Quest: Cursed Arena

16.03.2020

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    Paura, ansia, dolore. Erano quelle le uniche sensazioni che riusciva a provare in quel momento, mentre il battito accelerato del suo cuore scandiva il ritmo degli attimi che passavano, uno dopo l’altro. La prima ondata di scontri sembrava essersi placata, lasciandosi dietro alcune ferite che ancora pulsavano. La schiena le faceva male, lì dove la lancia del suo avversario era andata a conficcarsi, così come le ginocchia, che avevano strisciato impotenti contro il terreno sotto di lei, quando Hikaru l’aveva trascinata per diversi metri all’interno del suo reziario. Mentre continuava a percepire la rabbia e la voglia di combattere, di sconfiggere qualunque ostacolo si frapponesse tra lei e la sua meta, il suo sguardo corse alle due figure che avevano accompagnato i suoi pensieri sino a quel momento e che erano state sigillate all’interno degli stessi confini, dove si erano combattute insieme ad un’altra ragazza. Con rinnovata apprensione cercò di scorgere le figure di suo cugino e Lukasz, senza riuscire a trovarli in mezzo a tutto quel macello. Che cosa era successo? Stavano bene? perché non riusciva a trovarli? Continuando a tenere il tridente saldo tra le mani fece un passo, cercando di regolarizzare il battito, di ritrovare la calma, di non abbandonarsi a pensieri che l’avrebbero senza dubbio fatta cedere. Sentiva la sua mente confusa, come se qualcuno fosse entrato al suo interno e l’avesse scombinata, spostando alcuni ricordi, scombinandone altri per poi rimetterli insieme a casaccio, senza un vero filo conduttore. C’erano dei ricordi oscuri e dolorosi che le sembrava quasi di aver appena scoperto, ma non si concentrò su di essi. Aveva voglia di gridare, di strapparsi di dosso quell’armatura sperando così di poter prendere una dose maggiore di ossigeno, invece rimase ferma, lasciando che fosse solo il suo capo a muoversi velocemente a destra e a sinistra alla ricerca di quelle figure familiari. Voleva vederli, voleva assicurarsi che stessero bene o nulla avrebbe avuto più senso. Perché combattere dopotutto se coloro a cui teneva non ce l’avevano fatta? Chiuse gli occhi per un istante, soffocando un lamento di dolore mentre si piegava appena in avanti. La ferita alla schiena era quella che le provocava più fastidio, ma doveva stringere i denti, non poteva mollare, non prima di averli trovati. Mosse un passo in avanti, continuando a tenere gli occhi chiusi mentre una strana sensazione iniziava ad avvolgerla. Era come se qualcosa dentro di lei sapesse che le cose stavano per cambiare, che qualcosa stava mutando.
    Sentì le fiamme che aveva percepito non sapeva esattamente quanti minuti prima lambire di nuovo il suo corpo, avvolgendola in una stretta quasi rassicurante. Iniziava a riconoscere lo strano calore che emanavano, un torpore che non sembrava bruciare e provocare ustioni e che in quel caso parve addirittura lenire parte delle sue ferite. Voltandosi appena all’indietro con il capo lasciò andare la presa sul tridente con la mano destra, portando anch’essa all’indietro per tastare la ferita sulla schiena. Il sangue non sembrava più scorrere copioso da essa come le era sembrato sino a qualche attimo prima e anzi il foro sembrava ora più piccolo, come se fosse stata una ferita meno grave di quella che le era sembrato di ricevere. Sembrava quasi una ferita superficiale ora, a contatto con le dita, anche se l’armatura era rimasta squarciata in quel punto, a memoria di quanto era accaduto. Fu una voce però, appena accennata, come un bisbiglio, a catturare la sua attenzione. Conosceva quella voce, lo sapeva, anche se i suoi pensieri continuavano a risultare confusi, sconnessi. Non riusciva a comprendere che cosa fosse reale e che cosa fosse stato mutato dalla sua avversaria, ma l’immagine di lui era ancora chiara nella sua memoria, ancora persa in quel bosco in cui si erano sentiti al sicuro. Sarebbe voluta tornare indietro, avrebbe voluto trattenerlo lì, sulla cima di quel promontorio, gridargli di non andare. Raddrizzò quindi di scatto il capo, notando che la figura che stava faticosamente cercando di rimettersi in piedi davanti a lei, a soli pochi metri, non era quella di uno dei suoi precedenti avversari, ma era la sua. Spalancò gli occhi, come se non riuscisse a credere a quello che stava vedendo. Era vivo. Ferito si, forse sul punto di crollare, ma vivo. Prima di muoversi nella sua direzione si concesse qualche altro secondo per continuare a cercare, notando Roy vicino a una figura riccioluta che riconosceva. Le alte recinzioni che li avevano tenuti separati sino a quel momento si erano abbassate e allora lei colse l’occasione per cercare di ridestarsi, accelerando il passo per raggiungere Lukasz prima che lo scenario potesse mutare ancora, intrappolandoli chissà dove, di nuovo distanti, di nuovo in pericolo. Perché lei non era più interessata a giocare a quello stupido gioco che qualcuno aveva organizzato per loro, non voleva ascoltare quello che le voci urlanti sugli spalti continuavano a ripetere, ancora e ancora, senza sosta. Non voleva lottare, non voleva uccidere altre persone. -Lukasz! - gridò quindi, nella sua direzione, vedendolo finalmente di nuovo in piedi, e lasciando che un leggero sorriso comparisse sulle sue labbra. Le ginocchia continuavano a farle male, le sentiva bruciare ad ogni movimento, ma non le importava, le interessava soltanto raggiungerlo, stringerlo a sé, sapere che ce l’avrebbero fatta, che sarebbero usciti vivi da quell’incubo.
    Ma non ebbe modo di raggiungerlo, di sentire la sua carezza sul volto mentre la invitava ad andare via. Chiuse gli occhi, di nuovo, confusa, come se qualcosa di invisibile l’avesse colpita dritta in pieno volto. I suoi ricordi si mescolarono ancora, mentre nuovi pezzetti andavano a distaccarsi lasciando un vuoto laddove prima c’era stato affetto, amore. Lei che non aveva mai voluto lasciare quella città per paura di perdere se stessa era appena stata vittima di quello che era da sempre stato il suo peggiore incubo. Sentì qualcuno parlare di fronte a lei, eppure la sua voce suonò distante per un momento, ovattata, come se non la sentisse davvero, come se la sua mente ancora cercasse di riemergere da quanto era appena accaduto. Sentiva solo le grida sugli spalti, quelle voci che la invitavano a continuare, a combattere, a distruggere i suoi avversari per ottenere la gloria, perché il suo nome venisse ricordato per sempre tra le mura secolari di quell’arena, che niente avrebbe mai potuto distruggere. Nuove recinzioni, più basse delle precedenti, sorsero a dividere lo spazio in cinque nuove aree più piccole, ma lei non lo notò. Non le interessava lo scenario davanti a lei, non importava quanti nemici avrebbe dovuto abbattere, lo avrebbe fatto, senza fermarsi, fino a che avrebbe avuto aria nei polmoni e fino a che il suo corpo avrebbe retto gli scontri e le ferite. Il ragazzo davanti a lei cercava di destabilizzarla, di confonderla, di convincerla ad abbandonare lo scontro per lasciarlo vincere, ma lei non avrebbe ceduto. Serrando la mascella, in preda alla collera e alla sete di sangue, serrò maggiormente la presa sulla sua arma, identica a quello del suo avversario e, senza dargli il minimo preavviso, arretrò di un passo per poi cercare di colpirlo, con un affondo, sperando in una sua distrazione. Un ringhio arrabbiato e disperato lasciò le sue labbra quando il suo tridente si scontrò contro quello dell’altro, a pochi centimetri dal volto di lui. -Non mi interessa quello che vuoi. - gridò, nella sua direzione, mentre lui ansimando cercava di convincerla a fermarsi. Lei non voleva farlo, lei non sapeva chi fosse e detestava che lui conoscesse il suo nome. Mosse appena all’indietro l’arma, prendendo le distanze prima di cercare di sferrare un altro colpo, che lui anticipò di nuovo. Le punte dei tridenti emisero uno strano stridio le une al contatto con le altre, e lei sorrise. Era come musica per le sue orecchie, una danza che conosceva e che sapeva come portare a termine.
    Continuava a parlare lui, mentre lei indietreggiava di un passo, muovendosi attorno a lui per cercare di studiare i suoi passi, individuare il ritmo che li guidava così da riuscire ad anticiparlo almeno una volta. Era come una caccia. Uccidi o muori, solo questo. Con un altro colpo sfiorò il suo braccio con la lama, riuscendo a provocargli una ferita superficiale, ma non era abbastanza, non sarebbe mai stato abbastanza. -SMETTILA! - gridò, ad un tratto, disorientata dalle sue parole, da scene che avrebbero dovuto suggerirle qualcosa e che invece apparivano soltanto come menzogne davanti ai suoi occhi. -So che cosa stai cercando di fare. Vuoi confondermi per poter vincere, ma io non ti conosco. Questo lo so. - ribattè quindi, con tutta la determinazione di cui era capace, mentre soffiava quelle parole velenose che lo avrebbero colpito nel profondo, forse più della sua lama. Lasciò che le parole di lui le scivolassero addosso mentre preparava un nuovo colpo, attento, ben calcolato, ben assestato che questa volta finalmente andò a segno, colpendolo all’addome. Sorrise, vittoriosa, mentre le parole di lui si bloccavano a metà e sentiva un verso di dolore fuoriuscire dalle sue labbra. La vera Nora sarebbe stata sorpresa di sentire quella rivelazione su quanto era accaduto al di sotto della cupola, ma quella che stava in piedi dritta davanti a lui non era Nora. Era solo il suo ricordo sbiadito, il guscio vuoto che era il suo corpo completamente privo delle giuste memorie, come se fosse stata privata di tutto ciò che la rendeva umana, viva. Non era che un corpo scosso dalla rabbia, dall’istinto, da un desiderio di uccidere che non era mai davvero stato suo. Un burattino mosso da fili invisibili, così antichi da essere sconosciuti a chiunque. Ma non ebbe il tempo di gioire o di spingere la lama più a fondo perché lui la afferrò saldamente con la mano, tenendo lo sguardo fisso su di essa. Vide il metallo mutare e trasformarsi in pietra, troppo pesante, poco affilata, decisamente meno prestante dell’arma che aveva brandito fieramente fino a quel momento. -No! -gridò quindi, mentre lui le sottraeva l’arma dalle mani, riuscendo a scagliarla a terra e facendola infrangere in mille frammenti. Mosse un passo all’indietro, spaventata dall’idea di trovarsi improvvisamente disarmata, con una particolarità che non le avrebbe permesso di ferirlo, di colpirlo e disarmarlo come lui aveva fatto con lei. Lo vide cadere a terra, sulle ginocchia, mentre il sangue iniziava a fuoriuscire da quella nuova ferita e puntare l’arma contro di lei. Le parlava come se lei dovesse conoscerlo, come se dovesse avere un’idea chiara di chi fosse e questo continuava a disorientarla. Scosse il capo, decisa a spazzare via quei pensieri, a gettarsi contro di lui, invece qualcosa la immobilizzò quando lui si rialzò, piano, gettando a terra anche il suo tridente lontano da lui. Che cosa stava facendo? Perché si stava arrendendo? Ma non ebbe modo di chiederglielo perché altri due guerrieri li raggiunsero.
    L’uomo raggiunse Lukasz alle spalle, tirandolo all’indietro mentre puntava il suo coltello ad un soffio dal suo collo. Quei vili guerrieri avevano approfittato della distrazione per colpirli, per vincere. Che onore c’era in quello scontro? Non era che due vigliacchi. -Vigliacca. - soffiò quindi, con sguardo ricolmo d’odio, verso di lei, che invece l’aveva raggiunta e, approfittando di un nemico disarmato che non avrebbe potuto reagire, iniziò a pugnalarla allo stomaco mentre gridava. Il primo colpo fu quello che riuscì a mozzarle il fiato. Cercò di aggrapparsi, di trattenerla, di attaccarla a mani nude, come meglio poteva, ma sembrava troppo veloce e il suo corpo era come impalpabile, uno spettro tornato dall’oltretomba per torturare tutti quanti loro. Un sapore metallico le riempì la bocca mentre il suo corpo si accasciava a terra, aggrappandosi all’ultimo barlume di vita che le restava per non perdere i sensi. Non voleva arrendersi, non quando ancora poteva sentire quelle grida sugli spalti che chiedevano sangue. Tutto però sembrava molto più distante ora, come non riuscisse bene a percepirlo, come se qualcosa dentro di lei stesse mutando ancora. Certa della sua sconfitta l’arena la stava lasciando andare, il furore che aveva mosso i suoi gesti si stava spegnendo mentre percepiva il fuoco della fiaccola al centro dell’arena farsi sempre più vivido, come se volesse lambire di nuovo il suo corpo. Chiuse gli occhi per un istante, cercando di riprendere fiato, andando con la mano a verificare lo stato delle ultime ferite subite. Sentiva il sangue scorrere caldo sulla sua pelle, sentiva il dolore. Quante volte aveva cercato quella sensazione per sentirsi reale? Quante volte aveva cercato di farla finita da sola? Ora le sembrava di ricordare, mentre teneva gli occhi chiusi e anche quella voce sempre più vicina iniziava a darle nuove sensazioni. -Lukasz? - chiese, con un filo di voce, come se non fosse certa di quello che stava sentendo. Riaprendo gli occhi era una figura sconosciuta quella che vedeva, eppure lo sentiva, era lui, anche se i suoi occhi non volevano permetterle di vederlo, anche se la sua mente continuava ad essere confusa. O forse non lo era? Forse era solo lei a desiderare che fosse lui? Non aveva importanza, nulla aveva più importanza in quel momento perché lo sapeva, non c’era più tempo. Ne aveva sprecato così tanto nel corso della sua vita e ora che era davvero finito, ora che sentiva la vita scivolare piano dentro di lei mentre ancora cercava di tenersi aggrappata ad essa, avrebbe voluto avere il tempo di cambiarla, di dire tutte quelle cose che non aveva mai voluto dire.
    Continuava a sentire la sua voce nella testa mentre qualcuno tentava disperatamente di tamponare le sue ferite. -Va… bene… va… tutto… bene… - mormorò a fatica, con il fiato spezzato, mentre allungava la mano ancora sporca del suo stesso sangue a raggiungere il volto di lui. Non sapeva chi fosse, non ne era certa, ma voleva che fosse lui, voleva almeno quell’illusione prima di chiudere gli occhi. La voce le diceva di combattere, di continuare a provarci, ma non voleva, non ci riusciva. Si sentiva stanca, troppo stanca per continuare a lottare ora che lo spirito furioso sembrava averla lasciata andare. Voleva solo fermarsi, voleva che tutto finisse. Avrebbe voluto che quello fosse soltanto un brutto sogno, qualcosa da cui potersi risvegliare, ma sapeva che non era così, era troppo reale per essere soltanto un’illusione. Sentì i suoi occhi riempirsi di lacrime, che iniziarono a scorrere calde sulle sue guance mentre accettava l’idea che il tempo non le sarebbe più bastato e anche una lacrima non sua cadde sul suo volto, riuscendo a strapparle un mezzo sorriso triste mentre la sua mano si aggrappava al volto di lui. -Non piangere. Va tutto bene… va.. tutto… bene… - continuava a ripetere a se stessa, o forse al fantasma con cui credeva di parlare e che vedeva vivido davanti ai suoi occhi chiusi. Riaprì gli occhi quando sentì quell’uomo pronunciare delle scuse, rivolgendogli un’occhiata confusa mentre lui avvicinava il volto al suo, dandole un leggero bacio a seguito di una dolce carezza. Non capiva, non riusciva a comprendere che cosa stesse accadendo, sentiva sempre più freddo e si sentiva sempre più stanca. Poi il suo corpo parve fermarsi, irrigidirsi, come se una strana magia lo avesse colpito, togliendogli la vita ma lasciandola inglobata dentro di esso senza che lei potesse muovere un muscolo. Si sentiva come intrappolata in un limbo, al buio, senza via d’uscita.
    La paura la avvolse mentre le voci attorno a lei sparivano, mentre tutto attorno a lei spariva e lei restava lì, immobile, con lo sguardo fisso, senza possibilità di reagire. Percepiva qualcosa, come se ci fosse qualcuno nelle vicinanze, ma non sentiva nulla. Non c’era più dolore, non c’era più freddo, non c’era più nulla. Per un attimo le parve quasi di calmarsi mentre quel buio continuava a riempire ogni cosa, tranne i ricordi, che piano piano sembravano tornare a galla, più vividi, più chiari. Li avrebbe mai rivisti? Avrebbe mai potuto riabbracciare Roy? Avrebbe scoperto che cosa era accaduto a Lukasz? Poi, come se il sogno in cui era caduta stesse lentamente svanendo, percepì il mignolo della mano destra muoversi, come seguendo un riflesso incondizionato, come se volesse suggerirle che poteva farlo di nuovo, che non doveva più restare ferma. Il dolore la avvolse di nuovo, facendole mancare il respiro. Battè appena le palpebre una, due, tre volte, mentre l’ambiente intorno a lei si faceva di nuovo tangibile, mentre iniziava a percepire un corpo disteso accanto al suo, una mano posata delicatamente contro il suo collo. Mosse appena il capo, cercando di scorgere la figura accanto a lei e un leggero sorriso colorò le sue labbra. Allungò appena il volto per sfiorare la sua guancia con la punta del naso, per sentire il suo profumo, ancora una volta, fosse anche stata l’ultima. Non sapeva come lui l’avesse trovata, non sapeva come erano tornati insieme, ma sapeva che era esattamente lì che voleva stare.
     
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    *dlin dlon* Avviso di servizio! Il turno di Hikaru è scaduto, quindi proseguiremo con Skylar.
    Le danze stanno per chiudersi quindi godetevela sino alla fine! *mic drop* :luv:

     
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    Sakura Blossom

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    Skylar May Lundberg

    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [Violenza fisica e traumi psicologici].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


    ’Regina finché il vostro cuore batte non vi è dato arrendervi, la guerra non è finita. Altro sangue attende le vostre mani, noi contiamo su di voi.’
    La diga del suono fu la prima ad infrangersi riportandola lentamente alla veglia. Di chi era quel viso di donna che aveva attraversato la sua visuale in un lampo inafferrabile? Skylar fece un respiro profondo inalando sabbia, ne percepì i minuscoli granelli solleticarle le narici e le labbra che avevano un sapore acre. Cercò di mettere di nuovo a fuoco il mondo attorno a lei, i suoi occhi vedevano uno scenario diverso, le recinzioni erano posizionate in maniera differente rispetto a prima… prima. Con le mani andò a cercare la ferita che le aveva inflitto Roy sul petto, ma oltre alla scia del proprio sangue non c’era alcuna lacerazione sulla sua pelle. Era svenuta a causa della lotta coi due uomini che condividevano con lei quell’angolo di arena recintato, ma di loro nessuna traccia. Skylar si sollevò fino a mettersi seduta, notando con un sospiro di sollievo che anche le sue gambe erano miracolosamente guarite. Non aveva idea di cosa fosse accaduto mentre era priva di coscienza, doveva essere cambiato qualcosa perché vide Hikaru andarle incontro, ma c’era qualcosa di inquietante nella sua figura. I suoi occhi erano privi di luce vitale e ogni centimetro della sua pelle era macchiato di sangue. Invece di sentire il calore invaderla alla vista del suo amico, la paura s’impossessò di lei mentre Hikaru le lanciava contro il proprio reziario. Skylar rotolò al suolo per schivarlo, sentendo una fitta dietro al collo mentre si muoveva. Non aveva tempo per controllare il suo stato fisico, sentiva il cuore che cercava di sfondarle il petto tanto batteva forte. Si alzò in piedi goffamente tentando di non dare le spalle al suo amico che continuava ad avanzare in silenzio, con quella furia nera impressa nello sguardo. ”Karu…” si azzardò a chiamarlo per nome allungando una mano verso di lui, ma non ricevette altra risposta se non il boato assordante delle grida degli spiriti sanguinari sugli spalti. Le loro voci le aggredivano i timpani, si sorprese a capire ancora la loro lingua, era confusa. Perché lei non sentiva più scorrere dentro le sue vene l’aura dell’anima caduta che prima aveva spadroneggiato sul suo corpo? Nonostante ciò comprendeva lo stesso quelle parole arcane, come se la guerriera fosse ancora relegata dentro di se’. Quella distrazione le costò un’abrasione al braccio sinistro dopo il mancato tentativo di Hikaru di farla di nuovo sua prigioniera. Skylar sondò il terreno con lo sguardo cercando la lancia con cui aveva combattuto prima, corse il più velocemente possibile quando la vide poco distante da lì. L’afferrò maldestramente e rimase senza fiato, eccola di nuovo, l’oscurità le solleticò l’anima facendola sobbalzare. I ricordi della guerriera caduta erano familiari stavolta, si erano già mescolati ai suoi rendendole impossibile percepire il confine tra la storia e la realtà. ”Non voglio…” sussurrò la ragazza, non si sarebbe fatta sopraffare di nuovo dalla straniera dagli occhi neri. Si girò verso il suo amico, concentrando la sua attenzione su di lui che pareva in trance mentre si avvicinava sferrando un nuovo attacco. Cercò di difendersi puntando la lancia verso la rete, ma nel farlo la punta andò a conficcarsi nel petto di Hikaru che rimase completamente impassibile, come se non lo avesse nemmeno sfiorato. Skylar sgranò gli occhi, sapeva che il suo amico era insensibile al dolore e questo la spaventava più di ogni altra cosa. ”Scusa, non volevo ferirti… io…” le sue parole erano un soffio di disperazione. Una lacrima prepotente scese lungo la sua guancia destra, una scia purificatrice tra i residui di sabbia e morte sulla sua pelle. I sensi di colpa la resero prigioniera della rete di quello che qualche ora prima considerava un viso amico e che invece adesso la stava trascinando a terra senza pietà. Nel tentativo di liberarsi finì col mettersi di lato, sentendo violentemente il contatto della pelle bruciata sui fianchi col la terra che le raschiava via la sanità mentale. Strillò di dolore, le lacrime stavolta scendevano a fiotti sul suo viso sporco di guerra. Skylar appoggiò le mani al suolo solo quando Hikaru si fermò dopo averla trascinata per diversi metri, aveva la vista appannata dal dolore. ”Non ti ricordi di me? Sono io, Sky…” le costò dire quelle parole, erano le stesse che le aveva detto Andrew in ospedale quando aveva iniziato a diventare ossessivo nei suoi confronti. Aveva osato farle dubitare di se stessa, farle credere che era lei ad essere cambiata dopo l’incidente, portandola al limite della rottura mentale. In quel caso era diverso, doveva trovare il modo di far riaffiorare il suo amico in superfice, il quale era sottomesso da una forza più grande di lui. Ancora una volta aveva davanti a se’ uno sconosciuto dal viso familiare, quella situazione era un dejà – vu che sentiva di non meritare. Si morse il labbro inferiore, incapace di reagire quando Hikaru si avvicinò a lei inesorabilmente.
    ’La Regina delle Amazzoni ha perso la corona della gloria per la seconda volta, che il buio della morte inghiotta il suo spirito per l’eternità.’ Centinaia di voci sguaiate avvelenavano l’atmosfera, l’ossigeno che respiravano lasciava sulla lingua il sapore putrido del sacrificio umano. Una scintilla in erosione nel petto di Skylar e poi l’oscurità della guerriera prese a calpestarle l’anima, prendendo il comando dei suoi movimenti. La ragazza puntò la mano verso il petto del suo amico con lo sguardo in collisione temporale, si sovrapponevano passato e presente nei suoi occhi ancestrali. Non diede tempo a Hikaru di raggiungerla, lo sollevò in aria manipolando la gravità attorno a lui, con estrema lentezza voleva portarlo a toccare la stratosfera dove l’aria sarebbe stata più rarefatta e il calore intollerabile per un corpo umano. Perché non ancora più su, fino a fargli sciogliere la pelle dal sole? Un ghigno deformò le labbra della ragazza mentre guardava quello che avrebbe dovuto essere un suo caro levitare inesorabilmente verso la sua rovina. Era così concentrata su Hikaru che ci mise qualche istante di troppo a notare le due figure che la circondarono osservandola con aria divertita mentre lei era intrappolata da un reziario più potente di quello che le circondava le membra. Si voltò quando la voce di una donna la raggiunse sin troppo vicina, ”Cosa scegli? Salvarti o salvarlo?” dietro l’ira cieca della guerriera Skylar riconobbe la figura di Helen che si stagliava su di lei con una fiaccola ardente, quella consapevolezza unita al fatto che la ragazza diede fuoco alla rete che la imprigionava, le fecero perdere il controllo della gravità. ”Rispondo io per te...nessuna delle due.” Si girò di scatto in tempo per vedere Hikaru fracassare al suolo con la protezione di una figura maschile a lei sconosciuta, gli evitò di rompersi la testa o l’osso del collo. Non aveva importanza, sapeva solo di aver rischiato di ucciderlo mentre sentiva la rabbia nefasta lasciare le sue membra con la lentezza di un’onda che defluisce dalla riva. Skylar non riusciva a respirare, era come se gli altri avessero inspirato ogni singola particella di ossigeno e a lei non avessero lasciato nulla. Deglutì a fatica e solo dopo diversi istanti si accorse della sensazione di dolore ai piedi, portò lo sguardo in quella direzione e vide le fiamme divampare prima sulle sue scarpe per poi raggiungere velocemente i jeans. Manipolò la gravità per sollevare la rete infuocata e la lanciò lontano da se’, iniziando a rotolarsi a terra per cercare di spegnere le fiamme sulle sue gambe, mentre lo faceva vide l’uomo che accompagnava Helen pugnalare Hikaru per poi andarsene con aria soddisfatta. Non riusciva a gridare, la voce impigliata tra le corde vocali non era in grado di trovare una via d’uscita. Iniziò a piangere Sky, singhiozzi silenziosi mentre il dolore si sprigionava tutto d’un colpo nel suo corpo. Era rimasta pietrificata dalla consapevolezza di aver quasi ucciso la prima persona che era riuscita a far riaffiorare in lei dei sentimenti dopo tanto tempo in cui il suo cuore era stato apatico. Solo dopo le sue membra provate avevano percepito la realtà e quell’odore di carne bruciata che non era poi così diverso da quello degli animali, era un tanfo così invadente da farle venire i conati. Rimandò giù a forza la bile e tentò di muovere le gambe per potersi avvicinare a Hikaru che giaceva a terra in una pozza di sangue. Dalle labbra le uscì un verso grottesco di dolore, ma si costrinse a trascinarsi fino al corpo del ragazzo. La carne viva sfregava contro gli abiti bruciati, le girava forte la testa tanto erano intense le fitte che la pervadevano, ma doveva a tutti i costi raggiungere Hikaru. Si accasciò solo quando fu abbastanza vicina da poggiare la testa sul suo petto, si lasciò andare a un pianto inconsolabile, la maglietta di lui era intrisa della sua sofferenza. Gli accarezzò il viso con le dita sporche e tremanti, ”Che cosa ho fatto?” Poggiò la guancia contro la sua a fatica, notando un rivolo di sangue fresco scivolare dal retro del suo collo fino ad entrarle nelle vesti. Non erano rilevanti i danni che aveva riportato, sentiva solo di voler stare accanto alla persona che in quegli ultimi mesi era riuscito a far breccia nella sua corazza di indifferenza. Grazie a quel ragazzo privo di sensi aveva imparato di nuovo cosa significasse sentire il sangue correre ad accenderle le guance, a sentire il cuore martellare frenetico e lo stomaco senza peso. Gli depositò un bacio leggero sulle labbra immobili poco prima che la terra ricominciasse a tremare, esattamente come quando quell’incubo era iniziato. Non era più in grado di sollevarsi per guardarsi intorno, il minimo slittamento delle gambe al suolo le faceva annebbiare la vista per la sofferenza. L’unica cosa che poté fare fu stringersi a Hikaru per proteggerlo mentre l’arena crollava attorno a loro in una nube di polvere e pietre. Temeva che sarebbero morti sepolti oltre che di sfiancamento, ma questo non avvenne, ogni singolo frammento che si distaccava dalla struttura era come incorporeo. Quando sollevò lo sguardo l’unica cosa che si stendeva davanti a lei era il bosco, l’arena era tornata polvere sotto la terra, non se ne scorgeva più l’imponente profilo. Skylar sospirò e finalmente lasciò che il suo corpo cedesse alla stanchezza, la testa sul petto di Hikaru e le braccia distese su di lui come se volesse ancora proteggerlo da qualcosa che non c’era più. Mentre chiudeva gli occhi perdendo i sensi si fece spazio in lei un sogno vivido che avrebbe conservato per sempre nella memoria.

    ”Regina finché il vostro cuore batte non vi è dato arrendervi, la guerra non è finita. Altro sangue attende le vostre mani, noi contiamo su di voi.” le dita insudiciate dal combattimento di una giovane accarezzarono il viso della donna che giaceva a terra col corpo sfregiato in più punti. Osservava la figura rantolante con apprensione, dentro di se’ sapeva che quella sarebbe stata la loro ultima conversazione, ma non voleva ammetterlo. Una sola lacrima le accarezzò le guance mentre la sua sovrana socchiudeva gli occhi incapace di sostenere la luce del sole, era cinerea in volto ed il suo corpo immobile come una statua in una posizione innaturale. Non emise un solo suono che potesse far sentire alla Regina la sua sofferenza, continuò ad accarezzarle il volto sporco e insanguinato come se servisse a lenire l’inevitabile. ”Clonia…” la donna a terra tossì più volte fino a perdere sangue dalla bocca, stava cercando di dire qualcosa quando il suo sguardo si perse nell’oblio della morte. La giovane al suo fianco iniziò a piangere a dirotto mentre attorno a lei si sentivano le grida di terrore dei soldati e lo stridore di lame che si scontravano con violenza. La guerra strillava dietro di lei, mentre le sue lacrime tintinnavano una dopo l’altra, come frammenti di vetro che s’infrangono al suolo. Clonia si mise in ginocchio, posizionò la lancia reale sotto il braccio della sua Regina per donare onore al sipario che si era chiuso su di lei. Si alzò in piedi, prese la spada e sussurrò la frase che la sovrana le aveva detto quando i nemici erano alle porte della loro città: ”Dicono che la gloria sia vincere la guerra, ma è meglio morire che veder cadere cenere dal Paradiso.”
     
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    E con l'ultimo post di Skylar abbiamo concluso i turni ufficiali!
    Avete creato per la terza volta un clima epico, grazie a tutte per aver partecipato, siete state bravissime e devastanti! :luv:
    Da questo momento ha inizio l'ultimo turno opzionale, che vedrà la quest ufficialmente chiusa il 20.06.
    Grazie ancora a tutte! :luv:

     
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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: immagini disturbanti (gore), violente o contenuti sensibili (ferite).
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


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    Mi dispiace Joon, non sono stato un buon amico per te. Mi dispiace tanto. Tornata ai flutti inafferrabili del passato e dissolvendosi effimeri granelli di polvere, l'arena aveva liberato i suoi prigionieri dall'apnea in cui li aveva rinchiusi, rigurgitandoli tra le fronde del bosco feriti e spezzati, boccheggianti come pesci costretti fuori dall'acqua. Jungkook, tra gli altri, occupava una posizione simile; i polmoni bruciavano e faticavano a riprendere aria mentre il suo corpo ritornava alla vita, e con essa, anche al dolore, spietatamente naturale. Nel frattempo, la luce solare che filtrava morbida dalle frasche degli alberi gli colpì le iridi tornate scure come un'affilata lama, la stessa che tra le mani di Eddie lo aveva trafitto più e più volte lacerando impietosa la sua carne. Non vedo, non ti vedo. Sdraiato a pancia in giù sull'erba e con l'odore del terreno ad invadergli le narici, Jungkook sbatté un paio di volte le palpebre, frastornato da sensazioni talmente ingombranti da assorbirlo del tutto. Inspirare ed espirare erano diventate le azioni più difficili da compiere, eppure Jungkook non si diede per vinto: doveva arrivare a Joon, voleva essere sicuro che fosse vivo. Non si trattava di complessi ragionamenti ed elaborati pensieri, ma di istinti viscerali che si allargavano in lui sino a strapparlo al torpore in cui era piombato - forse, in questo i lancinanti dolori avevano aiutato. La vista si faceva nitida troppo lentamente, ora che il cuore riprendeva a pulsare e con esso anche il pressante bisogno di trovare il migliore amico. Era lì vicino, ne sentiva l'odore, che come quello naturalmente riconoscibile di una figura materna era stato mappato dalle cellule del più piccolo, in cerca di Joon attraverso i sensi sempre più svegli. Pelle bruciata, sangue, altre percezioni si mescolavano a quel profumo familiare, intaccandone le note solitamente chiarissime. Finalmente, i contorni del volto del maggiore si delinearono sino a divenire quasi del tutto visibili, oscurati solo dalla patina nera che ricopriva la visuale dell'occhio maciullato dal pugnale, che nonostante fosse sparito non aveva cancellato la ferita crudelmente inferta.
    Come abbandonato ad un denso sonno, Joon pareva non essere stato toccato per nulla dagli orrori appena trascorsi, la pelle dorata e liscia che quasi risplendeva sotto la carezza del sole. Le palpebre, abbassate e ferme in un denso riposo, segnavano il peso narcotico di una guarigione che il suo corpo faticava ad iniziare, ancora sporcato da ustioni e ferite tra cui spiccava come un bacio rosso il morso lasciato da Jungkook durante quella tremenda lotta per la sopravvivenza. Il petto di quest'ultimo sprofondò in un sospiro disperato - perchè non riusciva a raggiungere l'amico, anche se così vicino? La sua unica fonte visiva si annebbiò nuovamente, non appena delle grosse lacrime iniziarono ad ammassarsi proprio davanti alle iridi, impedendogli ancora una volta di vedere, non solo in un riflesso del suo sconforto, ma anche del crescendo di lancinanti spasmi che avevano preso possesso del suo corpo ora vivo. Ti prego, respira. Sto arrivando. Delle fitte tremende tuttavia iniziarono a lampeggiare nelle fibre delle braccia di Jungkook, ora pienamente ricettive agli stimoli esterni. Sangue denso e caldo iniziò a colare copiosamente dai polsi recisi, costringendo il ragazzo a contorcersi per un dolore atroce e palpitante, un contrappasso molto caro per aver evaso la morte. Prepotenti tremori spinsero Jungkook a voltarsi sino a raggiungere una posizione supina, ed i fili macabri che sgorgavano dalle ferite gli macchiarono i vestiti, ora intrisi anche del sangue delle coltellate inferte da Eddie, che per degli eterni secondi relegarono Koo ad una claustrofobica apnea, mozzandogli il fiato nel momento in cui iniziarono a riaprirsi, pronte a guarire in un lungo e lancinante percorso. Il tragitto verso Joon era stato bruscamente interrotto, spezzato da una umanità che Jungkook in quel momento ripudiava, troppo fragile e dolorosa per permettergli di correre dal suo migliore amico ed accertarsi che stesse bene. Il respiro di colpo tornò ad invadergli la cassa toracica, martellando ferocemente tanto quanto le tempie, guizzanti in un temibile recupero, troppo lento per risparmiare dolore e sofferenza al loro proprietario.
    Il panico iniziò allora a farsi strada in Jungkook, talmente impigliato nella sofferenza che era costretto a patire da non riuscire a percepire più chiaramente ciò che lo circondava. I respiri si fecero talmente corti da fargli male, e tirando velocemente la testa indietro, cercò in un gesto primordiale di acquietare il dolore che dall'occhio gli trapassava dritto il cranio, non meno brutalmente del colpo che lo aveva ridotto in quella condizione. Le labbra si schiusero, e mentre le immagini di quei polsi sanguinanti gli si imprimevano tra le lacrime, un grido muto demolì la barriera della sua bocca, uscendo prepotentemente senza però farsi sentire. Joon, Joon, ti prego. Immerso nella più totale disperazione, l'unico filo che lo tratteneva dal desiderare una morte repentina e stavolta definitiva fu proprio il pensiero del migliore amico, che poco più lontano stava combattendo la sua battaglia per la vita. Dal bosco al pavimento nero della stanza degli esperimenti del Mordersonn Institute fu un attimo, flash di una vita passata che veloci ed abbaglianti si sovrapponevano a quei minuti da incubo, opprimenti là dove Joon era l'unica boccata d'aria e l'unica occasione di salvezza per Jungkook. Continuò a chiamarlo, sperando che prima o poi le sue braccia l'avrebbero raggiunto, stretto ed accolto ricordandogli che sarebbe andato tutto bene. Il silenzio però divenne assordante, ora che dalle labbra non emerse alcun mostruoso suono ma una cascata di lamenti che nessuno sarebbe riuscito ad ascoltare. Nessuno, tranne Joon. Esausto anche solo in quei primissimi minuti di trasformazione inversa, Jungkook aveva voltato il viso verso di lui, lasciando che l'erba odorosa gli pungesse la guancia mentre piangeva, le grosse stille salate bagnavano il terreno proprio mentre nelle loro nebbie il petto di Joon prese a muoversi più profondamente anticipando il movimento stanco delle palpebre ora aperte. Sei vivo. Sei vivo! Jungkook non riuscì neanche in quei momenti tremendi a separare lo sguardo da quello del migliore amico, afferrandolo con tutte le sue forze per aggrapparsi ad esso e strisciare fuori dal suo stesso dolore, quasi stupito nel vedere Joon tornare a resistere. Sto arrivando, sto ar- D’improvviso, ben più cupi pensieri si appropriarono della mente del ragazzo, resosi conto della sua stessa meraviglia. Joon era ancora vivo, e non certo per merito suo. Era stato lui, esattamente come durante il loro primo incontro, a ferirlo ed attaccarlo - ricordava ogni dettaglio alla perfezione. L'unica persona che mai avrebbe desiderato danneggiare ora era lì sdraiata e ricoperta di ferite anche per colpa sua, ed in un certo senso, il cuore scalpitante ricevette un minimo sollievo, così come il corpo scosso da una violenta sofferenza: tutto quel terribile dolore sarebbe stato più sopportabile, una pena minima in confronto a ciò che era sfortunatamente accaduto e che meritava. Incurante delle ferite, Jungkook allora puntò i gomiti nel terreno, scandagliando velocemente gli spazi attorno a sè prima di voltarsi su un fianco, strisciando con lentezza ed affannosamente nel terreno per potersi avvicinare alle appendici che gli erano state strappate via dal corpo, qualche centimetro più vicino a Joon. Si avvicinò con ognuna delle due braccia tremanti alle mani esanimi, e sollevando la testa, incontrò con le labbra umide il fianco dell'amico, pressandovi un lungo bacio in una tacita richiesta di perdono. Non sono stato un buon amico per te, non volevo farti del male. Tu sei l'unico... L'unico che possa chiamare casa. Un lontano riverbero occupò l'aria del bosco, suoni di sirene che si infrangevano tra i rami sino ad arrivare all'udito dei poveri sfortunati ancora a terra, richiamandone l'attenzione nell'annunciare l'arrivo dei soccorsi. Jungkook tuttavia non si mosse, restando al fianco dell'amico finalmente ritrovato, esausto dalla lenta tortura che la sua particolarità esigeva, così come dall'ingente quantità di sangue versato. Ogni pugnalata iniziò gradualmente a rimarginarsi, così come il suo occhio e le sue mani, che ancora staccate dal corpo Koo faticava a connettere ai polsi troppo doloranti. Tentò persino di muoverli, pressandone uno contro la maglia di Joon, tentando di segnalare ai camici bianchi che come spettri fluttuavano davanti al suo sguardo di prendersi cura prima dell’amico. Non lo capirono, reputando la sua condizione più grave nell'immediato, caricandolo così su una barella qualche istante prima prima del maggiore, che nella stessa ambulanza lo accompagnò verso la salvezza. Presto, tutto sarebbe diventato un ricordo, una pagina di diario ingiallita, oppure un effimero gesto abbandonato allo sguardo imperituro della memoria.

    Edited by ‹Alucard† - 5/6/2020, 01:13
     
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    Bene, stupendissime partecipanti, la quest è giunta alla fine!
    Grazie per aver partecipato a questo viaggio del devasto assieme a noi e di averci regalato dei bellissimi e struggenti post :luv:
    Aspettiamo con ansia tutte le role post-quest, tanto ciò che non uccide ... disagya :malefico:
    Ancora grazie a tutte per aver partecipato, ci vediamo alla prossima catastrofe!!

     
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35 replies since 16/3/2020, 11:48   1671 views
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