Quest: Cursed Arena

16.03.2020

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +9   +1   -1
     
    .
    Avatar

    I’m falling apart, I’m barely breathing. With a broken heart.

    Group
    Sindaco
    Posts
    6,842
    Reputation
    +3,691
    Location
    From Mars?

    Status
    Anonymes!
    tumblr_n21gre70iC1ql8x1lo8_r1_250
    Morte: potrebbe sembrare un concetto inarrivabile, qualcosa che si guarda da molto lontano e sembra non abbia alcuna consistenza. Un’idea che stuzzica l’immaginazione e permette di porsi domande, darsi risposte. Ne vedeva degli scorci su quelle gradinate, si trascinava poi giù fino alla sabbia su cui aveva lasciato le impronte dei propri passi con timore e pesantezza. Aveva portato le mani alla nuca e si era sfilata l’elmo, liberando i capelli ricci dalla stretta che li aveva intrappolati dal momento in cui aveva fatto il proprio ingresso da uno di quei cunicoli bui, e in un istante aveva permesso al mare che aveva nelle iridi di riversarsi nello spazio intorno a lei, riconoscendo volti familiari che non avrebbe voluto vedere lì insieme a lei, una fugace occhiata che piegò in due il torace e i pensieri. La chioma bionda di Sky fu la prima a farsi riconoscere, lo sguardo dell’amica si rifletteva nel suo e ne emulava le stesse paure. Poi raggiunse Nora, le onde del mare di Coco che andavano a scontrarsi contro le rocce nei suoi occhi scuri sempre così distanti, in quel momento l’impatto divenne etereo. E poi, anche a volerlo evitare per non renderlo reale, Coco perse il respiro per lasciarlo fuggire fra le labbra di Roy mentre lo vide pronunciare il suo nome. Schiuse le labbra, rilassò i muscoli del viso e, in un movimento quasi istintivo, sollevò appena una mano a mezz’aria. Sperò che potesse allungarsi per raggiungerlo e spingerlo via, oltre l’arco dietro le sue spalle che dava nuovamente nel buio. Morte. Coco l’aveva avuta sotto il naso quando era stata solo una bambina, ne aveva però cancellato il ricordo allontanandolo da se e dimenticando quanto terrore ci avesse visto in essa. A sprazzi, quel concetto tornava a prendere vita nella sua mente sotto forma di immagini e sentimenti, col tempo era diventato impossibile dimenticare quello che la morte le aveva portato via. Ritornava a far paura nei sogni in cui stringeva la manina calda di quello che avrebbe dovuto essere suo fratello - ormai lontano anni e chissà quanti chilometri; nella chiazza rossa che imbrattava il fondo della vasca da bagno; e poi lì, negli occhi di Roy distanti solo pochi passi. Un cerchio che, in quella posizione, sembrava esser formato da legami che allacciavano tutti, in quell’arena. Non si accorse immediatamente del reziario che si ritrovò a stringere fra le mani, la mente di Coco sembrava essere collassata nel momento in cui Roy era apparso nel suo campo visivo. Un silenzio di due mesi che veniva interrotto dalle urla sugli spalti, era chiaro cosa volessero, e lei non poteva accettarlo. Non era quello il modo in cui sarebbero finiti, non era quello il luogo in cui avrebbe dovuto dire addio a Roy, Coco non poteva accettarlo. Quei pochi secondi si accavallarono gli uni sugli altri e, nel momento in cui le fiamme della fiaccola si sprigionarono nell’aria per raggiungerli e trafiggere ognuno di loro come lancia infuocate, Coco lo vide muoversi. Un passo svelto che andava a raggiungere il centro dell’arena per poi essere bloccato da una recinzione d’acciaio altissima. Vide le mani di Roy aggrapparsi ad essa mentre riusciva a superarla solo con lo sguardo e non con il corpo. Scosse frettolosamente il capo, Coco, senza distogliere lo sguardo terrorizzato da quello di lui. «No, Roy.» Un sussurro flebile, potè udirlo solo lei, mentre il respiro veniva meno e si portava via la voce, Coco posò il palmo della mano libera all’altezza del proprio cuore, ritrovando al tatto il tessuto dell’armatura in cuoio sotto di esso. Ti prego. - avrebbe voluto urlarglielo, fargli capire che non avrebbe dovuto rischiare per lei. Quindi abbassò lo sguardo, distaccandosi da lui e concentrandosi su una strana forza che cominciava ad avvertire dentro di se, le scorreva nelle vene insieme al sangue e le irrigidiva i muscoli della schiena. Si guardò i palmi delle mani avvertendo il proprio potere farsi come acciaio fra le sue dita, scosse elettriche che avrebbe potuto scorgere solo lei. Ne conosceva la forza, sapeva quanto e di cosa fosse capace, ma quella che avvertiva sui polpastrelli delle dita era sconosciuta, eppure grandiosa. Aveva voglia di usarla, la sentiva sprigionarsi ovunque sotto la pelle. Quando risollevò lo sguardo andò ad incontrare quello dei suoi avversari: la paura si era fatta piccola, nascosta in punti che non aveva neanche saputo di avere. Coraggio, determinazione e una strabiliante forza avevano preso a galopparle nel petto al posto del battito cardiaco, non vi era niente di umano dentro al suo corpo in quel momento e scalpitava per uscire. Non attese molto, e si avvicinò a Jungkook con le mani protese e pronte ad agire. Il ragazzo aveva però una ormai forma disumana, un aspetto che lasciò Coco in bilico per qualche istante e fu vigliacco, una distrazione che non avrebbe potuto permettersi ancora una volta se fosse voluta uscirne viva. Neanche si era accorta come, ma la creatura si era avventata frettolosamente su di lei sferrando il suo primo attacco e mordendo così uno dei suoi avambracci. Durò forse qualche secondo, eppure le sembrò un’eternità che andava a trasformarsi in un dolore lancinante. Urlò per scaricarne via frammenti mentre la pelle si macchiava di rosso intorno ad una piccola voragine a forma di denti che lui le lasciò addosso. Si scansò dalla figura del cadavere in vita, abbassando la nuca sul proprio profilo e portando il palmo della mano su di esso per cercare di contenerne l’emorragia. Strinse i denti quando fu costretta a spostare via nuovamente la mano per cercare di difendersi dal secondo attacco, alle sue spalle. Provò a destreggiarsi per non farsi beccare dalla punta die pugnali del secondo avversario, Eddie, il quale ebbe la fortuna di coglierla nuovamente impreparata. Fece in tempo a voltare la testa per fronteggiarlo, eppure lui fu più veloce nell’allungarsi verso di lei e ferirla. La punta dei suoi pugnali si conficcarono nella sua carne, più e più volte, e Coco non fu in grado di reggersi in piedi. Cadde in ginocchio per terra con la schiena quasi completamente macchiata di sangue, le mani aperte contro la sabbia del terreno e le labbra serrate per il dolore. I passi di Eddie, dietro di lei, tornarono a farsi più vicini. Pensò nuovamente alla paura e alla morte e, sebbene le sembrasse la via più facile quella che l’avrebbe portata alla resa, quando sollevò lo sguardo per posarlo oltre la rete d’acciaio, l’idea di rannicchiarsi fra le braccia di Roy fu più forte di tutto. Lo vide avventarsi su Sky ed usare il suo potere sull’amica, appena prima che lei potesse rispondere all’attacco infilando la propria lancia nel costato del ragazzo. Non lo voleva, non poteva vederli combattere, doveva risollevarsi a mettere fine a tutto, vincere per permettere a quell’incubo di finire, perché lo era, giusto? Un incubo, qualcosa da cui rifuggire per tornare alla realtà. Si sollevò velocemente, non curandosi delle ferite e cercando di non pensare alla sensazione di calore che le bagnava totalmente la schiena e i bassi fianchi. Quando si voltò a fronteggiare Eddie, nuovamente vicino a lei, ritirò appena in tempo la schiena per schivarne il colpo e lasciare quindi che la punta del pugnale graffiasse in piccola parte una delle sue guance, appena prima che questo venisse catturato dalla presa di Jungkook. Ne approfittò per spostarsi velocemente alle spalle dello zombie e allungare le proprie mani verso di lui, attivando il proprio potere per qualche breve istante prima di riuscire a catturarlo con il reziario, intrappolandolo sotto di esso mentre Eddie perdeva una parte delle sue forze dopo il morso alla spalla inflitto dall’avversario. Fu in quel momento che la sorte sembrò essere dalla sua, così ne approfittò per avvicinarsi anche al ragazzo e, finalmente, posare una mano dietro la sua nuca, sul collo, laddove la pelle restava scoperta. Strinse le dita ormai sporche di sangue lasciando che il proprio potere fluisse dai polpastrelli al suo corpo, scatenando la propria forza attraverso di esso e vedendo il corpo di Eddie perdere forze più in fretta di quanto le fosse mai accaduto. Aveva gli occhi puntati su di lui, ne trafiggeva le spalle e si sentiva stranamente compiaciuta mentre vedeva Eddie perdere la propria efficacia e controllo su di loro. Quello con cui non aveva fatto i conti, però, era il corpo di Jungkook ancora carico di forze ma intrappolato sotto il suo reziario. Non lo vide allungarsi verso di lei per sferrare l’ennesimo attacco anche da quella posizione e, quando l’ennesima fitta di dolore prese a spargersi dalle gambe fino alla vita, Coco perse momentaneamente l’equilibrio ancora una volta, restando però in piedi e lasciando che una delle due ginocchia si piegasse per sottomettersi al dolore così da non lasciare che il resto del corpo se ne facesse carico. Mantenne la presa ferma sul collo di Eddie, ancora, sferrando un calcio al corpo di di Jungkook per provare quantomeno ad allontanarlo e prendere tempo affinché Eddie fosse quasi completamente sfinito. Quando lo vide allo stremo e quasi privo di sensi, lo lasciò andare, compiendo qualche passo indietro per allontanarsi da entrambi ma senza dar loro le spalle. Col fiato corto e il corpo martoriato dalle ferite, Coco sollevò lo sguardo e trapassò con esso le recinzioni che la separavano da chi conosceva. Catturò il momento in cui Nora fu trapassata da una lancia e provò un senso di disgusto per ciò che aveva visto, non voleva che anche lei rischiasse la vita, era importante per Roy e, anche se lei forse non l’avrebbe creduta sincera, era divenuta di conseguenza anche importante per lei. Era la famiglia che restava a Roy, e se Coco non ci fosse stata allora Nora restava l’unica colonna portante di una casa andata in frantumi anni prima. Cercò di restare con lo sguardo su di lei, senza riuscirci, voltandosi a guardare Roy, dal lato opposto. Il tempo sembrò fermarsi sulla sua pelle, sulle mani rossastre e sulle ferite che vedeva costernare il suo corpo. Sentiva il bisogno di correre nella sua direzione, fare fuori qualsiasi mano tentasse di afferrarlo, qualsiasi occhio fosse posato su di lui. Sentiva il potere esploderle nelle mani, nella testa, nel torace, credette di poter implodere e radere tutto al suolo, tranne lui, affinché la smettessero di fargli del male. Non se n’erano fatti già abbastanza? Non poteva vedere la morte anche in quello, anche nell’unica cosa che invece era sinonimo di vita: forse, per raggiungerla, avrebbe dovuto camminare fra cadaveri e si ripromise di farlo, solo per riabbracciarlo ancora una volta.
     
    .
  2.     +9   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Vice
    Posts
    5,941
    Reputation
    +4,099

    Status
    Offline
    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: immagini disturbanti (gore), violente o contenuti sensibili (ferite, percosse, pestaggi e simili).
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


    So all you restless
    Each night you hear the drums of war
    Awaken, awaken
    The voice begins to call you while you hunger
    A taste of destiny you're searching for
    Awaken, awaken, awaken

    Svegliati, svegliati. Accarezzate dalle iridi lucide e spaventate di Jungkook, le forme eteree dei mostri che occupavano gli spalti dell'arena sembrarono accorgersi di quel timido contatto, agganciandosi ad esso con le loro grida sempre più animalesche, sempre più impietose nell'esigere sangue dagli inconsapevoli lottatori accolti dalla polvere di quel primordiale stadio. Forse si trattava di un incubo, di un sogno dal quale uscire bruscamente, con il corpo paralizzato dalla paura, ansimante e provato, eppure vivo, intatto, tornato ad una realtà rassicurante e priva di pericoli. Ogni volta che chiudeva gli occhi, Jungkook si augurava di non risvegliarsi nel buio, con la terra tra le labbra e le membra schiacciate da un peso così opprimente da spezzargli il respiro; eppure così non era stato, indagando proprio con i suoi occhi vigili ed aperti un nuovo incontro con la morte. Aveva iniziato a realizzare di non potersi cullare in alcuna stabilità, certezza o riparo, ed esposte ad un terribile rischio, stavolta incatenate al loro destino da delle elaborate fasce in pelle, le sue membra erano costrette nuovamente a dover combattere per sopravvivere. Il petto si muoveva regolare in ampi respiri, allora perchè l'aria sembrava non arrivare ai polmoni ed il cuore battere troppo lentamente? Eppure lo sentiva, scalciare selvaggio e brutale tra le costole, spingersi fuori per liberarsi dalla morsa che lo stringeva così crudelmente. Spostò quindi la sua attenzione su Joon, cercandolo inquieto con lo sguardo e pronto a correre verso di lui, stringerlo, assicurarsi che stesse bene e fuggire così da quel posto il prima possibile, ma non appena lo trovò e mosse un passo in sua direzione, la mano destra si appesantì, stringendo istintivamente la presa su un oggetto che non le apparteneva. Una spada corta ma greve era apparsa concreta e scintillante contro il palmo, e mentre esso la riscaldava nella sua stretta gelida, la lama pareva iniziare a sussurrare anch'essa mormorii dolorosi e mortali. Jungkook era perso, affogava in una paura ed in un'agitazione terribili che lo spingevano sempre più in basso, dove tutto era nero e non c'era più ritorno, e quella stessa consapevolezza lo dilaniò da parte a parte; non avrebbe potuto raggiungere il suo adorato amico, nè portarlo in salvo. Avrebbero dovuto combattere, rischiare le loro vite e poi, forse, ritornare insieme. Oramai scappare pareva un'ipotesi utopica, lontana ed inafferrabile, e Jungkook ricacciò indietro ogni lacrima che minacciava di scendergli dagli occhi; doveva andare avanti, tornare a combattere come aveva sempre fatto, aggrappandosi alla vita con le unghie e con i denti per poter tirare fuori Joon da quell'incubo. Morire infatti non lo spaventava, non più. Sapeva cosa significasse, cosa si provasse, eppure la prospettiva che il suo migliore amico e fratello avrebbe potuto andare inconto a quel destino lo paralizzò nel terrore; proprio lui, tra tutti, non avrebbe dovuto soffrire, cadere sotto i colpi di una assurda illusione. Strinse l'arma più forte: avrebbe lottato per entrambi, per salvarli.
    Svegliati, svegliati. Un'altra scossa fece tremare la terra, poi un'altra ancora, e leggermente accovacciato per rimanere in piedi, Jungkook si rese conto di essere stato definitivamente separato da Joon; alte recinzioni dalle forme appuntite svettavano verso il cielo, piantate profondamente nella terra per non lasciare che alcun guerriero scappasse. Persone a lui sconosciute lo accompagnavano in quella singolare disavventura: una ragazza bellissima, spaventata eppure indomita dai lineamenti taglienti ed i lunghi ricci scuri, ed un altro giovane, gracile, dall'aria gentile, una di quelle persone che garantiva affabilità dal suo solo sguardo. Uno slancio, e Jungkook corse verso quelle sbarre, aggrappandosi ad esse e sbracciandosi, nel tentativo di farsi vedere dall'amico poichè non avrebbe mai potuto gridare verso di lui, fargli capire dove fosse, farsi sentire. L'agitazione allora si fece ancor più serpentina, insinuandosi in ogni muscolo, allontanando sempre più lo spettro di una voce dal corpo di Jungkook, bloccandolo nel silenzio più assoluto. Lo sguardo rimbalzava erratico da una parte all'altra della recinzione: non c'era modo di scavalcarla, arrampicarsi, superarla senza ferirsi, e Jungkook potè avvertire le spalle sprofondare sotto il peso dello sconforto. Joon sembrava essere irraggiungibile, e nel racchiudere le dita di una mano attorno alla sbarra metallica, il giovane sollevò un braccio, sventolandolo energicamente da una parte all'altra senza però essere raggiunto dallo sguardo dell'amico. Ti prego, ti prego guardami. Proseguì ancora per qualche altro interminabile secondo, prima di sbattere il palmo contro la colonna d'acciaio, incalzato sempre più freneticamente dall'ansia. Posò quindi la fronte contro la fredda recinzione, rilasciando un triste sospiro; ogni tentativo di attirare l'attenzione di Joon sembrò essere vano, e vedere l'amico in pericolo riportò Jungkook indietro, a quando il tormento più profondo lo lacerava nelle camere asettiche e bianche del Mordersonn Institute. Ricolmo di luce, Joon non avrebbe mai dovuto conoscere le atrocità della sofferenza in grado di affievolirla, almeno lui avrebbe dovuto essere salvo, al sicuro. Ogni respiro si fece più pesante, sino a diventare insostenibile, e quando la fiamma della fiaccola si fece luce, colpendo ogni persona presente nell'arena, la quiete divenne assordante. Le palpebre si erano abbassate, schermando gli occhi da quel bagliore innaturale, e quando si risollevarono, le pupille nere come la pece sembrarono essere velate dalla stessa fiamma che aveva animato l'arena perduta. Jungkook poteva sentirle, la vita abbandonarlo e la sua natura cambiare, trasformarsi nella forma che lo difendeva dagli orrori del passato e che nella sua brutalità lo rendeva il prodotto di tali eventi. Eppure non si trattava solo di questo, non solo di difesa; lasciando ciondolare la testa da un lato puntò lo sguardo sugli altri due malcapitati, le iridi ora dorate ad indagarne i movimenti. Avevano un buon odore, sembravano essere lì apposta per morire. Il cuore si era completamente fermato, il respiro intrappolato in gola sino ad affievolirsi del tutto. Click, click, click. Suoni inquietanti ed inarticolati si riversavano fuori dalle labbra più scure ed aride del ragazzo, che tenendo stretto il gladio in mano aveva preso possesso della sua forma non-morta, abitandola con fierezza mentre la ragione svaniva, cedendo spazio al cieco istinto. La fame di carne insanguinata e viva era tornata ad infestarlo, stavolta tanto incontrollata da eliminare ogni traccia di umanità in lui. Era iniziata una caccia ferina, che volta ad uccidere non lasciava spazio ad alcuna pietà; Jungkook era sgomento, ed ogni densa stilla di paura mutò in aggressione, spinta in quelle nere acque dalle forze primordiali che avevano fatto di lui un guerriero pronto ad annientare i suoi avversari. Un grido acuto e spaventoso liberò quella rabbia antica e viscerale, ed incalzato sempre più dai suoni ancestrali d'incitamento degli spettri, in uno scatto Jungkook cedette alla violenza che lo chiamava, avventandosi su Coco.
    Il sangue iniziò ad inondargli la bocca, scivolandogli in caldi rivoli tra le labbra mentre i denti affondavano nella tenera carne della ragazza, approfittando dell'improvviso disorientamento dovuto ai colpi di Eddie per soddisfare la fame che aveva preso ad offuscare ogni percezione in tossica nebbia. Un'euforia pericolosa scorreva nelle membra esanimi che Jungkook manovrava come strumento di morte, e desideroso di saziarsi di vita altrui, smaniava nell'aggrapparsi ad altra carne, fiondandosi allora su Eddie in scatti innaturali ed animaleschi, schivando i suoi fortuiti colpi per poi piantargli un morso sulla spalla sinistra. Quella frenesia famelica disimbrigliò a sua volta in un malefico domino l'istinto omicida che si annidava in ogni più piccolo movimento, rendendolo atroce e furibondo, e così bagnato del sangue dei suoi nemici, Jungkook si distaccò dal corpo di Eddie, attirato da delle grida poco lontano. Un groviglio di corpi si intrecciava in una letale danza scandita dal ritmo di fendenti e percosse veloci e pericolosi come morsi di serpente, e colpito al fianco in un'altra gabbia aguzza, Joon lottava fiero e poderoso contro i suoi avversari, travolgendoli nonostante le ferite che lo scalfivano. Jungkook gridò ancora, portando la mano libera dalla spada a colpirsi il petto, in un rabbioso gesto di incitamento su cui piovevano altri spaventosi click che vedevano le iridi del ragazzo non-morto brillare di furia dorata mentre incoraggiava l'amico ad uccidere tanto brutalmente quanto lui era chiamato a fare nella sua recinzione. Joon doveva vincere, doveva vivere - anche se ciò avesse significato rompere delle innocenti vite in innumerevoli ed invisibili frammenti. La paura di vederlo cadere non era stata soppiantata dalla collera, bensì alimentata da essa. Jungkook allora manteneva lo sguardo fisso e vacuo su Joon, rincorrendone i movimenti con le iridi senza staccarsi da lui, almeno fin quando il palmo minuto e caldo di Coco si appoggiò sulla sua pelle, pressandosi sul suo bicipite destro in un tocco quasi spettrale ma capace di tirar via dal suo corpo ogni più piccola stilla di energia. Jungkook inclinò il capo e spalancò gli occhi, i suoi versi ora affievoliti e le ginocchia che toccavano la terra polverosa in un brusco bacio. Sentiva le forze dapprima inarrestabili venir meno, assorbite e dissipate nel tocco della giovane, che aveva reso la sua figura vulnerabile agli attacchi altrui. Coco infatti si fece avanti, intrappolando Jungkook nel suo reziario, e quei nodi pesanti e fitti gettarono il ragazzo-zombie nel panico più totale, cercando di eliminare in gesti disperati e frenetici la rete dal suo corpo. Larghi fendenti falciarono l'aria sino a colpire la gamba di Coco, e non si fermarono neanche quando Eddie, sfiorato dalla giovane ed indebolito, continuava inarrestabile ad affondare più e più volte la lama del suo pugnale oltre l'armatura di Jungkook, che aveva pagato con la propria carne quella che aveva strappato ai suoi avversari. Si agitava, si dimenava selvaggiamente mentre la lama sottile ma brutale gli lacerava la pelle, e cadendo all'indietro, la testa si scontrò con il terreno nel momento in cui la visuale all'occhio sinistro svanì, occupata del tutto dal pugnale di Eddie. Jungkook non avvertiva alcun dolore, eppure la trappola che i corpi dei suoi contendenti rappresentavano lo spingeva ad attaccare, a puntare le sue prede per annichilirle e liberarsi dai loro artigli rapaci. Eddie cadde a terra poco dopo, accolto dai gorgoglii mostruosi che Jungkook pronunciava di tanto in tanto, vedendolo cedere sotto il tocco di Coco, unica guerriera rimasta in piedi tra loro. Svegliati, svegliati. Con il coltello ancora piantato nel cranio, Jungkook afferrò i nodi del reziario, pronto a squarciarli per liberarsi e tornare a combattere, mostro vorace e sedotto dalla voce della guerra.
     
    .
  3.     +8   +1   -1
     
    .
    Avatar

    All hype, no heart

    Group
    Vice
    Posts
    1,452
    Reputation
    +2,808
    Location
    kensington gardens.

    Status
    Anonymes!
    La paura Roy se l'era sempre scrollata di dosso senza grossi problemi. Spalle menefreghiste alzate a sfidare anche il cielo, nocche frantumate contro superfici, tra le tante, anche umane; parole dette con l'intento di ferire. La combatteva ad azioni, movimenti, falcate fisiche ed emotive in contrattacco perché, Roy l'aveva imparato sulla sua pelle, chi si ferma è perduto. E proprio fermo era, gli occhi sgranati e l'elmo fra le mani contorte, paralizzato da una paura diversa da qualsiasi cosa avesse mai provato prima. Non nasceva dalla superficie e lì non si fermava, originata dentro e non da un punto preciso. Era ovunque e dappertutto si espandeva, nei tessuti, nelle ossa, nella peluria arricciata. Persino nei denti la sentiva, Roy, quella paura che li faceva sbattere fra loro. Il collo, l'unica parte che di lui sembrava funzionare, si torse e cigolando su cardini di vertebre arrugginite dalla tensione si voltò, tagliando per un momento Coco e Nora fuori dalla sua visuale, per indagare invece sulla sinistra dove riconobbe l'ennesimo volto. Ponytail. La migliore amica di Coco era la più vicina a lui, un braccio teso e avrebbe potuto toccarla. 'Sta attenta. Per lui poteva non significare molto, ma la biondina era importante per Coco e forse quello bastava affinché quei lineamenti acquisissero ora un valore di cui pochi istanti prima erano privi. Se solo avesse saputo che proprio da lui avrebbe dovuto presto difendersi.
    Avrebbe tanto voluto poter rivolgere quella premura verso le altre due, sulle quali gli occhi tornarono presto ad alternarsi, nel disperato tentativo di poterle racchiudere entrambe nel campo visivo. Invidiava la visione periferica animale, avrebbe voluto poter tenere d'occhio Nora e Coco insieme, senza dover scegliere chi sorvegliare e in quale momento farlo. Avrebbe voluto che, almeno fra le sue pupille, fossero al sicuro. Qualcosa doveva pur muoversi, quella staticità lo stava facendo impazzire, l'immobilismo gli dava alla testa. Ma la paura lo annichiliva ancora quando si rese conto di stringere fra le mani qualcosa di pesante, forse più del terrore stesso. Ai suoi occhi era una semplice spada a doppio taglio con la lama larga e molto appuntita, proprio come ne "Il Gladiatore". La guardò confuso, passandola fra una mano e l'altra come a testarne l'impugnatura, un bagliore di curiosità mal celato dietro le sopracciglia sporgenti. Fu un movimento leggero e appena accennato che Roy acchiappò con la coda dell'occhio, il gesto di due mani che nell'unirsi sembravano stringere fra le dita ogni ragione e soluzione possibile. Rimase di stucco, il ragazzo, le iridi azzurre fisse sulla mano della cugina ora racchiusa in una più grande che no, non era quella di Roy. Era un dettaglio minuscolo, un granello di sabbia in mezzo alla tempesta. Non lo avrebbe mai notato, Roy, che delle cose ne vedeva sempre e solo l'insieme, troppo disattento per concentrarsi su altro; sarebbe passato del tutto inosservato, quindi, se non fosse stato così piccolo e maledettamente potente, così imprevisto e insensato per lui e per questo, forse, l'unica cosa da fare. Anche lui, pensò, avrebbe voluto afferrare il palmo asciutto della persona che aveva evitato per tutto quel tempo; anche lui, si disse, voleva trovare la pace sotto i polpastrelli dell'unica ragazza i cui dettagli non solo notava uno per uno, ma non riusciva neanche a dimenticare. Mai.
    Le mani di Nora e Lukasz erano un particolare che non avrebbe dovuto far rumore, lì fra le urla agghiaccianti degli spettri che dai palchi li additavano. Cosa volevano? Roy non lo capiva ancora, preso com'era a fissare l'esplosione calma scatenata dalle dieci falangi unite che nella sua testa rimbombavano con un frastuono assordante. Le budella si contorsero in una stretta leggera, agrodolce, mentre distoglieva finalmente lo sguardo per puntarlo altrove. Ora esisteva qualcun altro che si preoccupava per Nora e, se non quanto lui, si augurò che fosse almeno abbastanza. Ingoiò come a dover mandare giù un grosso rospo, mentre una specie di schiocco interiore scattava nel momento in cui i riccioli neri di Coco si liberarono dall'elmo, un click che dalla testa aveva smosso ogni cosa dentro di Roy, disincastrato giunture, risvegliato sinapsi e messo in moto muscoli prima paralizzati. Un passo davanti all'altro, Roy spezzò la staticità generale, amputando l'ellissi che quei corpi uniti da legami invisibili avevano fino ad allora formato, forse senza rendersene davvero conto. Si e no due passi, un tempo infinito gli sembrò che impiegassero le ginocchia a flettersi, e anche quando la fiaccola esplose trafiggendoli con dozzine di schegge infuocate Roy non si fermò ma accelerò. Aveva chiuso gli occhi quel tanto che bastava a prepararsi al colpo che, con sua sorpresa, non arrivò mai. L'assenza di dolore lo spinse a sollevare le palpebre, le pupille ancora su Coco come se l'avessero continuata a guardare anche da sotto la pelle. Mezzo secondo, non di più, era bastato per far sì che qualcosa si ergesse fra loro, un muro di travi enormi che volevano dividerli. La terra tremava sotto i suoi piedi ma Roy se ne infischiò, stava correndo ora, correva verso il destino che aveva rifiutato per troppo tempo. Coco! Si lasciò sfuggire quando, il fiato bloccato in gola, le mani aperte si scontrarono con il muro. Buttata la spada di lato sul terriccio strinse le mani a pugno colpendo le travi con quanta più forza avesse in corpo. Spinte, calci, cercò persino di arrampicarsi, ma le suole delle scarpe stridevano e le mani si riempivano di schegge ogni volta che scivolava giù, a terra, lontano da lei. Anche urlare non servì a molto, a separarli c'era una rete invalicabile. No no no no no CAZZO! Con tutto il peso ci si buttava contro, Roy, che mai così tanto aveva voluto distruggere qualcosa. Odiava quel muro, odiava quella distanza, odiava sé stesso per aver imposto spazi che non servivano a niente, inutili, colmabili con una parola, un gesto, un tocco. Ma non l'aveva riempiti anzi, si erano allargati fino a diventare come quelli, impossibili da scavalcare. Mentre la guardava tra le intercapedini delle travi, Roy sperava di comunicarle con gli occhi che niente, niente di quello che gli era successo contava più, l'arrabbiatura dei mesi scorsi gli sembrava così fottutamente stupida, insensata, come quasi tutto quello che faceva. Impuntandosi sull'irrilevante, Roy si era perso le cose importanti.
    La mancanza di fiato e la spalla dolorante gli imposero di fermarsi, le mani si strinsero ai capelli mentre si piegava sulle ginocchia, ansimante. C'era anche qualcos'altro, una sensazione che subdola iniziava a mischiarsi alla tristezza e alla paura per tramutarsi in qualcosa che che a Roy sembrava di conoscere ma che era al contempo diversa. Rabbia, solo per quello la scambiò all'inizio, perché di essa ne aveva tutti i sintomi. Il calore come sempre iniziò dalla testa, col sudore che colava lento sul collo mentre la temperatura corporea si alzava gradualmente. Le urla sugli spalti si fecero tanto forti da guidare il ritmo del suo cuore che pompava, risucchiava e spingeva sangue nel tentativo di sostenere l'incredibile pressione a cui l'organismo era sottoposto. Una forza aveva preso possesso delle sue ossa e lo spinse a scattare di lato per riafferrare il gladio e tirarsi su, fronteggiando per la prima volta le persone presenti nella sua parte di arena. La loro cella. In trappola, aveva già avuto quella sensazione sulla pelle e non gli era piaciuta. Quando attaccò, a Roy parve di muoversi in un sogno vividissimo fatto di incubi nuovi e ricorrenti. La casa, la prigione, la guerra. Nella bocca gli sembrava persino di sentire il sapore della sabbia irachena, rossa di sangue. La paura strisciante si solidificò d'un botto, un mattone al centro premeva sullo sterno: furia. Doveva lottare. Voleva ucciderli. Si buttò sull'unico altro uomo in trappola con lui, consapevole di averlo visto stringere la mano della cugina appena qualche minuto prima. Ma non gli importava. Sferzò più colpi, i denti digrignati, storti ed esposti, e il terzo riuscì finalmente a colpire una superficie solida ma abbastanza morbida da lacerarsi sotto il metallo affilato della spada. Il sangue affiorò dalla ferita impregnando la lama che, di nuovo in posizione di fronte a Roy, gli schizzò qualche goccio sulla fronte. Una risata sguaiata gli rimbombò nel cranio e, forse, nell'arena, imbrattandogli folle le labbra. Preso dall'euforia, Roy finì per distogliere lo sguardo e distrarsi dall'avversario ferito. Nora aveva appena trafitto un ragazzo con il tridente, sembrava più o meno priva da ferite corporee; Coco invece era stata appena morsa da...Non ebbe il tempo di vedere il sangue macchiare la sua bianca pelle che indietreggio d'istinto quando un movimento si frappose all'angolo del suo occhio. Ebbe appena il tempo di sollevare il gladio con entrambe le mani sulla testa per parare il colpo. Se non lo avesse fatto il tridente di Lukasz glie l'avrebbe spaccata a metà. Con un ginocchio puntato al suolo, Roy sollevò lo sguardo sull'uomo che voleva ucciderlo e provò una rabbia feroce. Sotto la spinta micidiale di Lukasz, la lama stava penetrando nel palmo che la teneva stretta, il sangue che colava lungo l'avambraccio, fino al gomito. Prese aria e rotolò di lato, sfuggendo per un pelo al tridente che, ora libero, si abbatteva al suolo lì dove fino a un secondo prima c'era Roy. Rialzandosi avvertì la spalla farsi pesante, spingere verso il basso come se vi fosse un peso sopra. Abbassato lo sguardo corrugò interdetto la fronte: uno degli spallacci di pelle dell'armatura era diventato di pietra. Ma che porc-- Senza tempo per ponderare, Roy schivò un altro attacco e col movimento l'arenaria si sfaldò gradualmente, una cascata friabile di polvere grigiastra si appiccicò alla pelle sudata mentre il resto si disperse per terra e nell'aria. Al posto del pezzo, non c'era più niente, solo la sua spalla scoperta. Questa volta i riflessi non furono abbastanza veloci e quando le punte del tridente si conficcarono nel petto, Roy si lasciò sfuggire un verso rauco, dolore misto alla sconcertante sorpresa di essersi lasciato fregare. Abbassò lo sguardo: lo strato sottile di armatura aveva attutito il colpo ma le lame erano riuscite ad andare oltre, conficcandosi di qualche centimetro nella pelle. Con il tridente ancora a lacerargli il petto, Roy lasciò cadere la spada, sentendosi come un pesce infilzato su uno spiedino. Nonostante il male agonizzante, riuscì a sollevare le braccia e a stringerle sulle spalle di Lukasz, attirandolo così verso di sé in una mossa che poteva sembrare controproducente. Senza un piano, l'istinto di Roy aveva reagito e sapeva cosa fare. Le punte andarono più a fondo e Roy si sentì urlare, un suono rauco e basso, da bestia, che non era sicuro appartenesse completamente a lui. Ora però era abbastanza vicino da poter raggiungere il viso dell'uomo e premere le dita su di esso. Il sudore gli colava negli occhi come il sangue sull'armatura, mentre cercava in tutti i modi di evitare lo sguardo di Lukasz. Non ci capiva molto, ma aveva la sensazione che sarebbe bastato quello per finire frantumato come il pezzo dell'armatura. Ogni centimetro che toccava, Roy bruciava, e presto si ritrovò a spingere con i pollici sulle palpebre finalmente chiuse dell'altro. Pensavi di potermi uccidere? Così tanta rabbia in un soffio di voce. Sentì la presa attenuarsi e, quando il tridente scivolò via dai solchi nel petto, Roy fece quasi fatica a rimanere in piedi tanto era il dolore. Ci riuscì, barcollando di appena e disse in un un lampo: ...grave errore. Con le mani ancora sul viso di Lukasz, Roy era sul punto di premere più forte quando qualcosa gli mozzò il fiato che aveva solo da qualche secondo ritrovato. Non aveva visto Skylar farsi vicina e quando la lancia si infilò nelle spazio tra le costole, Roy lasciò la presa sull'uomo. Per non cadere si lanciò su Skylar afferrandola, le dita bollenti premute nei fianchi a ustionarli.

    Carponi per terra, l'uomo cercò di alzarsi il più in fretta possibile e riuscì a recupera il gladio che fendette l'aria calcando un taglio nell'addome della ragazza. Che fosse l'amica di Coco ormai non aveva più la benché minima importanza per lui. Per un momento qualcosa si fece largo tra la furia, ricordò chi fosse, ricordò Nora e Coco, e alzò lo sguardo al di là del muro. Tra l'insensata voglia di sangue, tra i rumori spettrali della folla, tra il clamore delle armi e i lamenti dei caduti, in Roy si alternava l'ossessivo pensiero che, se solo fosse stato abbastanza vicino da sfiorarla, Coco sarebbe stata al sicuro. Era insopportabile l'idea che potesse accaderle qualcosa, che potesse non esistere più. Strinse convulsamente la mano intorno all'arma, stava letteralmente bruciando vivo. Sky era ancora lontana quando qualcosa, una forza invisibile scombussolò ogni equilibrio, frantumando il baricentro di Roy per mandarlo letteralmente in alto, come se d'improvviso non avesse più alcun peso. Atterrò malamente di schiena e uno sbuffo rauco proruppe dai polmoni arrivò alle labbra, mentre qualcosa le macchiò spargendogli un sapore ferroso in bocca. Tossì sangue, qualcosa aveva preso a non funzionare a dovere neanche all'interno di lui, si lamentava con ondate maligne lungo tutte le terminazioni nervose. La particolarità lo consumava arrivando a masticargli il midollo, il corpo che non riusciva a smettere di bruciare e tremare, bruciare e tremare. Nonostante tutto in lui stesse cedendo, Roy riuscì a sollevarsi sui gomiti, gli occhi puntati al di là del muro. Aveva una ragione per combattere, una ragione per non mollare. Era riuscito a mettersi in ginocchio quando l'uncino invisibile lo sollevò ancora in aria, verso il cielo. Verso Coco? Il pensiero venne interrotto dall'atterraggio brusco, le ossa scricchiolarono scontente, era convinto che le giunture non avrebbero resistito a niente di più. Ma non si sa cosa si è in grado di sopportare fino a quando non si sopravvive, infatti Sky usò il suo potere contro Roy ancora e ancora, fino a quando Lukasz non concentrò la sua furia su di lei. E Roy potè prendere un respiro. Farlo però fece male, come se il corpo stesse per arrendersi anche sui gesti più meccanici. Si rannicchiò su un lato, le braccia strette all'addome zuppo di sangue, i denti che cozzavano talmente forte da quasi spezzarsi. Aveva solo bisogno di riprendere fiato, energie, riposare. Non chiuse gli occhi però, finalmente il suo sguardo riusciva a scorgere Nora e Coco insieme nel campo visivo. Nessuna scelta, alla fine. Rise della vita e della morte, e mentre il riso scemava gli occhi rimasero a guardarle sparire e apparire opalescenti fra le gocce di sudore e sangue intrappolate fra le ciglia. Respirare era diventata un'imposizione che Roy si sforzava di adempiere. Inspirare, espirare, inspirare, espirare. Non voleva morire, non poteva, non senza prima accertarsi che stessero bene. Non senza chiedere scusa.
     
    .
  4.     +8   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Cittadini
    Posts
    2,692
    Reputation
    +2,159

    Status
    Anonymes!
    Lukasz Leon Lewandowski|31 y.o.|Gorgone| Questa è la puntata in cui Swarovski diventa una Trix

    Che illusi siamo. Ci basta intravedere uno spiraglio per accendere la speranza. Una piccola flebile luce in fondo all’oscurità, e acquistiamo la forza di riemergere dalle sabbie mobili. Ci trasciniamo avanti, perché la speranza a volte è anche più forte del nostro dolore, perché è così accecante la luce che porta con sé da far sembrare specchi le mura logore in cui siamo rinchiusi. Ma è un’illusione, effimera, e come tale svanisce. Il futuro non è mai come lo immaginiamo. Cambia, di volta in volta, ci costringe al compromesso, si modifica ad ogni passo che compiamo. Ed ogni volta che ci illudiamo che esso cambierà in meglio, la vita ci colpisce in maniera inaspettata, ricacciandoci nel baratro da cui cercavamo di risalire, lisciandone le pareti così da rendere impossibile fare qualcosa di diverso dallo sprofondare.
    Aveva rincorso quella luce, Lukasz, ma oltre il varco c’era di nuovo l’abisso.
    Sabbia, grida, caldo. Era questo che l’aveva avvolto quando aveva poggiato i piedi su quella superficie soffice, le membra avvolte dall’armatura che avrebbe dovuto proteggerle. Si, ma da cosa? Captava immagini confuse, mentre il suo corpo cercava di stabilizzarsi dopo la crisi di panico avvenuta poco prima. Si chiese quale masochista volontà lo avesse condotto lì, insieme a Nora, in un luogo in cui gli sembrava di essere già stato. Non c’erano caselle sul terreno. Non c’era sangue su di esso, ancora. Non c’erano pedine contro cui vincere una partita a scacchi. Erano loro, le pedine. La mano tremò, andando alla ricerca di quella di Nora. Si aggrappò a quel calore, convincendosi che sarebbe stato tanto forte da svegliarlo da quell’incubo. Non voleva che accadesse di nuovo. Non quando ancora vedeva il corpo di Nora trascinato sulla scacchiera, il ragazzo trapassato dalla lancia, Valentin abbattuto dalla corona della regina. Quelle immagini tornavano ogni giorno a infestare i sui incubi, si insinuavano nei suoi pensieri lucidi, li distorcevano a volte. Non avrebbe retto un altro colpo del genere. Non sarebbe sopravvissuto a tanto. Si era sentito invincibile, Lukasz, per tutta la vita. Ma da quando era arrivato a Besaid aveva scoperto quanto facile fosse spezzarlo. Si era già spezzato, da tempo. E ora di lui non restavano che frammenti da ricomporre. Ma sarebbero stati impossibili da incollare, se si fossero frantumati ulteriormente. Senza l’elmo in testa, non potè che guardare Nora l’ultima volta, implorarla di sopravvivere perché succube del presentimento che non avrebbe potuto proteggerla per sempre. Lo sguardo corse agli altri sventurati guerrieri dell’arena. Compagni, amici, amanti. Molti di loro sembravano conoscersi. Probabilmente, senza quella ferraglia in testa avrebbe potuto riconoscerli anche lui. Probabilmente si erano incrociati nella cittadina senza mai degnarsi di attenzione. Magari qualcuno era stato suo paziente, magari sotto quegli elmi c’era la barista da cui passava a prendere il caffè, l’idraulico che aveva chiamato la settimana prima, un suo collega. Potevano essere chiunque, quelle persone, immolate per l’ennesimo sadico gioco che lo staff qualcuno in quella città soleva organizzare ogni anno. Qualcosa andò ad appesantire il suo braccio libero, facendo cadere la presa sull’elmò, che rotolò a terra. Laddove prima impugnava la difesa, ora la presa era stretta su un manico di metallo, che terminava in tre cuspidi. Un tridente, come quello del dio Nettuno nelle raffigurazioni. Un’arma che comparve insieme ad altre, impugnate dagli altri. Le grida si alzarono, dalle bocche evanescenti di quegli spettri. Il fuoco al centro dell’arena si espanse, e si divise in più bracci. Chiuse gli occhi, lasciò andare la mano di Nora. Attese, che il fuoco consumasse la sua pelle, ma non accadde nulla. Non bruciava davvero. Era come se la fiamma gli fosse entrata dentro, ed avesse incominciato ad ardere. Non c’era più panico, ora. Non c’era più nulla.

    Gli antichi norreni lo chiamavano berserk: la furia del sangue. Essa era prerogativa dei più feroci guerrieri, che nulla lasciavano sul loro cammino se non distruzione e sangue. Si diceva che i berserker fossero baciati dagli dei, i quali muovevano le loro braccia e intrappolavano la loro mente. Si diceva non fossero in grado di fermarsi, fin quando non avevano consumato l’ultima vita, fin quando l’ultima goccia di sangue non aveva macchiato il loro volto. Era una furia cieca, che guidava le azioni di uomini folli, forse un semplice nome dato al sadismo umano. E il berserk ora attraversava le sue vene, lo animava, chiamava sangue, come una bestia immonda pronta a divorare qualsiasi forma di vita incontrasse. Lo sguardo corse alle alte recinzioni che ora li separavano e dividevano l’arena in porzioni. Gabbie, come quelle in cui venivano imprigionati i condannati dati in pasto ai leoni. Lo sguardo corse a Nora, oltre la recinzione. Non voleva vederla di nuovo trascinata a terra, non di nuovo sanguinare. Era pronta a combattere, lei, così come inaspettatamente si sentiva lui. Guardava le persone intrappolate nel suo stesso recinto e non provava pietà per loro. Era come se ad ogni secondo perdesse un po’ della sua umanità, quella che lo aveva sempre reso la persona che era. E pian piano non fu più Lukasz, non il premuroso dottore che metteva le vite altrui davanti alla propria. Era come se il fuoco avesse acceso la sua rabbia tanto da sublimarla, da renderla incontrollabile. Era come un animale in gabbia pronto ad attaccare chiunque si avvicinasse. E al momento, nelle vicinanze c’erano solo due persone. E c’erano le grida, che sovrastavano ogni cosa. Avrebbe voluto che smettessero, che facessero silenzio e gli permettessero di pensare. Alzò lo sguardo verso quelle mostruose figure e gridò contro esse, riversando la furia della gorgone su ogni cosa incontrasse il suo sguardo. Potenziata, incontrollata, la bestia consumò ogni porzione nel suo campo visivo e la rese pietra grigia, sfaldabile con una minima scossa, ma nulla potè fare contro quelle grida e coloro che le emettevano, attraversati da quella scarica come se fossero incorporei. Ansimando, strinse la presa sul tridente e si volse verso gli avversari. Era questo che le voci volevano: che riversasse tutta quella rabbia contro di loro. Ed era questo che anche lui sembrava volere, contro la volontà che nascosta cercava di fermalo. Piegarli, spezzarli, prendere Nora e fuggire. Non c’era tempo, doveva fare in fretta, prima che le accadesse qualcosa. Il massacro aveva inizio. Attese, come un predatore, che fosse l’altro –il ragazzo- a fare la prima mossa. Tattica sbagliata, Lewandowski. In men che non si dica si trovò atterrato, col tridente lontano, a rotolare nella sabbia cercando di scrollarsi quel peso di doso e cercando di evitare i fendenti che quello continuava a menare con la spada tagliente. Non aveva paura, in quel momento. Era quasi divertente, quella concitata lotta per sopravvivere, inebriante la competizione. Riuscì a sgusciare via e a riafferrare il manico del tridente, ma non fu abbastanza veloce e coordinato da evitare che la lama si conficcasse nella sua coscia. Avvertì un dolore lancinante, quando la percepì strisciare nella sua gamba, prima di macchiare la sabbia con uno schizzo di sangue. Non era niente, si disse, ancora più determinato a far fuori quella fastidiosa palla al piede. Barcollando si rialzò in piedi facendosi leva col tridente, furibondo contro colui che l’aveva ferito. Furioso, completamente alienato dalla sua parte umana, si avventò sul ragazzo, cercando di infilzare le punte del tridente nella sua carne, e spingendo a tutta forza. Era un avversario degno, ma non per questo lo avrebbe risparmiato. Nulla sfuggiva alla furia di un berserker. Roy riuscì a divincolarsi dall’incastro tra il tridente e la spada, e Lukasz, col sangue che colava lungo la gamba, iniziò a inseguirlo camminando. ”Non fuggire”. Disse a denti stretti, in un sibilo, mentre sentiva la sua particolarità scalpitare. Come le voci là fuori, anche la gorgone reclamava vittime da sacrificare sul suo altare di dea dimenticata. Sadico, e preciso come non era mai stato, si concentrò solo su alcuni particolari. Un pezzo dell’armatura, per esempio. Non voleva che il giochino finisse troppo in fretta. Un pezzo dopo l’altro, lui si muoveva rendendo inefficaci i suoi tentativi. Sorrideva beffardo, il medico il cui sorriso era sempre dolce e benevolo, invasato da quella violenza che anelava ad alimentare. Impugnando il tridente a metà del manico, si avventò di nuovo su di lui, finalmente permettendo alle parti contundenti di incontrare l’ostacolo bramato: la carne dell’avversario. Curioso, come l’altro sembrò tentare di darsi una morte breve, spingendosi sempre più sul tridente. Ma quando capì cosa voleva fare, nel suo ultimo disperato tentativo, fu troppo tardi. Il medico era caduto in trappola. Sentì le mani dell’altro bruciargli la pelle, prima il braccio per attirarlo a sé, poi il volto. Cercò di divincolarsi, gridando rauco, chiudendo gli occhi e aggrappandosi al manico del tridente, unico punto di riferimento in quel tafferuglio. Poteva percepire l’odore della propria pelle bruciata, il sudore farla ardere ancora di più. Gli ricordava qualcosa, forse. Bruciature, sangue. La sala operatoria. Era dalla parte sbagliata. Riuscì a divincolarsi strappando il tridente dalla carne dell’avversario, alla cieca. Cadde a terra. Aveva capito il trucco, Perseo, ed ora si apprestava a decapitare la Gorgone, come nel mito. Sentiva la gola bruciare, la sabbia scrocchiare tra le fauci serrate per il dolore e la paura di non riuscire a rialzarsi. Ansimava, a terra, mentre il mondo intorno a lui sembrava fatto solo di rumori. Alzò la testa, riuscendo finalmente a vedere una figura sfocata, con gli occhi che lacrimavano e bruciavano, correre in sua direzione. E fu in quel momento che ricordò che non erano soli. C’era la ragazza, merda. O fortuna. Sembrò ignorarlo, avventandosi su Roy, e dandogli il tempo di respirare. Di provare ad aprire gli occhi le cui palpebre sembravano strapparsi ogni volta che le muoveva. Nemmeno percepiva più il dolore alla gamba, come se avesse imparato a conviverci nel giro di pochi istanti. Cercò Nora, oltre a recinzione, me ciò che vedeva erano solo figure sfocate. Arrabbiato, ferito, si avventò di nuovo su quei due. Solo uno poteva sopravvivere, nel recinto. Così, nella lotta per la supremazia, e ormai incapace di usare la sua particolarità che, poteva giurarci, non avrebbe più centellinato con parsimonia, si avventò su una di quelle due figure: la più esile. Dapprima puntò alle gambe. Voleva abbatterla, metterla in ginocchio, renderla inoffensiva. E con forza brutale poi estrasse il tridente, beandosi dei fiotti di sangue che bagnavano la sabbia. Colpì di nuovo, mirando a finirla, al petto. Ma l’immagine di lei sfocata si distorse, tanto che finì per colpirla al collo. Sentì di nuovo la carne opporre resistenza, quasi fermare il suo colpo. Ma ci fu qualcos’altro poi ad arrestarlo, e non era la sua coscienza. Si sentì sollevare, da qualcosa che non riusciva a identificare, e lasciò la presa sul tridente, che restò conficcato tra le membra della ragazza. Saliva, vedeva altre figure muoversi, le recinzioni, sfocate, creare un disegno. E poi sentì la gravità farsi più forte, attirarlo proprio verso le recinzioni. Percepì il colpo, restò senza fiato. La mano rapida corse ad impugnare uno di quei pali, istintivamente, per evitare che penetrasse ancora più a fondo. Il sangue aveva subito iniziato a macchiare il palo la cui punta era affondata nella metà destra del suo addome. Non riusciva a respirare. Era come se quel corpo estraneo premesse contro ogni suo singolo muscolo. Rantolava, penzolando da quella ringhiera. Poté usare la sua particolarità su una piccola porzione del legno, affinché potesse spezzarsi più facilmente. Riuscì ad emettere un rantolo, a espirare brevemente. Mentre l’asta si spezzava e lui riceveva il contraccolpo, mentre cadeva a terra, ancora dentro la recinzione. ”Merda” Mugolò tra gli spasmi, mentre la furia cieca lasciava spazio alla rassegnazione. Il sangue continuava a scivolare a fiotti sulla pelle di quell’armatura ormai forata, ne sentiva il sapore in bocca, mentre riverso a terra quasi ritrovava la ragione insieme alla vista. Sarebbe morto dissanguato se avesse sfilato quel pezzo di legno, che d’altro canto così gli rendeva difficile respirare. Ogni singola mossa era uno spasmo. Non poteva vedere Nora, adesso. Non vedeva che il sole oltre i lacerti rimasti del velarium, che ancora faceva bruciare i suoi occhi già menomati. Singhiozzi. Dolorosi singhiozzi erano l’unica cosa che riusciva ad emettere. Volse il capo alla sua destra. Non gli importava più chi avrebbe vinto la battaglia. Cercava di fermare l’emorragia, Lukasz, che per un attimo ricordò chi era. Vedeva tutti i giorni quel genere di ferite. Lui le curava, non le infliggeva. Non era un mostro, non aveva mai voluto esserlo. Ma lo era stato, per un solo breve istante: ed era quella la fine che i mostri facevano nelle favole. Restavano soli a sputare sangue, mentre gli eroi esultavano come i gladiatori nell’arena.

    Il nostro corpo è fatto per sopportare una moltitudine di traumi, per ripararsi e sopravvivere anche con una parte in meno. Siamo nati per vivere e sopravvivere, ma non sempre tutto va secondo i piani. Non tutti possiamo essere salvati e noi non possiamo salvare tutti.
    E’ solo una questione di tempo e fortuna. E’ solo questione di attimi, e il futuro cambia.
     
    .
  5.     +9   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Sakura Blossom

    Group
    Member
    Posts
    981
    Reputation
    +2,142
    Location
    Far Away

    Status
    Anonymes!
    Skylar May Lundberg

    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [Violenza fisica e traumi psicologici].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


    Una serie di volti sin troppo familiari le sfilarono davanti agli occhi mano a mano che rimuovevano i caschi che celavano le loro identità. Conosceva troppe persone in quell’arena, riuscire a contare tutti su una mano aperta era troppo per lei. Deglutì a forza sentendo la bile faticare a scendere lungo il giusto canale, la pelle le formicolava tanto aveva i sensi allertati. Riconobbe Hikaru, da una parte aveva pregato che non la seguisse fin lì e sapere di essere finiti dentro la stessa trappola le stringeva lo stomaco tanto da farle male. Avrebbe solo voluto correre dal suo amico, ma il corpo non rispondeva ai suoi comandi mentre i suoi occhi correvano freneticamente da lui a Coco a Jungkook. Si portò una mano alla bocca quando un pensiero affiorò labile nella sua mente: se Jung era lì questo voleva dire che Petra era sola a casa. Una paralisi di ogni singola terminazione nervosa la colpì realizzando che sua sorella poteva essere in apprensione per loro e che lì non avrebbero avuto tempo di dirle cosa gli stava accadendo. Le sembrava un dejà – vu quella sensazione di impotenza davanti a un avvenimento più grande di lei e la consapevolezza di non poter cambiare le ultime parole dette ai propri cari. Non si erano lasciate male stavolta lei e Petra, anzi la sera prima avevano condiviso una pizza sedute sul divano a guardare un film insieme. Ed eccola di nuovo lì in una situazione di cui non aveva il controllo, si sentiva esattamente come quando aveva un aeroplano davanti agli occhi: il fiato era corto, il cuore in fibrillazione e l’anima in rotta di collisione.
    ”Ponytail. Sta attenta.” la voce di Roy in quel caleidoscopio di emozioni la risvegliò.
    ”Anche tu…” il ragazzo sparì dalla sua visuale per lasciare spazio a una lunga lancia intarsiata che comparve tra le sue mani, non c’era prima, ne era certa. Finalmente le gambe parevano in grado di seguire di nuovo i suoi input, ma in quel momento accadde qualcosa che la costrinse a distogliere l’attenzione dalle singole persone che voleva raggiungere e tornare a guardarsi intorno davvero per la prima volta. Una grande fiaccola al centro dell’arena ardeva di una fiamma che aumentava di volume innaturalmente, quel fuoco divampò in un’esplosione che illuminò l’atmosfera di toni aranciati e rossi. Minuscoli frammenti incandescenti si espandevano fino a spegnersi nel nulla e il silenzio che si era creata attorno, mentre realizzava quanti volti amici erano presenti, proruppe in un boato potente. Le voci di quegli spiriti inumani erano di nuovo un coro inneggiante alla violenza che le premeva forte contro i timpani e le vibrava dentro la gabbia toracica. Non di nuovo, per favore. Una singola lacrima rigò il volto pallido di Skylar che incatenata dalle proprie emozioni non riuscì a muoversi neanche quando il suolo iniziò a tremare spaccandosi in più punti creando delle pareti di ferro a separarli in piccoli gruppi. Pietrificata in quella posizione notò in lontananza Hikaru che si era gettato contro la rete per andarle incontro, ma ormai era troppo tardi. ”No…” un sussurro flebile che svanì inghiottito dal canto demoniaco che si sollevava dagli spalti. ”NOOOOO!” gridò con tutta la forza che aveva finalmente padrona dei propri movimenti, afferrò con le mani la rete che la separava da tutte le persone a cui voleva più bene. ’Hikaru…’ quel nome lampeggiò solo nella sua mente come una luce in un buio denso come inchiostro. Tremava Skylar, le dita tamburellavano involontariamente contro i fili di ferro mentre le sembrava di guardare gli avvenimenti con gli occhi di qualcun altro. Osservò Hikaru proteggersi il volto da dei frammenti che crollavano dall’alto e che gli avevano creato delle escoriazioni sulla pelle, non aveva idea di chi fossero le altre persone che si trovavano con lui. Avrebbe voluto utilizzare la sua particolarità per sospendere tutti in aria e fermare quello scempio, ma sentiva che improvvisamente la presa sulla rete si era fatta salda e ferma, aveva smesso di tremare. I suoi occhi prima colmi di paura si svuotarono per lasciare spazio a una luce sinistra che cambiò i connotati della sua espressione, un malsano ghigno s’impossessò delle sue labbra contorcendole da un lato. Nel suo respiro s’insinuò quello di qualcun altro, percepiva una rabbia primordiale che le scorreva nelle viscere e non riusciva a controllarla. Ecco di nuovo quella memoria che non era la sua, improvvisamente quegli spazi divennero familiari per lei e i suoi occhi smisero di fissare Hikaru, si volse alle sue spalle dove solo in quel momento si accorse che c’era uno scontro in corso. Raccolse la lunga lancia che aveva lasciato cadere a terra nel tentativo di raggiungere i suoi amici, la osservò per un breve istante saggiandone l’impugnatura di legno, pareva modellata su misura sulle sue esili mani. Skylar inclinò il capo da un lato raccogliendo nel suo campo visivo tutto ciò che fino a quel momento per lei non era stato importante. Sugli spalti centinaia e centinaia di figure deformate gridavano in una lingua che d’un tratto comprendeva. ’Fame di pelle umana e paura per raggiungere la gloria eterna.’ Un eco dal sapore antico che risvegliò in lei un’ira sopita, brandelli di una vita che non aveva mai vissuto si componevano nella sua mente. Una donna a cavallo guidava un gruppo di fiere amazzoni dalle armature di cuoio perfettamente identiche, il suono degli zoccoli a terra era ritmico come un tamburo di guerra. Skylar eresse la schiena, lasciando che quelle immagini guidassero i suoi passi verso i due sconosciuti, era strano il contrasto che sentiva dentro di se’: da un lato c’era una fiera guerriera dagli occhi neri come la morte e dall’altra un’anima chiara e leggera che danzava come una lucciola nella notte oscura. Chi era lei?
    Era a pochi passi dai due ragazzi grondanti di sangue e terra, la sua lancia bramava il loro nettare cremisi e Skylar non se lo fece ripetere due volte. Affondò la lama nel costato del ragazzo dai capelli più corti, cosa aveva fatto alla pelle dell’altro con le sue mani? Erano bruciature quelle che deturpavano le palpebre dell’altro, doveva stare attenta, ma non aveva calcolato che nella caduta lui si sarebbe aggrappato ai suoi fianchi. Dalla bocca le uscì un verso gutturale, era entrato in contatto con l’unico punto che l’armatura di cuoio le lasciava scoperta. Digrignò i denti osservando il ragazzo riprendere fiato a terra, mentre lei sentiva l’aria venirle meno per l’ustione che invece di placare i suoi bollori li raddoppiò. Se fino a pochi istanti prima c’era una scissione tra Sky e la guerriera dentro di se’ adesso l’orizzonte tra le due anime era sparito, risucchiato dall’oscurità della straniera nel suo corpo. Un colpo inaspettato sopraggiunse da Roy che aveva recuperato la sua arma e le lacerò l’armatura all’altezza del petto lasciandole una ferita abbastanza profonda. Sul celeste fiotti di un rosso cupo lasciavano la loro scia viscida. Come aveva osato profanare la sua pelle? Skylar si lasciò andare a una risata grottesca che andava a unirsi alle grida degli spettatori sugli spalti. ’La Regina delle Amazzoni non risparmia nessuno. Sangue…’ a quelle parole la ragazza fece un inchino verso il suo pubblico e chiuse gli occhi per una frazione di secondo. Aveva bisogno di concentrarsi per trovare la connessione con le curve spazio temporali circostanti per modellarle a suo piacimento, ma scoprì con sorpresa che tra il suo corpo e l’ambiente circostante non c’erano limiti. Sentì la gravità stringerle leggermente il collo come un lazzo invisibile mentre testava cosa era in grado di fare, poi la rilasciò per andare a padroneggiare quella attorno a Roy. Un guizzo di lucidità brevissimo. ”Roy…” e poi più nulla, sollevò il corpo del ragazzo da terra col suo potere e lo scaraventò al suolo con un tonfo sordo. Lo sentì tossire, vide il sangue uscirgli dalla bocca e lei sorrise soddisfatta. Ancora un lampo di lucidità le tramutò l’espressione in preoccupazione, voleva gettarsi a terra e vedere come stava. Lo conosceva, non provava per lui un affetto vero soprattutto perché aveva fatto soffrire la sua migliore amica Coco. D’improvviso iniziò a ricordare le altre persone che stavano combattendo lontane da lei, Jung e Hikaru, il timore che non avrebbe mai più rivisto sua sorella. Si guardò il petto macchiato di sangue e la sensazione di bruciore per la ferita era forte, ma realizzare tutte quelle cose le fece perdere di vista l’altro ragazzo, quello dai capelli più scuri. Un colpo alla gamba destra la fece piegare su se stessa e poi un altro ancora con quello che identificò solo dopo come un tridente, i suoi muscoli cedettero alle molteplici ferite e si ritrovò in ginocchio con le mani sulla sabbia per sorreggere il proprio peso. Skylar sollevò gli occhi verdognoli sullo sconosciuto, non voleva fargli del male, ma ecco che la sua mente veniva di nuovo sopraffatta dall’oscurità. L’ennesima distrazione che le costò un colpo mal calcolato al collo e un grido disumano lasciò la sua bocca, era così forte da aver azzittito il coro demoniaco che non li aveva mai abbandonati per un momento durante quella lotta. ’La gloria eterna non va ai deboli, che la morte ti accolga.” quelle parole fecero scattare qualcosa nell’anima antica che possedeva il suo corpo, sollevò una mano e con essa guidò la gravità sua schiava a far prigioniero quel maledetto ragazzo. Lo sospingeva verso il cielo dapprima piano e poi sempre più velocemente fino a fargli incontrare con la schiena le travi che delimitavano l’area di combattimento. Voleva che la sua carne venisse trapassata come la sua, che provasse lo stesso dolore lancinante che la bloccava a terra, non riusciva ad alzarsi e quel tridente infilato nel collo era la sua condanna. Mentre lo osservava dal basso provava una latente soddisfazione nel vederlo soffrire, voleva spingerlo più a fondo e ucciderlo, ma il suo corpo era provato. Sentiva il sangue scendere dal collo e bagnarle le spalle infilandosi fin dentro l’armatura, lambendole il seno e trovando un impedimento nel reggiseno completamente impregnato. Strinse i denti e fu costretta a rilasciare il ragazzo non più in grado di controllare la curvatura della gravità, la mollò tutto d’un colpo al punto che si sentì un frastuono ancora prima che il corpo del giovane fracassasse al suolo. Skylar non riusciva più a vedere bene la realtà, il mondo si sfocava lentamente, si voltò alla sua sinistra alla ricerca di qualcuno, ma chi? Il sapore della sabbia sulla lingua, solo un flash prima che divenisse tutto buio: Hikaru era in piedi grondante di sangue, i suoi lineamenti erano distorti, forse era un sogno.
    ’Quando la morte incrocia il vostro cammino diventate cenere oppure risorgete dalle vostre ceneri.’

    Edited by Aruna Divya - 16/5/2020, 23:02
     
    .
  6.     +8   +1   -1
     
    .
    Avatar

    The Fourteenth of the Hill.

    Group
    Cittadini
    Posts
    10,037
    Reputation
    +355
    Location
    The Matrix.

    Status
    Offline

    Eddie Noah O'Moore
    ❝26 y.o. , clumsy reporter, lovely young man, venom / sheet


    I look inside myself and see my heart is black
    I see my red door, I must have it painted black



    Quella situazione stava diventando un vero e proprio problema.
    Eddie aveva creduto, sulle prime, di essere incappato in qualche spora presente nella foresta: magari dei funghi o delle piante che avevano allucinato lui e tutti i presenti, infestando l'area in evidente abbandono.
    Dopotutto, che altro sarebbe potuto essere?
    Che fosse qualche individuo con delle peculiarità diverse e ben più inquietanti delle proprie? Magari una di quelle bambine dei film dell'orrore, con un vestitino carino ed una coppia di trecce, in grado di controllare le percezioni altrui per giocare?
    E poi, diavolo, dove si trovava Mr. Winston?
    Eddie espirò rumorosamente, frustrato dalla situazione, dalla sua incapacità di gestire il timore e l'agitazione che aveva cominciato a farsi avanti e dal fatto che sempre egli fosse una specie di magnete per qualsiasi disastro avesse deciso di tormentare quelle terre.
    «Perchè devi essere così Eddie? Perchè? Mrs. Jankins mi ucciderà..» mormorò in un sussurro depresso mentre camminava fra il fogliame con entrambe le mani affondate fra gli scompigliati capelli bruni. Era vestito con quella nuova armatura che gli andava un po' larga e la sua attitudine viaggiava su un treno di disfatta e preoccupazione da accorgersi quasi per nulla degli altri sciagurati che stavano condividendo con lui quel destino.
    Erano tanti, molti più di quanti sarebbero potuti incespicare casualmente nel luogo e se Ed fosse stato meno coinvolto nella sua testa, agitato come un cervo in procinto di essere ammazzato da un lupo, forse avrebbe anche potuto mettere in moto quel brillante cervello che si ritrovava.
    Continuando a borbottare come una caffettiera, non si rese conto che i suoi compagni avevano cominciato a manifestare la medesima agitazione, gravitando in un fragile stato di tensione che stava spingendo verso qualcosa.
    Era come se quel luogo non solo li avesse attirati lì come il canto di un'infida sirena ma stesse anche giocando con loro, letteralmente.
    Li aveva vestiti a piacimento, intrappolati, condotti esattamente dove voleva.
    Qualcosa suggerì al ragazzo che tutti loro, da bravi idioti, fossero caduti nella tela di un ragno troppo grosso da sconfiggere in solitaria.
    Le torce guizzanti nell'arena si accesero scoppiettanti ed una, la principale, brillò fulgida come una danzatrice sensuale, vicina e splendente a sufficienza da indurre Ed ad assottigliare lo sguardo sveglio ed esasperato per cercare di scorgere oltre essa, dall'altro lato.
    Con gli occhi scuri increspati da quella vista, egli infatti riuscì a carpire altro muoversi oltre la fiamma languida: creature, nere e mostruose, spettrali e scure come notte, sedute ed aizzanti quella tensione che sentiva continuare a crescergli dentro.
    «Non va bene per niente» bofonchiò fra sé, staccando finalmente le mani dai capelli oramai ridotti ad un nido indistinto.
    La torcia esplose in una pioggia di saettanti, piccoli dardi fruscianti che si infransero contro ognuno di loro ed Eddie si rannicchiò appena, preparandosi ad un impatto con un gridolino del tutto incapace di uscire dalla sua bocca in una situazione di normalità.
    «Attenti!» accennò Eddie ai giovani a lui più vicini, nella speranza che questi si mettessero in salvo in un impeto altruista che aveva sempre fatto parte della sua natura più pura e luminosa.
    Nulla accadde, però, nulla se non un mescolamento vagamente diverso dei presenti che, pur di evitare d'essere colpiti o spinti dall'istinto di avvicinarsi ai loro cari con cui si erano recati a passeggio in quell'allegro teatro antico, si scambiarono di posto o voltarono verso una determinata direzione.
    «Oh..OH! PORCA MISERIA!» si sgolò Eddie quando sentì la terra tremare così intensamente sotto i piedi da fargli quasi perdere l'equilibrio, spaccandosi come vene sporgenti nel terreno che parve pulsare per inghiottirli nelle sue viscere.
    La testa gli girò dopo quei tremori, attanagliata da una vertigine improvvisa e, condita a quella sgradevole sensazione una nuova cominciò ad amoreggiare con lui: era violenza, una sete di sangue, di brutalità del tutto incompatibile col suo animo (specialmente quando era ancora in sé, come in quel momento e l'altro se ne stava silente in un angolo della sua mente).
    Così gli occhi di Ed, adesso tinti da una inquietante scintilla predatrice (e man mano sempre più incuranti delle sbarre che avevano diviso i partecipanti in tre gruppi distinti) si diressero lenti verso i due individui che avrebbero ballato con lui quel giorno: una ragazza dai folti capelli castani, i lineamenti affilati e gentili, lo sguardo intenso ed un giovane dall'aspetto un po' insicuro (esattamente come lo era stato lui sino a poco prima) ed i lineamenti armonici tanto da sembrargli quasi una creatura del bosco.
    Le dita del ragazzo ebbero uno spasmo istintivo e si ritrovò con una coppia di pugnali (uno per mano), stretti come se qualcuno glieli avesse piazzati a forza contro i palmi.
    Stranezza volle che Eddie si fosse ritrovato ad amare quella sensazione, mettendosi nei panni del suo doppio quando la sua personalità mutava, ombrosa.
    Era diventato quasi come l’Altro senza però rinunciare alla sua anima di sempre.
    L'arma, come prolungamento della sua stessa mano, fremeva sotto di sé. Voleva usarla, voleva dilaniare, imbrattare di sangue l'intera superficie senza sosta, senza tregua.
    Con un grido belluino, Eddie non trattenne più quel desiderio rampante e si buttò contro i suoi due contendenti (prigionieri e vittime insieme a lui), gettandosi in una mischia che avrebbe potuto anche ucciderli.
    Dopotutto Ed era stato colui per cui quegli spettri stavano tifando roboanti, era lui che avrebbero voluto veder trionfare. Quasi poteva sentirli urlare il suo nome, incitarlo e venerarlo come un dio pronto a compiere l'ennesima impresa: schiacciare dei mortali intenti solo ad infastidirlo.
    Si sentì pervaso da un vigore bellico che lo rese più agile, più concentrato, più forte e più in coscienza dei suoi poteri da sempre problematici per lui da gestire.
    Svelto, Eddie riuscì (inaspettatamente dal solito) a prevedere perfettamente dove la giovane Coco si sarebbe mossa: schivò ogni sua parata, affondando più volte le sue lame argentee nella carne lattea di lei, tagliandole i fianchi e schiena come se fosse stata niente più che un insetto a suo confronto.
    Un fiore che avrebbe voluto recidere velocemente, preciso per passare al suo secondo opponente.
    Il ragazzo, motivato, spinto da un selvaggio istinto di sopravvivenza ma anche sopraffatto da quella inumana sete di sangue, si era concentrato così tanto sulla giovane donna che turbinava con i suoi folti e capelli bruni, col corpo tonico fasciato nella sua armatura di pelle mentre mulinava la sua rete, da non accorgersi minimamente dell'avanzata inquietante di Jungkook. Quest'ultimo, sottile e svelto, mutò in una creatura che Ed non aveva mai visto e che, senza esitazione, gli affondò le fauci in una spalla dopo averlo colpito all'addome con la sua spada corta.
    Eddie gemette d'ira, dolore e sorpresa, incassando i colpi mentre tentava di scollarsi quella creatura di dosso, furibondo per non aver calcolato quella possibilità in modo così brillante come aveva fatto sino a qualche attimo prima.
    Prima, Eddie aveva calcolato opportunità differenti: aveva creduto che Jungkook fosse il più debole dei due e si era avventato, orgoglioso, contro la creatura che aveva ritenuto più forte.
    Poi egli era mutato e le carte in tavola si erano nuovamente mescolate, così anche la brutalità di Ed si dovette adattare: lo colpì ovunque avesse potuto, ringhiando come un animale, sino a quando non riuscì a trapassarlo dritto in un occhio, affondando la lama nel suo cranio così in profondità da lasciarla incastrata lì.
    Ad aiutarlo in quell'impresa omicida, però, fu niente meno che la giovane donna ch'egli aveva pugnalato poco prima. Questa infatti aveva catturato ed indebolito il ragazzo nel suo reziario così da ostacolare ogni genere di movimento, facilitando la probabilità che Ed potesse finalmente ammazzarlo.
    «ADESSO NON SCHIOCCHI PIU' EH? MALEDETTO!» tuonò Ed soddisfatto, sputando sangue sul terreno dopo quelle colluttazioni inevitabili, mentre una mano corse al suo addome ferito e sanguinante ancora poco dolorante a causa dell'adrenalina che scorreva intensa nel suo corpo.
    Sorrise divertito, orgoglioso, maschera di sorpresa quando notò che, di fatto, Jungkook non era affatto morto come egli aveva pensato.
    Aggrottò le sopracciglia, colto da un momento di puro disgusto ed orrore, quando finì per accasciarsi al suolo, colpito da un tocco fresco sulla nuca. Gli stringeva il collo e lo provava, lo sfiniva.
    Eddie arrancò sino ad abbattersi al terreno, gli occhi scuri spalancati per la sorpresa di quell'attacco infame.
    La sua vista si annebbiò pericolosamente e lui, resiliente ed inarrestabile, tentò di puntellarsi su un gomito mentre strisciava sulla terra pregna di sangue.
    «No..» soffiò contro il pavimento, premendovi la fronte sudata per tentare di farsi disperatamente leva.
    Non sarebbe potuta finire così, sconfitto da una morsa quasi soporifera. No...
    E proprio mentre sentiva la coscienza abbandonarlo, una specie di onda d'urto pervase lo spazio circostante in un raggio velocissimo, tale da indurre il caso, i dadi del destino che lui non era mai riuscito a controllare bene come in quel momento a tirarsi, a rimescolare le carte in tavola una nuova volta.
    L'esplosione di energia partì da Ed come un'onda e si propagò per l'intera Arena, inducendo il caso a spingere tutti i partecipanti verso nuove direzioni.
    Il caso (che fossero stati inciampi, una folata di vento, una fiaccola caduta per destino) spinse Jungkook verso Joon, Lukasz verso Nora, Hikaru nella direzione di Skylar, Roy verso Calypso ed Helen in corrispondenza di Eddie.
    Tutti i combattenti si avvicinarono nuovamente allo stadio iniziale che li aveva visti giungere insieme (o quasi, nel caso di Ed), nonostante le sbarre fossero ancora lì, acuminate e letali, segno che quella prigionia non era ancora finita.
     
    .
  7.     +7   +1   -1
     
    .
    Avatar

    ~ Crazy as the life ~

    Group
    Member
    Posts
    380
    Reputation
    +207

    Status
    Offline
    Paura. Era quello, che Helen stava provando in quel momento. La paura nella sua vita era sempre stata un’amica, fin da quando aveva messo piede a Besaid e aveva scoperto il suo potere, che l’aveva allontanata dalle persone. Le aveva fatto compagnia, in ogni istante di quell’anno assurdo, non facendole perdere lucidità. In quel momento però...quella paura non era dalla sua parte e piano piano si sarebbe trasformata in un attacco di panico, che lei tanto conosceva bene.
    Morte. Si respirava morte tutto intorno a lei e alle altre persone in cerchio. Le figure negli spalti, urlavano i loro nomi, gridavano come se non ci fosse un domani con i pugni alzati, a incitare la guerra che stava per arrivare. Sapeva o almeno sentiva dentro di sé, che non era un’arena qualsiasi e che le persone lì dentro, compresa lei, avrebbero dovuto combattere per non morire. La morte l’aveva sempre spaventata, il non sapere che cosa sarebbe successo dopo, se ci fosse davvero stato qualcosa o erano solo parole.
    Sapeva però, che non voleva morire e soprattutto così.
    Poteva essere un sogno, un incubo a occhi aperti così brutto da sembrare reale, se si fosse pizzicata una guancia era sicura, che si sarebbe svegliata in un bagno di sudore nella sua stanza al B&B e si sarebbe fatta forse una risata amara, scendendo per fare colazione con Archer e iniziare un’altra giornata. Lo fece, ma come si era aspettata sentì solo dolore, quel dolore, che le ricordò che era tutto reale.
    La fiaccola, che era in mezzo a loro iniziò all’improvviso a ingrandirsi e a espandersi sempre di più. Fece un passo indietro, come per paura che l’avesse potuta bruciare.
    Ma dove sono capitata! pensò, ad alta voce tra se e se.
    Esplose in modo silenzioso e quasi doloroso agli occhi e sentì all’improvviso dentro di sé, una nuova consapevolezza. Si sentiva arrabbiata, determinata e desiderosa di uccidere. Non sapeva perché, ma all’improvviso le voci sugli spalti, che prima erano tanto fastidiose, ora le stavano dando carica. Sentì un potere nuovo dentro di lei, come se avesse potuto fare qualsiasi cosa, tutto senza limiti. Il terreno tremò e in mezzo a loro dalla sabbia s'innalzarono pareti di ferro appuntite, una rete d'acciaio, che li divise in tre gruppi. Lei era capitata con altre tre persone, due ragazzi e una ragazza.
    Ma che? Stiamo scherzando spero disse guardandosi intorno e ammirando le pareti, che si erano erette intorno a loro, facendo capire che erano in trappola.
    Helen non conosceva nessuno lì, alcuni li aveva visti di sfuggita per le strade della cittadina, ma non aveva un rapporto stretto con loro. Non avrebbe avuto problemi a combattere contro di loro, anche se non era da lei e le mani sporche di sangue, non avrebbe voluto macchiarsele.
    Uccidi. Dentro di lei una voce, come un sussurro iniziò a insinuarsi nella sua mente, e lei sorrise quasi in modo istintivo e malvagio. Il suo sguardo era cambiato, il suo obbiettivo ora era diverso. Si ritrovò due pesi nelle mani, se le guardò e scoprì di avere ora delle armi, come tutti gli altri nell’arena. Due pugnali corti, erano leggeri e perfetti per la sua impugnatura. Se li rigirò tra le mani, guardando il suo riflesso su di essi e non si riconobbe. Tutto intorno a lei sembrò fermarsi per un istante, anche le voci si erano fatte silenziose e strinse i pugnali, la guerra era iniziata e lei avrebbe combattuto fino alla fine.
    Nora la ragazza, che era nel suo stesso gruppo era immobile, si stava concentrando per fare qualcosa, ma non sapeva bene cosa. Poi quasi al rallentatore, vide i macchinari dell’arena esplodere e nonostante Helen e gli altri cercarono di evitarli scappando, li colpirono in pieno. Alcuni pezzi le si conficcarono nella carne e altri le graffiarono il volto. Il dolore era forte, bruciavano ovunque, cerco di togliersi un pezzo nel braccio urlando di dolore e si alzò da terra. La rabbia stava aumentando dentro di lei, una rabbia ceca e una voglia di vendetta, di morte.
    Vedeva il suo sangue nelle ferite e pensò: anche lei dovrebbe averne un pensiero meschino e crudele, voleva farle del male e non era da lei.
    Che cosa stai dicendo Helen, questa non sei tu! Svegliati ma le sue parole erano lontane, la Helen buona e altruista aveva dato spazio a quella malvagia e senza pudore.
    Uccidi. Ancora quella voce nella testa, come un richiamo a tornare in lei, la guerriera assassina, che doveva essere.
    Corse verso Nora ancora ferma sul posto e la toccò istintivamente, erano pelle contro pelle, quel contatto che per molto aveva cercato di evitare con chiunque, sapeva benissimo che cosa fare ora.
    Non puoi scappare dai tuoi ricordi maledetta disse, in modo disprezzante e usò il suo potere alla massima potenza. Innescò in lei dei ricordi remoti, li distorse in modo terrificante facendole salire il panico. Allora il suo potere poteva davvero servire a qualcosa in fin dei conti, i ricordi erano la parte più importante delle persone e lei ci avrebbe giocato, facendolo diventare un suo vantaggio. Lei si divincolò all’improvviso e se ne andò a sfoderare la sua rabbia su qualcun’altro. Helen nel frattempo insieme a Hikaru un ragazzo, che non aveva mai visto, iniziò a combattere contro Joon, l’altro ragazzo coreano. Cercò di infilzarlo come poteva con i suoi pugnali, ma quest’ultimo li schivò, come se potesse prevedere le sue mosse e questo provocò in Helen ancora di più una forte rabbia. Si avvicinò a lui con una rabbia ceca, volendolo ferire gravemente, era quella la sua unica missione, come se non ci fosse altro di più bello e importante al mondo.
    Non farlo una voce, una voce buona e giusta le giunse alle orecchie, ma non se ne curò, sorridendo ancora di più.
    Helen, Helen, Helen sentì negli spalti il suo nome, urla di incitamento, volevano che si macchiasse di sangue e lo avrebbe fatto.
    Ti ucciderò, a qualunque costo disse alzando la mano con il pugnale, ma non aveva previsto, che anche lui era armato e questo le costò caro. Joon la colpì con la sua lancia sul fianco destro, provocandole un lungo e profondo taglio. Urlò. Urlò al cielo il suo dolore lancinante. La sua armatura era sporca di sangue ora e piena di sabbia e rovinata. Era il segno, che era stata una brava combattente, ma che era stata anche sorpresa e sconfitta più volte. Con la mano libera si toccò il fianco e si ritrovò la mano piena di sangue, il suo. Era a terra, con una mano sulla sabbia dell’arena e guardò il suo taglio, faceva male, ma una forza dentro di lei la costrinse e la spinse ad alzarsi.
    Non pensare, che sia finita, non mi arrenderò mai disse ora urlando al cielo le sue parole e a Joon, che era davanti a lei, con il suo stesso sguardo di sfida e morte.
    Si avventò su di lui e lo toccò, gli distorse i ricordi e sorrise nel vedere il suo volto tramutare, in sicuro di sé a spaventato e tormentato. Ne approfittò subito pugnalandolo al polpaccio sinistro, facendogli un lungo taglio orizzontale. Il sangue sgorgò da quella ferita e Helen ne fu entusiasta. Che cos’hai fatto!? ancora la voce della Helen cosciente e buona la invase.
    Smettila! Devo uccidere, è il mio compito disse a se stessa, come se ci fossero due Helen ora dentro di lei.
    Hikaru, che fino a quel momento era stato impegnato ad avventarsi con il suo reziario su gli altri, ora era di fronte a lei e nonostante Helen fosse ferita e dolorante, non ebbe paura.
    Cosa pensi di fare con quella rete? Mi dovresti fare paura? disse ridendo divertita e si avventò su di lui, che stava cercando di catturarla. Il suo reziario la catturò e per difendersi Helen lo pugnalò più volte in tutto il corpo, non importava dove, bastava ferirlo e fargli male, più lo faceva e più dentro di lei si sentiva bene.
    Lui però sembrava non sentire dolore, non gli stava facendo nulla e questo provocò in lei ancora più rabbia e desiderio di morte.
    Uccidi.
    Era in trappola, dentro il reziario del suo nemico e nonostante cercò di divincolarsi per uscire, questo le provocò solo abrasioni in tutto il corpo. Bruciavano da morire e urlò affondando le mani nella sabbia, cercando di non soccombere.
    Non può finire così! Devo... non finì la frase, che le morì in gola. Strinse i pugni sulla sabbia, era a terra e non sarebbe riuscita a uscire, era dolorante e non vedeva via di fuga davanti a se.
    La rabbia la stava logorando piano piano dentro di sé e sentì all’improvviso un potere fortissimo crescere dentro di lei, si sentiva esplodere di potere, era fuori controllo e tutto quello che le era capitato non aveva aiutato.
    Urlò e creò involontariamente un’onda psichica, che andò a riversarsi su tutti i membri dentro l’arena. Era esausta, ma sorrise debolmente, contro la sabbia dell’arena a terra.
    Ho vinto io disse a nessuno in particolare, ma aveva fatto una cosa tremenda e questo la compiacque molto.
    Aveva cancellato a tutti i membri dell’arena -momentaneamente- i ricordi e i legami, che avevano a che fare con gli altri membri. Ora tutti erano dei perfetti sconosciuti. Era bello pensare, che se ci fossero state coppie, fratelli, amici stretti, ora non si sarebbero più neanche riconosciuti. Erano tutti come lei, erano al suo pari adesso.
    Scacco matto.
     
    .
  8.     +9   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Sindaco
    Posts
    82
    Reputation
    +513

    Status
    Anonymes!
    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: immagini disturbanti (gore), violente o contenuti sensibili (ferite, percosse, pestaggi e simili).
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


    Filn
    Il caso e la mente sono ciò che governa le nostre vite. La memoria guida la nostra ratio, ci spinge a comportarci in maniera diversa in base a ciò che le nostre esperienze pregresse ci hanno insegnato. Il caso mescola le carte, mette in gioco variabili che non avevamo mai considerato, ci spinge ad evolverci. Nemmeno l’arena è esente da questo. Destabilizzato dalle particolarità di Helen e Eddie, lo scenario cambia, in un modo che nemmeno i suoi antichi ideatori avevano considerato. Di nuovo la fiamma torna a divampare più alta, e a colpire gli sventurati giocatori di quella partita. Non sono sazi, gli spettri, del tributo di sangue appena versato. Così, quel fuoco che non brucia, lenisce le ferite di coloro che sono già caduti, li spinge a rialzarsi, a combattere. Per la gloria, per coloro che inneggiano al loro nome, per compiacere quegli dei dimenticati col loro sacrificio. Onore e gloria spetta a quei nomi. Sangue e sabbia, ai loro corpi.
    La recinzioni si abbassano, inghiottite dalla sabbia. Il caso riporta tutto alla situazione iniziale, più o meno. Sono vicini i corpi, ma non le anime. Ognuno ritrova la propria metà, colui o colei con cui è giunto in quel mattatoio, ma non lo vede. O forse sì? Ecco un’altra variabile introdotta dal caso, una di quelle che si pongono in contrasto persino con la ratio, che ci spingono a dimenticare o ricordare qualcosa. La particolarità di Coco ha interferito con quella di Helen, ponendosi avanti ad essa in maniera del tutto inconsapevole, e fungendo da ostacolo per alcuni bersagli. A non tutti, quindi, è concesso dimenticare. Non tutti possono essere gli dei dell’arena. Ci saranno vincitori e vinti, in quella battaglia, è la legge del più forte.

    C’è una storia che si è persa nella memoria, una che nessuno ha mai scritto, che affonda le radici nel tempo in cui i vichinghi lambivano le coste Norvegesi e partivano alla conquista di nuovi territori da razziare. E’ la storia di Porunn e Innar, i cui corpi giacciono insieme ora, in fondo al mare. Due guerrieri, nati per le armi e per le armi periti, caduti in un giorno d’autunno proprio su quella costa, quando gli invasori divennero invasi. Combattè, Innar, fin quando non scorse l’amata cadere in mezzo alla calca. Corse da lei, incurante dei colpi d’ascia, invasato dalla furia cieca che l’aveva pervaso. “Porto con me dieci nemici” -aveva detto lei, prima di chiudere gli occhi per avviarsi nel Valhalla. “Ne avrai altri cento al tuo cospetto, e al cospetto di Odino”. Aveva risposto lui, stringendola a sè. Non rispettò quel giuramento, Innar, che poco dopo cadde su quel campo arido. La loro storia si perse nel tempo, così come quella loro promessa. Ma le promesse dei Besaidiani, a volte, possono vincere anche il tempo. Non si scappa da una promessa fatta agli dei. Sono loro, ora, che controllano il caso e la memoria, i loro spiriti a muovere gli arti e i pensieri di Eddie e Helen, che nulla possono contro quell’amore che ha attraversato il tempo. Che nulla possono contro la violenza che tanto ha aspettato per trovare soddisfazione. E’ quello il tempo di risorgere, di rispettare la promessa. E’ quello il tempo di offrire il loro tributo a Freya, Loki, a Thor e Odino.
    Morte, vita, sono confini labili ora. E l’amore, che tutto vince e piega alla sua forza? Quello esiste, ma non in una forma abbastanza completa da poter essere scisso dalla cieca e sanguinaria furia che ancora pervade l’arena. E’ questo che l’ha riesumata dal bosco, questo che la tiene in vita. Un odio talmente forte da sopravvivere al tempo e allo spazio. Gridano ancora, i fortunati spettatori di quel sacrificio, inneggiano a dei dimenticati e ai loro eroi sul campo, aizzano persone che si amano l'una contro l'altra. Col loro canto, ora, aprono le porte del Valhalla a nuovi sfortunati amanti, ad amici, a nuovi Innar e Porunn. E distruggendo l'amore infine, distruggeranno le basi del mondo che fino ad ora abbiamo conosciuto.

    #indicazioni:
    -- Nel vostro terzo ed ultimo post dovrete descrivere come i vostri personaggi reagiscono al cambio nell’ambiente dell’arena e nelle loro emozioni ora che sono costretti a combattere contro il loro partner / la loro partner.
    -- E’ fondamentale ed obbligatorio che leggiate le indicazioni fornite qui di seguito; esse vi forniranno le linee guida che dovrete seguire per indagare le condizioni psico-fisiche dei vostri pg.
    -- Infine, vi ricordiamo che avete la possibilità di postare entro 4 giorni massimo, dopodiché salterete il turno.

    #ambiente:
    -- Come descritto nel masterpost, le recinzioni vengono riassorbite nel terreno, tuttavia ne spunteranno altre, più basse, che delimiteranno gli spazi delle coppie.
    -- Come nel primo e secondo turno, gli spalti sono pieni di mostruosi ed effimeri spettatori, pronti ad incitarvi alla violenza. Troverete forza nelle loro grida e nel loro tifo.
    -- Nulla cambia oltre all’aggiunta delle recinzioni.
    -- I gruppi in cui i giocatori sono stati divisi ritornano ai loro accoppiamenti originali, tranne che per Eddie ed Helen che ora sono insieme:
    1. Helen - Eddie
    2. Jungkook - Joon
    3. Roy - Coco
    4. Nora - Lukasz
    5. Hikaru - Skylar
    Nb: I personaggi possono vedere chiaramente ogni elemento.

    #abbigliamento:
    -- La presenza di armi e armatura perdura. Le armi sono le medesime del turno precedente.
    Ecco a voi un recap:
    ◊ Helen ed Eddie - due pugnali, uno in ogni mano.
    ◊ Joon e Skylar - una lunga lancia
    ◊ Hikaru e Coco - un reziario (una rete usata prevalentemente dai gladiatori nell’antica Roma)
    ◊ Nora e Lukasz - un tridente
    ◊ Jungkook e Roy - un gladio
    -- Gli abiti e le armature saranno lacerati dalle ferite ricevute nello scorso turno.
    -- Le armi e le armature spariranno non appena lo farà anche l’arena.

    #azioni:
    -- Grazie ad eventi casuali da voi scelti, attraverso il potere di Eddie i giocatori / le giocatrici si riuniranno ai loro / le loro partner.
    -- Le recinzioni vengono riassorbite dal terreno, e poi rispunteranno, più basse, attorno alle coppie ora suddivise singolarmente.
    -- L’istinto omicida non si è placato, eppure si intreccia alla consapevolezza di avere vicino il proprio compagno / la propria compagna.
    -- Helen scatena il suo potere su tutti voi, tuttavia non appena ne avverte l’effetto, anche Coco disimbriglia la propria particolarità, e coloro che perdono i ricordi del proprio compagno / la propria compagna sono:
    Jungkook, Hikaru, Nora, Coco.
    -- I personaggi, in parte colti da amnesia, iniziano a combattere. L’istinto omicida perdura in tutti, ma in intensità diversa: coloro che devono lottare che conservano ancora i ricordi, saranno guidati da un’istinto più di difesa che di attacco. Gli altri, saranno accecati dalla collera.
    -- Helen e Eddie, posseduti dai guerrieri caduti, colpiscono brutalmente gli altri.
    -- Il combattimento termina nel momento in cui la fiaccola si riaccende, ed una scossa terribile di terremoto fa crollare l’intera arena, che attraverso una illusione colpirà i giocatori, scomparendo senza far loro ulteriore danno e lasciandoli da soli nel bosco.

    #azioni per coppia (è obbligatorio aprire lo spoiler)
 ~ Per le player di Eddie e Helen è fondamentale che leggiate tutto:
    Inizio Turno:
    - Jungkook:
    Le ferite riportate non scalfiscono la tua forma naturale, ma solo quella dello zombie, per questo prima di risollevarti, sfilerai il pugnale dall'occhio e ti rimetterai in piedi. Nel momento in cui Coco cerca di contrastare l'esplosione psichica di Helen, tornerai alla tua forma umana per qualche istante, un po' dolorante e alquanto spaesato. Inoltre, dopo esserti riappropriato della tua forma fisica, verrai colpito quasi subito dall'ondata del potere di Coco e dimenticherai chi conosci ed è presente insieme a te nell'arena.

    - Joon:
    La profonda ferita sul fianco inflitta da Nora si rimarginerà quasi del tutto e, ritrovandoti nelle vicinanze di Jungkook, dovrai fare i conti con il fatto che l'altro sarà vigile e cosciente per un solo brevissimo istante, appena prima di perderlo di nuovo. Il potere usato da Helen sui tuoi ricordi durante la lotta precedente continuerà in qualche modo a far effetto, riportando a galla sensazioni spiacevoli.

    - Nora:
    Il panico provocato dalla modifica dei ricordi che precedentemente Helen ha inflitto su di te, sarà ancora presente, soprattutto ora che la lotta sembra essersi fermata. Le ferite inflitte da Hikaru mentre eri sotto il suo reziario resteranno (abrasioni e ferite alle ginocchia), mentre il foro provocato dalla lancia di Joon si rimarginerà quasi completamente.
    Tu, Nora, verrai colpita dal potere di Coco e dimenticherai chi ti circonda e i ricordi legati ad essi. Lo spirito da guerriera ti guiderà ad iniziare la lotta contro Lucasz per prima.

    - Lukasz:
    Sei stanco, il corpo risente molto delle ferite che, lentamente, riprendono a chiudersi. Le ustioni provocate da Roy sui tuoi occhi resteranno seppur in lieve forma. Il foro creatosi da una delle sbarre appuntite della recinzione si rimarginerà, lasciando però una ferita appena profonda da entrambi i lati, dovrai fare attenzione che questa non si riapra.

    - Coco:
    Il morso di Jungkook si rimarginerà completamente, ed il tuo avambraccio tornerà intatto, mentre la ferita alla gamba causata dal gladio non si rimarginerà del tutto, tornando allo stato di taglio superficiale. I tagli inferti da Eddie invece si ridurranno in numero: alcune delle pugnalate sulla schiena e sui fianchi si rimargineranno, ed il taglio sulla guancia però rimarrà intatto. Una volta colpita dalla particolarità di Helen, il tuo potere reagirà di conseguenza, liberandosi in un’onda che lo contrasterà, facendo in modo che solo alcuni lottatori saranno privati dei ricordi - li perderai anche tu, ma solo dopo che avrai avuto lo scatto d’energia nel tuo potere, dunque per tutto quel tempo riconoscerai Roy. Una volta terminato di riversarsi all’esterno, il tuo potere rientrerà in te in tutta la sua forza, cedendo alla possessione della guerriera fantasma.

    - Roy:
    Sei scosso ed arrabbiato, ma finalmente riesci a ricongiungerti a Coco, che purtroppo però non ti riconosce. Non lo capisci immediatamente, ma le sue reazioni ti fanno intuire che lei non sa chi tu sia. Inoltre, la ferita che Lukasz ha inferto sul tuo petto si rimargina quasi del tutto, e nonostante anche quella che Skylar ti ha lasciato nel costato migliorerà, essa non si rimarginerà sino a sparire. I colpi dovuti alla sua particolarità restano su di te, rendendoti dolorante ma scattante. L’uso dei tuoi poteri invece, se prima ti causavano stanchezza e ti provavano nel fisico, ora non avrà alcun effetto negativo.

    - Hikaru:
    Nonostante pezzi del velarium e dei suoi macchinari siano caduti su di te, non vi sarà più traccia dell’accaduto: le ferite si sono rimarginate del tutto, non ci sono segni, ematomi, né lividi. La ferita inferta dal tridente tra le scapole invece sarà rimarginata solo parzialmente - non è profonda come prima. Le coltellate di Helen invece si rimargineranno quasi del tutto, e non appena sarai vicino a Skylar la osserverai confuso: i poteri dell’avversaria hanno rimosso istantaneamente tutti i ricordi che hai di lei. Ora, è solo una guerriera da abbattere.

    - Skylar:
    Le ferite che Lukasz ti ha inferto sulle gambe scompariranno, quella al collo invece si rimarginerà solo in parte. Le ustioni di Roy sui fianchi invece, da essere gravi diverranno sopportabili, e il taglio all’addome sparirà definitivamente. Riavrai le tue forze quasi completamente, ed il risanamento dei danni dovuti ai tuoi avversari placherà per qualche minuto anche la tua rabbia. Hikaru è di nuovo con te, tuttavia qualcosa non va, lui non si ricorda chi tu sia.

    - Helen:
    L’ondata riversatasi fuori da te viene contrastata da quella di Coco, che ne ridurrà gli effetti, ed ora che ti trovi vicino ad Eddie, lo spirito guerriero che ti aveva indotta ad uno stato di collera omicida prenderà completamente il sopravvento. Tu sei Porunn, la guerriera caduta in battaglia che cerca vendetta assieme al suo innamorato. Lo riconosci come tale, sarete uniti nel nome della guerra e cambierai forma, diventando uno spettro tu stessa. Il tuo aspetto fisico sarà il medesimo, ma assieme ad Eddie sarai capace di spostarti di recinzione in recinzione, attraversandole senza ferirti (come un fantasma) ed assieme a lui inizierai a distruggere tutti gli altri oppositori, desiderosa di portare alla rovina tutti coloro che hanno spezzato la tua vita e quella del tuo amato.

    - Eddie:
    L’ondata riversatasi fuori da te ha riportato ognuno al proprio rispettivo partner/alla propria rispettiva partner, ed inconsapevolmente, la probabilità ha graziato anche te. Ora che ti trovi vicino ad Helen, lo spirito guerriero che ti aveva indotta ad uno stato di collera omicida prenderà completamente il sopravvento. Tu sei Innar, il guerriero caduto in battaglia che cerca vendetta assieme alla sua innamorata. La riconosci come tale, sarete uniti nel nome della guerra e cambierai forma, diventando uno spettro tu stesso. Il tuo aspetto fisico sarà il medesimo, ma assieme ad Helen sarai capace di spostarti di recinzione in recinzione, attraversandole senza ferirti (come un fantasma) ed assieme a lei inizierai a distruggere tutti gli altri oppositori, desideroso di portare alla rovina tutti coloro che hanno spezzato la tua vita e quella della tua amata.

    Azioni/Combattimento:
    Eddie&Helen:
    Siete i potenti Porunn (Helen) e Innar (Eddie) e, finalmente riuniti, celebrate il vostro amore chiedendo vendetta: comincerete attraversando le recinzioni che dividono l'arena in cinque fette identiche. Con voi avete, oltre i pugnali, delle staffe di legno. Raggiungendo la fiaccola posta al centro esatto del campo di battaglia, lascerete che queste si accendano e prendano fuoco mentre, intorno a voi, l'ennesimo combattimento ha inizio.

    Joon&Jungkook:
    Una volta all'interno della vostra nuova recinzione, Jungkook avrà paura di Joon, non riconoscendolo. Questo lo porterà a sentirsi totalmente spaesato e a trasformarsi nuovamente. Sarà infatti lui ad attaccare per primo, maneggiando il gladio e combattendo contro Joon per spingerlo in fretta con le spalle contro la recinzione. In un momento di disattenzione quindi, Jungkook si avventerà contro Joon ferendolo più volte ad un braccio e ad un fianco. Joon riuscirà però a spostarsi, prevedendo uno dei movimenti di Jungkook, portandosi alle spalle dello zombie ed infilzandolo con la lancia. Lo incastrerà contro la recinzione, lasciando che la punta della propria arma trapassi il corpo di Jungkook andandosi ad incastrare fra le alte travi. In quella posizione, Joon dovrà fare attenzione allo zombie: potrebbe semplicemente fare qualche passo indietro per liberarsi e, in quel momento, Joon si troverebbe in svantaggio e senz'arma.
    Eddie&Helen: I primi che colpirete saranno Jungkook e Joon: Helen colpirà l'armatura di Joon con le fiamme, lasciando che le parti in tessuto di questa prendano fuoco a loro volta. Eddie, consapevole dello stato quasi invincibile in cui riversa Jungkook in quella forma disumana e sapendo di non poterlo effettivamente uccidere, provvederà ad aumentare la difficoltà andando a recidere le sue mani e lasciando che queste caschino nella sabbia, impedendogli quindi di afferrare la lancia e spingere su di essa per sfilarsela via.

    Nora&Lukasz:
    Possedete ancora entrambi la stessa arma: il tridente. Lo spazio si è fatto più piccolo, dal momento che l'arena è stata divisa in 5 parti. Vi girate intorno, poi Nora sferra la prima mossa, guidata dallo stesso coraggio e determinazione dello spirito guerriero che ancora la fa sua, soprattutto ora che non ricorda nulla del suo avversario e, un tempo, anche amico. Essendo Lucasz determinato a non ferirla ma esclusivamente a difendersi, la vostra lotta vedrà i due tridenti scontrarsi più e più volte senza un effettivo successo. Lukasz giocherà d'astuzia e si sacrificherà, lasciando che Nora si avvicini a lui andando a ferirlo sul fianco con il tridente, senza però trapassarlo da parte a parte. Sarà in quel momento che il ragazzo userà il proprio potere sull'arma di Nora, rendendola inutilizzabile, dovrà solo stare attento a colpire esclusivamente quella e a non ferire la ragazza, se vuole proteggerla.
    Eddie&Helen: Dopo che Lukasz ha distrutto il tridente di Nora, Eddie ed Helen s'intrometteranno fra di loro. Eddie bloccherà Lucasz tenendolo per le spalle e puntando il proprio pugnale nell'incavo tra la sua spalla e il collo, perforando leggermente la sua pelle e forzandolo a guardare il modo in cui Helen, subito dopo, andrà a pugnalare brutalmente Nora all'altezza dello stomaco, lasciandola cadere poi sul pavimento, ai piedi del ragazzo, quasi priva di sensi.

    Coco&Roy:
    Siete finalmente riuniti, e nonostante la paura ed il dolore, l’istinto omicida che ha sporcato ogni vostra azione si affievolirà in confronto al vostro legame, che però si incrinerà nuovamente: Coco contrasterà i poteri Helen, ma una volta fatto, verrà colpita da esso, perdendo i ricordi che la legano a Roy. Allora, si scaglierà sul ragazzo con l’obbiettivo di annientarlo, catturandolo nel suo reziario e trascinandolo di qualche metro, procurandogli delle abrasioni sulle parti del corpo scoperte dall’armatura. Roy non è ancora del tutto rinsavito, e volto a difendersi, con un secco colpo del gladio squarcerà il reziario e si libererà, proteggendosi dagli attacchi che anche a mani nude Coco cercherà di mettere a segno, approfittando della ferita nel costato non ancora rimarginatasi per colpirla con un pugno. Roy però non crollerà, restando faticosamente in piedi, e Coco, frustrata, si sposterà alle sue spalle, usando le corde del reziario per racchiudere il collo di Roy in una presa asfissiante, dalla quale non riuscirà a liberarsi. Lei però non lo vuole finire così. Lo vuole guardare negli occhi mentre perirà, e fronteggiandolo ancora una volta, lascerà cadere il reziario, posandogli le mani sulle guance per privarlo definitivamente di tutte le forze, nonostante la pelle di Roy sia incandescente.
    Eddie&Helen: Una volta raggiunti Roy e Coco, Eddie aiuterà Coco nel tentativo di soffocare Roy, posando poi la fiaccola sul reziario della ragazza e lasciando che questo prenda fuoco. Coco resisterà fino al momento in cui le fiamme raggiungeranno le sue mani, ustionandone lievemente la pelle dei palmi e, al contempo, in parte anche il collo di Roy. Quando Coco avrà lasciato andare la rete ormai in fiamme e Roy di conseguenza sarà ormai disteso per terra senza forze, Helen passerà la punta di uno dei suoi pugnali sulla pelle del petto di Roy, disegnando una X su di esso partendo da una spalla e giungendo fino all'ultima costola.

    Hikaru&Skylar:
    Hikaru da subito non riconosce Skylar, e racchiusi nella recinzione, dovranno entrambi lottare per sopravvivere. Nonostante lo sconforto, Skylar dovrà difendersi da Hikaru che la vorrà intrappolare nel suo reziario, ma lei, più veloce, schiverà il suo primo colpo, cercando di infilzare la rete con la sua lancia per strapparla dalle mani dell’amico. Nel farlo, il colpo sfiorerà il petto di Hikaru, che verrà perforato dalla punta della lancia, ma che non darà alcun problema al ragazzo, insensibile al dolore. Skylar però sa di averlo ferito, ed in un moto di stupore si distrarrà, permettendo ad Hikaru di liberare il reziario dall’incastro con la lancia e di imprigionare la ragazza, causandole varie ferite dovute al trascinamento. Per Skylar tuttavia non tutto è perduto, e nel tentativo di far ragionare Hikaru, ancora sotto il suo reziario utilizzerà la sua particolarità per bloccarlo a mezz’aria. Sarà una preda facile, e dunque Skylar dovrà compiere una scelta: indebolirsi fermandolo, oppure ucciderlo. Quale vincerà tra il suo istinto omicida ed i ricordi che invece lei conserva?
    Eddie&Helen: Giunti nella fetta di campo dominata da Hikaru e Skylar, Eddie girerà intorno al reziario sotto al quale è imprigionata Skylar, divertito dal modo in cui lei tiene il corpo di Hikaru per aria. Helen, approssimatasi a loro, avvicinerà la fiaccola al reziario e, partendo dalla zona in cui Sky tiene i piedi, darà fuoco alla corda. Distratta, Sky lascerà cadere l'avversario, causandogli una caduta precipitosa. Nel momento in cui Hikaru sta per sbattere la testa contro il terreno, Eddie poserà una mano sotto di essa per attutirne il colpo: nonostante questo, Hikaru si ritroverà contusioni sparse su tutto il corpo. In più, solo dopo essersi accertato che lui sia vigile, Eddie gli pianterà il pugnale in una gamba, mentre Sky sarà ancora intrappolata sotto il reziario, le fiamme che avanzano ustionando gran parte della sua pelle.


    #condizioni personaggi:
    -- Fisicamente, i personaggi sono provati dalle ferite che hanno subito nel turno precedente, eppure parte di esse sono guarite come da indicazioni. Nel seguito della lotta, e per mano di Porunn e Innar, ne subiranno altre, molto gravi. Per la fine di questo ultimo turno, avranno bisogno di cure mediche, e le loro particolarità si dissiperanno. Armatura ed armi, con la sparizione dell’arena, si dissolveranno anch’esse.
    -- Nel caso di Helen ed Eddie, la loro forma fisica diventerà quella di spettri in grado di superare le recinzioni ed essere invulnerabili. Tuttavia, quando l’arena si sgretolerà, cadranno svenuti, e saranno privi di sensi, riacquistando tutte le ferite subite nel secondo turno.
    Il recap, per le ferite di Eddie e Helen, è sotto spoiler:
    ◊ Helen: ~ Attraverso la sua particolarità, Nora farà esplodere dei macchinari che servono a regolare il velarium - alcuni pezzi di legno di rallenteranno nel scappare e ti colpiranno a bruciapelo provocandoti anche leggeri tagli sul volto.
    ~ Verrai colpita dalla lancia di Joon ad un fianco, che subirà un profondo taglio sul lato destro.
    ~ Dopodiché, nonostante i tuoi contrattacchi verrai catturata e trascinata dalla rete di Hikaru, il che ti provocherà numerose abrasioni sul corpo.
    ◊ Eddie: ~ Jungkook è comunque pressoché immortale nella sua condizione, e prima di cadere vittima della rete di Coco ti ferirà all'addome con il gladio, e ti morderà ad una spalla affondando i denti nella tua carne.
    ~ Ciò permetterà a Coco di avvicinarsi e di indebolirti notevolmente, tanto da farti quasi perdere i sensi.

    -- Psicologicamente, questo sarà un turno durissimo per i pg. All'inizio, conserveranno tutti l’istinto omicida che ha offuscato il loro giudizio, ma potranno riconoscere i loro cari. Questo, lo affievolirà una volta che torneranno insieme. Tuttavia, quando il potere di Helen - indebolito da quello di Coco - eliminerà in alcuni di loro tutti i ricordi che riguardano i loro partner / le loro partner, questi pg saranno nuovamente colpiti dalla furia dei guerrieri caduti. Lotteranno finché l’arena, soddisfatta del suo tributo di sangue, non crollerà in una illusione molto reale, ed in quel momento, i pg torneranno al loro stato originale, sia per quanto riguarda le particolarità, sia per le emozioni, alterate dall’evento ma non dall’istinto omicida.
    -- Nel caso di Helen ed Eddie, saranno completamente posseduti degli spiriti dei guerrieri. Tutte le loro emozioni sono assorbite dallo spirito di vendetta dei due innamorati, quindi percepiranno la loro devozione reciproca e il loro moto violento, e quando l’arena si dissolverà, loro torneranno normali, tuttavia ricorderanno tutto ciò che hanno commesso durante il turno.

    #turni: I partecipanti avranno a disposizione 4 giorni diversamente dai soliti 3 per postare la propria risposta, dato che ci rendiamo conto che rispetto agli altri turni questo sarà più corposo.
    Tuttavia, se voleste spezzare il post in due parti, concludendo questo nel momento del crollo dell'arena è possibile, poichè ci sarà un quarto turno opzionale di 1 mese a partire dal post dell'ultimo giocatore, nel caso voleste approfondire le dinamiche finali.
    Come sempre, se la risposta a questo turno non perverrà entro il tempo stabilito, salterete il turno per poi riprendere dal successivo. Il turno parte da domani 21.04.

    1. Helen
    2. Eddie
    3. Joon
    4. Jungkook
    5. Coco
    6. Roy
    7. Lukasz
    8. Nora
    9. Hikaru
    10. Skylar

    Qualsiasi dubbio o domanda riguardante la Quest potete porgerla in questo topic.

    Edited by ‹Alucard† - 20/4/2020, 22:38
     
    .
  9.     +9   +1   -1
     
    .
    Avatar

    ~ Crazy as the life ~

    Group
    Member
    Posts
    380
    Reputation
    +207

    Status
    Offline
    Aveva fatto una cosa orribile e sapeva, che la Helen buona, una volta finita tutta quella assurdità non si sarebbe mai data pace. I ricordi erano la trave portante della vita di tutti, senza di essi non si era nessuno e vagavi come uno spirito, nella speranza di possederne qualcuno e di essere amato. L’amore. Era proprio quella che Helen aveva tolto a molti nell’arena, i ricordi delle persone amate, di amici e tutto questo perché lei in realtà non ne aveva. Si sentiva sola e questo l’aveva portata, a far sentire soli anche gli altri. Era a terra ancora stretta nel reziario di Hikaru, ma lui non c’era più. Eddie, che ora si trovava di fianco a lei come per magia, aveva con un’onda rimescolato le carte. Ora tutti i partecipanti dentro all’arena, erano tornati alle coppie iniziali di quando erano arrivati. Si alzò, liberandosi dal reziario dolorante e piena di abrasioni, per poco prima. Si guardò attorno e la rabbia sembrò quasi affievolirsi, come se lei avesse potuto tornare normale e quell’incubo finire. Il terreno tremò di nuovo e le recinzioni di poco prima, che li dividevano in tre gruppi, svanirono sotto la sabbia. Forse era davvero finta, forse ci poteva essere una possibilità per tutti loro.
    Ma cosa stai dicendo! Non ci sarà mai fine era una voce dentro di lei, non sapeva se era la sua o proveniva da un’altra parte, ma cercò di non farci caso, anche perché il terreno tremò nuovamente. Al loro posto, andarono a delinearsi altre recinzioni più basse, che dividevano ogni coppia. Se all’inizio le sembrò di stare meglio, di vedere la luce in fondo al tunnel, ora davanti a sé vedeva solo oscurità. Si era impossessata del suo corpo una guerriera antica, la stessa che l’aveva posseduta per tutta la durata dello scontro. Era Porrun, che si era risvegliata dentro di lei come un vulcano pronto ad esplodere e aveva preso il sopravvento sulla sua mente e il suo corpo totalmente. La vera Helen poteva solo guardare inerme, se stessa trasformarsi in uno spirito letteralmente. Si sentiva forte, potente e tutte le ferite, che gli avevano inferto ora erano sparite, lasciando spazio alla rabbia, l’amore incondizionato per il suo amato e la vendetta, per quello che avevano fatto a entrambi. Eddie, che era di fianco a lei, non era più un ragazzo buono e normale come lei, anche lui aveva una figura evanescente, come uno spirito. In lui stava vedendo il suo amato, Innar. Erano morti combattendo come guerrieri, mano nella mano e quel loro amore non era mai svanito, neanche per un singolo giorno passati lontani.
    Amore mio, finalmente ora siamo riuniti e difronte al nostro amore, nessuno potrà fermarci e staremo per sempre insieme disse Helen, che ora era Porrun, avvicinandosi a Innar/Eddie e posando entrambe le mani sul suo petto. Lo guardò negli occhi e rimasero solo loro due, immobili come se in quel momento non ci fosse nessuno e lo baciò lievemente sulle labbra.
    Ti amo Innar e per sempre sarà disse mentre fece un sorriso prima dolce, che si tramutò in maligno e quasi deformato. Volevano vendetta e questo desiderio si alimentò dentro entrambi.
    Helen non esisteva più, non poteva parlare con se stessa, non poteva cercare di combattere contro di lei o di riprendere il controllo del proprio corpo. Era sola e questa volta per davvero.
    Io non sono Porrun, io sono Helen...devo combattere...devo però Porrun, aveva una forza di volontà incredibile e neanche se ne curò. Helen era sprofondata in un nero tetro e da lì poteva vedere tutto, ma senza poter fare nulla. Riprese tra le mani i suoi pugnali e si ritrovò anche una staffa di legno, che andò a incendiare con la fiamma in mezzo all’arena, come per sancire l’inizio di qualcosa di terribile.
    Nessuno potrà fermarci amore mio, insieme li finiremo, uno a uno quelle ultime parole le disse sorridendo divertita, come se uccidere qualcuno per lei non fosse nulla. Porrun e Innar si guardarono e insieme capirono che cosa fare senza dirsi nulla, all’improvviso a entrambi tornarono alla mente i numerosi combattimenti e sembrò come se non si fossero mai lasciati.
    Corsero entrambi come saette, trapassando con il proprio corpo come nulla fosse, la prima recinzione. Davanti si trovarono la prima coppia, Joon e Jungkook. Porrun non faceva nessuna differenza, non conosceva le persone che erano davanti a lei e erano solo un ostacolo, per il raggiungimento dei loro scopi. Si avventò piena di rabbia e vendetta contro Joon, aizzandogli contro la sua fiaccola e toccandogli l’armatura, che prese fuoco a sua volta.
    Brucia all’inferno, non avercela con me, sei solo un effetto collaterale disse sorridendo, mentre vedeva le fiamme invaderlo e spostò lo sguardo sul suo amato, che nel frattempo aveva appena reciso le mani di Jungkook, per impedirgli di sfilarsi la lancia dal corpo.
    Che crudeltà Innar disse quasi rimproverandolo, ma rise di gusto mi piace la tua intraprendenza.
    Si riavvicinò a lui e lo prese per mano.
    Mi mancava tutto questo, non siamo poi così arrugginiti disse mentre spostava un’ultima occhiata ai due, che piano piano sarebbero morti, di una morte lenta e dolorosa.
    Passarono di nuovo attraverso la recinzione e si ritrovarono ora davanti a Nora e Lukasz. Anche loro, come i due ragazzi di prima, avevano combattuto a morte l’uno contro l’altra, non riconoscendosi. Quello spettacolo per Porrun era divertente e quasi pensò di farli combattere ancore un po’ e farli uccidere con le loro mani. Però non ci sarebbe stato divertimento e questo non avrebbe portato alla vendetta, che entrambi volevano.
    Volevano il sangue di ognuno di loro, per essere così ripagati di ogni sofferenza, che avevano subito nei millenni.
    Innar il suo amato, andò subito a prendere per le spalle Lukasz, premendogli il pugnale nell’incavo tra la spalla e il collo. Aveva capito, che cosa il suo amato voleva fare senza, che si fossero detti niente. Entrambi volevano, che lui vedesse la morte della sua amata, perché si vedeva che c’era del tenero tra di loro o che almeno c’era stato. Quello che era accaduto a lei e a Innar molto tempo prima, ora sarebbe accaduto a loro. Vendetta, si chiamava. Porrun, con il suo pugnale si avventò urlando al cielo contro Nora, colpendola all’altezza dello stomaco più volte. Solo una volta, che aveva visto abbastanza sangue la lasciò andare inerme a terra, quasi priva di sensi. Si avvicinò poi a Lukasz, che era rimasto immobile davanti a quella scena, era disperato, glielo si leggeva nel volto pallido e sconvolto.
    Porrun toccò, con la mano insanguinata della sua amata, il bel faccino del ragazzo con il suo sorriso divertito.
    Occhio per occhio disse solo, per poi guardare Innar, che lo lasciò andare e prima che Lukasz potesse fare qualsiasi cosa, svanirono oltrepassando la terza recinzione.
    Si sentiva bene, era potente e la stanchezza era una cosa, che entrambi non conoscevano. Il potere, che scorreva dentro di lei era forte e non importava, sé quella ragazzina di cui si era impossessata era debole e piena di amore verso il prossimo, l’aveva piegata contro la sua volontà. Innar, era il suo unico e vero amore, il resto non contava. Le urla degli spalti, che li avevano accompagnati per tutto il tempo erano una forza e un sostegno per loro. Li stavano incitando alla morte, alla lotta e al sangue, tutte cose, che entrambi volevano più della loro stessa vita.
    Si ritrovarono davanti ora Roy e Coco, anche lì c’erano già segni di combattimento tra i due.
    Amore mio, ci tolgono il divertimento così e non va bene, che senso ha se si uccidono tra di loro? disse a Innar quasi ridendo, non avrebbe permesso che si sarebbero uccisi tra di loro, sarebbero stati loro a dargli il colpo di grazia. Coco stava cercando di soffocare Roy, che era a terra, con le corde del suo reziario attorno al collo, Innar andò ad aiutarla divertito, per cercare di soffocarlo e appoggiò infine la sua fiaccola contro le corde, che presero subito fuoco. Roy venne ustionato al collo lievemente e anche le mani di Coco, che lasciò il reziario per il troppo calore. Coco era stremata per lo sforzo e Roy era a terra inerme, mentre il reziario aveva preso completamene fuoco lontano da loro. Porrun ne approfittò, si avvicinò a lui piano, come un predatore si avvicina alla sua preda. Era ancora cosciente, ma era stremato e senza forze, lo guardò negli occhi e sorrise. Prima gli accarezzò il volto, era solo un ragazzino, ma lei non avrebbe fatto nessuna differenza.
    Non avere paura, sarà veloce e indolore...o forse no! disse ridendo, di una risata metallica e disumana. Passò lentamente con il suo pugnale, ancora intriso di sangue per prima, sul suo petto. Disegnò una X bella grande, che partiva da entrambe le spalle e finiva sulle ultime costole. Lui aveva urlato e si era divincolato, ma la forza di Porrun era imparagonabile alla sua. Più lui urlava e più lei si sentiva bene, Innar dal canto suo era vicino a lei, sorrideva nel vedere la sua amata esigere così tanta vendetta.
    Buona morte a entrambi disse poi, mentre si alzava e dava un ultimo sguardo al suo capolavoro. Coco sicuramente aveva visto tutto, avrebbe pianto il suo amato, come Innar aveva fatto per lei quel giorno, era così che le cose dovevano andare.
    Si ripresero per mano e ancora una volta passarono attraverso la recinzione, sembravano non finire mai quei mocciosi, ma più si avvicinavano alla fine e più il suo potere cresceva. Si ritrovarono davanti ora gli ultimi tributi della loro sete di sangue e di vendetta, Hikaru e Skylar.
    Era una scena abbastanza divertente vista da fuori, Hikaru era in aria sospeso, per via del potere di Skylar, che era intrappolata dentro il suo reziario.
    Cosa scegli? Salvarti o salvarlo? stava dicendo Porrun, mentre si avvicinava a Skylar, con la fiaccola ardente.
    Rispondo io per te...nessuna delle due disse sorridendo e posando delicatamente, come al rallentatore la fiaccola ardente sopra il reziario, che la faceva prigioniera, ai suoi piedi. Questa divampò e iniziò a bruciare lentamente, e anche gran parte della pelle di lei. Urlava e sorrise nel vedere tale dolore, Hikaru invece era caduto dato, che Skylar si era distratta e se non ci fosse stato Innar a “salvarlo”, mettendogli una mano sotto la testa prima del colpo, sarebbe morto, ma non era quello il loro piano. Non dovevano morire senza soffrire, la sofferenza doveva esserci per tutto nessuno escluso. Lo pugnalò in una gamba, facendogli perdere molto sangue e entrambi alla fine si guardarono. Era finita, avevano vinto e tutti ora erano ai loro piedi, il loro amore aveva trionfato.
    Ce l’abbiamo fatta amore mio abbiamo vin... stava dicendo, ma mentre andava per abbracciarlo, una luce li riscosse.
    Era la luce della fiaccola, in mezzo all’arena, che si era riaccesa e in quel preciso istante, tutto intorno a loro fu silenzio. Le voci, che fino a quel momento gli avevano dato forza, nonostante fossero assordanti, non parlavano più. Quelle figure evanescenti iniziarono a svanire, una dopo l’altra e una consapevolezza andò a farsi strada nella sua mente.
    No...non di nuovo disse mentre anche Innar aveva capito, si sarebbero dovuti separare di nuovo, morire per la seconda volta. Il terreno tremò e l’arena iniziò a sgretolarsi, come in un brutto incubo.
    Non lasciarmi di nuovo, non posso vivere senza di te stava dicendo a Innar, mentre se lo stringeva a sé, piena di rabbia perché ancora una volta avevano vinto, ma non del tutto.
    Ti amo Innar, non finisce qui disse, a nessuno in particolare le ultime frasi. Un fracasso enorme e l’arena andò in macerie, con le urla dei due amanti farsi largo tra le rovine.

    Buio. Helen era sola, urlava disperata, ma nessuno la sentiva. Porrun l’aveva posseduta, lei non era stata abbastanza forte per fermatela e ora su di lei, gravava il peso di quello che aveva fatto. Aveva massacrato dei ragazzi come lei, non sapeva se erano morti, ma nonostante tutto li aveva feriti in modo grave. Era stato il suo corpo a farlo, anche se la mente non era la sua. Si era sentita intrappolata dentro se stessa, si era vista in terza persona fare tutto quello ed era stato terribile.
    Dolore. Aveva dolore a tutto il corpo, come se un treno le fosse passato sopra più volte. La testa le faceva un male da morire e non sapeva, se Porrun fosse ancora dentro la sua mente. Aprì piano gli occhi, anche fare quel semplice gesto le sembrò una cosa difficilissima. Si sedette piano e si toccò la testa, una fitta al fianco destro la fece riscuotere. Aveva un lungo e profondo taglio sul fianco destro e ancora perdeva parecchio sangue, aveva contusioni, tagli e abrasioni su tutto il corpo. L’armatura, che l’aveva accompagnata in quel viaggio spettrale non c’era più, come anche i due pugnali con cui aveva trapassato la pelle di molteplici persone. Era solo lei, di nuovo la Helen di prima, con i suoi vestiti leggeri e laceri è un vuoto dentro. Si guardò le mani, erano sporche di sangue, non era suo e lo sapeva, le venne la nausea alla vista e strinse gli occhi.
    Dove mi trovo? disse, ad alta voce a se stessa, per cercare di non pensare a quello, che l’avrebbe tormentata a vita. Si trovava nello stesso bosco, dove aveva messo piede la prima volta, prima di entrare nell’arena. Non sapeva quanto tempo fosse passato e neanche che giorno fosse, tutto era dannatamente confuso. Stava per alzarsi, nonostante il dolore e la ferita profonda al fianco, ma notò qualcosa o meglio qualcuno, poco distante da lei. Era un ragazzo, disteso a terra, inerme e lo conosceva, lo conosceva eccome. Era Eddie.

    Divido il post in due parti :luv:
     
    .
  10.     +8   +1   -1
     
    .
    Avatar

    The Fourteenth of the Hill.

    Group
    Cittadini
    Posts
    10,037
    Reputation
    +355
    Location
    The Matrix.

    Status
    Offline

    Eddie Noah O'Moore
    ❝26 y.o. , clumsy reporter, lovely young man, venom / sheet


    I look inside myself and see my heart is black
    I see my red door, I must have it painted black



    Ringhiante, con la testa premuta contro il pavimento sabbioso, Eward Noah O'Moore non si era mai sentito così impotente in vita sua. Frustrato fino all'inverosimile per non essere riuscito ad impedire a quella ragazza di indebolirlo così profondamente, il ragazzo cercò in tutti i modi di reagire, avvinghiato nelle spire di una spossatezza impressionante.
    Era stato allora che la sua energia era scoppiata incontrollata, trasformando ogni respiro del caso in un terremoto che aveva condotto i partecipanti in punti diversi dell'arena, accoppiati esattamente com'erano stati all'inizio.
    Le recinzioni sabbiose erano venute meno, risucchiate da quello stesso sisma iniziale che lo aveva fatto sussultare ( e sgridazzare ) poco prima che quel combattimento sanguinoso iniziasse, dando il tempo alle creature di fare i conti con i postumi di quel delirio in cui si erano immersi.
    Gli occhi verdi di Edward sondarono l'ambiente circostante ed egli, ancora inerte come un palloncino sgonfiato, si rese conto che qualcosa era cambiato.
    Non era ancora finita.
    Il ragazzo, pervaso da quel furore bellicoso che l'aveva investito grazie al tifo spregiudicato di quegli spettri mostruosi, si decise comunque del fatto che, implacabile, non sarebbe certo potuto morire lì, in quel modo così stupido.
    Picchiò piano la fronte contro il pavimento, emettendo un frustrato lamento aggressivo per poi sentire un'assordante onda avvolgere tutti i combattenti.
    Sopraffatti da un'energia mai vista prima, i giovani furono inglobati in un'esplosione psichica che Ed reputò al pari di un'allucinazione. Helen, una giovane dai capelli paglierini, tonica e slanciata che il reporter aveva notato a malapena, aveva liberato anch'ella i suoi poteri senza essere riuscita ad arginarne gli effetti.
    Eddie non capì quali fossero state le conseguenze del fatto tuttavia non ebbe neppure il tempo, intontito e vagante in un limbo d'incoscienza, di riuscire a farsi avanti per indagare sulla questione.
    Sputò sabbia e, con le labbra schiuse sul terreno sanguinolento ed umido il ragazzo si ritrovò su.
    In piedi, in tutta la sua timida bellezza, Eddie non riuscì neppure a lamentarsi per ciò che accadde.
    E se Helen aveva provato a liberarsi, a lottare contro quel sentimento, il ragazzo lo accolse in pieno come sempre faceva quando l'altro prendeva possesso di lui. Una personalità in più non avrebbe fatto differenza, tristemente.
    Così abbracciò in toto la forza belluina di Innar, potente come un dio, vigoroso e forte come Edward non lo era mai stato.
    Uno scintillio deciso sfolgorò nei suoi occhi verdi e, seppur Ed fosse sempre stato il solito mingherlino di sempre, ferito e messo alla prova da ciò ch'ebbe subito in precedenza, si sentiva colmo di una robustezza che non aveva mai provato prima.
    Questo involucro è debole, pensò fra sé una voce nuova, che il ragazzo non riuscì a contrastare neanche volendolo.
    Innar si toccò il viso, immobile come una statua di marmo in quella roboante confusione e si guardò quel corpo alto ma magro, ben poco tornito rispetto a quello che gli era appartenuto vite e vite prima.
    Eppure..
    Eppure la riconobbe, Fra quelle mille sagome nere, fra i combattenti armati e lo scintillio scoppiettante delle torce nell'arena, Porunn era lì, colma di una bellezza così intonsa nonostante il tempo da piazzarsi prepotente nel campo visivo di lui, come una valchiria intenta a solcare i cieli.
    Fu allora che, mentre ella la raggiungeva come una vera Skjaldmær, Innar notò la folla inneggiare ancora e le coppie tornare a separarsi.
    Crudele, il guerriero non si mosse ancora, come un esperto generale in attesa di osservare una coppia di eserciti schiantarsi l'uno contro l'altro.
    Avrebbe saggiato il furore della battaglia da lontano il tempo necessario per rimirare il proprio ritorno alla vita, sentirsi tangibile ancora, permeato da quella rabbia così forte, così eccitante che non avrebbe potuto fare altro che soddisfare, esigendo un tributo di sangue, un prezzo da pagare alla grandezza degli dei, a quelle creature che gli avrebbero concesso di sedersi e banchettare nel Valhalla assieme a molti guerrieri valorosi come loro.
    Amore mio, finalmente ora siamo riuniti e difronte al nostro amore, nessuno potrà fermarci e staremo per sempre insieme. Ti amo Innar e per sempre sarà così, con entrambe le mani sottili appoggiate al petto asciutto tonico di Ed, Porunn si sollevò il necessario per posare le sue labbra contro quelle di Innar, in un bacio inaspettatamente lieve.
    L'uomo, innamorato, non fece altro se non ricambiare quel contatto con disperato ritrovamento, come se avesse atteso tutta la vita pur di farlo ancora. Affondò una mano fra i capelli biondi di Helen, tirando il suo corpo tonico contro di sé in quel contatto intenso ma breve, che lo portò a separarsi da lei quasi di malavoglia.
    «Gli dei esigono sangue, mio amore. E' la nostra occasione di terminare ciò che abbiamo iniziato» asserì Innar con un cenno sodale prima di allontanarsi completamente dalla sua amata e far rotare i pugnali che aveva stretti contro i palmi con una maestria del tutto estranea ad Eddie.
    Fu allora che lui, a grandi falcate ed un andamento deciso, controllato (niente affatto simile al trotterellare distratto di Eddie) raggiunse il braciere dove la fiaccola più grande divampava intonsa, danzante con quelle lingue di fuoco che lo chiamavano, esigendo d'essere sparse in quell'arena ancora troppo poco imbevuta di sangue per i suoi gusti.
    Dopo aver infilato un pugnale in quella cintola che stringeva qualsiasi tipo di calzari il suo contenitore stesse indossando, Innar raccattò un'asta di legno e diede fuoco ad un'estremità imbevuta, accendendo in tal modo una fiaccola scoppiettante al pari di quella che anche Porunn aveva infocato poco prima.
    «Per gli dei e la grandezza del Valhalla, per Odino!» tuonò roboante prima di allontanarsi, infervorito da quel connubio di forza ritrovata, di amore incommensurabile, di sete di vendetta e fedeltà agli dei, anche quando Porunn gli fece cenno di lanciarsi nella mischia.
    Assieme a lei, Innar sarebbe potuto andare ovunque, perire e patire le più ardue sofferenze.
    Nessuno potrà fermarci amore mio.
    E con un crudele sorriso, Edward ed Helen si lanciarono al massacro. Avrebbero mietuto le loro vittime per compiacere gli dei, per donare loro ciò che era stato promesso, devoti, paladini di una volontà incontrovertibile.
    Così, gonfiando il petto in un respiro profondo, il grido belluino di Innar smosse l'aria circostante, colma di una sensazione elettrica simile a fulmini: la trepidazione per uno scontro inevitabile.
    Strano a dirsi ma, una volta superate le nuove, più basse ma resistenti recinzioni, Innar seppe esattamente chi colpire per primo. Non si stupì di essere riuscito ad attraversare senza conseguenze le protezioni irte per dividere i combattenti: gli dei erano dalla loro parte ed avrebbero donato ogni mezzo affinché il loro volere fosse finalmente soddisfatto.
    Ebbene, Innar lo vide poco distante, quella creatura deformata da Loki, da qualsiasi divinità aberrante che avesse deciso di sfogare la sua ira su quello che doveva essere un giovane uomo.
    Jungkook, che stranamente Innar mal sopportava a pelle, come se gli avesse fatto qualche torto in precedenza, si era rivelato la prima preda della mietitura. Il guerriero vichingo, però, sapeva benissimo (per qualche ragione divina evidentemente) che il mostro doveva essere talmente forte da risultare imbattibile. Così si avvicinò a lui mentre questo era intento a lottare furioso contro un altro giovane uomo e, dopo aver scoccato uno sguardo agli avversari sotto il completo supporto di Porunn, egli brandì il pugnale e recise con selvaggia precisione entrambe le mani della creatura proprio nel momento esatto in cui la sua splendente compagna decise di appiccare il fuoco sul secondo contendente mortale.
    Sangue sprizzò sul suo viso e lui rise, pervaso dal furore della battaglia.
    «Abbiamo Asgard dalla nostra parte, amore mio» disse Innar mentre prese la mano della sua Guerriera e non degnò più di uno sguardo i due mortali, proseguendo con lei oltre quelle recinzioni nuovamente eluse, nuovamente oltrepassate come se nulla fosse stato.
    Si imbatterono così in una nuova coppia di guerrieri (per nulla permeati dal vigore bellico dei vichinghi, dalla forza assetata che li colpiva ogni volta che scendevano in battaglia come una frenesia) e Innar non potè fare a meno di notarsi quasi deluso. Avrebbe voluto lottare contro guerrieri degni di lui, degni di sfidarlo e invece tutto ciò che si era ritrovato era una massa di giovani uomini e donne che, benché trafitti dalla rabbia e dal furore, non combattevano per fede, per onorare i loro dei.
    Tutto ciò che lo colpì, però, fu l'uso di quelle che sembravano capacità concesse dagli dei, sovrannaturali. Se Innar era stato tanto fortunato da tornare dal passato, dalla morte, pur di compiacerli, quelle creature dovevano essere state baciate dal destino in modo ben diverso.
    Così Ed si avvicinò ai due combattenti intenti a colpirsi con una coppia di tridenti e sorrise verso la sua Porunn, incurante dei colpi che la coppia si stava sferrando nel frattanto. Giunse quatto alle spalle di Lukasz e lo immobilizzò spingendolo contro di lui, schiena contro petto, mentre con il pugnale graffiava l'incavo del suo collo come ad intimargli a star fermo.
    «Se l'avessi uccisa prima concedendole la morte guerriera che meritava, il Valhalla ti avrebbe atteso a braccia aperte» gli sussurrò aspro il vichingo che assistette allo spettacolo della sua amata che colpiva la donna che quel giovane che tratteneva stava affrontando, pugnalandola al ventre.
    Non appena il corpo di lei si accasciò come una marionetta senza più fili e quelle luride armi caddero sul terreno sabbioso, Innar si allontanò verso l'ennesima coppia.
    Niente scudi, ancora ed armi ininfluenti, poco efficaci se non fosse stato per il gladio che quel giovane portava con sé. Una rete non avrebbe potuto alcunché contro questo.
    Innar, tuttavia, dovette ben presto ricredersi.
    Fu allora che una giovane dai folti capelli bruni entrò nel campo visivo del guerriero vichingo che si avvicinò a lei e la vide, ferina come una lupa, aggredire il suo opponente con l'intento di strozzarlo e, conseguentemente, privarlo delle forze.
    Uno strano formicolio avvolse Innar, come se questi avesse compreso perfettamente quella sensazione così, magnanimo, si avvicinò alla coppia e diede fuoco con la sua fiaccola ardente al reziario, incurante del fatto che entrambi sarebbero potenzialmente anche potuti perire fra le fiamme.
    Ustionata, la ragazza dovette mollare il giovane che, a quel punto, fu preso dalle grinfie di Porunn che giocò con lui in uno slancio selvaggio, appoggiato in pieno dal suo compagno che sorrise affilato, come a farle capire che persino gli dei avrebbero approvato quella condotta se solo<i> avessero potuto mettere bocca sull'accaduto.
    Buona morte a entrambi sentenziò Porunn che permise al sorriso di Innar di allungarsi ulteriormente per poi sopraggiungere, come veri e propri mietitori, all'ultima coppia combattente nell'arena.
    I due si stavano affrontando con lancia e reziario (armi inefficaci nell'ottica di Innar che si ritrovò persino più determinato che in precedenza), quantomeno sino a quando la giovane donna non sollevò il suo avversario a mezz'aria dopo aver intrattenuto Innar per un buon susseguirsi d'attimi in cui aveva cercato di liberarsi dalla rete come un pesce intrappolato.
    Fu un gesto inaspettato per il guerriero vichingo a quel punto consapevole che molti di quegli uomini e donne sarebbero <i>dovuti
    essere figli degli dei, progenie vestita in modo strambo, protetta da armature che non aveva mai visto e priva di scudi.
    Il vichingo schiuse le labbra e si affrettò a muoversi verso l'uomo, decidendo solo all'ultimo istante di evitare che la sua testa si sfracellasse al suolo.
    Se sarebbe dovuto morire, sarebbe dovuto morire in modo degno per un semidio: trafitto da una lama, ucciso per volere e potenza di Odino.
    Scelse dunque di terminare il proprio lavoro di onore e vendetta affondando la lama nella coscia del ragazzo, sperando che questi sanguinasse a morte.
    Si chinò, affondò la lama con forza brutale e la lasciò piantata lì, alzandosi il momento necessario per accogliere un fulgore che riconobbe all’istante.
    La torcia reclamava la loro presenza, il loro ritorno nel Valhalla.
    Differentemente da Porunn, Innar aveva accettato quel destino adesso, completo mentre la stringeva fra le braccia e posava un bacio sulle sue labbra fresche.
    «Saremo insieme per sempre Porunn, il Valhalla ci attende» la rassicurò prendendole il viso fra le mani mentre un terremoto violento si abbatteva attorno a loro.
    Innar abbadonò quel mondo quasi del tutto soddisfatto, con la sua mano fra le braccia e lo spazio intorno a loro che si sgretolava come quella promessa compiuta in punto di morte.
    Le creature mostruose, incorporee ed ombrose si dissiparono come fumo insieme ai detriti e, assieme a loro, i guerrieri vichinghi tornarono a lasciar librare le loro anime in spazi non più tangibili come quella foresta.
    Erano lontani adesso.
    Così Eddie cadde al suolo come una marionetta priva di fili e, esattamente com’era iniziata, saggiò la consistenza della sabbia e del sangue, inghiottendo terreno una volta abbattuto.
    Dopo un istante, tutto divenne nero.
     
    .
  11.     +7   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Cittadini
    Posts
    889
    Reputation
    +1,248

    Status
    Anonymes!
    Il ritmo in sincrono con il battito cardiaco s'interruppe all'improvviso, abbandonandolo ad un preoccupante silenzio in cui s'infilarono le dita sottili del caso: un ennesimo cambio di prospettiva, un nuovo frastornante caos a cui andare incontro. Gli assesti del gioco continuavano a modificarsi senza che i partecipanti potessero comprenderli fino in fondo: un'amara ironia che avrebbe piacevolmente colto, se solo avesse avuto abbastanza lucidità in sé per potersi aggrappare a tutt'altro che non fosse la lunga lancia che stringeva fra le mani. Fattasi più amara l'espressione, stringendosi in una smorfia che ne deformò il viso, un sussurro entrò in sintonia con quelle vibrazioni combattive che non riuscivano ad assopirsi. Se non era riuscito a far fuori Nora, si sarebbe diretto altrove: doveva farlo. Impugnata con più vigore l'arma allora prese a percorrere una traiettoria sicura contro le stesse recinzioni che sapeva non essere in grado di attraversare ma che, più si avvicinava a passo veloce, più queste si ritraevano nel terreno sabbioso. Quindi si fermò, nuovamente in trappola, quasi non vedendo l'ora di macchiarsi di nuovo sangue. Un fastidioso ronzio fu la prima sensazione che riuscì a registrare mentre lottava con le sue stesse palpebre, due diverse onde d'urto che lo colpivano insieme: indeciso fra l'abbandonarsi all'eterno buio o alzarle nuovamente così da poter fissare lo sguardo contro chi stava per minacciarlo o ferirlo, caricando in lui la volontà di compiere sempre più malvagità, di strappare via dalla carne la vita degli altri.
    Nel contempo, il caso, forse non contento del dolore provocatogli fino a quel momento, rinnovava in lui immagini che si univano in torbide acque della sua mente, rendendo le vittime di quello scherzo di cattivo gusto protagonisti di ricordi che non gli appartenevano: stava camminando attraverso un lungo e angusto cunicolo nero, delle recinzioni si stavano alzando attorno a lui, ma ciò che poteva osservare davanti a sé e in ogni dove erano solo temibili sagome di quella realtà assurda che lo circondava. Occhi esaltati e fessure ansanti lo portavano a passare da uno scempio all'altro, al veder la carne dilaniarsi, le bocche aprirsi per esalare rantoli di dolore, nemici fissati in attimi di paranoia e brutale violenza. E, mentre combatteva fra l'una e l'altra tensione, tutto si sintetizzò nel volto chimerico delle due sorelle, riuniti in degli unici lineamenti che apparvero davanti ai suoi occhi come immagini estratte dall'arena che lo circondava. Che hai lì Vilde? Che nascondi Ingrid? La confusione che l'aveva assalito prima si era fatta più nitida, diradando le nubi cupe della sua mente per mostrargli dei ricordi che non gli appartenevano. Immobile di fronte a quella visione che durò qualche frammento di secondo, Joon osservò l'arma farsi spazio fra le labbra che mescolandosi si riducevano ad una sola fessura. Si inumidiva il ferro freddo e si caricava il colpo, esplodendo in frammenti vermigli su una pallida statua alle spalle di quel fantasma terribilmente reale: era delle sorelle, era di quelli che avevano sofferto nell'arena, di tutti coloro su cui aveva posato lo sguardo torvo e alterato. Erodeva il marmo e ne macchiava l'acqua della fontana sottostante in cui Joon intingeva le mani cercando di raccogliere quel corpo che svanì dalle sue braccia. Fissò lo sguardo nell'impassibile volto pallido ed immobile che torreggiava su di lui e scorse due occhi familiari al di là del limitar della finzione.
    Era improvvisamente vivo. Era lui, Jungkook: quello dalla cui voce era stato chiamato, estratto per pochi secondi da quella follia, quello che aveva salvato una volta e avrebbe salvato per sempre, se ciò sarebbe stato necessario. Colui che, da quel momento in poi, avrebbe dovuto combattere per far tornare in se stesso. Catturato dalla presenza dell'amico, una gioiosa apparizione, riuscì a dimenticarsi facilmente di se stesso, non rendendosi conto del suturarsi innaturale della ferita che aveva sul fianco ma che comunque continuò a versare sangue insieme a quella sul polpaccio. I sensi si fecero più acuti per il tempo che gli permise di fissare lo sguardo negli occhi scuri di Jungkook: era terrorizzato almeno quanto lui, ma Joon poteva avvertire la presenza di ulteriori ombre macchiare la psiche. Senza nemmeno riuscire a registrare i primi movimenti, rapidi seppur claudicanti, i passi di Joon solcarono il terreno caldo prima che Jungkook potesse, al pari di un miraggio nel bel mezzo del deserto, svanire nell'aria così com'era apparso davanti a lui. Se prima aveva corso per placare la fame di distruzione, ora andava incontro con coraggio alla vita: i raggi del sole si erano fatti gentili come quelli che avevano accarezzato i due amici durante i loro pigri abbandoni ai sogni fra l'erba; l'arena era scomparsa, immersasi nuovamente nella terra, per regalare alla mente di Joon la visione del bosco che aveva attraversato con Jungkook; le percussioni delle armi si erano trasformate nello scampanellare delle risate. «Jungkook!» Garrì, sentendo la propria voce nel petto superare perfino quelle degli spalti, altissima e contenta di poter finalmente ricongiungersi all'amico. Lo chiamò ancora, senza temer di finire tutta l'aria che aveva nei polmoni, pronto ad accoglierlo fra le braccia e trascinarlo via da quel posto, rendendosi schermo e scudo per qualsiasi attacco che l'amico aveva ricevuto e non avrebbe più dovuto sopportare. Ora c'era Joon con lui e, viceversa, il maggiore sembrava prender più forza ad ogni passo che compiva verso l'altro, eliminando i metri che li distanziavano, somigliando ad un naufrago che aveva finalmente individuato la terra ferma.
    «Sono qui, Jungkook! Sei vivo! Stai bene!» Ma, più si faceva vicino, più andava diradandosi il sorriso tagliato sulle labbra: gialle, le iridi dell'altro erano gialle. Due indemoniate e furenti aureole ne circondavano lo sguardo e Joon ne era stato scottato, inondato da quell'incandescente oro che gli era stato fatto colare proprio sul capo. Con lentezza e senza risparmiare un solo centimetro della sua pelle, la consapevolezza di aver Jungkook davanti senza avere il vero Jungkook davanti lo stava bruciando dall'interno senza dargli possibilità di fuggire da se stesso o quella situazione; ma non era lui quello che sembrava passarsela peggio. Joon stava spaventando l'amico. Non era stato riconosciuto, non sarebbe stato riconosciuto. Come se volesse rifiutare quell'ipotesi, Joon si sfilò con forza l'elmo dal capo lanciandolo il più lontano possibile, pronto a finire tutto l'ossigeno che aveva in corpo per poter imprimere quel messaggio oltre la mente alterata dell'amico. «Sono io... sono io! Jungkook-» Sperò che la voce potesse raggiungere l'amico, ma la risposta di Jungkook fu decisamente opposta. Con il fiato tagliato dall'impatto contro le recinzioni, in un intreccio di arti e pesanti catene di rimorsi, Joon fissò gli occhi in quelli di Jungkook e provò a ripetergli quel messaggio di speranza. Perché tutto questo? Avrebbe tenuto fede alle parole che gli aveva promesso ma come riuscirci quando per salvare entrambi sarebbe stato costretto a combattere proprio con chi desiderava salvare? Non costringermi a difendermi. Incastrato fra quei pensieri, Joon peccò nel mostrare parte dei suoi sentimenti in quell'ambiente che non ne permetteva e ne pagò il caro prezzo: lame di natura diversa ne affondarono la carne del braccio e del fianco, rinnovando in lui il dolore che latente aveva continuato a perseguitarlo fino a renderlo del tutto insopportabile. Non riusciva a ragionare chiaramente e più lucidi pensieri vennero spazzati via da un gemito d'aiuto: a chi potersi rivolgere? Non voleva che l'altro tornasse a guardarlo con occhi pieni di colpa ancora una volta ma, nel cercarlo, quegli assenti cerchi dorati erano l'unico elemento che lo legavano all'amico e lo repellevano insieme. Ci salverò.
    Un rinnovato spirito combattivo gli attraversò le vene e, nel riversare all'esterno il fiato caldo, un liquido glaciale e concentrato lo attraversò da capo a piedi: non sarebbero finiti in quel modo, non si sarebbe lasciato andare all'oscurità tanto facilmente. Se ciò significava dover contrastare la forza dell'amico, mettere le armi contro di lui per puntargliele contro, allora Joon sarebbe stato disposto a fare quel sacrificio. Come la prima volta gli chiese scusa con gentilezza e, frapposta fra i loro corpi la lancia, fece pressione su di essa per svincolarsi dalla presa di Jungkook quando questo aprì un'altra volta le labbra per sferrargli un secondo morso. «No, non così». Cercò di ribellarsi con la voce alle sue stesse azioni ma, fattosi più serio, raccolse il morso di Jungkook sull'asta e spinse contro il capo dell'altro per staccarselo di dosso. Si accovacciò e gli fu alle spalle, spostando il corpo del giovane con le proprie nel rialzarsi fino a quando non avvertì Jungkook aderire alle recinzioni. «Andremo via di qua... ma non così». Si girò e agì e basta, amare lacrime che gli rigavano il viso concentrato nell'osservare parti dell'arma sparire attraverso il corpo del più giovane, il rumore viscido e pulsante della carne che si riassestava mentre veniva forata dall'asta. «Mi dispiace, Jungkook». Solo quando avvertì il ferro stabilizzarsi allora fu sul punto di arretrare, convinto di aver fatto tutto ciò che gli fosse possibile per poter impedire a Jungkook di fare male ad entrambi e a sé di dover raggiungere soluzioni ancor più drastiche di quelle. Avrebbe voluto allargare le braccia per farsi spazio contro la schiena dell'amico, afferrarne il torace fisso contro la recinzione e stringerlo fino alla fine di quell'incubo. «Mi dispiace tanto...» Ma, quando stava per allungare le stesse dita inumidite dal pianto per sfiorare la nuca dell'altro, ultimo residuo di pelle non toccato dalla maledetta armatura che avevano addosso, due ombre gli si pararono alle spalle, stagliando contro il terreno la loro minacciosa presenza.
    Ancora una volta si ricordò di essere prima un recipiente e solo dopo un contenuto. Lo avvertiva ovunque, il calore ardente delle fiamme che divampavano addosso a lui, originatesi per crudele volontà di quella presenza circondata da un'aurea tanto oscura quanto brillante. Brucia all'Inferno. Le sentenze della giovane gli si placcarono addosso come intagli sul legno e, sentendosi vicino a morte certa, il suo senso di sopravvivenza parve resuscitare dalla turbolenza emotiva che aveva dovuto sopportare fino a quel momento. Stremato ma combattivo, optò per l'opzione che più gli sembrò effettiva. E così cadde al suolo insieme ad altri due elementi che vennero tagliati, la cui caduta registrò a fatica attraverso il caos generato da quelle fiamme biancheggianti e affamate di pelle. Sei solo un effetto collaterale. Ben distante dagli albori annunciati dall'importante cognome, dalla pesante storia sulle spalle, dallo stesso futile dettaglio inserito sul copricapo ormai distante, ora era ridotto a rotolarsi per aver salva la vita quasi come fosse un comune animale da cortile. Ma, per quanto bruciassero le ferite a contatto con la sabbia, per quanto le nuove abrasioni lo costringessero desiderare di sparire per sempre nel tempo di un battito di ciglia, lo sguardo rimaneva fisso contro Jungkook. Che ne sarebbe stato di lui? Con la faccia a terra e la visione parzialmente oscurata da delle dune di milioni di granelli, Joon utilizzò le ultime forze per disfarsi dell'armatura parzialmente sciolta. Era nudo e vulnerabile mentre si raccoglieva in se stesso, intenzionato a non abbandonarsi ancora, si inginocchiò per compiere quell'ultima distanza in quel modo. Ignorò le ferite, ignorò il sangue che sputò e versò. Quando allargò le braccia per accogliere fra di esse una delle gambe di Jungkook fu finalmente sereno. Chiuse lentamente gli occhi: non l'avrebbe più lasciato solo.
     
    .
  12.     +6   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Vice
    Posts
    5,941
    Reputation
    +4,099

    Status
    Offline
    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: immagini disturbanti (gore), violente o contenuti sensibili (ferite, percosse, pestaggi e simili).
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


    8df14abe1dd23ee421a9d92baf8f807ff872373d_hq
    tenor
    Che c'è Noah, non riesci a dormire? Fisse su Joon ed illuminate da una patina languida e trasparente, le iridi ampie e scure di Noah abbracciavano completamente la figura dell'altro ragazzo, sdraiato sul soffice materasso ancora ricoperto da un piumone beige accuratamente ripiegato su se stesso. Il più giovane scosse appena il capo, confermando così i sospetti del maggiore, ed avvicinandosi a lui, esitante si fermò, avvolgendo le dita di entrambe le mani attorno alla pediera del letto. Stavo giusto per andarmi a preparare una tazza di tisana calda, ne vuoi un po' anche tu? Accettando volentieri la gentile proposta di Joon, Noah lo seguì trascinandosi alle sue spalle sino in cucina, dove trasalì nell'udire il suono dell'acqua iniziare a scaldarsi nel bollitore. Poche notti erano passate dal suo arrivo nella casa e nella vita del più grande, e nonostante non potesse dire di conoscerlo, sin dal primo istante in cui si era rivolto a lui aveva potuto avvertire un calore remotamente familiare irradiarglisi nel petto. Erano passati tanti anni da quando aveva ammirato per l'ultima volta i tramonti di Yosemite West, eppure Joon aveva risvegliato le stesse sensazioni di quei momenti sereni, gli unici in cui Noah si fosse mai sentito al sicuro. I pericoli a cui era stato brutalmente esposto tornavano a minacciarlo non appena chiudeva gli occhi, immersi nell'oscurità umida della terra ed in quella sterile della stanza delle torture del Mordersonn Institute, e l'unico modo per evaderle sarebbe stato non concedersi di riposare, restare vigile e sveglio, non lasciare che le lunghe ed inquietanti dita del passato lo agguantassero nel sonno per portarlo giù, nell'abisso dal quale era appena uscito. Noah? La testa scattò sino ad intercettare l'origine del suono, incontrando lo sguardo colmo di premura che da Joon fluiva sino al più giovane, a cui aveva offerto la tazza già ricolma d'acqua bollente al cui interno galleggiava un filtro odoroso. Raccogliendo il piccolo oggetto caldo tra le mani, il ragazzo tornò a seguire Joon sino alla stanza da letto, un po' come un pulcino pronto a ripercorrere le impronte della mamma sino al nido tra le fronde di lago. Una volta sedutisi sul materasso, i due condivisero un pacifico silenzio, godendo della compagnia reciproca per assaggiare i primi sorsi di tisana. Nonostante il poco tempo passato in vita ed in libertà, Noah aveva già avuto la prova di quanto il mondo potesse essere vile ed al tempo stesso meraviglioso; brillante d'argento come la luna, Joon aveva rischiarato il cammino di Noah nell'oscurità, riportando le maree che lo scuotevano a basse creste d'acqua e così liberandolo dalle pericolose onde che lo sommergevano. Ti piace? Mia madre mi ha detto che è abbastanza potente contro l'insonnia. Posso vedere le tue occhiaie Noah.. Non stai dormendo in questi giorni? Posando quella domanda dal tono leggermente più apprensivo su Noah, Joon si fece più vicino a lui, superando il suo busto per racchiudere le dita affusolate attorno al suo laptop, che con calma aprì senza però mai spezzare il contatto visivo con l'altro, intento con un più timido cenno della testa a confermare ancora una volta i suoi sospetti. Capisco.. Perchè non guardiamo qualcosa insieme allora, ti va? Senza mai spazientirsi, giudicare oppure valicare alcun limite, Joon era diventato in quei pochi giorni l'ancora che manteneva Noah in superficie, il salvagente che circondandolo gli impediva di scivolare nel terrore che i traumi appena passati insinuavano nel suo cuore, salvandolo dalla paralisi a volte così forte da fermargli il respiro. «Il Re Leone?» Le sopracciglia di Joon si incresparono in un moto di confusione, mentre assottigliatisi, i suoi occhi cercavano di leggere le labbra silenti dell'amico. Vuoi vedere un film d'azione? Domandò esitante il maggiore, notando un sorriso divertito fare capolino sul volto di Noah, che avvicinatosi a lui, scrisse sul pc la sua proposta, del tutto confermata da Joon. Oh! Perdonami, si, guardiamo il Re Leone! Lasciando emergere in un affettuoso sorriso le sue adorabili fossette, Joonie si premurò di far iniziare il film, depositando il computer poco lontano in modo da potersi sdraiare accanto a Noah e sorseggiare con lui il resto della tisana.
    «Ahi! Che male! Perché mi hai colpito?»
    «Non ha importanza: ormai è passato.»
    «Sì, ma continua a fare male...»
    «Oh, sì, il passato può fare male. Ma a mio modo di vedere dal passato puoi scappare... oppure imparare qualcosa.»
    Ormai vuote e posate sul comodino, le tazze intiepidite erano state abbandonate sotto la luce gialla della lampada, che illuminava con il suo bagliore tenue la figura di Joon baciandone il profilo. Il suo petto era accarezzato regolarmente dai profondi respiri di Noah, le cui palpebre si erano finalmente abbassate, accompagnandolo così in un pacifico e denso sonno. Avvicinarsi al più grande era stato facile, un contatto naturale e benefico che l'aveva spinto a ricercarne la presenza con il sopraggiungere del torpore. Un braccio erano allacciate attorno ai fianchi dell'altro per trattenerlo a sè in una dolce stretta, che con il suo confortevole tepore riempiva le narici del più giovane dell'odore di Joonie - sapeva di foresta, di tramonti caldi, di casa. Gli restò vicino, raggomitolandosi maggiormente contro di lui mentre galleggiava non più solo in un mare soporifero e finalmente calmo.

    ◊◊◊

    Quella stessa invisibile stretta, la sicurezza che Jungkook trovava ogni volta che posava lo sguardo sulle iridi scure di Joon era sparita nel momento in cui lo osservò nuovamente negli occhi. L'uomo che era fermo e sanguinante davanti a lui non più era il suo migliore amico, ma una forma mostruosa pronta ad ucciderlo. Per un solo momento, era riuscito a vederlo per chi era davvero; le fitte e tossiche nebbie dell'arena si erano diradate in un attimo di lancinante chiarezza, e portando via con sè anche la rabbia liquida intrappolata nell'iride dorata di Jungkook, gli restituirono tutto il terribile dolore della condizione umana così come la fugace ma intensa gioia di rivedere il suo migliore amico. Tutte le sensazioni provate sino ad allora si erano brutalmente scontrate le une con le altre fino a ricondurlo a lui: le grida furenti di Eddie, il rumore delle lame che affondavano nella carne, il tremore della terra che richiamava a sè le recinzioni e ne lasciava germogliare di nuove, la vibrazione dell'impatto tra il potere di Helen e quello di Coco; ogni attacco, schiocco, rivolo di sangue e sudore aveva riconsegnato Jungkook all’abbraccio dello sguardo di Joon. La trasformazione inversa era stata così repentina da annebbiare velocemente la vista del ragazzo, lasciando cadere su di lui una stilla di puro panico, spazzando via quell'iniziale sollievo. Ogni dettaglio della realtà in cui era stato catapultato contro la sua volontà era gli scivolato davanti così velocemente da non poter essere compreso, eppure un unico istinto lo pervase: proteggere, doveva proteggere il suo migliore amico, anche a costo di restare indietro. Tentò di aprire un braccio per incoraggiarlo a fuggire, eppure il dolore che lo colpì fu talmente invalidante da farlo cadere in ginocchio ed arrestare ogni suo movimento, una mano che andava a coprirsi l'occhio ferito ed il respiro mozzato dalle pugnalate di Eddie, ora vive e pulsanti nella carne come se fossero state inferte tutte nello stesso momento. «Scappa!» Nel muovere le labbra come se da esse potesse emergere un suono scrosciante, Jungkook fu quasi convinto di averne udito le vibrazioni. Persino il suo unico sforzo, racchiuso in quel grido muto, si rivelò vano. Joon non poteva sentirlo. «Jungkook!» La sua voce era invece vividamente intatta, disperata nel chiamarlo, e Jungkook sollevò la testa in direzione del suo timbro familiare. Riusciva a distinguere a malapena i contorni del corpo di Joon, veloce nell'avvicinarsi a lui; ogni istinto bellicoso era sparito, soppiantato dalla più profonda disperazione. Avrebbe voluto raccogliere il migliore amico in un abbraccio e dirgli di non preoccuparsi, che l'avrebbe raggiunto appena possibile, che avrebbe dovuto mettersi in salvo - il terrore di poterlo perdere era diventato tangibile tanto quanto le ferite inferte da Eddie e Coco, e gli aveva fermato il cuore come quando aveva sentito la terra ricoprirlo sino a seppellirlo sotto le sue zolle nere. Ogni attimo avrebbe potuto appianarsi in discesa repentina verso la morte, e nel pensare che proprio Joon avrebbe potuto scivolarvi all'improvviso, tutto perse di senso. Quanto terribile sarebbe stata la vita senza di lui? Jungkook non si accorse delle lacrime che avevano iniziato a solcargli le guance, prostrato nel non riuscire a comunicare con Joon e talmente schiacciato dall'impossibilità di dirottare il suo cammino da sentire la schiena tremare in singulti incontrollati. Fu solo un attimo, però. Gli arti lunghi e slanciati del maggiore si trasformarono rapidamente in spaventosi artigli, ed il suo incedere speranzoso e motivato mutò, facendosi marcia di morte. L'oro tornò ad invadere l'iride integra di Jungkook, il cui anello tornò a brillare di ferina rabbia. Si era nuovamente perso in una forma di sè che non lasciava prigionieri e che si nutriva di carne ed orrore, raggelando con il suo tocco esanime il suo ospite così come tutto ciò che lo circondava. Joon però era sole, pronto ad invadere quelle confortanti e folli ombre, a rischiararle ed a dissolverle con la sua luce cocente, e da esse immediatamente Jungkook si ritrasse, scattando indietro ed affondando le mani nel terreno sabbioso - l'unica traccia d'umanità rimastagli visibile solo nelle tracce delle gocce salate che gli macchiavano le guance.
    Ogni sorriso, lacrima, abbraccio o parola era stata spazzata via, soffiata fuori dalla mente di Jungkook dai venti sferzanti della particolarità di Helen. Joon era stato cancellato dalla memoria del giovane, ora spaventato dal suo stesso migliore amico e colui che era sempre stato l'antidoto ad ogni velenosa paura. «Sono io... sono io! Jungkook-» Tratti alieni delineavano il volto del più grande, e l'implorante impronta della sua voce una volta familiare non sfiorò con il suo tocco solitamente rassicurante l'udito della creatura, lontana da lui tanto da avvertire in essa un pericolo mortale. Non riconosceva più il ragazzo che prima d'allora amava tanto da considerarlo parte di sè, l'unica persona con cui sarebbe stato impossibile definire il legame che li univa. Joon aveva toccato con mano e subito in prima persona le spaventose forme del passato di Jungkook e l'aveva accompagnato nel ricostruirsi dopo essere stato distrutto; aveva visto Noah morire per poi rinascere in un uomo nuovo. Jungkook non sarebbe mai esistito senza di lui, ed ora nel guardarlo, non vedeva altro che un estraneo. Non c'era una parte di lui che stesse gridando, che stesse cercando di uscire dall'oblio in cui era stata spinta - era tornata la fame, e con essa, un vuoto desiderio di morte. Lentamente, Jungkook si eresse sino a tornare in piedi, il gladio che penzolava pericolosamente dal suo polso, e gli schiocchi vacui ed inquietanti spezzarono ancora l'aria statica, prima che il corpo si avventasse sull'origine di quell'informe terrore: doveva uccidere per non essere ucciso, sopraffare per non essere sopraffatto. La lama volteggiava in fendenti imprecisi e pericolosi dalla mano impallidita del giovane sino a sfiorare le membra di Joon, e lanciatosi nel suo attacco, riuscì a limitarne i movimenti imprigionandolo con la schiena contro la recinzione. La preda era finalmente stata intrappolata, e Jungkook non sprecò neanche un secondo nel lanciarsi su di essa; esattamente come l'anno prima, affondò un morso nel suo braccio destro, ricalcandone la cicatrice che rispecchiava la forma della sua dentatura. Nel riemergere, l'arena aveva rimestato nel tempo, riportando Jungkook al suo punto di partenza, nell'invadere con ferocia gli spazi di Joon e stringerlo in una presa tutt'altro che rasserenante. Ad incontrare lo sguardo ancora brillante di speranza del più grande fu quello nuovamente mostruoso ed assente che infestava Jungkook, posseduto dalla sua forma non-morta ed ancor più inquietante, mancando dell'occhio trafitto dal pugnale di Eddie. Non si sovvenne neanche per un secondo di aver già solcato la carne del migliore amico in quel modo, lasciando che la storia si ripetesse in ogni suo risvolto più doloroso: desiderava fare del male a Joon, annientarlo proprio come l'anno prima, sentirlo perire sotto le labbra.
    Tuttavia, le vite di Jungkook e Joon erano ormai indissolubilmente intrecciate, destinate a curvare sempre negli stessi punti ed a costeggiare il baratro sino a cadervi insieme. Difatti, proprio come la notte del loro primo incontro, il più grande non si era arreso ad un destino triste e definitivo; aveva contrastato la cieca rabbia e l'istinto animalesco di Jungkook per salvare entrambi ancora una volta. Forse, non ci sarebbe mai stato atto d'amore più grande di quello. «No, non così». Lottando contro la resistenza energica e solida dello zombie, Joon riuscì a separare le sue labbra di rubino dalla carne, spingendolo sino ad impedirgli la fuga dalle recinzioni, colpito solo dagli schiocchi che più concitati si riversavano fuori dalla bocca del più giovane. «Andremo via di qua... ma non così». Un grido acuto tornò a spezzare l'aria nell'arena, mischiandosi a quelli dei tifosi spettrali accalcati tutt'intorno ai guerrieri nel momento in cui improvvisamente la lancia trapassò Jungkook da parte a parte, incastrandolo nelle recinzioni e fermandolo nel suo impietoso assalto. «Mi dispiace, Jungkook». Lasciando vagare lo sguardo sull'arma immersa nel suo torace e confuso da quel cambio di prospettiva, Jungkook si aggrappò con lentezza all'asta lignea, spaventato dalle limitazioni in cui era stato costretto e perciò ancor più rabbioso. Nello stato in cui versava non riusciva neanche ad avvertire le incrinature nell'animo di Joon, ignorandone le lacrime bollenti perchè troppo assorbito dalla follia ferina che l'aveva inferocito ed affamato. «Mi dispiace tanto...» Aggrappatosi alle recinzioni per sbloccarsi dall'incastro in cui era stato fermato, Jungkook potè quasi sentire il fantasma del tocco di Joon sulla sua pelle fredda, portando con sè sensazioni di affetto ed amicizia a lui ormai aliene sulla soglia della lucidità mentale, ferme e pronte a sopraffarlo non appena avesse ripreso possesso di sè. Non si avvide neanche dell'arrivo dei due furiosi innamorati perduti, pronti a riscuotere il loro prezzo di sangue per offrirlo agli dei del Valhalla. Brucia all’inferno, non avercela con me, sei solo un effetto collaterale. Con la coda dell'occhio, Jungkook riconobbe la figura spettrale di Helen, come se occupando anch'ella una condizione sovrannaturale potesse essere in qualche modo a lui affine, e ne ebbe paura. Si dimenò più forte, tentando di spezzare il giogo che lo aveva incatenato, tuttavia non riuscì a spostarsi; l'odore di carne bruciata prese ad invadergli le narici, ed in pochi attimi, la lama massiccia del gladio tintinnò cadendo per terra, seguita da due tonfi più sordidi. Sangue raggrumato e nero scivolò dai polsi di Jungkook, le cui mani recise dal taglio brutale e preciso di Eddie erano state strappate dal suo corpo, distaccate da esso in un innaturale abbandono. Inizialmente fermo e frastornato, il giovane mostro percepì le membra iniziare ad infiammarsi tanto quanto quelle del povero Joon, intrappolato nella sua bruciante armatura. I click che si impigliarono fuori dalle sue labbra divennero terrorizzanti, incalzati da una collera tanto pervasiva da riecheggiare fuori dalla sua gola solitamente afona in suoni terribili, e perso anche l'ausilio delle mani, Jungkook si agitò, fuori di sè, senza però riuscire a liberarsi. Avrebbe voluto avvolgere nuovamente le dita attorno alla lancia e spingerla via, eppure non riusciva a fare altro se non strisciare con i polsi lungo l'asta lignea, nervosi schiocchi che si allungavano sino a divenire nuovamente urla, grida sovrannaturali di una creatura in trappola. Uno strano calore gli avvolse una gamba nel momento in cui le braccia di Joon la raggiunsero, circondandola in una stretta che lo indusse a paralizzarsi, infervorato nell'interpretare quel gesto affettuoso come una ulteriore limitazione. E così, incredibilmente, l'unico strumento di ribellione che rimase al ragazzo privo di voce furono proprio i suoi suoni ultraterreni e raccapriccianti che sempre più forti si unirono a quelli sugli spalti, ancor più concitati. Ogni vibrazione si fece assordante, un rumore bianco capace di perforare l'aria, tagliarla in un ronzio continuo come suono di morte, il tremore statico di un elettroencefalogramma piatto. Il rumore fragoroso si unì al bagliore accecante della fiaccola, che diventato insopportabile accompagnò il crollo dell'arena, pronta a riavvolgere le bobine della storia. Punto e a capo, Jungkook tornò a baciare il terreno, martoriato dal colpo della leggendaria tortura inflitta da Besaid così come Joon e tutti gli altri sventurati prigionieri del tempo, ora liberi dalla maledizione. Ancora esanimi e livide, le membra del giovane erano raggomitolate contro il fianco insanguinato del più grande, unica persona che consciamente o meno, Jungkook riteneva lo facesse sentire al sicuro. Proprio come svariati mesi prima, era tornato a racchiudersi accanto al suo migliore amico in un denso sonno, i cui mari però ripresero ad incresparsi in onde burrascose.
     
    .
  13.     +6   +1   -1
     
    .
    Avatar

    I’m falling apart, I’m barely breathing. With a broken heart.

    Group
    Sindaco
    Posts
    6,842
    Reputation
    +3,691
    Location
    From Mars?

    Status
    Anonymes!
    Scusate, è lungo e forse un po' pesante, saltate tutti i pezzi che volete, piango.
    Ah, e non ho riletto ovviamente. Quindi potrei aver saltato pezzi e particolari.
    AMATEMI UGUALE CIAO KISS


    tumblr_n21gre70iC1ql8x1lo8_r1_250
    Per un momento fu come se il tempo si fosse fermato. A scandirne i secondi furono solo le continue urla che giungevano indisturbate dagli spalti attorno a tutti loro. Coco cercava di non alzare lo sguardo su di essi, evitava la visione brutale di ciò che incitava una violenza sconosciuta, qualcosa dalla quale in una giornata normale avrebbe evitato a prescindere. Tutto si era stranamente fermato, bloccato in un attimo di confusione e silenzioso tormento. Poteva percepirlo nello sguardo degli altri, tutti quelli che come lei si erano ritrovati lì dentro a combattere per raggiungere un obiettivo a lei ancora difficile da riconoscere o comprendere. Inconcepibile, quello che erano stati mandati a fare, i piedi sembravano tremendamente pesanti mentre calpestavano la sabbia, pareva d’essere nel capitolo di un libro che aveva già letto, uno di quelli un po’ vecchiotti e dalle copertine in stoffa rossa col titolo ricamato in filature dorate su di essa. Anche solamente ad aprirlo avrebbe avuto il timore di rovinarlo.
    Con gli occhi ancora puntati su Roy, Coco si ritrovò a spostarsi verso la propria destra per lasciare spazio a delle nuove recinzioni di venir fuori dal terreno sabbioso. Un passo dopo l’altro andava ad allontanarsi dalle staffe di ferro che avrebbero potuto colpirla, il dolore alla gamba continuava ad impossessarsi delle articolazioni, la schiena però cominciava a sentirsi appena più leggera, la pelle ancora inumidita dal sangue che non riusciva a vedere e che bagnava quasi completamente l’armatura appiccicata alla sua pelle. Quando si voltò, si ritrovò a guardare quelle altre sbarre, appena più alte, mentre scivolavano via nel terreno, risucchiate da esso. Immobile, Coco attese ansiosa il momento in cui si sarebbero dileguate sotto la superficie e, dopo aver inspirato quanto più ossigeno le fosse possibile immagazzinare all’interno dei propri polmoni doloranti, Coco tornò a muoversi. Roy era lì nel suo stesso spazio, ne bastava poco ad entrambi, a quello erano abituati. Non c’era più alcun ferro a dividerli, alcun ostacolo. Erano insieme. Lo vide farsi forza per sollevarsi, le mani scure che andavano a premersi contro il pavimento friabile per drizzarsi. Si guardarono ancora, l’ombra di un debolissimo sorriso apparve istintivamente sulle labbra di entrambi nel momento in cui, finalmente, Coco si sentì libera di avvicinarsi a lui. I suoi passi si affrettarono, il corpo sembrò essere spinto da una forza più forte del suo controllo, come se fosse lui a tirarla verso di se e quella non fosse una scelta dettata dal suo istinto. Roy! fu solo capace di chiamare quel nome, un riflesso spontaneo della lingua che si mosse disegnando lettere che conosceva a memoria. Allargò le braccia per tornare a sigillarle attorno al corpo di Roy, di nuovo in piedi. Ci sarebbero state innumerevoli cose che avrebbe voluto dirgli, parole che forse neanche esistevano, ridare loro attimi che avevano sprecato. Avvertiva il battito cardiaco tamburellare ovunque sotto la pelle, come se non avesse un cuore ma miliardi di piccole particelle che creavano un caos assurdo dentro di lei e le facevano tremare le mani e le gambe. Portò le mani dietro la nuca di Roy, andando a premere i palmi contro di essa e cercando di afferrare con la punta delle dita ogni singola parte di lui, come se avesse paura di vederlo scivolare via da un momento all’altro. Chiuse gli occhi solo per qualche istante, sospirando pesantemente mentre ritrovava se stessa sotto la pelle di lui, come una radice alla ricerca acqua e terra, un posto sicuro in cui tornare a fiorire. Nella mente un uragano: gettava tutto all’aria e sollevava i tetti delle abitazioni, ci ritrovava dentro la vita che restava nascosta al cielo. Stai bene? chiese solamente qualche secondo dopo mentre, controvoglia, si allontanava col busto da lui per puntare lo sguardo nel suo e le mani scivolavano dal suo collo al viso, si premettero sulle guance infuocate di Roy mentre lo tenevano stretto nella sua presa. Fu un attimo solo e poi tutto si capovolse di nuovo. L’ennesima ondata di potere, l’ennesima giocata di un destino che forse non voleva vederli insieme, Coco non sapeva cosa potesse essere, eppure fu forte come uno schiaffo in pieno viso. Staccò con fretta le mani dal corpo di Roy, come se ne avesse preso la scossa e non potesse sbarazzarsi di quella sensazione d’elettricità che raggiunse anche le sue ossa. Le portò istintivamente alla testa, premendo i palmi sulle tempie e serrando gli occhi si ritrovò a scuotere il capo come se volesse schiacciare via un qualsiasi pensiero di troppo. Credette di poter esplodere e di perdersi nell’aria, fluttuare in mezzo al blu del cielo per poi ricascare su se stessa. Si voltò verso il centro dell’arena, la fiamma bruciava viva e danzava sinuosa fra di loro, accresceva così come quella strana forza che avvertiva tirare tutte le sue terminazioni nervose. Serrò le mani in due pugni perlacei mentre cercava invano di contenere la propria abilità, eppure non servì a niente, poiché a quel punto la sua particolarità si ribellò anche alla sua pelle, rivelandosi più forte del dovuto e, contro ogni logica, andò ad abbattersi all’esterno.
    Vi fu, per un brevissimo istante, una lucida consapevolezza. Appena prima che la propria particolarità andasse a riversarsi contro di lei, Coco guardò Roy. Non era la prima volta che si ritrovavano l’uno contro l’altra. Non era la prima volta che si guardavano sviscerandosi l’anima senza neanche potersi toccare. Passi che si erano spesso susseguiti fra mura di carta, sembravano andare a fuoco al solo passaggio di Roy, il suo fiato sul collo di Coco che, puntualmente, cercava di sfuggirgli. Quanto spesso avevano litigato, se n’erano dette di parole e se n’erano lasciati di segni sul corpo. Il tatto, quello s’incendiava ad ogni scontro, ad ogni presa, ad ogni stretta delle dita attorno ai polsi. Allora tornavano a guardarsi perché lui lo voleva, perché Roy cercava di riprendersi il proprio posto lì dove gli spettava, li dove Coco aveva deciso tanti anni prima di lasciarlo. Un borsone dopo l’altro, uno sguardo dopo l’altro, un bacio dopo l’altro. Non avevano saputo come amarsi, nessuno lo aveva mai spiegato loro. C’erano stati momenti di meravigliosa tranquillità alternati ad attimi di pura guerra a mani nude. Pressione esplosiva, generava un campo d’energia che buttava ogni certezza al terreno e loro poi, intenti a schiacciarla e distruggerla, vi premevano sopra i talloni. Le parole erano sempre scivolate via velocissime dalle labbra, un nido incapace di contenere tutto quello che c’era in gola, si gonfiava e gonfiava e poi perdeva tutto l’ordine e quell’equilibrio che li teneva a bada. E mentre lo guardava, Coco, ripensava a tutte quelle volte in cui l’aveva riaccolto, cancellando le tracce di tutti gli sbagli, tornando a stringere fra le mani quella pazienza intasata da un amore che neanche avrebbe mai potuto spiegare a parole. Non era stato mai facile, con lui. Non era mai stato regolare, un gioco che aveva continuato a sporcare entrambi fino a macchiare tutto quello che avevano avuto intorno. E in quel momento, mentre chinava leggermente il capo di lato ed increspava le sopracciglia perdendo ogni singolo ricordo che avesse custodito di lui fino a quel momento, Coco si ritrovò a vivere l’eco di una di quelle lotte, un moto di ribellione che scalpitò nel suo torace, sotto le costole, portando con sé un buio che avrebbe oscurato ogni singolo ricordo costruito insieme.
    Dopo aver compiuto qualche passo indietro, studiò il proprio avversario con gli occhi, seguendone i movimenti e serrando le labbra per rinchiudersi in un silenzio torbido e calcolatore. Non vi era alcuna traccia dell’isola felice, solo l’involucro di qualcuno che un tempo aveva aiutato Roy a dormire sereno durante notti di una guerra diversa. Sebbene lei fosse totalmente concentrata, notò che lui non lo era, per questo ne approfittò immediatamente per chinarsi verso il terreno e raccogliere così il reziario lasciato lì poco prima, per poi avvicinarsi a Roy con esso. Si mosse agile e fredda, seguendo quegli stessi passi che lui compiva girando lungo il pezzo di terreno a loro concesso, intento forse a schivarla o starle lontano. Ma Coco non lo perdeva di vista neanche un secondo, sostenendo quello sguardo con interesse e sorpresa, i capelli ricci che si muovevano ad ogni respiro insieme al suo torace. Quando gli fu abbastanza vicino sollevò quindi la propria arma, lanciandola sul corpo di Roy e catturandolo sotto di esso. Si chinò verso il basso, flettendo le ginocchia e racchiudendo le dita attorno alla rete tirò verso di se, lasciando scivolare Roy sulla sabbia, un peso morto che prendeva a dimenarsi sotto di essa per riuscire a liberarsi dalla trappola. Si risollevò sulle proprie gambe, Coco, ritrovandosi a girare per lo spazio dell’arena nel quale erano rinchiusi e trascinando dietro di se il corpo di Roy. Non proferiva alcuna parola, la guerriera, mentre restava concentrata sul suo avversario, e non potè nulla nel momento in cui il ragazzo andò a squarciare le filature del reziario con il gladio. Una volta libero, Coco si accertò con lo sguardo che fosse ferito, notando le piccole abrasioni che lei gli aveva appena procurato su tutto il corpo. Dopodiché ritirò l’arma verso di se, le mani che andavano a raccoglierla fra di esse mentre lo sguardo blu restava, ancora, fisso in quello di Roy. E ripartì quella lotta silenziosa, sguardi che si incontravano nel mezzo mentre, l’uno di fronte all’altra, si tenevano a debita distanza girando su quello stesso perimetro calpestato solo qualche istante prima. Non si attaccavano, non si difendevano. Si guardavano, cercando di decidere chi dei due avrebbe ceduto prima, quale dei due avrebbe rischiato. Poi, d’improvviso, Calypso si fermò. Legò una delle eternità del reziario alla vita, incastrandola in una delle fibbie, appena prima di avanzare frettolosamente in direzione di Roy. Avrebbe dovuto stordirlo se avete voluto vincere, voleva finirlo, vederlo steso sul terreno privo di vita. Iniziava a detestare quello sguardo, se lo ritrovava addosso ed era così imponente ed invadente da non riuscire a sostenerlo quasi più. Parlava, diceva cose che lei non capiva, eppure non aveva alcuna voglia di porre domande, non le interessava quel flusso di emozioni che vedeva sul suo viso. Lei non ne sentiva alcuna, ne era distante anni luce. Quando allora gli fu vicino, Coco non attaccò: tenne le mani distese lungo i fianchi e lo sguardo fisso in quello del ragazzo. Lisciò le increspature che fino a quel momento le avevano indurito lo sguardo, quasi volesse ingannarlo. Forse ci riuscì, perché in quel preciso istante anche l’altro sembrò abbassare le difese per qualche brevissimo istante. Sollevò lentamente un braccio, Coco, andandolo a posare sul torace di Roy. Restò ferma in quella posizione, cercò un briciolo di approvazione nel suo sguardo e poi, istintivamente, distrusse nuovamente quel legame fatto di riflessi per lui, quelli che vedeva negli occhi di chi credeva di conoscere, e immaginazione per lei, quella di cui si era appropriata per giocare sporco in quel modo e vincere. Ritirò la mano chiudendo le dita in un pugno e scagliandolo con tutta la forza che aveva nel braccio contro il petto di Roy, laddove una ferita continuava a sanguinare quasi prepotentemente. Neanche in quel modo sembrò atterrarlo, così approfittò del momento per spostarsi alle sue spalle. Sfilò via il reziario dall’armatura, cercando di essere quanto più veloce possibile mentre glielo passava sotto al collo e cominciava a tirarne gli estremi ai due lati del suo viso. Strinse quanto le fosse concesso, avvertendo le braccia e le gambe tremare per lo sforzo che quell’azione sembrava richiederle. Il corpo di Roy era ben più allenato di lei, ne poteva vedere i muscoli sulle braccia contrarsi mentre, per istinto di sopravvivenza, lui andava a premere le proprie dita contro i suoi palmi, intento ad allontanarli dal suo corpo. Ma in quel momento, qualcuno si presentò all’interno del campo visivo di Coco, la quale venne circondata da due figure già viste in precedenza. Fu un attimo e, inaspettatamente, Eddie posò le proprie mani sulle sue per aiutarla a tirare contro se stessa. A quel tocco, la presa sul collo di Roy sembrò divenire esageratamente più leggera mentre, piano piano, lo vide accasciarsi sempre più in basso. Aveva le labbra secche e semispalancate e gli occhi ridotti a due piccolissime fessure, cercava di sollevare il viso nella sua direzione per guardarla ancora. Se solo avesse compreso quello sguardo, Coco, avrebbe potuto lasciarlo andare. Ma Coco non era Coco e quello non era Roy. Con lo sguardo fisso in quello stanco del ragazzo, la guerriera non si accorse della fiaccola che Eddie volle avvicinare al suo reziario, dandogli fuoco. Non disse nulla, ma anzi, rincarò la dose stringendo con più forza la presa sulla corda e tirando in fretta verso di se mentre, con un ultimo scatto di forza, Roy si spingeva con le spalle contro il suo petto per cercare di allontanarsi dal reziario, invano. Le fiamme raggiunsero le mani di Coco e il collo di Roy, e solo in quel momento la ragazza fu costretta a lasciar andare l’arma, ormai completamente in fiamme. Lasciò cadere Roy al suolo, le mani di lei ormai completamente arrossate bruciavano come se avesse posato i palmi su della lava bollente. Osservò Helen avvicinarsi al corpo quasi senza sensi del ragazzo, il collo completamente arrossato dalla stretta soffocante in cui lo aveva costretto fino a qualche istante prima. Si accasciò per terra, accanto a lui, lasciando che Helen incidesse una X nel suo torace e, allungando una mano nella sua direzione, la spinse via. Non perché volesse salvarlo, non perché volesse intimidire lei. Coco -o quello che ne restava- voleva finire Roy con le proprie mani. In ginocchia di fianco al corpo disteso di lui, Calypso si chinò nella sua direzione, lasciando che i capelli ricadessero di lato e separassero il viso di Roy dal resto dello sfondo di lotte, corpi che si scontravano cercando di farsi fuori al meglio. Allungò le proprie mani in direzione del suo viso, posandole su di esso ed assorbendone il calore sovrumano. Scottava la sua pelle, Coco faticò a posarvi le dita, riuscendo solo dopo ad abituarsi piano a quel calore e lasciando che finalmente la propria abilità potesse sprigionarsi dentro di lui attraverso i suoi polpastrelli rossastri. Gli occhi non si distaccarono neanche per un secondo da quelli semiaperti di Roy, che inerme sembrava guardarla e pregarla di fermarsi senza aver bisogno di dire una parola. Lo fissava, Coco, ferma con la presa delle dita che si stringevano sulle guance morbide di lui. L’uragano che incontra il vulcano, l’indifferenza che incontra un sentimento. Sembravano scontrarsi per vedere quale dei due avrebbe avuto la meglio. Si perse per qualche istante nella fluidità di quegli occhi azzurri mentre, fuori ed intorno a loro, la terra riprendeva a tremare violentemente. Una scia di sabbia si sollevò annebbiando tutto il resto, ritirandosi verso il terreno e portando via con se tutto quanto: le recinzioni, le mura, gli spalti ricolmi di quelle anime deformi e, alla fine, anche l’amnesia che l’aveva colpita in pieno. Stringeva ancora le mani ai lati del viso di Roy quando, come un’ondata di vento e tempesta, tutto il loro mondo ricadde sulle sue spalle martoriate e macchiate ancora di sangue. Restò in quella posizione, come persa in un limbo di pensieri che non riusciva a contrastare, immagini che ricadevano su altre immagini del passato e si accatastavano le une sulle altre fino ad arrivare alle ultime, di soli pochi istanti prima. Lo aveva strozzato, aveva tentato di sconfiggerlo, di levare di mezzo qualsiasi linfa vitale che lui potesse conservare dentro a quel corpo. Aveva spezzato ogni legame avuto con lui nel passato per riuscire a distaccarsi da lui nel futuro. Tremò, Coco, che sembrava essere affetta da una paralisi momentanea, la quale sembrava impedirle di staccare le mani dal viso incandescente di Roy. Sgranò gli occhi, d’improvviso ricolmi di una patina lucida che non riusciva a scacciare via. …Roy? sussurrò piano e persino parlare fece tremendamente male. Staccò i palmi dalla pelle di lui senza allontanare le mani, lasciando che dell’ossigeno s’insinuasse tra il suo corpo e quello di Roy, andando ad occupare quel brevissimo spazio fatto di soli pochi millimetri. Col viso rivolto in direzione della nuca di Roy, Coco continuava a non voltarsi, indifferente al caos che vigeva intorno a loro. Non sembrò esistere molto altro, in quell’istante, un tempo che sembrava distorto e così distante dalla realtà da non poter essere neanche reale nella sua testa. Le lacrime vennero giù a fiotti, gocce d’acqua salata che andavano ad incontrare il calore della pelle di Roy sul quale sembravano poter evaporare nel giro di qualche secondo. Sarebbe voluta scomparire anche lei in quel modo, ridere di quell’esperienza e risvegliarsi da un incubo così strano. Ritirò finalmente via le mani portandosele al petto e nascondendole contro di esso, quasi avesse paura di poter sfiorare Roy di nuovo e fargli ancora del male. Era tutto ancora impresso nella sua mente: il modo in cui lo aveva privato delle sue forze, lo stesso attraverso il quale aveva ucciso una parte del loro amore, solo qualche tempo prima. Era strano crescere con la convinzione di avere un’abilità straordinaria, usata così spesso per aiutare altri, e poi ritrovarsi all’improvviso consapevole di tutt’altro. Senza averne il controllo, il suo potere avrebbe potuto portarle via tutto quello a cui più teneva. Fu come il flash di una macchina fotografica puntato negli occhi in piena notte, come i fari di una macchina che si accendono all’improvviso mentre si attraversa la strada nel buio più totale. Lo aveva usato per fare del male a Roy; lo aveva usato per togliergli la vita. Che cosa ho fatto… continuava a sussurrare a ripetizione mentre, ancora accovacciata di fianco a lui, Coco si teneva le mani contro il petto e lo sguardo legato a quello indebolito di Roy. Avrebbe voluto afferrarlo, abbracciarlo, stringerlo a se, eppure non si sentiva sicura di se stessa, avvertiva il potere esploderle ovunque sotto la pelle e non avrebbe mai rischiato di fargli ancora del male. Noncurante di ciò che sembrava accadere intorno a loro, Coco si distese accanto a Roy, senza toccarlo, nonostante avvertisse il potere scemare lentamente, quasi volesse abbandonare il suo corpo una volta per tutte. Tutta quella forza che aveva sentito dentro di sé fino a quel momento sembrava essersi dileguata assieme alle mura dorate dell’arena, sparita in una nuvola di sabbia. Roy, mi dispiace tanto. sussurrò piano, voltandosi nella sua direzione e restando con il fianco disteso sulla sabbia. Le labbra sfuggivano al suo controllo quando gli angoli andavano a piegarsi verso il basso in una smorfia di dolore, gli occhi continuavano a cercare quelli di Roy e a ritrovarseli allacciati. Guardò i segni sul collo, le mani del ragazzo arrossate molto più delle sue, la ferita sul torace che continuava a sanguinare e lei, che avrebbe dovuto proteggerlo, non aveva fatto niente affinché questo accadesse. Torniamo a casa? chiese piano, forse più a se stessa che a Roy, mentre allungava una mano verso di lui e si fermava a qualche centimetro dal suo braccio, impedendosi così di toccarlo. Non avrebbe mai più sprecato altro tempo.
     
    .
  14.     +6   +1   -1
     
    .
    Avatar

    All hype, no heart

    Group
    Vice
    Posts
    1,452
    Reputation
    +2,808
    Location
    kensington gardens.

    Status
    Anonymes!
    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: immagini disturbanti (gore), violente o contenuti sensibili (ferite, percosse, pestaggi e simili).
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


    Una mosca planò ronzando sulla fronte sporca e sudata senza che Roy reagisse.
    Le armi, le persone, l'aria, tutto era sospeso insieme al suo respiro, come se il tempo si fosse bloccato nella metà perfetta di un'azione importante, quella fatale. Il sole picchiava sulla curva perfetta della cornea secca e rifletteva quel mondo immobile, neanche le palpebre osavano infrangere quella realtà in stasi, fuori fuoco. Forse alla fine il corpo aveva ceduto alla morte nonostante lo spirito avesse giurato di non farlo, non prima di aver provato a riparare ciò che nella vita aveva spezzato. Ma dagli spalti le grida non avevano mai smesso di stracciare l'aria e spezzarsi nei timpani, un pizzico di qualcosa doveva ancora esserci in lui. Il primo battito di ciglia avvenne come uno strappo, il nero delle pupille mangiò l'azzurro dell'iride allargandosi, macchia di petrolio in un cerchio perfetto, a far entrare di nuovo quella luce che per un secondo li aveva lasciati.
    Tossì, aria e sangue che si mischiavano alla vita a cui Roy si era sempre aggrappato con forza, nonostante non fosse sempre stata gentile nei suoi riguardi. Solo una volta si era arreso e guarda cosa era successo, pensò col cervello che tornava lentamente in moto e lo sguardo che non aveva mai lasciato le figure lontane di Nora e Coco, neanche quando vitreo non riusciva più davvero a vederle. La terra tremò leggermente contro la sua guancia, le palizzate a rompere l'immobilismo esterno mentre si ritiravano nel terreno. Di pari passo, uno strano e quasi piacevole formicolio prevalse, rendendo il corpo meno dolorante, più vivibile. Quando Nora si perse fuori dai suoi occhi, quando vennero eretti altri muri più bassi - cos'altro avrebbe sputato fuori quella dannata sabbia? - quando sentì il suo nome gridato da quella voce che aveva avuto paura di non sentire mai più, quando lei si ingrandiva nel suo campo visivo, solo allora tornò davvero a lottare. Fiato nei polmoni, sabbia sotto le unghie, muscoli in contrazione. La mosca sbatté le ali e volò via. Roy si stava rialzando. Un sorriso incastrato fra sangue e sporco essiccati gli stiracchiò la pelle, mentre un paio di denti storti facevano capolino nello spazio fra le labbra, una forma sconosciuta di meteoriti scagliati senza senso nella bocca. Nonostante alcune ferite fossero guarite, quando i loro corpi si scontrarono alcune ossa, indebolite dai ripetuti scontri contro il terreno per mano di Sky, protestarono appena. Roy le ignorò. Solo in quel momento, col campo visivo occupato interamente dall'azzurro degli occhi e il nero dei ricci di Coco, fu davvero in grado di tornare a vivere. Lanciò uno sguardo sulla destra, dove il cuore raggiunse pace completa vedendo Nora sana e salva. Poi tornò a sprofondare con naso fra quel cespuglio di pece. Non vedeva nient'altro e andava bene così, quello era l'unico buio in cui si perdeva volentieri e senza paura. La strinse contro la sua persona come per diventare un tutt'uno, incurante delle leggere fitte al costato, della sete, della stanchezza. Coco è qui. Coco sta bene. Coco è con me. Ci erano voluta un vera guerra per farli arrivare a quel punto, quanto era stupido? Espirò, il petto si era appena liberato di un grande macigno. Le mani sul collo, sulle guance ardenti, con la testa leggermente piegata Roy lasciò che il palmo sinistro di Coco la raccogliesse, la guancia che strofinava la pelle in un leggero movimento. Annuì. Ora bene. Tu? Raddrizzò il collo per voltarsi e lasciare un bacio sullo stesso palmo, non sapendo che quel gesto avrebbe sancito l'inizio di un altro distacco. L'ennesimo. E forse il più doloroso. La conosceva bene la sua Coco, tanto da capire che qualcosa non andava ancor prima che lei lo lasciasse, prima che le fiamme colpissero di nuovo i loro corpi, prima che l'aria si frapponesse in mezzo a loro creando una distanza che quella volta, forse, li avrebbe spezzati del tutto. Coco? Che succede? Vederla soffrire non si registrava bene con le corde di cui il suo cuore era fatto, ma la mano che aveva allungato non avrebbe mai raggiunte le spalle sottili della ragazza, rimanendo un ponte che dava sul nulla.
    E il nulla fu quello che vide specchiandosi di nuovo in lei, mentre dietro le morbide ciglia lo sguardo si induriva diventando cemento. Ogni cosa per svuotarsi deve essere piena, e per un secondo Coco fu ancora come lui, traboccante di loro e di ciò che avevano trovato, perso, e ritrovato di nuovo, anno dopo anno, tregua dopo tempesta, guerra dopo pace. Un lieve spostamento d'aria forse, troppo lieve per essere percepito come ammonimento, troppo insignificante contro il sollievo di vederla raddrizzarsi, girarsi e tornare a guardarlo. Troppo poco per metterlo in guardia, prepararlo a ciò che sarebbe venuto. La vecchia sensazione tornò, qualcuno aveva premuto di nuovo on, o piuttosto aveva alzato al massimo il volume, e le grida lo raggiunsero dagli spalti, incitandolo a combattere. Ma c'era qualcosa che questa volta lo bloccava, qualcosa di forte le cui radici affondavano nei capelli di Coco sin dal prima. Prima dell'arena, prima delle litigate, prima del carcere, della guerra, prima di Eyr, arrivando all'inizio di tutto, quando lei era solo una figura opalescente dietro la tenda azzurrina. Era lì che Roy aveva messo radici, e ora non voleva far male alle fondamenta che l'avevano sostenuto negli ultimi sedici anni. La guardò con tutto quel misto di emozioni dietro le palpebre spalancate. Ma lei era piena e l'attimo dopo non lo era più, confondendo terribilmente Roy quando la vide afferrare il reziario da terra e brandirlo contro il fianco. Nonostante la distanza, il freddo disperso nei suoi occhi riuscì a farlo rabbrividire. Cosa stava facendo? Lo disse ad alta voce: - Che cazzo fai? - Piano però, la domanda di chi non vuole credere che tutto sia già perduto prima ancora di ricominciare. L'istinto lo portò a muoversi in cerchio, a difendersi piuttosto che attaccare. Allungò il braccio libero dal gladio in avanti, puntualizzando una distanza che lei voleva accorciare. Coco, ascoltami. Ma lei non ascoltava anzi, con un gesto sorprendentemente rapido riuscì a buttare il reziario sul suo corpo e, tirandolo con entrambe le mani verso di lei, fece in modo che Roy perdesse l'equilibrio, intrappolandolo sotto i pesi di cui la rete era fornita. Per l'uomo fu inutile dimenarsi e cercare di aprirsi un varco, quando Coco iniziò a trascinarlo dozzine di piccole abrasioni squarciarono le mani e le gambe di Roy. Anche chiamarla si rivelò vano. Lei che si era sempre voltata quando lui le parlava, ora non si girava a guardalo, come se il dolore straripante dal suo nome non la sfiorasse nemmeno. In quel momento si rivede urlarle cose cattive dalle finestre del carcere ogni volta che la vedeva passare. Anche in quella occasione, in effetti, Coco non si era mai voltata. Quel pensiero bruciò più delle ferite sui palmi, ma gli diede abbastanza forza da riuscire a spezzare i fili del rezario col gladio stretto in pugno. Si rialzò e la danza della morte ricominciò, questa volta Roy però teneva l'arma puntata davanti. Coco. Respirava forte, le narici dilatate e il sudore gocciolante dalla fronte. Non voglio farti del male. Forse fu la disperazione nel suo tono di voce, ma qualcosa sembrò scattare nello sguardo della ragazza che infatti si era fermata, le braccia molli lungo i fianchi. Almeno così gli sembrò, così si convinse che fosse. Un tumulto lo agitò interiormente quando la vide avvicinarsi a lui, lo sguardo dolce, i movimenti delicati, tutto così diverso da un istante prima. L'idea che fosse strano non gli interessava, forse non lo sfiorò nemmeno, trappola non era una parola che usavano spesso fra loro: preferivano sempre affrontarsi di petto, senza inganni. E infatti Roy non solo abbassò la guardia, ma anche l'arma, perché In quel momento Roy vedeva quello che il suo cuore desiderava, e Coco lo sapeva. Le dita sul petto erano ghiacciate e quasi sfrigolarono contro la sua pelle. Non voglio farti del male... Ripetè a bassa voce con il respiro caldo di lei sulle guance a ricordargli che potevano ancora essere felici. Il colpo sulla ferita sanguinante arrivò all'improvviso e sì, fece così male da mozzare il fiato, ma fu niente in confronto alla realtà che di nuovo si spezzava fra le dita di Roy. Oh. Fu tutto quello che riuscì a dire, un verso che dallo stupore si infrangeva nel dolore mentre qualcosa si incrinava fra loro. Vacillò, una mano sul petto, riuscendo per un pelo a non soccombere alla gravità. Dovette però chinarsi in avanti, le ginocchia piegate e gli occhi resi acquitrini dal dolore. Quando la percepì muoversi fu troppo tardi, e il filo del reziario scivolò sotto al collo quasi delicatamente, una carezza che da morbida diventa violenta all'istante. Questa volta le gambe cedettero e Roy cadde all'indietro, il collo teso per la forza con cui Coco lo stava attirando verso di sé. Proprio come a volerlo uccidere. La mani andarono ad afferrare il dorso di quelle di lei, le unghie nella carne per tentare di alleviare la stretta che lo stava soffocando. I piedi scalciarono nella sabbia, voleva mettersi in piedi ma continuavano a scivolare senza trovare appiglio. Co-co. Il viso rivolto in alto gli era in fiamme, gli occhi puntati in quelli che un tempo erano di Coco ma ora non riconosceva più. Vi si specchiò dentro, ritrovandosi a guardare il proprio viso congestionato, gli occhi cerchiati di rosso fuori dalle orbite. Allungò una mano all'indietro cercando il suo viso. Forse voleva spingerlo via, graffiarlo, forse voleva solo accarezzarlo. Non lo trovò comunque, le energie perse e la mancanza di ossigeno lo costrinsero a rinunciare. Era assurdo pensare a come quante volte in passata aveva voluto ferirla e ora, con il filo a lacerargli la carne del collo, Roy non riuscisse ad imporsi di farlo. t-ti.amo. una confessione sciocca, patetica, balbettio inutile di un condannato a morte, ma avrebbe detesto andarsene senza essere riuscito a dirle quelle parole che troppo poco lei aveva sentito. La vista era così appannata che a stento percepì l'arrivo di altri individui, sentendone tuttavia la potenza quando Eddie iniziò ad aiutare nell'impresa di ucciderlo. Questa volta allungò un braccio, spingendo le dita sulla faccia del ragazzo per cercare di farlo smettere. Aveva bisogno di ossigeno, sarebbe bastato un secondo ti tregua per immagazzinarne un po. Toccò qualcosa ma solo lievemente, poi il pugno strinse una manciata d'aria prima di crollare al suolo insieme a ciò che rimaneva di Roy, il corpo ormai troppo pesante per combattere un secondo di più. Non reagì particolarmente neanche quando un dolore nuovo giunse al collo e la puzza di carne bruciata arrivava al naso senza che se ne accorgesse davvero. L'aria però aveva riprese lentamente a fluire, ma il fisico del ragazzo era già troppo compromesso per riuscire anche solo a tossire. Ormai gli occhi non vedevano quasi più niente se non ombre allungate su di lui, molto più simili agli incubi da cui Coco lo aveva spesso calmato. Ora, invece, ne era la grande protagonista. Quando qualcuno iniziò a incidergli il petto, Roy trovò solo la forza di digrignare i denti, una smorfia sul viso che nulla poteva contro i suoi aguzzini. Pur volendo, non sarebbe riuscito a muovere un muscolo. Ogni parte di lui pulsava, doveva essere così, ma Roy non sentiva niente se non una stanchezza pesante che lo annichiliva.
    Strano come lungo la linea sottile tra vita e morte le cose si storpino. Il dolore, quello che avrebbe dovuto distruggerlo, era solo un eco lontano e ciò che invece occupava tutta la sua mente erano le punte dei capelli di Coco sul suo viso. Cercò di aprire il più possibile dli occhi ma continuava a vederla spezzata, non intera. Era una di quelle cose a metà, ma che ferivano appieno. C--co-- La chiamava nonostante fosse senza fiato, la voce resa roca e gracchiante dalle corde vocali schiacciate dal filo. Avrebbe sempre provato a riprendersi la sua isola felice, fosse l'ultima cosa che faceva. Questa volta, o mi salva, o mi uccide. Quando sentì le dita di lei sulle guance, Roy chiuse gli occhi, una singola lacrima che dalla palpebra scivolava nell'orecchio. Perché la sola cosa che amo mi sta uccidendo? Pensò mentre le poche energie rimaste fluivano via da lui, un po' come quel sangue che torbido impregnava la sabbia sotto il suo corpo.


    Roy non fu testimone del miracolo successivo, la seconda chance che gli veniva servita per incistare i pezzi della loro vita di nuovo insieme. Non sentì la terra tremare e non vide le palizzate ritrarsi, la sabbia avvolse il suo corpo privo di sensi senza che lui se ne accorgesse.
    "…Roy?" Quando rinvenne fu l'ennesimo strappo, la bocca semi-aperta cercò aria trovandola con rantoli sommessi ma doloranti. Per un momento dimenticò dove fosse, dimenticò sé stesso e Coco. Il dolore, prima tanto attutito, ora era l'unica cosa reale e dall'interno spingeva contro la pelle e le ossa di Roy. Vedeva ancora poco, la vista appannata si perse nel verde di profonde fronde in movimento. La mano destra cercò di alzarsi posandosi d'istinto sulla gola, un tocco appena che gli fece digrignare i denti con forza. Come con l'arena che scompariva e la sabbia vorticante, Roy si era anche perso il tocco di Coco che da freddo tornava ad essere caldo, genuino, pieno di loro. "Che cosa ho fatto…" Solo allora il ragazzo voltò piano il capo per iniziare a riacquistare il senso di ciò che lo circondava, il senso di Coco di fianco a lui. Dov'era Nora? Provò a parlare senza successo, l'agitazione cresceva di pari passo con i ricordi di quello che era successo. Guardò lei e per un attimo ne ebbe paura, il corpo che d'istinto reagiva a una presenza che fino a pochi momenti prima aveva cercato di ucciderlo. Ma quando notò le mani strette al petto, le labbra all'ingiù e le lacrime sul viso, Roy ebbe le risposte che tacitamente cercava: Coco era tornata da lui. Deglutire faceva malissimo, parlare sembrava impossibile. Sbatté le palpebre più volte, lo sguardo che faticava a fissarsi sul viso di lei e vagava in alto, dietro le palpebre. Stava lottando, ma tornava sempre. E infatti si riagganciò a lei, le labbra che si muovevano per dire qualcosa senza riuscirci. La vide stendersi accanto e provò a girarsi per fronteggiarla, riuscendovi solo per metà. Allungò una mano incrostata di sangue e terriccio, la protese poggiando i polpastrelli sulla guancia bagnata della ragazza. Con un lentissimo movimento Roy annuì, riuscendo persino a mostrare i canini affilati attraverso le labbra screpolate. . Pensò. Casa. disse solamente, la mano ancora su di lei e il gomito piantato nel terreno. Quel ponte umano che dal nulla, finalmente, si affacciava su di lei.
     
    .
  15.     +6   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Cittadini
    Posts
    2,692
    Reputation
    +2,159

    Status
    Anonymes!
    Lukasz Leon Lewandowski|31 y.o.|Gorgone| Hold me.

    C’era così tanto in gioco stavolta. Così tante variabili che sfuggivano al suo controllo che quella battaglia era divenuta qualcosa di alieno a qualsiasi situazione conoscesse. Aveva imparato a mantenere la calma negli anni, a operare anche sotto pressione, mentre in ospedale scattava l’allarme antincendio, mentre c’erano contemporaneamente da tenere sotto scacco un’emorragia, un arresto cardiaco, la saturazione, un anestetico che smetteva di fare effetto. Era divenuto multitask, negli anni, eppure quella sua capacità non gli era stata utile in quel momento. Aveva perso il controllo su tutto, persino su se stesso. In primis, su di sé. Gli era capitato di perdere la via, di mutare a seguito degli eventi, di sentirsi in disaccordo anche coi propri pensieri. Ma mai come allora, il giovane chirurgo aveva perso se stesso. Si era dissolto, dietro una volontà che non gli apparteneva. Esiliato chissà dove, tra i meandri taglienti della propria psiche, Lukasz non era minimamente riuscito a lottare contro ciò che aveva posseduto il suo corpo. Solo un ricordo era rimasto vivo, tra tutti quelli che pareva aver rimosso: Nora. Lei era lontana, in chissà quali condizioni in mezzo a quell’arena. Era a lei che pensava, anche allora, mentre il suo corpo si rifiutava di muoversi e il suo sguardo menomato lottava contro la luce del sole che sembrava volerlo inglobare. Diviene tutto più difficile, quando l’ossigeno mette di fluire al cervello, tutto più letale, quando il petto si rifiuta di muoversi dall’alto in basso per assimilarlo. D’istinto, contravvenendo a tutto ciò che fino ad allora avrebbe fatto in una sala operatoria, aveva sfilato ciò che restava del palo che l’aveva trafitto, solo per respirare ancora una volta, per non soccombere all’asfissia. E per un momento aveva trovato sollievo, un labile istante prima di vedere il sangue prendere a fluire più copioso, caldo, sotto alla sua mano. Dicono che morendo si rivivano i momenti salienti della propria vita. Ma non c’era nessuna immagine ad accompagnare quei momenti, se non la paura del non poter fare nulla, la consapevolezza che ogni instante, ogni respiro avrebbe potuto essere l’ultimo. Una paura che attanagliava lo stomaco molto più del dolore di una ferita. Lottò, il medico, per fermare quel processo. Ne era capace, lo sapeva, gli serviva solo la forza e qualche mezzo per farlo. Gli serviva solo tempo. C’era ancora qualcosa che doveva fare, qualcuno che doveva vedere, qualche parola che doveva dire. Di nuovo il fuoco solcò il suo campo visivo. Quel maledetto fuoco che sembrava aver bruciato la sua volontà poco prima, averlo reso folle, spaventoso, irriconoscibile. Forse quel fuoco avrebbe spazzato via tutto, e ogni sua mossa si sarebbe rivelata inutile. Forse non sarebbero rimaste che macerie di quel corpo leso, e fumo al posto di quell’animo già ridotto a una macchia sfocata. Ma non fu morte che vide oltre la coltre di fuoco, non il dolore delle fiamme sulla pelle che ancora sembravano bruciare sul suo viso. Di nuovo, il fuoco non ardeva davvero. Leniva paura e ferite, dolore e rassegnazione. Portava vita con sé, e rabbia. Poté percepire la propria carne contrarsi sotto la propria mano, rimarginarsi in parte, il sangue caldo rallentare il suo flusso. Si acquietò in parte, il suo respiro, mentre ancora disteso a terra si chiedeva cosa fosse accaduto, e a cosa fosse dovuta tanta benevolenza. Nemmeno si rese conto di quanto più lucidi e intimi fossero divenuti di nuovo i suoi pensieri, di nuovo appartenenti alla mente dell’uomo che era stato prima d’allora. E tra questi, di nuovo, uno vinse su tutti. ”Nora” Bisbigliò, con un filo di voce, la gola praticamente prosciugata dalla sabbia e da sangue stagnante. Non si curò del fatto che la ferita fosse ancora in parte aperta, né del giramento di testa che conseguì allo scatto che fece per rialzarsi. Intorno a lui, le barriere venivano inghiottite dalla sabbia dell’arena. La mano corse lesta a recuperare l’ormai familiare manico freddo del tridente, le gambe presero a muoversi rapide, guidate stavolta da una volontà che conosceva bene: la propria. ”Nora!” Gridò, o almeno cercò di farlo, individuandola poco distante, sempre più vicina. Viva, ancora in piedi sulla sabbia di quell’arena maledetta. Per un istante quella visione sollevò il suo animo, e sciolse il nodo che lo avvinceva, facendolo sentire dannatamente leggero. Non tutto era perduto ancora, se il suo cuore batteva, se il suo sguardo era ancora in grado di incrociare il suo. ”Nora. Dobbiamo andarcene di qui, non è contro queste persone che dovremmo combattere”. Disse, raggiungendola e accarezzandole la guancia, in un breve attimo di lucidità. Ma quello che incontrò non era uno sguardo spaventato. Le pupille dilatate di lei erano ancora colme di rabbia, gli arti tesi pregni dello stesso furor che percepiva ancora nei propri. La furia dei berserker non era ancora sazia, gli spettatori di quel macabro spettacolo non ancora appagati. Capì che non era finita, capì ciò che Nora voleva fare giusto un istante prima, dandosi il tempo di indietreggiare ed alzare il tridente sopra al proprio viso per parare il colpo dell’arma di lei. I suoi muscoli, stranamente sembravano reggere ancora, la sua mente cullata dalle grida del pubblico era ancora fin troppo recettiva e pronta alla battaglia. Era il suo animo ad essere spezzato, dilaniato, eroso da tutta quella violenza. Impotente di fronte alla furia dei loro corpi. Non voglio più combattere. Si ripeteva, mentre si costringeva a difendersi, a sopravvivere, come un animale ferito e in gabbia. ”Nora fermati, non voglio combattere contro di te!” Ansimò, indietreggiando ancora e parando un altro colpo frapponendo il manico del tridente tra le punte acuminate di quello di lei. Non sembrava vederlo, Nora. In quel momento sembrava un sogno, ciò che fino a poco prima era accaduto. Loro che si rincorrevano tra gli alberi, Nora che rideva, lui che sfiorava il suo naso. Era stato un sogno, un bel sogno. Si rincorrevano di nuovo, adesso, come bestie fameliche in quel recinto, senza più un sorriso disegnato sul volto, senza più quella inaspettata spensieratezza. Per darsi la morte, per terminare quell’inseguimento come gli spettatori di quell’agone speravano che finisse: col sangue di uno, o di entrambi. Ma Lukasz non voleva più combattere, non contro colei che fino ad allora aveva cercato di proteggere. Avrebbe dovuto almeno provare a riportarla indietro, a disarmarla, a richiamare la sua coscienza dal limbo in cui era sospesa. ”Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati in ospedale? Ok, forse quella non te la ricordi. Quel giorno al parco, ti ricordi? Eravamo insieme, Nora, noi non ci odiavamo..” Si spostò verso destra, schivando un colpo che gli procurò giusto un graffio al braccio. Guardava i suoi occhi, anticipava le sue mosse, ma non avrebbe potuto farlo per sempre. Il suo corpo era fiaccato da quel combattimento, così come il suo spirito. ”Noi non ci odiamo. Nemmeno un po’. Aveva il fiatone, a forza di scappare, di parare i colpi sferzati dalla furente ira della ragazza dagli occhi scuri. ”Quando ti ho baciato nella cupola, ricordi? Ho mentito. Non è stato un erro- “ Il fiato gli morì in gola, la voce strozzata dal colpo ricevuto. Il suo vano tentativo di evocare in lei dei ricordi non era stato sufficiente. Abbassò lo sguardo, verso il punto da cui il dolore aveva iniziato a propagarsi, tanto forte da togliergli il fiato. Le punte del tridente erano infilzate nella parte destra del suo addome, tutte e tre, di nuovo. Sapeva che non sarebbe potuto fuggire per sempre. Sapeva di non poter reagire allo stesso modo, contrattaccando. Non voleva più combattere, non l’avrebbe fatto. Ma poteva fermarla, nell’unico modo che aveva imparato: quello con cui Roy aveva fermato lui. Trattenne il tridente, prima che lei potesse sfilarlo, e lasciò che il suo sguardo mortale consumasse la superficie metallica di quell’oggetto. Potenziata com’era, la sua particolarità avrebbe potuto sfuggirgli di mano in qualsiasi momento. Ma doveva controllarla, per sé, per Nora. Quando lo sguardo della gorgone ebbe logorato il metallo, e lo ebbe reso materia altra, scagliò il tridente che ancora impugnava contro di esso, spezzando l’arma di lei in tanti frammenti. Cadde a terra in ginocchio, ansimante, col sangue che di nuovo correva sopra e sotto la sua armatura, lungo la sua gamba. Teneva il tridente puntato nella sua direzione, per tenerla lontana. Sapeva che avrebbe potuto fermarla, sarebbe bastato uno sguardo, un battito di ciglia. Ma non voleva. Non voleva più combattere. Non costringermi a scegliere tra te e me, sai cosa sceglierei.” Aveva scelto di salvare lei, nella cupola, quasi senza sapere chi fosse. Avrebbe scelto di salvare lei, ancora una volta, a maggior ragione, ora che conosceva in parte cosa si celava sotto la sua corazza. Si rialzò in piedi, a fatica, gettando a terra il tridente. Per un attimo la vide, la Nora che conosceva. La ragazza dai mille tormenti tanto spaventata dalla felicità da averla rinnegata. La ragazza indifesa trascinata su una scacchiera. La ragazza che aveva seguito senza esitazione in quel bosco, in quell’illusione. Un attimo di esitazione. Uno di troppo. Nemmeno si accorse dell’uomo che era giunto alle sue spalle, e quando si rese conto di quel contatto fisico, aveva già una lama premuta sul collo. Provò a divincolarsi, lasciando che quel freddo oggetto scivolasse sulla sua pelle. ”Se l'avessi uccisa prima concedendole la morte guerriera che meritava, il Valhalla ti avrebbe atteso a braccia aperte”. Successe tutto così rapidamente che le immagini parlarono prima ancora che potesse comprendere il significato di quelle parole. La guerriera bionda si avventò su di Nora, come se fosse un manichino, e iniziò a menare fendenti con una velocità allucinante. Il rumore del pugnale che infilzava la sua carne gli tolse il respiro. Pochi colpi, ben assestati, che la ridussero a un corpo accartocciato su se stesso. ”NO!” Urlò, divincolandosi dalla presa di quel tizio, per correre da lei. Era come se il tempo, se il mondo là intorno si fosse fermato. Non udiva più alcun suono se non quello del corpo di Nora che batteva contro la sabbia. Non udiva nemmeno la propria voce. Forse stava urlando, forse stava semplicemente soffocando, che importava? Percorse quei pochi metri che lo separavano da lei in una frazione di secondo, inginocchiandosi al suo cospetto e sorreggendole le spalle. Dimenticò per un istante quella guerra, gli altri che ancora combattevano, le proprie ferite. Ce n’era una che faceva più male di altre. Quella che sembrava avergli strappato lo sterno e averglielo infilzato nel cuore. ”Nora! Resta con me, resta con me.” Si sbrigò a tamponare le ferite con ciò che riuscì a strapparsi di dosso da sotto l’armatura: un pezzo di maglia, una manica. Ma erano gravi, dannatamente gravi. Tremava, Lukasz, che ancora una volta si trovava a non avere tempo, a dover combattere contro di esso senza possibilità di successo. Si sentiva soffocare, come se il sangue che scorreva sul torace di Nora fosse contemporaneamente preso dal suo corpo. Aveva fatto di tutto per impedire quello, non era bastato. Miserabile, impotente, Lukasz Lewandowski stava di nuovo perdendo tutto. Il poco che era rimasto. L’unica cosa bella che aveva a fatica recuperato, tra le ceneri della propria esistenza. ”Non lasceremo che vincano. Combatti con me, adesso.” Cercò di tenerla sveglia, mentre lei provava a parlare, conscio che l’unica cosa che sarebbe servita a lei sarebbe stato il tempo che non avevano. Il tempo di vincere quei maledetti giochi, di chiamare aiuto, di attendere soccorsi. Non bastava per fare tutto ciò, il tempo scandito dai singhiozzi di Nora, dal suo sangue che non si fermava. Ma potevano averlo. Poteva avere indietro il tempo che non aveva avuto su quel treno a Cracovia. Poteva riscattare il tempo che aveva perduto a riparare qualcosa che non si poteva aggiustare. Voleva avere il tempo che gli era stato negato con lei. Se lo meritavano, più tempo, quei due reduci che avevano provato ad accendere una candela nella melma nera di quell’abisso. Una lacrima solcò il suo viso, bruciante sulla guancia martoriata dalla mano di Roy. Sapeva, Lukasz, che c’era un’alternativa. Una pericolosa. Una che l’avrebbe reso un assassino nel peggiore dei casi, un pazzo nel migliore. Ma era l’unica possibilità che riusciva a intravedere. ”Perdonami.” Sussurrò, accarezzando il suo viso e posando un bacio delicato sulle sue labbra. Forse lei aveva già capito cosa la aspettava. Guardò i suoi occhi, quei suoi bellissimi occhi scuri e stanchi. E lasciò che in quello sguardo si insinuasse ciò che era in grado di interrompere una vita e lasciarla in stasi, che il suo volto divenisse quello che era nei suoi incubi peggiori, e che il suo corpo seguisse lo stesso destino. La sentì farsi più pesante, tra le sue braccia. Il candore della pelle divenne grigio, come la pietra. Ora era davvero divenuto il mostro che aveva sempre temuto di essere. Ora aveva compiuto quella scelta che mai avrebbe creduto di dover affrontare. La tenne tra le braccia, e le fece scudo col proprio corpo, quando la terra iniziò a tremare e l’arena a sgretolarsi, come un castello di sabbia, affinché nessun danno fosse arrecato a quella statua tanto preziosa. Non avrebbe lasciato che vincessero.

    Il boato sembrò interminabile, finché non rimase che silenzio, rotto solo da urla e gemiti. In quella condizione di stasi, Nora sarebbe rimasta così com’era nel momento in cui l’aveva pietrificata. Viva, almeno. Restava solo la parte più difficile: riportarla indietro. Ridare la vita a una statua non era come pietrificare qualcuno. Ci era riuscito, qualche volta, con piccoli animali che aveva pietrificato. Ma una persona, quello era difficile. Richiedeva un’energia che al suo corpo sempre più fiaccato dall’astenia e dall’emorragia ancora in corso sembrava una richiesta impossibile. Ma l’aveva promesso, a sé stesso. Aveva promesso che avrebbe resistito, che l’avrebbe portata via da quell’arena. Che avrebbe rubato tempo al tempo stesso, per dargliene a sufficienza. Per avere ancora qualche istante da condividere, da vivere.
    L’arena non divenne che una distesa di corpi inermi, in mezzo a un bosco. Un elicottero in lontananza riaccese la speranza che persino lui aveva perduto. Sirene. Aiuto. Ancora tra le sue braccia, Nora sembrava essere stata scolpita dal più ispirato degli artisti, dormiente. Avrebbe dovuto riportarla indietro prima che fosse troppo tardi, prima che non fosse stato più in grado di farlo. Con la vista offuscata la adagiò delicatamente a terra, e richiamò a sé tutte le poche forze che gli restavano. Avrebbe dovuto farlo con sua sorella e Klaus, se avesse potuto. Avrebbe dovuto fare i conti col tempo, che non amava essere sconfitto.
    Spaventoso, mortale, lo sguardo della gorgone divenne qualcos’altro. Non più solo morte, ma anche vita. Alcune parti di quella statua che aveva macchiato col proprio sangue ripresero colore. Prima l’armatura, le vesti, e poi l’incarnato, i capelli, le ciglia, le labbra. La forza scivolava dal suo corpo e risvegliava lei dal sonno di morte che le aveva imposto. Ma avrebbe funzionato davvero? Avrebbe avuto senso? Allungò una mano, sul suo collo, mentre il mondo intorno a lui vorticava come se stesse di nuovo crollando. Sospirò. Aveva smesso di percepire il proprio, di corpo, da un po’. Ma ora poteva percepire altro. Il battito di un cuore, pulsare irregolare e agitato sotto le sue dita. Forse c’era ancora tempo.
    Forse un giorno avrebbe dovuto restituire quel tempo che aveva rubato. Forse non ne avrebbero mai avuto altro, di quel tempo che volevano. Forse non era che un illusione, il tempo, così come lo erano loro. Forse non esisteva il tempo, in quel buio.
    Cadde a terra, sulla sabbia, accanto a lei, con la mano ancora poggiata sul suo corpo. Non percepì più nulla. Nemmeno il proprio cuore, o quello di lei. Nulla a cui la sua speranza potesse aggrapparsi, stavolta.

    Resta con me, e io farò lo stesso. Non ti lascerò cadere da sola, tra le fiamme. Siamo nello stesso precario punto d'equilibrio. Se uno cade, cadiamo entrambi.

    Ovviamente questa cosa serviva a guadagnare tempo, le ferite di Nora restano le stesse che aveva.
     
    .
35 replies since 16/3/2020, 11:48   1671 views
  Share  
.
Top
Top