How rare and beautiful it truly is that we exist

Meg&Fae | Mezzogiorno

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    Il campanello tintinnò al loro ingresso mentre spingeva la porta con la mano e lasciava entrare Lilian, ancora agganciata alle dita della mancina di Fae. Il cappellino rosa con il pon-pon si mosse leggermente quando la piccola sollevò il capo in direzione delle pareti ricolme fino al soffitto di fiori colorati. Glielo lesse negli occhi sognanti, quello era il suo mondo tanto quanto Meggy e Fae sentivano di appartenergli. Non era certamente una coincidenza che avessero tutte e tre il nome di un fiore. «Lili, tesoro, quali ti piacciono di più?» si rivolse allora la ragazza arcobaleno a sua nipote. Si chinò verso di lei, le mani adesso libere andavano a posarsi sulle spalle sottili di Lilian, in piedi davanti a lei. La donna dietro il bancone rivolse loro un sorriso non appena il cliente che aveva precedentemente servito si fu voltato per andarsene, superando quindi le sagome di Fae e Lilian. «Signorina Olsen, è un piacere rivederla. Che prende stavolta?» la voce di Octavia sembrava restare intatta nel tempo, un timbro giovane intrappolato nel corpo di una donna ormai anziana. Conosceva Fae e Meggy da ormai tanto tempo, sin da quando, ancora bambine, erano costrette ad andare controvoglia al cimitero per portare dei fiori freschi a Vels. Ricordava ancora Fae tutte quelle litigate con la zia Rory, e ad ogni immagine che appariva davanti agli occhi chiari della ragazza ecco che una fitta di dolore si sprigionava dal suo stomaco, fin su ai polmoni e alla gola. Non se lo sarebbe mai perdonato, quel comportamento. Eppure, per diversi anni, aveva voluto girare alla larga da quella lapide, una ferita troppo fresca e sanguinante, ci aveva messo molto tempo a rimarginarsi, e neanche lo aveva fatto del tutto. Però aveva imparato a conviverci, a credere che, dopotutto, dovesse sempre restare almeno un po’ aperta così da farvi entrare un po’ di luce. «Quelli bianchi, sono belli.» la voce di Lilian anticipò qualsiasi risposta da parte di Fae, la quale chinò il capo per osservare il viso di Lilian, sorridendole dolcemente mentre lei sollevava la manina ed indicava un vaso colmo di fiori dai petali bianchi. Schiuse le labbra, Fae, i muscoli persero la loro elasticità per qualche secondo. «Le Anemone, davvero?» chiese, un po’ stupita. Erano fiori molto comuni, crescevano un po’ ovunque e senza una precisa indicazione temporale. Allo stesso tempo però, oltre che ad essere così comuni, erano anche i fiori che Chyntia lasciava crescere nel giardino della vecchia casa in cui avevano abitato prima che ogni cosa mutasse. Se ne prendeva cura come se potessero essere loro a donarle la vita. Ricordava quanto fosse normale per lei osservarla attraverso il vetro della finestra che dava sul giardino, il mento sorretto dal dorso delle mani che si intrecciavano posandosi sul davanzale, lo sguardo perso la fuori, contornava la figura di sua madre cercando di capire cosa vi fosse di così importante nel profumo dei petali di un fiore. Immagini che sarebbero restate per sempre nella sua mente, tanto da condizionarne l’esistenza in maniera neanche del tutto superficiale, ma anzi, al contrario aveva donato colore al suo essere. Tutti quei fiori che Chyntia aveva coltivato in giardino avevano avuto colori diversi e accesi, avevano catturato l’attenzione di Fae sin dal primo momento in cui aveva avuto modo di posarvi gli occhi. Era stato con quelle tonalità che, dopo un po’ di anni, aveva cercato di animare le ciocche dei suoi capelli un tempo bionde. Lilian questo però non avrebbe potuto saperlo. «Hm, ottima scelta, piccola.» si congratulò Octavia, chinando brevemente il capo da un lato e riservando un amichevole sorriso alla bambina. Dopodiché fece il giro del bancone per raggiungere lo scaffale che le era stato appena indicato, ed innalzandosi appena sulle punte afferrò il vaso per tirarlo giù e posarlo su uno sgabello. «Mia nipote ha dei gusti semplici ma interessanti.» si espresse Fae rifilando una pacca dolce sulle spalle di sua nipote. Octavia estrasse nove steli dal vaso posandoli poi su una carta lucida e, legandoli insieme con una molla all’estremità, li avvolse con cautela all’interno di essa. Sollevò il mazzo e lo porse a Lilian, che timidamente si avvicinò ad afferrarlo mentre Fae lasciava una banconota sul bancone, di fianco la cassa. «Tenga il resto, Octavia. Ci vediamo presto.» si congedò la ragazza arcobaleno prima di stringersi nella giacca e prendere nuovamente Lili per mano. «Alla prossima, signorine Olsen.» ricambiò la donna, le iridi color nocciola che seguiva le sagome infagottate di Fae e Lilian che si perdevano nel bianco della neve all’esterno, aveva coperto ogni superficie, donava una sensazione di calma surreale alle strade della città, sembrava quasi di essere a Narnia. Lasciavano impronte nella neve, avevano la stesa forma eppure c’erano anni a separarle. Gli occhi di una avevano visto la carne che diventava pietra, l’altra, ancora troppo piccola per sapere cosa si provasse, avrebbe dovuto accontentarsi di sentirsi parte di qualcosa che, ormai da troppo tempo già, sembrava essersi dileguato nel tempo.
    Camminarono per qualche minuto, raggiungendo il cancello in ferro di quello che aveva le sembianze di un parco, dall’esterno. Lì, una sagoma dal viso familiare le attendeva. «Guarda chi c’è, Lili!» esclamò Fae quando gli occhi azzurri intercettarono una figura che spaccava il bianco dello sfondo, i capelli biondi coperti da un cappellino di lana come il suo, sembrava quasi di guardarsi allo specchio. Meggy le salutava agitando la mano. Si piegò ad accogliere Lili in un abbraccio, corse nella sua direzione come se non si vedessero da diversi giorni e non da sole due ore. Fae l’aveva passata a prendere quella mattina e l’aveva portata a fare colazione mentre Meggy aveva dovuto prender parte ad un appuntamento di lavoro. L’aiutava come poteva, Fae sapeva che molto spesso, la mattina, doveva riservare del tempo per Lili e non le pesava mai farlo. Dopotutto, con gli orari di lavoro così differenti, le sorelle Olsen riuscivano in qualche modo ad esser sempre presenti per la piccola Lilian, nel caso in cui lei avesse avuto bisogno. Era raro che Fae lavorasse di mattina, così come era raro, al contrario, che fosse Meggy a dover lavorare dopo il tramonto. Avevano un equilibrio strano, eppure riusciva a far girare il loro mondo nel modo giusto. «E io? Lo ricevo un abbraccio?» chiese Fae, il tono fintamente imbronciato mentre si avvicinava e raggiungeva le due. Allargò le braccia e attese che Meggy si risollevasse per concedergliene uno, la sciarpa colorata che le tagliava il mento stonava con la giacca grigia che indossava quella mattina per ripararsi dal freddo. Si lasciò stringere in un abbraccio caloroso, un po’ di quella forza che serviva ad entrambe per metter piede lì dentro, come spesso si ritrovavano a fare da così tanti anni ormai. «Come stai, Meg?» chiese allora Fae, una volta che le due ebbero sciolto l’abbraccio. «Alla nostra Lili piacciono le Anemone… come alla mamma.» constatò Fae, il tono della voce si trasformò quasi in un sussurro, un sorriso sincero e un po’ malinconico si aprì sul suo viso mentre con una mano andava a carezzare il capo di Lilian coperto dal cappellino rosa che zia Rory aveva cucito per lei.
    Si avviarono oltrepassando il cancello, un brivido di freddo e tensione si insinuò sotto la t-shirt, una sensazione che non riusciva a scacciare mai quando metteva piede lì dentro. In pochi passi furono lì, il cuore fece un tuffo, eppure non fu altro che tristemente normale. La neve cadeva lenta e leggera, sembrava quasi non esserci, si posava leggiadra sulle ciocche di capelli che sfuggivano alla sciarpa e scompariva nell’arco di due secondi lasciando dietro di se una piccolissima traccia di bagnato. Quando giunsero dinanzi alla lastra di marmo, lo sguardo di Fae si addolcì appena, istintivamente. Fu come lasciarsi tutto alle spalle, ovattarsi per qualche istante e perdersi con le iridi sull’incisione che urlava dalla pietra nella loro direzione: ”In memoria di Vels Olsen”. Fae fu nuovamente a casa per un momento. La figura sottile di Lili s’interpose fra di loro per qualche secondo mentre si chinava e lasciava cadere con delicatezza il mazzo di fiori sul terreno nel quale si ergeva la pietra, sembrò mimetizzarsi con la neve che giaceva su di esso, eppure quell’amalgamarsi di colori fu giusto. Si chinò lentamente flettendo le ginocchia e sollevò una mano in direzione delle proprie labbra. Lasciò un piccolissimo bacio sui polpastrelli nudi e freddi, allontanandoli nuovamente e dirigendo le dita verso il suolo, laddove lasciò che affondassero nei pochi centimetri di neve che copriva la terra. «Ciao, papà.» sussurrò solamente, un sorriso si aprì istintivamente sulle labbra mentre gli occhi, imperterriti, andavano a fermarsi sulle quattro lettere incise che riportavano il suo nome. Nella piccola foto scelta da Lorelai e posta sopra di esse, Vels sorrideva beatamente. Sembrava quasi di averlo di nuovo lì, il respiro caldo sul viso di entrambe quando la sera andava a rimboccare loro le coperte. Era strano non poter sentire la sua voce, eppure restava un ricordo indelebile nell’anima di entrambe, di questo ne era sicura.
    Se avesse potuto vedere quanti passi avanti avevano compiuto e quanto difficile era stato, sarebbe stato sicuramente, immensamente e completamente fiero di loro.

    Io te lo dico, sta role non la reggo. :luv:
     
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    Nonostante fossero passati ormai diversi anni ormai da quell’incidente, Meggie non aveva mai dimenticato un solo istante di quel tragico giorno. Erano solo delle bambine, lei e Fae, sapeva che suo padre non avrebbe mai recriminato loro il fatto di essere sopravvissute anche se lui non ce l’aveva fatta, eppure il senso di colpa non l’aveva mai abbandonata, neanche un giorno, neanche per un momento. Si era detta che, se fosse stata più forte, se fosse stata più abile nel controllare la sua particolarità, allora magari avrebbe potuto portarli entrambi in salvo, con lei. Quante cose sarebbero cambiate, nelle loro vite, se lui fosse stato ancora lì con loro. Neanche la loro madre se ne sarebbe andata se Vels fosse stato ancora con loro, a supportarle. Percepiva la sua assenza in ogni cosa bella. Perché lui era sempre stato gioia, serenità, aveva cercato di insegnare loro a sorridere, a essere felici, mentre la sua assenza aveva rimescolato le carte, portando via con sé tutto quanto. Avevano cercato di risistemare tutto, loro e la mamma, ma alla fine lei aveva capito che non era in grado di reggere quella situazione, di non poter sopportare il dolore di tutte e tre solo sulle sue spalle e aveva preferito la via più facile. Forse non aveva pensato di lasciarle una volta per tutte, forse aveva pensato di prendersi semplicemente una pausa che la aiutasse a rimettere insieme i pezzi, ma quella tregua non era mai terminata. Ancora non riusciva a perdonarla di averle abbandonate, di aver scelto per il suo egoismo piuttosto che per il loro bene. Aveva temuto che anche lei sarebbe stata una pessima madre, che non sarebbe riuscita a mettere Lily al primo posto, a preoccuparsi di lei prima di qualunque altra cosa, esattamente come aveva fatto Chyntia a suo tempo, mentre si era resa presto conto di quanto fosse stato facile per quella piccolina diventare il centro del suo universo, l’unico punto fisso che non l’avrebbe lasciata mai. Aveva sconvolto le loro vite, la sua, quella di sua sorella, quella della zia Rory. Quando aveva deciso di andare sino in fondo sapeva che tutto sarebbe cambiato, ma non si era aspettata di trovare tanto appoggio da parte delle donne della sua vita, che non l’avevano lasciata sola neanche per un momento e che l’avevano immediatamente sostenuta, senza mai giudicarla, senza tentare neanche per un momento di farle cambiare idea. Non avrebbe mai potuto immaginare la sua esistenza senza di loro, senza tutti i momenti di gioia che avevano condiviso, ma anche senza i litigi, furiosi e indomabili che lei e Fae avevano avuto. Erano diverse, eppure entrambe sapevano che sarebbero sempre state insieme. Ed era insieme che, il più delle volte, decidevano di andare a fare visita al primo uomo della loro vita.
    Era difficile per lei restare a fissare la sua lapide e fingere di stare bene, di non incolparsi di ogni cosa fosse accaduta alla loro famiglia da quel momento in avanti, ma allo stesso tempo sentiva la necessità di farlo, di sapere di poter ancora parlare con lui, anche se Vels non poteva più risponderle. Sarebbe stato fiero di loro se le avesse viste, ora che erano cresciute? Era certa che si sarebbe immediatamente innamorato della piccola Lily, che le avrebbe raccontato le sue bellissime storie della buona notte, esattamente come aveva fatto con loro. Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a immaginare la sua voce, a percepire la stessa gioia che l’aveva animata da piccola. Nonostante tutto pensare a lui riusciva sempre a far spuntare un leggero sorriso sul volto. Persino in quel momento, a tanti anni di distanza dalla sua forzata scomparsa, lui riusciva ancora a portare gioia. Perché erano pochissimi i ricordi infelici che aveva di lui, anzi, poteva dire che fosse uno solo, il più terribile e devastante di tutto, l’unico che avrebbe tanto voluto poter strappare via con la forza. Era stato difficile parlare a sua figlia del nonno senza che lei scavasse nella ferita aperta che Christopher aveva lasciato in lei e che, nonostante ormai non fosse che un ricordo lontano, a volte riusciva ancora a rattristarla. Anche sua figlia avrebbe meritato un padre, uno dolce e allegro come il loro, invece non aveva mai potuto conoscerlo. Il ragazzo era fuggito appena aveva saputo la notizia, senza più voltarsi indietro e Maggie si era inventata una storia per evitare che sua Lily potesse pensare male di lui oppure sperare in un suo ritorno. Sapeva quanto poteva ferire l’attesa di qualcuno che non aveva intenzione di tornare, lo aveva provato sulla sua pelle per anni e almeno questo glielo avrebbe volentieri risparmiato.
    L’appuntamento di quella mattina per fortuna era stato breve ed era riuscita a liberarsi in tempo per raggiungere le altre alle porte del cimitero, dove le aveva attese giusto per qualche minuto. Non avrebbe dovuto lavorare quel giorno ma un nuovo cliente dell’ultimo minuto l’aveva costretta a ritagliarsi delle ore per sbrigare quella questione. Lavorare per un importante studio legale era sia positivo, perché le permetteva di assicurarsi un discreto stipendio, che negativo, poiché richiedeva molto impegno e tutti si aspettavano sempre molto da lei per evitare di infangare il nome dello studio con un elevato numero di case perse. Sorrise, nel veder apparire in lontananza quelle due figure tanto familiari, che camminavano mano nella mano tenendo un mazzo di fuori. Sollevò in aria una mano, salutandole, mentre con l’atra si stringeva nel suo cappotto color cipria. La piccola corse nella sua direzione e lei la strinse in un forte abbraccio. -Mamma sei arrivata! Io e la zia Fae abbiamo preso dei fiori bellissimi! - trillò mentre, in preda all’euforia, saltellava appena sul posto, impaziente di entrare. Era bello vedere tutta quella gioia nei suoi occhi. Per lei era una cosa bella andare a trovare il nonno, visto che quello era l’unico modo in cui poteva conoscerlo, mentre per le sue sorelle la cosa non risultava altrettanto semplice. La sua espressione si addolcì ulteriormente quando Fae, poco dopo, chiese un abbraccio a sua volta. Percorse velocemente la distanza che le separava e poi, nascondendo il broncio improvvisato dell’altra, la strinse forse a sé, come forse non facevano da un po’ di tempo. Era abbastanza raro che le due Olsen si lasciassero andarono a simili gesti di affetto, così apertamente manifestati, anche se dai loro sguardi complici era evidente quanto si volessero bene. -Sto bene. - mentì, cercando di mascherare un velo di malinconia con un sorriso appena abbozzato. Non stava mai davvero bene quando si avvicinava a quel luogo, era come se i ricordi di quella notte si facessero improvvisamente più nitidi, andando a graffiare sotto la superficie, cercando di riaprire quella ferita che a malapena si era rimarginata. -E tu? - domandò, osservandola con una certa attenzione, alla ricerca di qualunque segnale che potesse farle comprendere se c’era qualcosa che non andava nella vita di sua sorella, qualcosa di cui non voleva parlare. Non erano mai state troppo brave nell’esprimersi, l’una con l’altra, ma erano sempre state brave ad ascoltare.
    Sentire nominare quelli che erano stati i fiori preferiti della loro madre contribuì ulteriormente a scavare nelle sue ferite. Sebbene ne avessero parlato spesso, in certe occasioni quel pensiero feriva più in profondità, soprattutto se messo di fianco a quello di loro padre. Anche sul volto di Fae e nel tono della sua voce si notò un cambiamento, che Maggie finse di non vedere, rivolgendo una leggera carezza contro il cappellino rosa che aveva indosso sua figlia. -Ah si? Sono molto belli, piacciono anche a me. - disse, per poi prendere la sua mano e avviarsi insieme a loro verso l’interno del cimitero, superando il cancello. Calò il silenzio per qualche minuto, mentre i loro passi sprofondavano nella neve candida, lasciando le loro impronte lungo il loro cammino. Serrò appena le labbra, sentendo gli occhi pizzicare ancora, come ogni volta, quando raggiunsero la lapide in cui era inciso il nome del loro padre. Lasciò andare la mano della bambina, così che lei affrettasse il passo per andare a lasciare i fiori sul terreno davanti ad essa, con un sorriso tranquillo. Poi fu il turno di Fae che, flettendo le ginocchia, si piegò verso di essa, per poi lasciarvi andare un bacio accompagnato dalla mano. Vederlo sorridere in quella foto faceva sempre male come la prima volta. Margareth sollevò velocemente una mano ad asciugare una prima lacrima che era sfuggita ai suoi occhi, cercando di non farsi vedere. -Mamma, stai piangendo? - chiese però la piccola, a cui raramente sfuggiva qualcosa e lei cercò di mascherare il tutto con un sorriso leggero. -No tesoro, non preoccuparti. - disse, per evitare di dover affrontare quel discorso, portandosi poi al fianco della sorella e posando appena la mano sulla spalla, rimanendo in silenzio. Stavano bene, erano ancora insieme, era sicuramente questo che lui avrebbe voluto, se fosse stato ancora lì con loro.
    -Ti ricordi quella volta che siamo andati al lago? - chiese, in direzione della sorella, anche se il suo sguardo continuava a rimanere puntato su quella pietra di fronte a loro. cercava di evocare un ricordo felice, un momento allegro, qualcosa che le strappasse via dalla malinconia e permettesse loro di ricordare il padre meraviglioso che era stato. -La mamma aveva fatto quei sandwich che adoravi e siamo rimasti tutto il giorno a fingere di pescare. - continuò, mentre un sorriso divertito andava ad arricciare le sue labbra permettendole di far scivolare via un po’ di brutti pensieri e di rimettere la testa a posto. -Dovremmo tornarci prima o poi. - mormorò ancora, annuendo appena, volgendo solo in quel momento lo sguardo in direzione di Fae, prima di portarlo di nuovo sulla foto di Vels. -Mi manchi papà. Ogni giorno. - sussurrò, senza sapere come fare a trattenere tutte quelle emozioni che sentiva esploderle dentro e che tanto di sforzava di ricacciare indietro.
     
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    Meg e Fae erano state, per tanto tempo, una cosa sola. Quando si erano ritrovate a fronteggiare una nuova realtà, era stato difficile farsi piacere quello che intorno a loro era cambiato così repentinamente. Avevano vissuto come abitanti dentro una di quelle piccole sfere di vetro ricolme di coriandoli bianchi: sotto quella cupoletta trasparente avevano avuto l’ossigeno necessario per così tanto tempo e, di conseguenza, avevano creduto che nessun asteroide avrebbe mai potuto colpirli infrangendosi contro di loro e scombussolandone ogni fibra vitale. I ricordi che Fae aveva delle sue giornate trascorse in casa in compagnia di Meggy, Vels e Chyntia, erano strette dentro una spessa recinzione di fiabesca realtà. La sua mente da bambina non aveva mai visto nulla di spaventoso all’interno di quell’ambiente caldo e accogliente, poiché le mani di uno di loro aveva sempre trovato il modo per tenerla su ed aiutarla con i suoi primissimi passi, e non solo. Ognuno di loro, anche una ancora piccola Meggy, le aveva insegnato qualcosa e ritrovarsi improvvisamente senza qualcuna di quelle guide era stata la parte più traumatica della sua vita. Da un giorno all’altro, tutto era inevitabilmente cambiato. Meggy e Fae si erano riscoperte fragili nella loro forza e forti nella loro fragilità. Senza che potessero averne il controllo, la sfera di vetro era scivolata e, nella frazione di un secondo, si era frantumata in mille introvabili pezzi. Il termine ricostruire le aveva inizialmente spaventate a morte, eppure col tempo era giunto anche il momento di renderlo possibile. Insieme avevano fatto quanto di meglio fosse possibile affinché questo potesse accadere. Si erano aiutate a vicenda, in un modo o nell’altro, per riuscire a superare il trauma di una perdita come la loro, che si era dilungata per anni trascinandosi dietro delle conseguenze che non avevano neanche potuto immaginare di dover affrontare. Eppure, ormai diversi anni dopo, sembravano aver raggiunto quell’equilibrio statico che continuava a mantenere tutto insieme e sullo stesso rigido filo. Erano una famiglia, o quello che ne rimaneva, ma stavano provando a creare un mondo all’interno del quale poter vivere serenamente, nonostante il buio di un torbido passato allungasse sempre la scia delle proprie mani per riacchiapparle. L’arrivo di Lily, qualche anno prima, era stata forse la luce in fondo al tunnel: la piccola Olsen aveva portato ventate d’aria fresca fra le loro mura, permettendo ad entrambe di distogliere finalmente lo sguardo da quel passato per provare a rivolgerlo in direzione del futuro: negli occhi di Lily, questo sembrava tutt’altro che spaventoso; era un miraggio luminoso che non avrebbe mai potuto far loro paura. Erano state le sue manine a far forza a tutte e tre e, tra un calcio e un dolce lamento, Lilian aveva spazzato con tutta la propria forza quella polvere che si era depositata negli angoli delle loro menti. E lì, mentre stringeva ancora gli steli delle Anemone fra le dita sottili, Fae ci vedeva la vita che, nel bene e nel male, si era presentata a loro sotto forma di puro e semplice amore.
    Vide Lily lasciar andare la stretta della sua mano per raggiungere Meggy, in piedi ad attenderle davanti al grande cancello in ferro. Seguì i movimenti di entrambe con lo sguardo, non voleva perdersi niente di quei momenti anche non suoi, erano tutto ciò che aveva. Mamma sei arrivata! Io e la zia Fae abbiamo preso dei fiori bellissimi! si fece voce, Lily, informando Meggy sui loro ultimi acquisti per Vels. Era strano quanto fosse semplice per Lilian recarsi in quel luogo. Le prime volte era stato difficile credere che potesse farle bene, difatti eran sempre state restie nel portarla lì con loro, ma la vivacità della piccola Olsen non si lasciava scalfire dall’ambiente più cupo che ritrovavano oltre quel cancello. Sua nipote riusciva a distinguere le piccole differenze che modellavano il mondo in tante piccole parti. Inoltre, non aveva effettivamente dei ricordi legati al nonno, se non ciò che Fae e Meggy si premuravano di raccontarle. Quando si staccarono dallo stretto abbraccio, Meggy si avvicinò a Fae per avvolgere anche lei nella stretta delle sue braccia calde. La ragazza arcobaleno posò le proprie mani lungo la schiena magra della sorella, posando il mento sulla sua spalla e chiudendo gli occhi per qualche brevissimo istante. Ne inspirò il profumo, era similissimo al suo, sapeva di buono, di certezze, di fiducia. Era strano provare a spiegarlo, neanche Fae ci sarebbe mai riuscita forse, ma fra di loro c’era una sorta di legame che andava ben oltre la sorellanza, ben oltre quella che avrebbe potuto essere anche un’amicizia. Erano pelle, occhi. Erano forse una sola persona separata in due corpi. -Sto bene. E tu?- rispose Meggy, allontanando da lei e puntando il proprio sguardo in quello della sorella. Le sorrise a labbra strette, Fae, chinando appena il capo da un lato. Sapeva perfettamente quanto fosse difficile anche per Meggy metter piede lì dentro, e quella risposta escludeva ovviamente lo stato d’animo attuale. «Bene anche io.» disse solamente, arricciando le labbra. Avrebbe capito anche lei, erano brave a leggersi con il solo sguardo, avevano imparato a farlo sin da quando erano state solo due bambine. -Ah si? Sono molto belli, piacciono anche a me.- affermò quindi Meggy, posando il palmo della sua mano sul capo di Lily, di fianco a loro. Si addentrarono quindi superando il ferro battuto del cancello e lasciandosi assorbire dal silenzio si ritrovarono presto di fronti alla lapide in marmo che conoscevano ormai come le loro tasche. Restarono immobili entrambe per qualche breve istante, mentre Lily si accingeva a posare i fiori sul basso strato di neve che ne circondava il perimetro. Dopodiché fu lei ad accucciarsi di fronte alla pietra per lasciarvi un’impronta d’affetto che avrebbe voluto poter toccare con mano. -Mamma, stai piangendo?- chiese Lily. Fae non si voltò, provando a resistere all’impulso di condividere quella stessa emozione con Meggy. Era difficile restare ferma nel proprio corpo, nella propria compostezza, davanti a ciò che anche dopo tanti anni continuava a fare male. Udì le parole di Meggy e il suo tono tentennante, mentiva alla piccola Lily per non provare anche in lei quel momento di estrema fragilità. Fae ne avvertiva le vibrazioni alle sue spalle, era come un terremoto fatto d’ossigeno e battiti cardiaci che andavo a mischiarsi rendendo l’aria tiepida e lasciando entrambe in bilico su una terra che avrebbe potuto facilmente sprofondare nelle proprie cavità nascoste. Quando Meggy si mosse nella sua direzione per posarle il palmo della mano sulla spalla di Fae, la ragazza arcobaleno chinò appena il capo da un lato, così da andare a scontrarsi dolcemente contro quelle dita fini e familiari. Un sorriso dolce apparve nuovamente sul suo viso a quel contatto, ritrovando in quel gesto un conforto mai più sincero. -Ti ricordi quella volta che siamo andati al lago? sussurrò lei, e Fae non potè evitare di schiudere le labbra e, finalmente, voltarsi con il capo nella sua direzione. Avvolta nel cappottino invernale, Meggy impersonava esattamente tutto ciò che in fae avesse mai fatto forza. Era divenuta ben presto lei la sua guida, ad un’età in cui non si hanno ancora ben chiare molte cose. Meggy si era presa un carico immenso sulle proprie esili spalle e aveva provato ad esserle da esempio, racchiudendo in se tutto quello di cui Fae avrebbe potuto avere bisogno, e per questo forse la ragazza arcobaleno non le era mai stata chiaramente grata. «Sì, certo.» sospirò sorridendo, riabbassando lo sguardo sul marmo grigio e viaggiando con la memoria verso tempi ormai lontani, vecchi miraggi che come sprazzi di luce apparivano e scomparivano senza che loro potessero averne il controllo. -La mamma aveva fatto quei sandwich che adoravi e siamo rimasti tutto il giorno a fingere di pescare.- aggiunse lei, il tono della voce non riuscì a mascherarne neanche il sorriso. «E io che pensavo di essere brava, invece eravate tu e papà a farmi credere di aver beccato qualcosa.» ricordò Fae, ridendo divertita. «Avrei potuto avere un futuro da pescatrice, magari.» aggiunse, volgendo lo sguardo su Meggy, ancora di fianco a lei. Le sorrise, gli occhi inevitabilmente umidi erano difficili da nascondere. «E la mamma con quei sandwich… ne faceva sempre a bizzeffe, io li divoravo anche quando non avevo fame. Quella volta restasti senza, ricordi? E io, da brava sorella quale sono, smezzai l’ultimo con te.» scherzò, rifilandole una gomitata leggera in direzione del fianco. «Mi è costato parecchio, erano panini buonissimi.» puntualizzò, sollevando il mento nella sua direzione. «Quella sì che è stata una dimostrazione d’affetto. Che non si dica mai che tua sorella Fae non ti voglia bene.» scherzò lei, sentendosi appena più leggera ed essendo grata a Meggy per aver risollevato quei ricordi piacevoli. Sapeva sempre cosa dire o fare per sistemare le cose e, sebbene spesso avesse criticato il suo modo d’essere quando era stata più giovane, aveva compreso solo dopo quanto fosse duro per lei tenere tutto insieme e cercare, in prima persona, di non far crollare il loro mondo. -Dovremmo tornarci prima o poi.- disse allora Meggy appena prima di rivolgere lo sguardo alla foto di Vels. Lì dentro, con le guance strette nella cornice che rompeva la continuità del grigio marmoreo di quella pietra, papà Olsen sorrideva dolcemente come loro spesso l’avevano visto fare. Un ricordo ormai lontano, eppure sembrava solo fosse accaduto il giorno prima. -Mi manchi papà. Ogni giorno.- sussurrò Meggy poi, in direzione della foto, una delle pochissime cose ancora tangibili di lui che restavano. Sospirò piano, Fae, mentre si sollevava piano per andare ad avvolgere una delle braccia attorno alle spalle della sorella. Chinò il capo verso di lei, posandolo sulla sua spalla e lasciandosi brevemente andare a quelle emozioni: fortissime, vorticavano dentro di lei come un un uragano alla ricerca di un punto in cui disperdersi. «Secondo te avrebbe desiderato altro per noi? Intendo... ne abbiamo fatti di casini, in tutti questi anni. Pensi che se ci fosse stato lui qui, con la mamma... avremmo fatto tutto diversamente? Avremmo preso altre strade?» domandò Fae, restando con la propria guancia incollata al tessuto morbido del suo cappotto. Sospirò appena, Fae, sentendosi d'improvviso in bilico sui confini del pianeta e del tempo, un milione di possibilità oltre il dirupo sotto i piedi. Forse non avrebbe voluto cambiare niente, rivivere ogni cosa così com'era stata. Forse, il destino le aveva portate nel punto in cui avrebbero dovuto essere, scegliendo un percorso più difficile di quanto si fossero mai aspettate affinché imparassero a tenersi strette, vicine. Avevano perso tanto per accorgersi di quanto avessero: il sangue non mentiva, scorreva lo stesso nelle vene d'entrambe. «Ci sono cose che non vorrei fossero andate diversamente, però... Mi piace pensare che se lui fosse qui sarebbe stupito come noi di conoscere Lily e il suo singolare gusto per i fiori, felice di vederci insieme senza segni di lotta sulla pelle, curioso di poter conoscere chi ci sta a cuore, quelli che ci sono accanto ora.» disse, lasciando che le proprie labbra si aprissero in un grande sorriso. Pensò ad Ivar, al legame che si era creato in quegli ultimi tre anni e a quanto a Vels sarebbe piaciuto. Forse, non avrebbero potuto esserci poi tanti altri se.
     
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    I fiori erano sempre stati un tratto distintivo della loro famiglia, o almeno questo Margareth aveva sempre pensato, sin da bambina, quando suo padre le raccontava tutte quelle storie sulle regine dei fiori, quelle meravigliose fate che popolavano i prati e facevano sì che i fiori potessero continuare a sbocciare felici. Lei e Fae erano questo, ai suoi occhi, due creature delicate e meravigliose, fragili all’apparenza, ma tanto forti da riuscire a crescere anche in mezzo alle intemperie. Perchè ci voleva una forza fuori dal comune per potersi ergere sopra le difficoltà, vestiti soltanto di delicati petali colorati e riuscire a resistere. E questo era ciò che avevano fatto, dovendo far crescere delle spine sul loro corpo per evitare di essere ferite ancora, senza opporre alcuna resistenza. Guardando l’una negli occhi dell’altra potevano scorgere la fragilità, la dolcezza, ma anche quei piccoli aculei affilati nei quali entrambe andavano a chiudersi quando qualcosa sconvolgeva il loro mondo, scuotendolo con forza. Si chiudevano a riccio in un primo momento, nel tentativo di risolvere ogni cosa da sole. Erano sempre state terribilmente indipendenti e ostinate, con un forte desiderio di tenere i propri dolori e problemi per se stesse per evitare che l’altra potesse venirne intaccata, ma alla fine il muro cedeva sempre perché nessuna delle due poteva stare troppo a lungo lontana dalle braccia dell’altra. Era un continuo allontanarsi e ritrovarsi, non perché non si volessero bene ma perché entrambe volevano dimostrare di essere forti, di essere in grado di tenersi in piedi sulle loro stesse gambe, senza bisogno di aiuto. Ma bastava uno sguardo, un’espressione leggermente mutata, per trasmettere un messaggio che valeva più di mille parole. Si capivano nel silenzio, lo avevano sempre fatto, sin da quando allungavano le mani nel cuore della notte per trovarsi, per cercare il loro faro in mezzo alla notte buia, per cercare la sicurezza che l’altra aveva sempre rappresentato. Anche Margareth aveva avuto paura della notte scura da quando Vels era andato via, da quando il buio lo aveva portato lontano da lei, e nel silenzio aveva rivolto il suo sguardo verso Fae alla ricerca dell’unico punto fisso che sarebbe sempre rimasto e che le avrebbe dato la forza di continuare a resistere. Si aggrappava a quelle storie di fate, di fiori che ancora popolavano la sua memoria e cercava di ridare colore a ciò che ormai le sembrava soltanto grigio e oscuro. Si erano fatte forza e vicenda, dando e prendendo allo stesso tempo senza quasi rendersene conto. Perché i fiori non sapevano esprimere a parole il loro dolore, ma a poco poco comunque tendevano a spegnersi se lasciati da soli.
    Non era stato semplice per loro farsi strana nel mondo a testa alta, risollevarsi da tutto quel dolore, dal peso che era calato sulle loro spalle troppo presto, ma guardandosi indietro poteva vedere il lungo percorso che avevano fatto, la strada che a fatica si erano costruire, insieme. Si strinsero in un abbraccio silenzioso che trasmetteva tutte le emozioni che entrambe provavano. Non le serviva avere una particolarità empatica con lei, riusciva a leggere che cosa si nascondeva dietro lo sguardo di sua sorella, così terribilmente simile al suo da spaventarla quasi. Erano come due facce di uno stesso specchio, simili ma diverse, in grado di incastrarsi perfettamente come se non esistesse un posto più giusto per loro che quello. Dicevano di stare bene, mentre si sorridevano in maniera tenue, quasi accennata. Sapevano entrambe che non era così, che non avrebbero mai dimenticato quella terribile notte, che nulla ne avrebbe mai alleviato il peso, ma erano andate avanti, erano cresciute, e questo probabilmente era ciò che più avrebbe reso felice Vels. Aveva sempre voluto solo il meglio per loro, le aveva spinte a sognare, a credere in loro stesse, a credere nel valore dei loro sogni, che nessuno avrebbe mai potuto strappare via. Dovette stringersi appena nel suo cappotto per assorbire il freddo che le sferzò sul viso quando varcarono la soglia del cimitero. Succedeva sempre così, anche nelle giornate più soleggiate, era come se l’invadente silenzio di quel luogo le facesse venire i brividi, facendole gelare il sangue nelle vene. Era cresciuta, erano passati tanti anni, ma quella sensazione non sembrava voler mutare. Quindi indossava un’espressione serena, per quanto possibile, l’ombra di un sorriso, e metteva un passo dietro l’altro, lasciando che fosse la presenza delle persone a lei più care a darle la forza, come se potesse assorbirla dalle loro figure soltanto sapendo che erano lì, con lei e non l’avrebbero mai lasciata sola. Non riuscì a trattenere alcune lacrime quando finalmente giunsero a destinazione e i suoi occhi si posarono sulla lapide in cui era ben visibile il volto sorridente del loro papà. Era così che era sempre rimasto impresso nella sua memoria: con quel sorriso gentile e aperto nei confronti del prossimo. Non era mai stato il principe delle loro fiabe, perché non aveva mai inserito qualcuno a salvare le regine dei fiori. Loro riuscivano sempre a farcela, insieme, non avevano bisogno di figure maschili che le difendessero. Vels aveva sempre svolto la figura del bardo, quello che raccontava la storia limitandosi ad affiancare il protagonista solo per osservarlo e dargli la forza con la sua presenza quasi invisibile. E mentre lo guardava ora non poteva fare a meno di pensare a quanto le mancasse, a quanto sarebbe stato bello averlo ancora lì con lei, sempre pronto ad ascoltare ogni cosa le passasse per la testa senza mai giudicarla.
    La sua mente cercò quindi di aggrapparsi ad un ricordo felice, di riportare in superficie un momento in cui erano stati tutti insieme, prima che l’uragano si infrangesse contro la loro casetta di sogni e certezze e spazzasse tutto via, lasciando solo il dubbio e la paura. Sorrise, mentre Fae la accompagnava in quel viaggio nelle memorie, constatando forse in ritardo che le avevano sempre dato una mano nella pesca. -Puoi sempre ricominciare se vuoi, tanto le basi le sai. - scherzò la più grande, ridacchiando appena, mentre accarezzava piano il volto della più piccola, che si era avvicinato maggiormente alla sua mano. -Oh sì, lo so che ti è costato parecchio, me lo hai ricordato per una settimana intera. - disse, lasciandosi finalmente andare ad una risata cristallina, che le veniva direttamente dal cuore. Ripensare a Chyntia, per anni, le aveva solo fatto del male, mentre ora anche quel pensiero sembrava distante, sostituito da quella felicità che voleva a tutti i costi ritrovare. Perché Vels non meritava la loro tristezza nelle occasioni in cui andavano a trovarlo ed erano lì, vicine a lui nell’unico modo in cui potevano ancora essere. -Mai detto questo. - aggiunse poi, dopo quell’affermazione sull’affetto, depositando un leggero bacio sulla sua chioma colorata. -Lo sapevo che in realtà dicevi “ti voglio bene” anche quando dicevi tutt’altro. - continuò, a un soffio dalla sua testa, facendo fuoriuscire quelle parole dalle sue labbra come un sussurro che sarebbe stato udibile soltanto per lei. Si erano dette tante cose nel corso degli anni, alcuni belle, altre decisamente meno, ma non avrebbe mai cambiato neppure un istante della vita che avevano vissuto insieme perché era anche mediante quei litigi che avevano imparato a conoscersi, a riconoscersi l’una nell’altra e ad affrontare il resto del mondo così fieramente quanto si affrontavano l’un l’altra, come due leonesse nella stessa savana.
    Si allontanò lentamente dal capo di sua sorella per mormorare altre parole che le costarono più di quanto volesse dare a vedere. Sentiva quasi di non meritare quel senso di mancanza, di non averne il diritto, eppure non poteva farne a meno. Attese che anche Fae si rimettesse in piedi, andando ad avvolgere il braccio attorno alle sue spalle per farsi più vicina, trasmettendole tutto il suo calore attraverso la stoffa dei loro vestiti. Inclinò il capo nella sua direzione, mentre la sorella piegava il capo per posarlo sulla sua spalle e sorrise, felice di quel contatto che non era mai stato del tutto scontato tra loro. Lilian con un saltello si avvicinò a loro, portandosi più avanti di qualche passo, per poi stringere entrambe cercando di cingere i loro bacini con le sue braccia minute, senza tuttavia riuscire a coprire tutta la distanza. La domanda di sua sorella arrivò come un fulmine a ciel sereno. Ci aveva pensato anche lei, in alcune occasioni, si era chiesta come sarebbe potuta essere la loro vita se quella notte non fosse mai esistita, ma sapeva di non poter avere una risposta a quella domanda, non una che potesse essere la verità. -Forse. Sicuramente alcune cose sarebbero state diverse. - disse, senza però esprimere a voce alta quelle che sarebbe state le differenze più marcate, come una presenza meno netta della zia Rory all’interno delle loro vite, sostituita dalla presenza molto diversa di Chyntia. -Penso che i casini li avremmo fatti comunque, forse persino di più. - aggiunse, con un sorriso, immaginando quanto si sarebbero sentite più sollevate, decisamente meno responsabili di quanto erano dovute diventare senza volerlo. La lasciò proseguire, rivolgendo un’occhiata veloce alla piccoletta che ancora le stringeva tra le braccia che non avrebbe mai potuto incontrare quell’uomo dal cuore d’oro, che non ne avrebbe conosciuto l’assenza. -Si, ne sono certa. Ne sarebbe stato molto felice. - aggiunse, annuendo appena, ancora a contatto con il volto di lei che sembrò lasciarsi sfuggire più di quanto avrebbe voluto con quelle parole. -Quindi ce l’avete fatta? Sei felice? - domandò, senza fare nomi, ma immaginando di chi stesse parlando con quelle parole velate eppure cariche di emozione. -Ho sempre pensato che fosse soltanto una questione di tempo, che prima o poi lo avreste compreso anche voi. - continuò, mentre il sorriso sulle sue labbra si faceva più allegro e disteso. Sentì la piccoletta tirare un angolo del suo cappotto a quel punto, reclamando le sue attenzioni. -Di che costa stai parlando mamma? - chiese, interessata e confusa al tempo stesso perché non riusciva a capire di chi sua madre stesse parlando, anche se sentiva che doveva trattarsi di un argomento importante, qualcosa che sicuramente non poteva e non voleva perdersi. -Oh non preoccuparti tesoro, lo scoprirai presto. - le rispose Maggie senza voler essere più precisa di così, mentre stringeva i suoi fiori a sé con affetto. -Che ne dici se per pranzo ci prepariamo i panini della mamma e vediamo se riusciamo ad essere brave quanto lei? - chiese, cercando ancora una volta di concentrarsi sulle cose belle, sulle uniche che non voleva che andassero mai via.
     
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    Ripensando a tutto ciò che era accaduto dall’evento più traumatico vissuto da lei e Meggy e che aveva distrutto le loro certezze quando ancora era troppo presto per averne, Fae aveva ripensato a quelle porzioni di vita che avevano avuto modo di superare con l’aiuto l’uno dell’altra o senza. C’erano stati momenti belli e brutti, contentezza e angoscia, nostalgia e forse qualche rimpianto. Eppure erano lì, l’una accanto all’altra con gli occhi puntati sulla foto dell’unica persona che, anche se ormai lontano anni luce da entrambe, era riuscita a rimanere una presenza fondamentale nei loro cuori che aveva vigilato onnipresente sui loro percorsi, le vie ciottolate che avevano calpestato con le suole delle scarpe senza effettivamente sapere dove le avrebbe portate. Il risultato, sebbene non ancora del tutto finale, risplendeva davanti a loro come un sole sapeva illuminare una piccola parte di un universo infinito all’interno del quale si erano ritrovate. Era strano, tutto quel trambusto esploso intorno a loro qualche anno prima aveva distrutto sì, la loro famiglia, eppure al contempo l’aveva anche ristretta, generando qualcosa di infinitamente più rilevante, più vero. Avevano perso pezzi per strada, ma quel nido era riuscito a rimanere saldo comunque, avvicinando loro fino a riprendersi le proprie forze così da restare intatto comunque per tutti quegli anni. Erano rimaste loro e, contro ogni previsione, l’idea della famiglia era stata sostituita da un affetto imprevedibilmente forte e coraggioso. Le aveva aiutate a superare ostacoli che un tempo erano sembrati insormontabili, guidandole e lasciando che si sorreggessero l’una accanto all’altra mentre cercavano di dare un senso a quella vita che era stata donata loro dalle due persone che, seppure lontane in maniere differenti, erano rimaste impresse nei loro ricordi da bambine. Niente avrebbe potuto separarle ancora, nessuna delle due avrebbe permesso che qualcosa del genere accadesse ancora. Insegnamenti silenziosi che avevano guidato le sorelle Olsen e avevano permesso loro di ricostruire pezzo dopo pezzo un’esistenza che sembrava essere svanita nell’attimo in cui Vels aveva respirato per l’ultima volta.
    Fu grata a Meggy, in quel momento, per aver riportato a galla ricordi piacevoli da spolverare, le immagini di attimi distanti anni eppure ancora così vividi per entrambe. -Puoi sempre ricominciare se vuoi, tanto le basi le sai.- scherzò la maggiore riferendosi alle parole di Fae riguardo la pesca. «E chi se le ricorda? Se andassi a pesca ora penso mi arrenderei ben presto.» constatò Fae, ridendo assieme a Meggy. -Oh sì, lo so che ti è costato parecchio, me lo hai ricordato per una settimana intera.- aggiunse la sorella. Fae si voltò nella sua direzione, cullata dal suono della sua risata cristallina. Scosse appena il capo, sollevando gli occhi al cielo e riportandoli quasi immediatamente su di lei, sorridendo divertita. «Ma no, saranno stati al massimo sei giorni, non di più.» puntualizzò Fae, come se un giorno facesse molta differenza e ridendo divertita subito dopo. Certo, lo ricordava eccome, ci era rimasta male. Ricordava l’abilità di Vels e Meggy e di quanti pesci effettivamente avessero abboccato quel giorno gli ami delle loro canne da pesca, pensando che usassero qualche strano incantesimo di cui lei non era neanche a conoscenza. Avrebbe voluto essere brava ed abile come loro, ma evidentemente quell’abilità l’aveva ereditata solamente Meggy. -Mai detto questo. Lo sapevo che in realtà dicevi “ti voglio bene” anche quando dicevi tutt’altro.- commentò quindi la più grande, lasciandosi andare ad una tenera dimostrazione d’affetto nei confronti della minore e posando un bacio sulla chioma di Fae. Sollevò il capo nella sua direzione solo per lasciare che le proprie iridi chiare si incontrassero con quelle di lei mentre sollevava gli angoli delle proprie labbra all’insù, in un sorriso più che sincero e gratificante. Era vero, avevano litigato spesso, urlato l’una contro l’altra parole che forse avrebbero potuto risparmiarsi, ferite verbali che a volte avevano fatto più male di un qualsiasi e piccolo taglio fisico. Però avevano sempre trovato il modo di tornare indietro, chiedere scusa -a volte- e riprendere da dove avevano lasciato. Erano sempre state in quel modo e neanche le parole o gli insegnamenti di zia Rory avevano mai potuto anestetizzare quei piccoli litigi tra sorelle, dopotutto anche quelli le avevano aiutate a crescere e conoscersi, ad accettare l’una i difetti dell’altra ed accettarli. Era stata parte del processo e, a ripensarci, aveva aiutato entrambe e capire quanto effettivamente tenessero a quella piccola porzione di famiglia che era rimasta, quanto importante fosse essere sincere e comprendersi per restare unite.
    Quando si sollevò, il calore dei loro corpi rimase vivo, acceso, mentre restavano l’una accanto all’altra, le braccia che andavano a chiudersi e cingere i corpi per tenerli stretti. Le nuche andarono ad incontrarsi con lentezza mentre si sistemavano in un abbraccio che sembrava sempre essere qualcosa di nuovo e mai di certo, era bello lasciarsi andare qualche volta a dimostrazioni fisiche di quel tipo, i corpi sembravano riconoscersi come i riflessi di uno specchio, due parti visive di una stessa persona, un’anima che si spaccava in due per ricongiungersi in un momento di fragile tenerezza. Quando Lilian poi si avvicinò per abbracciare entrambe e legarsi con le braccia alle loro vite strette, Fae sollevò una mano per posarla contro la spalla più sottile di sua nipote, spingendola appena verso di loro per stringerla in quel piccolo abbraccio che aveva tanta voglia di essere condiviso da tutte e tre. Fu in quel momento che la mente di Fae fu inondata da un mare di se e ma, generando una domanda che spesso affiorava nella sua testa e scomponeva ogni piccolo frammento della loro realtà. -Forse. Sicuramente alcune cose sarebbero state diverse. Penso che i casini li avremmo fatti comunque, forse persino di più.- rispose Meggy, e fae potè riconoscere il movimento delle labbra di sua sorella che si aprivano in un piccolo e timido sorriso, forse un po’ incerto. Forse anche Margareth si poneva spesso quella domanda, forse anche lei, come Fae, aveva vissuto altre cento vite oltre quella che avevano avuto modo di vedere ad occhio nudo per tutti quegli anni. Scelte che avrebbero potuto compiere in maniera del tutto diversa, attimi che avrebbero potuto essere totalmente differenti, come quello. Non sarebbero di certo state lì, davanti ad una lapide, mentre ripercorrevano fiumi di ricordi che avevano fatto tanto bene tempo prima. -Si, ne sono certa. Ne sarebbe stato molto felice.- constatò Meggy dopo aver udito le parole di Fae. -Quindi ce l’avete fatta? Sei felice?- domandò poi la maggiore dopo qualche breve istante di silenzio. -Ho sempre pensato che fosse soltanto una questione di tempo, che prima o poi lo avreste compreso anche voi.- aggiunse poi, e Fae non fu capace di nascondere il sorrisone che si allargò fiero e al contempo timido sulle sue labbra. Annuì piano, sollevando appena la nuca in direzione del volto di Meggy per guardarla brevemente negli occhi. Sapeva perfettamente di chi stesse parlando e ne era contenta, per una volta le cose sembravano andare esattamente nel modo giusto e non vi era alcuno sforzo nel lasciare che tutto accadesse in maniera così naturale fra di loro. Sarebbe stato stupido nascondere a Meggy i sentimenti che Fae provava per Ivar, sebbene inizialmente li aveva rifuggiti, col tempo era diventato sempre più difficile evitare di esternarli e, per un occhio attento e familiare come quello di sua sorella maggiore, non era stato certamente difficile notare quel cambiamento in Fae. «Sì, lo sono. Era così evidente?» rispose la ragazza dai capelli arcobaleno lasciandosi andare ad una risatina divertita. Sospirò appena, tornando a posare la guancia sulla spalla della sorella e posando il proprio sguardo sul viso di Lili, attirata da quell’argomento come le api col miele. -Di che cosa stai parlando mamma?- chiese la piccola, puntando i propri occhi e la curiosità sul viso di sua madre. -Oh non preoccuparti tesoro, lo scoprirai presto.- rispose semplicemente Meggy, cercando di deviare il discorso. Fae sollevò una mano e andò a premere il polpastrello freddo del proprio dito indice sul naso della piccola, sorridendole apertamente. «Ho trovato il mio unicorno, un giorno di questi te lo faccio conoscere.» rispose Fae, ridacchiando divertita e sollevando poi il capo dalla spalla di sua sorella si staccò piano da quell’abbraccio caldo. -Che ne dici se per pranzo ci prepariamo i panini della mamma e vediamo se riusciamo ad essere brave quanto lei?- propose poi Meggy, e fae si ritrovò ad annuire mentre afferrava una delle manine di Lilian, che al contempo si teneva ancora saldamente agganciata a sua madre. «Ci sto, facciamo che tu fai i panini e io e Lili li mangiamo. Inoltre, devi aggiornarmi su un po’ di cose tu, signorina.» disse Fae, rivolgendo il proprio sguardo in direzione di sua sorella. Non capitava spesso che si aggiornassero in maniera chiara e aperta sulle proprie situazioni amorose, le cose venivano sempre molto naturali e, quando arrivava il momento, riuscivano a farsi delle idee che completavano un quadro generale delle cose. Meggy le aveva nominato spesso una certa Runa, una donna che sembrava aver conosciuto per via dell’incidente in cui era stato coinvolto lo scuolabus che era solita prendere Lilian. Inizialmente era stata una cosa da niente, ma poi col tempo quel nome era divenuto sempre più presente. Naturalmente, sapeva quanto fosse necessario tenere lontane le orecchie di Lilian da quell’argomento, così evitò di scendere nei particolari. Non era facile per Meggy crescere Lilian da sola, questo Fae lo comprendeva. Eppure l’ammirava per la costanza e l’amore che ci metteva, lasciando che Lili restasse al primo posto, oltre tutto. L’idea di presentarle qualcuno, lasciarla affezionare a quella nuova figura, non dava alcuna certezza che questa vi rimanesse presente per sempre, dopotutto era una lezione che anche le due Olsen avevano imparato a loro spese.
     
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