Quest: Cursed Arena

16.03.2020

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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: immagini disturbanti (gore), violente o contenuti sensibili (ferite, percosse, pestaggi e simili).
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


    6VF1ja1


    ~ Prologo ~

    Crediamo che il passato si cancelli quando ne perdiamo la memoria, che diventi solo una storia da raccontare ai bambini, uno spauracchio da usare a proprio piacimento. Ma le azioni che abbiamo compiuto divengono la base di quelle che compiamo ora, entrano a farne parte in maniera subdola, senza che noi ce ne accorgiamo. E a volte il passato può tornare a colpirci, soprattutto a Besaid, che come sappiamo, non è una città come le altre.
    Ci fu un tempo in cui non esistevano le istituzioni che conosciamo ora, i locali, i grandi marchi, la Setta. Eppure i Besaidiani hanno sempre guardato alle loro particolarità come qualcosa capace di distinguerli dal resto del mondo, di renderli più forti, il gradino superiore dell’evoluzione. Fin dalla notte dei tempi in questo luogo coesistono le particolarità più svariate, in grado di salvare vite o di distruggerne. Era il 16 marzo del 1820, quando un gruppo di Besaidiani appartenenti ad una società segreta si riunì presso l’arena per spettacoli che esisteva nella cittadina già da qualche anno, dando sfogo alle proprie particolarità. Illusione, controllo del tempo, controllo mentale, materializzazione, erano particolarità che se combinate potevano dar vita a qualcosa di potente, tanto potente da ridare vita a quella vecchia arena e popolarla dei guerrieri che in un tempo lontano avevano portato alla gloria la Norvegia. Un esperimento ambizioso il loro, atto a vedere fin dove le particolarità potessero spingersi ed essere combinate. Un esperimento che si spinse troppo oltre, fino a distruggere ciò che restava di quell’arena e ad uccidere tutti i partecipanti a quella sinergia di poteri. L’arena fu dimenticata, le sue rovine celate dalla natura rigogliosa nel bosco, e nessuno seppe più cosa accadde lì. Il loro esperimento divenne una storia che pochi ricordarono, e che ben presto cadde nel dimenticatoio. Ma l’energia sprigionata da quel gruppo di persone non si perse con loro. Restò impregnata in quel luogo, come una maledizione che il tempo avrebbe risvegliato in maniera del tutto randomica.
    Dopo duecento anni, quella storia torna a vivere.
    Dalla profondità del bosco, l’arena riemerge nel suo originario splendore, accompagnata da un terremoto che fa tremare la città intera. Non la si vede da lontano, essa emerge di poco dalla terra, essendo scavata nella roccia madre. Attorno ad essa, cunicoli sotterranei che conducevano gli attori, o i giocatori al centro della scena divergono illuminati da fiaccole. Di forma ellittica, è composta da gradinate ormai vuote, coperte da un velarium che cela in parte la luce del sole. Al centro dell’arena torna ad ardere una fiaccola: la vita e la morte si riaccendono in quel luogo dimenticato. Ed è la maledizione stessa a scegliere chi colpire, attirando le sue prede in quel luogo. Sceglie coloro che si trovano nelle vicinanze, subdola si insinua nelle loro coscienze e li spinge a raggiungere quel luogo, da cui ben presto non potranno più andarsene. E una volta chiamati i suoi guerrieri, lo spettacolo inizia. Le gradinate iniziano a riempirsi di figure evanescenti e candide, alcune dai tratti mostruosi, che iniziano a gridare a gran voce la loro richiesta del tributo di sangue. Non sono che illusioni, riflessi di immagini che non appartengono al passato di quel luogo, ma alla sadica fantasia di qualcuno. Avventori, ora è a voi che mi rivolgo! Camminate per il bosco e raggiungete quel luogo che sembra comparso come per magia. La temperatura si aggira intorno ai 27 gradi, un caldo innaturale per la Norvegia in questa stagione. E’ lì che il vostro destino vi attende. Accedete ai cunicoli, da varie aperture tra le gradinate o dall’esterno, e attraversatene il dedalo. Ad ogni vostro passo sentirete le voci sempre più vicine, i vostri arti appesantiti da schinieri, spallacci ed altri tipi d’armamento, la vostra testa compressa da un elmo. Non potete tornare indietro, le luci si spengono al vostro passaggio. L’unica luce che vedete è quella che vi trovate davanti, quella del sole, che filtra dalle aperture che immettono al centro dell’arena. Non siete più ciò che eravate prima. Ora siete i partecipanti a quel sadico spettacolo. Siete i guerrieri dell’arena maledetta. Possano le vostre particolarità aiutarvi a sopravvivere, oppure uccidervi.


    #indicazioni:
    -- Nel vostro primo post dovrete descrivere solo il vostro arrivo, ovvero il modo in cui giungete all’arena dai pressi del bosco. Avete libera scelta nel decidere con chi o come arrivarci (ad esempio, potete arrivare anche con altri partecipanti, non necessariamente con colui/colei con cui vi siete iscritti in coppia).
    -- Come descritto nel masterpost, l'arena era dapprima coperta dalle fronde della foresta, quindi non l'avete mai vista prima.
    -- Per informazioni su come si presenta l'arena rinata, fate riferimento al masterpost.
    -- Per il primo giro di risposte, avete la completa libertà di descrivere le reazioni dei vostri PG nel momento in cui si troveranno nell'arena, e prima, nel modo di illustrare il loro arrivo. Nell'arena, a seconda del vostro turno, troverete anche gli altri partecipanti, potrete vederli chiaramente.
    -- Vi invitiamo ad iscrivervi alla discussione per non perdere nessun post.
    -- Infine, vi ricordiamo che avete la possibilità di postare entro 3 giorni massimo, dopodiché salterete il turno.


    #recap azioni:
    • C’è un terremoto, che è possibile percepire in tutta la città. Se siete in macchina potreste non percepirlo nemmeno. Non ci sono danni a persone o cose.
    • Una forza impercettibile vi attrae verso quel punto, nel bosco. Qui trovate vari punti di accesso all’arena: potete affacciarvi e vederla dall’alto e scendere qualche gradino per poi trovare gli accessi ai cunicoli, o accedere da ingressi esterni, che trovate sotto forma di piccole grotte o edicolette.
    • Camminate per i cunicoli, che spesso si dividono. Potreste perdere i/il vostri/o compagni/o, che uscirà da qualche altra apertura. Man mano che camminate, il silenzio viene rotto da grida che provengono dalla fine di quei tunnel.
    • Addosso a voi si materializzano delle “armature”, che siete liberi di descrivere come più vi aggrada. Non sono armature complete che vi coprono il corpo totalmente, ma equipaggiamenti leggeri più ornamentali che realmente funzionali. Potrebbero adattarsi al vostro pg, o alla sua particolarità. Saranno fatti di cuoio e con qualche inserto in metallo. Si materializzeranno sopra gli abiti che i vostri pg indossano.
    • Uscite e vi ritrovate tutti in cerchio, al centro dell’arena. Con l’elmo addosso è difficile riconoscere il vostro compagno, ma chissà, con buon occhio potreste riconoscervi! Gli spettri sugli spalti inneggiano ai vostri nomi. La giocata si ferma qui. Attendete istruzioni.

    Turni: (ATTENZIONE: per necessità di gioco, è molto probabile che questi cambieranno radicalmente di volta in volta)
    1. Coco
    2. Jungkook
    3. Joon
    4. Roy
    5. Nora
    6. Lukasz
    7. Helen
    8. Skylar
    9. Hikaru
    10. Eddie

    Qualsiasi dubbio o domanda riguardante la Quest potete porgerla in questo topic.
    I tre giorni del primo turno partono da oggi, 16.03.2020.

    Edited by ‹Alucard† - 11/4/2020, 16:33
     
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    Erano pochi i rumori che rompevano la tranquillità del bosco, Eyr la spezzava in due agitando un braccio verso destra e sinistra mentre stringeva fra le dita un ramo di legno raccolto sulla spiaggia. Lo aveva usato per disegnare forme nella sabbia che si erano cancellate con l’acqua, onda dopo onda. Il mare si portava via tutto per tenersi stretto ogni frammento di umanità che andava sul bagnasciuga, attirava tutto a se e non lasciava indietro nulla. Un po’ come il sole quando batteva sulle loro teste sciogliendo via i pensieri fatti di ghiaccio che sembravano essersi ancorati persino ai capelli. E quella mattina, Coco aveva accolto ogni singola particella di quel calore. L’ultimo incontro con Roy era stato difficile da digerire, ne sentiva i resti rivoltarle lo stomaco ad ogni battito cardiaco e ad ogni respiro. Era stato difficile tornare a camminare e ripercorrere i propri passi in direzione dell’uscita, dargli le spalle dopo essersi lasciata afferrare da lui in quel modo. Nelle orecchie aveva ancora l’eco della sua voce ridotta al minimo mentre veniva inghiottita dalla musica del Bolgen, un mondo a parte che tentava di irrompere in quel piccolo spazio che sembrava essere rimasto appartenere a loro due. Però lo aveva accettato, in silenzio, lei lo aveva saputo e sembrava non essere rimasto poi molto altro da fare. Così era tornata a casa e si era chiusa la porta alle spalle, definitivamente. Non c’era più nessuno da aspettare.
    Quella mattina il sole aveva illuminato la camera da letto di Coco ordinandole di aprire gli occhi; a buttarla giù dal materasso, invece, era stato Eyr una volta piombatole in casa. Insieme, i fratelli Evjen restavano spesso in silenzio capendosi al primo sguardo, non avevano bisogno di parlare per capire quante nubi nere si condensavano dentro al petto di entrambi. Si guardavano le spalle a vicenda e, per qualche breve istante, la pressione sotto al collo si attutiva per lasciare spazio alla freschezza di una mattina in riva al mare. Lo diceva anche il tatuaggio sulle loro mani: keep me safe - keep me wild. Eyr lo aveva capito con un’occhiata sul suo viso prima di scorgere le spalle appena più chine quando le aveva allungato una tazza di caffè ormai semifreddo. Le pesavano, lo aveva visto. Allora le aveva fatto indossare una tuta e le aveva imposto di uscire, correre un po’ com’erano abituati da sempre - fare del movimento avrebbe sciolto qualsiasi pensiero.
    «Fa’ attenzione con quel ramo.» la voce di Coco rincorse le orecchie del fratello, qualche passo più avanti di lei. Le faceva strada nel mezzo del bosco, i piedi che calpestavano le foglie inumidite dall’ombra degli alberi che non lasciavano molto spazio ai raggi del sole su quella frazione di terreno ricoperto di muschio verde. Lo vide voltarsi brevemente verso di lei, fermarsi qualche istante e poi riprendere ad agitare il braccio scagliando il ramo contro uno dei tronchi che si ergevano dal terreno e sembravano andare a bucare il blu cristallino del cielo. Faceva caldo, troppo caldo per essere una normale giornata di Marzo. Non vi era neanche un fiocco di neve, ora sostituiti da un sole quasi accecante. «Ci sei? Ripartiamo?» domandò il ragazzo lasciando definitamente andare il ramo e piantandolo con forza nel terreno. Coco annuì, sollevando le braccia per raccogliere i capelli e fermare i boccoli in un’alta coda non troppo stretta. Quando Eyr riprese la corsa, Coco ne seguì i passi restandogli dietro e cercando di evitare i rami e le erbacce che si alzavano dal terreno. I pantaloni blu cobalto della tuta le fasciavano le gambe facendo risaltare i muscoli del polpacci in movimento, mentre le spalle, in posizione eretta, se ne stavano avvolte nel tessuto di una felpa più scura. Correva calpestando le orme di Eyr mentre la distanza fra di loro si allargava piano piano di più. Qualcosa nell’aria però sembrò mutare da un momento all’altro: quel calore che fino a poco prima aveva avvertito sembrò intensificarsi e i muscoli sembrarono non voler rispondere più ad alcuno dei suoi comandi. Aggrottò le sopracciglia fermandosi lentamente nel mezzo della foresta, il battito cardiaco implodeva nella testa, il cuore sembrava essersi spostato dal petto fin su alle tempie e l’ossigeno non voleva più saperne niente di rientrarle nei polmoni una volta fuoriuscito. Si chinò, portando i palmi delle mani ad aderire alle cosce mentre le dita si aggrappavano al tessuto dei pantaloni. Sollevò lo sguardo sulla sagoma di Eyr, sempre più lontana, voleva nascondersi al suo sguardo mentre lei cercava in tutti i modi di tenerla d’occhio. Respirò a pieni polmoni e provò a compiere qualche passo nella sua direzione appena prima che la terra cominciasse a tremare violentemente sotto i suoi piedi. «Eyr!» gridò spaventata e, solo a quel richiamo, il fratello sembrò fermarsi e voltarsi nella sua direzione. Anche da lontano Coco sembrò capace di leggere lo sguardo stranito di Eyr fisso su di lei, eppure entrambi cambiarono rotta puntando le iridi di colori così diversi verso l’alto mentre restavano fermi ad ascoltare la natura parlare tramite scosse che provenivano dal sottosuolo. A cadere dal cielo furono solo piccoli rametti che andavano a staccarsi dai tronchi ed atterravano intorno a loro. Quando Eyr abbassò gli occhi in direzione di Coco, non la ritrovò al suo posto. «Coco?» chiamò, ma la ragazza sembrò non udirlo mentre avanzava nella foresta posando le mani sulla corteccia dei tronchi che superava. Aveva completamente cambiato strada, lasciando il sentiero su cui aveva corso con Eyr per addentrarsi nella zona non calpestata, le erbacce le arrivavano fino alla vita. Gli occhi blu erano concentrati, scrutavano il paesaggio che aveva intorno, eppure neanche lei sapeva esattamente dove fosse diretta, stava solo attenta a non inciampare in qualche stecca di legno che andava ad ostacolarle il cammino mentre avanzava imperterrita in mezzo alle vibrazioni della terra che sembrava ruggire per farsi sentire. Raggiunse a passo svelto il punto in cui gli alberi si diramavano regalandole la visuale su un grande e vecchio edificio in pietra che non aveva mai visto e di cui neanche aveva mai saputo l’esistenza. Aggrottò le sopracciglia e schiuse le labbra mentre le iridi ne studiavano i contorni. Quando il tremore sotto ai piedi cessò finalmente, un vociare indistinto sembrò levarsi dalle alte pareti a scalinata che circondavano lo spazio centrale di quella che sembrava un’arena e che ancora non poteva scorgere. La curiosità fu talmente forte che la spinse ad avanzare ancora fino ad un arco posto lungo la parete che si ergeva davanti al sua piccola figura: tentennò qualche istante restando lì davanti e chiedendosi in un attimo di lucidità perché mai dovesse metter piede lì dentro e farsi assorbire dall’oscurità del tunnel che vedeva inghiottire qualsiasi luce venisse dall’esterno, incenerendo la realtà esterna della quale sembrava far parte ancora almeno per metà. Eppure furono pensieri del tutto fugaci, arrivarono con la stessa velocità che permise loro di andar via quasi subito. Allora s’addentrò oltrepassando l’arco e lasciandosi inghiottire dal buio del tunnel, la dove le pareti sembravano farsi sempre più strette. Allungò le mani dinanzi a se stirando le dita e cercando un qualsiasi contatto con una delle superfici che la circondavano conducendola verso un luogo che non conosceva. Non aveva alcuna idea di dove sarebbe sbucata, ma sapeva in qualche modo dentro se stessa che quella fosse la cosa giusta da fare in quel momento. Un passo dopo l’altro, Coco si lasciò guidare dal sesto senso e neanche quando i vestiti sul suo corpo presero ad appesantirsi sembrò rendersi conto di cosa effettivamente stesse accadendo fra quelle mura. Quando dinanzi a sé apparì finalmente un fascio di luce quasi accecante, portò le mani davanti al viso per coprirsi gli occhi e notò, solo in quel momento, di avere le braccia scoperte, dei polsini in cuoio andavano a chiudersi sugli avambracci. Una volta messo piede in quella che sembrava essere sabbia mischiata a del terriccio, abbassò lo sguardo su di se notando d’essere avvolta in un corpetto di pelle, le spalle protette da un’armatura in parte d’acciaio e le cosce coperte da una gonnellina dello stesso materiale di colore nero. Scosse appena il capo guardandosi le braccia e volgendo la testa di lato per osservare le spalline in cuoio a balze su cui si riversavano i capelli ricci, quando si rese effettivamente conto d’essere sul perimetro che delimitava il centro della grande arena di pietra. Sugli spalti vi erano figure che non riusciva a riconoscere, maschere che non aveva mai visto prima: le venne la pelle d’oca, ma non riusciva a distaccare lo sguardo da quei volti, ce n’erano troppi ed incitavano a qualcosa per cui non pensò d’essere pronta. Uno scherzo del destino, forse un sogno. Qualcuno l’aveva presa, stavano facendo esperimenti su di lei? Dov’era Eyr, aveva forse immaginato anche lui? Quando altre nove figure spuntarono dagli archi posti lungo tutto il perimetro del campo, Coco perse il respiro. Come lei, avevano tutti il viso coperto e si guardavano intorno. Aveva paura, sentiva il bisogno di tornare indietro, eppure non riusciva a muoversi per farlo. Chiuse gli occhi e strinse le palpebre mentre respirava a fondo. Pensò e sperò di riaprirle per ritrovarsi altrove, su un'isola felice che conosceva bene... eppure, quando lo fece, il vociare insistente che si sollevava dalle gradinate sembrò esplodere nell'aria più forte di prima. Non poteva più tornare indietro.
     
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    It's your reflection looking back to pull you down
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    «Joonie! Joonie ho distrutto una torre!» Sollevando la testa e distogliendo così l'attenzione dalla TV a cui era collegato un Mac, brillante nelle sue grandi schermate raffiguranti le ambientazioni leggendarie di League of Legends, Jungkook appoggiò una guancia sul ginocchio del migliore amico, puntando i suoi grandi occhi castani su di lui, intento invece ad armeggiare con il computer. Nonostante non fosse necessario disturbare Joon per un videogioco, Jungkook si dimostrava sempre particolarmente incline nel mostrargli ogni suo traguardo, per quanto piccolo, col desiderio di rendere fiera l'unica persona che per lui rappresentava non solo un amico, ma anche un fratello e molto di più; difatti, consapevolmente o meno,Jungkook mirava a conquistare la stima di Joon in ogni situazione poichè riconosceva in lui una figura familiare, visceralmente legata a sè in modi impossibili da quantificare e da definire nei limiti del mero linguaggio. Allora, con un raggiante sorriso sulle labbra, attese che anche gli occhi draconici e gentili dell'altro si posassero su di lui, mentre nell'arena digitale una serie di personaggi si muovevano esultanti per via della vittoria, circondati da grida primordiali di avventori virtuali che li incitavano al successo. Inutile dire che Jungkook non si era risparmiato nel riciclare il suo personaggio di DnD, il famigerato mago Enexeor Trigast Qemaex Thesior Shufaris III, riportandolo alla gloria eterna nell'arena di League of Legends per affrontare una serie di insidie fantastiche e completare grandi imprese ed epiche ricerche. Abbandonando così il joystick per terra dov'era anch'egli seduto, Jungkook si chinò salutando i suoi compagni di gioco in chat, alzandosi così in piedi e raggiungendo Joon sul divano, accomodandosi al suo fianco. Non era raro che i due passassero molto tempo insieme, ed iniziato il suo impiego in biblioteca, Jungkook non mancava mai di andare a trovare il migliore amico, o prima o dopo il suo turno alla Dokk1. Il minore era intenzionato ad iniziare una nuova partita, non prima di aver però rubato qualche attenzione al più grande, ora che era accucciato al suo fianco. Di rimando, anche Bobo si concesse di salire al fianco dei due ragazzi, appoggiando il suo voluminoso musetto sul fianco di Jungkook, il quale non perse tempo nel ricoprirlo di carezze.
    Quella adorabile sessione di coccole pre-partita tuttavia venne interrotta improvvisamente, nel momento in cui una serie di leggere vibrazioni scossero il terreno, agitando in un leggero terremoto la casa di Joon incastonata come una pietra preziosa nel perimetro del bosco. Bobo sollevò la testa quasi in sincrono rispetto a Jungkook, che si guardò intorno vagamente confuso, prima di posare le iridi castane su Joon. «Cos'è stato?» Domandò, arricciando il naso e muovendo le mani in gesti chiari ma non troppo concitati; un moto di curiosità più che d'agitazione iniziò a pervaderlo, e saltando giù dal divano, Jungkook si avvicinò alla finestra per captare ulteriori informazioni. Niente. Non sembrava esserci stato nessun cambiamento visibile, eppure quella chiara percezione non parve essere sufficiente a soddisfarlo. «Andiamo a controllare?» Propose allora lui, allungando una mano verso quella di Joon, per afferrarla e stringerla nella propria, attirando senza troppe difficoltà la figura dell'altro a sè in modo che potesse alzarsi, prima di avviarsi assieme a lui all'esterno dell'abitazione, raccomandando a Bobo di restare all'interno. Non appena gli anfibi neri di Jungkook affondarono nell'erba della selva, le iridi vagarono curiose lungo le forme sinuose degli alberi, interrogandole in cerca di una risposta. Che cosa succede, veramente? Rivolgendo la sua attenzione a Joon, Jungkook non si accorse neanche di aver dimenticato la felpa in casa, ora ricoperto solo da una larga canotta bianca e da un paio di jeans neri. Avrebbe dovuto sentir freddo, eppure non pensò nemmeno di toccarsi le braccia scoperte, ora che un caldo innaturale avvolgeva gli spazi verdi della foresta. Un'altra scossa, e poi un'altra ancora. «Sembra provenire di là!» Dopo aver formulato la sua supposizione, le dita di Jungkook s'affrettarono ad indicare la direzione del presunto epicentro, e subito dopo, un passo dopo l'altro, il ragazzo iniziò a rispondere ad un richiamo che irresistibile gli imponeva di continuare ad esplorare, a scoprire cosa si celasse dietro all’ondeggiare di quel lieve terremoto così inusuale. Nel tragitto, Jungkook non accennò a lasciar andare il palmo caldo di Joon, che racchiuso nel proprio costituiva il gancio che lo teneva stretto in un senso di protezione percepibile solo attraverso la presenza dell'altro.
    Più si addentrava nell’intreccio sanguigno delle fronde del bosco, più Jungkook parve incuriosito da ciò che l'attendeva, al pari di Joon che non aveva cessato di camminare al suo fianco. «Joon! Joon-» Tirando appena il migliore amico in avanti, il minore lo incoraggiò a seguirlo ora che erano abbastanza vicini da scorgere un luogo che non aveva mai visto prima. Nonostante dal suo arrivo a Besaid avesse avuto modo di curiosare per la cittadina in una perlustrazione abbastanza approfondita dato il tempo passato in strada, Jungkook non ricordava di aver mai posato gli occhi su quella che sembrava essere un'arena - identica a quella che aveva appena osservato sullo schermo della TV. Con gentilezza allora lasciò andare la mano di Joon, attirato da quel misterioso luogo fino a che non si ritrovò a scendere giù lungo i fianchi della lieve altura che circondava l'arena, fronteggiando infine un grande cunicolo arcuato. Nel voltarsi, tuttavia, Jungkook non riuscì più a trovare Joon. Schiuse le labbra per richiamarlo, ma naturalmente dovette frenare i suoi istinti, ben sapendo di non poter produrre alcun suono. Prigioniero del silenzio si guardò attorno, camminando per qualche metro lungo il perimetro della costruzione, finchè non decise di imboccare uno dei cunicoli, certo di poter ritrovare Joon all'interno da qualche parte. Aveva controllato, non sembrava essere nè dietro di lui, nè ancora fermo sulla collina. Non poteva far altro se non andare avanti, non sapendo che gli invisibili ingressi dell'arena si sarebbero chiusi alle sue spalle, impedendogli la fuga dalla maledizione in cui essa era imprigionata. Immerso nel buio sporcato solo dalla luce all’esterno del cunicolo, Jungkook iniziò ad affrettarsi lungo quell'ampio corridoio dai lineamenti antichi, assopiti nel tempo e risvegliatisi solo allora, avvertendo una peculiare ansia insinuarsi dentro di lui. La conosceva bene, la sensazione che prova chi viene colto in trappola, ed ora - così come al Mordersønn Institute - nessuno sarebbe stato in grado di sentirlo, nè di salvarlo. Prese però un ampio respiro, deciso a non farsi sopraffare dalla paura; avrebbe trovato Joon, e l'unico modo sarebbe stato proseguire. Man mano che il chiarore della luce esterna iniziava a bagnarlo, Jungkook sentì le braccia ed i fianchi venire gradualmente stretti da un livello di indumenti che gli abbracciarono il corpo come per magia; un'armatura leggera di pelle nera gli avvolse la pelle già accalorata, ed una volta uscito dalla bocca sotterranea dell'arena, Jungkook avvertì il peso del suo stesso respiro, racchiusosi in profondi ansiti intimoriti. Non ebbe modo neanche di rendersi pienamente conto di essere stato racchiuso in un incanto, ora che la sua visuale era ostacolata dalla visiera di un elmo, che più di tutto agitò il ragazzo. Non di nuovo. Una mano salì immediatamente ad afferrare il copricapo, che troppo simile alla terribile benda del Mordersønn restringeva odiosamente le percezioni di Jungkook, rendendolo nervoso ed allacciando pericolosamente i suoi pensieri agli esperimenti che con crudeltà l'avevano condotto ad una morte prematura. Grida d'incitamento di natura quasi animalesca si levavano dagli spalti di quell'arena, occupata da figure mostruose ed eteree, prigioniere immateriali di quel luogo perso nel tempo, e nel rimuovere velocemente di dosso il proprio elmo lasciandolo così cadere sul terreno, Jungkook si rese conto di ciò che stava realmente accadendo; non era convinto neanche di essere sveglio, mentre sollevando lo sguardo sul velarium, ispezionava incredulo l'ambiente in cui si trovava. Aveva davvero indosso un'armatura leggera, si trovava in un'arena popolata da quelli che parevano fantasmi, e Joon era poco lontano, riaffiorato alla luce qualche tunnel più in là, con degli indumenti molto simili ai propri indosso. Assieme a lui, altre otto persone, tra cui assurdamente anche la sorella di Petra, erano comparse nell'arena. Sembravano essere tutti confusi almeno quanto lui, eppure ben presto il sangue rallentò il suo corso, gelandosi nelle vene. Ho paura. Jungkook sapeva di essere stato nuovamente preso in trappola, ed un terribile presagio lo assalì, e non solo per via della sua familiarità con le arene digitali: con quell'equipaggiamento ed a giudicare dalle voci confusamente euforiche dei tetri spettatori, non avrebbero potuto far altro se non combattere per la loro vita.

    Edited by ‹Alucard† - 20/3/2020, 18:20
     
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    Impegnato a navigare per tutto Reddit sugli ultimi post più interessanti, Joon si assestò rapidamente il ponte degli occhiali contro il naso, prima di essere sorpreso dalle azioni di Jungkook che, appoggiandosi contro di lui nel volergli comunicare un qualche successo virtuale, lo fece trasalire leggermente. Essendosi immerso nella lettura di un animato dibattito sulla questione se fosse più opportuno amare intensamente poche cose o dividersi in piccole quantità fra una moltitudine di elementi, assorbendo quella o l'altra opinione, era riuscito quasi del tutto a dimenticarsi dei rumori che lo circondavano, distante nelle elucubrazioni che una domanda apparentemente così semplice poteva suscitare. Fissò gli occhi in quelli di Jungkook e gli sorrise. Dove si posizionava lui? Aveva molto, forse troppo, tuttavia delle volte si sentiva di non stringere nulla fra le mani, di non possedere nient'altro che non fosse futile, superfluo, inutile. Se non era "amore" quello che provava per ciò che lo circondava, certo era una forma di attaccamento che impediva a Joon di disfarsene. Che se ne sarebbe fatto di tutta quella roba una volta morto? Che ne sarebbe stato del pensiero di sé? Sarebbe stato ricordato come quello strano tipo che si era allontanato dalla sua famiglia per vivere in altrettanto agio, incapace di comunicare davvero con qualcuno che non fosse lui stesso per via delle radicali differenze che lo dividevano dagli altri? In verità, si chiedeva se fosse in grado di ascoltarsi, di comprendersi fino in fondo come pretendeva di fare con chi gli stava vicino. Sorrise all'amico, socchiudendo gli occhi in due mezzelune, appoggiandogli il palmo della mano contro i capelli. «Mh, mh... una torre? E non pensate a quelli che ci hanno lavorato? Non credi che potrebbero intristirsi?» Scherzava e sapeva di volergli bene, di condividere con lui lo stesso orgoglio di una piccola vittoria del genere, di un entusiasmo condiviso con chissà quante altre persone online. Stava per scivolare di nuovo in ulteriori mulinelli, ma gli bastò avvertire il tessuto del divano piegarsi nell'accogliere il corpo dell'amico per rimanere saldo sul presente, sul reale e su ciò che stava succedendo a qualche centimetro da lui. Chiuse il laptop, spostando l'attenzione su Bobo e passandogli una mano sotto il muso, ricevendo un sospiro assonnato in tutta risposta. Per essere un cane giovane era davvero un gran pigro. Immaginò che quei semplici gesti avrebbero potuto sostituire con un punto quello interrogativo: la presenza calorosa e amichevole di Jungkook, il respiro regolare e lento del cane. Forse non era così solo e distante come si credeva. Forse non c'era bisogno di quantificare gli elementi, le persone, le energie che avrebbero potuto ricevere il suo amore. Forse semplicemente doveva essere ed il suo essere era anche quello. Svincolatosi dalle opzioni che viaggiavano su due binari separati, Joon fece anche per alzarsi dal divano, intenzionato ad offrire a Jungkook una cioccolata calda - o una qualsiasi altra bevanda - per festeggiare quella vittoria che pur aveva comportato la distruzione di una ben poco definita torre.
    Prima degli oggetti della casa, sembrarono reagire a quelle inaspettate scosse i suoi abitanti. Fissò lo sguardo a terra e poi verso il soffitto, al lampadario: un terremoto? Da quando non ne succedeva uno del genere? Il tintinnio di qualche vetrina poco distante da loro sembrava essersi interrotto e a quel punto parve svegliarsi la curiosità di Jungkook, a cui rivolse una rapida occhiata, raccogliendo il messaggio che veniva veicolato dalle punte delle dita. «A me è sembrato un terremoto... troppo intenso per essere la semplice caduta di un albero», osservò, avvicinandosi al cane per rassicurarlo con un paio di carezze, nonostante Bobo sembrasse aver mantenuto inalterato il suo umore. Immaginò che chi aveva nel sangue la caccia al cinghiale si spaventava di ben poche cose al mondo e, in un certo senso, Joon non poté che tranquillizzarsi. Che la terra si fosse crepata in qualche punto? Che la città e i suoi abitanti avessero riscontrato dei danni? Che si trattasse, invece, di qualche potente particolarità sprigionata da qualcuno che ne aveva perso il controllo? Animato da quelle domande, Joon parve dimenticarsi velocemente di ogni atteggiamento che avrebbe dovuto rispettare dei comportamenti di cautela ed attenzione, intenzionato piuttosto a rispondere a tutti quegli interrogativi. «A controllare? Sì, andiamo. Sai da quando non capitava un terremoto in questa regione?» Gli chiese, pur fornendogli subito dopo la risposta, lasciandosi portare all'esterno attraverso il legame che ben presto e naturalmente si formò fra una mano e l'altra. «Era il 1904». Era sempre stato così caldo fuori? Prima di seguirlo ulteriormente, Joon si lasciò alle spalle il largo camicione che l'aveva coperto all'interno dell'abitazione, abbandonandolo sul prato della proprietà, rimanendo in una più semplice combinazione di pantaloni neri e tshirt color verde fango, con l'unico tocco di vero colore costituito dalle converse, una azzurrina e l'altra rosa pastello, in marcato contrasto con gli anfibi dell'altro. Si fermarono una seconda volta, guardandosi a vicenda e nei dintorni; gli occhi di Joon si fiondarono subito sul terreno, da cui aveva sentito provenire, e attraversargli il corpo, delle vibrazioni simili a quelle avvertite poco tempo prima. «Di là?» Ripeté, cercando di seguire l'indicazione dell'altro che si persero nei suoi gesti e nei cenni in una direzione ben definita. Immersi nel verde, passati da parte a parte dall'odore pungente e terreno del muschio, i due ragazzi si addentrarono nel bosco trattenendosi a vicenda. Dove li avrebbe portati quella scia di vibrazioni che si erano sostituiti a tante molliche abbandonate nel bosco? Una temibile bestia dalla faccia in pietra li attendeva nell'ombra, in quel caldo spiazzante e atipico per il luogo dove si trovavano, ma i due non potevano saperlo. Dove stiamo andando? E dove finiremo?
    La sua mano era vuota, eppure non ricordava di aver mai stretto qualcuno fra le dita. Si domandò quando fosse stato il preciso momento in cui si era separato da quella presenza che, come uno spettro, aleggiava sulla pelle del suo palmo. Tutt'altro parve pervadergli i pensieri, un chiodo fisso che in nessun modo sarebbe stato in grado di staccarsi dal mezzo del cervello. Un luogo, doveva raggiungere un luogo specifico. Il centro, ecco dove doveva andare, verso dove dirigere senza riflettere i piedi: aveva dimenticato la saggezza, facilmente soppiantata dalle bugie che gli avevano attanagliato i pensieri, costringendolo a muovere le ali in modo caotico e confuso. Una grossa falena attratta da una luce che in quel momento non riusciva nemmeno ad identificare con chiarezza, ma sapeva esistere da qualche parte, lo stava chiamando, spingendolo verso la pericolosa fiamma senza dargli la possibilità di sottrarsi a quell'invito. Sperò che le sue ali non fossero fissate con la cera. Discese qualche gradino, avvicinandosi all'umida terra, costretto a chinarsi su se stesso per poter far ingresso in quello che sembrava essere un buio e lunghissimo corridoio. Lo sguardo scuro, incapace di distinguere le figure che lo circondavano a destra e sinistra, dove identificò le pareti polverose con il solo ausilio dei polpastrelli, fece fatica ad adattarsi a quel cambio di luce; una leggera brezza gli accarezzò il viso, invitandolo alla sinistra scoperta, un sussurro silenzioso di una musa lontana, evanescente. Se c'era movimento d'aria allora significava che di fronte a sé lo stava attendendo uno spazio ampio, aperto, dove avrebbe potuto finalmente allargare gli occhi. Calandosi fra le tenebre anguste e asfissianti, si sentì sfiorare da strette vesti che si andarono ad adagiare contro il suo corpo, fasciandone il torace e le spalle, i fianchi, in un involucro che pareva voler affermare la realtà paradossale di quella situazione. Non si voltò, consapevole per qualche strana ragione di non avere alternative: avanti, si diceva. Avanti... sempre più avanti. Brancolò nel buio a lungo fino a quando, accecante e violenta, la luce del sole non gli arrivò dritta in viso, una verga sferzata contro le guance con tutta la forza degli impietosi raggi. Si chinò una seconda volta, schermandosi il capo coperto da un elmo con tanto di pennacchio d'oro. Meraviglioso nell'aspetto, ricordava una lunga ed ingombrante piuma di pavone e l'occhio sulla punta pareva spiarlo, facendosi gioco di lui, irraggiando inutile opulenza. Sembrò che qualcuno avesse voluto prenderlo in giro, regalandogli quel dettaglio tanto superfluo quanto invitante agli occhi, riconoscibile: la natura non donava alle prede tanta generosità. Gli occhi affilati e cangianti spettavano alla tigre, non al topo di campagna. Peccò di disattenzione e, nell'abbassare il braccio con cui era arrivato a schermarsi dal sole, urtò gli occhiali che portava sul naso. Ben presto tutto divenne opaco, immerso in una confusione che lo destabilizzò ancor di più. Era iniziato il sonno della ragione.
     
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    In bilico la coscienza di Roy ondeggiava cullata dal fruscio di milioni di fronde. Da qualche parte nei meandri della sua mente era in corso una battaglia di pesi e di equilibri, con una fune sottilissima a strapiombo sul vuoto. L'aria era pesante, l'asse terrestre rivendicava il peso di quel corpo massiccio pressando le vertebre verso il centro della terra. Ma Roy non cedeva. Roy voleva restare, voleva sentirsi senza peso. Ma la realtà cominciava a insinuare radici fra le crepe di un sonno sbronzo, un cinguettio che si univa ai sussurri di foglie distanti e sempre più vicine. Una folata di vento sferzò il sonno e la faccia, che Roy contrasse contro il legno grinzoso della panchina. Il soffio divenne raffica nel suo inconscio, si agitò fra i vestiti e fece ondeggiare la fune su cui era in equilibrio. Qualcosa voleva che si svegliasse presto, forse era come l'istinto che spinge gli animali a percepire l'arrivo di una catastrofe geologica ore prima essa si manifesti. C'era urgenza, doveva alzarsi e correre il più lontano possibile. Ma era ancorato al suolo dai postumi della sbronza colossale, le membra erano pesanti e la mente ancora in rifiuto. Da qualsiasi cosa l'inconscio cercasse di avvertirlo, Roy non sarebbe mai riuscito ad evitarlo. E allora con uno strattone il sogno tremò, le suole persero presa e il ragazzo cadde nel buio.
    Chi l'avrebbe mai detto che in fondo al dirupo ci fosse una luce tanto forte da costringerlo a strizzare gli occhi, le iridi ferite. Uno, due, tre secondi ci vollero per capire che ciò che aveva spaccato in due il sonno sembrava voler fare lo stesso con la terra. -Porca tr---- Aggrapparsi alle stecche di legno fu un gesto istintivo, nonostante non avesse avuto il tempo di rendersi conto di dove fosse, o di ricordare. Steso sul fianco sinistro in posizione fetale e le nocche contratte per lo sforzo di non cadere, più che una panchina a Roy sembrava di trovarsi su una zattera minuscola, il terreno fatto di onde tettoniche che si agitavano scomposte sotto di lui. Supino, Roy non era sicuro se fosse meglio guardare in alto gli alberi sembrare sul punto di cadergli addosso o in basso, con l'erba della stessa consistenza del magma. Allo stomaco, già in subbuglio dall'alcool mal digerito, entrambe le opzioni facevano male, quindi decise di strizzare gli occhi e aspettare. Dieci o quindici secondi dopo, la terra smise di tremare e, con cautela, l'uomo si tirò su a sedere chiedendosi se stesse ancora sognando. Gli alberi col vento intrappolato fra i rami erano lì, così come il verde delle foglie. C'era anche l'asfalto, ora la vedeva, una strada piuttosto stretta e sconnessa. Solo gli uccellini avevano smesso di cantare e il silenzio era assordante. Le vertebre scricchiolarono quando girò il collo da una parte e dall'altra mentre, insieme ai ricordi opachi della sera prima, gli tornò in mente anche chi fosse. Ciò che i due mesi erano stati, ciò che lui era stato nelle ultime settimane, lo colpì come uno schiaffo. Sessanta giorni di tutto. Sessanta giorni di niente di cui avesse davvero bisogno.
    Deglutì a fatica, il pomo d'Adamo lottò contro l'impulso di ricacciare su qualsiasi cosa lo stomaco avesse ingerito la sera prima, poi lentamente issò il peso sulle gambe malferme. Con una batteria pulsante fra le meningi, il mondo continuò a girare per un po' anche dopo la fine della scossa. Destro e poi sinistro, i piedi iniziarono a muoversi verso gli alberi che, con i loro tronchi massicci, formavano un vero e proprio perimetro tra civiltà e natura. Alla fermata dell'autobus nella stradina deserta, Roy fronteggiava il muro di fronde come un minuscolo soldatino di piombo, chiedendosi perché avesse così tanta voglia di superare il verde confine. Il luogo, persino l'aria che Roy respirava, tutto era così surreale da fargli credere per un secondo di trovarsi davvero ai confini del mondo. All'improvviso il vento spirò più forte il suo alito contro la schiena e le spalle di Roy, sembrava invogliarlo a lasciarsi dietro ogni dubbio e ad entrare. E allora il vecchio istinto gli arpionò lo stomaco ad uncino, qualcosa non quadrava, la foresta aveva tutta l'aria di non voler essere disturbata. Ma era nella natura di Roy oltrepassare linee invalicabili. Senza quasi rendersene conto, l'uomo si ritrovò a muoversi lentamente in avanti finché non fu inghiottito dalla vegetazione. E allora nella stradina di campagna niente rimase del passaggio di Roy, solo un pacchetto vuoto di sigarette.
    Lì, accartocciato sulla panchina scrostata.

    Non avrebbe saputo dire quanto camminò, spinto dall'irresistibile richiamo che lo spingeva a non fermarsi. Come se fosse questione di vita o di morte, arrivare all'epicentro del sisma sembrava in quel momento l'unica cosa che contasse per Roy che, con maglietta e jeans neri, si mimetizzava sempre meglio col fogliame, di ogni metro più scuro mano a mano che si addentrava nel bosco. Troppo stordito per fissare alcun punto di riferimento, ad un tratto fu sicuro di essere già passato di lì. Ma fu solo dopo aver scostato fitti rami appuntiti che la vide. Verso la cima di una ripida collinetta, una ragazza in tuta camminava fra gli alberi. Roy dovette concentrarsi per non perderla di vista, visto come continuava ad apparire e sparire tra un tronco e l'altro contribuendo a renderla simile a un sogno. Per quanto la mente fosse annebbiata e le circostanze a dir poco improbabili, il corpo non mentiva. Si era proteso d'istinto verso di lei non appena era apparsa nel campo visivo di Roy, come in risposta a uno stimolo intrinseco nel suo stesso essere. Seppur in disuso da un po', l'anima non avrebbe mai smesso di cercare lei. L'avrebbe riconosciuta in una folla intera, al primo sguardo, solo per quei capelli in stato di agitazione perenne o il suo modo di camminare. -Coco...- L'aveva urlato, o forse detto solo a sé stesso, sta di fatto che la ragazza non diede alcun segno di averlo sentito. La seguì con la sensazione di star ancora intrappolato nel sonno. Non può essere qui. Gli sembrava di sentire il profumo dello shampoo sprigionarsi dai riccioli scuri e il rumore delle ciglia sulla guance ad ogni battito di palpebra. All'improvviso gli tornò in mente l'ombra che esse avevano disegnato sul suo viso quando l'aveva baciato l'ultima volta. L'impatto di quel ricordo fu talmente violento che Roy non vide la radice sporgere dal terreno. Cadde in avanti, le mani tese perforate da dozzine di aghi di pino attutirono l'impatto. Contro ogni previsione, i riflessi funzionavano meglio di quanto pensasse. Si tirò velocemente su scrollando via il terriccio alla meno peggio, ma quando lo sollevò, lo sguardo non incontrò altro che la dura superficie degli alberi. Fu istintivamente preso dal panico che, insieme alla forza d'attrazione verso il centro della foresta, lo spinse a mettersi letteralmente a correre.
    Si convinse di inseguire una visione quando, saliti senza rendersene conto dei gradini sommersi dalle erbacce, di Coco non c'era più traccia. Tirò forte su col naso, il busto piegato in avanti e le mani sulle ginocchia, con il sudore che gli inzuppava la maglietta come se fosse Agosto inoltrato. Lei era con lui in ogni istante che cercava di dividerli senza riuscirci. Una volta ripreso fiato, Roy si raddrizzò e fu colto dalle vertigini. Invece che altro verde, sotto di lui l'ovale dell'arena si apriva come l'occhio di un mastodontico ciclope. Aggrottò le sopracciglia schermendosi con la mano gli occhi dal sole bollente. Tutto di quel luogo sembrava abbandonato. Scese qualche gradino, la forza avvertita nel bosco ora era diventata più insistente, un rullo di tamburi cerebrale. O erano ancora i postumi? Fu in un cunicolo che si inoltrò presto, la semioscurità gli si appiccicò addosso insieme al sudore che sentiva viscido tra le scapole. Più avanzava, più qualcos'altro si univa al rombo del suo cuore nelle orecchie, un suono tanto impossibile quanto reale. Grida, urla di una folla invisibile che Roy ancora non poteva capire né vedere. I peli si rizzarono sulle braccia come a conoscenza dell'imminente catastrofe che il ragazzo ancora ignorava. Le pareti del tunnel si strinsero talmente tanto da fargli credere di non riuscire a sbucare nel cono di luce che si avvicinava. Allungò le mani verso i lati, voleva in qualche modo impedire al muro di inghiottirlo, e i palmi presero a strusciare contro l'umida roccia. Non sapeva neanche perché lo ricordasse, ma in quel momento si sentì come quel tizio di cui gli leggeva Coco, Orfeo, che scendeva negli Inferi per recuperare la sua donna morta. Com'è che si chiamava la tipa? Pensò stupidamente mentre sentiva il corpo venire compresso da un peso che prima non c'era. Tastandosi rapidamente con la mano sentì del cuoio sotto le dita ruvide, ma l'attenzione si concentrò su qualcosa che si serrò ai lati della testa. Prima che potesse fare qualunque cosa fu di nuovo un bagliore e Roy strizzò gli occhi, le iridi ridotte a due fessure dalle ciglia che battevano impazzite. Quando gli occhi si abituarono all'ennesimo cambio di luce, la prima cosa che notò fu la fiaccola ardente al centro dell'ovale, e la vista del fuoco sembrò per un attimo far ardere di più il magma che Roy covava dentro. Guardò verso il basso, incredulo nel vedersi il corpo avvolto da un'armatura nera di cuoio e pelle. Poi come se qualcuno avesse d'improvviso alzato di nuovo il volume, Roy sobbalzò alle grida furiose e alzò gli occhi. Sui palchi prima vuoti, ora mille figure opalescenti si agitavano e urlavano verso il basso, verso di lui. Il cuore era ormai a mille e tutti i muscoli tesi, il corpo aveva capito da un pezzo di trovarsi in pericolo. Si tolse con gesto deciso l'elmo nero dalla testa, un ciuffo minuscolo di capelli appiccicati sulla fronte. Strizzò gli occhi, non era solo, intorno a lui c'erano altre persone. Sotto le armature era difficile rendersi conto di chi fossero, ma il brutto presentimento che avvertiva nello stomaco lo spinse a guardare meglio. Iniziò dalla sua destra e, nonostante ci fossero diversi metri a dividerli, qualcosa nella sua postura gli fece dire: -Nora?!- Dalla pancia, la preoccupazione era salita a livello esofageo, mentre la confusione lasciava spazio all'adrenalina. Non poteva rischiare di perdere l'unico membro in quella fottuta famiglia di cui gli interessassero le sorti; non avrebbe permesso che le accadesse niente di male. Erano zeri, Roy e Nora, impossibili da dividere. Avrebbe tanto voluto afferrare le sue paure, i suoi incubi, i suoi problemi e farli suoi. Dividerli, che due spalle sono meglio di una. Non c'era mai riuscito, non come avrebbe voluto e come le aveva promesso tutte le volte che, con le mani premute sulle sue orecchie a difenderla dalle grida dei grandi, le aveva promesso che ci sarebbe sempre stato. Avrebbe voluto avvicinarsi alla cugina, accertarsi che stesse bene e portarla via di lì ma non ci riuscì. Era paralizzato. Gli occhi infatti avevano sfilato sul resto delle persone, fermandosi su un punto esattamente dalla parte opposta. Era coperta dalla divisa, ma l'avrebbe riconosciuta fra mille. Da due mesi era calato fra loro quel silenzio fatto di pietre diventate poi muri divisori. E in quel momento Roy non avrebbe voluto fare altro che annientare il diametro che di quel cerchio li separava, ognuno alle metà estreme dell'arena. Li separavano parecchi metri. Tantissimo spazio che Roy voleva solo colmare. Doveva proteggerla, doveva stringerla. Deglutì a fatica, la bocca asciutta. Per la seconda volta nel giro di pochi minuti Roy si ritrovò a sussurrare il nome che negli ultimi due mesi aveva tenuto solo per sé. -Coco?- Mosse istintivamente un passo verso il centro e si fermò, lo sguardo che da Coco si spostava a Nora e viceversa. Nel perdere una delle due, Roy avrebbe perso sé stesso.
     
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    ..un luogo al di là del tempo e dello spazio..

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    Chiuse gli occhi per qualche momento, mentre lasciava che il profumo dei pini selvatici pervadesse tutti i suoi sensi. Sorrise, un sorriso appena accennato ma comunque spontaneo, mentre la sua mente si proiettava indietro di diversi anni, all’ultima volta in cui aveva passeggiato per quei sentieri verdeggianti senza avere paura. Concentrandosi con maggiore attenzione poteva quasi percepire la mano di suo padre, stretta nella sua, mentre con vivacità accelerava il passo per mostrarle quel particolare scorcio nel bosco che avrebbe popolato i suoi sogni di bambina, sogni che, col tempo, si erano tramutati in incubi dove quella presa salda spariva nel buio lasciandola completamente sola in un bosco pericoloso. Patrick era stato la sua prima roccia, uno spiraglio in mezzo all’oscurità della sua vita familiare, fatta di urla, di porte che sbattevano, di silenzi, di assenza. E in mezzo a tutto quello brillavano alcuni ricordi che ancora era in grado di custodire, sebbene non sapesse più che cosa questi fossero in grado di trasmetterle. Se in principio aveva ricordato quei dettagli con rabbia, con la voglia di trovarlo, di aggredirlo, di fargli sapere quanto male le avesse fatto, con il tempo anche quella sensazione era scivolata via, lasciando il passo al nulla, a un oblio indefinito nel quale aveva scelto di annegare. Si era sforzata di non provare niente, di non sentire nulla, anche se non era mai riuscita a farlo davvero. L’affetto che provava per Roy, l’amore che aveva provato per Tim, l’amicizia che sentiva nei confronti di quelle poche persone che aveva lasciato avvicinare nel corso degli anni, tutto era sempre stato lì, ad un passo, era soltanto lei che non aveva mai voluto vederlo davvero, che non aveva voluto immergersi in quel mare dove temeva di sprofondare. E ora, dopo tanto tempo, si sentiva come se i suoi sensi si stessero risvegliando, come se qualcosa che era stato sopito per un tempo non ben definito stesse finalmente venendo a galla, permettendole di sentire di nuovo. Erano queste le famose emozioni di cui tutti gli altri parlavano? Era questa la pace, la gioia? Si sentiva come se il tempo si fosse fermato, o forse come se finalmente avesse iniziato a scorrere davvero, non riusciva a comprenderlo con chiarezza. Quello che sapeva era che, nelle ultime settimane, qualcosa sembrava essere cambiato, come se finalmente alcuni pezzi del suo cosmo avessero ripreso il loro posto, permettendole di vedere ciò che la circondava con maggiore chiarezza. Aprì gli occhi, guardandosi alle spalle, trovando Lukazs ancora a qualche metro di distanza. -Ehi pigrone, che fai ancora lì? Muoviti o non arriveremo mai! - urlò, nella sua direzione, prima di riprendere a camminare, lasciandosi dietro una leggera risata cristallina, appena pronunciata. Non sapeva se fosse stanco, o se si fosse fermato per osservare qualcosa in particolare, sapeva soltanto che la parte più sciocca di lei, quella che sembrava scomparsa da tempo e finalmente rifiorita come la primavera, era animata dalla voglia di raggiungere il piccolo promontorio prima di lui, di vincere.
    Si sentiva come una bambina in quel momento, mentre quasi correva tra le radici sconnesse che impedivano una camminata agevole, guardandosi indietro, spesso, sempre più spesso, alla ricerca di quella figura a cui lentamente stava iniziando a ritagliare un posto all’interno della sua vita. Era un posto dai confini sbiaditi, non ben riconoscibili, a cui non avrebbe saputo dare una definizione precisa, ma era lì e voleva che restasse. Qualche altro passo e poi finalmente una piccola vallata si aprì davanti a loro. Sorrise mentre, sulla cima di quella piccola collinetta di appena due metri, aspettava che l’altro arrivasse, tendendo appena la mano verso di lui, perché potesse usarla per raggiungerla. Fece forza con l’avambraccio per tirarlo a lei, mentre quel ritaglio di paesaggio diveniva finalmente visibile anche ai suoi occhi. -Beh? Era bello come ti dicevo? - chiese, mentre puntava il suo sguardo scuro su di lui e restava in attesa, trattenendo appena il respiro, che arrivasse il suo verdetto. Era forse una delle pochissime occasioni in cui si incontravano senza che fosse il caso a deciderlo, perché volevano farlo e non perché il destino aveva scelto per loro. Attese qualche momento, lasciando che lui si prendesse il suo tempo poi, proprio mentre era sul punto di aggiungere qualcosa, un rumore sinistro catturò tutta la sua attenzione concentrandola verso un punto non definito. La terra iniziò a tremare sotto i loro piedi emettendo un rumore sordo come di qualcosa che si sgretolava. Strinse la sua mano in un istintivo gesto di protezione che soltanto con Roy aveva provato in passato, mentre tutto intorno a loro sembrava muoversi e crepitare. Per un attimo la sua mente tornò a quando era bambina e, nascosta sotto il letto di Roy insieme a lui, aspettava che la tempesta sparisse per riprendere a vivere. Si chiese se anche lui l’avesse sentito, se fosse al sicuro, a casa, dove nessun male avrebbe dovuto raggiungerlo.
    Ancora qualche altra scossa di assestamento e poi, piano, tutto parve fermarsi di nuovo. Un calore mai provato prima in quel periodo dell’anno le fece muovere una mano per sventolarla davanti al suo volto, con lo sguardo che si muoveva veloce, da una parte all’altra, alla ricerca di qualcosa. Non ricordava di aver mai assistito ad un terremoto prima di allora, neanche sapeva che Besaid fosse una zona sismica in effetti. -Stai bene? - chiese, osservando l’altro con la coda dell’occhio mentre cercava di regolarizzare il respiro e il battito del suo cuore che aveva accelerato involontariamente. Che fosse un’altra di quelle stranezze come per la cupola? Perché faceva così caldo? Perché proprio in quel momento? Come mossa da una forza estranea, che veniva dall’esterno del suo corpo, iniziò a muoversi, trattenendo ancora la mano di Lukazs nella sua. Sembrava quasi che il paesaggio attorno a loro fosse mutato e che lei non fosse più in grado di mantenere il senso dell’orientamento mentre si muoveva tra alberi che non sapevano più evocare alcuna memoria in lei. Si sentiva come una bimba sperduta all’interno di qualcosa che era molto più grande di lei e che eppure la invitava ad entrare, come se fosse stato un favoloso universo di giochi. Lentamente lasciò andare la mano dell’altro mentre davanti a lei si apriva un leggero scorcio su quella che aveva le sembianze di un’arena. Poteva vederla, diversi metri più in basso, ma non riusciva a capire da dove fosse spuntata fuori. Perché non l’aveva mai vista prima? Perché nessuno ne aveva mai parlato? -Ma tu l’avevi mai vista prima? - chiese quindi, confusa, sebbene immaginasse che il polacco dovesse saperne ancora meno di lei che doveva essere l’esperta di quella città dato che vi era nata e non era mai andata via, neanche per un brevissimo tempo. Iniziò a percorrere qualche gradino scavato nella pietra, scendendo leggermente di quota, prima di raggiungere un cunicolo. Tutto dentro il suo corpo le gridava di fermarsi, di non entrare, di voltarsi e correre il più lontana possibile da qualunque cosa stesse per accadere in quel luogo. Il suo istinto di conservazione urlava e graffiava dentro la sua mente ma il suo corpo continuava a muoversi, come se non potesse fare altrimenti.
    Si guardò attorno, posando piano la mano contro le pareti del cunicolo dentro il quale stava camminando, illuminato da alcune fiaccole. Era un luogo allo stesso tempo affascinante e terribilmente spaventoso. Il silenzio attorno a lei si tramutò lentamente in un leggero eco di grida che parevano distanti, come se prevenissero da un mondo non era neanche il suo. Si guardò indietro, alla ricerca di Lukazs, senza più riuscire a vederlo. -LUKAZS? - gridò quindi, con una certa apprensione nella voce, preoccupata di averlo perso per strada, di non riuscire più a trovarlo in quell’intricato dedalo di corridoi che sembrava non avere fine. Era forse un labirinto quello? Cercò di tornare indietro, per andare a cercarlo, ma il passaggio si era chiuso dietro di lei. Poteva soltanto andare avanti, senza fermarsi. Deglutendo a fatica mentre sentiva il panico insinuarsi sotto la sua pelle, si sforzò di continuare a mettere un piede dietro l’altro, seguendo quelle voci che lentamente si facevano sempre più facili da udire, sempre più forti, come se fossero più vicine. Forse quelle persone potevano aiutarla, forse loro sapevano che cosa stava succedendo. Il suo passo si fece più lento, come se qualcosa avesse appesantito il suo cammino e guardandosi notò che una strana armatura* era comparsa sopra i suoi vestiti. Iniziò a tastare il cuoio che aveva sulle braccia, cercando di capire se fosse reale. Il pensiero di essere finita in una nuova trappola si faceva sempre più opprimente, così tanto da toglierle quasi il respiro. Era colpa sua. Era stata lei a portarlo lì. Lo aveva messo in pericolo. Non avrebbe dovuto avvicinarsi a lui. Quei pensieri si succedevano veloci all’interno della sua testa mentre continuava a costringersi ad andare avanti sebbene sentisse quasi di arrancare, ogni passo con sempre maggiore fatica. Dovette coprire appena il volto quando finalmente il cunicolo terminò su uno spazio ben più ampio, su cui risplendeva la luce del sole. Al centro di esso una fiaccola ardeva come se dovesse segnare qualcosa. Attorno a lei una folla urlante dai tratti mostruosi si agitava sulle gradinate. Le sue speranze di ricevere un aiuto furono spazzate via come se fossero state neve che si scioglieva sotto un sole cocente. Si guardò intorno, trovando tutto intorno a lei, disposte in cerchio, altre figure. Sfilandosi l’elmo da capo per osservare meglio riuscì a scorgere il profilo del ragazzo da cui si era separata chissà quanti minuti prima. -Luk? - chiese quindi, spostandosi di qualche passo per osservarlo meglio e accertarsi che fosse lui la persona che stava al suo fianco, sulla sinistra, che stesse bene.
    Fu un’altra voce però a farle gelare il sangue nelle vene. Roy, che cosa diamine ci faceva lui lì? -Roy? - urlò di rimando, confermando i suoi sospetti. La rabbia, sopita fino a quel momento per via della paura, iniziò a riemergere facendo tremare appena le sue mani. mosse un passo in avanti, cercando di raggiungerlo, ma si fermò di scatto quando sentì un altro nome sin troppo familiare, voltandosi in direzione della ragazza riccia che aveva sempre ritenuto un ostacolo all’interno della vita di suo cugino, un problema, piuttosto che una possibilità di riemergere dal mare sporco e agitato in cui i due cugini avevano sempre dovuto nuotare. Vide lo sguardo di Roy muoversi tra lei e Coco mentre si fermava ad un passo dalla sua posizione, non sapendo forse dove andare, chi scegliere. Si morse l’interno della guancia, abbassando appena lo sguardo prima di muovere un passo indietro, a fatica, scegliendo silenziosamente per lui quale fosse la via migliore da seguire. Perchè per quanto negli anni avesse detestato Coco, per quanto l’avesse odiata e avesse desiderato vederla lontana da Roy, non voleva che qualcosa di male potesse accaderle. Non lo meritava, non lo aveva mai meritato.

    *immaginatela senza gli inserti in pelliccia, che invece sarebbero sostituiti da porzioni di tessuto leggero


    Edited by 'misia - 22/3/2020, 22:25
     
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    Lukasz Leon Lewandowski|31 y.o.|Gorgone| panic.
    #warning: Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [descrizioni dello stato mentale di un personaggio che attraversa un particolare stato emotivo legato a disturbi d'ansia, depressione, e simili;].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.


    Ce lo dicono i film, le opere letterarie, gli eventi che ignoriamo volutamente. Ce lo dicevano i nostri nonni, che da un giorno all’altro si erano trovati a combattere una guerra o una crisi economica. C’è sempre una svolta del terzo atto, un cambiamento di trama, un evento inaspettato che ribalta la situazione alla fine di ogni storia. L’universo ci lancia dei segnali, cerca di farci capire che qualcosa sta cambiando, che anche in fondo all’abisso può esserci qualcosa di buono se si sopravvive alla caduta. Eppure ignoriamo quei segnali. Siamo così tanto impegnati a guardare le nostre ferite sanguinare incessantemente da non renderci conto di quando intorno a noi qualcosa cambia. Ci svegliamo dall’inverno e ci accorgiamo che sono nati i fiori, che le api hanno ripreso a ronzare, e ci chiediamo: ”ci sono già le zanzare?” Non succede tutto in un attimo, né per caso. Noi cambiamo insieme alle stagioni. E anche le nostre ferite, a volte, cicatrizzano.
    Era cambiato qualcosa nella sua vita, e Lukasz non se ne era nemmeno reso conto. Continuava a credere che il trauma di quel treno non si sarebbe mai affievolito, che quella tremenda giornata chiuso in una cupola sarebbe stata sempre parte di lui. E probabilmente così sarebbe stato. Eppure aveva ignorato tutto il resto, ciò che era conseguito da quei momenti. Si era pietrificato, così come faceva con gli altri, ed era rimasto immobile in un punto. Ma nonostante non lo vedesse, qualcosa nella sua vita era cambiato, in maniera così naturale che non sembrava una cosa voluta, una scelta compiuta. Qualcuno si era fatto spazio nella sua vita, centimetro dopo centimetro. Ne era diventato parte, anche se lui continuava imperterrito a ignorare ogni segnale che lo confermasse. Sembrava la cosa più naturale del mondo, ora, sorridere pensando a qualcuno, anche se l’ultima volta che l’aveva fatto era stato anni addietro. Era una cosa quasi sciocca anche solo da pensare, in quel mondo tanto complicato. Sembrava da ingenui lasciare spazio a cose del genere, lasciare che si insinuassero in mezzo a quelle importanti e che le opacizzassero. Forse il destino stava cercando una cura a quelle ferite aperte, come farebbe il corpo umano, nato per sopravvivere a più traumi possibili. O forse cercava solo una falla tra le difese, per colpire più in profondità.
    ”Ehi pigrone, che fai ancora lì? Muoviti o non arriveremo mai!” Nora rideva e lo scherniva in lontananza. Sembrava una persona diversa, l’elemento di un sogno lucido che prima di allora non aveva mai fatto. Correvano spensierati in un bosco ombroso, rincorsi solo da leggere folate di vento e da qualche sporadico insetto. Ogni tanto si fermava per guardarsi intorno, chiedendosi cosa l’avesse trattenuto durante l’anno trascorso, per impedirgli di vedere quei luoghi tanto vicini, di esplorare il posto in cui ormai viveva. Tutto sembrava rallentato, persino i suoi passi, e l’eco delle risate di lei. Scaldava il cuore vedere Nora sorridere, in un modo che non le aveva mai visto fare, e che sperava potesse divenire uno stato d’animo sempre più frequente. Era cambiato qualcosa tra loro, giorno dopo giorno. Ciò che era stato solo astio o invadenza si era tramutato in un rapporto profondo, che prescindeva qualunque tipo di definizione o manifestazione fisica. Si erano attraversati, lui e Nora, e nel passaggio avevano lasciato qualcosa l’uno nell’altra. Qualcosa che entrambi ricercavano nell’altro, che volevano riprendersi e che allo stesso tempo sapevano sarebbe stato al sicuro dal lato opposto. Era qualcosa di talmente semplice da essere difficile da cogliere. Eppure c’era, e rendeva tutto più leggero, fluttuante, sfumato. ”Abbiamo fretta? Alzò le spalle, rispondendole con tono fintamente scocciato. Lasciò perdere quindi i fiori che nascevano ai piedi degli alberi e le edere che ne ornavano i tronchi, e allungò il passo per cercare di raggiungerla. Passo che si tramutò in una leggera corsa per entrambi, nonostante il terreno fosse sconnesso e solcato da radici su cui Lukasz inciampò un paio di volte- senza cadere per fortuna, ma eseguendo qualche falcata sbieca in corsa per riprendere l’equilibrio i miei pg che dimenticano come si corre: the saga. Saliva leggermente, il terreno, e si rese conto di dover fare più pressione sui polpacci. Senza nemmeno rendersene conto, come se fosse la cosa più naturale del mondo, prese la mano di Nora e lasciò che lei lo avvicinasse. Sembrava scontato, eppure quella era una di quelle cose che mai aveva creduto potessero cambiare. Quel contatto era divenuto così tanto naturale e piacevole che ormai il suo corpo finiva per cercarlo, per sentirne la necessità, per protendersi verso quel leggero calore. E davanti a loro il paesaggio cambiò, come se il bosco si fosse improvvisamente aperto, lasciando loro scorgere il profilo delle case e delle verdi colline. Sembrava tutto così silenzioso lì, come se la città si fosse fermata per un attimo. ”Beh? Era bello come ti dicevo?” Non si aspettava che Nora potesse condurlo in un posto come quello, che volesse mostrargli qualcosa di suo, condividerlo con qualcuno che aveva conosciuto nel modo peggiore. Si volse verso di lei, incontrando i suoi occhi. L’abisso delle sue iridi non era più spaventoso e indecifrabile, come gli era sembrato la prima volta che l’aveva incontrata. Si era trasformato in qualcosa di enigmatico, estremamente curioso. Qualcosa che gli piaceva indagare, che non faceva paura. Sorrise dolcemente, passandole una mano sulla guancia, accarezzandola delicatamente. ”Molto di più.” Rispose alla sua domanda sospirando. Nora lo attraeva, era qualcosa che non poteva e non voleva controllare. E col senno di poi aveva compreso che quel bacio scambiato sulla scacchiera non era stato un errore. Erano state sbagliate le circostanze, il momento, l’ambiente. Ma ciò che aveva mosso quel gesto non era stato che un preludio, uno di quei segnali che entrambi avevano deciso di non cogliere. Avvicinò il volto a quello di lei, stavolta consapevole di cosa stesse facendo. Era il suo cuore che batteva accelerato a renderlo più reale, le famose farfalle nello stomaco. Ma una morsa di panico riuscì a scacciarle, prima ancora che potesse consumare un altro dei centimetri che li dividevano. Conosceva quella sensazione. Quando sei abituato ai terremoti ti sembra di riuscire a percepirli ancor prima che il boato si faccia udire, o che la terra inizi a tremare. C’è silenzio, una sensazione di vuoto che cresce e pian piano diviene rumore. E poi tutto inizia ad oscillare, in una direzione che non riesci a percepire. Tremano le tue percezioni, perdi l’orientamento. Tutte le regole che hai imparato a scuola vanno a farsi benedire. Vedi immagini sconnesse, il tuo equilibrio crolla. Aveva già sperimentato quella sensazione diverse volte, a Varsavia. E nonostante non la ricordasse, il suo corpo la ricordava così bene da averla percepita un istante prima che il terremoto si verificasse, La sua mano era scesa dalla guancia di Nora a cercare quella di lei, come se insieme fosse stato più facile mantenere l’equilibrio. Non si poteva far altro che aspettare, immobili, che finisse. Un lasso di tempo interminabile. ”Stai bene?” Non lasciò ancora la sua mano, tirando un sospiro di sollievo. Probabilmente le pupille leggermente più dilatate del solito tradivano il suo tumulto interiore. ”Si. Tu?” Chiese di rimando. Fortunatamente erano all’aperto, e non c’era nulla che potesse cader loro in testa. ”Capita spesso?” Non aveva la più pallida idea della sismicità della Norvegia, così chiese a lei, che era del posto. Lei però sembrava scossa, almeno quanto lo era lui nel profondo. Era una sensazione che gli pareva di aver già provato, una specie di deja vu. Angoscia, che flebile si insinuava sotto la sua pelle e lo riportava indietro, sotto quella cupola. Non espresse quel suo pensiero. Non poteva andare sempre male. Tu dici, eh? E forse sì, quel terremoto aveva rovinato un bel momento, ma ce ne sarebbero stati altri. Mentì a sé stesso, ma non poté ingannare quel sesto senso che lo portava a tenere i sensi in allarme. Sapeva che durante i terremoti veniva sprigionata una grande energia, spesso anche sotto forma di calore, ma quell’afa improvvisa gli parve davvero esagerata! Senza nemmeno rendersene conto, troppo preso a cercare di capire se quella sensazione che provava fosse ancorabile a qualcosa di reale, seguì Nora, che aveva ripreso a camminare verso qualche altro punto. Credeva fosse cosciente di dove stesse andando. Si sbagliava. Si fermò, lei, quando avanti a loro si stagliò una struttura circolare, scavata nella roccia, che stonava dannatamente col paesaggio rigoglioso e non antropizzato che avevano finora attraversato. ”No, non credo di essere mai stato qui.” Rispose alla sua domanda, mentre quell’inquietudine continuava ad attanagliarlo, a non dargli tregua. Era una specie di arena, come quelle che si trovavano nelle grandi città del sud Europa. Non ne aveva mai sentito parlare, in quel luogo, ma si era recluso talmente tanto che in effetti la cosa non lo sorprese. Nemmeno si chiesero se fosse il caso di andare. Si avvicinarono a quelle rovine ed entrarono in un cunicolo, come sprovveduti. Lasciò la mano di lei per un istante, mentre quella sensazione di ansia iniziava ad annodarsi intorno alla sua gola e a fargli tremare leggermente le mani. Claustrofobia. Non ne aveva mai sofferto prima di salire su quel treno, e con l’aiuto di Helen sembrava essere riuscito a superare almeno l’ansia da ascensore. Ma il buio di quei cunicoli da cui non si riusciva più a trovare l’uscita iniziò a gettarlo nel panico. Il suo cuore iniziò a battere sempre più forte, mentre il petto sembrava bruciare dolorosamente. Ogni respiro si fece più rapido e profondo, ma ogni volta che provava a forzare quel respiro lo sterno sembrava bloccarsi. ”Nora?” Chiamò con la voce rotta, iniziando ad ansimare. Non avrebbe mai voluto presentarsi così al loro primo appuntamento, e di certo non avrebbe chiesto il suo aiuto per gestire una crisi di panico. Irrazionalmente, voleva solo che lo aspettasse, per proseguire insieme. Nessuno rispose, o forse era lui a non sentirla. Forse i suoi sensi erano troppo ovattati. ”Nora?” Chiamò ancora, ma non c’era traccia di lei. Dovette lasciarsi cadere a terra, mentre il respiro si faceva sempre più corto e veloce. Gli girava la testa, mentre gli arti entravano in parestesia. Era un medico, sapeva che l’unico modo per calmarli era concentrarsi sulla respirazione, in assenza di medicinali. Non che fosse facile, ora che il fiato aveva iniziato a spezzarsi ancora di più in singhiozzi, mentre qualche lacrima incontrollata aveva iniziato a rigargli il viso. E non aiutava di certo il riflesso che sotto la luce di una torcia aveva illuminato le sue braccia e il suo corpo. I suoi abiti erano diversi, ne percepiva il calore, la rigidità intorno agli arti e al torace. Che si trattasse di un’allucinazione causata dall’asfissìa? Probabile. Un passo alla volta, sapeva cosa fare. Doveva solo cercare di restar immobile, concentrarsi sul respiro. Sarebbe andato tutto bene, era quello che diceva ai suoi pazienti. Inspirare ed espirare, pensare all’aria che entrava nei polmoni e poi ne usciva satura. ”Jeden, dwa, jeden, dwa”. Uno, due, uno, due. Gli girava la testa a mille, e il formicolio sembrava aver raggiunto le sue meningi. Doveva solo chiudere gli occhi, e contare. ”Jeden, dwa, trzy, cztery.” Sussurrò, mentre pian piano il suo respiro si regolarizzava. Contare nella sua lingua madre riusciva a tranquillizzarlo, non sapeva come o perché. Forse perché era come tornare con la faccia contro il muro, a pronunciare quei numeri, mentre le sue sorelle scappavano e ridevano. Forse era come tornare a quei tempi in cui le preoccupazioni non esistevano. Ci mise svariati minuti a riprendere aria sufficiente affinché il suo corpo smettesse di formicolare, e solo dio sapeva quanto desiderasse un bicchiere d’acqua, mentre quel nodo alla gola doleva ancora e le tempie sembravano esplodergli. Ma era tornato indietro, di nuovo. Sentiva il sudore raffreddarsi sulla propria pelle, scoperta ora in alcuni punti. Quella specie di armatura non era scomparsa. ”Nora." Fu il suo primo pensiero. Si alzò non troppo si scatto, intercettando una luce che proveniva dal fondo del cunicolo. Alcune voci sembravano provenire proprio da quella direzione. Prese a correre a perdifiato, alla ricerca di lei. E ad ogni falcata quelle grida sembravano aumentare. Come un coro da stadio, inneggiavano a chissà cosa. Corse finché la luce non lo inondò, finché non si trovò a doversi sbilanciare leggermente di lato per frenare sulla sabbia. Era come se quell’arena abbandonata avesse preso vita, alzò lo sguardo lasciando che nel suo campo visivo scorressero quel tendaggio, e i gradini, e le figure evanescenti che sembravano essere a migliaia, indistinguibili l’una dall’altra. Probabilmente il nodo alla gola non si sarebbe mai sciolto. Si rese conto che qualcosa gli impediva una visuale totale. Aveva un elmo in testa? Se lo sfilò, e lo tenne in una mano, pronto a pietrificare qualsiasi cosa si muovesse troppo di scatto. C’erano altre persone, disposte in cerchio, vestite in maniera ridicola esattamente come lui. Alcuni ne riconobbe. Li aveva visti qualche volta, forse erano passati in pronto soccorso, o semplicemente li aveva incontrati per strada. Nora, accanto a lui, chiamò il suo nome. Si volse verso di lei, riservandole uno sguardo rassegnato, e spaventato. Entrambi sapevano esattamente cosa significasse, quello. Quello era esattamente uno di quei giochi mortali che tanto temevano di rivivere. Vide lei esitare, chiamare il nome di qualcuno che forse conosceva, tornare indietro. Allungò la mano verso di lei, per quella che forse sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe stretta, mentre gli spettri sulle gradinate si agitavano reclamando il loro tributo. ”Qualsiasi cosa accada, non lasciare che vinca”. Le disse, riferendosi a qualsiasi cosa li avrebbe attaccati, da quel momento in poi. Non era sicuro di poter sopravvivere a un’altra cupola. Ma avrebbe fatto di tutto perché lei potesse farlo. E avrebbe pietrificato l’intera arena fino a farla sgretolare con una folata di vento, se fosse stato necessario. Volse lo sguardo avanti. La fiamma ardeva in mezzo a quel cerchio di spaventati guerrieri.
    I giochi dell’arena maledetta avevano inizio.
     
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    Helen Evangeline Allen | 27 y.o. | Manipolazione Mentale

    Il dolore, era come il mare. Piano ti cullava, in mezzo alle sue dolci acque, illudendoti di potercela fare, di poter rimanere in superficie e arrivare a riva, sano e salvo. Invece senza rendertene conto, ti spingeva in basso, verso il fondo più oscuro e profondo, senza lasciarti respirare, darti il tempo di reagire o di sapere che cosa fare. Era così bello, ma anche così dannato. Helen amava il mare, l’acqua salata sulla pelle, la sensazione di poter arrivare ovunque, la sabbia morbida a contatto con i piedi. Avrebbe voluto, che fosse sempre stata estate, ma nei suoi incubi era diverso. Il mare era suo nemico e lei era una preda facile da inghiottire. Molte notti si svegliava, con il senso di vuoto nel petto, con la sensazione di smarrimento e di star cadendo sempre più in basso. Era sempre stato detto, che i ricordi facevano parte delle persone, plasmavano internamente il tuo carattere e ti facevano sentire vivo. Ognuno diverso, ma tutti importanti. Pensare alle persone, che amavi e condividere con loro la tua vita, era quello, che alla fine ti rimaneva, il ricordo di quello che era stato, l’amore che avevi provato e la gioia.
    Helen non aveva ricordi però. Non sapeva chi era, da dove veniva, se aveva una famiglia che l’amasse e che la stesse cercando. Senza ricordi alla fine chi eri? Nessuno. Lei era nessuno, un fantasma che girava per le stradine di Besaid, alla ricerca di se stessa. La sua abilità invece di salvarla, l’aveva ancora di più portata, alla solitudine più totale. Alcune persone le avevano fatto richieste assurde, “potresti cancellarmi questo ricordo? potresti distorcerlo in meglio? potresti farmi dimenticare?”.
    Non aveva mai capito il perché le persone non li custodissero, li buttavano come spazzatura, quando lei invece avrebbe dato di tutto, per sapere la verità, per ricordare la sua esistenza.
    Correre la faceva sfogare e non la faceva pensare alla sua vita disastrata e infelice. Lo stava facendo anche quel giorno, a Besaid il tempo non era mai dei migliori, faceva freddo e di solito uscita con una giacca più pesante, ma quella mattina faceva stranamente un caldo innaturale, per quella stagione.
    Si era vestita abbastanza leggera, pronta per una lunga corsa, si era legata i capelli mossi in una cosa alta ed era uscita. Si trovava nei pressi di un parco giochi e mentre stava svoltando l’angolo, le suonò il telefono.
    Si fermò ansimando per la stanchezza e rispose. Era Archer, l’unica persona importante nella sua vita e che sapeva tutto di lei. L’aveva salvata e senza di lui non sarebbe stata lì, in quel momento, gli doveva la vita.
    Pronto? disse, mentre si metteva la mano libera nel ginocchio, per riprendere fiato.
    Helen, dove sei? torna a casa subito, forse ho scoperto qualcosa sul tuo passato aveva parlato con voce sconvolta e in modo molto veloce, che quasi faticò a capire le parole. Il tempo sembrò fermarsi, se era vero quello, che aveva detto cambiava tutta la sua vita.
    Il cuore iniziò a batterle fortissimo, quasi a volerle uscire dal petto e sorrise istintivamente.
    Ok Archer, arrivo subito, ma come hai... non riuscì a finire la frase, che sentì all’improvviso vibrare il terreno sotto di se.
    Perse quasi l’equilibrio e per non cadere, si dovette appoggiare a una panchina vicino a lei. Quello che sembrava essere stato un terremoto improvviso passò e notò, che non era l’unica ad averlo sentito, dato lo sguardo spaesato delle persone vicine a lei, che si erano immobilizzate.
    Helen ci sei? stava parlando Archer, ancora al telefono, apparentemente preoccupato.
    Si Archer ci sono, hai sentito il terremoto? Strano...a Besaid sono rarissimi.
    Si stava guardando attorno, ma tutti erano tornati alle loro vite, parlando preoccupati della cosa appena successa, anche i bambini avevano smesso di giocare piangendo spaventati.
    Helen? Helen ci sei? Questa cavolo di promozione, dovrò cambiarla prima o poi e riattaccò. Non c’era più campo e non aveva sentito, che cosa lei gli aveva detto. Non era sicuro, che tutti a Besaid lo avessero percepito, ma cercò di non pensarci, doveva tornare a casa assolutamente.
    Iniziò a correre, tornando indietro verso il B&B, questa volta più veloce che mai, finalmente dopo più di un anno, avevano una pista su cui lavorare.
    Era quasi arrivata, quando all’improvviso il suo corpo si fermò da solo e senza la sua volontà. Iniziò a muoversi e la sua mente era da un’altra parte, invitandola a cambiare strada, a seguirne un’altra immaginaria e che poteva vedere solo lei. Era come se qualcuno le parlasse o la spronasse a inoltrarsi in un bosco, poco lontano dalla cittadina. Dentro di lei sapeva, che non era normale quello che le stava accadendo, ma non riusciva a fermarsi, come in uno dei suoi incubi, dove camminavi e la tua mente prendeva il sopravvento sul corpo.
    Aveva brutti ricordi sui boschi, si era risvegliata lì dopo la sua perdita di memoria, sola e impaurita, non ci aveva più messo piede e ora era come tornare con la mente a quella notte. Non sapeva dove stesse andando, non conosceva quel bosco e era facile perdersi, ma le sue gambe un passo dopo l’altro, la stavano conducendo in un posto a lei sconosciuto.
    Con la mente pensava a Archer, preoccupato e sicuramente la stava richiamando da molto, ma lì non prendeva niente e anche se avesse preso, non avrebbe mai risposto, impotente a quello che le stava accadendo, come uno spettatore al cinema.
    Improvvisamente stava sentendo caldo, un caldo innaturale, che la portò a sventolarsi una mano davanti al volto. La “possessione” sulla sua mente era svanita e lei era libera di muoversi e di riprendere fiato. Si guardò attorno e provò a contattare Archer, ma il suo telefono si era spento e non poteva fare nulla.
    Non sapeva dove si trovava e aveva paura, paura che potesse succederle qualcosa di brutto di nuovo e di non poterlo ricordare.
    Superò una piccola collinetta e davanti a lei come catapultata lì dal nulla, c’era una costruzione in pietra enorme, aveva una forma ellittica e poteva sembrare un’arena, ma non ne era sicura, dato che non l’aveva mai vista e da Besaid non si poteva scorgere.
    Senza rendersene conto si era ritrovata davanti all’apertura di una specie di grotta, ce ne erano molte sparse tutte intorno alle mura e qualcosa o qualcuno la invitava a entrare.
    Il tunnel era buio pesto, ma era illuminato da fiaccole, tutte lungo le pareti. Al suo passaggio le fiaccole dietro di lei si spegnevano, lasciando il posto alla completa oscurità. Dentro di lei voleva uscire, correre via, scappare il più lontano possibile e si sarebbe davvero fatta due domande, sulla sua salute mentale. Però la sua mente e il suo corpo non le davano retta, sentiva come una specie di richiamo dentro di lei, una voce o una sensazione, che la stava facendo proseguire. La paura c’era, il cuore le usciva fuori dal petto ed era sola o almeno così credeva. In lontananza sentì delle grida, urla e un sacco di voci concitate, come se fossero in uno stadio. Seguì le voci e anche quando le si parò davanti un bivio, lei si ritrovò a scegliere senza esitare quella a sinistra. Era sudata e stava respirando a fatica, perché soffriva di claustrofobia e l’ambiente intorno a lei, era tutto tranne che aperto.
    Si sentì all’improvviso pesante, come se qualcuno le avesse buttato addosso un macigno da portare. Si era materializzato addosso a lei e ai suoi arti, sopra i suoi vestiti leggeri da corsa, un’armatura bellissima, ma allo stesso tempo inquietante. Era fatta interamente di cuoio a parte per la gonna, che era in tessuto, negli avambracci aveva degli inserti per proteggerla e se li toccò, per essere sicura che fosse tutto vero. Dove era finita in un film di gladiatori e di guerra? Si toccò istintivamente anche la testa e si ritrovò un elmo, che le impediva di vedere bene dove andasse e di respirare. Se lo tolse rigirandoselo tra le mani e constatando, che era davvero pesante. Le voci si erano fatte più alte e vicine, e le parve di scorgere una luce in fondo al tunnel. Di solito la luce in fondo all’oscurità significava vittoria e pace, ma quello che le si parò davanti era tutt’altro, che pacifico. Una luce forte la colpì al volto e dovette portarsi una mano davanti non essendo abituata alla luce, scese i pochi gradini davanti a lei di pietra e si ritrovò in mezzo all’arena. Le grida, che aveva sentito durante tutto il suo percorso provenivano da figure evanescenti sugli spalti, tutti intorno a loro. Erano ovunque e gridavano i loro nomi, con una brama di vittoria e sangue, che le faceva accapponare la pelle. Non era sola e quella ora era una convinzione. Davanti a lei in cerchio, c’erano altre nove persone, anche loro visibilmente sconvolte e spaesate come lei. Avevano tutti un elmo in testa come il suo, e dietro a quella maschera, non riusciva a riconoscere nessuno di quei volti, forse perché non aveva davvero mai parlato con nessuno a Besaid e non li avrebbe riconosciuti lo stesso. Sperava che qualcuno l’avesse riconosciuta, magari sarebbe riuscita a parlare con qualcuno o a capirci qualcosa. Il rumore concitato delle voci si fece sempre più alto intorno a loro, le orecchie le stavano scoppiando e aveva il desiderio sempre più crescente di scappare da lì, non sapendo dove fosse capitata. Lei voleva solo tornare a casa, da Archer e scoprire la verità su se stessa, non aveva tempo per quelle cose, qualsiasi cosa fosse. Si guardò indietro da dov’è era arrivata, sperando di trovare una luce o una via di fuga da quell’incubo a occhi aperti, ma non c’era nulla che avrebbe potuto salvarla.
    Siamo in trappola disse ad alta voce, più a lei che ai suoi compagni, o almeno sperava che lo fossero. Una consapevolezza si stava facendo strada dentro di lei, non ci sarebbe stato più ritorno e niente sarebbe stato più come prima.

    Edited by #Hope - 26/3/2020, 22:14
     
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    Sakura Blossom

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    Skylar May Lundberg

    ”Dove vorresti fare la ripresa iniziale?” chiese fermandosi al centro della radura che le aveva indicato Hikaru, scese dalla bicicletta e la lasciò cadere a terra accompagnandola con le mani. Si tolse lo zaino celeste dalle spalle e lo appoggiò accanto alla bicicletta, aprendolo per cercare la bottiglietta d’acqua che aveva preparato quella mattina assieme a qualche snack. Dopo qualche sorso veloce la porse al suo amico prima di rimetterla al suo posto. Skylar si guardò attorno contenta di aver accettato l’invito di Hikaru per dargli una mano col nuovo video per il suo canale online YT, le aveva spiegato che lo utilizzava per pubblicare dei filmati fatti da lui su diversi temi. In quell’occasione si sarebbero improvvisati esploratori delle bellezze naturali e avrebbero fatto delle riprese dei luoghi migliori e delle cinque attività assolutamente da fare all’aria aperta. Insomma avrebbero accompagnato il pubblico in una gita virtuale, avevano pensato di posizionare il telefono sulla zona del manubrio con un attrezzo di cui Sky aveva già dimenticato il nome, così avrebbero dato l’idea che chi guardava stesse facendo le riprese. Non era un’esperta di video, ma ne sapeva parecchio di fotografia, quindi poteva essere utile per trovare le luci e le angolazioni migliori. ”Che te ne pare qui? Hai l’imbarazzo della scelta su quale albero scegliere come sfondo!” si voltò verso Hikaru con un sorriso divertito, aprendo le braccia a cingere l’intera foresta in un abbraccio invisibile. Puntò i suoi occhi verdi in quelli del ragazzo scrutandolo per qualche istante, non era da molto tempo che si era consolidato il loro rapporto, eppure si trovava molto bene con lui. Si scambiavano messaggi divertenti sui social e avevano trasformato il loro primo caffè dopo lezione in una vera e propria tradizione settimanale. Erano quelle piccole cose che li avevano fatti avvicinare nell’ultimo periodo, ridevano molto assieme ed era nata una sintonia naturale che non aveva bisogno di troppe spiegazioni. ”Prima di iniziare il lavoro sporco ci vuole una foto per immortalare la giornata!” estrasse il telefono dalla tasca e lo sollevò avvicinandosi al suo amico, prima si appoggiò con la testa alla sua e poi si voltò per lasciargli un delicato bacio sulla guancia. Quel gesto le fece trattenere il fiato, si allontanò lentamente sentendo il cuore premere contro il petto in una corsa forsennata. Strinse le labbra mordicchiandole e si chiese se quel sentore diverso dal solito non fosse il sapore della pelle di Hikaru. Dovette forzarsi a smetterla di pensare a quelle cose, non era la prima volta che le capitava di sentirsi confusa in sua presenza, i suoi sentimenti stavano sconfinando in lidi che non era pronta ad affrontare dopo Andrew. Il Novembre scorso aveva chiuso la relazione più importante della sua vita, volevano sposarsi lei e il suo ex ragazzo, ma il dirottamento aereo in cui era stata coinvolta aveva dato una battuta d’arresto a tutti i suoi progetti. In quel caso non si era trattata solo di una pausa, ma di una vera e propria chiusura dovuta al fatto che Andrew era cambiato dopo l’incidente. La trattava come una menomata da accudire e questo l’aveva fatta sentire in colpa così a lungo che a posteriori non sapeva come aveva fatto a tollerare i suoi atteggiamenti. Hikaru era il primo ragazzo che la faceva sentire bene dopo i suoi trascorsi complicati, le trasmetteva tranquillità e soprattutto stargli attorno la rendeva felice. Sky doveva ammettere di aver paura di quella gioia latente che avvertiva di giorno in giorno crescerle nel petto. Cosa doveva fare?
    Skylar riprese controllo dei suoi pensieri e mise una mano sulla spalla di Hikaru, ”Volev…” aprì bocca per chiedergli qualcosa, ma dovette richiuderla perché improvvisamente avvertì il suolo muoversi sotto i suoi piedi. Forse se lo era sognato e invece era reale, quel primo sobbalzo leggero si tramutò repentinamente in un violento terremoto. Il suono delle loro biciclette sul suolo che tremavano, il fruscio dei rami che sbattevano tra di loro e un rumore più forte degli altri, come di una valanga non troppo lontana. ”Cos’è stato?” chiese con voce flebile, la sua mente le diceva di avvicinarsi di più al suo amico e di cercare un riparo sicuro, ma il suo corpo la spingeva in una direzione opposta. Sentiva di non avere il controllo su se stessa, si rese conto che i suoi piedi fremevano per andare verso la fonte del boato senza il suo permesso. Cosa le stava accadendo? La percezione che aveva addosso era quella di una spinta dall’interno, qualcosa o qualcuno sussurrava al suo corpo cosa fare e lei non voleva. ”Hikaru non so… io… sta attento!” fu l’unica cosa che riuscì a dire di propria volontà prima di iniziare a seguire un percorso disegnato nei ricordi di qualcun altro. Camminava sulla terra tremante con una sicurezza che non le apparteneva, si guardava intorno cercando di capire dove stesse andando e soprattutto perché. Da una parte sperava che Hikaru fosse andato via e che si fosse messo al riparo, dall’altra aveva paura di quel che le stava accadendo e lo avrebbe voluto al suo fianco. Si sentiva così incoerente e frastornata che non si rese subito conto che in lontananza echeggiava un insistente coro di voci, incitava qualcuno o qualcosa. Non riusciva a distinguere bene le parole, le vibrazioni dal sottosuolo e quelle di quell’inno remoto avevano il sapore metallico della violenza. Un brivido di timore le invase le viscere mentre si sentiva trasportava verso una direzione ignota. Ad un certo punto qualcosa le finì negli occhi, fu costretta a chiuderli per la sensazione di fastidio e quando li riaprì vide qualcosa che non si sarebbe mai aspettata: un’enorme arena grondava polvere e terra mentre terminava la sua scalata verso il cielo.
    Skylar spalancò la bocca e per la prima volta riuscì a fermarsi, i piedi saldamente ancorati al suolo mentre fissava quell’enorme struttura scavata nella roccia madre. Da lì non ne poteva scorgere tutta la superficie, i suoi occhi verdognoli si persero nel tentativo di agguantarne i contorni per capire davvero cosa fosse. Ancora quelle voci, stavolta più vicine, erano centinaia e centinaia si facevano sempre più forti dentro il suo petto risuonando come l’esplosione di una bomba in tutto il suo corpo. Col panico in gola Sky riprese a camminare sentendo gli occhi pizzicarle non più per la terra, ma per le lacrime che cercava di respingere. Aveva paura eppure il suo corpo andava verso quel pericolo imminente anche se la sua testa gridava forsennatamente di scappare e di mettersi al sicuro. Si avviò verso un’entrata poco distante da lei e iniziò a percorrere dei cunicoli illuminati solo da delle fiaccole, quei corridoi erano interminabili e labirintici con le loro continue svolte obbligate. Mentre procedeva a passo spedito una strana sensazione di pesantezza si fece spazio in lei, non era spossatezza, era… un’armatura? Si guardò gli abiti cercando di capire quando fosse comparso quell’equipaggiamento di pelle celeste su di lei. Dei parabraccia dalla forma alare le avvolgevano tutto l’avanbraccio e sulla testa qualcosa le dava fastidio tirandole i capelli e offuscandole la visuale, cos’era quella specie di elmo? Non riusciva a smettere di camminare, non voleva proseguire ora che da lontano scorgeva la luce naturale del giorno. Dove sarebbe finita attraversando quell’arcata?
    Voci come tamburi di guerra nel petto e frenesia nella mente mentre usciva all’aria aperta, si portò una mano agli occhi per riacquistare la sensibilità alla luce e poi iniziò a guardarsi intorno. Su degli spalti sedevano un numero infinito di figure dai tratti inumani, alcuni in piedi strillavano col pugno levato in aria, altri seduti con un ghigno malevolo sulle labbra, altri ancora litigavano col proprio vicino ridendo mentre si colpivano a vicenda senza conseguenze sui loro corpi. Sky deglutì rumorosamente e solo in quel momento riuscì a capire cos’era che voleva quel coro inquietante di voci, voleva il loro sangue. Una testa di troll evanescente le sorrise dal suolo per poi sparire e ritornare sul collo del proprietario, neanche una scia a terra come segno che quello che aveva visto fosse reale. Si girò per guardare cosa ci fosse al centro dell’arena e si accorse che da diverse aperture entrarono altre persone che indossavano un’armatura come lei. Alcuni di loro li conosceva, chissà se anche a loro era capitata la stessa cosa. Tolse l’elmo e si morse il labbro inferiore, nonostante la crescente paura un pensiero fisso l’aveva accompagnata per tutto il percorso fino a lì: Hikaru.
     
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    Seduto in sella alla propria bicicletta, al limitare del bosco, Hikaru aveva atteso con crescente impazienza l'arrivo di Skylar. Non era sicuro si trattasse di un vero appuntamento, d'altronde non avevano iniziato a frequentarsi da molto, tuttavia l'aveva invitata con piacere ad unirsi a lui in una spedizione avventurosa per il bosco di Besaid, sfruttando sia il bel tempo che l'incalzare della primavera per riprendere le meraviglie che il loro paesaggio aveva da offrire. Per quell'occasione così diversa dai loro incontri post-sportivi, Hikaru aveva deciso di abbandonare le tute con cui la ragazza era solito vederlo e, seppur mantenendo un abbigliamento comodo per pedalare, aveva scelto con cura i capi da indossare durante la loro ‘scampagnata’. Un paio di jeans neri gli avvolgevano le gambe atletiche, dando l'impressione che fossero più sottili e slanciate, mentre una felpa grigia, di un cotone non troppo spesso per via dell'innaturale temperatura della giornata, celava morbidamente busto e braccia, sebbene queste ultime fossero scoperte dal gomito in giù a causa delle maniche sollevate.
    Per una volta aveva lasciato gli occhiali sul comodino e, a loro discapito, aveva ripiegato su delle più comode lenti a contatto, lasciando così il viso libero dalla montatura spessa dietro alla quale ormai era avvezzo a nascondersi.
    Aveva portato con sé lo zaino, in modo da tenere all'interno di esso un paio di bottigliette d'acqua e, sul manubrio della mountain-bike, aveva agganciato un supporto per smartphone grazie al quale avrebbe potuto riprendere tutto il loro percorso.
    Soltanto quando Skylar lo aveva raggiunto all'orario prestabilito e insieme si erano addentrati tra la boscaglia, pedalando a breve distanza l'uno dall'altro, aveva fatto partire la registrazione, inquadrando nello schermo leggermente crepato la vegetazione circostante. Da quel breve video avrebbe estrapolato le immagini adatte alla copertina del filmato che avrebbe caricato su YouTube, nella sezione dei vlog dedicati alla vita quotidiana.

    Dove vorresti fare la ripresa iniziale? la voce di Skylar attirò la sua attenzione, facendo sì che si voltasse dalla bicicletta. Aveva abbandonato il mezzo a terra dopo aver tolto il cellulare dal supporto in plastica e, tenendo l'Iphone stretto fra le dita, lasciò anche lo zaino nei pressi del telaio. La radura nella quale erano giunti era il punto perfetto per iniziare le riprese, in quel luogo di pace ( seppure non ancora per molto ) sarebbero riusciti a trovare la giusta luce e a mostrare il verde sgargiante delle fronde degli alberi attorno a loro. Attese che Sky avesse finito di bere ed accettò la sua bottiglia d'acqua — un gesto che sua nonna probabilmente gli avrebbe fatto pesare fino alla fine dei suoi giorni se lo avesse saputo, essendo una fervida sostenitrice del ‘Mai attaccarsi alla bottiglia di qualcuno, pensa ai germi!’ — ringraziandola con un sorriso prima di bere un sorso a sua volta, sentendo la gola ardere a causa della pedalata fra l'erba incolta e il terreno a tratti dissestato.
    « Penso che questo punto sia perfetto, possiamo girare la parte introduttiva e poi iniziare ad esplorare l'interno del bosco » si guardò intorno con aria sognante. Per essere soltanto Marzo, l'aria era incredibilmente calda, in modo del tutto inusuale, e il silenzio della zona era rotto soltanto dal cinguettio di qualche uccello e, di tanto in tanto, da qualche risata, segno che in molti avevano scelto quel luogo per passare una giornata diversa, godendosi un anticipo d'estate.
    Si abbassò per riporre la bottiglia nello zaino di Sky e, tornando in piedi, portò entrambe le mani sui fianchi stretti, soppesando la figura della ragazza, mantenendo senza vergogna lo sguardo sul suo viso. Mentre alla loro prima ‘uscita’ si era dato da fare semplicemente per non apparire un totale idiota, ciò che gli premeva adesso era di riuscire a mostrarsi in tutti i modi il più naturale possibile, così da guadagnare punti ai suoi occhi per il suo vero carattere. Grazie agli incontri più frequenti e alla loro crescente amicizia, aveva iniziato a guardarla in modo diverso; quando la osservava durante le lezioni o nel tempo che trascorrevano insieme fuori dallo studio, non vedeva più una semplice allieva, ma una ragazza di una bellezza disarmante e naturale, con cui si riusciva facilmente ad entrare in sintonia e della quale non si riusciva a fare a meno. Abbassò lo sguardo sulla punta dei propri anfibi, indossati così da poter camminare senza timore nell'erba più alta e represse un sorriso alla richiesta di una fotografia per immortalare l'attimo. La raggiunse con un paio di falcate e, una volta al suo fianco, le cinse la vita con un braccio, stringendosi a lei per entrare nell'inquadratura dello schermo, assottigliando le labbra in una smorfia divertita.
    Averla così vicina e poter sentire il suo profumo fresco gli attorcigliava lo stomaco, inoltre aveva la sensazione che, da un momento all'altro, per colpa di quell'innocuo bacio le sue guance sarebbero andate in fiamme, mettendolo definitivamente in imbarazzo. In circostanze differenti, forse, si sarebbe pure dichiarato. Sarebbe passato per un completo coglione, ma almeno si sarebbe tolto quel peso segreto dal petto, evitando di sussultare ad ogni loro minimo sfioramento. « Avrei dovuto portare la go-pro, perlomen- » stava caricando il loro selfie su Instagram, quando le sue parole vennero spezzate da un frastuono improvviso. La terra sotto ai loro piedi si era mossa, mentre uno schiocco sordo, come di alberi spezzati, aveva interrotto la quiete del bosco.
    Si voltò all'istante verso Skylar per assicurarsi che stesse bene — se si fosse fatta male probabilmente non si sarebbe mai perdonato di averla invitata. Infilò lo smartphone nella tasca posteriore dei jeans e fece per avvicinarsi a lei, ignorando il cuore martellante nel petto. Si era trattato di un semplice terremoto e niente di più, no? Una cosa normale, seppur bizzarra in quella zona. « Stai bene? Dev'essere stata una scossa di terremoto » mormorò sporgendosi leggermente in avanti; stava per allungare una mano verso di lei ed offrirgliela come supporto, quando il suo corpo, mosso da fili invisibili, si voltò nella direzione opposta.
    ”Hikaru non so… io… sta attento!” per quanto volesse seguire Sky ed accertarsi che non le accadesse nulla di brutto, Hikaru si allontanò, attirato verso un luogo del tutto differente dalla radura pacifica dove avevano lasciato zaini e bici. Seguì l'invisibile scia lasciata da un inquietante e leggero mormorio e, attratto da una forza superiore, oltrepassò la fitta boscaglia circostante, finendo di fronte a quella che a tutti gli effetti doveva essere un'antica arena. Con lo sguardo verso l'alto e le labbra schiuse dalla sorpresa, ammirò per un lungo istante il luogo in rovina, dal quale provenivano canti sommessi. Controvoglia si spinse oltre, imboccando un oscuro cunicolo. La luce lì dentro era talmente fioca da risultare quasi inesistente e un tanfo di chiuso, misto a polvere e muschio, gli provocò una smorfia di disgusto. Non vedendo oltre il proprio naso, poggiò entrambe le mani sulle pareti sui lati, scorrendo con i palmi su di esse per procedere a tentoni, pregando mentalmente di non toccare qualche insetto ( o peggio ). Nauseato dalla sensazione di claustrofobia creata dal passaggio angusto, si mosse con più rapidità una volta scorta la luce proveniente dallo sbocco del cunicolo. Il cuore minacciava di uscirgli dal petto e nelle orecchie sentiva ronzare un vociare sinistro, mentre una paura viscerale si era impossessata del suo corpo che, a mano a mano che avanzava, sentiva più pesante. Soltanto una volta raggiunta l'aria aperta ne capì il motivo: al posto della felpa era comparsa un'armatura in pelle nera, impreziosita da borchie dorate e piatte, mentre i polsi erano nascosti in due polsini della medesima fattura. I capelli scuri erano schiacciati sul capo sotto ad un elmo fastidiosamente limitativo e le ciocche più lunghe gli pizzicavano la fronte imperlata di sudore. Si trovava all'interno di un'arena, i cui spalti erano invasi da mostruose figure indistinte e demoniache che incitavano alla violenza. Disposte a cerchio erano presenti altre persone sconosciute, sopraggiunte come lui stesso dai vari e numerosi ingressi, ma per quanto fosse spaventato, il suo unico pensiero in mezzo a quell'incomprensibile caos rimase trovare Skylar per poterla proteggere da qualsiasi incubo avrebbero dovuto affrontare. Riconoscendola dall'abbigliamento sotto ad un'armatura azzurra, mosse un passo verso di lei, sollevando discretamente una mano per farsi notare senza destare l'interesse degli altri, non sapendo ancora come si sarebbero dovuti comportare.
     
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    Eddie Noah O'Moore
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    Quando la Signora Jankins gli aveva affidato Mr. Winston, Eddie non si era mai sentito tanto onorato e spaventato in vita sua.
    Aveva indossato una felpa da battaglia con C-3PO stampato sul retro ed un po' sbiadito dopo tutti gli anni di lavaggi, il suo solito paio di jeans (con una macchia di salsa barbecue reduce del suo ultimo pasto improvvisato in redazione), le scarpe da tennis e via per la sua strada.
    Poco ci mancò che, preso dalla frenesia del momento, non si dimenticasse di agguantare le chiavi ed il portafogli prima di uscire.
    «Non meno di tre chilometri di camminata, okay Eddie? E se comincia a fermarsi e guaire perchè vuole essere preso in braccio tu urlagli addosso, la smetterà di frignare e metterà in moto quelle zampette maledette» aveva detto la sua locatrice di settantatré anni con un occhiolino complice, smollandogli la bestiola fra le braccia, già munita di guinzaglio e tutto il resto.
    Il suo carlino malaticcio, Mr. Winston, un po' claudicante e che dimostrava più o meno trecentocinquant'anni, avrebbe sempre dovuto fare la sua passeggiatina per mantenersi sano nei limiti del possibile e per questo Eddie era stato scelto come campione del giorno per compiere l'impresa e non Igor, il ragazzetto del pane, malato con l'influenza.
    Il cagnetto aveva già preso tutte le medicine e, routinario, si sarebbe buttato su un percorso che oramai conosceva a memoria. Il musetto schiacciato ed umidiccio si strusciò sul collo caldo di Eddie che, rabbrividendo a quell'attenzione fra le più affettuose che avesse potuto ricevere in quell'ultimo periodo, lo appoggiò a terra con delicatezza e lo lasciò sgambettare inaspettatamente veloce per l'artrite che Mrs. Jankins diceva ch'egli avesse avuto oramai da tre anni a quella parte.
    Fra Mr. Winston ed Eddie, il più pigro doveva essere sicuramente lui.
    «Sei sicura, Belle? Forse è meglio–» aveva cominciato Ed, un po' indeciso sul da farsi mentre il cane aggrovigliava il lunghissimo guinzaglio attorno alle gambe magre del ragazzo, scorrazzando in cerchi quasi concentrici attorno a lui.
    «Vedi? Le medicine lo drogano!» si lamentò la Signora Jankins, roteando gli occhi acquosi e castani con fare scocciato.
    «Fra un'ora sarò di ritorno, così...» Ed Eddie non riuscì a finire neanche quella frase.
    «Cosa, Eddie caro? Posso vedere te che giochi a quelle diavolerie tecnologiche? Suvvia! Io ho il mio torneo di burraco. Tu stai fuori quanto ti pare e cerca di parlare con qualche bella ragazza» aveva borbottato affettuosa l'anziana signora, scoccandogli un bacio su una guancia dopo essersi issata in punta di piedi.
    Ci mancò poco che Eddie non arrossisse (e questo l'avrebbe detta lunghissima sulla sua disinvoltura col genere femminile tutto), riportato alla realtà solo dal buon vecchio Mr. Winston, che abbaiò acuto ed un po' rauco in segno di impazienza.
    Io sto fuori di cervello e basta, si disse il ragazzo in un mugugno introverso, sollevando le folte sopracciglia brune per un attimo, prima di decidersi a darsi una mossa e divincolarsi in una buffa danza dal guinzaglio che l'aveva chiuso in una morsa di tessuto che non aveva notato sino ad allora.
    «Si si, beh, noi andiamo» annunciò Ed che salutò un'ultima volta col un gesto un po' frettoloso del capo, a mo' di congedo, e si inoltrò guidato dal cane, che sapeva benissimo che strada prendere poiché doveva averla ripetuta all'infinito con Mrs. Jankins ed Igor.
    Ovviamente il ragazzo, col guinzaglio stretto in una mano, si perse nei suoi pensieri mentre ascoltava lo zampettare di Mr. Winston dinanzi a lui.
    Uscirono dal confine urbano di Besaid per inoltrarsi nei sentieri battuti della foresta, spesso frequentata da gente per bene (o almeno così Eddie si augurava, se la nonnina ci si recava spesso e volentieri, quella impertinente!).
    «Dunque secondo te, in un duello fra Gandalf ed un super-villain diciamo... Thanos... oh!» aveva cominciato Eddie che, però, dovette accelerare il passo giunto nel folto del bosco, smeraldino e rigoglioso.
    Per qualche ragione Mr. Winston stava disprezzando i propri discorsi tattici e, ancora più tristemente, sembrava quasi attirato da qualcosa che non fosse quel discorso.
    E non solo lui.
    Eddie, come se richiamato dal canto di una sirena sensuale e pericolosa, si mosse privo di volontà, incuriosito da un canto lontano, un sussurro melodioso. Si diresse con il carlino sempre più verso il fitto della boscaglia, rintracciando colori di pietra sabbiosa, di terra ed antichità che non aveva mai visto.
    Proprio oggi che ho dimenticato la pentax! si lamentò a gran voce nel suo cervello iperattivo, allentando un po' la presa sul guinzaglio mentre avanzava rapito.
    Un passo avanti, uno ancora, e neanche si accorse di essere inciampato in un sasso sporgente dal terreno morbido e fertile.
    Si fece malissimo all'alluce del piede destro, tanto che un urletto sommesso sgusciò dalle sue labbra come il verso di una volpe allegra e, rotolando giù da quella zona in pendio dov'era finito, atterrò sporco di foglie e ramoscelli dritto dritto in quella che gli parve quasi essere una... arena?
    «Ottimo! Sono finito in Jumanji!» disse, spalancando gli occhi in una maschera di pieno panico, col cuore che prese ad accelerargli quando capì di essersi perso, nel ruzzolio, il vecchio Mr. Winston.
    Fece per tornare indietro, provando a scalare la collina in un arrancare febbrile e poi, come un sacco di patate, cadde al suolo, arreso.
    Il cellulare non dava campo, lo schermo scassato non dava quasi più neanche segni di vita e, solo allora, Ed notò di avere addosso un'armatura.
    Era di pelle, simile a quelle che aveva visto nei libri di storia quando ancora frequentava al scuola, disegnate a colori nel capitolo degli antichi greci: para-avambracci, schinieri, pettorale che lo dotava di una muscolatura fittizia che avrebbe ucciso per ottenere davvero.
    Espirò preso da una sensazione di smarrito terrore e si alzò un po' ammaccato, fortunatamente ancora con i jeans sebbene immensamente scomodi ora che aveva gli schinieri addosso.
    Sarebbe stata una tragedia persino più grande se fosse stato costretto al gonnellino.
    E non era neppure solo!
    Il giovane giornalista si guardò attorno, spettinato, pieno di rametti e foglie, con mezza faccia un po' sporca di terra. E... loro?
     
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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: immagini disturbanti (gore), violente o contenuti sensibili (ferite, percosse, pestaggi e simili).
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.



    La fiamma della fiaccola posta al centro dell'arena si espande sempre di più, sempre più alta, come se fosse aiutata da una forza sovrannaturale e volesse incitare all'inizio dei giochi. Sulle gradinate, le figure spaventose continuano a muoversi e urlare, vogliono vedervi lottare, perdere e vincere. Vogliono qualcuno da elogiare e forse qualcuno da sotterrare. Sanno che al centro di quella grande ed antica costruzione potrebbe essere scritto un pezzo di storia, qualcosa che a distanza di tempo possa ancora essere ricordato.
    Tra di voi, la paura si fa pelle e lo sguardo si fa corda, vorrebbe aggrapparsi a chi c'è di familiare, e mentre questo accade, la fiamma arancione al centro dell'arena continua ad ingigantirsi sempre di più fino ad esplodere in tanti piccoli raggi di luce. Vi colpiscono, uno ad uno, senza ferirvi. E' sancito l'inizio: avanzate verso il centro distanziandovi gli uni dagli altri e, fermi sotto quegli sguardi spaventosi che piovono dalle gradinate, vi sentite stranamente feroci. Avete voglia di lottare, di farvi valere, poiché siete consapevoli in un attimo di una sola cosa: lottare o morire.
    Il terreno trema ancora una volta e dalla sabbia s'innalzano pareti di ferro appuntite, una rete d'acciaio che vi divide in tre gruppi e che vi separa da voci confortanti, l'unico aiuto che avete ce l'avete sotto la pelle e si mischia allo spirito da guerriero che da qualche secondo vi ha dato una strana forza, inconcepibile comprendere da dove essa provenga. Quando per un momento sugli spalti ogni voce tace, sapete che il tempo è giunto: è ora di combattere.


    #indicazioni:
    -- Nel vostro secondo post dovrete descrivere come i vostri personaggi reagiscono al cambio nell’ambiente dell’arena e nelle loro emozioni ora che sono costretti a combattere.
    -- E’ fondamentale ed obbligatorio che leggiate le indicazioni fornite qui di seguito; esse vi forniranno le linee guida che dovrete seguire per indagare le condizioni psico-fisiche dei vostri pg.
    -- Due di voi riceveranno delle indicazioni speciali per mp.
    -- Infine, vi ricordiamo che avete la possibilità di postare entro 3 giorni massimo, dopodiché salterete il turno.

    #ambiente:
    -- Come descritto nel masterpost, l'arena - e dunque, anche i giocatori - viene divisa da delle recinzioni appuntite e solide che si ergono verso l’alto dal terreno. Non vi sarà possibile scappare in alcun modo, né spostare le travi conficcate nel pavimento.
    -- Come nel primo turno, gli spalti sono pieni di mostruosi ed effimeri spettatori, pronti ad incitarvi alla violenza. Troverete forza nelle loro grida e nel loro tifo.
    -- Il resto dell’arena resta intatta, il velarium continua a sovrastarvi. Nulla cambia oltre all’aggiunta delle recinzioni.
    -- I gruppi in cui i giocatori sono stati divisi dall’arena sono tre:
    1. Helen - Joon - Hikaru - Nora
    2. Jungkook - Coco - Eddie
    3. Roy - Skylar - Lukasz
    Nb: I personaggi possono vedere chiaramente ogni elemento: dalla divisione dal/dai loro eventuali compagni, alle recinzioni ed infine le aggiunte al loro abbigliamento.

    #abbigliamento:
    -- Assieme all’armatura, i vostri pg ora reggeranno queste armi:
    ◊ Helen ed Eddie - due pugnali, uno in ogni mano.
    ◊ Joon e Skylar - una lunga lancia
    ◊ Hikaru e Coco - un reziario (una rete usata prevalentemente dai gladiatori nell’antica Roma)
    ◊ Nora e Lukasz - un tridente
    ◊ Jungkook e Roy - un gladio
    -- Gli abiti e le armature saranno intatte, finché non sopraggiungeranno le lacerazioni dovute alle ferite inferte.

    #azioni:
    -- In mano ai vostri pg compariranno le armi a loro assegnate, così come è apparsa l’armatura.
    -- Mediante una nuova scossa di terremoto, i personaggi verranno divisi in gruppi nel momento in cui spunteranno le recinzioni, venendo separati dagli eventuali partner.
    -- Avvertiranno, a partire da questo punto, gli spiriti dei guerrieri caduti possederli e scatenare in loro un inaspettato e potente istinto omicida. Al contempo, sentiranno anche i loro poteri crescere dentro di loro sino a sbocciare e manifestarsi nelle loro forme più poderose. Riconoscono i loro amici e sanno chi è conosciuto e chi è estraneo.
    -- I personaggi rimangono nelle recinzioni sino alla fine del turno. Attendete istruzioni.

    #azioni per gruppo (è obbligatorio aprire lo spoiler):
    -- È obbligatorio che leggiate tutte le info sul vostro gruppo e non solo quelle del vostro personaggio, per avere un'idea più chiara di come si svolgerà la storia.
    -- Leggete anche il recap fornito per ogni gruppo, vi offrirà una visione d'insieme di tutte le azioni e tempistiche.
    • Helen - Joon - Hikaru - Nora
    RECAP GRUPPO:
    ~ Nora sovraccarica le macchine talmente tanto da farle esplodere su Joon, Helen ed Hikaru.
    ~ Helen, nonostante le schegge e le ferite dovute all’esplosione, raggiunge Nora e la tocca, distorcendo i suoi ricordi.
    ~ Nora si avventa quindi su Hikaru, infilzandogli il tridente tra le scapole.
    ~ Hikaru però risponde racchiudendola nel reziario e ferendola in tal modo. Nel frattempo, Joon infilzerà la lancia nella schiena di Nora, senza riuscire a trapassarla.
    ~ Nora a questo punto userà il tridente anche se catturata da Hikaru per trapassare il fianco di Joon dal lato destro.
    ~ Nora si libera.
    ~ Joon schiva l’esplosione percependo i sensi di Nora, per poi iniziare a combattere con Helen ed Hikaru e precedere le loro mosse.
    ~ Joon vede Helen avvicinarsi, e allora la ferisce ad un fianco con la lancia.
    ~ Helen distorce i ricordi di Joon e lo pugnala al polpaccio sinistro.
    ~ Helen colpisce Hikaru con svariate coltellate sul corpo per difendersi dalla presa del suo reziario.
    ~ Però infine Helen viene catturata dal reziario di Hikaru.

    GUERRIERI:
    ◊ Helen: sentirai la forza della guerriera caduta dentro di te ed il conseguente bisogno di uccidere i tuoi avversari. Proverai sensazioni di profonda ansia e panico, che poi si trasformeranno in determinazione e forte rabbia.
    Attacchi e danni: ~ Distorcerai i ricordi di Joon e Nora usando il tuo potere alla sua massima potenza, provocando in loro panico e malessere nel riempirli di tremende memorie.
    ~ Pugnalerai Joon al polpaccio sinistro, tagliandolo orizzontalmente.
    ~ Colpirai Hikaru con svariate coltellate sul corpo per difenderti dalla presa del suo reziario.
    ~ Attraverso la sua particolarità, Nora farà esplodere dei macchinari che servono a regolare il velarium - alcuni pezzi di legno di rallenteranno nel scappare e ti colpiranno a bruciapelo provocandoti anche leggeri tagli sul volto.
    ~ Verrai colpita dalla lancia di Joon ad un fianco, che subirà un profondo taglio sul lato destro.
    ~ Dopodiché, nonostante i tuoi contrattacchi verrai catturata e trascinata dalla rete di Hikaru, il che ti provocherà numerose abrasioni sul corpo.

    ◊ Joon: Mediante il tuo potere di lettura sensoriale sarai capace di entrare nelle sensazioni fisiche dei tuoi oppositori, intuendo in anticipo le loro mosse per difenderti. Puoi muoverti a tuo piacimento ed agilmente mentre userai il tuo potere. All’inizio della lotta, il poter percepire uno alla volta ed alternativamente i sensi dei tuoi avversari a seconda della necessità ti disorienterà, ma riuscirai a destreggiarti con i nuovi effetti della particolarità dopo poco tempo grazie all’istinto combattivo e feroce che ti ha sopraffatto.
    Attacchi e danni: ~ Riesci ad anticipare le mosse di Nora, Hikaru ed Helen, e riesci quindi a schivare alcuni dei loro preliminari attacchi.
    ~ Prima che possa toccarti, per difenderti da Helen le ferirai un fianco con la lancia.
    ~ Dopodichè, approfitterai del fatto che Hikaru stia ferendo Nora con il suo reziario per avventarti su di lei ed infilzarle la lancia nella schiena, senza però riuscire a trapassarla.
    ~ Nonostante il tuo colpo con la lancia, Helen non si lascia scoraggiare e ti tocca, distorcendo tutti i tuoi ricordi positivi e trasformandoli in terribili incubi. Questo ti destabilizzerà fortemente dal punto di vista psico-fisico.
    ~ Nora, intrappolata nella rete di Hikaru si difenderà dal tuo colpo di lancia, trapassandoti il fianco dal lato destro con il suo tridente.

    ◊ Hikaru: Sei insensibile al dolore fisico, per cui nel tuo stato più violento la tua immunità alla sofferenza ti renderanno particolarmente difficile da stanare. All’inizio della lotta sei in uno stato di notevole stress, trasformatosi poi in poderoso istinto violento.
    Attacchi e danni: ~ In risposta alla ferita che Nora ti infliggerà, tu la racchiuderai nel tuo reziario, trascinandola per vari metri e ferendola al contempo.
    ~ Farai lo stesso anche con Helen, catturandola.
    ~ Per prima cosa, Nora utilizzerà i suoi poteri per manipolare i macchinari che reggono il velarium e sovraccaricarli a tal punto da farli esplodere. Molte delle schegge e dei pezzi di legno ti raggiungeranno, tagliandoti e colpendoti nello schianto. Poi, lei ti infilzerà con il suo tridente tra le scapole.
    ~ Dopodiché ti avventerai su Helen, che prima di essere catturata dal tuo reziario ti lascerà varie coltellate sul corpo per difendersi.

    ◊ Nora: Prenderai forza dai macchinari che regolano il velarium, uniche fonti tecnologiche dell'arena. Il tuo istinto omicida si risveglia, tuttavia prima che ciò accada versi in uno stato d'ansia e paura.
    Attacchi e danni: ~ Sovraccaricherai così tanto le macchine da farle esplodere, manipolandone l'interfaccia rudimentale per recare danno ai tuoi avversari.
    ~ Prima che Hikaru ti prenda nel suo reziario, gli infilzerai il tridente tra le scapole.
    ~ Userai il tridente anche con Joon dopo essere stata catturata dalla rete di Hikaru, trapassandogli il fianco dal lato destro.
    ~ Dopo che hai fatto esplodere i macchinari, Helen ti raggiungerà col suo tocco, distorcendo i tuoi ricordi e mostrandoteli nella loro versione più terrificante. Questo ti creerà un forte senso di panico.
    ~ Hikaru ti catturerà nella sua rete, ferendoti alle ginocchia e provocandoti delle abrasioni.
    ~ Joon nel mentre ne approfitterà per infilzarti con la sua lancia, conficcandotela nella schiena senza però riuscire a trapassarla del tutto.

    • Jungkook - Coco - Eddie
    RECAP GRUPPO
    ~ Jungkook si avventa su Coco, mordendole un avambraccio.
    ~ Eddie fortunello attacca Coco colpendola più volte alla schiena ed ai fianchi.
    ~ Jungkook poi però attacca Eddie, ferendolo all’addome con la spada e mordendolo ad una spalla.
    ~ Coco tuttavia riesce a toccare Jungkook, e ad indebolirlo sino a che non lo catturerà nel suo reziario.
    ~ Coco cattura Jungkook nel suo reziario, ma lui si dimena e la ferisce ad una gamba con il suo gladio.
    ~ Eddie pugnala Jungkook più volte, finendo per accoltellarlo dritto nel cranio in un occhio, senza però riuscire ad ucciderlo.
    ~ Distratto dalle sue azioni e meno potente per via del morso di Jungkook, Eddie sarà una preda facile per Coco, che lo toccherà sino ad indebolirlo e privarlo quasi completamente delle forze.

    GUERRIERI: ◊ Jungkook: Dopo che lo spirito del guerriero caduto ti avrà pervaso, la tua particolarità - esacerbata anche dal panico che provi - si manifesterà nella sua forma più ferina. Sei indomabile e molto pericoloso, il tuo unico impulso è quello di uccidere e mangiare carne umana. Sei in uno stato psicologico alterato. Inoltre, non puoi morire se non per decapitazione.
    Attacchi e danni: ~ Ti avventerai su Coco, mordendole un avambraccio e staccando un po' della carne che tanto desideri. La ferirai anche con il gladio ad una gamba, mentre ti dimenerai per liberarti dalla cattura del suo reziario.
    ~ Prima di essere catturato dalla rete di Coco, ti avventerai su Eddie e lo ferirai all'addome con il gladio, affondando così i denti in una sua spalla.
    ~ Nonostante il morso che le hai inferto, Coco riuscirà a toccarti ed indebolirti, catturandoti nel reziario.
    ~ Eddie riuscirà ad avere la meglio su di te per gran parte del conflitto per via della sua particolarità. Ti pugnala varie volte su tutto il corpo, prima di atterrare una delle sue due lame dritta in un occhio, capendo così di non poterti uccidere.

    ◊ Coco: Ora che sei pronta a combattere, cercherai di toccare i tuoi oppositori per indebolirli sino ad ucciderli. Prima, tuttavia, eri molto spaventata, divisa da chi conosci e quindi in uno stato di vulnerabilità.
    Attacchi e danni: ~ Indebolirai Jungkook, privandolo delle forze e chiudendolo così nella morsa del tuo reziario.
    ~ Approfittando del morso alla spalla inferto da Jungkook, ti avvicinerai ad Eddie per indebolire anche lui sino quasi ad ucciderlo.
    ~ Mentre cerchi di avvicinarti per indebolirlo, Jungkook si avventerà su di te e ti morderà ad un avambraccio, staccando una piccola porzione di pelle. Ti colpirà tuttavia anche ad una gamba, procurandole un lungo e profondo taglio con il gladio.
    ~ Eddie, al massimo delle sue probabilità di vittoria, ti attaccherà colpendoti più volte alla schiena ed ai fianchi con i suoi pugnali, graffiandoti anche una guancia.

    ◊ Eddie: Lo spirito del guerriero caduto non solo ti dà forza e impeto violento, ma anche una svolta nella tua particolarità, che ti fornirà più possibilità di vittoria. Le tue probabilità di uscirne vivo e vincente sono alle stelle. Il tuo alter ego non compare, ma prima di iniziare la lotta hai paura e ti senti sperduto.
    Attacchi e danni: ~ Nonostante sia Jungkook il combattente più poderoso di voi tre a livello fisico, sei tu ad avere la meglio su entrambi i tuoi oppositori. Hai manipolato le probabilità a tuo vantaggio, usufruendo dei momenti favorevoli per lottare con successo.
    ~ Jungkook è comunque pressoché immortale nella sua condizione, e prima di cadere vittima della rete di Coco ti ferirà all'addome con il gladio, e ti morderà ad una spalla affondando i denti nella tua carne.
    ~ Ciò permetterà a Coco di avvicinarsi e di indebolirti notevolmente, tanto da farti quasi perdere i sensi.

    • Roy - Skylar - Lukasz
    RECAP GRUPPO :
    ~ Roy si avventa su Lukasz, ferendolo alla coscia destra.
    ~ Lukasz risponde, infilzando il tridente nel petto di Roy e cercando di pietrificarlo con lo sguardo.
    ~ Roy quindi cerca di accecarlo, bruciandogli superficialmente gli occhi.
    ~ Skylar si avvicina, e Roy l’anticipa stringendole i fianchi ed ustionando la sua pelle, colpendola così con il gladio sull’addome.
    ~ Skylar però contrattacca, trapassando quindi Roy frontalmente nel costato, e sollevandolo in aria per poi riportarlo brutalmente a terra.
    ~ Lukasz però torna all’attacco e colpisce Skylar sulle gambe ed il collo con il tridente.
    ~ Lei però reagisce, sollevando Lukasz in alto e quasi infilzandolo nella trave della recinzione.
    ~ Roy è pervaso dai dolori per l’uso indiscriminato della sua particolarità.

    GUERRIERI◊ Roy: Scatenata dallo spirito del guerriero caduto e dallo stato di agitazione che ti pervade, la tua particolarità si attiverà e sarà incontenibile, così come la tua rabbia e la tua paura nel vedere Coco lontana da te. Sarai quindi incandescente e proverai a bruciare il prossimo.
    Attacchi e danni: ~ Ti avventerai su Lukasz, combattendolo con il tuo gladio e gli lacererai la carne della coscia destra, inferendo un taglio profondo. Ti difenderai dai suoi contrattacchi portando le mani sul suo volto con l'intento di accecarlo completamente - riuscirai a bruciargli però solo superficialmente gli occhi perchè colto di sorpresa da Skylar.
    ~ Prima di essere trapassato dalla lancia di Skylar riuscirai a toccarla con il tuo corpo, stringendola con le braccia ed ustionando i suoi fianchi, prima di colpirla con il gladio sull'addome.
    ~ Lukasz ti infilzerà con il suo tridente per difendersi dai tuoi attacchi, provocandoti una ferita abbastanza profonda sul petto. Cercherà di posare il suo sguardo su di te per ucciderti.
    ~ Skylar poi ti trapasserà con la sua lancia nel costato frontalmente, per poi sollevarti mediante il suo potere di controllo di gravità, cercando di ucciderti rigettandoti sul terreno repentinamente. Ciò accadrà molteplici volte, e subirai parecchie ferite per via di quel crudele tipo di percosse.
    ~ Alla fine del turno, il dolore per l'uso indiscriminato della tua particolarità ti avrà indebolito ulteriormente.

    ◊ Skylar: la guerriera caduta fa di te una lottatrice impietosa ed affamata di vittoria. Potrai manipolare la gravità attorno ai tuoi avversari, muovendo i loro corpi in modo tale da ferirli e potenzialmente ucciderli. Prima però sei molto spaventata e confusa, non sai cosa sta succedendo attorno a te ed Hikaru è lontano.
    Attacchi e danni: ~ Per difenderti dalle ferite che il tridente di Lukasz ti sta infliggendo, lo solleverai attraverso il tuo potere, sbattendolo con violenza contro di esso e ferirlo con l'estremità appuntita della trave prima di riportarlo a terra.
    ~ Poi ti avventerai su Roy, che dopo averti bruciata verrà infilzato dalla tua lancia nel costato.
    ~ Lukasz ti ferirà in più punti del corpo con il tridente, sia procurandoti una ferita al collo ed alle gambe.
    ~ Roy invece si avvicinerà a te prima di essere trapassato dalla tua lancia, bruciandoti i fianchi e colpendoti con il gladio all'addome.

    ◊ Lukasz: mainagioia level 200 Nonostante prima avvertissi un intenso panico, lo spirito del guerriero lo calmerà e lo canalizzerà nell'istinto omicida che adesso ti pervade, inducendoti ad annichilire i tuoi avversari.
    Attacchi e danni: ~ Ti proteggerai da Roy cercando di pietrificarlo con lo sguardo e ferendolo con il tuo tridente sul petto, provocandogli una ferita profonda.
    ~ Nella lotta riuscirai anche a colpire poderosamente Skylar, lacerando la sua carne sulle gambe e sul collo.
    ~Roy si avventerà su di te, cercando di trapassarti con il gladio e ferendoti con esso sulla coscia destra. Poi con le sue mani ardenti proverà ad accecarti, ma la rabbia di Skylar gli impedirà di provocare di più di una bruciatura superficiale.
    ~ Dopo aver ricevuto i tuoi colpi di tridente, Skylar contrattaccherà sollevandoti in alto finchè non verrai ferito e quasi trapassato dall'appuntita estremità della recinzione che delimita l'area di combattimento.


    #condizioni personaggi:
    -- Fisicamente, i personaggi avvertiranno un enorme potenziamento delle loro particolarità, si sentiranno pronti a combattere, scattanti e forti. La stanchezza che potrebbe derivare dall'uso dei poteri per il momento svanisce. Tuttavia i pg possono comunque sentire dolore, e si feriranno poderosamente; motivati però a concludere la battaglia non si arrenderanno nonostante l'indebolimento e la sofferenza. L'armatura continuerà ad aderire ai loro vestiti ed in mano si materializzeranno delle armi.
    -- Psicologicamente, questo sarà un turno particolarmente delicato per i pg. All'inizio, partono tutti dallo stato di paura, inquietudine, ansia ed agitazione in cui li avete descritti nel primo turno. Sono inizialmente ben reattivi e consci di ciò che accade attorno a loro, nonostante il grande turbamento emotivo che provano. Sono anche preoccupati per i loro eventuali partner. Tuttavia, gli spiriti dei guerrieri caduti si impossesseranno di loro, e nel momento in cui si ergeranno le recinzioni, nonostante i pg saranno consapevoli di chi conoscono e parzialmente lucidi, verranno investiti da una irrefrenabile voglia di combattere, da una rabbia primordiale ed impossibile da arginare. Dovranno uccidere per non essere uccisi.
    Nb: -- Nonostante l'istinto omicida, i personaggi continuano a riconoscere coloro che sono davanti a loro, sanno chi è loro amico, e chi è sconosciuto. Tenetelo a mente durante il combattimento.
    -- Per favore, tenete conto di queste dinamiche e questi cambi emozionali nel descrivere il vostro post.
    -- Lo stato fisico/emotivo dei vostri personaggi perdura fino a nuove disposizioni.

    #turni: (!!!ATTENZIONE: per necessità di gioco, è molto probabile che questi cambieranno radicalmente di volta in volta. Per esigenze narrative, in questo turno non è possibile richiedere cambi allo staff.)
    I partecipanti avranno a disposizione 3 giorni per postare la propria risposta. Se questa non perverrà entro il tempo stabilito, salterete il turno per poi riprendere dal successivo.
    Il giro di turni inizia da domani 2.04.
    1. Nora
    2. Hikaru
    3. Joon
    4. Coco
    5. Jungkook
    6. Roy
    7. Lukasz
    8. Skylar
    9. Eddie
    10. Helen

    Qualsiasi dubbio o domanda riguardante la Quest potete porgerla in questo topic.

    Edited by ‹Alucard† - 11/4/2020, 16:33
     
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    Era strano sentirsi così bene dopo tanto tempo trascorso a crogiolarsi nell’autocommiserazione. Neppure si era resa conto del modo in cui il loro rapporto si era evoluto, giorno dopo giorno, attraverso piccoli cambiamenti quasi impercettibili. Qualche mese prima se l’era presa contro di lui da un letto d’ospedale, poi avevano condiviso un’esperienza che li aveva portati a un passo dalla morte e poi piano piano qualcosa era scattato, quella molla che l’aveva spinta a parlarci, a iniziare ad aprirsi con lui, a lasciare che si avvinasse a lei, lentamente, senza fare alcun rumore, come se fosse stata una piuma che volteggiava in aria prima di adagiarsi sul suolo. Pensavano di avere davanti a loro tutto il tempo del mondo, che quella giornata di pace sarebbe stata soltanto quello, una pausa dal caos delle loro giornate, da quel turbine di paure e di emozioni negative che non li aveva mai abbandonati davvero, per quanto si fossero sforzati di cancellarle. Perché certe cose rimanevano dentro, non importava quante volte si tentasse di farle sparire, scavavano a fondo dentro di te e graffiavano come artigli affilati per penetrare in profondità. E il terremoto che giunse dopo la pace fu il segnale che la tregua non era ancora stata raggiunta, che non potevano abbassare la guardia, che non era ancora il momento per loro, di perdersi l’uno negli occhi dell’altra e dimenticare tutto ciò che li circondava. E poi quella strana arena di cui non aveva mai avuto notizia prima e quello strano circolo di persone a cui dovevano aver fornito un'armatura, proprio come era successo a lei. Che cosa si aspettavano da loro? Che cosa dovevano fare? Voleva soltanto urlare, prendere la mano di Lukasz e si Roy e andare via da quella maledetta arena dove improvvisamente sentiva di non riuscire più a respirare. Era come trovarsi di nuovo dentro la cupola, anche se poteva sentire l’aria calda sferzare sul suo volto. Lo sguardo di Lukasz, rassegnato e spaventato, sembrava suggerire lo stesso pensiero, lo stesso terribile presentimento. Allungò la mano verso la sua stringendola forte, più forte che poteva, come se sperasse che quel semplice gesto avrebbe potuto darle il coraggio che le serviva per affrontare qualunque cosa stesse arrivando e fare proprio quello che lui le aveva appena chiesto: non lasciarla vincere. Era sempre stata convinta di essere una persona arrendevole, semplice da scoraggiare, pronta a lasciarsi semplicemente andare, eppure in quel momento la voglia di sopravvivere, di portare in salvo coloro a cui voleva bene, sembrava più forte di qualunque cosa.
    Vide la fiamma al centro dell’arena farsi più alta e intesa, così come le grida di quelle figure spaventose dai tratti che ancora non riusciva a cogliere con chiarezza. Incitavano la lotta, lo scontro, mentre lei avrebbe soltanto voluto urlare loro di scontrarsi da soli se proprio ci tenevano così tanto! Sentiva la paura graffiare dentro la sua mente e far tremare la mano con cui stringeva ancora quella di Lukasz. Poi un’esplosione, così forte da farle chiudere gli occhi mentre uno strano calore l’avvolgeva. Lasciò andare la mano di lui mentre lentamente si spostava di qualche passo, prendendo le distanze e avanzando verso il centro dell’arena mentre una certa voglia di rivincita, di lottare pervadeva tutte le sue membra. Vita o morte, erano quegli gli unici pensieri che riuscì a formulare per qualche istante mentre il terreno tremava di nuovo sotto i suoi piedi e delle recinzioni appuntite dividevano alcuni guerrieri. Scosse la testa, cercando di recuperare lucidità, notando solo in quel momento che sia Lukasz che Roy erano ormai distanti, uniti in uno stesso gruppo mentre Coco era stata chiusa in un ulteriore settore. -Ma che? - provo a chiedersi, guardandosi intorno alla ricerca di una via di fuga senza alcun risultato. Un peso nuovo tra le mani le fece notare che anche qualcos’altro era cambiato e che ora stringeva un tridente tra le mani. Cercò di osservare gli altri componenti del suo gruppo anche se tutto ciò che sentiva nei loro confronti era voglia di ferirli, di vincere e proseguire. L’atra ragazza aveva tra le mani due pugnali mentre i ragazzi avevano una lancia e un reziario. Non poteva credere di doverlo fare davvero, lei che fino a quel momento aveva combattuto soltanto all’interno dei videogiochi. L’ansia fu la prima cosa nitida che riuscì a percepire, mentre istintivamente andava a cercare, all’interno di quel territorio sconosciuto, un qualunque tipo di marchingegno tecnologico a cui potersi aggrappare per mantenere la lucidità. Aveva bisogno di un punto fisso, di qualcosa di familiare, oppure sarebbe impazzita, lo sapeva. Sentiva la sua particolarità farsi più forte e qualcosa dentro la sua testa le gridò di concentrare tutta la sua energia sui macchinari del velarium, sovraccaricandoli sino a farli esplodere. Sorrise mentre i pezzi di quella tecnologia abbastanza rudimentale esplodevano e andavano a finire sui suoi avversari, ferendoli anche se solo superficialmente.
    Distratta da quell’istintiva gioia nell’essere riuscita a mandare il primo attacco a buon fine non vide la sua avversaria scattare verso di lei e raggiungerla. Qualcosa nella sua testa mutò, i suoi ricordi, fino a poco prima nitidi, avevano improvvisamente qualcosa di diverso, di mostruoso e spaventoso. Con un ringhio furioso cercò di ridestarsi, di liberarsi da quel contatto e da quelle visioni per poi avventarsi su uno dei ragazzi, che avanzava nella sua direzione con il reziario in mano, riuscendo a schivarlo per poi colpirlo alle spalle con il suo tridente, infilzandolo al centro della schiena, tra le scapole. Le urla del pubblico sugli spalti inebriavano i suoi sensi, fomentando la sua voglia di combattere. Per qualche istante dimenticò la persona con cui era arrivata e suo cugino, che lottavano all’interno di un’altra recinzione. Fu solo quando il ragazzo che aveva appena ferito riuscì a chiuderla all’interno del suo reziario, facendola cadere a terra, sulle ginocchia, per poi scivolare sul braccio sinistro. Sentiva le abrasioni bruciare e le ginocchia facevano male, tanto che fu decisamente difficoltoso riuscire a rimettersi in piedi. Un urlo rabbioso fuoriuscì dalle sue labbra mentre, riuscendo a recuperare un minimo di lucidità, si voltava verso Lukasz e Roy, che combattevano dall’altra parte. Voleva raggiungerli, voleva scappare, ma continuava a sentire quella terribile voglia di uccidere, di farsi strada con il sangue e il sudore. Così, sebbene sentiva il suo corpo dolorante, cercò di scuotersi e, tentando di districarsi nella rete, allungò il tridente in direzione del secondo ragazzo, che riuscì a ferire al fianco. Approfittando della distrazione di Hikaru, intento a combattere contro l’altra ragazza, si liberò dalla sua rete e tentò di rimettersi in piedi, venendo però ferita alla schiena dal ragazzo che aveva appena attaccato. Un altro ringhio di dolore, un respiro più profondo poi, con il sangue che le colava dalla ferita aperta cercò disperatamente di rimettersi in piedi. Faceva male, sentiva ogni millimetro del suo corpo pulsare, chiedere pietà, mentre la sua mente e il suo cuore continuavano a gridarle di andare avanti. Le grida dagli spalti continuavano a levarsi, infondendole tutto il coraggio di cui aveva bisogno per andare avanti e ambire alla vittoria. Era l’unico modo, lo sapeva, lo sentiva. Non poteva arrendersi se voleva uscirne viva. Si rimise quindi in posizione, pronta ad attaccare di nuovo, osservando i suoi sfidanti con l’aria furente di chi voleva soltanto uccidere.

    Scusate infinitamente per il ritardo. Non ho riletto, cercherò di farlo prossimamente
     
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    Sebbene si trovasse all'aria aperta e all'interno di uno spazio ampio, ad Hikaru mancava il respiro. Sentiva gli arti pesanti e la gola secca, mentre un senso di malessere si stava lentamente impossessando del suo corpo paralizzato. Non provava semplice paura, no; ogni singola fibra del suo corpo era in balia di un vero e proprio terrore viscerale.
    Non potendo affondare le mani fra i capelli, tic nervoso che solitamente riusciva a placare lo stress, ne portò una sul petto, il palmo della mano aperto contro alla corazza nera. Per una manciata di secondi riuscì a pensare soltanto a quanto sembrasse buffo il poter sentire, sotto allo strato di pelle spessa, il cuore martellare ancora nel petto, in cui ogni battito risuonava accelerato. Sapeva che se non fosse riuscito a far tornare regolare il respiro, probabilmente avrebbe avuto il primo attacco di panico della sua intera vita, circondato da estranei e imprigionato all'interno di un'arena degna del peggiore degli incubi, perciò si guardò lentamente intorno, soppesando l'area circostante. Oltre a se stesso, erano presenti nove individui e fra di essi non conosceva che Skylar, troppo lontana perché potesse raggiungerla. Le lanciò una lunga occhiata per accertarsi che stesse bene, frustrato dal non poterle stare vicino in quel momento così agghiacciante e, a malincuore, distolse lo sguardo. La fiamma al centro dell'arena pulsava di vita propria, le lingue di fuoco parevano ingigantirsi pian piano, tremolando sotto alla luce, insieme ai cori orcheschi provenienti dalle gradinate gremite di figure orrende. Quando esplose, si aspettò di venire ferito dalle scintille, tuttavia non accadde niente di tutto questo. Nelle sue mani comparve un nuovo peso, sul quale fu costretto ad abbassare lo sguardo: tra le dita affusolate e fredde, in contrasto con la temperatura calda che aveva deliziato l'inizio della giornata, teneva i lembi di un reziario. Aggrottò la fronte ma, quando provò ad alzarlo per studiarlo, una nuova scossa vibrò nel sottosuolo, facendolo indietreggiare. Attorno al suo piccolo gruppo di persone era comparsa una recinzione alta ed inespugnabile. Si scagliò scioccamente contro ad essa, premendo il corpo contro alle sbarre e, ancora prima di poter urlare il nome dell'amica, si sentì pervaso da una rabbia cieca. La sentì farsi strada nelle vene come veleno e pulsargli nelle tempie, tramutando tutto il resto in un ovattato rumore di sottofondo. Quel sentimento represso raggiunse l'apice quando Nora, intrappolata nella sua stessa gabbia, mandò il velarium in frantumi facendo sì che i detriti di quest'ultimo lo colpissero assieme ai compagni. Cercò di ripararsi come meglio poteva con il braccio libero, pensando dapprima a salvare il viso, ma provò ugualmente una sensazione fastidiosa sui lembi di pelle rimasti scoperti — che dedusse fosse stata causata dalle schegge taglienti. Per una volta nella vita, forse la prima, si sentì seriamente grato di non poter provare alcun tipo di dolore a livello fisico perché, in caso contrario, già quell'attacco lo avrebbe bloccato, rendendolo dolorante.
    La furia che lo aveva investito, montando in lui, non gli apparteneva. Era ancora vigile, se avesse guardato verso Skylar avrebbe sicuramente riconosciuto i tratti familiari del suo viso, ma a differenza delle altre volte non avrebbe provato alcun pizzicore allo stomaco; in quel momento non c'era spazio per altre emozioni, non si era mai sentito così cattivo né così affamato di sangue e vendetta.
    Strinse le dita attorno al reziario, con talmente tanta forza da far sbiancare le nocche e si gettò in avanti, pronto ad attaccare colei che aveva distrutto i macchinari, causando le prime ferite.
    Tutto ciò che gli riuscì di fare fu inclinare il capo su di un lato in risposta al colpo di tridente infertogli fra le scapole. Provò ad immaginare brevemente la reazione che una persona normale avrebbe avuto di fronte ad un attacco del genere: un sussulto, accompagnato forse da un grido, le terminazioni nervose all'erta e le fitte nel corpo a minare momentaneamente la sua lucidità.
    Non potendo provare nulla di tutto questo e riuscendo soltanto a distinguere il calore del sangue scivolare sulla schiena dal punto in cui il tridente lo aveva trafitto, mantenne un espressione seria ed imperturbabile. Sollevò un angolo delle labbra, pressate in una linea dura, con un moto di stizza e si scagliò su Nora, accecato dalla rabbia. Chiunque si fosse impossessato del suo corpo si era stufato, aveva sete di violenza e non se ne sarebbe stato ulteriormente con le mani in mano, sfruttando a proprio vantaggio la botta d'adrenalina causata dall'affronto subito.
    Hikaru riuscì ad imbrigliare la bruna nella propria arma, ringhiandole contro e dopo averla fatta scivolare a terra, decise di stremarla trascinando il suo corpo sul pavimento sudicio e polveroso, incitato dalle voci di quegli spettatori animaleschi. Non potendo contare su dei poteri d'attacco, aveva dalla propria parte soltanto quella rete e la forza fisica, pertanto puntò su di essa per trascinare il peso di Nora per un paio di metri, facendola scivolare duramente sul terreno. Lasciò andare la presa su di lei, permettendole che si divincolasse, soltanto quando nel suo raggio d'azione entrò Helen. La scrutò torvo e si mosse lentamente verso di lei; in circostanze normali non avrebbe mai fatto del male ad una donna, tuttavia in quel preciso istante l'etica venne meno. Si gettò su di lei e, alla prima coltellata, scoppiò bruscamente a ridere. « Non sento niente, dovrai far meglio di così » riconobbe a stento la propria voce, così sprezzante da sembrargli quella di un altro ed abbassò lo sguardo sul coltello affondato nella coscia prima che lei lo pugnalasse ancora. Tentò di spingerla via, procurandosi ulteriori ferite sulle braccia — ormai aveva persino perso il conto di quante lesioni avesse sparse qua e là — e si sentì soddisfatto solo quando la figura minuta fu imprigionata nel reziario e riversa a terra. Avrebbe potuto andare avanti così per ore, sentiva la fatica, certo, ma nulla di più. Il sangue aveva ormai ricoperto buona parte dei vestiti, tuttavia non provava che una furia disarmante e non avrebbe smesso di lottare fin quando non sarebbe rimasto l'unico in salvo.
     
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    Anonymes!

    I'd like to tell you a story of how we in the Balkans kill rats. We have a method of transforming the rat into a wolf; we make a wolf rat... But before I explain this method I'd like to tell you something about rats themselves. First of all, rats consume large quantities of food, sometimes double the weight of their own bodies. Their front teeth never stop growing and they have to be ground constantly otherwise they risk suffocation.

    Sagome indistinguibili dai suoi occhi si muovevano davanti a sé, ora privo degli occhiali ormai caduti fra la sabbia. Un lampo di lucidità gli tagliò la mente così come quel sole impietoso pareva non volergli dar scambio, fissandoli dalla sua posizione che innaturalmente segnava lo zenit, eliminando ogni tipo di ombra perfino dall'incupita scatola cranica: Jungkook. Aveva raggiunto quel singolare posto insieme all'amico e, pur separati in circostanze misteriose e che non riusciva a ricordare, sicuramente il più giovane doveva trovarsi nelle vicinanze. Si concentrò e attraverso gli occhi di Jungkook vide a diversi metri di distanza se stesso, pur avvertendo un iniziale limitare della coda dell'occhio che venne subito eliminato dalla testa di chi stava occupando in quel momento. L'elmo... finirà male. La preoccupazione per l'amico era tale da superare ogni grida molesta e animalesca proveniente dagli spalti, tanto più viscerale da fargli dimenticare del fatto che anche lui si trovava nella sua stessa situazione. Rimase ospite del corpo di Jungkook per qualche altro secondo, avvertendone l'agitazione palpabile e farsi sempre più presente attraverso crudeli carezze sulla pelle, aperta nella carne da gli artigli acuminati e pericolosi, avvertendone i risultati sul suo stesso corpo. Quell'inspiegabile situazione gli aveva fatto perdere le redini di sé, tramutandolo esclusivamente nelle sue sensazioni: una paura tanto terribile quanto pericolosa stava facendosi strada in lui, attraversando i cunicoli stretti del suo organismo come un mostro di cui non riusciva a definire con chiarezza le dimensioni. L'incertezza sarebbe stata in grado di ucciderlo ancor prima delle armi che avrebbe dovuto fronteggiare da lì a poco - ma forse si sbagliava. Jungkook si sarebbe trasformato? Che sarebbe successo? Ci porterò fuori di qui. Una promessa, l'unica sicurezza di fronte al baratro oscuro.

    Rats take good care of their families. They will never kill or eat the members of their own family. They are extremely intelligent. Einstein once said: "If the rat were 20 kilos heavier it would definitely be the ruler of the world". If you put a plate of food and poison in front of a hole the rat will sense it and not eat.

    Vide scivolar via la coda irsuta e rosea della bestia e, all'improvviso, un diverso calore prese possesso del corpo del giovane, inondandolo di una luce aliena e arancione. Quando riaprì gli occhi si accorse di essere stato spodestato. Un ritmo diverso ne faceva pulsare il sangue lungo le vene, irrorandolo di nuovi e gretti desideri. Assetato della bevanda vermiglia e di violenza, come un vuoto recipiente si muoveva verso il centro dell'arena: cosa stava facendo? Passo dopo passo, il vessillo che portava avanti, la piuma che portava in testa, ogni sua mossa rivendicava con ferocia una presa di posizione che mirava ad eliminare tutto ciò che era ancora in grado di respirare, avido del loro ossigeno e del loro sangue. Non era il solo a pensarla così, a quanto sembrava. Vide attraverso sguardi cupi, macchiati da energie alterate e omicide, ignorando gli iniziali giramenti di testa che gli provocò quel continuo saltare da corpo a corpo. Ci sarà da divertirsi. Gracchiò una voce tagliente mentre si sentiva incitato a uccidere, annientare, disseminare morte. Una nuova scossa portò delle scintillanti lance a uscir fuori dal terreno, aguzze ed altissime, separandolo dal barlume di sanità a cui aveva affidato la sua salvezza, promettendo quella reciproca. Ci salverò. Un sibilo si fece strada fra le voci assordanti nella sua testa, proprio mentre quelle dagli spalti finalmente trovavano pace. In un silenzio assordante, pieno d'inquietante attesa, lo sguardo offuscato di Joon parve riconoscere fra le figure quella di Jungkook attraverso occhi non suoi, circondato da un'aura di candore e innocenza, in verità assenti. Il cuore pulsante nel mezzo della cassa toracica rimpiazzò a fatica una preghiera per sé e l'amico; vi si aggrappò la parte sana di sé, rinchiusa ormai in un angolo angusto, sperando di poter trarre forza da quella melodia anche quando la musica avrebbe cessato di esser udita, rimpiazzata dalla lacerazione della carne e lo spezzarsi delle ossa. Ne usciremo sani e salvi. Strinse le mani quasi con naturalezza contro il ferro freddo della lunga lancia che si trovò fra le mani mentre un profondo respiro ne abbandonò il corpo, pronto a riempirsi i polmoni di quell'aria intrisa di tensione. E, infine, uno scatto di partenza: le voci dagli spalti tornarono ad allagare le figure dei malcapitati, dando via allo scontro.

    To catch the rats you have to fill all their holes with water, leaving only one open. In this way you can catch 35 to 45 rats. You have to make sure that you choose only the males. You put them in a cage and give them only water to drink. After a while they start to get hungry, their front teeth start growing and even though, normally, they would not kill members of their own tribe, since they risk suffocation they are forced to kill the weak one in the cage. And then another weak one, another weak one, and another weak one. They go on until only the strongest and most superior rat of them all is left in the cage.

    Iniziò tutto con un distacco: il velarium venne fatto crollare in alcune sue parti addosso ai suoi concorrenti, pur scampando facilmente la figura di Joon che, quasi del tutto cieco, si era affidato all'aiuto di pupille a lui estranee e in particolare della cara combattente che aveva sfruttato quella grandiosa mossa a suo favore. Pur lottando con un'emicrania che scambiò facilmente con il pulsare intenso e rumoroso del sangue contro le tempie, il giovane riuscì a muoversi al momento giusto e nel modo giusto. Quindi il vanaglorioso combattente ritenne opportuno mostrare la riconoscenza a tutti quegli occhi che l'avevano guidato verso la posizione giusta, alzò la lancia in un preliminare segno di vittoria. «Grazie! A voi! Meravigliosi!» Urlava con tanto di risata gioiosa e piena verso gli spalti, concedendosi un ridicolo inchino per essere stato in grado di sfuggire a quel primo attacco. Disseminato di pezzi di velarium, il loro spazio di arena aveva già preso vita ma, senza farsi distrarre da quelle pur allettanti scene di morte, Joon vagò ancora una volta alla ricerca di qualcuno che potesse ospitarlo. Non era facile coordinarne i movimenti, dovendone osservare una versione speculare, tuttavia stava godendo non solo di una forza illimitata, ma anche di una rinnovata voglia di spezzare qualsiasi vita gli si parasse davanti. Non credeva di aver mai ragionato così in vita sua: che senso aveva carpire fra le dita la vita di un altro essere umano? Chi gli aveva dato quella volontà di rivendicarne il desiderio? Ma ormai Joon non era altro che istinto ed azioni. Per questo motivo non un movimento sarebbe andato a vuoto e, brandendo nuovamente la lancia nel vedersi avvicinare Helen, si gettò infine all'attacco sferzandole contro l'acuminata punta. Tuttavia non riusciva a saziarsi e, quasi scontento dell'aver a malapena sfiorato quel corpo, mentre i risultati di quello scontro si mischiavano in grumi rossi con la sabbia scottante, fece fatica a divincolarsi nel momento giusto per evitare che la mano di lei lo raggiungesse nel mezzo del braccio, unica parte scoperta dall'armatura. Un secondo demone soppiantò il primo, caricandosi di una negatività tremenda e profonda, annebbiandogli ogni percezione possibile: aveva appena guardato la belva negli occhi incastonati in un viso rivelatosi quello di un angelo caduto, immerso come lui in un liquido putrescente, incapaci di evadere. Immagini inesistenti e mai vissute davvero iniziarono ad affollargli la mente, rendendosi vive e moltiplicandosi a dismisura, contaminando ogni angolo remoto della sua testa. Ora che tutto era stato perduto non avrebbe più avuto via di scampo, abbandonato a quella natura altera e che non gli apparteneva: perfino la ninnananna si era mutata, tramutata in ostili percussioni. Avvertiva il suo corpo farsi più pesante e incapace di muoversi, fisso in quei terribili istanti e fermo nei movimenti a tal punto che sembrava essere stato lui quello trafitto da parte a parte. Stava quasi per gettarsi a terra, incapace di tener testa all'annientarsi di tutto ciò che aveva sempre creduto reale e quasi quel dolore parve superare quello che avvertì, annichilito dai pensieri e ricordi turbati, al polpaccio: una lama lo attraversò facendogli perdere l'equilibrio e, sentendosi mancare il terreno da sotto le piante dei piedi, si abbandonò ad esso, inghiottito dalla sabbia cocente e liquida.

    Now the rat catcher continues to give the rat water. At this point timing is extremely important. The rat's teeth are growing. When the rat catcher sees that there is only half an hour left before the rat will suffocate he opens the cage, takes a knife, removes the rat's eyes and lets it go. Now the rat is nervous, outraged and in a panic. He faces his own death and runs into the rat hole and kills every rat that comes his way. Until he comes across the rat who is stronger and superior to him.

    Lo spirito guerriero gli ringhiava contro, insultandolo, spronandolo a rialzarsi, a sfamarne le viscere con la cruda carne, ma a che vantaggio? Perché combattere? Fu quando vide attraverso gli occhi di Nora, trascinata fino ad essergli vicina, due figure a lui sconosciute che comprese di essere nel suo stesso stato: due topi resi affamati fino ad esser pronti a saltarsi alle reciproche giugulari. I loro denti non avrebbero mai smesso di crescere, i loro ventri cavi non si sarebbero mai riempiti fino alla fine. Chi avrebbe vinto? Chi sarebbe tornato a quella tenebrosa normalità? In un ultimo slancio di forza si costrinse a reagire ma venne morso per primo: il tridente di Nora lo colpì al fianco destro. Un alto rantolo di dolore, fagocitato fra le urla e le grida dagli spalti, si liberò dalla bocca di Joon che annaspò per ottenere l'aria che gli mancò all'improvviso da ogni anfratto del corpo. Vuotato e ferito, trovò la forza di rispondere a quell'affondo, concentrando un ultimo e vano slancio in quel gesto. La osservò divincolarsi mentre si metteva in ginocchio grazie anche all'ausilio della lancia e, inclinata al punto giusto, sperò di mirare al cuore, intenzionato a trafiggerla da parte a parte. Con l'ultimo sforzo avrebbe trascinato con sé un'altra vita perché aveva il potere e la forza di farlo ma, sfortunatamente, sembrava aver calcolato male la traiettoria: il colpo venne assestato ma non costò la vita alla giovane. Nel far forza per cavar via da Nora l'arma riuscì a tirarsi in piedi, ignorando il supporto per tenersi in piedi che stava richiedendo alla lancia. Dandosi l'opportunità di strappare alla barbarie un frangente d'umanità chiuse gli occhi e, assopendo con forza le voci crudeli ed omicide che continuavano a prendersi gioco di lui, motivandolo al contempo a saziarle, si convinse che non sarebbe morto. A mente lucida aveva fatto una promessa e, a costo di far fuori tutti quelli presenti all'interno di quell'assurda arena, avrebbe risposto alle sue stesse parole. Le percussioni ripresero il loro tribale ritmo: la battaglia non era ancora conclusa.

    This rat kills him. This is how we make the wolf rat in the Balkans.

     
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35 replies since 16/3/2020, 11:48   1671 views
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