candyland

taylor x cyd

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    SCANLAN "CYD" HANEGAN

    SHEET -- IRISH DRUG ADDICT -- ICE ICE BABY -- BARISTA BOLGEN


    «We had one million bales of the best Sligo rags-- Sigaretta fumante abbandonata all'angolo di sottili labbra incurvate nella solita maliziosa, ambigua smorfia; la mancina nascosta dentro profonda e rovinata tasca come alla ricerca d'un qualcosa che mai sarebbe potuto esistere, Scanlan barcollava, passo dopo passo, verso triste eppur sconosciuta destinazione. Teneva alto un braccio verso il cielo, scuro manto improvviso che furente, l'aveva addossato in una sola manciata di secondi senza alcun preavviso. Teneva alto un braccio, pelle segnata da cicatrici nascoste d'altrettanto inchiostro, brandendo tra sottili e lunghissime rovinate dita una bottiglia verde dal liquido ormai quasi del tutto scomparso. --We had two million barrels of stones-- Uno. Cinque. Quattro. Otto. Perse il conto dei passi che quasi mancò rovesciandosi a terra, rompendosi per l'ennesima volta il cranio in due, facendo sì che il suo corpo ormai banalissima tela d'un pittore, divenisse ancor più viola, ancor più nera da quel susseguirsi di terribili lividi e tagli, orripilanti anatemi. Un'altra smorfia colorò cereo e pallido volto che però venne subito nascosto e quasi cancellato dall'avvicinarsi del vetro della bottiglia. Le sfregiate labbra si schiusero e dopo un solo breve sospiro, un lungo ed amaro sorso venne tracannato nemmeno il liquido fosse rinfrescante limonata. --We had three million sides of old blind horses hides, we had four million barrels of bones.-- L'accento straniero della propria terra spiccò ancor più del solito, librandosi nell'aria ormai pregna e soffocata dal suo alito sin troppo corrotto dall'alcool. Come il suo fegato, questi parve risentirne come tempo addietro, aveva fatto la sua stessa voce ed i suoi malconci polmoni ormai bistecche abbrustolite. Tossì al richiamo di quell'ultimo nauseante ricordo, visita improvvisa al solito pronto soccorso in preda agli spasmi, in preda al catarro più marcio. Lingua impastata di sangue, alito pregno di ruggine, l'ultimo medico non era di certo stato portatore di notizie buone. --We had five million hogs, we had six million dogs, seven million barrels of porter.-- Uno squarcio nel cielo, nell'aria leggermente fredda e circostante, la voce parve voler spezzare quell'ultimo briciolo di lucidità, collegamento al presente angosciante. Chiuse un attimo gli occhi per poi riaprirli sorridendo, sghignazzando come una vecchia ed isterica iena. Riprese a brandire la bottiglia come scudo, come spada, temerario paladino della propria anomala giustizia. Di cosa? Per cosa? Se ne infischiò, l'immorale, per poi buttar giù l'ultimo sorso di liquore rimasto. --We had eight million bails of old nanny goats' tails,-- Improvvisò un salto, le mani pronte a sfiorare il cielo, per poi atterrare quasi mimando una frittella sull'asfalto, rompendo con tutte le proprie forze il vetro della bottiglia ormai triste, inutile e banale perché vuota. Ululò nella notte perdendo la propria sigaretta ormai in bilico tra le sue labbra, il lupo solitario la iena ora in calore, avvistando dietro l'angolo abbaglianti, psicadeliche luci che in un altro stato ed in un altro momento, avrebbe prontamente riconosciuto. La terra promessa. La sua terra promessa. E no, non quella di Ramazzotti. --In the hold of the Irish Rover!» [1] Con fare esplicitamente teatrale, Cyd s'avviò con più slancio riconoscendo, tracciandone con lo sguardo, le sembianze d'un camioncino lì accanto balzando e ballando, saltellando come povero e demente lepricano. Scoppiò a ridere cercando di reggersi al consunto e lurido stipite della porta che bloccò per alcuni istanti, confine tra follia e realtà. Barcollò in avanti inciampando più d'una volta sino a malapena trascinarsi al suo ormai amato banco.
    «Non ti do più niente, Cyd. Non riesci nemmeno a stare in piedi, porca puttana.»
    «E tu chi cazzo saresti? Dammi una birra, su!» Labbra e naso arricciati in segno d'infantile ed offeso broncio, l'irlandese batté più volte il proprio palmo contro vecchia e lurida plastica. Gridò qualcosa d'indecifrabile nella propria lingua, mugugnò lamentoso per poi voltarsi prima a destra e poi a sinistra, come Indiana Jones alla ricerca del teschio di cristallo in un'oasi nel deserto. Allungò la mano, sporca d'incomprensibili macchie, verso un bicchiere di plastica posto a qualcun altro lì vicino e come un malato, lo buttò giù senza alcun tipo di esitazione mentre a mezz'aria sopra il bancone, la mano ancora sbatteva in faccia al barista, uno sporco e magro dito medio. Welcome to my quindici anni.
    Continuò a scuotere la mano, il dito medio ancor ben in vista ed alzato, davanti al volto interdetto dell'ormai solito e stanco improvvisato barista che, abituato alla sua demenziale follia, non sembrò prenderselo troppo a cuore. Dopotutto, quand'era stata l'ultima volta che Scanlan Hanegan s'era ritrovato a pensare lucido, mente e sguardo fermo su una sola, singola cosa? Giorno dopo giorno, egli stesso pareva diventar immune a quel veleno, a tutto quell'insieme d'allucinogeni e sostanze da cui ormai dipendeva talmente tanto, da non riuscire più a funzionare senza. Gli ultimi cupi eppur offuscati pensieri, lo fecero ritornare all'ultima visita medica, provocando una specie di fitta e dolore, come pugno nello stomaco, al suo ormai menomato e lurido fegato. Scoppiò a ridere, l'irlandese fuori di testa, di quell'assurda vita, di quell'ormai sua assurda decisione d'accelerarla e distruggersi, farsi spezzare dalle sue stesse mani guidate dal vizio, dalla lussuria.
    «Tornatene a casa ragazzo, prima che Hoogan ti trovi in queste condizioni.»
    Nuca all'indietro, occhi cerchiato di rosso, dilatati, spalancati. Rise sino allo stremo, il cretino, rise sino a farsi altro male.
    «Il scimmione tatuato? Ma dai.»
    Si voltò verso il resto delle attrazioni, piccoli banchi e banchetti disposti in ordine, vivaci, colorati eppur con quel non so che di tetro, triste e decadente splendore che hanno tutti i Luna Park, posti di per sé desolati a cui gli è stato imposta accoglienza e divertimento. Rimirò le le luci, acciecato dalle chiazze sfumate sia reali che prodotte dalla sua ormai corrosa mente, macchie di sporco, macchie di marcio. Batté le mani allegro come un bambino alla scoperta d'un nuovo ed improvviso gioco mentre tutt'ora arrossati quanto una coppia di rubini, gli occhi fissarono l'enorme parco giochi, adulti e bambini, ignari e nascosti dinanzi a quella putrefatta figura. Inarcò un sopracciglio trattenendo ennesima risata di scherno mentre stanco, il volto inscenava trepidante sospetto nemmeno fosse d'un tratto diventato Mrs Marple, protagonista indiscusso d'un giallo, non appena in lontananza scorse enorme lecca lecca in plastica a segnare, tracciare, la presenza d'un frugone stracolmo di dolciumi vari.
    Non ricorda, non capì né mai seppe come con pochi e vivaci balzi egli raggiunge il punto B dal punto A, gli occhi a palla, bava alla bocca a fissare variopinte caramelle esposte.
    Lungo e sottile, il braccio del non-morto s'allungò verso prezioso, dolce tesoro. Smeagol che inganna Frodo, Gollum che inganna se stesso. Puntò alcuni orsetti, alcune ciliegie, bastoncini fruttati e candido zucchero filato incurando d'invadente, indiscreto sguardo altrui. Le dita tracciarono confuse un nuovo percorso e presto le caramelle trovarono nuova dimora mentre lievemente sconvolti e divertiti, alcuni bambini accanto risero, giocarono, imitarono spazientendo non poche madri indignate.
    «Ehi moccioso, la vuoi vedere una cosa?» Un, due passi indietro e traballante egli divenne ora giocoliere ora pagliaccio mentre sempre più impastata di verde, di blu, di rosso, la bocca mimava spaventosa estasi. Tirò in aria caramelle catturandole, facendo centro e segnando punti contro il palato, contro la lingua e a volte, contro il naso o altre parti della faccia. E allora tornò indietro, bambino di un'infanzia mai avuta, divertito dal nulla, spensierato del niente, inconscio d'essere semplicemente un triste e vuoto, corpo d'un essere decadente e non più umano. L'amaro in bocca, sogno infranto nella mente, Cyd butto giù un altro, ultimo, orsetto colorato.

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    [1] antica canzone irlandese da pub

    Edited by miss crocodile - 7/10/2019, 00:51
     
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    Taylor Hoogan

    Warning: minacce, linguaggio scurrile e violenza fisica di entità lieve

    ”Ancora lui?” Taylor sbatté con forza la cornetta contro il telefono, facendola invece cadere a penzoloni lungo il muro. Nessuno dentro la sala di controllo osò pronunciare una parola vedendo la reazione di Taylor che indossò la giacca di pelle ed uscì richiudendosi la porta alle spalle con un tonfo assordante. La scia di rabbia dell’uomo ancora riempiva l’aria della sala di controllo, nonostante lui fosse a distanza di sicurezza ormai. Finn, l’unico dipendente che aveva stretto un rapporto di vera amicizia con Taylor sapeva quando era il momento di tacere e di lasciare che il suo amico smaltisse la furia. Ecco, quella era una di quelle situazioni in cui era meglio non trovarsi sul cammino di Taylor perché non era in grado di rispondere delle proprie azioni con razionalità. Non voleva essere quel povero malcapitato che stava per incontrare quella bestia nera che aveva appena lasciato la stanza. Però c’era una cosa che poteva fare, seguire il suo amico con le telecamere di sicurezza e tenere un occhio su di lui tramite i monitor di sorveglianza. Se le cose si fossero messe troppo male avrebbe potuto intervenire indirettamente, ma sperava vivamente che non ce ne fosse bisogno.
    Taylor camminava a passo spedito per quel fott*tissimo luna park che odiava con tutto se stesso, quel luogo pieno di vita e di colori per lui era come un carcere, però aveva delle responsabilità lì dentro e non era di certo uno che scappava di fronte ai suoi doveri. Una delle ragazze del banco dei dolci lo aveva chiamato perché quel ragazzino irlandese di nome Cyd era tornato a dare fastidio, era ubriaco marcio e stava dando spettacolo davanti ai suoi clienti mangiando tutte le caramelle del banco infilando le sue mani luride in mezzo ai dolci. Cristo, quella roba era tutta da buttare adesso e da sostituire di sana pianta per via delle mer*osissime regole sull’igiene. Certo, cosa gliene fregava a quel lurido ubriacone delle sue attività e dei suoi guadagni? Già lo aveva mandato via una volta, ma senza arrivare alle mani per il semplice fatto che c’erano i suoi genitori al suo fianco. Stavolta era solo e non poteva assicurare che lo avrebbe solo minacciato di chiamare la polizia prima di farlo davvero.
    Mentre lui procedeva in fretta lungo quelle strade che conosceva a memoria con l’animo in tumulto, si rendeva conto di come i suoi sentimenti negativi fossero fuori luogo tra quelle luci ballerine, tra quelle attrazioni da cui provenivano grida di gioia… semplicemente in quel micro universo dove tutto era programmato per rendere felici le persone. Taylor esplodeva di rabbia, mentre tutti attorno a lui si divertivano ed erano spensierati. Principesse, pirati, animali parlanti una sfilata di fiabe in carne ed ossa, eppure Taylor non ci vedeva altro che dipendenti nascosti dietro a delle maschere che dovevano guadagnarsi il pane quotidiano. Amavano quello che facevano, quello che vendevano alla gente? Fiabe sintetiche fatte di tessuti scadenti e trucchi economici dando invece l’impressione di vivere in un sogno reale.
    Taylor aveva quasi raggiunto il banco dei dolci e già da lontano vedeva Cyd che faceva cadere una ad una le caramelle del suo banco dentro quella sua bocca impastata di Dio solo sa cosa. Pochi passi e gli fu praticamente dietro le spalle, giusto in tempo per sentirlo mentre si rivolgeva a un gruppetto di bambini poco distanti con le loro mamme che lo guardavano scandalizzate. ”Ehi moccioso, la vuoi vedere una cosa?” e giù caramelle come fosse un arcobaleno di gelatina.
    ”E tu la vuoi vedere una cosa, str*onzo?” gli sussurrò quelle parole all’orecchio per non farsi sentire dalla folla. Era in piedi alle sue spalle, come un cobra in tensione per attaccare la sua preda. Lo prese per il collo della maglietta sudicia e lo trascino via di lì, scusandosi più volte con le clienti che si trovavano lì vicino per aver assistito a una cosa del genere, promettendo che non si sarebbe mai più ripetuto un evento simile.
    Afferrò Cyd anche per un braccio per assicurarsi che non avesse via di fuga, lo portò in un punto in cui era vietato l’accesso ai clienti, lì c’era il magazzino chiuso a chiave dove tenevano tutti i prodotti del luna park. Taylor con una mossa veloce e veemente prese il ragazzo per il collo e lo addossò alla porta del magazzino. ”Cosa caz*o credi di fare nel mio luna park? Vuoi spaventare i bambini, vai a farlo per strada, ma anche lì arriverebbe la polizia a darti una lezione. Meglio i loro manganelli su quel tuo corpo scheletrico o meglio le mie mani a spaccarti la faccia?” le sue parole erano un sibilo e il pugno serrato che gli avvicinò al viso era come una roccia in cui vibrava la sua rabbia. Nonostante Taylor non ambisse a gestire un luna park nella sua vita, lì c’era di mezzo la stabilità economica della sua famiglia e l’unica possibilità che gli era stata data dopo il crash della vecchia azienda di suo padre. Non poteva permettere a niente e nessuno di far rivivere ai suoi genitori quei giorni di sofferenza e smarrimento. Da quando la società di suo padre era fallita anche tutto il suo mondo era crollato, non aveva più un lavoro, non aveva più nulla. Gli avevano pignorato tutto, praticamente dei barboni, ma grazie alla famiglia di sua madre avevano trovato una piccola speranza. Un nuovo inizio.
    ”Hai due possibilità, Cyd. Ti scorto fuori e te ne vai senza dare fastidio a nessuno, altrimenti chiamo la polizia.” nell’aria vibrava una terza possibilità: Taylor che gli faceva perdere conoscenza a forza di tempestarlo di pugni, ma quello era meglio lasciarlo in sospeso finché le cose non avessero preso una brutta piega. Anche se, Dio, moriva dalla voglia di sbattergli la testa contro la porta del magazzino. Eppure d’altro canto c’era qualcosa in quel ragazzo che gli suscitava pena per lui. Come caz*o aveva fatto un ragazzino della sua età a ridursi così? Era deteriorato in tutto, persino nella mente probabilmente per arrivare a dare uno spettacolo di se’ tanto indegno. Però non era quello il momento per farsi muovere dalla compassione per gli altri, anche perché nella sua vita di rado gli era stato permesso di provarne.
    ”Ti avviso chiaramente, la prossima volta che ti pesco qui a dar fastidio ai miei dipendenti o ai miei clienti non ti darò possibilità di scegliere come uscire di qui. Sono stato chiaro?” lo teneva ancora stretto per il collo con la mano destra, addossando il suo esile corpo alla porta del magazzino.
    Proprio sopra le loro teste la telecamera di sorveglianza puntava su quella scena pietosa, remotamente Finn teneva d’occhio il suo amico, un po' come un angelo custode in forte sovrappeso. Finn sperava che le cose non degenerassero e che quello stolto ragazzino non provocasse troppo Taylor, altrimenti non voleva neanche immaginare a cosa avrebbe assistito sui monitor di sorveglianza…

    Edited by Aruna Divya - 15/3/2020, 10:57
     
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    ! disclaimer: violenza sesso droga e rock n rollEE


    SCANLAN "CYD" HANEGAN

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    Ricco d'anatemi, inchiostro e marcio, il braccio destro di Cyd s'allungò per l'ennesima volta incauto verso lo stand straripante di gioia e caramelle. Si mossero lente, guidate da una flemma nauseante, le dita che prima di scegliere la prossima preda, la loro prossima vittima, toccarono e quasi rovesciarono tutte le caramelle dal barattolo prescelto. Vermicelli. Vermicelli gommosi e colorati, variopinti quanto le luci del luna park che violente, continuarono ad accecarlo, a scuotergli la mente. Si sentiva impazzire e morire insieme in quel violento e gigante caleidoscopio. «E tu la vuoi vedere una cosa, stronzo?» Non fece in tempo ad esibirsi in una terza quarta quinta performance in mezzo a bambini entusiasti e madri indignate, che animalesche, un bel po' di dita e nocche tatuate l'arpionarono minacciando sì il suo equilibrio ma non quel scoppiettante buon umore alimentato da alcool e stupefacenti. Un ebete. Ecco cosa vedeva, studiava ed osservava un sempre più furioso Taylor Hoogan: un cazzo di ebete. Non smise di sorridere, l'irlandese, nemmeno per un istante, nemmeno un solo e banalissimo secondo. Si lasciò trascinare come un bambolotto, involucro di carne vuoto, sacchetto sporco e tumefatto da chi, per l'ennesima volta nella sua miserabile e non voluta esistenza, era riuscito ad arrabbiare. Sembrava esser diventata una gara, tensione ed alienazione dovuta soprattutto da se stesso nei confronti di se stesso. Una guerra non pari dentro la testa di una sola persona... testa che non esisteva né sarebbe mai più esistita. Fu forse anche quell'agghiacciante teatrino, quella barzelletta di furto, mera scusa per farsi fare del male? Ah. L'adrenalina.
    «...meglio i loro manganelli su quel tuo corpo scheletrico o meglio le mie mani a spaccarti la faccia?» Ci fu un singulto, quasi un singhiozzo soffocato che le sottili labbra del ladro non riuscirono a trattenere, a nascondere. Ruttò prima silenzioso e poi a bocca del tutto aperta, alito striato e colorato dal dolciastro delle caramelle appena ingurgitate. Non chiese scusa né si preoccupò troppo del secondo o terzo rutto in quanto incapace di collegare, percepire la realtà. Cos'era l'etichetta? Cos'era l'educazione? Non che riuscisse a denigrarle come un ribelle, un rivoluzionario contro canoni predisposti e decisi da entità più alte. No. Semplice capra ignorante. «Vai. Colpiscimi brutta scimmia.» Ruttò infine nonostante il discorso sussurrato, le minacce cantate. Corrugò la fronte in un'espressione tra la resa ed il divertimento mentre ciondolanti, le lunghissime braccia oscillarono accanto agli ossuti fianchi: non si reggeva minimamente in piedi e non faceva nemmeno molto per nasconderlo. Le dita d'inchiostro dell'altro l'avvolsero come una collana, una sciarpa attorno all'esile collo costringendolo ad indietreggiare, spinto dal peso dell'altro, contro la porta di quella che doveva essere il magazzino - non che a quel punto Cyd riuscisse a distinguere, mettere a fuoco o capire qualsiasi cosa. «Colpiscimi. Fammi del male.» Ripeté a fior di labbra, lo sguardo allucinato ad incastonarsi in quello gemello dell'altro. Sentì il corpo in tutta la sua stazza dell'altro violento premergli addosso, feroce e rabbia, una follia diversa dalla sua, nel suo sguardo. Trattenne una risata mentre inclinato, il capo cominciò a muoversi lento, meccanico, come la testa d'un giocattolo rotto o un uomo prima morto poi posseduto. «Fallo. Sto aspettando. Mi sto già eccitando.» Non una bugia, non una menzogna per la prima volta uscì dalle labbra del condannato. Si stava davvero eccitando.
     
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    Taylor Hoogan

    Warnings: linguaggio scurrile, violenza fisica e mentale, discriminazione

    Finn fissava lo schermo davanti a se’ sperando che quel ragazzino strambo fosse abbastanza scaltro da non provocare Taylor, lo conosceva fin troppo bene, sapeva che se perdeva il controllo c’era da avere paura di lui. Sapeva essere una furia nera dietro quella tela multicolore che era la sua pelle, soprattutto se si trattava di difendere il suo territorio o i suoi cari che potevano contarsi sulle dita di una singola mano. Le immagini in bianco e nero si susseguivano sui vari monitor, prima quelle del viale principale e poi quelle del magazzino dove tenevano le scorte del luna park. ”Ragazzino, ti prego non fare il coglione altrimenti dovrò inventarmi qualcosa!”

    Taylor teneva Cyd addossato alla porta del magazzino, la sua voce veleno nell’aria. Una parte di se’ sperava di non dover ricorrere alle maniere forti, l’altra moriva per spezzargli l’osso del collo. Non era la prima volta che quello sciocco irlandese andava a disturbare la quiete del loro luna park, sporco e molesto come non ne aveva mai visti prima. Che tipo di gioia masochista provava nel dare fastidio agli altri? Taylor teneva il pugno sollevato in aria, pronto a scagliarsi sul viso ossuto di Cyd per frantumargli il naso o magari la mascella, a cosa gli serviva la bocca se tutto ciò che usciva da lì non era altro che alito di fogna?
    Come se avesse espresso a voce alta quell’ultimo pensiero il ragazzo si lasciò andare a dei rutti a fauci spalancate, quell’odore rivoltante di marcio e caramelle gli invase le narici. ”Vai. Colpiscimi brutta scimmia!” quel pazzo drogato abbassò completamente la guardia lasciando ciondolare le braccia lungo i fianchi, voleva provare dolore? Chi era Taylor per impedirgli di soffrire come un cane per il suo comportamento da stronzo? ”Cristo, io ti ammazzo!” il pugno che prima era sospeso in vibrante attesa della sua sorte trovò la sua direzione sul viso di Cyd, il rumore secco del suo impatto sulla sua guancia poteva essere rivoltante per i più, ma Taylor era abituato a molto peggio. Ne arrivarono altri due a piena potenza sullo stesso punto, se non gli aveva fracassato qualcosa desiderava lasciargli almeno il marchio di un ematoma sulla pelle. Taylor aveva il fiato corto per la rabbia e riuscì a fermarsi col pensiero che da un momento all’altro qualche dipendente sarebbe potuto passare per prendere qualcosa dal magazzino. Sbuffò col naso per far fuoriuscire l’aria in eccesso che aveva accumulato per l’incazzatura che gli aveva provocato quel moccioso. Credeva che dopo le ulteriori minacce che gli fece e dopo un paio di colpi perfettamente assestati avrebbe smesso di giocare, invece pronunciò delle parole che lasciarono Taylor pietrificato dal disgusto. ”Colpiscimi. Fammi del male. Fallo. Sto aspettando. Mi sto già eccitando.”

    ”Porca puttana, quello vuole morire!” Finn si passò una mano grassoccia sulla fronte, prese il microfono degli annunci e smanettò con l’attrezzatura affinché quello che avrebbe detto sarebbe uscito solo dall’altoparlante della zona del magazzino. ”Prova, cazzo… prova! Taylor mi senti, mettilo giù, non fare cazzate. Ho chiamato la sicurezza, lascia che ci pensino loro. E tu ragazzino, ma che cazzo d’istinto suicida hai, si può sapere? Ti ha dato di volta il cervello, è tre volte più grosso di te!” avrebbe continuato a parlare col suo amico fino all’arrivo della sicurezza se si fosse rivelato necessario per evitare che compisse qualche gesto avventato di cui pentirsi per tutta la vita.

    Taylor alzò lo sguardo cercando di capire da dove provenisse la voce del suo amico Finn, nonostante la sorpresa non lasciò la presa su Cyd e non perse nemmeno per un istante la tensione nervosa che gli permetteva di tenerlo immobile come una marionetta. Solo a un oggetto senza spina dorsale poteva paragonarlo, con quella testa che si muoveva come se non ne avesse controllo e il corpo lasciato a peso morto tra le sue mani. Sentiva che non riusciva nemmeno a reggersi in piedi quel pagliaccio d’inchiostro, era un insulto alla categoria di persone che come lui si erano ricoperti la pelle di racconti di vita sotto forma di immagini. Taylor si morse la guancia dentro per non reagire come il suo istinto gli stava gridando sin dal primo istante in cui aveva messo le mani addosso a Cyd. Digrignò i denti e non riuscì a trattenersi, gli sputò in faccia per poi sbatterlo con più forza contro la porta del magazzino, sperò con tutto se stesso che sbattesse la testa così forte da cadere a terra, ma non accadde. Solo un lieve contraccolpo per quel fantoccio umano. ”Ti eccita la violenza? Vuol dire che non sai nemmeno cosa sia la vera violenza, altrimenti ne avresti paura.” lo lasciò andare all’improvviso smettendo di sorreggere il peso di quel corpo morto che per qualche arcano della natura respirava e si muoveva. ”Finn va bene così? O vuoi che gli dia anche un cazzo di bacio per fargli passare la bua?” diede le spalle al ragazzo solo per un secondo, poi come se il suo corpo non rispondesse esattamente ai suoi ordini, Taylor si voltò di scatto e gli sferrò un calcio sullo stomaco. ”Ecco, adesso va bene.” mentre pronunciava quelle parole alle sue spalle sopraggiunse la sicurezza del luna park. I tre uomini si avvicinarono al proprietario lentamente, palesando la loro presenza a voce prima di affiancarlo. ”Taylor è sufficiente, non fare altro altrimenti rischiamo.” Edlund si mise davanti a Taylor con le mani alzate per intimargli di stare tranquillo.

    ”Taylor, ascolta quello stronzo di Edlund per una volta che ha ragione! Se lo ammazzi… beh, non credo di doverti dire cosa succederebbe…” Finn dalla sala di controllo continuava a comunicare col microfono degli annunci, fortuna che aveva allertato subito la sicurezza di quella situazione, altrimenti quel Cyd sarebbe stato ritrovato solo come carne da macello. ”Ragazzino, dovresti baciare il suolo dove cammino, ti ho salvato la vita anche se non mi vedi!” dallo schermo Taylor alzò il dito medio verso la telecamera, era un gesto di affetto anche se nessuno lo avrebbe mai detto. Quel ragazzone tatuato sapeva che Finn lo aveva protetto da se stesso, da quel lato oscuro che stava cercando di lasciarsi alle spalle con la nuova vita che aveva intrapreso a Besaid. ”Anche a te!” rispose ridendo per smaltire il nervoso che gli aveva stretto lo stomaco fino a quel momento, aveva davvero temuto il peggio per un istante. Taylor era ancora in fase di cambiamento, non era diventato improvvisamente un’anima bianca, Finn lo sapeva perfettamente che c’era ancora molto lavoro da fare… lo sapevano entrambi. Quello di Taylor era un percorso lungo e difficile da affrontare, ma gli sarebbe stato accanto, erano amici da meno di un anno eppure Finn stravedeva per quel ragazzone come se fosse sangue del suo sangue.

    Taylor sentiva il respiro affannato e la rabbia ancora pressante nel petto, ma sapeva che non doveva farsi sopraffare soprattutto ora che era intervenuta la sicurezza. Strinse i pugni e lasciò che se ne occupassero loro, non come ai vecchi tempi a San Antonio dove i regolamenti dei conti erano i suoi. Quanta gente aveva lasciato al suolo mezza morente senza un minimo di senso di colpa, quante persone aveva minacciato di morte e poi non lo aveva mai fatto… quella era l’unica cosa che non era mai stato in grado di fare: uccidere. Non si sentiva Dio per poter recidere la vita di qualcuno, non era altro che la forza bruta di un’organizzazione criminale… era.
    ”Stavolta ti portano via i miei uomini e ringrazia Finn se hai ancora la testa attaccata al collo, non succederà una terza volta, sappilo.” braccia incrociate al petto per non allungargli le mani sulla faccia e togliergli quel sorriso del cazzo dalle labbra, lui e la sua eccitazione depravata che ripugnava. ”Vaffaculo, Cyd.” due parole pronunciate a denti stretti prima di andarsene via mentre la sicurezza portava via quel ragazzino insolente.
     
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