Stars can only shine when there is darkness

Julian & Helen | Tarda serata

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +5   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Naomi

    Group
    Member
    Posts
    9,517
    Reputation
    +149

    Status
    Offline

    Julian Holt ➸ Psicocinesi ➸ Sheet

    A volte le clienti non riuscivano a "stare al gioco" e finivano per volere da me più di quanto intendessi dare loro. E ciò che davo loro era tanto, troppo, oserei. Erika era una di queste. Faceva l'insegnante, non era bellissima, ma ammiravo la sua personalità. Era brillante, estroversa, affabile, sapeva stare tra la gente e, quando eravamo insieme, era una delle poche che non mi faceva sentire un oggetto. Però era anche single e desiderosa di un uomo accanto, voleva innamorarsi, il sesso e la compagnia di un uomo a pagamento iniziavano a starle stretti e io, nel profondo, la comprendevo, potevo capire quella sua necessità, ma, allo stesso tempo, non potevo fare niente per lei. Ero il suo amante e questo sarei stato fino a che avesse voluto, o fino a che i suoi sentimenti non sarebbero divenuti ingombranti, fastidiosi, un ostacolo a quel che c'era tra noi in quel momento.
    "Adesso basta, devo andare" dissi, in modo forse un po' brusco, prima di alzarmi dal letto e recuperare i miei vestiti. Erika non disse nulla, ma sapevo che, il tempo di chiudermi la porta del bagno alle spalle, l'avrei sentita singhiozzare. Non ero fiero di me, quando succedeva, non mi piaceva essere la ragione della sua sofferenza, ma ero stato chiaro con lei, in principio, come con tutte, d'altronde: nel tempo che avremmo trascorso insieme sarei stato tutto ciò che più desiderava, avrei soddisfatto ogni sua voglia, avrebbe dovuto soltanto chiedere, ma non ci sarebbe stato altro che sesso, tra di noi, innamorarsi non era un'opzione. Erika, invece, si stava innamorando.
    Uscii dal bagno completamente vestito, ma con la cravatta stretta nella mano destra. Non l'avrei indossata, non serviva più, nemmeno a bendarla. Lei era ancora tra le lenzuola, di spalle, chiusa in un silenzio che racchiudeva dolore, lacrime versate, delusione, cose che non riuscivo a sopportare. Iniziava a mancarmi l'aria. La salutai, ma non rispose.
    Quando lasciai il suo appartamento e raggiunsi la strada, fu come emergere dopo una lunga apnea. Mi fiondai in macchina e premetti l'acceleratore più forte del solito, desideroso di raggiungere casa mia e fare subito una doccia. Restai sotto il getto tiepido a lungo, poi mi avvolsi l'asciugamano in vita e tornai in camera da letto. Il bicchiere di whiskey era già lì che mi aspettava. Buttai giù un sorso, poi mi sfilai l'asciugamano, recuperai un paio di boxer e li indossai. Non sarei rimasto a casa, nonostante fosse piuttosto tardi. Starmene da solo non mi dispiaceva, tutt'altro, ma quella sera il silenzio intorno a me era più assordante che se mi fossi trovato in una discoteca. Tanto valeva uscire.
    Indossai un paio di jeans e un maglioncino, misi su il giubbotto e tornai in macchina. Per un momento, avrei tanto voluto sentirmi come un tempo, un ragazzo qualunque con una vita qualunque, lo desiderai fortemente, mentre mi rimettevo al volante per andare chissà dove, ma la realtà era di fronte a me con la sua pesante sentenza: non sarei più stato un ragazzo qualunque, non avrei mai più avuto una vita qualunque. Il passato era un macigno, il dolore sempre lì, da qualche parte, pronto a riemergere e a condurmi con sé nell'abisso.
    Girai a vuoto per quasi un'ora, poi, senza nemmeno accorgermene, mi ritrovai di fronte l'insegna dell'Egon Pub. Ci ero già stato un paio di volte, per lavoro, era un bel posto, ma sempre molto affollato. Anche quella sera, infatti, era pieno di avventori, così pieno che riuscii a stento a ordinare una birra alla spina e a sedermi all'ultimo tavolo ancora libero.
    Stavo per bere il primo sorso, quando il cellulare, che avevo adagiato sul ripiano di legno, vibrò. Lessi il messaggio di Erika e serrai la mascella. Non poteva continuare, l'indomani le avrei parlato. Sarebbe finita e lo aveva voluto lei.
     
    .
  2.     +5   +1   -1
     
    .
    Avatar

    ~ Crazy as the life ~

    Group
    Member
    Posts
    380
    Reputation
    +207

    Status
    Offline
    Stava correndo. Non sapeva dove si trovasse e neanche perché era lì. Tutto intorno a lei, era di un bianco accecante, quasi doloroso alla vista. Continuava a correre, ma non sentiva la stanchezza e sembrava non avvicinarsi mai a niente. Tutto era identico e non riusciva a capire, perché non riusciva a fermarsi.
    Ad un tratto vide un precipizio, la fine di quella distesa bianca infinita. Non riusciva a fermarsi, non riusciva a urlare, era immobile contro la sua mente, che lavorava da sola. Precipitò all’improvviso in un nero profondo e neanche lì riuscì ad urlare.

    Si svegliò nel cuore della notte con il fiatone e per un attimo, non riuscì a capire dove fosse. Si toccò il cuore, le era sicuramente uscito dal petto e era scappato a nascondersi da qualche parte. Era nella sua stanza e tra poche ore, sarebbe stata l’alba. Provò a riaddormentarsi, ma non ci fu nulla fare. Le capitava spesso di fare quell’incubo, non capiva perché, ma era sempre lo stesso ogni volta. Non ne aveva parlato con nessuno, neanche con Archer, che per lei era come un padre, ma alla fine non ci dava troppo peso. Era un incubo, nulla di più, non poteva farle del male oppure no?

    Quella giornata, era passata abbastanza in fretta. Aveva aiutato Archer con il B&B, aveva iniziato un nuovo dipinto, questa volta un ritratto del suo pappagallo e aveva fatto una breve camminata al parco. Ora era nella sua stanza e aveva appena finito di farsi la doccia. Si era vestita con la divisa dell’Egon, il pub più cool e famoso di Besaid, dove predominava il nero. Maglietta a maniche corte nera, con la scritta del locale, jeans neri un po’ strappati alle ginocchia, la sua solita cintura oro e delle vans nere. Non poteva indossare altri colori e tutti dovevano essere uguali, a lei non dispiaceva, i colori sgargianti non le erano mai piaciuti.
    Si fece una treccia al lato destro della testa, ben curata e precisa, mentre si truccò leggermente, non le piacevano i mascheroni. Tutto era abbellito da un rossetto rosso scuro, doveva pur dare un tocco di colore a tutto quel nero, no?
    Era arrivata all’Egon, dove lavorava da qualche mese ormai, che erano quasi le nove di sera, puntualissima. Non era bravissima nel suo lavoro, ma doveva ancora imparare, per fortuna aveva dei colleghi di lavoro molto carini e sempre pronti ad aiutarla. Si mise il suo grembiule da barista e iniziò la sua lunga e interminabile serata al pub. Quello che doveva fare era, servire ai tavoli e preparare drink, ma sulla seconda cosa, ancora doveva lavorarci. La serata era andata come sempre, alla fine aveva fatto il suo lavoro e tutto sembrava andare bene. Quella sera però c’era davvero un sacco di gente, ce ne erano sempre tante, ma il flusso di persone che usciva e entrava era impressionante. Mancavano dieci minuti alle 2:00 e sarebbe andata a casa, non era stanca stranamente quella sera e non sarebbe andata a letto subito. Forse, perché aveva paura di riaddormentarsi, come faceva la notte dopo aver avuto un incubo. La paura, che potesse ricapitare e di nuovo rifarsi le stesse domande, senza risposta, la metteva nello stato di allerta continua.
    All’improvviso notò un uomo, che doveva avere praticamente la sua età, tutto solo a bere una birra, in un tavolino in fondo alla sala. Era un uomo affascinante e con un certo portamento, se ne stava tra le sue e aveva il cellulare in mano, ma dato che non aveva ancora finito il suo lavoro, andò da lui. Le sembrava una persona già vista, magari lo aveva incrociato per strada e non se lo ricordava.
    Buonasera, io sto per staccare il turno, ma volevo chiederle, se aveva bisogno di qualcos’altro! chiese gentilmente, ma solo perché era in servizio. Normalmente, non sarebbe mai andata da un ragazzo di sua spontanea volontà, non era da lei e non le sarebbe importato di fare amicizia.
    Problemi di cuore? chiese poi, vedendolo un po’ corrucciato e se ne pentì subito. Era una stupida, che le importava a lei come mai stava così, non erano affari suoi. Sperava che non si sarebbe arrabbiato con lei, per la sua poca delicatezza.
     
    .
  3.     +4   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Naomi

    Group
    Member
    Posts
    9,517
    Reputation
    +149

    Status
    Offline

    Julian Holt ➸ Psicocinesi ➸ Sheet

    Decisi di non rispondere a quel messaggio, né ai successivi.
    Erika non lo faceva di proposito, ne ero consapevole, ma, allo stesso tempo, con quei suoi "ti amo", "ormai non faccio che pensare a te anche quando non dovrei", "dimmi che c'è una possibilità per noi", non faceva che complicare tutto, mettendomi tremendamente a disagio. E io non volevo sentirmi così, io detestavo sentirmi così. Non ero fatto per l'amore. Ero stato innamorato e poi, quando tutto era finito - e nel più orribile dei modi - mi ero ritrovato solo, col cuore spezzato, ad annaspare cercando di restare a galla, sebbene tante volte avessi perfino desiderato di lasciarmi andare giù, di restarci per sempre.
    Linda non c'era più, non esisteva più, e nessun'altra donna avrebbe più preso il suo posto, nemmeno se si trattava di una persona piacevole, in gamba come Erika. Perché io non riuscivo a immaginarmela una storia d'amore, era assurda nei miei pensieri, soprattutto da quando il ragazzo perbene di Bergen aveva lasciato il posto all'algido escort che non sentiva nulla, che non provava né piacere né sentimenti. Ero freddo, intangibile, indifferente a tutto, se non al denaro, all'alcol e alla droga.
    Non ero un uomo da avere accanto, solo un bel tizio da scopare. Erika, però, non conosceva la parte di me che viveva nelle tenebre. Per lei ero il principe azzurro, perché era così che mi mostravo per lavoro... Niente di più falso! L'uomo che lei sognava, semplicemente non esisteva, era solo un personaggio da interpretare. Se avesse conosciuto il vero me, non si sarebbe mai innamorata. Forse avrei fatto bene a mostrarglielo...
    Buonasera, io sto per staccare il turno, ma volevo chiederle, se aveva bisogno di qualcos’altro! Una voce femminile giunse alle mie orecchie mentre, alla quarta birra della serata, guardavo oltre la vetrina immerso in quei pensieri molesti. Tornai al presente con un tonfo, e questo mi innervosì. Avevo bevuto a casa mia, avevo strabevuto al pub. Ero ubriaco e, come se non bastasse, avevo anche perso la cognizione del tempo.
    Mi guardai intorno come se mi fossi appena risvegliato da uno stato di trance e, in seguito, lanciai un'occhiata al quadrante del Rolex: erano quasi le due di notte. "Oh. Sì. Le chiedo scusa. Non mi ero accorto dell'ora..." dissi, ancora scosso, prima di sollevare lo sguardo e dare un volto a quella voce. Nonostante l'approccio un po' brusco, la sua voce era dolce, e l'espressione del viso gentile. Sembrava piuttosto alta, era magra ma non troppo, aveva i capelli biondi raccolti in una treccia laterale e indossava la maglietta nera dello staff dell'Egon.
    Problemi di cuore? chiese, di colpo, e io aggrottai la fronte. Cosa? Poi pensai al cellulare che avevo ancora in mano, che avevo fissato per quasi tutta la sera e realizzai. "Per avere problemi di cuore bisognerebbe possedere un cuore" le risposi, monocorde, mentre rimettevo il telefono al suo posto, dove sarebbe dovuto restare, se non avessi ricevuto quei messaggi. Poi sospirai. "A ogni modo, no, non ho bisogno di altro" aggiunsi, e le porsi il boccale vuoto che, pensai, intendesse portare via. Nel farlo, mi rimisi in piedi, ma l'alcol che avevo in corpo - e in testa - mi fece barcollare, quindi allungai, d'istinto, una mano verso di lei, in cerca di un appiglio.
     
    .
  4.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    ~ Crazy as the life ~

    Group
    Member
    Posts
    380
    Reputation
    +207

    Status
    Offline
    Helen non amava farsi gli affari degli altri, era sempre stata una ragazza solitaria e che non dava molta confidenza. Il lavoro l’aveva portata per forza, a dover combattere quel suo lato e dover cambiare -almeno per quelle ore- un po’ il suo approccio con le persone. Cercava di sorridere di più e magari di essere meno scorbutica. A vederla non si direbbe, una così bella ragazza e giovane, che aveva ancora tutta una vita davanti, perché mai avrebbe dovuto buttarla via a stare da sola. Nessuno però la capiva davvero, si sentiva spesso come un libro in mezzo a tanti altri, appoggiato su uno scaffale e che nessuno avrebbe mai letto. Era anche vero, che lei ci metteva del suo, per non far avvicinare nessuno nella sua vita, ma un giorno avrebbe dovuto farlo no? Avrebbe dovuto lasciarsi andare, magari farsi amare e amare di conseguenza.
    Oh. Sì. Le chiedo scusa. Non mi ero accorto dell'ora... in fin dei conti, non era poi così tanto tardi, c’era gente che girava per strada ancora verso le cinque del mattino, lui poteva rimanere quanto voleva.
    Era sbronzo, si poteva notare da come le parlava, ma anche da tutti bicchieri di birra, che si era bevuto. Le cose erano due: 1 aveva passato una brutta serata e voleva dimenticare qualcosa, almeno per quelle ore; 2 gli piaceva bere e non sapeva come fermarsi.
    Non volevo farla scomodare, può rimanere quanto vuole, il locale rimane aperto fino a tardi disse, mentre prendeva con le mani nude i bicchieri vuoti e li metteva sopra un vassoio, che aveva appoggiato sopra il tavolo, da portare via. Quella sera, non si era massa i suoi soliti guanti, era stata affidata alle pulizie e a fare qualche drink veloce e facile, non avrebbe avuto contatto con persone esterne e questo la rassicurava.
    Per avere problemi di cuore bisognerebbe possedere un cuore rispose lui, alla sua domanda inopportuna di poco prima, molto tranquillamente. Aveva messo via il telefono e sembrava quasi scocciato, come se gli fosse arrivato un messaggio non desiderato. Helen non ne sapeva molto di questioni di cuore, avrebbe potuto avere fino a un anno prima, un fidanzato e non ricordarlo, oppure anche nella sua precedere vita, era una persona solitaria e senza speranza. Non le interessava l’amore, o almeno così pensava, magari avrebbe cambiato idea, se avesse conosciuto la persona giusta. Ma la vera domanda era: esisteva?
    Si diceva che al mondo ognuno avesse la propria anima gemella, Helen se l’aveva era ben nascosta, in qualche angolo remoto del mondo.
    Tutti abbiamo un cuore, solo che alcune persone, lo hanno nascosto più in profondità, per non farsi di nuovo del male disse forse più a se stessa, che a lui. Si rispecchiava molto in quello, che aveva detto, il suo cuore era talmente in profondità, che neanche gli archeologhi lo avrebbero ritrovato facilmente.
    Poi biascicò qualcosa del tipo, non mi serve nulla non starmi tra i piedi e si alzò di scatto. L’alcool in circolo però, gli fece perdere l’equilibrio e si appoggiò totalmente a Helen, che lo prese. Lui era molto più pesante di lei e non riuscì a reggerlo, la trascinò con se sul divanetto. Erano seduti entrambi, vicini e lo guardò, ma non realizzò subito l’accaduto, tranne quando fu troppo tardi.
    Dovrebbe stare più attento, con l’alcool non si... stava per dire quasi ridendo, ma si bloccò subito.
    Le mani di lui, erano sulle sue braccia nude e come un flashback vide, un pezzo del suo passato.

    Era una sera come tante e stavano dormendo lui e sua moglie, abbracciati e felici. Poi ad un tratto sentì dei rumori e andò a vedere, non vide nessuno, ma mentre tornava in casa, i ladri lo presero e lo lasciarono a terra privo di sensi, pensando che fosse morto. Quando si svegliò e di corsa andò dalla moglie, lei era morta in una pozza di sangue. L’avevano uccisa squarciandole il ventre e lui non aveva potuto fare nulla. Un dolore straziante, che si era portato dietro in tutti quegli anni...

    Si ritrasse di scatto da lui, quasi ansimando e chiuse gli occhi, per la paura di avergli fatto del male o forse per quello che aveva visto. Quella volta era stato diverso, aveva sentito vedendo la scena il dolore di lui, come se fosse stato suo. Il dolore per la perdita della moglie e il senso di colpa, quell’uomo doveva essere distrutto.
    Lo guardò, senza sapere che cosa dire, le mani le tremavano e aveva la fronte sudata.
    Io...forse dovrei andare disse mentre si stava per alzare. Non poteva rimanere, aveva visto la parte più dolorosa del suo passato senza volerlo, come poteva un uomo sopravvivere a quello? Una persona come poteva sopravvivere a tale dolore? Era proprio vero, che le persone più solitarie, erano quelle che avevano sofferto di più.
     
    .
  5.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Naomi

    Group
    Member
    Posts
    9,517
    Reputation
    +149

    Status
    Offline
    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [accenno ad abuso di droghe pesanti, utilizzo di linguaggio forte, depressione, pensieri autolesionisti].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.




    Julian Holt ➸ Psicocinesi ➸ Sheet

    Non volevo farla scomodare, può rimanere quanto vuole, il locale rimane aperto fino a tardi. Ascoltai le sue parole, sembrava si stesse giustificando, forse, con il mio modo di fare scostante, l'avevo messa a disagio, credeva di avermi disturbato e, in fin dei conti, lo aveva fatto, ma senza averne realmente colpa. Nessuno aveva colpa per i miei guai. Gli unici colpevoli erano gli animali che avevano ammazzato la mia Linda, quelli che avevano martoriato il suo corpo e ucciso anche il figlio che aspettavamo, che nemmeno sapevo fosse dentro di lei. Ecco, era con quelle bestie che avrei dovuto sfoderare il peggio di me, era a loro che avrei dovuto fare male, ferirli, farli soffrire proprio come avevo sofferto io le pene dell'Inferno. Ma non sapevo chi erano i responsabili, non lo avevo mai saputo, nonostante, di nascosto, avessi provato a indagare, in cerca di una verità, la ragione per cui l'avevano ammazzata e risparmiato me, qualcosa che mi tormentava da sempre, che da quella maledetta notte non mi faceva più dormire senza incubi - quando non mi obbligava a stare occhi sbarrati contro il soffitto - una giustizia che, chi di dovere, non era riuscito a darmi. Le bestie erano ancora a piede libero, mia moglie chiusa in una bara e io che facevo la puttana per campare, come una sorta di autolesionismo e poi, quando non lavoravo, mi aggiravo tra la gente a mo' di zombie, divorando metaforicamente chiunque tentasse un approccio con me. Come aveva fatto la ragazza dell'Egon in quel momento. Io, che ero un fallimento totale, non volevo trattarla male, non volevo fare lo stronzo, non volevo mostrarmi rude, eppure era esattamente questo che facevo.
    "Grazie, ma... no, è meglio se vado..." Sì, dovevo andare, non aveva più senso restare, anche se, come aveva detto lei, il locale sarebbe rimasto aperto ancora a lungo, anche se potevo ancora ammazzarmi con l'alcol senza, però, affogarci dentro i dispiaceri. Con me non funzionava. E poi di birra ne avevo abbastanza. Dovevo tornare a casa, sempre che, nel frattempo, non mi fossi andato a schiantare da qualche parte, e poi, una volta a destinazione, tirare un po' di coca. Solo quella era capace di cancellarmi la memoria, almeno per un po'.
    Ne avevo abbastanza anche della gente. Ero la contraddizione fatta persona: prima mi fiondavo dentro un pub affollato, poi non vedevo l'ora di fuggire e rintanarmi. Nel mentre, trattavo male qualcuno, così, giusto per restare allenato.
    Tutti abbiamo un cuore, solo che alcune persone, lo hanno nascosto più in profondità, per non farsi di nuovo del male. Sollevai lo sguardo, quando pronunciò questa frase. Io ero ancora seduto, lei era in piedi di fronte a me. Aveva quel sorriso dolce, era dolce da morire, e questo non faceva che rendermi le cose più complicate. Tutte le donne che mi capitavano tra i piedi lo facevano, chi di proposito, chi, come la biondina, senza nemmeno rendersene conto. Replicai con una risatina sommessa, amara molto più del retrogusto della birra. Intendeva psicanalizzarmi? i dipendenti di quel pub, per caso, facevano lavori extra di questo tipo?
    "Credimi, il mio serve solo a pompare il sangue." Fui lapidario. Abbassai subito lo sguardo, le consegnai il bicchiere vuoto, rimettendomi in piedi, prima di barcollare e perdere l'equilibrio. Lei mi sostenne, o almeno ci provò. Accadde in pochi secondi, mi ritrovai di nuovo seduto sul divanetto, lei accanto a me. Ero uno spettacolo vergognoso. Mi passai le mani sugli occhi, poi respirai a fondo. Forse un po' d'aria mi avrebbe fatto bene, dovevo uscire e respirare. Mi voltai, avevo la vista appannata. Cercai di mettere a fuoco, quindi guardai nuovamente la ragazza. Teneva gli occhi chiusi, poi mi guardò a sua volta. Tremava, era rossa in viso. Io... forse dovrei andare, disse, e tentò di alzarsi, ma la bloccai. "Aspetta, che ti prende? Sono io quello ubriaco... Cosa c'è? Non ti senti bene?" Non le chiesi se fosse colpa mia, se avessi detto qualcosa che l'aveva turbata, dato che, ovviamente, era così. A ogni modo, che fossi io il colpevole o meno, la ragazza era turbata, non c'erano dubbi a riguardo, restava solo da scoprire il perché. "Prendi le tue cose, andiamo fuori a parlarne!" Così dicendo, mi alzai in piedi e, un po' più stabile sulle gambe, la invitai ad allontanarci da lì. "Ti aspetto in strada" aggiunsi, mentre mi infilavo il giubbotto per poi raggiungere l'uscita del pub.
    Una volta fuori, mi riempii i polmoni di quell'aria che tanto bramavo. La serata, per me, non era ancora finita.
     
    .
  6.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    ~ Crazy as the life ~

    Group
    Member
    Posts
    380
    Reputation
    +207

    Status
    Offline
    Credimi, il mio serve solo a pompare il sangue aveva risposto lui lapidario, alla riflessione di lei. Helen lo guardò senza rispondere, non poteva far cambiare idea o ragionamento a una persona, che ne era convinto da sempre. Per certi versi era simile a lui, snobbava le persone e non aveva fiducia nel prossimo, si era costruita una corazza intorno a lei, per non stare male, ma fino a quando sarebbe durata?
    Però a guardarlo meglio, secondo lei lui lo aveva un cuore, anche grande, ma era successo qualcosa, che glielo aveva fatto sotterrare. Quel qualcosa ben presto, lo aveva visto con i suoi occhi e senza volerlo.
    Sua moglie era morta, per colpa di persone orribili e lui non aveva potuto fare nulla per salvarla. Non avrebbe dovuto vedere tutto ciò, il suo passato e il suo dolore, Helen non li voleva. Tra tutte le abilità, che le potevano capitare proprio quello? Che strano scherzo era la vita. Lei che non ricordava nulla del suo passato, poteva vedere e cambiare quello degli altri o addirittura cancellarli, come se fosse un gioco. Il punto era, che non voleva quell’abilità, preferiva far crescere fiorellini o avere controllo sulle piante, cose molto più semplici e carine. Il controllo della mente, riuscire a vedere così in profondità era stancante, perché non la faceva vivere come voleva. Doveva sempre stare attenta a non toccare nessuno, a non farsi toccare o a non arrabbiarsi, ma che vita era? Sempre così calcolata, senza un minimo di libertà. E se un domani avesse avuto un ragazzo? Cosa gli avrebbe detto? “No non posso baciarti, potrei cancellarti i ricordi”, che vita sarebbe stata? Aveva già rischiato di cancellare una intera vita a qualcuno, non voleva rischiare di nuovo e non poteva sempre farsi carico dei problemi degli altri. Non voleva i loro ricordi, non voleva il loro dolore, lei ne aveva già troppo.
    Voleva andarsene da lì e dimenticare, l’aria stava diventando pesante e doveva uscire, ma lui la fermò, prima che potesse farlo.
    Aspetta, che ti prende? Sono io quello ubriaco... Cosa c'è? Non ti senti bene?
    Non era preoccupato per lei, ma non riusciva a capire il suo cambiamento di umore.
    No, non è nulla...ma devo proprio andare ora gli stava dicendo, quasi arrabbiata. Non era colpa sua, ma non poteva parlargli e non voleva raccontargli, che cosa aveva visto. Non voleva farsi vedere, come un’intrusa nella sua mente. Lui però non volle sentire ragioni e anche se lei si stava già incamminano verso il bancone, portando via i bicchieri vuoti di birra, le disse: Prendi le tue cose, andiamo fuori a parlarne! Ti aspetto in strada e uscì mentre si metteva il giacchetto, ora più stabile sulle sue gambe. Non ebbe il tempo neanche di dire qualcosa, ma tanto non ci avrebbe parlato. Helen non voleva avere una conversazione con lui, dopo quello che aveva visto. Era rimasta traumatizzata e doveva ancora metabolizzare quanto accaduto.
    Si cambiò nello sgabuzzino del locale, dato che aveva appena finito il suo turno. Si sciolse la treccia, lasciando i capelli biondi liberi di muoversi e uscì. L’aria fredda di quella notte all’impatto la investì, come un treno in corsa. Dentro il locale faceva davvero caldo, mentre fuori potevi benissimo vedere i pinguini passeggiare spensierati. Era Marzo e le temperature stavano migliorando, ma Helen amava il caldo e l’estate, ancora per lei era freddo. Però le fece subito bene, il senso di oppressione e di soffocamento di prima, stavano sparendo per fortuna.
    Si sistemò la sua borsetta e si strinse nel giacchetto un po’ di più, mentre si spostava dall’entrata del pub, per andarsene a casa, quando con la coda dell’occhio vide l’uomo di prima, che la stava guardando poco distante da lei. Madonna, non posso semplicemente andarmene a casa? pensò esasperata, a tal punto da sbuffare leggermente.
    Ancora tu? Cosa vuoi si può sapere? Sto benissimo... le ultime parole le erano uscite un po’ male, ma sperava, che non se ne fosse accorto. Non doveva delle spiegazioni a nessuno, per come si era comportata dentro, perché doveva darle a lui?
     
    .
  7.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Naomi

    Group
    Member
    Posts
    9,517
    Reputation
    +149

    Status
    Offline
    Julian Holt ➸ Psicocinesi ➸ Sheet

    Non l'aveva presa bene, la ragazza. Le avevo imposto - perché la mia più che una rischiesta doveva esserle sembrato un ordine - di prendere la sua roba e uscire.
    Io l'avrei aspettata fuori perché... Perché? Perché mi interessava così tanto sapere cosa le fosse successo poco prima? Era un'estranea, e di solito non mi importava granché di come stesse la gente, soprattutto quella che non conoscevo, e poi mi aveva detto che non era nulla, che stava bene, anche in tono piuttosto seccato, prima di allontanarsi da me. Allora cosa volevo da lei? Non ne ero certo, in realtà. Ero ubriaco, ma, nonostante ciò, quando mi aveva toccato per impedirmi di caderle addosso, d'improvviso il suo volto sorridente si era fatto ombroso, e aveva mollato la presa come se avesse preso una scossa elettrica. E io non avevo il potere di fulminare le persone. Avrei potuto salire in macchina e tornare a casa, senza andare al fondo della questione, e lo stavo per fare. La mano era già pronta ad aprire la portiera, quando la vidi uscire dal locale a testa bassa, come se avesse il terrore che potessi raggiungerla da un momento all'altro per molestarla ancora.
    Perché era questo che doveva aver pensato di me, nel locale, che ero uno stronzo, ubriacone e molestatore. Ma non lo ero. Bevevo, a volte mi drogavo, ma non trattavo male le donne, men che meno le importunavo, cercavo solo di tenerle alla larga, cosa che avrei dovuto fare anche quella volta. Invece no, ero ancora in strada, all'uscita dell'Egon Pub, indeciso se salire in macchina o correrle dietro e aggiungere "stalker" alla favolosa lista di aggettivi che mi riguardavano.
    Se l'avessi raggiunta, ero certo che non ne sarebbe stata felice, non mi conosceva e già doveva odiarmi a morte. Ma ero lì, immobile, la guardavo e sentivo che non era sbagliato, che dovevo fermarla, parlare con lei.
    "Ehi, aspetta!" Attraversai la strada e la affiancai, non senza prima correre un po', dato che aveva le gambe lunghe e il passo veloce. E adesso? Cosa potevo dirle, ancora? Insistere nel sapere cosa le fosse preso, che cosa fosse accaduto - che non avevo compreso - un attimo prima nel pub, sarebbe stato controproducente. Forse, dovevo semplicemente chiederle scusa per come l'avevo trattata e poi, finalmente, togliermi dai piedi.
    Ancora tu? Cosa vuoi si può sapere? Sto benissimo... Era arrabbiata, lo percepii dal tono di voce, e non la biasimavo.
    "Lo so, lo vedo... è che... è stato strano, era come se avessi preso la scossa e... non lo so! Forse sono semplicemente troppo ubriaco e vedo cose che non esistono..." sorrisi appena, scrollando le spalle. Mi stavo convincendo che fosse così, benché ne dubitassi fortemente, ma era l'unica via da percorrere. Non volevo insistere, ormai avevo deciso. Non erano affari miei e la ragazza, d'altro canto, non mentiva: stava bene.
    "Ti chiedo scusa per la mia scortesia e se ti sono sembrato invadente, sei stata gentile con me e io avrei dovuto esserlo con te, ma non lo sono stato. Non lo sono mai." Pensai a Rebecca, a cosa avrebbe detto se mi avesse visto in quel momento. Mi avrebbe guardato con compassione, avrebbe scosso la testa, non avrebbe approvato. Tante volte mi aveva chiesto come fosse possibile, per me, scindere in due la mia personalità, come potevo essere un uomo meraviglioso, premuroso, attento con le mie clienti e uno stronzo insensibile con tutte le altre. Potevo. Non era difficile. Bastava fingere, mentire, e questo mi riusciva alla perfezione. Per il resto, facevo acqua da tutte le parti.
    "Spero che non mi odierai. Oppure no. Odiami pure, è meglio così!" Presi un lungo respiro, poi infilai le mani nelle tasche del giubbotto e mi voltai, stavolta senza alcun dubbio su come comportarmi.
    Ero ubriaco, la vescica mi stava scoppiando e per quella sera avevo già dato il meglio di me. Il peggio di me. Era il momento di togliere il disturbo. La cosa migliore che potevo fare per lei? Sparire.
     
    .
  8.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    ~ Crazy as the life ~

    Group
    Member
    Posts
    380
    Reputation
    +207

    Status
    Offline
    Si era ritrovata l’uomo, di cui si rendeva conto ora, non sapeva neanche il nome. Con tutta la foga del momento e quello che era successo, si era dimenticata di presentarsi e lui essendo abbastanza ubriaco, si era dimenticato di conseguenza. Non che le importasse molto, ma non poteva chiamarlo sempre “l’uomo”.
    Lei a testa bassa si stava dirigendo verso casa sua, lui era dall'altra parte della strada, vicino alla sua macchina, quando la vide le corse letteralmente dietro, e lei si fermò.
    Lo so, lo vedo... è che... è stato strano, era come se avessi preso la scossa e... non lo so! Forse sono semplicemente troppo ubriaco e vedo cose che non esistono...
    Da una parte le faceva pena, lui aveva visto bene e lei stava mentendo, a se stessa e a lui. Gli stava facendo credere di aver visto, qualcosa che non c’era, di essere ubriaco a tal punto, da immaginarsi le cose, perché? Helen, non amava sbandierare ai quattro venti la sua abilità, doveva pensarci bene prima di farlo, perché la gente avrebbe potuto benissimo iniziare a tartassarla, per far dimenticare qualcosa a qualcuno o addirittura voler dimenticare qualcosa.
    Non lo farebbe mai, chi era lei per far dimenticare un ricordo doloroso a qualcuno? il massimo che poteva fare era distorcerlo, magari cambiarlo in meglio, ma nulla di più.
    Non ebbe il tempo di rispondergli per le rime, che lui continuò imperterrito.
    Ti chiedo scusa per la mia scortesia e se ti sono sembrato invadente, sei stata gentile con me e io avrei dovuto esserlo con te, ma non lo sono stato. Non lo sono mai.
    Lui le chiedeva scusa? Sembrava un tipo, che non lo chiedeva mai a nessuno. Non lo sono mai. Voleva dire, che oltre che con lei, era stato un po’ “possessivo” e aveva usato quel carattere, anche con altre ragazze? Lui era fatto così e forse si vergognava un po’ di come era diventando negli anni, senza la moglie al suo fianco, quindi quando trattava male qualcuno, solo perché era fatto così, si sentiva in colpa.
    Spero che non mi odierai. Oppure no. Odiami pure, è meglio così! e detto quelle ultime parole, dopo qualche secondo si girò, pronto a tornare in macchina e andare via.
    Dove voleva andare? Era ubriaco e non sarebbe andato troppo lontano con la sua auto, si sarebbe schiantato e sarebbe stata tutta colpa sua. Se lo sarebbe portato sulla coscienza per sempre, se ora non lo avesse fermato in tempo.
    Helen forza...digli la verità... pensò lei mentalmente, mentre lo vedeva andare via da lei, un passo dopo l’altro.
    Aspetta! disse facendolo fermare, ancora prima che potesse attraversare la strada. Si appoggiò al muro, vicino all’entrata del pub, dove era uscita poco prima, con la schiena. Fece un respiro profondo e lo guardò negli occhi, non guardava mai negli occhi nessuno, le dava fastidio. Aveva paura, che osservando i suoi occhi chiari e così spenti, le persone avrebbero capito tutto di lei, della sua sofferenza e lei non voleva la compassione di nessuno.
    La sensazione, che hai provato e quello, che hai visto dopo era tutto vero. Non sei ubriaco a tal punto da immaginarti le cose, disse contorcendosi le mani visibilmente, davanti a lui.
    Era il momento doveva dirlo.
    Ho visto un frammento del tuo passato toccandoti, lo evito da sempre con tutti il contatto fisico, proprio per evitare questo... abbassò la testa e chiuse gli occhi qualche secondo. La morte della moglie e il suo dolore, erano ancora lì che la tormentavano.
    Ho visto il giorno più doloroso della tua vita, la morte di tua moglie, la tua sofferenza nel non aver potuto fare nulla per lei. Dei ladri o malintenzionati erano entrati in casa vostra e pensando che eri morto, ti hanno lasciato per terra, mentre non hanno risparmiato lei disse solo, lui la sapeva la sua storia e non c’era bisogno, che qualcuno glielo ricordasse, ma voleva che capisse, che non doveva toccarla mai più e che era pericoloso. Non gli aveva fatto del male, ma non avendo ancora i poteri sotto controllo del tutto, avrebbe potuto cancellargli un ricordo o peggio tutti.
    Mi dispiace, per quello che ho visto, non avrei dovuto vederlo. Non ho il diritto di sapere la tua storia e neanche di comprendere il tuo dolore...non serve che ti dica, che mi dispiace molto per la tua perdita, lo avrai sentito mille volte, ma questo non cambia le cose, disse solo, prima di riguardarlo e vedere una qualsiasi reazione in lui.
    E comunque non ti devi scusare con me, anche io non sono una persona facile, lo capisco da sola...e non ti odio, non posso odiare una persona che conoscono da cinque minuti, sarebbe un record disse facendo un leggero sorriso, ma molto piccolo. Non amava farlo, però era un modo per sdrammatizzare il tutto, sperava che lui avesse capito e che non si sarebbe arrabbiato per il suo potere, non poteva farci nulla.
    Comunque mi chiamo Helen disse presentandosi, non gli avrebbe stretto la mano e questo lui lo avrebbe capito.
     
    .
  9.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Naomi

    Group
    Member
    Posts
    9,517
    Reputation
    +149

    Status
    Offline
    Julian Holt ➸ Psicocinesi ➸ Sheet

    Non riuscii nemmeno ad attraversare la strada per tornare alla macchina, che la ragazza richiamò la mia attenzione. Fu qualcosa di inaspettato, dato che mi era parso di capire che volesse essere lasciata in pace, che non intendesse conversare e che non dovevo starle per niente simpatico.
    Mi bloccai e mi voltai nella sua direzione. Lei era tornata nei pressi del pub, spalle appoggiate al muro ed espressione da funerale. Presi un nuovo respiro profondo, poi mi avvicinai. Non avevo idea del perché, adesso, volesse avermi accanto, ma ero sempre più curioso. C’era qualcosa che non voleva dirmi, lo sentivo, qualcosa che, probabilmente, aveva a che fare con ciò che era accaduto all’interno del pub, quando mi era sembrata sul punto di avere un attacco di panico, o giù di lì.
    La sensazione, che hai provato e quello, che hai visto dopo era tutto vero. Non sei ubriaco a tal punto da immaginarti le cose, disse, e io aggrottai la fronte. Ho visto un frammento del tuo passato toccandoti, lo evito da sempre con tutti il contatto fisico, proprio per evitare questo... Ho visto il giorno più doloroso della tua vita, la morte di tua moglie… Lo stomaco si serrò in una morsa, quando parlò di Linda. Fu come se avessi appena beccato qualcuno a frugare in uno dei miei cassetti. Linda era il cassetto segreto dove tenevo rinchiuso il mio dannato passato. E la ragazza di fronte a me lo aveva aperto con un tocco.
    “Senti, no… non voglio…” Non volevo che continuasse, ma lo fece.
    Dei ladri o malintenzionati erano entrati in casa vostra e pensando che eri morto, ti hanno lasciato per terra, mentre non hanno risparmiato lei. Strinsi il pugno. Gli occhi si fecero lucidi. Nessuno era al corrente, a parte la mia famiglia e chi aveva condotto le indagini, di cosa fosse successo quella maledetta sera. Non ne avevo mai parlato, nemmeno con Rebecca. Lei sapeva solo che ero vedovo, che me l’avevano ammazzata. Non ne avevo parlato perché quello era il mio dolore, e doveva restare solo mio. Ma, adesso, non lo era più. Qualcuno sapeva.
    Buttai fuori l’aria con uno sbuffo, poi mi spostai anch’io verso il muro e ci appoggiai la schiena. Sentivo le gambe tremare e l’alcol, adesso, non c’entrava nulla.
    Dopo quella confessione, disse che le dispiaceva, che non aveva il diritto di vedere quelle cose, però era successo. Aveva visto, percepito. Era il suo potere. Io spostavo gli oggetti, lei si faceva i fatti degli altri.
    La prima reazione fu di rabbia, mi sarebbe piaciuto sfogarmi in qualche modo, prendere a pugni il muro, o il primo che mi fosse passato davanti, ma poi chiusi gli occhi per qualche istante e respirai. Ascoltavo solo quel cuore che batteva forte, fino a che il ritmo non cominciò a rallentare per poi tornare normale.
    “Lo vedo che non sei una persona facile. Il tuo potere deve spaventarti a morte. A me, in fin dei conti, è andata bene, sono telecinetico. Della serie che se mi metto sul divano e mi accorgo di non avere il telecomando accanto non devo alzarmi” ridacchiai. Forse sdrammatizzare era la cosa migliore da fare in quel momento. Io non stavo bene, lei anche. Disse di chiamarsi Helen. “Io sono Julian” risposi, tentando di allungare la mano per stringere la sua, ma poi ricordai che tutto era cominciato con un contatto, che lei non toccava le persone per non dover vedere, quindi la ritrassi. “E se un ragazzo volesse baciarti? O se volessi baciarlo tu?” le chiesi, di getto, ma poi mi pentii di averlo fatto. Non erano affari miei. “No, fai finta che non te lo abbia chiesto. A volte sono troppo curioso” sorrisi. “Ti va di camminare un po’? Non posso mettermi a guidare in queste condizioni.” Sperai che accettasse, avevo davvero bisogno di fare due passi. Dovevo farmi passare la sbronza, ma anche sbollire la tensione. Elaborare ciò che era accaduto tra noi.
    "Mia moglie... si chiamava Linda. Ed era incinta. Io l'ho saputo solo dopo" affermai, con l'amaro in bocca. "Non ne parlo mai, è qualcosa che non smette di tormentarmi" aggiunsi, poi mi voltai in cerca del suo profilo. "Dimmi qualcosa di te, Helen, qualunque cosa."
    La mia fu quasi una preghiera. Dovevo pensare ad altro, o sarei crollato.
     
    .
  10.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    ~ Crazy as the life ~

    Group
    Member
    Posts
    380
    Reputation
    +207

    Status
    Offline
    Gli aveva detto tutto e ora lui era lì, davanti a lei, immobile. Stringeva i pugni e aveva la testa china, forse per non far vedere quello, che stava provando in quel momento. Non ci voleva un genio per capire, che stava provando rabbia. Rabbia nei suoi confronti, perché aveva visto qualcosa, che doveva rimanere solo sua, nascosta nella sua mente e nel suo cuore. Al suo posto anche Helen se la sarebbe presa, pensando “ma chi si crede di essere? Mi tocca e ficcanasa nei miei ricordi più intimi e dolorosi? Che razza di potere è?. Beh...sicuramente lui stava pensando la stessa cosa e Helen non poteva dargli torto. Tante volte aveva maledetto il suo potere pensando, che avrebbe preferito avere il controllo delle piante, oppure parlare con gli animali, poteri molto meno impegnativi. La sua abilità l’aveva portata a isolarsi, non che lei avesse mai avuto amici o fosse stata solare di suo, a nascondersi e a evitare le persone. Non poteva toccare nessuno, non poteva essere toccata, non avrebbe mai avuto una vita felice e “normale”, ma tanto di normale in lei e nella sua vita non c’era nulla.
    Piangeva di notte, quando nessuno la vedeva, perché si sentiva terribilmente sola e aveva bisogno di qualcuno, che la capisse o che le stesse vicino, ma nessuno avrebbe mai capito davvero e non c’era nulla, che potessero fare per lei. Doveva imparare a conviverci e basta, ma era più facile a dirsi che a farsi.
    Ad un tratto alzò la testa e si appoggiò anche lui con la schiena al muro, vicino a Helen. Erano vicini, ma non si toccavano, entrambi guardano davanti a se, come se lì ci potesse essere la risposta alle loro sofferenze o alle loro domande.
    Lo vedo che non sei una persona facile. Il tuo potere deve spaventarti a morte. A me, in fin dei conti, è andata bene, sono telecinetico. Della serie che se mi metto sul divano e mi accorgo di non avere il telecomando accanto non devo alzarmi, disse ridendo lui per sdrammatizzare il tutto. Sì, era davvero meglio sdrammatizzare, perché quello era stato davvero un incontro strano e pieno di sorprese. Anche lui aveva visto che era una persona difficile, ma alla fine chi soffriva molto era obbligato a farlo, a essere più prudente e freddo nei confronti degli altri. Lui sicuramente la capiva, erano entrambi due uccellini in gabbia, che aspettavano solo di poter volare liberi e felici. La gabbia però era aperta e nessuno dei due aveva intenzione di spiccare il volo, perché troppo abituati a quelle sbarre e il cielo faceva a entrambi troppa paura.
    Sei telecinetico? Quindi, puoi spostare qualsiasi cosa con il pensiero... disse lei sconvolta, ma in bene. Era davvero una bella abilità la sua, almeno era utile nella vita di tutti i giorni.
    Beh, la cosa positiva è che puoi aiutare le vecchiette al supermercato, a prendere i prodotti più in alto con facilità, oppure come dicevi te il telecomando, quanto odio alzarmi per prenderlo ogni volta disse ridendo a sua volta. Era da tanto, che non rideva così. L’ultima volta che aveva sorriso o riso, non se lo ricordava neanche.
    Il mio potere mi spaventa a morte è vero. Vedere i ricordi delle persone e sentire il loro dolore o la loro gioia, senza averne il diritto. Avere paura di poterli cancellare o distorcere non è bello...è come essere uno spettatore al cinema e vedere i ricordi di tutti, come se fossero tuoi, ma non ti appartengono. Non voglio questo dolore e non voglio i ricordi delle persone...ma devo conviverci, non posso fare altro disse solo, adesso seria.
    Io sono Julian, disse poi lui allungandole la mano, ma la ritrasse subito capendo, che non gliela avrebbe stretta. Ora sapeva il suo nome, non avrebbe potuto chiamarlo “uomo”, per ancora molto tempo, sarebbe stato strano.
    Nel frattempo, tirò fuori dalla borsa, i suoi guanti neri in pelle da donna, non poteva non metterli. Non li aveva messi, per pochi minuti dentro il locale poco prima ed ecco che cosa era successo.
    E se un ragazzo volesse baciarti? O se volessi baciarlo tu? No, fai finta che non te lo abbia chiesto. A volte sono troppo curioso. Ti va di camminare un po’? Non posso mettermi a guidare in queste condizioni
    Ecco quella era la domanda, che spesso si faceva anche lei e che le facevano le persone, che sapevano della sua abilità. Rimase in silenzio qualche secondo, non sapendo bene che cosa dire, poi si staccò dal muro e lo guardò mettendosi davanti a lui, stava iniziando a sentire freddo.
    Beh...a dire la verità non lo so neanche io. Non ho mai baciato nessuno, da quando ho questa abilità e nessuno ha mai avuto intenzione di baciarmi, per cui fin quando non accadrà, non saprò dirti molto di più. Sicuramente sarà un problema, perché potrei vedere altri ricordi, o magari può non succedere nulla, chi lo sa... disse alzandole spalle, facendogli un piccolo sorriso.
    Non ti lascerei guidare comunque, non dopo tutto quello che hai bevuto...va bene, camminare un po’ non fa mai male disse iniziando a camminare vicina a lui. Mise le mani nelle tasche e l’aria fredda le fece accapponare la pelle. Non aveva sonno, stranamente stava bene e camminare con qualcuno al suo fianco, per lei era una novità, era la prima volta dato che era sempre sola.
    Mia moglie... si chiamava Linda. Ed era incinta. Io l'ho saputo solo dopo. Non ne parlo mai, è qualcosa che non smette di tormentarmi disse ad un tratto lui, mentre camminando la stava guardando. Aveva sempre pensato, che il non ricordare nulla del suo passato, era una cosa terribile, ma ora sentendo le sue parole pensò, che forse non era poi così male, non doveva soffrire per qualcuno o avere legami forti.
    Mi dispiace molto...immagino che per te sia difficile convivere con questo dolore e deve essere stato difficile, non raccontarlo a nessuno e tenere questo peso solo per te disse, abbastanza sconvolta dalla sua storia. Era incinta e lui non lo aveva saputo fino a quando non glielo avevano detto, quando era purtroppo già troppo tardi. Rifarsi una vita o addirittura pensare di poterci riuscire, per lui sarebbe stata un’impresa.
    Nessuna sarà mai lei... pensò ad alta voce, ma non se ne pentì. Era vero e quando uno subiva un trauma del genere, era anche comprensibile, che non volesse provare ad avere nessuno al suo fianco. Non gli avrebbe chiesto, se in quegli anni si fosse fatto una nuova vita, si vedeva che la risposta era “no”.
    Dimmi qualcosa di te, Helen, qualunque cosa le chiese ad un tratto lui, voleva pensare ad altro si vedeva e lo capiva.
    Non c’è molto da sapere su di me rispose, ma questa unica risposta non lo avrebbe aiutato a svagarsi, anche se era la verità, quindi pensò a che cosa dire.
    Se ti dicessi, che ho perso la memoria un anno fa e che non so chi sono davvero, mi crederesti? chiese di slancio, era la prima volta che tirava in ballo la sua vera vita, il suo doloroso passato, ma forse lui ci avrebbe fatto una risata e lei lo avrebbe lasciato ridere. Non ci avrebbe mai creduto, non si era mai sentita una cosa del genere, chi mai perdeva la memoria totale, così da un giorno all’altro?
     
    .
  11.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Naomi

    Group
    Member
    Posts
    9,517
    Reputation
    +149

    Status
    Offline
    Julian Holt ➸ Psicocinesi ➸ Sheet

    Prima di lasciare Bergen, Rebecca mi aveva messo in guardia sul lato oscuro di Besaid. Diceva che metterci piede avrebbe potuto avere conseguenze imprevedibili, che avrei potuto trovarmi nei guai, che c’era qualcosa di soprannaturale in quella cittadina semisconosciuta. Io le avevo riso in faccia. Non potevo credere che una donna fatta e finita come lei credesse a sciocchezze come questa, al soprannaturale, ai poteri. Per me erano solo favole, leggende, storielle messe su da gente ubriaca. Poi, una volta giunto a destinazione, mi ero dovuto ricredere. Era tutto vero e l’ubriacone restavo io.
    Non sapevo dire come fosse possibile, cosa l’avesse realmente scatenata, ma, di punto in bianco, anch’io possedevo una capacità straordinaria: potevo muovere gli oggetti. Scoprirlo mi aveva sconvolto, credevo di avere allucinazioni, che fosse l’effetto degli stupefacenti, o quello di tutto l’alcol che mi buttavo in corpo, invece no, era tutto vero, ero diventato telecinetico. Forte, mi ero detto, adesso posso passare il tempo facendo volare di tutto qua e là, ma no, non era proprio così divertente, anzi.
    “Il fatto è che cerco di utilizzarlo il meno possibile, perché poi, ogni volta, mi scoppia la testa e non ci vedo più.”
    Quindi, niente vecchiette a cui prendere i biscotti sullo scaffale più in alto. Usavo il mio potere solo quando strettamente necessario, e lo avrei utilizzato anche in caso di emergenza, per difendere me, ad esempio, o per difendere qualcun altro. Ma non ci scherzavo, gli effetti collaterali erano troppo invalidanti.
    Mi parlò del suo potere, quello di vedere i ricordi altrui, di percepire l’angoscia e la sofferenza come fossero dentro di lei. Che non era facile, che avrebbe voluto non essere in grado di farlo. Non potevo sapere come si sentiva davvero, però potevo immaginarlo. Aveva sentito il mio dolore, anche se per pochi secondi, e io che lo conoscevo bene sapevo quanto fosse straziante. Non avrei mai voluto che se ne facesse carico, anche se per poco, e mi dispiaceva per questo.
    “Tu non hai effetti collaterali?” domandai. Sperai di no. Già era pesante così com’era, se si fosse sentita anche male fisicamente sarebbe stato davvero troppo. “Comunque, mi dispiace. Se non ti fossi quasi caduto addosso, non avresti visto niente e non avresti sofferto a causa mia.”
    La curiosità circa il suo potere mi portò a chiederle notizie in più, a cosa sarebbe successo se un ragazzo avesse voluto baciarla, o viceversa. Non erano affari miei, ma la domanda fu spontanea, dato che mi trovavo di fronte una ragazza giovane e molto bella, che meritava di vivere a trecentosessanta gradi e fare esperienze.
    Beh...a dire la verità non lo so neanche io. Non ho mai baciato nessuno, da quando ho questa abilità e nessuno ha mai avuto intenzione di baciarmi, per cui fin quando non accadrà, non saprò dirti molto di più. Sicuramente sarà un problema, perché potrei vedere altri ricordi, o magari può non succedere nulla, chi lo sa...
    Ascoltai in silenzio. Nel tono della sua voce era palese l’amarezza, sia per i possibili effetti che avrebbe avuto un eventuale bacio, sia per il fatto che non avesse avuto ancora l’occasione di darlo, da quando aveva acquisito il potere.
    Non ti lascerei guidare comunque, non dopo tutto quello che hai bevuto... va bene, camminare un po’ non fa mai male.
    “Grazie, sei molto dolce” risposi, prima di staccarmi dal muro e iniziare a passeggiare. Camminavo piano, non avevo alcuna fretta. Con l’alcol che mi toglieva le inibizioni, le parlai di Linda, qualcosa che non mi sarei mai sognato di fare da lucido. La mia esternazione la colpì, poi disse qualcosa che mi gelò. Nessuna sarà mai lei.
    Avvertii un senso di nausea. Lo sapevo. Me lo ripetevo ogni santo giorno, ogni volta che i miei occhi si posavano su una donna. “Lo penso anch’io, ma forse è proprio questo paragone che non mi permette di andare avanti. Non sono più stato con nessuna da allora…” Lo dissi con malinconia, come se ne soffrissi, ma decisi di raddrizzare il tiro. “Non che mi dispiaccia, sia chiaro. Non voglio un’altra donna, sto bene così.”
    Pensai che avevo detto anche troppo, che, anche se sbronzo, non mi piaceva mettere in piazza i miei sentimenti, che rivangare il passato era sempre una sofferenza immane, perciò le chiesi di parlarmi di lei.
    Se ti dicessi, che ho perso la memoria un anno fa e che non so chi sono davvero, mi crederesti?
    Mi voltai a guardarla, a quelle parole. “Certo che ti credo. Come è successo?”
    Provai tenerezza, per lei, d'un tratto, anche più di quella che avevo provato in precedenza. Avrei voluto farle una carezza, perfino abbracciarla per poterla confortare un po', sebbene cercassi di evitare il contatto fisico quando non si trattava di lavoro. Ma non potevo. Le avrei fatto ancora più male.
     
    .
  12.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    ~ Crazy as the life ~

    Group
    Member
    Posts
    380
    Reputation
    +207

    Status
    Offline
    Quando Helen aveva scoperto del suo potere, dopo esattamente tre giorni dal suo arrivo, pensava di essere impazzita. Ovviamente tutti lì, chi più chi meno, lo avevano creduto, perché non c’era una logica possibile a tutto quello. Quella cittadina era per molti un paradiso terrestre, mentre per altri, era una maledizione senza ritorno. Per fortuna non era sola, aveva sempre avuto Archer al suo fianco, che l’aveva aiutata e le aveva spiegato quello, che doveva sapere su quel posto e i suoi poteri. All’inizio arrivò anche a pensare, che la sua abilità fosse un dono, una cosa bella in fin dei conti, che c’erano poteri ben peggiori del suo, ma presto se ne pentì. Iniziò a capire, che non avrebbe mai avuto una vita “normale”, se si poteva definire normale, un posto del genere, e che ben presto non avrebbe più avuto contatto, con nessun essere vivente. Non le dispiaceva non avere contatto fisico con le persone, non amava molto essere toccata, però per quanto sarebbe durata questa sua idea? Prima o poi si sarebbe stancata di soffrire e cosa avrebbe fatto?
    Il fatto è che cerco di utilizzarlo il meno possibile, perché poi, ogni volta, mi scoppia la testa e non ci vedo più. Tu non hai effetti collaterali?, stavano camminando vicini, senza una destinazione precisa, al freddo di quella tarda serata e appena sentì la sua domanda, fece un sorriso amaro. Magari non avesse avuto degli effetti collaterali, doveva sopportare oltre al dolore mentale, anche quello fisico, che bella merda.
    Ognuno di noi ha effetti collaterali purtroppo...mi dispiace per i tuoi, non deve essere facile e capisco la tua scelta, di non volerlo usare spesso e per qualsiasi cosa disse toccandosi nel frattempo la testa, aveva iniziato ad avere dolore e le girava un po’, ma era normale, si sentiva stanca e prosciugata, ma non glielo avrebbe detto, si sarebbe preoccupato e lei non voleva mostrarsi debole.
    I miei effetti sono: mal di testa, capogiri e un grande senso di spossatezza, spesso non posso più vedere i ricordi delle persone, dopo averlo già fatto, deve passare al massimo un giorno, ma non è sempre così, quindi non rischio... disse sospirando, massaggiandosi la fronte.
    Comunque, mi dispiace. Se non ti fossi quasi caduto addosso, non avresti visto niente e non avresti sofferto a causa mia, disse lui evidentemente dispiaciuto. Non era semplice, era devastante tutto quello che le capitava, ma che altro avrebbe potuto fare...non era stata colpa di Julian, non poteva saperlo e lei non aveva fatto nulla per evitarlo.
    Non è stata colpa tua, non devi sentirti in colpa, non potevi saperlo. Il dolore è momentaneo, non è quello che mi distrugge, è il ricordo, il sapere anche se non ne ho il diritto disse mentre stavano svoltando in un vicolo, da lontano le pareva di sentire della musica alta, ma non ne era sicura.
    Penserai che sono una guardona vero? disse quasi ridendo, in effetti poteva sembrare così.
    Grazie, sei molto dolce.
    Aveva detto davvero quelle parole o se le era immaginate? Lei dolce? Non lo era mai stata e nessuno glielo aveva mai detto, dicendole proprio il contrario. Sorrise solo, quasi imbarazzata.
    Lo penso anch’io, ma forse è proprio questo paragone che non mi permette di andare avanti. Non sono più stato con nessuna da allora…Non che mi dispiaccia, sia chiaro. Non voglio un’altra donna, sto bene così, sicuramente Helen non poteva dare consigli sull’amore, non lo aveva mai provato e non aveva intenzione di legarsi a nessuno, ma comunque parlò dicendo la sua.
    Nessuna sarà mai lei, questo è chiaro, ma forse devi darti un’altra possibilità! Provare a guardarti intorno e cercare di rialzarti, non si vive bene nella paura e te lo dice una persona, che lo fa perennemente... disse, sistemandosi i capelli dietro le orecchie.
    Certo che ti credo. Come è successo? Aveva avuto la sfacciataggine di tirare fuori il suo passato, con uno sconosciuto, che magari non le avrebbe creduto, invece la sorprese e si sorprese, nell’aver tirato fuori l’argomento.
    Si fermarono davanti a una discoteca aperta, c’era un sacco di gente fuori in fila per entrare e il rumore, era quasi assordante.
    Mi sono risvegliata vicino al bosco di Besaid, non ricordavo chi fossi e da dove venivo, niente di niente...mi sono ricordata il mio nome e basta... ricordare per lei era sofferente, ma proseguì entrai piena di sangue e stremata in un B&B, dove ora vivo, e Archer il proprietario mi aiutò, è come un padre per me...è la prima volta che lo racconto a qualcuno... disse quasi vergognandosi, ma fu felice di averlo detto a qualcuno, dopo così tanto tempo.
    Non le piacevano i posti rumorosi e affollati, ma aveva voglia di svagarsi e non pensare.
    Ti va di entrare? Magari ci svaghiamo un po’! disse guardandolo e aspettando una sua risposta. Non entrava in una discoteca da una vita, però quella sera voleva non pensare a niente, divertirsi e magari conoscere meglio Julian. Era una persona con cui si parlava bene, ti ascoltava e non faceva troppe domande. Era difficile, che le andasse a genio qualcuno, ma lui poteva entrare nelle sue grazie, era tutto da scoprire.
     
    .
  13.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Naomi

    Group
    Member
    Posts
    9,517
    Reputation
    +149

    Status
    Offline
    Julian Holt ➸ Psicocinesi ➸ Sheet

    Che non fossi l’unico in città a possedere un potere speciale lo avevo intuito, soprattutto quando, poi, un po’ alla volta, mi ero ritrovato di fronte persone alle prese con la loro capacità. Iago Torres, ad esempio, il direttore di quella casa di moda che le mie clienti tanto elogiavano, e che poteva scomparire e riapparire quando meglio credeva. Quel suo potere gli aveva anche salvato la vita, quando stavo per investirlo. Ciò che non sapevo, in effetti, era che a ogni abilità corrispondesse un malus, che non soltanto io, dopo essermi cimentato con la telecinesi, dovevo fare i conti con gli effetti collaterali che ne derivavano. Ogni persona, in quella città, doveva farci i conti. Ed Helen era una di queste.
    I miei effetti sono: mal di testa, capogiri e un grande senso di spossatezza, spesso non posso più vedere i ricordi delle persone, dopo averlo già fatto, deve passare al massimo un giorno, ma non è sempre così, quindi non rischio, raccontò. Annuii.
    Ero un uomo molto razionale, quindi ancora facevo fatica a credere che ciò che reputavo delle assurdità fossero, invece, più che reali. Besaid era una città speciale, e ciò che si diceva in giro non erano leggende. Cosa ci fosse sotto, la ragione per cui chi vi metteva piede venisse “contaminato”, però, restava un mistero, almeno per quel che mi riguardava.
    Forse, chiunque altro al mio posto, si sarebbe messo a fare ricerche con l’intento di scoprire quanto più possibile su quella misteriosa cittadina. Io no. Non ne sentivo la necessità e poi, proprio come avevo detto alla ragazza, anche se potevo muovere gli oggetti non lo facevo quasi mai. Era come se quel potere non ci fosse, anche se c’era.
    “Se non puoi vedere più i ricordi della gente, dopo che è successo, vuol dire che almeno ti è concessa una tregua, anche se breve. Ora che hai visto i miei, perciò, non accadrebbe nulla se ti toccassi ancora, o se tu toccassi me… Giusto?” Le domandai. Sentivo Helen molto vicina, in quel momento, non soltanto fisicamente. Il suo tormento interiore, benché le ragioni fossero differenti, era profondo quanto il mio. Non gioivo di certo per le sfortune altrui, ma non potevo nemmeno negare che quella consapevolezza mi facesse sentire meno solo.
    Penserai che sono una guardona vero? Mi misi a ridere per quella sua domanda. “No, che non lo penso. Mi è chiaro che non lo fai di proposito e che, anzi, la tua capacità ti crea più disagio che benefici, quindi non potrei mai giudicarti” affermai, e sorrisi dolcemente. “Se potessi aiutarti in qualche modo, lo farei, ma credo che un modo non esista.” Non c’era. Non potevo privarla del potere, non potevo fare niente affinché non incorresse, anche fatalmente, nel contatto con un’altra persona. E poi lei sapeva come difendersi di certo meglio di me.
    Nessuna sarà mai lei, questo è chiaro, ma forse devi darti un’altra possibilità! Provare a guardarti intorno e cercare di rialzarti, non si vive bene nella paura e te lo dice una persona, che lo fa perennemente.
    Ascoltai le sue parole in silenzio. Quando dicevo che non cercavo un’altra donna, una nuova relazione, era vero. Non volevo sostituire Linda nel mio cuore, prima di tutto, ma c’era anche un’altra motivazione alla mia reticenza. Nessuna donna sana di mente si sarebbe mai innamorata di me, non dopo essere stata avvolta dalle tenebre che mi circondavano. Ecco perché mi limitavo a conoscenze superficiali, perché, se nessuna fosse entrata con tutti e due i piedi nel mio mondo, non avrebbe visto. Non ero un uomo da avere accanto per più di un’ora, ma Helen come poteva saperlo?
    “Se mi conoscessi un po’ più a fondo, capiresti perché è meglio che io stia da solo” dissi, facendole l’occhiolino.
    Poi, mi raccontò della perdita di memoria. Disse di essersi risvegliata nei pressi del bosco, che l’unica cosa che ricordava era il suo nome. Ed era sporca di sangue.
    “Il tuo?” chiesi, accigliando lo sguardo. Il titolare del Bed and Breakfast dove si era rifugiata le aveva dato una mano, ma i suoi famigliari? “Non ti sei rivolta alla polizia? Qualcuno che ti conosce potrebbe aver denunciato la tua scomparsa.” Aggiunse che, come nel mio caso, anche lei ne parlava per la prima volta con uno sconosciuto. “Grazie per esserti fidata di me” risposi mentre, senza nessuna fretta, continuavo a passeggiare al suo fianco.
    Helen, d’un tratto, si fermò, proprio davanti a un locale da cui proveniva della musica dance.
    Ti va di entrare? Magari ci svaghiamo un po’!
    “Non saprei…” Mi grattai la nuca, fissando il portone chiuso. Non ero certo che fosse una buona idea, se potevo evitare le discoteche lo facevo. Tornai a guardare Helen, e i suoi occhi chiari su di me erano in cerca di una risposta positiva. Forse aveva ragione, dopo ciò che era successo quella sera, avevamo bisogno di distrarci un po’. “Va bene, ma non chiedermi di ballare” affermai, sorridendo, prima di aprire la porta del locale. L’odore di alcol e di chiuso mi colpì in pieno. Diedi un’occhiata veloce in giro, cosa che ero abituato a fare sempre, per farmi un’idea del posto e della gente che c’era dentro. Non mi piacque molto, ma ormai eravamo dentro.
    “Non perdiamoci di vista, okay?” Cercai il suo sguardo, stavolta ero serio.
     
    .
  14.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    ~ Crazy as the life ~

    Group
    Member
    Posts
    380
    Reputation
    +207

    Status
    Offline
    Erano ancora per strada al freddo, davanti al pub pieno di gente, erano indecisi se entrare o no, ma nel frattempo continuarono a parlare. Si parlava bene con Julian, non ti giudicava e ti ascoltava, senza interromperti. Odiava quando qualcuno la interrompeva, soprattutto su un discorso importante, molti non avrebbero capito appieno, ma solo chi soffriva come lei poteva farlo, e lui lo faceva. Le dispiaceva molto per la sua perdita e per il modo in cui lo aveva scoperto, ma era sicura che sarebbe andato avanti, nonostante il dolore. Il dolore ti buttava in basso o ti fortificava, a entrambi non aveva fortificato affatto, si erano buttati nella disperazione e si erano ritrovati al bordo di un precipizio. Solo qualcuno da fuori avrebbe potuto salvarli, prenderli per mano e allontanarli da quella desolazione, da quel senso di vuoto dentro, ma chi? Quella persona sarebbe mai arrivata? Helen non voleva dipendere da qualcuno, amava essere indipendente e cavarsela da sola, non voleva soffrire ancora ed era per quel motivo, che non aveva mai avuto una relazione o amato qualcuno davvero. Dicevano che l’amore ti salvava in certi casi, per lei era una perdita di tempo, ti faceva perdere la poca lucidità che ti era rimasta, per poi illuderti che tutto sarebbe andato bene e saresti stata felice, mentre alla fine spesso ti spingeva ancora più in basso e quel baratro, che prima sembrava enorme, ora era una diventata una voragine.
    Se non puoi vedere più i ricordi della gente, dopo che è successo, vuol dire che almeno ti è concessa una tregua, anche se breve. Ora che hai visto i miei, perciò, non accadrebbe nulla se ti toccassi ancora, o se tu toccassi me… Giusto? le domandò Julian, forse con una nota di speranza nella voce per lei (?).
    Helen si accese una sigaretta velocemente, se sarebbero entrati era meglio farlo prima, dentro non le piaceva fumare e le avrebbe dato troppo fastidio. Non fumava mai, ma si portava sempre un pacchetto pieno dietro, in qualche occasione e quando era rilassa, una sigaretta non le dispiaceva.
    Vuoi? chiese poi a Julian, non sapendo se fumava o meno, porgendogli il pacchetto aperto davanti. Il fumo usciva dalle sue labbra rosee bianchissimo e piano piano andava a disperdersi nell’aria, scomparendo. Si appoggiò al muro di fronte al pub e lo guardò negli occhi, mentre incrociava le braccia al petto, stando attenta a non bruciarsi.
    Una volta, ho visto un frammento di un ricordo di Archer, il proprietario del B&B, che ti dicevo prima. Dopo un’ora per “testarmi”, mi ha chiesto di toccarlo per vedere se riaccadeva, io all’inizio non volevo perché per me era troppo doloroso, ma alla fine acconsentì, perché volevo vedere il mio limite. Non successe nulla, ma da allora non ho più riprovato e non saprei dirti di più! disse continuando a fumare tranquillamente, il freddo che sentiva, si era un po’ attenuato nel frattempo.
    Perché? Vorresti rischiare e toccarmi di nuovo? Il rischio non mi fa più paura e a te? era quasi una provocazione (?) la sua, ma benevola, voleva vedere fino a che punto si sarebbe spinto, se avesse mantenuto ancora per molto la sua corazza impenetrabile, oppure si sarebbe convinto a mollare un po’ la presa e mettere da parte per un po’ la sua corazza.
    Se potessi aiutarti in qualche modo, lo farei, ma credo che un modo non esista, si era risposto da solo purtroppo. Nessuno poteva aiutare l’altro, potevi farlo solo stando accanto alle persone che amavi, aiutandole nei momenti bui, essendo la loro luce in fondo al tunnel.
    Se mi conoscessi un po’ più a fondo, capiresti perché è meglio che io stia da solo quella risposta la spiazzò un po’ e la fece rimanere un attimo in silenzio.
    Sicuramente non era una persona facile, con un passato difficile e doloroso, ma non per questo doveva essere per forza una brutta persona, bisognava sempre darsi una seconda possibilità.
    Non sei una brutta persona Julian, le inquadro subito le persone, sono un’ottima osservatrice. Sei un ragazzo, che ha sofferto molto, si fa il duro fuori per non farsi avvicinare da nessuno/a, ma che ha un grande cuore in realtà! disse sorridendo leggermente e diventando un po’ rossa, da quando era diventata così saggia?
    Il tuo? Non ti sei rivolta alla polizia? Qualcuno che ti conosce potrebbe aver denunciato la tua scomparsa.
    Troppe volte aveva ripensato a quella notte, a ogni istante da quando si era svegliata e a quello che aveva provato. Insieme a Archer aveva provato a fare ricerche ed era arrivata a pensare, che forse non aveva avuto nessuno nel suo passato, che le avesse davvero voluto bene o l’avrebbero già cercata.
    Sperava dentro di lei, sognava di avere una famiglia, che la stesse cercando, che avesse avuto tanti amici e che le volessero bene, ma era tutto buio.
    Non sapeva perché si era svegliata in quel bosco, perché il sangue era il suo e perché non ricordasse nulla. Poteva essere nata a Besaid e essere stata fuori dalla cittadina troppo a lungo, ma l’avrebbero riconosciuta in giro e avrebbe trovato in fretta la sua famiglia, oppure era scappata di casa o era andata a fare una vacanza ed era troppo distante dalla sua vera casa.
    Il sangue era misto, era mio, ma anche di qualcun’altro o almeno così sembrava. Non so niente, ho fatto ricerche e sto continuando a cercare, ma senza risultati. Alcune volte penso di non avere avuto nessuno, di essere stata sola, anche nell’altra mia vita... disse molto amaramente, ecco la sua paura più grande paura rivelata a uno sconosciuto.
    Finì la sua sigaretta e la buttò prima di sentire, che per fortuna anche lui voleva svagarsi e entrare nel pub.
    Va bene, ma non chiedermi di ballare
    , erano entrati in poco tempo, la fila era tanta, ma era anche scorrevole. Il timbro nero sulla mano non le dispiaceva, c’era la scritta del pub e avevano dato a entrambi un cartoncino, con un drink in omaggio.
    Non preoccuparti, non so ballare e risulterei una stupida disse alzando le mani ridendo a sua volta. Non amava ballare, ma forse una volta aver bevuto, si sarebbe lasciata andare (?).
    La musica era forte, ma non così tanto come si era aspettata, si riusciva a parlare bene, anche se bisognava alzare un pochino la voce, l’aria era viziata e calda, ma nel complesso era un pub carino. C’era gente, che ballava in pista scatenata e altra seduta nei divanetti a parlare o a scambiarsi effusioni. Si tolse il giacchetto e lo lasciò nel guardaroba, non voleva morire di caldo e voleva stare comoda. Una volta sistemati entrarono e si fermò guardandosi intorno.
    Non perdiamoci di vista, okay?, questa volta, la stava guardando molto serio.
    Lei lo guardò a sua volta e pensò, che se si sarebbero persi avrebbero fatto molta fatica a ritrovarsi.
    Non preoccuparti, se mi perdi di vista mi ritroverai sicuramente al bar o seduta in un divanetto disse per sdrammatizzare e rise abbastanza forte, per cercare di sovrastare il rumore della musica.
    Vuoi bere qualcosa? chiese a Julian, che le sembrava ora totalmente ripresero dalla sbornia di prima, ma se non avesse voluto avrebbe capito. Lei dal canto suo voleva bere, non ubriacarsi, ma almeno cercare di dimenticare il dolore e i problemi per un po’.

    Edited by #Hope - 27/3/2020, 20:46
     
    .
  15.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Naomi

    Group
    Member
    Posts
    9,517
    Reputation
    +149

    Status
    Offline
    Julian Holt ➸ Psicocinesi ➸ Sheet

    Prima di entrare nel locale, Helen si accese una sigaretta per poi porgermi il pacchetto aperto per offrirmene una. Le guardai per qualche istante senza muovere un dito. Era strano, non avevo mai fumato e non mi piaceva che qualcuno fumasse in mia presenza, ma, per fortuna, eravamo all'aperto ed ero certo che a Helen quella sigaretta, in quel momento, servisse. Non avevo mai fumato, eppure non potevo certo dire di essere un salutista, dal momento che abusavo di alcol e sostanze molto peggiori del tabacco. Probabilmente, trovavo il semplice fumo non adatto alle mie esigenze. Io volevo stordirmi, allontanare dalla mente i pensieri negativi, anche se per poco, e una sigaretta non avrebbe mai potuto aiutarmi in quell'intento. Faceva solo male. Sollevai lo sguardo dal pacchetto e dissi no con la testa. "Non fumo" aggiunsi, soltanto. Il me di un tempo, sicuramente non avrebbe approvato, si sarebbe messo a fare a Helen la paternale, a dirle che anche lei faceva meglio a non fumare, se teneva alla salute. Il me di oggi, però, di certe cose se ne fregava. Io che non facevo altro che distruggermi fegato e cervello dalla mattina alla sera non potevo dire a qualcun altro di riguardarsi, non avrebbe avuto senso. E poi quella era stata una serata dura per Helen, lo era stata molto più per lei che per me, perciò aveva il diritto di fumare quanto voleva. E io di riprendere a bere, appena ne avessi avuto la possibilità.
    Disse che una volta aveva toccato l'uomo del Bed and Breakfast vedendone i ricordi. Poco dopo, lui le chiese di toccarlo ancora, ma, in quell'occasione, il potere non si manifestò. Solo che, da allora, non aveva più ripetuto l'esperimento, se così si poteva definire, quindi non aveva la certezza che funzionasse tutte le volte.
    Perché? Vorresti rischiare e toccarmi di nuovo? Il rischio non mi fa più paura e a te? Le sorrisi, sentendomi un po' in imbarazzo. No, il rischio non mi spaventava, la mia vita era come quella di un funambolo, in perenne equilibrio su una corda e sotto il nulla. Ma, ora, non si trattava di me. Non ero io quello che, se le cose fossero andate male, avrebbe vissuto un altro momento di smarrimento e dolore. Anche se, a quanto pareva, Helen non temeva il rischio.
    "Credimi, vorrei toccarti, prima volevo abbracciarti per confortarti un po', ma non l'ho fatto perché non voglio essere il motivo per cui stai male. Per stasera, penso tu abbia dato abbastanza."
    Non volevo che ci restasse male, anzi, speravo che comprendesse il mio punto di vista. Non era il tempo delle prove, non ci saremmo più toccati, ma potevamo restare ancora insieme mettendo da parte i rispettivi problemi.
    Non sei una brutta persona Julian, le inquadro subito le persone, sono un’ottima osservatrice. Sei un ragazzo, che ha sofferto molto, si fa il duro fuori per non farsi avvicinare da nessuno/a, ma che ha un grande cuore in realtà!
    Era così che mi vedeva, e non potevo biasimarla. Mi ero preoccupato quando avevo creduto che stesse male, al pub, l'avevo aspettata fuori dal locale per poterle parlare e capire cosa stesse accadendo e, infine, non avevo voluto rischiare di toccarla per non farla soffrire ancora. E poi il mio volerla confortare...
    Era logico che mi vedesse come un bravo ragazzo col cuore spezzato. Però mi conosceva da poco e il mio lato oscuro, in realtà, non l'aveva nemmeno intravisto.
    "Sei molto dolce, Helen" dissi soltanto. Avrei voluto essere sincero fino in fondo, ma c'era qualcosa che mi frenava. Non mi andava di mostrarle l'altra faccia della medaglia, quella che mi vedeva come un drogato, alcolizzato che si prostituiva per vivere. Forse un giorno, se la nostra fosse diventata un'amicizia vera, mi sarei confidato con lei, ma non ora.
    Il sangue era misto, era mio, ma anche di qualcun’altro o almeno così sembrava. Non so niente, ho fatto ricerche e sto continuando a cercare, ma senza risultati. Alcune volte penso di non avere avuto nessuno, di essere stata sola, anche nell’altra mia vita...
    Nessuno l'aveva cercata, lei non aveva trovato niente che la riguardasse. Era triste, non potevo negarlo, e mi dispiaceva.
    "Se davvero non avevi nessuno, adesso hai un lavoro, dei colleghi, degli amici... Me, anche se per qualche ora" ridacchiai con l'intenzione di sdrammatizzare. "Puoi ricostruire la tua vita, renderla migliore. Si dice che non tutti i mali arrivino per nuocere, dopotutto." Alzai le spalle, senza smettere di sorriderle. Poi, entrammo in quel locale da cui proveniva musica. Helen disse che, semmai l'avessi persa di vista, l'avrei ritrovata di sicuro al bar o seduta su un divanetto. Vuoi bere qualcosa? aggiunse, mentre ci dirigevamo, scanzando i presenti, verso il bancone. Tutta quella folla mi rendeva inquieto, ma non era il momento delle ossessioni. Ero entrato in quel locale per non pensare.
    "Facciamo così, ordina qualcosa per te e prendi del whiskey con ghiaccio per me, poi trova un divanetto libero. Ti raggiungo subito" ammiccai, prima di voltarmi e incamminarmi in cerca della toilette. Stavo scoppiando. Letteralmente.
     
    .
18 replies since 15/3/2020, 18:14   445 views
  Share  
.
Top
Top