I've dreamt about you nearly every night this week

Magnus&Isie | Mezzoggiorno

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    Magnus Nyström

    Sì, per un attimo ci aveva pensato. Che cazzo di droghe ho preso, per averle detto quelle cose? ma ormai era troppo tardi e, comunque, l’idea di aver finalmente chiarito le cose con Isie lo aveva tranquillizzato immediatamente. Quando aveva aperto gli occhi la mattina seguente al loro infuocato incontro, ritrovandosi quindi a fissare un soffitto che ormai aveva imparato a conoscere bene, Magnus era rimasto immobile in quel letto senza neanche respirare per qualche prolungato secondo, intenzionato a ricomporre il puzzle di quello che la sera prima si era frammentato nella sua testa. Dopo essersi reso conto del fatto che, effettivamente, gli era difficile credere che tutto quello che aveva visto e detto fosse accaduto per davvero, si era voltato lentamente verso il proprio lato sinistro solo per poter ritrovare il viso dormiente di Isie accanto alla sua spalla, la sua fronte calda contro la pelle nuda del braccio di Magnus. Nel momento esatto in cui le proprie iridi si erano posate sul viso rilassato di Isolde, Magnus si era maledetto per aver anche solo pensato di potersi pentire delle proprie parole. Sarebbe stato impossibile, avendola dinanzi ai proprio occhi per il resto dei suoi giorni. Era strano come avvertisse il proprio cuore talmente pesante, quasi volesse ricordare a Magnus stesso d’esser proprio lì, nel centro esatto del suo petto pronto ad esplodere ogni volta che le sue mani toccavano o sfioravano quelle di Isie. Un’altalena di pensieri, eppure era sempre nella sua direzione che lui finiva per dondolare.

    (Baby, we both know) That the nights were mainly made
    For sayin' things that you can't say tomorrow day

    xxx


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    Era strano metter piede al Perception quando fuori vi era ancora la luce del sole ad illuminare le strade. Il cambiamento drastico dalla luce al buio gli impedì di riuscire a guardare attraverso il corridoio dalle pareti rivestite da funebre carta da parati che conduceva alla prima sala principale del locale. Colori che si sposavano perfettamente con gli indumenti che aveva deciso di indossare: una felpa nera e un paio di pantaloni della tuta di colore grigio, però almeno firmati Nike; Isie li avrebbe adorati. In più, oltre ad esser stato accecato dal sole per poi esser bruscamente gettato all'interno dell'oscurità più assoluta, aveva i postumi di una serata vissuta a trecentosessanta gradi, come suo solito. Sentiva i muscoli ancora un po' indolenziti, ma più di tutto, la testa sembrava esserglisi staccata dal resto del corpo per aleggiare a dieci metri di distanza dal pavimento. Amava quella sensazione, lo metteva sempre di buon umore. Stringeva ancora la tazza di cartone contenente una coca cola malamente diluita dalle maledette macchinette del Mc Donald’s, che aveva visitato su solo poco prima per far razzia di cibo spazzatura con l’intento di sfamare i dipendenti di Isie. Stava per avvicinarlo alle labbra quando una smorfia di disgusto si aprì sul suo viso nel momento esatto in cui l’acre odore di pittura raggiunse le sue narici annullando qualsiasi altro odore fosse solitamente presente nel locale gestito dalla donna. «Non si respira qua dentro!» esclamò fermandosi qualche istante sul ciglio della porta. Allargò le mani, rischiando addirittura di rovesciare i contenitori di cartone che reggeva in equilibrio da quando era uscito dal Fast Food. Posò lo sguardo in fondo alla sala, laddove due grossi tipici in canotta e pantaloni fluorescenti stavano armeggiando con una parte della parete. Lo guardarono fugacemente, quasi a volergli chiedere chi diavolo fosse e se fosse la prima volta in cui si ritrovava ad annusare della pittura. Scosse quindi il capo, sollevando il mento ed indicando uno dei due a volergli “rispondere” di voltarsi nuovamente per continuare il lavoro che gli era stato assegnato. Dopotutto veniva anche pagato, ma non di certo per osservare e registrare mentalmente tutti quelli che entravano al Perception. «Che c'è? Vuoi registrarti per un colloquio di lavoro come buttafuori?» - Magnus. Il solito, burbero, Magnus. Il ragazzone dai pantaloni fluorescenti si rivoltò immediatamente, posando gli occhi sul proprio lavoro e cercando di non diventare paonazzo per la rabbia. Dopo tutto, se solo avesse voluto, avrebbe schiacciato il corpo mingherlino del giovane Nyström con il solo ausilio del dito indice. Ma, si sapeva, a Magnus era sempre piaciuto sfidare "l'insfidabile".
    Avanzò quindi verso il bancone, sistemando i contenitori colmi di Burger sul bancone. «Cibatevi pure.» disse solamente indicando con il viso i due grossi contenitori e rivolgendosi ai due dietro al bancone, piuttosto stupiti dal fatto che Magnus in persona avesse provveduto al loro pranzo. «Wow, grazie. Hai sbattuto la testa stanotte, quando sei caduto dal materasso?» Franny, una delle bariste, aveva sempre avuto la lingua lunga e normalmente avrebbe irritato uno come lui, ma a Magnus, dopo tutto, piaceva. Certo, non da considerarla sempre degna di una risposta o un'occhiata, ma credeva fosse piuttosto intelligente da meritarsi, ogni tanto, una frase un po' meno aspra del solito. «Attenta, potrebbero essere avvelenati.» sussurrò lui, avvicinando la cannuccia alle labbra e risucchiando un lungo sorso di coca cola mentre mimava un sorriso tirato e decisamente finto. «Fidarsi di Magnus o morire di fame? Questo è il dilemma...» aggiunse poi, prima di distogliere la propria attenzione da lei e tornare a voltarsi, lasciando che lo sguardo vagasse lungo le pareti del locale. Avevano parecchio da fare: non sapeva bene cosa cambiasse all’interno del Perception, era tutta roba di cui si era occupata Isie, lui era stato solo incaricato di portare qualcosa da mangiare ai dipendenti che stavano dando una mano con le pulizie di primavera. Gli attacchi isterici di Isie arrivavano a caso, nessuno sapeva quanto la pausa sarebbe durata ogni volta. Si voltò dando le spalle al bancone e poggiando la schiena contro di esso mentre con gli occhi era interessato ad osservare i lavori di manutenzione che i due continuavano a fare nel più assoluto silenzio. Strinse la cannuccia fra i denti mentre aspirava con gusto la coca cola dal contenitore in cartone che stringeva in una mano, il gomito posato sulla lastra in marmo scuro al quale era appoggiato. Inclinò leggermente il capo da un lato, ma non era davvero interessato a guardare qualcosa. Piuttosto, l’udito era stato catturato da una voce accesa e cantilenante che sembrava farsi sempre più vicina. Così, mentre gli occhi fissavano i pantaloni arancioni dei due operai, le orecchie di Magnus iniziavano a lanciare messaggi di pericolo al cervello, il quale stava per mettersi in funzione e spingerlo a scomparire di li alla velocità della luce, senza poi troppi risultati, poiché il viso di Isie apparì ben presto all’interno della sua visuale. Niente di sgradevole, se non fosse stato che la donna stringeva le braccia attorno ad un coso minuscolo e strillante. Bellissima Isie, splendeva anche con un bambino fra le braccia. «Non penso sia il posto adatto ad un cosino così piccolo, potrebbe morire soffocato dalla puzza di pittura.» sentenziò subito lui, indicando con la mano il bambino e dimenticandosi addirittura di salutare almeno Isie. Il piccolino prese a spalancare le labbra e a strillare senza alcun motivo. Magnus, che decisamente non aveva idea di come si tenesse un bambino e di che tipo di attenzione il pargolo potesse necessitare, dedusse da bravo esperto del pianto di neonato che, forse, aveva fame. Lo fissò immobile per qualche istante, prima di voltarsi e afferrare uno dei cheesburger accatastati all'interno della scatola di cartone. «Se ha fame è avanzato qualcosa di ottimo, il McDonald's ha ricevuto quattro stelle Michelin ultimamente, lo sapevi?» scherzò, restando tremendamente serio e riuscendo a non accennare neanche l'accenno di un sorriso. Poi, come se nulla fosse, tornò a sorseggiare la propria coca cola attraverso la cannuccia ormai completamente mordicchiata all'estremità superiore. Fu solo allora che, divertito dall'espressione contrariata di Isie, non potè impedire alle proprie labbra di allargarsi in un sorrisino decisamente divertito. Amava stuzzicarla, da matti.
     
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    ISOLDE JASMIJN DEWITT-LENNOX ➽

    Isolde sospirò, le dita dai polpastrelli gelidi che compivano movimenti circolari all’altezza delle tempie, alla ricerca di un po’ di sollievo dal mal di testa che la attanagliava. Al di là della porta dell’ufficio, un rumore incessante di colpi di martello, talmente forte da far quasi tremare le pareti. «Diamine.» Mormorò, tra sé e sé, battendo ripetutamente le palpebre, ancora incredula per tutto quel rumore. Quando aveva deciso di dare una “rimodernata” alla zona bar non si era certo aspettata che i lavori richiedessero tanto chiasso. Un vagito infastidito – un lamento, acuto e lagnoso – attirò la sua attenzione, spingendola a voltarsi in direzione del divano. Lì, appoggiato contro lo schienale imbottito, si agitava un bambino biondo di poco più di un anno, le manine paffute strette attorno ad un peluche a forma di pinguino. La donna gli si sedette accanto, prendendolo in braccio. «Non ti preoccupare, Ross. Tra poco dovrebbero aver finito.» Iniziò a dondolare le gambe, facendolo saltellare e strappandogli qualche risatina. «E finalmente potremo mangiare. Hai fame, vero? Certo che ne hai, è quasi mezzogiorno!» Gli rivolse un largo sorriso che il bambino ricambiò istantaneamente e riprese a farlo giocare, nella speranza di distrarlo. Non avrebbe certo potuto biasimarlo se fosse scoppiato a piangere disperatamente, vista l’ora. “E pensare che avevano detto che sarebbe stato facile e veloce.” Stinse le labbra, leggermente infastidita, lanciando un’occhiata oltre la porta. Con tutto quel rumore non riusciva nemmeno a concentrarsi sulla contabilità. Afferrò il pinguino di peluche e lo mosse distrattamente davanti al viso paffuto del nipotino, nello stesso momento in cui i colpi di martello cessarono. Attese qualche istante, immobile. Infine, le sfuggì un sospiro di sollievo. «Era ora!» Trillò, nuovamente di buonumore, alzandosi prontamente con Ross ancora in braccio. «Andiamo, piccolino. È ora di mangiare qualcosa.» Sfregò il naso contro quello del bambino e lo sistemò sul fianco e, dopo essersi richiusa la porta dell’ufficio alle spalle, percorse il corridoio che separava la stanza dalla zona bar del Perception. Mentre i tacchi si scontravano con il pavimento di marmo, anticipando il suo arrivo, prese a canticchiare una canzoncina. «Chissà cosa c’è per pranzo! Mhhh, sarà tutto buonissimo. E se fai il bravo, dopo il pisolino ti faccio portare un bel gelato da Franny.» Comparve dal corridoio laterale, dondolando il bambino. «Oh, buon pomeriggio.» Rivolse un largo sorriso ai due operai che, sorpresi, smisero per un istante di imbiancare, seguendola con lo sguardo. Li superò e raggiunse il bancone. Lo sguardo chiaro indugiò per un istante su Magnus, riconoscendone la figura slanciata, la postura e la folta chioma riccia quasi istantaneamente; come sempre, quando il giovane entrava nel suo campo visivo. Gli rivolse un leggero sorriso, quasi impercettibile, prima che il sopracciglio destro si inarcasse appena nel notare gli elegantissimi pantaloni che indossava: Isolde odiava le tute; le considerava un attentato alla moda ed al buongusto. Si fermò al suo fianco e si sporse verso Franny. «Potresti scaldarmi l’omogenizzato, per favore? È nel frigo, in basso a destra. Non troppo caldo, mi raccomando.» Rinsaldò la presa sul nipotino, nello stesso momento in cui Magnus le rivolse la parola. «Non penso sia il posto adatto ad un cosino così piccolo, potrebbe morire soffocato dalla puzza di pittura.» Prima ancora che Magnus terminasse la frase, Ross scoppiò improvvisamente a piangere, forse infastidito dall’odore acre presente nella stanza. «Oh, no. Su su, non è niente… adesso torniamo di là.» Mormorò, dolcemente, tentando di calmarlo. «La pittura è a base d’acqua. Non dovrebbe puzzare così tanto.» Si lamentò, volgendosi in direzione dei muratori in attesa di spiegazioni. I due si limitarono a scrollare le spalle, poco eloquenti, e in risposta Isolde roteò gli occhi al cielo. «Accendete l’impianto di ventilazione, per favore. Almeno ci sarà un ricambio d’aria.» Ordinò, ad un cameriere di passaggio, tamburellando nervosamente con le dita accuratamente smaltate sul bancone del bar. Solo in quel momento si accorse degli incarti di cibo appoggiati poco distante. Gli occhi le si illuminarono quasi istantaneamente. Era da quella mattina che non mangiava nulla e stava letteralmente morendo di fame. Non vedeva l’ora di mettere sotto i denti un bel club sandwich gourmet, del sushi oppure… «Se ha fame è avanzato qualcosa di ottimo, il McDonald's ha ricevuto quattro stelle Michelin ultimamente, lo sapevi?» Spostò lo sguardo dal viso di Magnus al panino che l’uomo le stava porgendo e, nel giro di un paio di secondi, l’entusiasmo sparì dal suo viso. «McDonald’s?!» Ripetette, sorpresa. Arricciò le labbra in una smorfia contrariata e, a tratti, disgustata. «Sei matto? Quella roba è velenosa. È provato che provoca un sacco di malattie.» Scosse il capo, con decisione. Erano passati anni dall’ultima volta che aveva mangiato cibo da fast food e non aveva alcuna intenzione di ingoiarne un sol boccone. «Non mi hai preso qualcos’altro? Un’insalata? Del sushi? Un sandwich?» Lo interrogò, continuando a cullare il bambino. A suo avviso, il McDonald’s era tutto fuorchè cibo commestibile e Magnus lo sapeva; piuttosto ironico, considerate le doti culinarie di Isolde. «Lascia perdere. Mangerò stasera.» In tutta fretta si voltò verso Franny, il piccolo Ross che iniziava ad agitarsi sempre di più. Probabilmente l’odore di fritto doveva avergli risvegliato lo stomaco. Meraviglioso. «L’omogenizzato?» Domandò, vagamente nervosa. Non le piaceva che Ross piangesse. La faceva sentire in colpa. «Ecco. C’è anche la frutta.» Franny spinse verso di lei un piccolo vassoio in cui aveva sistemato il tutto e Isie le rivolse un cenno di ringraziamento. «Ti spiace prenderlo?» Domandò, rivolgendosi a Magnus. «Non credo di riuscire a portare tutto senza farlo cadere e ho bisogno di te per… per un paio di questioni da sistemare.» Indugiò un istante e si avviò verso l’ufficio, percorrendo in senso contrario il corridoio attraversato poco prima. In realtà non vi era nulla che richiedesse l’attenzione urgente di Magnus – niente più dei soliti spacciatori che, testardi, continuavano ad appostarsi nel vicolo dietro il locale o di qualche personalità troppo insistente nel tentare di ricevere un invito per il Perception – bensì Isolde desiderava approfittare di quel momento di tranquillità per “pranzare” insieme. Aprì la porta dell’ufficio ed entrò per prima, accomodandosi sul divano con Ross in braccio. Quando Magnus depositò il vassoio con l’omogenizzato sul basso tavolino da caffè, Isolde gli rivolse un sorriso. «Grazie. Credo che stia davvero morendo di fame.» Afferrò il cucchiaino con la mano libera e prelevò un po’ di omogenizzato, avvicinandolo alla bocca di Ross che lo mangiò senza farsi pregare. «Ecco, così! Chi è il bambino più bravo del mondo?!» Dopo un paio di cucchiaiate, il piccolo parve finalmente calmarsi, il viso ancora arrossato per lo sforzo del pianto. Isie si sentì sollevata e la sua espressione si rilassò quasi istantaneamente. «Che fai in piedi? Siediti!» Accennò allo spazio vuoto al suo fianco, invitando Magnus ad occuparlo, e gli rivolse un largo sorriso. «Come è andata la mattinata? Sei riuscito a dormire un po’?» Quella mattina era uscita presto, mentre Magnus ancora dormiva, per passare da suo fratello a prendere Ross. Sua moglie era malata e, per evitare di trasmettere l’influenza al piccolo, le avevano chiesto il favore di occuparsene per un paio di giorni, il minimo necessario affinchè la sua salute migliorasse. «Oh, quasi dimenticavo. Lui è Ross, mio nipote. Ross, zio Magnus.» Li presentò formalmente, in tono scherzoso. «Resterà da noi per un paio di giorni, Anne ha l’influenza e mio fratello sta iniziando ad accusare i primi sintomi. Stamattina l’ho visto piuttosto pallido.» Rifilò l’ennesima cucchiaiata di cibo al bambino, costringendolo a mangiare porzioni scarse per non rischiare di affogarsi. Nonostante la poca esperienza, aveva un certo talento nell’avere a che fare con i bambini, forse per inclinazione caratteriale. I bambini le piacevano e, qualche anno addietro, avrebbe dato ogni cosa per diventare madre. «Non è adorabile Chiese, raschiando il fondo del vasetto dell’omogenizzato con il cucchiaino. Ross deglutì anche l’ultima cucchiaiata, sazio e soddisfatto. «A proposito di cose adorabili…» Si sporse leggermente verso Magnus, apparentemente alla ricerca di un bacio. Le ginocchia si scontrarono con quelle dell’uomo, qualche istante prima che Isolde si scostasse in direzione del suo orecchio. «Quei pantaloni sono orribili e ti sarei davvero davvero grata se indossassi qualcosa di più… elegante, il prima possibile.» Dopotutto, il Perception era un luogo formale e lussuoso, non lo spogliatoio di una palestra. «Puoi reggerlo un secondo, vado a prendere l’acqua.» Senza aspettare la risposta, fece scivolare Ross tra le braccia di Magnus. «Ecco. Dondolalo un po’, così… deve fare il ruttino.» Il bambino sbadigliò, già assonnato. Probabilmente di lì a poco sarebbe crollato, intontito dalla digestione. Isie si alzò con un movimento fluido e recuperò il biberon pieno d’acqua, abbandonato sulla scrivania. Si concesse qualche istante per osservare la scena, le labbra stirate in un sorriso intenerito mentre Ross cercava di afferrare i capelli di Magnus con la mano sinistra. Non aveva mai visto Magnus con in braccio un bambino. Sembrava stranamente a disagio, agitato, forse persino imbarazzato. Era qualcosa di insolito e… dolce. «Hai talento con i bambini.» Lo stuzzicò, palesemente ironica. Le era dispiaciuto uscire prima che Magnus si svegliasse e, ancora di più, le era mancato fare colazione insieme. Poco importava che l'uomo si limitasse a poche parole pronunciate con aria funerea, prima di aver bevuto il caffè. Una volta tanto le cose tra loro sembravano andare bene. Era tutto più... semplice. Trascorrevano del tempo assieme al di fuori del Perception, Magnus restava a dormire da lei la maggior parte delle volte, a prescindere dal sesso, a tal punto che persino Yves e Laurent, i due gatti di Isolde, sembravano essersi abituati alla sua presenza. «Sembra quasi che sia tuo Ridacchiò, divertita, sedendosi al suo fianco. «Vuoi dargli tu da bere?» Chiese, porgendogli il biberon. Non voleva certo interrompere il momento.
     
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    Lo sguardo di Isie lo trafisse come una lancia solo dopo aver accuratamente lasciato spennellare le iridi più scure su tutta la sua intera figura. Con la cannuccia ferma tra le labbra chiuse, Magnus non potè evitare di permettere a queste di sollevarsi appena con gli angoli, ormai bonariamente rivolti all’insù. L’aveva vista soffermarsi qualche secondo in più all’altezza delle ginocchia, avvolte nei pantaloni della tuta scuri che aveva indossato quella mattina per stare comodo, come suo solito. Non l’aveva fatto per farle un torto, ma sapeva che a quell’ora il Perception era animato dai respiri del solo personale, prima della riapertura si sarebbe andato a cambiare, glielo promise con una sgranata d’occhi un po’ annoiata, quasi a dirle di non commentare, lo sapeva, aveva imparato e conosceva ciò che a lei piaceva o meno. L figura di Isolde con un bambino fra le braccia era qualcosa che Magnus riusciva a togliersi dalla testa sempre con fatica. Lo poneva in una situazione sempre troppo scomoda, lo faceva sentire stranamente sbagliato per lei. Un pensiero ricorrente, dopotutto sapeva perfettamente quanto Isie desiderasse una famiglia, ma lui non era il tipo, non si era mai immaginato come padre e anche di fronte a quella vista così graziosa sembrava non poter accettare un futuro di quel tipo fra di loro. Forse, stando assieme alla donna che amava, non avrebbe fatto altro che renderla un po’ infelice? «La pittura è a base d’acqua. Non dovrebbe puzzare così tanto.» sentì la sua voce e spostò lo sguardo sui due tizi alle spalle di Isie, i quali sembrarono restare piuttosto indifferenti al commento della donna. Increspò le sopracciglia, Magnus, fulminando i due con il solo sguardo e tirando su le spalle rizzò anche il capo per osservarli meglio. Non gli piacevano, sin dal momento in cui aveva messo piede lì dentro solo pochi momenti prima, avrebbe voluto averli fuori di li. Quasi istintivamente, forse preda di un istinto protettivo nei confronti di Isie, Magnus la superò di qualche passo per avvicinarsi ai due, la coca cola ancora stretta in una delle mani. Sollevò il mento indicandoli tramite un gesto repentino del viso mentre si fermava alle loro spalle. «Non avete sentito? Mi pare che la signora Lennox ce l’avesse con voi due, o sbaglio?» chiese, accovacciandosi in mezzo ai due e lisciando lo sguardo dal viso di uno a quello dell’altro. «Stasera riapriamo, e ve lo posso assicurare, se questo tanfo del cazzo non è sparito butto a terra l’intera parete con le mie gracili mani e domani me la ricostruite da zero, gratis sentenziò, afferrando nuovamente la cannuccia con i denti e tirando via un altro sorso di coca cola. Il silenzio che calò fra i tre sembrò turbare un po’ gli animi e, solo quando uno dei due si sollevò per afferrare il secchio di pittura e portarlo via, Magnus sorrise amichevolmente all’altro lasciandogli una pacca sulla spalla. «Ottima decisione, si rifornisse del giusto materiale.» disse annuendo, voltandosi e tornando da Isie, intenta a cullare l’indomabile bambino affamato. Le propose amabilmente di sfamare il piccolo con un bel sandwich del Mc Donald’s, cosa che Isie evidentemente sembrò non approvare. «Sei matto? Quella roba è velenosa. È provato che provoca un sacco di malattie.» affermò Isie con la sua dolce espressione disgustata sul viso. Magnus serrò brevemente le labbra lasciando che gli angoli si rivolgessero verso il basso, prima di fare spallucce. «Allora io dovrei essere già sotto terra.» spiegò. Avrebbe dovuto pensare anche a lei, ma l’idea del fast food lo aveva distratto e non poco. «Non mi hai preso qualcos’altro? Un’insalata? Del sushi? Un sandwich?» chiese nuovamente lei mentre tentava di calmare il pianto di Ross, sempre più opprimente. Ecco perché odiava i bambini, come faceva a farne di suoi?! Non era assolutamente un’opzione valutabile. «Dai, uno di quei panini non ti ammezzerà mica, rilassati.» disse, sospirando appena mentre ci riprovava e, dopo aver afferrato uno dei tanti ancora incartati, glielo allungava. «Lascia perdere. Mangerò stasera.» sentenziò lei, infastidita. Magnus lasciò nuovamente andare il panino nel cartone, allargando le braccia e rivolgendole uno sguardo contrariato. «Andrò a prenderti qualcosa fra poco, ok? Sushi?» chiese allora, cercando di venirle incontro. Sapeva avesse molto da fare e l’idea di lasciarla senza pranzo non gli piaceva. Era strano pensare a lei, preoccuparsi che stesse bene. Non gli era mai capitato con nessuno e avrebbe dovuto iniziare a fare compromessi con se stesso affinché fra di loro funzionasse. «Ti spiace prenderlo? Non credo di riuscire a portare tutto senza farlo cadere e ho bisogno di te per… per un paio di questioni da sistemare.» gli chiese lei allora quando la strega Franny posò sul bancone del bar l’omogenizzato riscaldato per Ross. Annuì, scoccando un’occhiata ad Isie e, cercando di nascondere un sorriso, la seguì lungo i corridoi che portavano al suo ufficio. Si chiuse la porta alle spalle una volta dentro e raggiunse i divenenti sul quale lei si era sistemata con il piccolo. Lasciò il vassoio sul tavolino ed incrociò le braccia poggiandosi di profilo alla parete, di fianco a lei. «Grazie. Credo che stia davvero morendo di fame.» disse lei riferendosi al bambino. Aveva dei capelli biondissimi ed era così minuto che non avrebbe potuto avere più di un anno. La guardò giocare con lui, appena prima di nutrirlo con attenzione. Ci sapeva fare, era una scenetta che Magnus non avrebbe dimenticato facilmente. Si era sempre chiesto come mai non avesse avuto dei figli con Gregory, dopotutto Roger si era aspettato nipoti d allevare come bestie e il matrimonio fra suo figlio e Isolde era stata la ciliegina sulla torta. Ma no, alla fine niente nipoti per Lennox Senior. Quando Isie lo invitò a sedersi, Magnus si staccò lentamente dalla parete per affondare nel divano e lasciare che le spalle si adagiassero ai tessuti dei cuscini dietro di lui. «Come è andata la mattinata? Sei riuscito a dormire un po’?» gli domandò la donna, continuando a stringere il piccolo fra le mani. Arricciò le labbra, Magnus, annuendo appena nella sua direzione. «Hm. Mi sono svegliato appena te ne sei andata.» rispose solamente. Era strano dover compartire così spesso il letto con qualcuno, lasciare che il respiro si adegui a quello della persona che si ha accanto durante il sonno. Starle appiccicato su quel materasso era divenuta la parte preferita delle sue giornate, non richiedeva alcuno sforzo e cominciava a diventare una routine dalla quale non avrebbe voluto sgusciare mai più via. Quando lei si alzava, si muoveva durante la notte, Magnus tornava istintivamente in uno stranissimo stato di dormiveglia, sbirciava da sotto le palpebre cosa gli avvenisse intorno e poi, constata la presenza di lei al suo fianco, ricascava fra le mani di Morfeo. Era diventato automatico, un momento di panico seguito da uno di sollievo. Erano quelli, i suoi momenti con Isolde, e indescrivibilmente non avrebbe mai potuto paragonarli ad altri. «Oh, quasi dimenticavo. Lui è Ross, mio nipote. Ross, zio Magnus. Resterà da noi per un paio di giorni, Anne ha l’influenza e mio fratello sta iniziando ad accusare i primi sintomi. Stamattina l’ho visto piuttosto pallido.» Spiegò allora Isie con il suo solito sorriso dolce sul viso. Magnus lasciò andare il cartone della coca cola sul tavolo, di fianco al vassoio, tornando a fissare Isie per qualche istante senza riuscire a dire molto. Sospirò. «Scherzi? Piange così ogni volta che ha fame? E quanto spesso gli viene?» chiese Magnus, curioso. Nella sua testa si era prospettata una cadaverica nottata seguita da un’altra dello stesso identico colorito. «Non è adorabile?» domandò allora lei, compiaciuta. Magnus si ritrovò solamente ad annuire, combattuto da sentimenti di piacere nei confronti delle dolci attenzioni di Isie verso il piccolo e da un fastidio e inadeguatezza che invece sembravano tirare lui sul fondo. Quando si avvicinò a lui, Magnus sorrise appena, le iridi andarono ad aggrapparsi alle labbra di Isolde, che furtiva invece cambiò rotta verso il suo orecchio. «Quei pantaloni sono orribili e ti sarei davvero davvero grata se indossassi qualcosa di più… elegante, il prima possibile.» disse allora, e Magnus sollevò gli occhi al cielo scuotendo il capo, prima di sollevare una mano e lasciare che le dita si premessero leggere sulle guance del suo viso, il palmo sotto al mento spinse nella propria direzione per avvicinarla appena di più. Premette le proprie labbra su quelle di lei con cautela, lievemente, quasi credessi di poterla rompere da un momento all’altro. «Sta’ zitta.» rispose quindi lui, riferendosi al commento sui pantaloni. Quando si staccò da lui per sollevarsi, Magnus non ebbe neanche il tempo di risponderle, poiché si ritrovò le manine di Ross che andavano ad afferrargli violentemente i boccoli dei capelli. «Ecco. Dondolalo un po’, così… deve fare il ruttino.» spiegò Isie, allontanandosi per afferrare l’acqua e fermandosi qualche istante ad osservarli. Ecco, lo sapeva. Magnus seppe perfettamente a cosa la donna stava pensando in quel momento, ma non sarebbe stato possibile, neanche una sola volta, neanche in un sogno. Non poteva, lui. Non era fatto per quello, avrebbe sbagliato ogni singola cosa in partenza e poi, dopo tutto, si amava il suo lavoro, ma se avesse potuto scegliere qualche anno prima, avrebbe percorso quella strada? Era tutto un grande se e un grande ma, e Isolde era certamente l’unica cosa per ci valesse la pena continuare anche solo a respirare. Ma una famiglia… Magnus non ne sarebbe stato capace. «Hai talento con i bambini.» - distolse lo sguardo da lei per puntarlo negli occhioni chiari di Ross, che lo guardò spalancando le labbra per gorgogliare qualcosa nella sua direzione. «No, per niente.» rispose solamente Magnus, scuotendo il capo e serrando le labbra, sigillandole ermeticamente. «Sembra quasi che sia tuo. Vuoi dargli tu da bere?» gli domandò lei sedendosi nuovamente accanto a lui. Magnus, effettivamente, non stava facendo proprio niente. Aveva le mani sotto le braccia di Ross e cercava solamente di non perdersi nei movimenti rapidi che questo compiva, spingendosi a volte troppo con la schiena verso l’esterno, cosa che faceva perdere a Magnus ogni volta almeno tre battiti cardiaci. «No, mi farebbe anche piacere se lo riprendessi, ho paura che a sollevarlo mi scivoli dalle mani, guarda che razza di movimenti assurdi fa!» esclamò allora, arricciando le labbra e voltandosi a guardare Isie. Sospirò appena, tirando leggermente il piccolo verso di se e tentando di girarlo nella direzione di Isie, le intimò con lo sguardo di dargli da bere. Con le spalle di Ross premuto contro il suo petto, Magnus sembrò appena più sollevato, lo sguardo più leggero ora che non aveva gli occhi posati in quelli innocenti del neonato. «La mia… la nostra vita, non è fatta per questo tipo di innocenza, Isie.» sussurrò solamente mentre posava lo sguardo in quello di lei, tristemente serio mentre pronunciava quelle parole e stirava le dita con il palmo della mano all’insù mentre Ross andava ad afferrargli il mignolo con una pressione leggera che andava a riscaldargli la pelle ruvida della mano. «Ci sono cose da cui è meglio stare lontano, quando si è così piccoli. Basta posare gli occhi su qualcosa di troppo complicato e sei fottuto per il resto dell’esistenza.» aggiunse sottovoce. Forse parlava in maniera generica, forse si riferiva a quello che lui e lei avevano visto e continuavano a vedere. Se Magnus avesse mai avuto un figlio, non avrebbe voluto vederlo crescere nello stesso modo in cui era capitato a lui, rimasto segnato da immagini che si erano radicate nella sua testa forse troppo presto e lo avevano fatto divenire quello che era, fantasmi di esperienze che gli avevano sporcato le mani permanentemente. Neanche il sapone lavava via il sangue, era rappreso lì e nessun altro lo poteva vedere, tranne lui. Macchie rosse che si dilatavano sempre di più e arrivavano a sporcargli i capelli. Un bambino non avrebbe dovuto posarci gli occhi o aggrapparsi ad essi per tirarli con le sue mani pulite, mai.

    Non ho riletto, devo correre a pranzo che se no muoRo. :rosa:


    Edited by ƒiordaliso - 19/4/2020, 21:53
     
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