ultras: era andato tutto anche troppo bene, Zach ci era rimasto male, come se non ci fosse gusto a vincere in quel modo. Per quanto fosse poco morale, a lui piaceva molto fare a botte - non per niente era iscritto al corso di pugilato - e questo, spesso, poteva rivelarsi molto interessante, soprattutto se i pugni erano conditi da un po' di sana rabbia: non si era trattato quell'occasione, purtroppo. «Grazie amico, gentilissimo.» disse all'uomo, accompagnando il pizzicotto di Taylor con una pacca sulla spalla, prima di rivolgersi a Taylor: dopotutto quella "grana" - che non meritava nemmeno d'esser chiamata tale alla fine della fiera - si era rivelata piuttosto utile per conoscere qualcuno che sembrava valere più dei due soldi della banda ultras.
    Se lo scontro fosse stato tra noi stasera non saprei chi ne sarebbe uscito peggio, meglio essere alleati! Non poteva che concordare, ma questo non gli sembrava negativo, anzi. «Un buon motivo per organizzare un incontro prima o poi.» fece infatti, con un sorriso. «Ho un amico che potrebbe fare da giudice.» propose, riferendosi a Darko che, di sicuro, sarebbe stato ben contento di poter partecipare a sua volta: sotto quel punto di vista erano molto simili, forse per questo motivo andavano d'accordo. Tra quelle chiacchiere si interpose Clelyo che, in men che non si fosse detto, riportò loro i piatti che poco prima si erano freddati a causa di quel piccolo contrattempo: «Sempre il mio preferito Clelyone.» gli disse, afferrando il coltello e facendo un pezzo della tagliata che, come richiesto, era perfettamente morbida ed al sangue, proprio come piaceva a lui. Vieni spesso qui? Non posso dirti che mi ricordo di te, non sei il mio tipo… troppa barba! «Ah, così mi ferisci però, speravo che il mio fascino potesse avere effetto anche su di te.» rispose, accarezzandosi la barba bionda. «Spesso sì comunque, sebbene abbia degli orari variabili quindi è probabile che non ci siamo mai incrociati per quello. Anch'io stranamente non mi ricordo di te.» E non era uno che passava inosservato visto il suo stile. Zach, sotto quel punto di vista, si reputava piuttosto "anonimo", soprattutto in un posto come la Norvegia in cui i capelli biondi ed i colori chiari erano diffusi a macchia d'olio: lo faceva sorridere pensare che sia lui che Darko avessero dei toni tanto candidi e fossero delle persone così attaccabrighe… Meravigliosa ironia.
    «Faccio boxe da un po' di anni, ho iniziato per scaricare lo stress ma alla fine sono finito con l'innamorarmi della disciplina.» O di Darko, viste le dicerie che Jungkook ha diffuso alla B-Side. pensò, scuotendo appena il capo e addentando un altro pezzo di carne. In pochi minuti sia lui che Taylor vuotarono i rispettivi piatti e, non ancora soddisfatti, decisero di ordinare anche dell'altro: «Sai che è veramente un'ottima idea?» concordò, vuotando di lì a poco anche anche la pinta di birra. «Grazie carissimo!» fece, con un gesto della mano riferendosi all'omaccione che ancora, guardandoli con la coda dell'occhio, sembrava piuttosto spaventato. Il cameriere arrivò da loro e, dopo aver salutato Taylor, si dileguò in cucina con le loro ordinazioni: avevano optato per delle patatine con della carne e per due birre grandi, Zach aveva optato per una doppio malto. Visto che ormai siamo compari, raccontami cosa fai per vivere in questo posto piccolo quando il buco del culo dell’intera Norvegia? Veramente... Poteva dire d'esser più amico di quello sconosciuto che di tanti conoscenti nell'ambito lavorativo. «Sono un ricercatore all'Università di Besaid, un biologo.» disse, tenendo si sul generico: tendeva ad esser troppo preciso quando parlava del suo lavoro e le persone - quasi sempre - si annoiavano a sentirlo parlare di certe cose. «Ci sono finito per caso poi alla fine ho deciso di rimanere: vengo pagato piuttosto bene per fare ricerca, c'è tutta la storia delle particolarità che non è malaccio e poi si sta bene. Il clima freddo mi piace, anche se viaggiare di tanto in tanto verso mete più calde è un guilty pleasure che mi piace concedermi.» e poteva farlo proprio in virtù della "storia delle particolarità": gli bastava prendere piccoli oggetti di bigiotteria, tramutarli in oro ed andare in un qualunque compro-oro per poter effettuare il cambio e viaggiare con quei soldi verso Tangeri, una delle sue mete preferite. Per qualche motivo il Marocco gli aveva rubato il cuore e, stranamente, erano già diversi mesi che non tornava lì. «Tu invece? Di che ti occupi?» domandò, curioso, prendendo una patatina dal piatto che era appena arrivato. Chiacchierarono del più e del meno ancora per un po' di tempo, Zach scoprì che Taylor si occupava del luna park e la cosa lo stupì non poco, soprattutto a guardarlo: aveva l'aspetto di qualcuno infiltrato in attività illecite - non che l'avrebbe giudicato - non di certo in qualcosa che i bambini amavano, come un luna park. Sorrise comunque, ascoltando le sue parole con interesse e facendogli scoprire qualcosa in più anche sul suo lavoro. La serata scorse tranquilla, meglio di quanto non si fosse aspettato uscendo dal laboratorio. I due decisero di ordinare - sempre a spese del loro nuovo amico - altre due pinte di birra e, una volta arrivate, Zach ne prese una alzandola lievemente, come per brindare: «A questa scazzottata e al prossimo incontro alla Besaid?» domandò, accompagnando quelle parole, mezze ironiche mezze serie, con una risata, come a celebrare l'inizio di quella strana ma divertente amicizia.
     
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