Old enemies, new threats.

Eirik e Sofie

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    Nonostante apparisse abbastanza affabile come persona, Sofie odiava lavorare in gruppo. Non era proprio fatta per i lavori come quelli, era più una da progetti individuali, e, sebbene fosse cresciuta con due fratelli, amava potersi ricavare il proprio spazio per lavorare in completa solitudine a qualcosa. L'idea dunque di preparare una presentazione power point con un altro docente del corso di studi umanistici che l'Università di Besaid offriva non la allettava per niente, ma era stata praticamente costretta e alla fine, sebbene con riluttanza, si era messa al lavoro, raccogliendo un po' di materiale e preparando una bozza. Ignorava chi fosse la persona in questione, sperò fosse Jørgen visto che con lui le cose andavano tranquillamente: era sempre piacevole scambiare qualche chiacchiera con lui, sapeva essere fonte di buoni consigli e in più occasioni l'aveva aiutata a capire come relazionarsi con i ragazzi. Non l'avrebbe mai detto prima, ma si stava appassionando a quel lavoro, mettendo da parte l'ambizione giovanile di fare la giornalista: probabilmente, si era detta, era cambiata e cresciuta.
    Staccò la pen drive dal computer e mise entrambi in borsa, alzandosi dal tavolino al bar dove stava abbozzando qualcosa: le piaceva molto mettersi lì, la faceva concentrare abbastanza nonostante non ci fosse un silenzio tombale che, tra l'altro, le metteva davvero ansia. Come avesse fatto in passato a studiare in biblioteca era ancora un mistero. «Sophie, da quanto tempo!» Quella voce così melodicamente francese era un po' che l'evitava. «Monique. Ciao.» disse, con un sorriso appena accennato che nascondeva parecchio disagio. Come quella donna potesse beccarla sempre al momento meno opportuno era un mistero. «Ho sentito che devi occuparti dell'orientamento. Sacrebleu, anch'io ho lo stesso compito.» Ottimo, dunque le sarebbe toccato sentirla anche al di fuori per eventuali consigli che, di sicuro, sarebbero arrivati. Era dallo spettacolo teatrale al quale aveva partecipato con Niko che non la vedeva e, dopotutto, non le era nemmeno mancata. Aveva avuto altro a cui pensare, diverse questioni che le avevano tenuto la mente occupata: si era persino dimenticata che, durante la Medea, Monique aveva completamente equivocato il rapporto fra i due gemelli. «Eh, purtroppo sì. Magari ci becchiamo più tardi dai, ora devo proprio andare.» tagliò corto, adornando il tutto con un sorriso cortese. Le voltò le spalle salutandola mentre lei borbottava qualcos’altro che Sofie non sentì del tutto per la distanza che oramai intercorreva fra le due: si era già avviata verso l’interno dell’Università, diretta verso l’aula che le avevano detto esser stata prenotata per lei e per un altro professore. Non le era stato detto con chi avrebbe dovuto dividere quell'ingrato compito, non era stato ancora deciso quando era stata incastrata lei stessa: sperò fosse qualcuno di non troppo ferreo mentalmente, altrimenti sarebbero andati via il giorno dopo da quell'aula o, peggio, visto che l'Università per le 19 chiudeva i battenti, si sarebbero dovuti trasferire a casa di uno dei due.
    E dire che, per una volta, aveva pensato di andarsene a fare un po' di shopping: non era fan di certe attività ma si era resa conto di non avere molto nell'armadio e che, avendo incominciato a frequentare sia Kai che Nikolaj più spesso, prima o poi certi abiti un po' più eleganti le sarebbero potuti tornare utili. Sarà per la prossima volta, o per lo shopping online. pensò, mentre avanzava gradino dopo gradino verso l'aula designata: secondo piano, aula 17. Non portava male quel numero? Aprì la porta una volta lì e vi trovò al suo interno un uomo dal profilo familiare: non lo vide immediatamente in volto, la luce che quel giorno filtrava dalla finestra le colpiva direttamente gli occhi e non riuscì a metterlo a fuoco. Detestava quella caratteristica degli occhi chiari: erano così fragili alle volte che, per un nonnulla, finiva con il lacrimare. Si asciugò quelle lacrime solitarie con un polpastrello prima che le finissero sulle ciglia inferiori, delicatamente truccate con del mascara: Sofie non si truccava mai molto, era abbastanza semplice anche in quello. Sul suo volto, di solito, c'erano solo del mascara, un po' di ombretto dalle tinte calde e un po' di blush sulle gote. Alle volte, quando doveva sistemarsi o aveva molto tempo, faceva una sottile linea di eyeliner o indossava il rossetto, ma erano eventi sporadici, che quel giorno non erano avvenuti: aveva preferito sistemarsi come al solito, non facendo eccezioni nemmeno per i vestiti, preferendo dei jeans, un maglioncino nero e, come pezzo della giornata, aveva preso dal suo armadio una giacca che le era stata regalata e che non aveva mai utilizzato. Era il colore, le sembrava strano su di lei, ma per qualche motivo aveva deciso di osare.
    «Ciao!» esordì Sofie, chiudendosi la porta alle spalle. «A quanto pare dovremo lavorare insieme per questo ingrato compito. Io sono Sofie Mordersønn comunque, piacere di conoscerti.» disse, con lo sguardo negli occhi dell'uomo che le stava davanti. «Insegno lettere al dipartimento di studi umanistici. Mi hanno incastrata per l'orientamento che si terrà nei prossimi giorni.» Più lo guardava, più quel tipo aveva un'aria familiare ma, più lo guardava, e più non riusciva a ricordarsi dove l'avesse visto. «Ho abbozzato una presentazione, magari dacci un occhio e se anche tu hai preparato qualcosa potremmo occuparci di unirle e creare un discorso organico.» mormorò, prendendo la pen drive e porgendola al collega. Per un momento, fissa in quelle iridi blu, le venne in mente che quell'uomo avrebbe potuto esser parte del passato di cui ancora non aveva del tutto memoria. Aveva ricostruito la maggior parte dei dettagli che la sua mente non le aveva permesso di ricordare, sia grazie alle fotografie, sia grazie alle persone di cui si era circondata: ancora le sembrava assurdo che, sebbene a piccoli passi, ogni cosa stesse tornando al proprio posto, quasi come se non fosse mai andata via. Si sentiva fortunata, come benedetta da un qualche Dio nel quale non aveva mai creduto e che, la sua stessa famiglia, non le aveva insegnato a venerare. Fu in virtù di quella fortuna che decise di fare un primo passo verso quell'uomo, quel professore, che ad ogni sguardo le sembrava più familiare. Si erano sicuramente incrociati all'Università, fra i corridoi, ma in cuor suo sentiva, quasi come una reminiscenza, che ci fosse di più di una fila al distributore automatico di caffé. «Ci siamo già visti?» domandò, scuotendo poi il capo. Non era la domanda giusta. «Ci siamo già conosciuti precisò, sperando di cuore che la risposta, che di lì a poco sarebbe arrivata, non le fosse troppo sgradita.
     
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