Trespassing Forbidden

Eva x Nikolaj

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    Sakura Blossom

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    Chante Eva Nguyen

    Ore 4.00
    Anche quella notte si era svegliata madida di sudore, incapace di capire dove si fermasse il confine tra sogno e realtà. Davanti ai suoi occhi i corridoi di un bianco accecante del Mørdesson, ad un certo punto in uno di essi vide Steve, il suo Steve. Le aveva fatto cenno di seguirlo e lei iniziò a corrergli dietro distinguendone solo i lineamenti delle spalle e della nuca, lui era così scuro da sembrare un’ombra all’interno di quella distesa di bianco infinito. Si sentiva assieme al suo migliore amico come la chiazza nera dentro la metà bianca dello Ying e lo Yang. A perdifiato proseguivano lungo corridoi interminabili, si susseguivano porte tutte identiche le une alle altre, avevano corso sempre sullo stesso piano eppure Eva sapeva che non c’erano tutte quelle svolte e quelle stanze in una sola area. Tutto d’un tratto Steve si fermò davanti al portone più grande di tutti, c’era un lettore badge vicino, Eva aggrottò la fronte perplessa perché non era mai nemmeno passata davanti a una cosa del genere. Pareva una porta di massima sicurezza composta di due ante scorrevoli enormi sul grigio senza alcun tipo di vetrata a permettere di guardare dentro. ”Steve, dove siamo?” mentre poneva quella domanda tutto iniziò a sfaldarsi, il soffitto sopra di loro si sgretolava velocemente e il pavimento sotto di loro diventava improvvisamente una colata di liquido nero che travolse sia lei che il suo amico. Eva cercò di gridare, ma dalla sua gola non uscì nulla, sentiva le onde sonore della sua voce infrangersi nella sua laringe e spezzarsi senza poter arrivare all’esterno. Cosa diamine stava succedendo? In quel momento si svegliò e si ritrovò a fissare il soffitto della sua camera da letto, il riflesso della finestra vicina al suo letto si espandeva come un’ombra argentea ed era l’unica fonte di luce nella notte scura. Eva sospirò e cercò la sveglia per capire che ore fossero, le 4.00 del mattino e a lei restavano un paio di ore di sonno prima di andare a lavoro. Aveva il respiro affannato e cercò di rallentarlo inalando aria a tempi scanditi per non entrare in iperventilazione. Si mise seduta tra le lenzuola grigie e si poggiò la mano sulla fronte chiedendosi quando avrebbe smesso di sognare il Mørdesson e i suoi segreti. Non le bastava essere totalmente dedita al lavoro quando era lì, quel luogo doveva raggiungerla anche nei momenti in cui la veglia abbandonava il suo corpo per un ristoro sicuro. Forse nessun posto era davvero sicuro a Besaid, lì ogni singolo abitante possedeva un potere che lo contraddistingueva dagli altri ed erano tutti controllati e nascosti al mondo come se fossero degli esperimenti segreti dello Stato. Quante volte Eva si era domandata il perché di tutto quell’alone di mistero su di loro, erano davvero convinti che in milioni di universi e galassie non esistessero altre persone come loro? O più semplicemente in quel minuscolo Mondo che abitavano? Eva fece un verso rumoroso col naso per sfogare quell’ira sottile che si era insinuata tra i suoi pensieri, costringendosi ad alzarsi per evitare di iniziare a ragionare troppo. Sapeva di essere una persona dalla mente iperattiva e che se l’alimentava anche solo con poco era capace di scatenare l’inferno tra i vari lobi cerebrali. Decise di prepararsi la colazione per distrarsi, non voleva dare ai suoi neuroni sin troppo eccitabili la possibilità di partire a velocità accelerata portando troppe informazioni in ogni dove nel suo cervello. Si potevano spegnere i neurotrasmettitori per portare un po’ di quiete in una mente caotica? Un ulteriore sospiro e poi si diresse in cucina, prese l’occorrente per cucinare dei pancakes e l’odore che pervase la stanza mentre versava il composto già pronto in padella era davvero invitante. Una noce di burro e poi quel liquido chiaro che lentamente prendeva una forma circolare e diventava solido, gli stati della materia erano davvero un fenomeno affascinante da osservare. Quando ne ebbe quattro pronti mise la padella e tutti gli utensili che aveva usato in lavastoviglie, l’avrebbe accesa quando avrebbe terminato la colazione così da metterci anche il piatto e le posate che stava usando. Prese dall’ultimo armadietto a sinistra lo sciroppo d’acero una delle poche cose dolci di cui andava golosa e lo portò con se’ a tavola. Si guardò attorno, non aveva acceso la luce se non quella sopra la cappa dei fornelli, regnava un’atmosfera strana anche un po’ inquietante con tutta quell’oscurità in casa. Non le importava molto, iniziò a mangiare a capo chino, lasciando che il silenzio si muovesse in un valzer lento con le ombre della stanza. ”Steve…” fu l’unico sussurro che interruppe la magia sinistra di quel ballo. ”Ti troverò, l’ho promesso…”

    Ore 7.00
    ”Buongiorno dottoressa Nguyen!” la ragazza della reception le rivolse un garbato cenno di saluto che Eva ricambiò con la mano con cui stringeva un caffè a portar via del bar lì vicino. Ci mise un po’ a cercare di passare il badge sul lettore d’ingresso perché aveva avuto la brillante idea di prendere il caffè anche per il suo collega Andersen, ma le serviva almeno una mano libera per passare. Fortunatamente Grace, la ragazza della reception, accorse in suo aiuto e le mantenne i caffè giusto il tempo di farla entrare. ”Grazie.” proseguì per la sua strada con passo cadenzato, prendendo l’ascensore che l’avrebbe condotta al dipartimento di medicina del ventesimo piano. Eva sorseggiò la sua bevanda dal sapore amarognolo in silenzio, mentre mano a mano che andavano verso l’alto l’ascensore si riempiva e si svuotava di persone come facevano le onde che prima s’infrangono sulla riva e poi si ritirano in se stesse prima di ripetere lo stesso movimento. Un flusso incalcolabile di persone era passato davanti agli occhi di Eva che ne aveva scannerizzato i dettagli in silenzio, ogni volta che poteva cercava tra i dipendenti di quel posto qualcuno che indossasse lo stesso tipo di tesserino che aveva visto al collo di quei due medici che aveva sentito parlare del suo amico Steve. Nonostante ormai fosse lì da qualche anno sapeva che quel maledetto posto nascondeva dei segreti di cui tutti avevano intuito l’esistenza, ma nessuno ne parlava. Quando si toccava l’argomento ‘cosa poteva esserci dietro la perfetta facciata del Mørdesson' tutti diventavano evasivi, la sudorazione aumentava assieme al ritmo dei battiti cardiaci e alla respirazione affannata. Finalmente arrivò il momento di scendere al suo piano, raggiunse la sala comune dei medici e lì trovò il collega che le aveva fatto la richiesta di portarle il caffè dal bar accanto perché lo preferiva a quello dell’istituto. ”Buongiorno, sei sempre un raggio di sole tu quando entri in una stanza!” si riferiva al fatto che gli aveva dato il suo bicchiere facendogli solo un cenno col capo in segno di saluto, senza proferire una sola parola. Eva era di poche parole e ormai tutti i suoi colleghi lo sapevano perfettamente, ma avevano capito anche che in una situazione come quella non le sarebbe mai nemmeno passato per l’anticamera del cervello di portare il caffè a uno di loro se non gli fosse andato a genio. Quindi quel gesto valeva come un flusso di parole per lei. Eva poggiò il suo bicchiere sul tavolino per indossare il camice bianco che teneva nella sua ventiquattrore color mogano, una volta chiuso l’ultimo bottone mandò giù l’ultimo sorso fino a svuotare il contenitore di carta per poi buttarlo nel cestino dei rifiuti. ”Andersen ci vediamo in corsia, ho dei documenti da lasciare al quinto piano per conto di Josie. Mi raccomando non versare tutto il caffè sul pavimento bianco, non sia mai che ci sia una macchia sul curriculum di questo posto!” il suo collega sapeva perfettamente che si riferiva al fatto che qualche giorno prima era stato rimproverato dal capo turno del servizio delle pulizie per aver rovesciato un bicchiere di succo d’arancia al suolo, non lo aveva fatto di proposito e si era scusato una decina di volte, ma il capo turno non ne voleva sapere nulla e aveva concluso la conversazione dichiarandolo colpevole di un crimine pazzesco. In quell’occasione Eva si era chiesta che cosa avesse che non andava quella donna visto che ogni giorno dovevano ripulire le sale operatore da cose ben peggiori, come residui di sangue e organi dopo un’operazione.
    ”Dottoressa Nguyen buondì!” l’ennesimo cenno di cortesia perché indossava un tesserino di quel luogo e ancora una volta si ritrovò a muovere il capo per far intuire che aveva sentito e che ricambiava il saluto. Sospirò e con la ventiquattrore stretta nella mano destra si avviò di nuovo verso l’ascensore che non tardò ad arrivare, finalmente era passato l’orario dell’inizio turno e quindi c’era meno gente ad attenderla tra quelle pareti d’acciaio. Eva si appoggiò con la schiena al lato destro dell’elevatore tenendo lo sguardo fisso al suolo, ad un certo punto quando era certa di non essere fissata premette il pulsante per scendere al quinto piano, aveva scoperto che lì c’era una porta difettosa che ci metteva più tempo a richiudersi di quanto non fosse necessario, lo aveva scoperto il giorno prima e sapeva che l’efficienza del Mørdesson non le avrebbe concesso molto tempo prima che la riparassero. Finalmente lampeggiò il numero cinque sul piccolo schermo sopra la pulsantiera ed Eva scese a passo sicuro, come se sapesse esattamente dove andare, come una dipendente di quel piano anche se non lo era affatto. Trattenne il fiato quando gli passò accanto una dottoressa che la osservò con aria sospettosa. ”Buongiorno dottoressa Chen.” le disse a voce alta, pensando tra se’ e se’ che era stata fortunata a incontrare l’unica donna di quel dipartimento con cui aveva davvero collaborato in passato. ”Dottoressa Nguyen ho faticato a riconoscerla, non ci vediamo da molto tempo. Cosa ci fa da queste parti?” le chiese la donna dai tratti asiatici che stringeva tra le mani uno stetoscopio e una scatola di garze di medie dimensioni. ”Devo consegnare dei documenti da parte di Josie del ventesimo piano alla vostra reception e lei?” indicò con la mano la sua attrezzatura per capire se era in piena visita. ”Effettivamente ho un paziente, devo andare. Speriamo di rivederci presto!” si rivolsero un saluto veloce ed Eva era di nuovo sola, non le restava che aspettare qualche dipendente che aprisse per lei quella maledetta porta per poi infiltrarsi dietro di lui. Si posizionò in un punto che le permetteva di avere una buona visuale, ma di non essere troppo esposta agli sguardi altrui. Dopo quella che le parve un’eternità finalmente arrivò un ragazzo giovane forse a malapena ventenne, passò il suo badge ed entrò senza guardarsi indietro. Eva ne approfittò e corse all’interno senza accorgersi che qualcuno aveva notato i suoi movimenti, era riuscita ad entrare non poteva crederci, ma quell’euforia durò pochi istanti perché una voce alle sue spalle la interruppe. ”Buongiorno dottoressa, come si sente oggi? Perché non mi mostra il suo pass di entrata qui al quinto piano?” era troppo bello per essere vero che le cose fossero andate così bene al primo tentativo. Eva si voltò lentamente per capire da chi provenisse quella voce maschile che aveva interrotto i suoi sogni di gloria. Gli rivolse un sorriso di quelli che riservava ai pazienti più giovani o in condizioni più gravi di cui doveva occuparsi quotidianamente, poi sollevò i documenti per cui aveva letteralmente pregato Josie di poterli consegnare lei. Aveva inventato una scusa banalissima come quella di rivedere un dipendente per cui aveva una cotta e la donna aveva ceduto a quella notizia per potersi gustare dopo i pettegolezzi e le notizie salienti. Eva aveva studiato la loro receptionist prima di proporle quell’affare, non poteva rischiare di compromettersi all’interno dell’istituto ne andava del suo lavoro e della remota possibilità di ritrovare il suo amico Steve. ”Dottoressa Nguyen, la prego. Mi trovo qui per lasciare dei documenti in reception, può controllarli. Solo che ho dimenticato il pass che mi ha dato Josie al ventesimo piano, ho sbagliato ad entrare a quel modo, ma ormai avevo fatto tutto il percorso. Mi scusi, sono profondamente rammaricata.” abbassò il capo in un delicato inchino, fingendosi davvero dispiaciuta per aver infranto le regole. Porse i fogli che stringeva tra le mani all’uomo sperando che tutto andasse per il meglio, ma poi scorse alle sue spalle un viso che conosceva fin troppo bene: Nikolaj Mørdesson. Cosa ci faceva lì? Con lui non avrebbe retto la scusa di essere entrata senza un pass in un’area a lei proibita e soprattutto avrebbe messo nei guai Josie se avesse parlato con lui di lei. Era in un vicolo senza uscita. Come poteva scappare da quella situazione? Accadde tutto troppo velocemente per destreggiarsi, l’uomo che l’aveva fermata richiamò l’attenzione del loro capo e gli riferì ciò che aveva visto. ’Spia!’ Eva deglutì rumorosamente pronta al peggio.

    Edited by Aruna Divya - 15/2/2020, 09:59
     
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    Il ticchettio nell'ufficio lo faceva impazzire. Era la penna sbatacchiata sul tavolo vicino alla pila di fogli, ordine a livello maniacale. Punta, tappo, punta, tappo, in trappola fra l'indice e il medio la stilografica si lamentava impazzita. In quel momento tutto innervosiva la figura in giacca e cravatta navy che sedeva rigida, un soldatino di piombo nel bianco più candido. Dal raccoglitore alle pareti, persino la penna che stava distruggendo, strinse appena gli occhi per proteggersi dalla nivea solidità in cui era compresso. Frementi sotto palpebre pesanti, le pupille erano alla ricerca di qualcosa, qualcosa che doveva trovarsi fra le dozzine di righe allineate in centinaia di fogli. L'avrebbe trovata con più facilità se il bianco avesse smesso di perforargli la cornea, o se fosse riuscito a smettere di voler decapitare la penna. Due ore erano passate da quando aveva ordinato a Jorgen di fargli trovare sulla scrivania tutti i reports sulla sperimentazione fatta negli ultimi dodici anni. Qualsiasi cosa riguardasse progetto Ω (omega). Sapeva, Niko, ma non abbastanza. E se un tempo aveva saputo, ora aveva dimenticato. Rimorso? Paura? Più probabilmente indifferenza. Gli ultimi avvenimenti però l'avevano messo in allarme, convincendolo di voler essere qualcosa di più che la tasca che finanziava quasi tutto al Mordersønn. Omega era stato il grande amore di Aleksej, il progetto finanziario costano milioni di corone, spese sopratutto affinché fosse mantenuto segreto. Non è per niente facile operare un piano così ambizioso, sopratutto quando si tenta al contempo di tenerlo nascosto. Nikolaj non ricordava di aver sentito il nonno
    Aveva odiato Omega quasi tanto progetto Eva, e forse per questo era stato necessario che passassero due anni e mezzo prima che Nikolaj riuscisse a metterci la testa. Per anni aveva temuto la discesa nel sottosuolo dell'Istituto, l'infanzia trascorsa a farsi e a far testare Eva. Aveva però anche amato vedere i piani sottrarsi, meno uno, meno due, meno tre. Gli sembrava di essere visto davvero solo lì sotto, di esistere al di là di Jakob appiccicato al fianco. Perché la sua particolarità era molto più interessante di quella del gemello, lo leggeva negli occhi del nonno. Si accendevano ogni volta che Nikolaj lo soddisfaceva. Una nuova vita l'aveva travolta dalla separazione, ai diciotto anni se ne erano seguita otto ricolmi di quei vizi e nefandezze che prima gli erano reclusi. Dopo Jakob, Nikolaj aveva provato a dimenticare quello che c'era stato prima, riuscendoci per un bel po'. Ma il passato trova sempre il modo di raggiungerti e incollarti le chiappe a una sedia di pelle bianca, in un ufficio bianco, con i pavimenti bianchi.
    Con un fazzoletto si deterse il sudore dalla fronte, gettandolo poi immediatamente nel cestino (coronavirusnonmiavrai?). Nonostante la temperatura ideale che pregnava l'Istituto, le dieci ore passate senza assumere alcunché cominciavano a dare segnali preoccupanti. Sudorazione, crampi muscolari, ipertensione, difficoltà nella concentrazione e via dicendo. Al corpo di Nikolaj non piaceva proprio andare avanti da solo.
    All'improvviso un rumore invase la stanza, diverso dal suo respiro o dal nervoso picchiettio della penna. Il suono irruppe nell'ufficio come esplosivo, incrinando la calma caotica che manteneva tutto in precario equilibrio. Qualcuno bussava alla porta. Attese, Nikolaj, le plumbee pupille sempre sulla stessa riga che da dieci minuti cercava di decifrare. Fingersi morto aiutava nel mondo animale, ma dubitava che potesse servire ad altro che a scatenare il panico nell'edificio. E comunque la porta era a vetri. Se Nikolaj percepiva con la coda dell'occhio la figura insulsa di Jorgen, Jorgen poteva vedere lui. Sospirò. Non voleva scocciature, era già abbastanza provato. Il rumore tornò a riemergere nel silenzio, sembrava che l'eco saltasse da un mobile all'altro procurando un immenso fastidio nel CEO. Con la mano alzata fece un segno impaziente verso la vetrata, preparandosi a sentire la voce lamentosa dell'assistente chiedergli qualcosa che l'avrebbe fatto sicuramente incazzare.
    Sign...Sinor Mordersønn? Le narici allargate e piene d'aria fremevano mentre Nikolaj alzava lentamente lo sguardo d'acciaio sull'unico altro essere vivente nella stanza. Forse in vita ancora per poco. Jorgen era una di quelle persone di cui è impossibile stabilire l'età, poteva avere diciannove anni come sessantadue, Nikolaj non avrebbe saputo dire. Nel guardarlo provò un moto di disgusto verso quell'esserino scialbo che, invece di aiutarlo, continuava a tormentare le sue giornate. Altezza media, corporatura media, capelli di un biondo slavato e occhi che boh, che colore erano? Insomma, un uomo che non si distingueva neanche per personalità. Il braccio destro del nonno, a malincuore ormai diventato di Nikolaj, gli aveva imposto Jorgen per mettere a freno la sfilza di licenziamenti avvenuti nei primi mesi della sua ascesa al potere, quando Nikolaj era solito assumere solamente donne dai ventidue e i trentacinque anni, carismatiche e dalla mente aperta (per non dire altro), delle quali finiva per stancarsi dopo qualche mese, trovando sempre qualcosa che non andasse più. E poi era arrivato Jorgen, il più longevo a ricoprire quel ruolo. Visto che non diceva niente, Jorgen provò di nuovo, questa volta buttando fuori tutto alla velocità della luce per non desistere sotto lo sguardo del capo. SignorMordersønnc'èstatountentativodiaccessononnautorizzatoalquintopianoqualcunosenestaoccupando. La penna si immobilizzò di colpo, le dita ancora strette a lei come zampe di ragno. In quel momento, tutto ciò che sentiva era il battito pericolosamente lento del suo cuore.
    Sapeva il povero Jorgen di trovarsi al centro esatto dell'occhio, una regione di quasi calma situata nel mezzo di un ciclone tropicale?
    È circondata dall'eyewall, un anello di temporali torreggianti dove avvengono i fenomeni più forti. E poi un'esplosione neurale, l'ultimo nervo che che salta. Quando si alzò in piedi, Nikolaj lo fece con una tale violenza da mandare la sedia girevole a gambe all'aria. Chi? Chiese in un turbinio di fogli che volarono in tutte le direzioni. La penna andò a colpire Jorgen sul petto e, in mezzo a quel mezzo secondo d'ira, Nikolaj quasi non sentì il nome della spia. Aveva lanciato verso Jorgen la pila di documenti che stava leggendo. Aveva già mosso i primi passi verso la porta, affiancandosi all'assistente quel tanto che bastava per ordinargli con voce non troppo controllata: Gestisco un business, non un asilo per incompetenti. Ora metti tutto in ordine, al mio ritorno voglio l'ufficio in perfetto stato. Con uno strattone secco sistemò la giacca sul petto per poi sorpassarlo senza più uno sguardo, figurarsi una scusa. Sapeva che non era colpa sua, alla fine spettava alla security, ma era meglio sfogarsi un po' con Jorgen piuttosto che perdere compostezza di fronte all'intrusa.

    Dal quarantaseiesimo al quinto piano, il viaggio in ascensore sembrò proprio una discesa verso gli inferi. L'uomo ne approfittò per ricomporsi e, quando il tallone della scarpa lustra si affacciò al quinto piano, l'uomo a cui apparteneva ostentava una calma feroce. Se avesse potuto, avrebbe fatto risuonare la Carmina Burana per tutta la torre di vetro e metallo, ma si accontentò di marciare per i corridoi con quella in testa come colonna sonora alla sua rabbia interiore. Svoltò a sinistra e attraversò un corridoio bianco, ritrovandosi a fronteggiarne uno alla fine del quale svettavano due figure. Riconobbe l'uomo solo per via della divisa verde bottiglia, security. In quanto alla donna, l'espressione che la faccia di Niko assunse quando fu abbastanza vicino da poterla guardare negli occhi espresse un leggero smarrimento: "e questa chi cazzo è?" A giudicare dal camice bianco, un qualche tipo di dottoressa. Con la faccia più seria della morte, Nikolaj liquidò l'uomo che gli aveva ripetuto l'apparente motivo che la donna aveva per trovarsi lì. Può andare. Da qui in poi ci penso io. Non l'aveva guardato neanche mentre dava quel comando, il grigio torbido degli occhi puntato su di lei come a volerla trapassare. Rimasero qualche a scrutarsi a vicenda prima che la linea retta della bocca di Nikolaj si spezzasse in due. Mi segua. Si voltò per fare il percorso a ritroso, i tacchi bassi della donna lo seguivano a pochi passi di distanza. Anche senza quel rumore cadenzato, Nikolaj non aveva dubbi che gli ubbidisse: alla fine c'era una ragione perché tutti lo temevano. Il silenzio si compresse fra loro accompagnandoli durante tutto il tragitto fino al quarantaseiesimo piano, ma il suo peso non sembrava affliggere l'uomo che continuava a guardare di fronte a sé, stoico nel suo mutismo. Quando arrivarono nel grande ufficio, Nikolaj chiuse la porta dietro la donna e si avviò verso la scrivania. Era perfettamente ordinata, come se pochi minuti non fosse esplosa la bomba Niko in menopausa. Si accomodi. Educato e distaccato, il solito ghiacciolo in giacca e cravatta. Sollevò una linea metallica sottilissima, il Macbook air di ultima generazione, cliccando una o due volte alla ricerca della mail che trovò quasi subito. Era protocollo dell'Istituto compilare un complaint ogni qualvolta il protocollo veniva infranto. Doveva ammetterlo, la security faceva il suo lavoro bene e molto velocemente. Dunque, Miss... Strinse gli occhi per individuare il nome in mezzo a tutte le informazioni che su di Eva lampeggiavano dallo schermo. Nguyen, giusto? Vediamo un po'...33 anni, nata il 27 Marzo 1986 a Taupo, Nuova Zelanda. Laureata a pieni voti in medicina, impiego di 5 anni presso l'ospedale pubblico di Besaid...Mhm... Studiò un altro po' il fascicolo, soffermandosi sul campo della particolarità, poi spinse indietro l'alta statura e rilassò più o meno la schiena contro lo schienale ergonomico. Solo allora incrociò di nuovo lo sguardo della malcapitata, le sopracciglia a formare una linea retta del tutto inespressiva. Mi vuole dire cosa ci faceva senza pass d'accesso ad un livello ad entrata ristretta e così lontana da casa sua, al ventesimo piano? E si risparmi la solfa dei documenti e del badge dimenticato perché sia io che lei sappiamo che è una bugia. Prese un respiro profondo, incanalò aria nei polmoni per ributtarla poi fuori. Avrebbe voluto urlare. Si trattenne, andava tutto bene. Chiunque lì dentro sapeva che il proprio pass era un po' come un documento identificativo, essere trovati senza averlo addosso era davvero rischioso. Ora che era costretto a guardarla in maniera prolungata, Nikolaj si rese conto di averla già vista prima. Con migliaia di dipendenti e lo scarso interesse che nutriva nei loro confronti, i visi e i nomi si confondevano riducendosi a una macchia indistinta nel cervello dell'uomo. Lei è la dottoressa che compila i registri dei pazienti che firmo ogni due mesi. Constatò con semplicità, senza che la voce assumesse l'intonazione di una domanda. Un guizzo di interesse animò per una frazione di secondo lo sguardo cupo di Nikolaj, per poi essere inghiottito dall'oscurità che la fronte proiettava sopra gli occhi incavati. È qui da un po' e ha svolto un buon lavoro. In realtà non aveva la più pallida idea di come Eva passasse le sue giornate. Ma nel suo fascicolo non leggo niente di così straordinario da lasciarmi a bocca aperta e sa, ho licenziato per molto meno. Incrociò le dita sotto al mento. La prego quindi di essere onesta e di non far perdere tempo a nessuno dei due. La piega di un sorriso appena accennato, circostanziale quanto i polsini della camicia di Niko erano bianchi. Sollevò le sopracciglia per invitarla a parlare. Non vedeva l'ora di togliersi dai piedi quella scocciatura.


    baby rileggo piano piano domani scusa per gli erroracci!


    Edited by E.T.PhoneHome - 15/3/2020, 10:22
     
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    Come andrebbe la role nella testa di Eva vs Realtà!


    Chante Eva Nguyen

    Il Diavolo era sceso negli Inferi a controllare le anime in pena nei suoi 47 gironi di un bianco immacolato, era proprio davanti a lei e la fissava con un’espressione indecifrabile. Eva non si lasciò prendere dal panico, strinse al petto i documenti che aveva portato con se’ e lo seguì come le aveva ordinato. Sul suo viso una maschera di austerità nascondeva l’esplosione di petardi che in realtà avveniva nel suo petto, non gli avrebbe dato la soddisfazione di scorgere la sua agitazione. Entrò nell’ascensore dopo di lui, schiena dritta e sguardo fiero, sapeva che se avesse retrocesso di un passo da quell’atteggiamento che si era costruita rischiava di perdere la partita a scacchi che stava per cominciare. Bianchi contro Neri.
    Non una parola fino al quarantasettesimo piano, l’unico rumore che li accompagnava era l’eco dei loro passi sul pavimento lustro. Era tutto maniacalmente perfetto, non un quadro fuori posto nel corridoio che conduceva all’ufficio del signor Mørdesson. Eva osservò l’uomo aprire la porta senza nemmeno voltarsi a controllare che lo avesse seguito, entrò a sua volta avvicinandosi alla scrivania. Il silenzio opprimente venne rotto da due sole parole: ”Si accomodi.” Eva eseguì l’ordine senza commentare, strinse i denti per non lasciarsi andare al desiderio di seguire l’istinto e lasciò che il suo datore di lavoro facesse una ricerca su di lei sul suo computer di ultima generazione. Dentro quell’istituto lavoravano così tante anime dannate che non poteva ricordarle tutte, era un fascio di nervi per quell’ostentazione di superiorità inutile. ”Sì, corretto.” si sbilanciò a rispondere quando l’uomo terminò di elencare tutte le ovvietà su se stessa che già sapeva. Ancora quell’espressione priva di emozioni o qualsivoglia informazione su di lui, se non fosse stata a sua volta una persona estremamente razionale si sarebbe alzata dalla sedia sbattendo i pugni sulla scrivania fin troppo ordinata al limite dell’inutilizzato. ”Mi vuole dire cosa ci faceva senza pass d'accesso ad un livello ad entrata ristretta e così lontana da casa sua, al ventesimo piano? E si risparmi la solfa dei documenti e del badge dimenticato perché sia io che lei sappiamo che è una bugia.” diretto come un colpo di pistola in pieno petto da un tiratore scelto. Eva sollevò un sopracciglio fingendo una perplessità che non le apparteneva, poggiò il fascicolo di documenti sulle proprie gambe e strinse le mani tra di loro a mo’ di preghiera. ”Tutti abbiamo i nostri segreti, non è d’accordo con me? Se le dicessi cosa facevo lì anche lei dovrebbe a me delle spiegazioni, sarebbe pronto a darmene in cambio della verità?” una domanda per una domanda, una verità per una verità, il concetto era facile. Non aveva mentito, se lei avesse raccontato a Nikolaj Mørdesson il reale motivo del suo tentativo di infrazione ci sarebbero state delle conseguenze per tutti, soprattutto per lei. Nessuno le assicurava che sarebbe uscita sulle sue gambe da quella stanza se avesse sollevato dalla polvere il caso di Steve Connors. Quale miglior modo di far credere a Nikolaj di sapere più di quanto fosse lecito sui suoi affari per ottenere la sua attenzione e forse un semplice licenziamento invece di qualcosa di ben peggiore? Si sporse verso la scrivania poggiando i gomiti su di essa tenendo ancora le mani ben salde tra di loro, stava fingendo una sicurezza rischiosa e non sapeva bene quale sarebbe stata la prossima mossa del suo avversario. Per un breve istante intercorse ancora del silenzio tra di loro, era diventato quasi piacevole come se fosse la loro zona sicura in cui nascondersi per non uscire allo scoperto. D’un tratto il viso dell’uomo si illuminò, fu un istante talmente breve da essere quasi impercettibile alla vista, aveva appena realizzato chi avesse davanti. Ce ne aveva messo di tempo a capire che ogni due mesi avevano appuntamento in quello stesso ufficio per firmare i rapporti lavorativi del ventesimo piano. ”Ma nel suo fascicolo non leggo niente di così straordinario da lasciarmi a bocca aperta e sa, ho licenziato per molto meno. La prego quindi di essere onesta e di non far perdere tempo a nessuno dei due.” Eva inalò aria dal naso in eccesso al punto di rendere quel respiro sin troppo rumoroso per quell’ambiente sinistramente silenzioso. Quelle parole avevano toccato dei nervi scoperti, era inaccettabile ciò che aveva detto quello strafottente essere davanti ai suoi occhi. Non aveva la più pallida idea di quanti traguardi personali avesse raggiunto lì dentro senza che lui ne sapesse nulla, teneva chiuso sotto chiave in casa sua un compendio con delle ricerche che aveva effettuato sotto il suo naso senza averne dichiarato l’esistenza. Quel pensiero la fece sentire potente per un attimo, ma quella sensazione effimera di gloria volò via in soffio con l’anidride carbonica che rilasciò altrettanto rumorosamente dalla sua bocca. Non doveva cedere a quella provocazione, a quel sorrisino da padrone col suo servo, sapeva che la particolarità di Nikolaj era assoggettare le persone al suo volere sul piano fisico. Cosa le avrebbe fatto fare se non avesse ottenuto da lei ciò che cercava? Avrebbe potuto imporle di aprire la finestra del suo ufficio e di gettarsi dal quarantasettesimo piano proclamando di essere stato altrove a quell’orario, con tanto di registrazioni false sulla sua presenza in qualche dipartimento dell’istituto in quel frangente di tempo. Sapeva di non avere a che fare con uno sprovveduto qualunque e che era lui ad avere il coltello dalla parte del manico, concetti scontati così ovvi da essere superflui. Doveva trovare il modo di uscire da quella situazione se non indenne per lo meno solo malconcia. ”Quindi lei licenzia la mediocrità?” temporeggiava mentre nella sua mente si delineava un piano che forse poteva funzionare. ”Peccato che si sbagli sul mio conto e lo saprebbe se solo leggesse ciò che le faccio firmare ogni due mesi da quando lavoro qui.” attese la sua reazione per canalizzare la sua concentrazione sulle correnti d’aria nell’impianto di condizionamento, connesse il proprio corpo all’elemento dell’aria artificiale e sussurrò solo col labiale: ”C’è un incendio, evacuate tutti!” di lì a breve avrebbe rilasciato quell'informazione attraverso il condizionamento nell’intero Mørdesson Institute. Quelle parole sarebbero arrivate come un lievissimo sussurro alle orecchie di tutti i dipendenti in pochissimi secondi. Fece un respiro profondo mentre teneva in standby il rilascio del suo potere. I primi brividi di freddo le pervadevano il sottopelle e non poteva fermarli, conosceva quella maledetta controindicazione, ma se voleva avere salva la vita e magari anche il posto di lavoro doveva per forza agire. Non c’era modo di rintracciare la fonte della sua informazione, potevano setacciare ogni canale comunicativo e persino analizzare i condotti di areazione, ma di lei non avrebbero trovato alcuna traccia. Si morse il labbro inferiore preda di una scossa di brividi più forte delle altre, infatti le cadde a terra il fascicolo con i documenti che aveva portato con se’ dal ventesimo piano. Si accucciò per raccoglierli cercando di placare il freddo nel proprio corpo prendendosi più tempo del dovuto per riemergere in superficie, stava pianificando di far arrivare un messaggio personale a Josie chiedendole di far scattare l’allarme tra qualche minuto. Eva posò i documenti sulla scrivania di Nikolaj, le sue mani e i suoi fogli contaminavano la perfezione di quella superfice. ”Muovere il piede con dei documenti in grembo non si è rivelata un’idea intelligente… dopotutto forse non si sbagliava su di me, non sono poi così speciale.” lo disse coi denti serrati mentre nella sua testa faceva il conto alla rovescia per i minuti che li separavano dall’imminente evacuazione dell’edificio. Un sorrisino sghembo si aprì sulle sue labbra per sparire subitaneamente lasciando il posto di nuovo all’impassibile serietà. ”Vuole davvero sapere cosa ci facevo lì? Cercavo un uomo…” nulla di lontano dalla verità, ”un dipendente…” quella era la sua prima bugia, ma farsi scoprire non rientrava nei suoi piani, non quel giorno…

    Edited by Aruna Divya - 23/6/2020, 13:51
     
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    Nikolaj Petar Mordersønn aveva una sua personalissima classifica di valutazione delle rotture di coglioni che la vita inesorabilmente gli metteva davanti. Poteva variare e si allungava a seconda del tempo, degli impegni e delle stagioni, ma la scala manteneva sempre i 5 gradini infernali, le sue private piaghe bibliche. Partendo dal quinto, ovvero tutto ciò che riguarda i doveri dell'Istituto. Firme, meetings, budgets. Al quarto c’erano invece i centri commerciali, i vestiti scadenti, Ikea, i mercatini dell'usato, il vintage, le banche, Jesper Saetre, le festività in generale e specialmente il Natale, finendo con le cene di lavoro o con i bambini, che evitava come le meduse a bagno d'estate. O li mangiava. Il terzo grado vedeva per primo gli spacciatori che alzavano il prezzo, i tabaccai chiusi, Naavke Evjen, incrociare per caso qualcuno che gli attaccasse delle chiacchiere senza fine, la gente che non si lavava e, soprattuto, i paparazzi. Ed ecco la volta del primo grado della scala, il non plus ultra, la madre di tutte le rotture di coglioni: chi credeva di essere al suo livello e i ficcanaso.
    Fissava dunque con insistenza la noia più grande di tutte, ben celata dietro quella donnina dai lineamenti marcati. Avevano sempre due irritanti abitudini, le rotture: non sapevi mai quando sarebbe arrivata la prossima, e la loro grandezza spesso si rivelava essere direttamente proporzionale al loro innocuo apparir. "Oh, mi trova pienamente d'accordo." Iniziò, la faccia una maschera di cera. Quelle parole aleggiarono sulle loro teste fino a divenire silenzio e Nikolaj le lasciò fare. Immobile come il tempo che sembrava essersi bloccato a metà di un'azione, non c'era niente nell'uomo che indicasse un voler mettere Eva a proprio agio o che confermasse di essere effettivamente d'accordo con lei. Sbatteva le palpebre? Respirava? Difficili a dirsi. "Ma vede, questo..." Con quelle parole, dopo un tempo che doveva esserle sembrato senza fine, l'alta figura di Nikolaj finalmente si mosse. Sbloccate, le articolazioni presero vita e il gomito destro si distese in avanti come tronco di un ramo senza radici, mentre le dita, simili a rami ischeletriti, indicavano sé stesso, lei e lo spazio che la scrivania di vetro apriva fra loro. "...Non è un baratto. Noi non siamo sullo stesso livello e lei, lei non è nella posizione di esigere alcunché." Proteso in avanti, il braccio ancora piegato fra loro accentuava il divario fra quei mondi che, l'aveva spiegato, non passavano per la stessa latitudine. Nonostante fosse sicuro che Eva stesse bluffando, un solco sottile infuriava fra le folte sopracciglia dell'uomo, tradendo uno stato d'animo altrimenti invisibile sui lineamenti di solito inespressivi. Erano già tanti i pensieri con cui fare i conti. Il progetto Omega era in stasi, arenato su questioni molecolari per cui non poteva fare niente se non aspettare che quella manica di deficienti - ricercatori - trovasse una soluzione. Era impaziente verso qualsiasi cosa, le attese gli distruggevano i nervi e il tessuto connettivo, parola del suo medico di base. Figurarsi quindi come doveva sentirsi dopo anni di attesa. Sì, alcuni traguardi erano stati raggiunti - progetto Eva come esempio più lampante - tuttavia era decisamente passato troppo tempo da quando il silenzio si era impossessato dei sotterranei e nessuna notizia davvero promettente aveva raggiunto i piani superiori. Annotò mentalmente l'urgente necessità di un incontro con il Capo Dipartimento Esperimenti, Rei Kobayashi. Poi c'era il B-6D, la setta, la cupola, gli azionari che faceva pressione, la bionda che gli occupava l'amigdala anche senza essere presente. Per le sette e venti di mattina poteva bastare, no? No, perché quella dottoressa gli era piombata tra i piedi aggiungendosi al marasma che lo agitava. Non aveva neanche fatto in tempo a inalare la dose mattutina di polvere degli angeli e le mani tremavano leggermente. Nervosismo o astinenza? Difficile a dirsi. Resosi conto dello spasmo incontrollato, Nikolaj ritrasse in fretta la mano. Il resto del corpo seguì il movimento per rilassarsi di nuovo contro lo schienale ergonomico. Aprì le braccia, le spalle contratte verso l'alto, il viso nuovamente rilassato. "Detto ciò, non ci sono segreti sull'Istituto, solamente informazioni riservate aventi come unico obbiettivo il bene di questa città, formule e calcoli complessi non comprensibili da una mente comune. È di nuclei e dissociazione ionica che vuole discutere? " Attendere una risposta a quella domanda era inutile, ma ancora una volta Nikolaj lasciò alle parole il tempo di entrarle dentro e pesarle sulle ossa. Labile era la conoscenza che aveva della chimica ma, dopo mezzo milione di presentazioni power point a cui aveva dovuto assistere, aveva finito per impararne la nomenclatura. Afferrò la biro e l'estremità schioccò sotto la pressione del suo pollice. Poi, Nikolaj, sorrise. "Come immaginavo. Allora cosa la preoccupa esattamente? Di quale verità parla? " Era convinto fosse meglio essere temuto che ammirato, tuttavia sapeva di dover capire cosa passasse per la testa di quella fastidiosa moretta per decidere come agire. Sputò aria dal naso. Quel lavoro gli risultava insopportabile. Tra un respiro e un rumoroso rilascio d'aria, sembrava di star assistendo a uno scontro tra draghi incazzati. Mancavano solo le fiamme. Prese a rigirarsi la biro fra le dita, dal pollice all'indice al medio con aria pensierosa e vagamente irritata. Aveva la spiacevole sensazione d'essere stato scoperto a fare qualcosa che non andava fatto, qualcosa di terribile che non avrebbe mai ricevuto perdono. Non aveva mai davvero pensato a cosa sarebbe potuto succedere "se"...A stento si spingeva a pensare a cosa accadesse realmente nei sotterranei. È il privilegio dell'essere in alto: non guardare in basso o far finta di non sapere cosa succeda sotto i tuoi piedi. Ma ci si perde anche lassù: la solitudine, il distacco e il freddo diventano le uniche sensazioni tangibili da afferrare. Era il prezzo da pagare per sopravvivere nel suo mondo."Quindi lei licenzia la mediocrità?” L'ennesimo sospiro, lo sguardo che per la prima volta da lei si spostava sulle case fuori dalla finestra, simili a miniature Lego. "In alto, sempre al di sopra di tutti. Solo" Pensò e invece disse: "Lei non farebbe lo stesso se ne avesse il potere? Nessuno vuole essere ordinario, o almeno nessuno dovrebbe volerlo. " Non sapeva neanche perché stesse ingaggiando in quella discussione, non era da lui chiacchierare, sopratutto quando c'era in gioco la sua reputazione. Cominciava davvero ad essere stanco. Inspirò e sotto la camicia la cassa toracica si espanse, gli occhi che tornavano obliqui su Eva giusto in tempo per vederla muovere le labbra, come se stesse parlando fra sé e sé. Sebbene la trasformazione successiva avvenne lentamente in lei, fu abbastanza curiosa da spingere l'uomo a raddrizzare la testa e poi la schiena. L'istinto gli suggerì che qualcosa non andava e il pollice finalmente cessò quel convulso picchiettare sulla penna. Con gli occhi grigi che sembravano catturare sulla retina ogni bizzarria e brivido della donna, Nikolaj era troppo sveglio per lasciarsi sfuggire l'anomalia che stava spezzando la scena. Corrugò la fronte nel momento in cui la pila di fogli rovinò a terra e, nel tempo infinito che la donna impiegò per tirarsi su, l'uomo avvertì il cuore pompare più rapidamente nel costato. "Cosa ha fatto?!" Con una sfumatura d'allarme nella voce, Nikolaj afferrò i bordi della scrivania mentre i fascicoli la inondavano piegandone l'ordine convulsivo. Con quella domanda non si riferiva al disordine visivo da lei creato ma a qualcosa di ben più preoccupante. Aveva impiegato qualche secondo per capire ma ancora una volta la memoria visiva era giunta in suo soccorso, svelandogli in una repentina intuizione cosa il cervello stesse cercando di ricordare. Era enorme il caos in cui Eva avrebbe potuto mandare la sua vita se solo Nikolaj l'avesse lasciata andare. Fu una decisione presa al secondo, Nikolaj allungò il busto e le braccia sopra la scrivania per afferrare i polsi della donna in una ferrea stretta. Eva avrebbe fatto meglio a distogliere lo sguardo, se solo non fosse stata colta così alla sprovvista, se solo non fosse stata in trappola. Uno, due, cinque, sei secondi bastarono per l'aggancio e, nel tirarsi indietro al suo posto, Nikolaj avvertì la famigliare sensazione di sottili e invisibili fili che univano le dita al corpo dell'altra. Nonostante avesse il cuore ancora accelerato, l'uomo si sentiva già più tranquillo, in controllo. Ne era passato di tempo dall'ultima volta che aveva gustato l'ebbrezza che la propria abilità gli donava, un piacere a livello cellulare paragonabile al sesso. Non sarebbe diventato la preda, mai. Si alzò e Eva fu costretta a fare lo stesso, le dita dell'uomo che si muovevano come se stesse governando una marionetta piuttosto che una persona in carne ed ossa. La sedia di Eva cadde all'indietro, segno che la donna stava cercando di opporsi al suo potere e Nikolaj serrò la stretta fra i polpastrelli. "Si dice che da questo ufficio si goda della vista più bella in città. Vuole vedere più da vicino?" La costrinse ad avanzare insieme a lui alle grandi finestre che occupavano ogni lato dell'ufficio. "A queste altezze le norme vieterebbero l'utilizzo di finestre apribili sa, stronzate da health and safety. Come vede infatti, più che finestre sono specchi nel vuoto ma... si avvicinarono entrambi all'angolo est dell'ufficio. Nikolaj doveva sforzarsi per farsi obbedire. Ho fatto in modo di averne una un po' diversa, vede? Per far cambiare l'aria o per le occasioni speciali come questa. Le strizzò l'occhio mentre, mortalmente serio, apriva verso l'interno la finestra. Subito furono investiti da una forte raffica di vento e l'aria fredda sgusciò nell'ufficio con uno stridio da risucchio. Con un movimento della mano Nikolaj spinse il busto di Eva a piegarsi, il bordo di ferro della finestra le segava ora lo stomaco mentre il busto, le spalle e il viso si ritrovavano a sporgere nel vuoto. Nikolaj poggiò una spalla lateralmente contro la finestra, le mani tremanti per lo sforzo di mantenere il controllo e domare l'istinto di sopravvivenza che in Eva lottava per tirarsi indietro dall'abisso. "Ora che ho la sua totale attenzione, annulli qualsiasi cosa abbia fatto prima, qualsiasi messaggio abbia mandato. Ha abbastanza corrente d'aria per farlo o ne serve di più?" La media e la distale delle falangi si piegarono con forza causando nello stesso momento un'inclinazione maggiore del busto di Eva. Non c'era modo certo per lui di sapere che le avesse obbedito ma, purtroppo, defenestrarla avrebbe comportato un grattacapo e una rogna dopo l'altra. Polizia, domande, testimoni, ricostruzioni dell'accaduto. No, quello era un modo troppo plateale di morire. A malincuore fece in modo che tornasse completamente al sicuro dentro l'ufficio, poi chiuse la finestra e ricondusse entrambi verso la scrivania. Lasciò la sedia per terra, facendo sedere Eva sull'altra. Non aveva abbastanza forze per perdersi in inutili convenevoli, non avrebbe potuto mantenere quel controllo per sempre. Si sedette, i muscoli sempre tesi e lo sguardo concentrato mentre ignorava una ciocca di capelli color sabbia scivolata sulla fronte. Perdoni il teatrino ma credo che a volte le persone abbiano bisogno di essere persuase a fare la cosa giusta. Ha annullato il messaggio? Ebbe appena qualche secondo per rispondere prima che i polpastrelli si muovessero nuovamente e le mani della dottoressa si alzassero lentamente verso il collo senza che lei potesse fare niente. Per quanto ami un po' di teatralità, la defenestrazione alzerebbe un polverone irritante. Sarebbe molto più semplice se lei soffocasse qui, ora, con me come unico testimone. Era quasi divertente la semplicità con cui avrebbe potuto far sparire ogni cosa, come l'Istituto faceva giornalmente. Ormai le mani di Eva stringevano sulla sua stessa gola, abbastanza forte da affondare nella carne e spaventarla senza tuttavia impedirle totalmente di respirare. Gli serviva che parlasse e per farlo, ahimè, aveva bisogno d'aria. Sentirsi in controllo era una delle sensazioni che più lo facevano sentire vivo, bene, appagato. Anche quando provocava sofferenza negli altri, come se il panico nei loro occhi in qualche modo lo eccitasse. Tuttavia detesterei essere costretto a una cosa del genere. Mi creda quando le dico che in fondo sono un uomo pacifico che vuole essere solamente lasciato in pace. Dunque, se mi dice cosa andava davvero cercando al terzo piano potremmo tutti dimenticare questo spiacevole incontro e tornare alle rispettive, amabili vite. Che ne dice? La verità, questa volta. Grazie. Come se la donna avesse davvero scelta. Le avrebbero dovuto cancellare la memoria o peggio, ma questo Eva non lo sapeva. Poteva solo sospettarlo. La consapevolezza di quello che stava facendo sarebbe arrivata solo successivamente, insieme al pensiero di aver forse commesso un grave errore. Tutto quello che per il momento lo animare era un lieve pulsare alla tempia destra e l'istinto primordiale d'essere sempre cacciatore, mai preda.

    Edited by paracosm - 30/5/2020, 18:28
     
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    Dall’alto dei suoi quarantasette piani il Mordessøn Institute svettava su Besaid come una sentinella infernale, la cui ombra attanagliava gli edifici circostanti facendoli inchinare al proprio cospetto. Come una guardia di cemento posta al centro esatto della città poteva osservare e sentire indisturbata ogni alito di vita attorno a se’. Al contrario coloro che calpestavano le strade affollate non avevano accesso a ciò che accadeva all’interno dell’istituto, le interminabili vetrate oscurate che ricoprivano l’edificio non facevano altro che riflettere l’immagine della città su di se’. Era una fortezza impenetrabile avvolta nel mistero, se qualcuno avesse guardato in alto verso il quarantasettesimo piano non avrebbe mai potuto notare il glaciale colloquio che stava avvenendo tra Nikolaj Mordessøn e la sua dipendente. Erano a un passo dal cielo, troppo lontani da ogni sorta di testimone, ciò che avveniva lassù poteva essere raccontato solo dalle immacolate pareti dell’ufficio dell’uomo che stringeva tra le dita il destino della sua dipendente.
    La voce di Nikolaj dominava l’atmosfera, parlava lentamente con delle pause calcolate che mettevano a dura prova i suoi nervi. Eva non distolse mai lo sguardo dal viso di quell’uomo la cui espressione indecifrabile era come un rebus senza soluzione. Si morse il labbro inferiore quando lo sentì parlare di livelli diversi, si era automaticamente elevato al di sopra di lei con arroganza, senza avere la minima idea di cosa sapesse davvero per poter avanzare una proposta del genere. Eva mantenne a sua volta un’espressione composta e altera, non mosse nemmeno un muscolo del viso, nonostante interiormente fosse in corso un violento terremoto emotivo. ”Mi permetta intanto di complimentarmi per il suo ufficio, nessun altro in città può godere di un panorama simile…” disse mantenendo le mani ben salde sui documenti che teneva in grembo. ’ O di una privacy così ricercata.’ si ritrovò a pensare guardandosi attorno. ”Effettivamente lei è il mio datore di lavoro, innegabile che non siamo sullo stesso livello, eppure… eppure fuori di qui ogni gerarchia perde valore, lei è un uomo qualunque e io una donna qualunque. Probabilmente lei non concorda, vero?” sollevò un sopracciglio con aria interrogativa, anche se la sua domanda non necessitava risposta alcuna. Iniziò a giocare col lembo superiore della cartellina, piegandone l’estremità verso l’interno e poi verso l’esterno, più e più volte. Si dovette fermare quando percepì la carta rompersi tra le sue dita, digrignò i denti in silenzio, non doveva cedere al nervosismo che la divorava interiormente. Era come un tarlo che le rosicchiava le interiora.
    S’insinuò del silenzio tra di loro, che lasciò a entrambi il tempo di annegare nei propri pensieri densi e ingombranti. Allora Steve Connors, disperso nei meandri dell’istituto, non era altro che un’informazione riservata per il bene della città? Quante altre informazioni riservate il Mordessøn nascondeva nei suoi quarantasette gironi immacolati? Avrebbe voluto alzarsi in piedi e diventare l’elemento di caos in quell’ambiente talmente ordinato da sembrare non vissuto. Se non si fosse ripromessa di mantenere la calma e la testa ben ancorata sulle spalle avrebbe gettato in aria i primi documenti che le fossero capitati tra le mani. Anche se una minima parte di lei avrebbe voluto aprire tutti i cassetti di quel luogo alla ricerca di informazioni utili, chissà se in quella stanza c’era un archivio con le tessere di puzzle mancanti sul caso del suo amico. Eva aveva scoperto circa un anno prima che si trovava all’interno dell’istituto, ma negli archivi a cui aveva accesso lei non era presente nessun Steve Connors. Se fosse morto ci sarebbe stata una cartella clinica al riguardo, invece neanche quella era reperibile in nessun motore di ricerca del Mordessøn. Era come se fosse sparito nel nulla, inghiottito dal silenzio e dalla riservatezza di qualche dipartimento a cui lei non poteva accedere. Aveva visto uno dei due dottori che aveva sentito parlare del suo amico, sparire dietro la porta del quinto piano, per quello si trovava lì quel giorno. A quel punto anche lei aveva un’informazione riservata a suo favore da giocare con estrema cautela. Doveva solo sperare di non farsi vincere dai sentimenti che la legavano a quella ricerca, aveva perso il suo migliore amico in quel mostro di cemento che si arrampicava sinistramente verso il cielo. ”Certo, io non potrei comprendere certi calcoli. Le persone comuni non capiscono le persone come lei…” la sua voce era intrisa di un’ironia tagliente che si riverberava nel suo sguardo accendendolo di una luce cupa. Ancora una volta l’uomo le aveva fatto notare quella scala gerarchica che li separava, permettendosi di aggiungere che neanche sul piano mentale potevano essere paragonabili. Se solo avesse potuto schiaffeggiarlo con la verità in pieno viso lo avrebbe fatto ricredere sul suo valore, ma non doveva crollare sotto la pressione della rabbia che cresceva a dismisura nel suo petto. In quel momento la partita a scacchi che avevano cominciato al quinto piano era a un punto critico, entrambi erano sguarniti di pedoni e si avvicinavano pericolosamente l’uno all’altro con mosse dallo stile sottile. Doveva sferrare un attacco critico per far uscire allo scoperto la difesa nelle retrovie della scacchiera e lei aveva un’idea che poteva funzionare per liberarli da quella situazione scomoda. Si concentrò sull’aria che proveniva dal condotto di areazione per poter utilizzare la propria particolarità, diffondendo un messaggio di evacuazione all’interno dell’istituto. Una volta creata la connessione con la corrente d’aria spostò di nuovo la sua attenzione sull’uomo, doveva aspettare il momento giusto per pronunciare il messaggio che voleva diffondere come un’epidemia nell’edificio. ”E lei di quali informazioni riservate parlava poco fa?” una domanda per rispondere a una domanda, probabilmente lo avrebbe innervosito ancora di più. Aveva notato i gesti compulsivi che si susseguivano dall’inizio della loro conversazione, il tremore alla mano, il movimento continuo della penna. Anche lui come lei nascondeva un fuoco interiore che non poteva mascherare fino in fondo. Eva sapeva che non doveva esagerare con quell’uomo, eppure le sue provocazioni la colpivano più di quanto avrebbero dovuto.
    ”Provi a pensarci per un attimo, se non ci fossero le persone ordinarie coloro che brillano si noterebbero molto di meno, non trova? Eppure idealmente è vero, nessuno dovrebbe essere ordinario…” un frammento di sincerità le sfuggì dalle labbra ancor prima di formulare un pensiero nella sua testa, non doveva cedere proprio in quel momento, c’era in gioco il suo posto di lavoro per la sua avventatezza. Così approfittò di quell’unico istante di calma tra di loro per emettere solo col labiale il messaggio di evacuazione, ma Nikolaj se ne accorse subito. Per la prima volta la voce di lui era incrinata da una venatura di preoccupazione, cosa che lusingò la ragazza perché voleva dire che almeno in parte la riteneva una minaccia. Forse non era tutto perduto, il suo tentativo di scoprire la verità sul destino di Steve poteva riservare ancora delle sorprese.
    ”Niente.” rispose con finta innocenza, dopo aver raccolto la cartellina che le era caduta dalle gambe per colpa dei brividi di freddo che le causava l’uso della sua particolarità. Poggiò i fogli sulla scrivania prima che altri evidenti segnali fisici potessero smascherarla fino in fondo, anche se l’espressione sul volto di Nikolaj dava a pensare che ci fosse ben poco da nascondere. Accadde tutto troppo in fretta per poter reagire. L’uomo si allungò oltre la scrivania afferrandola per i polsi, mantenendo lo sguardo fisso su di lei. Eva si rese conto di cosa stava accadendo troppo tardi, oltre alle lievi scosse che le provocava l’abbassamento della propria temperatura corporea, sentiva qualcosa infiltrarsi sotto la pelle. Filamenti invisibili le solleticavano l’epidermide fino a raggiungerne lo strato basale cercando di cucirsi ad esso. Non riusciva a comprendere quanto fosse reale quella sensazione, si sentiva stordita, i suoi neurotrasmettitori erano in fibrillazione e ogni recettore del suo corpo era proteso a ricevere le informazioni dal cervello, eppure non riusciva a muovere un solo muscolo. Era spaventata dal fatto che fosse in grado di ragionare lucidamente in termini medici, ma che tutta la sua mole corporea non rispondesse. E quindi quella era la famosa particolarità di Nikolaj Mordessøn di cui aveva tanto sentito parlare dai suoi colleghi. Si era fatta soggiogare troppo facilmente, dannazione!
    Tutto d’un tratto il suo corpo iniziò a muoversi sospinto da input sconosciuti, stava seguendo delle coordinate fantasma. Cercò di opporre resistenza mentre si alzava, senza volerlo urtò la sedia su cui era rimasta seduta fino a quel momento, facendola cadere all’indietro. Con quel minimo di lucidità mentale che ancora aveva, decise di rilasciare l’aggancio con le correnti d’aria, non era certa di poter gestire un’impresa così grande con la volontà imbrigliata tra le dita di Nikolaj. Mentre si avvicinava alle grandi vetrate che si estendevano su quasi tutte le pareti, il rumore dei suoi passi risuonava con una cadenza fuori tempo, come quella di una ballerina scoordinata. Osservava il proprio riflesso sui vetri farsi sempre più vicino con dei movimenti sgraziati, la sua resistenza al controllo di Nikolaj giocava brutti scherzi al suo sistema nervoso periferico, pareva quasi che non sapesse camminare. Distolse lo sguardo quando la voce dell’uomo irruppe nel silenzio tra di loro, rimbombando in un modo innaturale nelle sue orecchie. ”Si dice che da questo ufficio si goda della vista più bella in città. Vuole vedere più da vicino?” Eva si ritrovò a fronteggiare la visuale del vuoto sottostante, in lontananza si riconosceva solo l’asfalto trapuntato di minuscole chiazze colorate in movimento. ”*Ngoungoua…” sibilò a fatica tra i denti, oltre al controllo di Nikolaj anche la propria paura aveva iniziato a crearle un tumulto interiore. Il cuore martellava troppo veloce, come un tamburo impazzito e il fiato si faceva sempre più corto. ”A queste altezze le norme vieterebbero l'utilizzo di finestre apribili sa, stronzate da health and safety. Come vede infatti, più che finestre sono specchi nel vuoto ma... ho fatto in modo di averne una un po' diversa, vede? Per far cambiare l'aria o per le occasioni speciali come questa.” Contrastare il suo burattinaio si faceva sempre più difficile, lo osservò mentre apriva la finestra e non poté fare nulla per evitare l’impatto col vento e con la sensazione di vuoto. Involontariamente il suo corpo iniziò a tremare, voleva ritrarsi all’interno, dove la caduta peggiore le avrebbe procurato un semplice livido sulle ginocchia. A quell’altezza il vento era invadente, le faceva lacrimare gli occhi. ”Speciali?” il suo grido si disperse su una Besaid ignara, percorsa da migliaia di frammenti di vita troppo lontani per notarli.
    ”Ora che ho la sua totale attenzione, annulli qualsiasi cosa abbia fatto prima, qualsiasi messaggio abbia mandato. Ha abbastanza corrente d'aria per farlo o ne serve di più?” se fosse uscita di lì viva quell’infame gliel’avrebbe pagata, ma quel pensiero si frantumò nell’istante in cui sentì il proprio busto sporgersi ulteriormente verso il vuoto. ”*Aeha!” Cosa poteva fare per evitare il peggio? Per un istante maledisse la propria particolarità, gliene serviva una più fisica e distruttiva. In quel momento non aveva alternativa, doveva fingere di collaborare con Nikolaj che non aveva idea del fatto che Eva avesse interrotto la connessione col condotto d’areazione già da un po’. Il suo bluff stava diventando più grande di lei, ma non poteva permettersi di perdere l’unico vantaggio che aveva. ”Fatto. Ho ritirato tutto, come mi ha chiesto lei. Ora, mi faccia rientrare SUBITO!” gridò prima di essere catturata di nuovo da quel tremore involontario di paura che nemmeno la volontà di Nikolaj era riuscita ad assoggettare, ora anche lui sapeva che non era così spavalda come si era dimostrata fino a quel momento. Col baricentro sospeso nel vuoto il suo viso si contrasse in una smorfia di terrore che defluì lentamente quando sentì di nuovo il suolo sotto i piedi. Era nuovamente dentro l’ufficio, in piedi accanto a Nikolaj che chiudeva la finestra prima di condurli ancora una volta alla sua scrivania. Eva seguì i fili invisibili che la legavano all’uomo, sistemandosi nella sedia accanto a quella che aveva fatto cadere prima. Il cuore ancora batteva forte, il sangue irrorava parti del suo corpo che in altri momenti nemmeno ricordava di avere. ”Perdoni il teatrino ma credo che a volte le persone abbiano bisogno di essere persuase a fare la cosa giusta. Ha annullato il messaggio?” La ragazza annuì col capo, non riusciva più a distinguere se i brividi che le scuotevano la schiena erano per il rientro della sua particolarità o se era ancora spaventata a morte. Morte una parola che avrebbe dovuto tenere in conto prima di avventurarsi al quinto piano senza un piano veramente efficace. ”Ho cancellato tutto…” sussurrò l’istante prima che le sue stesse mani andassero a chiudersi attorno alla propria gola. Non era in grado di fermare le sue dita che premevano sulla pelle lasciando un segno rossastro all’altezza della carotide. Eva cercò disperatamente di riprendere il comando di se stessa invano, la sua mente lucida era un terzo incomodo tra il suo corpo e Nikolaj. Inesorabilmente la pressione delle proprie dita si fece più forte, rendendole difficile respirare. Si sentiva come una bambola mossa dalla fantasia di un bambino crudele e capriccioso. Doveva trovare il modo di liberarsi dal giogo di Nikolaj, ma era così difficile pensare con l’ossigeno dimezzato eppure… eppure aveva un’idea. Doveva fare un ultimo sforzo che le avrebbe permesso di riguadagnare la propria libertà. ”La verità? La verità è che… non solo mi ha sottratto la… volontà… ma anche una persona… cara.” faceva fatica a parlare, doveva interrompersi spesso per riprendere fiato. A quelle condizioni non era certa che sarebbe riuscita a compiere ciò che aveva in mente, ma doveva almeno provarci, se non era per se stessa lo doveva a Steve. Con l’aiuto dell’adrenalina che le scorreva prepotentemente nelle vene, riuscì a connettersi per la seconda volta con l’aria dell’impianto di areazione. Le serviva un minuscolo soffio d’aria per disturbare la concentrazione di Nikolaj, le sarebbe bastato persino il proprio respiro per trasportare il suo messaggio, ma era troppo vicina all’apnea per tentare. Allora aprì appena la bocca emettendo un suono lievissimo, giusto accennato, non riuscì a fare di più. Lasciò che quel suono riempisse la stanza a un volume aumentato pari all’emissione dell’aria condizionata che fluiva nell’ufficio. Uno spasmo per il freddo sotto la pelle la fece ripiegare su se stessa, ma non smise di impiegare la sua particolarità. Quel grido fastidioso che riempiva l’atmosfera avrebbe messo a dura prova anche le persone dai nervi più saldi. Entrambi erano piuttosto provati. Eva iniziava a sentire troppo il freddo sottocutaneo per continuare, così si lasciò cadere con la schiena contro la sedia e molto lentamente le sue mani lasciarono la presa sul proprio collo. Tossì ripetutamente mentre il suo corpo si riossigenava, riuscì a portare entrambe le mani a coprire la bocca con sua grande sorpresa. In quel momento avrebbe voluto essere nell’ala ospedaliera del ventesimo piano per prepararsi una tisana bollente che aveva creato lei stessa per lenire gli effetti dell’uso prolungato della sua particolarità. Era a ventisette piani di distanza dal suo porto sicuro ed era certa che non vi avrebbe fatto rientro ancora per molto. Si strinse nelle proprie braccia quando un altro spasmo per il freddo le attraversò la spina dorsale, cercò di creare un po’ di calore sfregando le mani in vari punti sperando che servisse a qualcosa. Sollevò lo sguardo su Nikolaj, non gli avrebbe mai più permesso di sfiorarla nemmeno con un dito, c’era una luce minacciosa nei suoi occhi scuri. ”Ha giocato a fare Dio con me per qualche minuto, è stato divertente?” domandò coi denti che iniziavano a battere in un movimento automatico, si era appena salvata da una morte indecorosa, sperava di non scivolare in una collaterale per ipotermia. ”Voleva la verità, non è vero? Eccola servita…” si sporse leggermente verso la scrivania tenendo ancora le braccia strette attorno al proprio corpo per creare calore. ”Io so di un vostro paziente che è stato per certo ricoverato qui circa un anno fa, ma cercando sui database non c’è alcuna notizia di questa persona. Pare che sia sparito nel nulla proprio qui, lui era un mio amico…” nessuna menzogna stavolta, nessuna mossa calcolata, solo la verità senza veli. Eva fissò il suo sguardo in quello di Nikolaj con una certa diffidenza, temeva le conseguenze di tutto ciò che era avvenuto in quella stanza. Nonostante fosse furibonda per quella pantomima, sapeva di essere svantaggiata sul piano fisico momentaneamente, finché non si fosse ripresa non poteva permettersi alcun tipo di azzardo.
    ’Non trova che per essere all’inferno faccia troppo freddo qui dentro?’ solo un pensiero a cui non avrebbe mai dato voce.

    *Ngoungoua: Idiota in lingua Maori
    *Aeha: Oddio in lingua Maori


    Edited by Aruna Divya - 27/6/2020, 09:42
     
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    Non si stancava, si chiedevano in molti, a fare sempre la parte dello stronzo senza cuore? In fondo era un lavoro a tempo pieno, dalle prime luci dell'alba all'ultimo istante prima di perdere conoscenza. Cristo, persino nei sogni a Nikolaj era rilegato il ruolo del cattivo. Niente vacanze, solo straordinari sottopagati e la tredicesima era una leggenda metropolitana, tutti ne parlano ma nessuno la vede. C'è chi si scambia il buongiorno e la buonanotte, e poi c'era lui, che si diceva avesse solo il diavolo a cui far arrivare il proprio pensiero, con messe nere piuttosto che messaggi. Queste erano solo alcune delle voci che, girando su di lui da tempo, erano arrivate a mescolarsi alla sua persona come un'altra ombra, più grande, scura e profonda dell'originale. Se è vero che dietro ogni storia c'è un fondo di verità, quella del giovane Mordersønn doveva essere un maledetto film horror.
    I sussurri lo accompagnavano da quando aveva ricordo e per anni gli era sembrato di non sentire altro, sopratutto durante l'infanzia e l'adolescenza. Sibili e mormorii incastonati fra scapole non interamente sue, proiettili di opinioni, pensieri e paure che miravano a sfiorare le orecchie dei gemelli non con l'intento di uccidere ma, in quel modo le malelingue placavano la loro coscienza, solo ferire gravemente. Perché che divertimento c'era a sparlare di qualcuno da morto? Jakob, che per carattere e costituzione era il soggetto più favorevole a lasciarsi scalfire, si rivelò essere anche quello più incline a lasciar perdere e a proseguire con la sua vita. Dal canto suo Nikolaj non piangeva, niente perché e per come, non ne parlava neanche se è per questo, rendendosi conto solo molti anni dopo di quanto invece si fosse lasciato inquinare da quei commenti, finendo per giunta con il diventare ciò che lo accusavano di essere. Un mostro. C'era dell'ironia in quella faccenda, spregevole certo, ma pur sempre ironia. Li avevano chiamati alieni, obbrobri e ibridi mutaforma, come se al loro corpo grottesco dovesse corrispondere un'interiorità altrettanto deforme, malata, ripugnante. Ma Jakob...Non c'era un briciolo di cattiveria o malizia in quel dna altrimenti compromesso e, se solo avessero avuto il coraggio di fronteggiarlo invece che respirare cattiverie alle sue spalle, tutti avrebbero visto la verità dietro la facciata di cartapesta. La cosa che ha dell'incredibile è che anche il Nikolaj appena nato era simile al gemello in aspetti che esulavano dalla fisionomia per lo più identica. Lo avevano accusato di essere qualcosa di pericoloso quando era solo un bambino innocente, qualcosa da cui tenersi alla larga. E ora che con la forza si era preso l'aspetto che tanto desiderava, quell'apparenzanormale di cui rivendicava diritto, Nikolaj non era mai stato più mostro di così. Divertente, no? Ah ah ah.
    Non si stancava mai, dunque? La risposta era no. Come ci si può stufare d'essere sé stessi? Insieme al gemello, Nikolaj aveva seppellito il sé di prima e non era mai tornato indietro.
    Ed eccolo lì, Nikolaj, seduto alla scrivania con l'accumulo di voci sul suo conto addensate sotto le suole, nell'ombra nera più del vuoto. Il confine tra lui e loro era diventato talmente sottile da quasi annullarsi, il buio ormai confuso con le scarpe tirate a lucido e i pantaloni stirati.
    Avrebbe dovuto temere, Eva, quello che aveva di fronte. Più tenebra che uomo.
    E invece no, la dottoressa sembrava voler andare contro corrente mentre decideva di risponde a tono, lo sguardo che non si abbassava neanche di un millimetro. Era nervosa, lo capiva dal modo in cui giocava col bordo rigido della cartellina, ma nonostante tutto manteneva un'aria decisa. "Forse desidera morire." Pensò, il pollice che tormentava ancora l'ingranaggio meccanico della penna. Dentro, fuori, dentro fuori. Avrebbe potuto piantarle la punta nel collo, nella giugulare, e cari saluti a tutti. Invece Nikolaj inspirò dalle narici allargate, mentre il convulso rumore del suo nervosismo smetteva per un secondo, lasciando spazio al solo suono della sua voce. " Sono molte cose, Miss Nguyen, fuorché un uomo qualunque." Il tic riprese e per un po' fu l'unica cosa udibile al di fuori dei loro respiri, rivelandosi alla stregua di un chiasso infernale in quel silenzio da obitorio. Soppesò con occhi glaciali la donna di fronte a lui, cercando in lei qualcosa di più dell'esserino minuscolo che vedeva attraverso le lenti distorte, ingranaggi alterati con cui da sempre analizzava e giudicava il circostante. Non c'era niente in lei che gli suscitasse altro che stizza, qualche nervo palpitante e un principio di emicrania. Chi era quella donna che aveva il coraggio di insultarlo proprio lì, nel suo regno? Non lo sapeva quanto grosso stesse rischiando? Effettivamente no, altrimenti non avrebbe deciso di sgattaiolare nei sotterranei, affrontarlo e mentirgli, rovinando così la sua giornata. Lo dubitava, ma se avesse dovuto annullare l'impegno del pranzo per quello beh, Eva Nguyen sarebbe stata in guai davvero grossi. Ignorò la domanda scacciandola con un gesto della mano, mentre il corpo si faceva all'indietro e la schiena aderiva alla poltrona ergonomica, per poi aprire le labbra in un mezzo sorriso decisamente poco amichevole. A riguardo disse solamente qualcosa di sprezzante che suonò come una minaccia vagamente anticipatoria. "Sono, appunto, riservate. Come la prognosi di un'autopsia, ha presente?"
    Per un attimo quel cambiamento nella fisionomia sembrò aleggiare nell'aria, persino la penna aveva smesso di nuovo di cliccare. "I ringraziamenti sono d'obbligo allora." Iniziò, con quel sorriso più largo e sempre meno tranquillo. "Grazie d'essere così mediocremente comune. Brillo più del sole, sono la dannata stella polare di questo spiacevole microcosmo che si è venuto a creare in questa stanza." Si estinse, grazie al cielo, la cosa sformata che aveva sul viso a mo' di sorriso.
    Un pizzico di preoccupazione e tanto fastidio, queste le emozioni che divoravano il giovane uomo benché esteriormente nulla di tutto ciò trasparisse, a parte a ruga d'irritazione che si era andata a creare nell'esatto centro dell'arco sopracciliare. Per il resto, l'impassibile staticità che regnava sul suo volto poteva indurre a far credere che non provasse nulla, perché non si poteva di certo dire che Nikolaj facesse sfoggio di grandi dimostrazione emotive. Mai, a parte quando usava, e ora era fin troppo sobrio. Manteneva invece un'aria distaccata per la maggior parte del tempo, condita da un cipiglio che lo faceva sembrare sempre leggermente imbronciato. Non era quindi inusuale vederlo aggirarsi per i corridoi dell'istituto come un soldato in marcia, i rapidi passi che si susseguivano senza produrre alcun rumore, quasi come se non toccassero mai davvero il suolo. A dispetto della apparenze però, in quel momento aveva i nervi a fior di pelle e sapeva che, suo malgrado, chiunque con un minimo spirito d'osservazione l'avrebbe notato.
    Quello che accadde dopo avrebbe segnato uno dei paragrafi più ignobili della sua vita, un punto da cui chiunque non si sarebbe più rialzato. Ma Nikolaj l'aveva detto, non era una persona qualunque, e la bassezza della sua anima era direttamente proporzionale ai quarantasette piano del suo impero.
    Per tutto il tempo di quei soprusi, Nikolaj avvertì la presenza del gemello come non gli succedeva da quasi una decade. Era con lui quando spinse la testa della donna fuori dalla finestra, quando la fece penzolare strattonandola senza riguardo alcuno; era con lui in ogni parola, in ogni sillaba di minaccia, era tra i fili invisibili che dalle mani dell'uomo strangolavano Eva. Lo sentiva respirare sul collo e insinuarsi fra i capelli, giudicandolo, e per tutto il tempo Nikolaj ignorò quel dolore, non ascoltando la parte più umana di sé riuscì a spegnere ogni dubbio che lo voleva succube, alla mercé di quella donna inutile. Tutto quello ciò che della sua coscienza gli rimase addosso fu del sudore dietro al collo, ghiacciato come il vento appiccicato sulle mani. Non le avrebbe permesso di rovinare tutto, e non avrebbe smesso prima di ricevere la verità. A dispetto della sua parole e nonostante la confessione, Nikolaj avrebbe finito con l'ucciderla perché, ahimè, non era mai stato bravo a dirsi basta. Ma qualcosa si frappose tra lui e quell'intento, un suono dissimile da qualsiasi cosa avesse mai udito, scambiato prima per sussurro e divenuto presto grido. Senza più concentrazione e con la testa spaccata in due dall'urlo fu costretto a lasciare la presa, gli artigli da burattinaio tornarono normali dita premute sulle orecchie. Non era tanto la confessione ad averlo destabilizzato - una vita in più o una in meno non significava nulla per lui - piuttosto la potenza di quella particolarità che, doveva ammetterlo, aveva da principio sottovalutato. Con le orecchie tintinnanti, per lo sforzo e la potenza delle sue azioni Nikolaj aveva perso il solito aspetto e in quel momento, con gli occhi sbarrati, il fiato corto e un ciuffo di capelli sfuggito sulla fronte, appariva vagamente scosso. La ascoltò mentre riprendeva fiato, prostrato da quel potere che raramente spingeva così oltre, i nervi a fior di pelle e le dita strette al bordo della scrivania.
    In quel momento fu come venir catapultato all'indietro, fuori dall'ufficio, dalla torre d'argento, dal presente e in un passato remoto da tempo dimenticato.


    Difetti. Oh quanti difetti in un unico corpo. Osservava, un accenno di disgusto ad increspargli le labbra, il profilo di quelle grandi mani che tutto si erano lasciate sfuggire. Felicità, famiglia, amore. Quelle mani all'apparenza così forti ma così deboli non erano riuscite a tenersi stretto l'unica cosa davvero importante. Il suo corpo, quel corpo che si rifletteva nello specchio sottile davanti al quale l'uomo si era alzato e ora sostava, tacito lettore di una storia impressa sulla pelle. Quel corpo maschera di sé stesso, il lato destro da statua, quello sinistro bambola rattoppata. La pelle raggrinzita e increspata faceva da background ad una lunga cicatrice che correva dall'osso dell'anca alla spalla, faida californiana tra Niko e un sé stesso che era morto insieme al gemello. I polpastrelli sfiorarono quei bordi raccapriccianti che conosceva come le sue tasche, unico ricordo materiale che aveva di Jakob. Aveva bruciato tutto ciò che gli apparteneva non appena si era rimesso in sesto. Era scappato dall'ospedale una notte estiva di luna piena, una di quelle in cui le cicale non si zittiscono mai e l'aria è tiepida come se ci fosse ancora il sole a scaldarla. Se qualcuno fosse stato affacciato da una finestra avrebbe giurato di vedere un essere mostruoso ricurvo in avanti zoppicare e anche caminare con l'aiuto delle mani. Un lupo mannaro in cerca di bambini da mandare giù, avrebbero detto i superstiziosi. In realtà Nikolaj faceva ancora fatica a camminare eretto senza l'aiuto di Jakob, il suo bilanciere di fiducia. In piena terapia riabilitativa si rifiutava di accettare una vita senza il fratello e quindi si rifiutava di impegnarsi per una buona ripresa. Quella notte Nikolaj era andato a casa sua e aveva distrutto tutto ciò che poteva, bruciando i modellini di macchine che Jakob aveva collezionato con così tanta cura. Quella era stata l'unica volta in cui aveva pianto tutto le sue lacrime, urlando come una belva impazzita mentre i genitori, svegliati dai rumori e dal fumo, non avevano chiamato la polizia ed era stato immobilizzato al suolo. Lynn urlava mentre i vigili del fuoco cercavano di domare l'incendio in quella piccola camera da letto che Jacob e Niko avevano condiviso per tutta una vita. Lui, con la guancia schiacciata sul pavimento ed il ginocchio del poliziotto puntato fra le sue scapole, osservava le fiamme lambire la scrivania a due sedie e ognuno di quei libri ridursi in cenere, così come cenere era la sua esistenza.


    ”Io so di un vostro paziente che è stato per certo ricoverato qui circa un anno fa, ma cercando sui database non c’è alcuna notizia di questa persona. Pare che sia sparito nel nulla proprio qui, lui era un mio amico…”
    Di nuovo il suono di quella voce che, da indifferente, gli risultava ora inascoltabile. Se non altro servì a riportarlo al presente, mentre lo sguardo vitreo tornava lucido, a fuoco su Eva come a volersi imprimersi sulla sua pelle.
    La odiava come aveva odiato mille altre persone, ma in quel momento gli sembrava di non aver mai provato un astio del genere. Non solo aveva cercato di rovesciare il suo mondo, si era anche azzardata a renderlo vulnerabile. E questo non poteva proprio sopportarlo.
    Finalmente, Nikolaj si riscosse. Lasciò andare la presa e lentamente riportò con due dita il ciuffo di capelli indietro, con gli altri, incasellato dove doveva essere. Con le mani lisciò la giacca, scacciando pieghe o briciole invisibili per ritrovare piuttosto il contegno, per un attimo perduto.
    Alzò la cornetta del telefono cliccando con l'indice un solo e unico tasto, il sei, per poi portare la cornetta all'orecchio. Ogni gesto era ora di nuovo lento e misurato, ogni traccia del precedente sfogo senza controllo era sparita. Come se non fosse mai esistita. "Gamma." Quella fu l'unica parola che disse prima di riattaccare, l'unica che contasse davvero. Aveva ottenuto ciò che voleva e ora avrebbe tracciato la parola fine su Eva Nguyen. "Il brutto della ossessioni è che non finiscono mai bene. Non ne valeva davvero la pena, mi creda. Le consiglio di dimenticarsi del suo amico. Ah, pessima battuta." In quel momento la porta dell'ufficio si aprì e due uomini entrarono nella stanza. Uno di essi indossava un camicie da medico, l'altro era una guardia che la immobilizzò per le spalle ancora tremanti. Allora Nikolaj si alzò dalla sedia allargandosi il colletto della camicia mentre girava intorno al tavolo, per farsi di fronte a lei. "Sono tutti così fissati con questo Dio." Quella parola gli faceva accapponare la pelle. Si piegò sulla sedia, l'alta statura ridotta a una metà nodosa, le mani strette ai braccioli della sedia di Eva. Quando l'ago della siringa forò il collo teso di Eva, l'uomo era talmente vicino da sentirne il respiro sulla faccia. "Non sono un uomo di fede ma, se dovesse esistere qualcosa di vagamente simile, perché limitarsi a giocare? No, io punterei a diventare, un Dio."
    Si tirò su mentre gli occhi della donna cominciavano a chiudersi per via del sedativo. "Toglietemela dalla vista." Impartì con un gesto brusco della mano, come se stesse scacciando una mosca piuttosto che un essere umano. Li lasciò trasportare il corpo inerme della dottoressa fuori dal suo ufficio, loro avrebbero saputo cosa farne di lei. Le avrebbero cancellato la memoria ma senza ridurla ad una ameba. No, quello sarebbe stato un premio, la fine di ogni sofferenza per lei. No, avrebbe pensato a qualcos'altro, qualcosa di più che una semplice punizione.
    Assurdo come lui, da miscredente, in quel momento si sentisse in effetti una vera divinità. E, come un Dio capriccioso, avrebbe fatto in modo che quella seccatura sparisse.
    Come se non fosse mai esistita.
     
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