New dresses, vintage friendship.

Eva e Sofie | VintAge, ore 12:30

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    Era un po' di tempo che Sofie si era decisa a fare degli acquisti. Non era mai stata una grande amante dei vestiti né si reputava particolarmente brava a scegliere gli abbinamenti da fare per tutto ciò che doveva indossare. Una parte di se stessa, tuttavia, si sentiva un po' strana nel mettere vestiti che aveva associato ad un periodo della sua vita lontana da tutti quelli che contavano davvero per lei. Era strano quasi a pensarci, come se avesse vissuto un lungo sogno durato quanto? Dieci anni? Così com'era arrivato però si era dissolto. Aveva scambiato qualche messaggio con qualche amica di Oslo, all'inizio, ma alla fine anche quelli si erano fatti sempre più radi, come se la distanza fosse diventata incolmabile. Sofie lo trovava assurdo, ipocrita, come se quella manciata di chilometri potesse rompere quelle che al tempo aveva reputato solide amicizie: per la maggior parte, in realtà, si era sbagliata, ma l'aveva capito solo una volta riacquistata quella piccola parte della memoria, con tanta fatica e tanto dolore. Fra tutte quelle persone comunque, solo una ragazza aveva continuato a farsi sentire, aveva dimostrato interesse per lei nonostante, in fin dei conti, non sapesse nulla né della persona che era a Oslo né di quella che era a Besaid: un piccolo spruzzetto di sole in quel mare di buio.
    E così aveva deciso di prendere il coraggio a due mani, prelevare un po' di soldi dal conto e dirigersi verso la zona commerciale, dove sperava avrebbe potuto trovare qualcosa di carino o, quantomeno, una commessa che potesse aiutarla a non sembrare totalmente una persona trasandata. Aveva pensato di chiedere a qualcuno di accompagnarla ma alla fine era finita con l'andarci da sola, ritenendo che con quello scarso preavviso nessuno le avrebbe detto di sì. Aveva preso appuntamento con uno studente in tesi presso il suo studio: era sabato mattina, ma lui sembrava disperato e Sofie non aveva niente di meglio da fare quel giorno - un po' triste, ma questo passava il convento -, così aveva deciso di fare quella buona azione e perdere un'oretta con lui. Alla fine, il karma era stato cortese e l'ora si era trasformata in mezz'ora: era stato sufficiente spiegargli dove il discorso non filava e dove potesse reperire delle informazioni più precise sull'argomento. Utile e sbrigativo. Finito con lui, aveva chiuso a chiave il suo studio e si era diretta verso la sua meta, finendo con l'entrare nei negozi più famosi, quelli delle grandi catene principalmente, ma rimediando soltanto un paio di jeans scuri, perfetti per sostituire il paio logoro che aveva a casa, ed una giacca con una stampa colorata alle spalle, sempre di jeans. Non proprio degli acquisti azzardati, entrambi perfettamente nelle sue corde. Camminando con quell'unica busta di carta fra le mani, però, fu attirata dall'insegna di un negozio che non aveva mai notato: e come avrebbe potuto? Sofie andava in quella zona solo in casi eccezionali, come quello, mai si era addentrata tanto o aveva guardato con attenzione ciò che la circondava. VintAge. lesse, mentalmente: le vetrina erano ben congeniate e, nonostante singolarmente non le piacessero i capi scelti, trovò quegli abbinamenti molto eleganti. Bastò quello a convincerla ad entrare per dare un'occhiata più da vicino: erroneamente aveva pensato che vendessero solo abiti, ma in realtà, come anche le stesse vetrine mostravano, quel posto era un vero e proprio antiquario. Nell'aria c'era una musica lievemente distorta, come se provenisse da un giradischi piuttosto che da un lettore cd, e attorno a lei il negozio si estendeva in maniera più ampia di quello che aveva creduto dall'esterno: c'erano davvero tantissimi oggetti, abiti e pezzi d'arredo. Fu attirata da una vetrata contenente diversi paia di occhiali da sole, uno più strano dell'altro come forma: alcuni sembravano più dei paraocchi, altri invece erano così sottili da farle pensare che il sole non avrebbero potuto coprirlo nemmeno per sbaglio. «Che belli questi fece, parlando fra sé e sé. Non si era resa conto d'essere in compagnia: c'era un ragazzo alle sue spalle, aveva gli occhi più belli che Sofie avesse mai visto in vita sua. Sentito un passo di troppo, la ragazza si girò ed incrociò quello sguardo che da bambina le aveva rapito il cuore: aveva creduto che la memoria fosse tornata in tutta la sua interezza, ma si era sbagliata. Quel giorno gli occhi di Eva erano coperti da lenti a contatto, ma non aveva importanza, lo riconobbe subito.

    ***

    «Ho imparato a fare una cosa nuova!» gli aveva detto a voce bassa non appena Helga si fu allontanata, con un sorriso appena accennato a solcarle il volto. Si era arrabbiata molto quella giornata, aveva sentito tutto il suo corpo esser percorso da un'energia che non credeva di possedere: senza volerlo fare davvero, aveva sollevato la mano di Jakob ed aveva colpito la spalla di Nikolaj. Era rimasta impietrita, immobile, mentre vedeva suo fratello prendersela con colui che l'aveva picchiato. Come aveva fatto? Com'era possibile? Era Niko il burattinaio, non lei, lei era soltanto quella che sapeva giocare con l'elettricità, quella cosa che permetteva alle lampadine di brillare, al forno di funzionare, nient'altro. Era andata a scuola però il giorno seguente, un privilegio a cui i suoi fratelli non potevano accedere, e aveva chiesto alla sua insegnante se dentro di ognuno di loro vi fosse dell'elettricità: si era sentita sciocca nel chiederlo, la sua insegnante però non l'aveva giudicata, anzi, si era complimentata per l'intelligenza. Sofie non capì, rimase col capo inclinato, in attesa della risposta che di lì a poco, in un linguaggio chiaro e comprensibile ad una bambina, arrivò lesta. Lei, però, non era come la sua insegnante: poteva fare di meglio con Eva. Sorrise in maniera più convinta e, poggiandogli la mano sulla gamba, esercitò il suo potere, facendogli sollevare il braccio sinistro ed afferrare una ciocca di capelli. Si sforzò molto per mantenere salda quella presa, ma dopo poco cedette: era la prima volta che manteneva quel contatto tanto a lungo. Respirò profondamente, riaprendo gli occhi che aveva chiuso per riprender fiato, e poi con l'ennesimo sorriso decise di spiegare al bambino cos'era accaduto: «Dentro di noi c'è l'elettricità, io posso muoverti come voglio con quella, come un burattino!» Si lasciò andare ad una risata divertita. Anche in lei c'era qualcosa di speciale dopotutto, qualcosa che sarebbe stata solo sua e di nessun altro, anzi, sua e di Eva: da quando l'aveva conosciuto, ormai un po' di tempo prima, si era sentita completamente a suo agio con lui. Si fidava, poteva mostrargli quel segreto, l'avrebbe mantenuto, ne era sicura. La reazione che ne scaturì, tuttavia, non fu quella che si aspettava. Probabilmente ci furono delle altre chiacchiere nel frattempo, la mente della ragazza tuttavia aveva eliminato i dettagli inutili, ricordando solo le parole che la segnarono al tempo: «Puoi bloccare anche il mio cuore così?» Una frase così ingenua ma allo stesso tempo così piena di dolore che Sofie, impietrita, non era riuscita nemmeno a rispondere sinceramente: «No. Non si può fare.» disse solo, senza sapere se fosse possibile per davvero. Non le importava. Lei desiderava solo che Eva stesse bene. «Prima o poi ti porterò a casa. Ci sono un sacco di cose che voglio farti vedere.» E così dicendo, aveva cambiato argomento, a fatica, in maniera goffa, ma ci aveva provato.

    ***

    «Eva?» gli disse, ritrovandoselo dinanzi a sé, ormai cresciuto, diverso, ma sempre se stesso. Era passato così tanto tempo... Si era fatto davvero grande, per i maschi era sempre così, crescevano tutto d'un tratto, quando meno se lo aspettavano. La sua mascella non era più quella esile di un ragazzino, era più robusta, così come la sua corporatura, decisamente più ampia e mascolina di quella di Sofie. «Oddio. Sei tu, vero?» chiese ancora, avvicinandosi di più, ad osservarlo, come se volesse esserne certa. Ricordava i suoi occhi nitidamente, ricordava quanto le piacessero, ma quelli dinanzi a lei non erano proprio i suoi... Anzi sì, sì, indossava delle lenti a contatto, con la luce del VintAge vedeva quel sottile cerchietto a coprirgli le iridi. Sofie non era mai affettuosa, non lo era stata nemmeno con i suoi familiari, ma forse, mossa da quel senso di protezione che sin da bambina aveva posseduto nei confronti del piccolo Eva, non riuscì a trattenersi. Con un sorriso che non si era accorta di avere sul volto, gli gettò le braccia al collo, faticando un po' vista l'altezza di lui, e lo strinse forte: stava bene, anche lui, come gli altri, stava bene. Non era successo niente in sua assenza. «Mi dispiace tanto di non essere più venuta.» disse, stretta alla stoffa della maglietta che indossava lui. Aveva fatto cadere involontariamente la busta con i vestiti che aveva comprato, generando un rumore poco piacevole che aveva attirato l'attenzione del proprietario del negozio, un uomo di mezza età che, poco distante, se ne stava a sorseggiare un bicchierino di bourbon chiedendosi, probabilmente, chi diavolo fosse quella pazza che stava abbracciando il suo dipendente. «Mi dispiace davvero tanto.» disse ancora, in un soffio. Il vizio di scusarsi, da quando aveva rimesso piede a Besaid, forse non l'avrebbe davvero mai abbandonata.

    Edited by Nana . - 4/6/2020, 15:52
     
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    Visto che la considerazione che si aveva di Eva all'interno dell'Istituto era da sempre stata altissima, il ragazzo aveva avuto l'opportunità di venire a sapere della partenza di Sofie non per mezzo della diretta interessata, ma per qualche chiacchiera captata di sfuggita mentre Helga e qualche sua collega discutevano ignorando la presenza del terzo. Forse credevano che Eva, dato che stava sempre zitto, avesse sviluppato anche qualche forma di difetto o impedimento nel percepire i suoni. Aveva potuto godere della fortuna di conoscere Sofie qualche anno prima e mai si sarebbe immaginato che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe dovuto dirle addio, forse per sempre. In verità, peccando di ottimismo, aveva ipotizzato un breve viaggio lontano dai limiti di Besaid, all'esterno dello stesso Istituto dove per lui risultava essere quasi paradossale la presenza di vita. Così, mentre venivano staccati gli elettrodi da quel corpo che s'incamminava verso una strada di maturazione e crescita fisica, Eva non poté fare a meno che interrogarsi su Sofie: l'aveva davvero abbandonato lì? Se ne era andata senza nemmeno salutarlo? "Prima o poi ti porterò a casa." Quel triste sentimento si manifestò in qualche strepito capriccioso, una sorta di energia che sentì il bisogno di scaricare ma che riuscì a dissipare solo contro le proprie mani e il proprio labbro, arrivando a morderlo fino a sanguinare leggermente. Questo si mescolò a quello colatogli dal naso e, passandosi il dorso della mano contro il viso, raccolse un misto di liquido cremisi e lacrime che non si era accorto di aver iniziato a versare. La sessione di prova fu quindi terminata quel giorno e al di là dello sguardo vigile degli addetti o quello vitreo delle telecamere gli sembrò di cessare di esistere del tutto, sapendo che mai più un paio d'occhi gentili si sarebbero posati su di lui.

    Impegnato a riporre accuratamente in ordine alcuni capi scartati dall'acquisto del cliente che l'aveva appena annoiato a morte, Eva non fece nemmeno caso al secondo trillo del campanello, che invece accolse con un plateale roteare delle pupille: avrebbe avuto un attimo di tregua? A quanto sembrava no e, fra l'altro, si stava sbagliando a reagire in modo tanto negativo ad un evento che avrebbe potuto facilmente svoltargli il fluire della giornata. Fu quando riuscì ad alzare lo sguardo dalla mansione che lo stava occupando in quel momento che un moto di positiva sorpresa lo folgorò dalla testa ai piedi: mai si era vista tanta emozione manifestarsi nel viso dell'imperscrutabile commesso. Tant'è che, seppur accompagnato da una piccola ombra d'incertezza, fece i primi passi verso la donna che avrebbe potuto riconoscere con facilità anche a distanza di decenni. Quelli? Sì, staresti davvero bene con quelli addosso, Sofi. Annuì e si divertì nell'accentuare affettuosamente l'ultima vocale, dando quasi una svolta francese al nome della giovane. Quindi, raccogliendo lo sguardo sorpreso dell'altra che si piazzò sul suo viso, Eva lasciò ciondolare di poco il volto contro la propria spalla, inclinandolo nel comunicare viva curiosità. Sapeva bene che, per quanto ci avesse provato, non sarebbe riuscito in nessun modo a schermare gli occhi curiosi del proprietario che, goloso di pettegolezzi, di sicuro non si sarebbe fatto sfuggire nemmeno il più piccolo dettaglio. Ovviamente c'erano alcuni elementi che non poteva comprendere o intuire, così come il motivo per cui Sofie lo stava chiamando "Eva" e non Aksell, il nome con cui il signor Björklund lo conosceva. Tuttavia si sarebbe preoccupato di quei problemi in un secondo momento; ora gli occhi non vedevano altro che Sofie, quasi come se fosse stato ammaliato, quasi come l'avesse vista entrare per la seconda volta in quello studio al Mordersønn. Eva. Fece eco alle parole di Sofie, parlando più piano, non potendo fare a meno di trattenere un sorriso intenerito, dato che si era materializzata davanti ai suoi occhi una delle poche persone, forse l'unica, che ricordava con piacere del suo passato. Se era vero che Sofie portava con sé lo stesso cognome che equivaleva per Eva ad una vera e propria maledizione, non gli aveva mai dimostrato nient'altro che non fosse affetto e premura, diventando ben presto una cara persona per il cuore del fanciullo. Sono io, sono proprio io. E questo qui di solito è azzurro... Continuò e si poté chiaramente notare l'ilarità nella voce, quasi fosse divertito dalla tanta incredulità di Sofie e le permise di farsi più vicina, facendo per portarsi il dito indice sotto l'occhio destro, andando a picchiettare proprio sulla guancia. Le suggerì l'ultima parte della frase in un sussurro, dato che in quel momento l'originario colore era stato coperto da una lente a contatto castana.
    Così, fermo in quella bizzarra posizione e senza che potesse prevederlo, si trovò ad essere stretto dalle braccia di Sofie in uno stretto abbraccio. Con cautela fece in modo di poter ricambiare quel gesto affettuoso e, non riuscendo nemmeno a farsi distrarre dal rumore provocato da una qualche busta che cadeva, gli parve impossibile poter condividere un contatto del genere con l'altra; il sorriso andò a stemperarsi dal volto e la leggerezza dello scherzo venne sostituita da un piacevole tepore che iniziò ad espandersi fra la cassa toracica, riducendolo al completo silenzio, quasi stesse osservando un evento meraviglioso. Il corpo si sottomise facilmente a quell'abbraccio che, in verità, si ritrovò a desiderare ora come un tempo, quando l'unico raggio caldo di sole che aveva potuto sfiorare il suo viso erano state esclusivamente le dita di Sofie. Mentre dava l'accesso all'altra di annidarsi nuovamente all'interno di parti nascoste di sé, accuratamente recluse allo sguardo d'altri, permise a quelle parole di toccarlo sul vivo, lì dov'era ancora fragile. La ferita pulsò di rimando e, senza che potesse trattenersi ulteriormente, gli occhi iniziarono a pungere fino a quando Eva non versò una singola lacrima che fu veloce a cacciarsi lontano dallo sguardo di Sofie, muovendo con rapidità il polso contro la propria guancia. Sei partita e... non avevi idea di dove trovarmi. Le rispose a voce bassa, sinceramente convinto di ciò che aveva appena detto. Conosceva bene gli effetti che la lontananza da Besaid poteva avere sulle menti dei suoi cittadini. Era il suo unico limite, oltre alle numerose catene che lo costringevano a non allontanarsi più di quella linea immaginaria che ne delimitava il confine; ogni volta che era stato portato al di fuori della città, accompagnando quello o quell'altro operatore dell'Omega, vi aveva fatto ritorno quasi con remissività e sottomissione, provando un certo desiderio di conforto nel posizionarsi per l'ennesima volta nel mezzo della sua gabbia. Quindi, non dispiacerti. È andata bene così... Aggiunse poco dopo, appoggiando infine il mento contro la spalla di Sofie, socchiudendo gli occhi e lasciandosi infine andare a quel momento d'umanità che gli sfilò da dietro la nuca il filo sottile che ne tratteneva l'ennesima maschera. Con Sofie non avrebbe potuto fare altro se non essere Eva: niente di più, niente di meno.
    Andando a circondare gli avambracci di Sofie con le dita e con estrema delicatezza nello sciogliere l'abbraccio, quasi tornò a sorridere nel notare ora più chiaramente la differenza d'altezza e di stazza fra i due corpi; entrambi erano cresciuti, attraversando con grazia l'età ostile dell'adolescenza per sbocciare, volendosi fingere modesto, in discreti risultati dell'età adulta. Sofie sembrava aver conservato tutto il chiarore che emanava quand'era più piccola, illuminata da una patina che forse era esacerbata dall'ammirazione che Eva provava nei suoi confronti. E, nonostante gli anni che intercorrevano fra i due e altrettanti passati distanti, il più giovane si sentì incredibilmente piccolo di fronte allo sguardo di Sofie, quasi come se si aspettasse di ricevere dalla donna la solita carezza fra i capelli biondi, quella che era abituato ad avvertire quand'era ancora più basso di lei. Per qualche strano motivo a lui oscuro si accorse di un leggero imbarazzo che iniziò a pungergli le guance e, abbandonando del tutto il contatto con Sofie, si appoggiò alla vetrina riuscendo con facilità a mettere in secondo piano qualsiasi rumore di contorno alla presenza dell'altra; aveva superato da tempo la cotta infantile che nutriva nei suoi confronti, ma in quel momento non sarebbe stato difficile per lui ignorare perfino l'ingresso di un qualsiasi cliente, anche il più esigente e caro per le casse del negozio. È strano ritrovarti qui, fra tutti i posti, per caso. Osservò mentre incrociava le braccia solo per trattenere fra le dita di una mano la propria guancia, facendo passare il mignolo contro il labbro superiore, quasi stesse cercando di raccogliere e riordinare le parole prima che potessero fuoriuscire dalla bocca. Quell'istinto naturale, il continuare a celarsi dietro una tela di ragno che avrebbe tessuto con abilità in situazioni diverse, sicuramente non avrebbe retto il confronto con un incontro tanto singolare. Ma immagino sarai entrata con le tue buone ragioni... ti va di scambiare due chiacchiere mentre ti aiuto a scegliere qualcosa? Socchiuse gli occhi nel sorriderle e, passando una piccola chiave all'interno della toppa in ferro, riuscì ad aprire la vetrata che aveva attirato l'attenzione della donna proprio per passarle il modello su cui aveva posato lo sguardo. Purtroppo non ricordo un granché del nostro alfabeto segreto quindi... E senza terminare la frase lasciò navigare lo sguardo verso il proprietario che, forse fingendo disinteresse, si era messo a spulciare nuovamente i vinili dando le spalle ai due. Di sicuro non sarebbe stato in grado di sentirli nemmeno se avessero parlato ad un tono più sostenuto, tuttavia Eva aveva sviluppato nel tempo una (maniacale) tendenza a mantenere gli argomenti riservati come tali il più possibile e, quasi senza rifletterci su, immaginò che nemmeno Sofie fosse dell'avviso di voler sfoderare ai quattro venti delle rivelazioni intime. Se il signor Björklund veniva a sapere anche solo dettaglio, una pallida virgola di verità (o menzogna, non c'era alcuna differenza), tutta la clientela aveva a disposizione una storia da ingigantire e da rendere un vero e proprio romanzo. Le mani di Eva raggiunsero un piccolo specchio poco distante da loro, incastonato in una cornice a forma di cuore in un ottone sbeccato a tratti: perché il proprietario fosse convinto a mantenere quel pezzo inutile ed orrendo era fuori dalla possibilità di comprensione di Eva. L'avevo detto. Ti donano. Concordò nel lasciare a Sofie l'oggetto, passandosi le dita contro il mento con espressione convinta. Tornato quasi nel ruolo di commesso si allontanò da Sofie mentre raccoglieva la sua busta da terra e, facendole cenno di seguirlo, la indirizzò ad accomodarsi verso la zona centrale del negozio. Più simile ad un salotto molto ben studiato che allo spazio dove spulciare capi d'abbigliamento, Sofie avrebbe avuto modo di accomodarsi su un buffo divano che sembrava spuntar fuori dal retro di un'automobile (senza stare nemmeno a dirlo... d'epoca). Vogliamo fare una domanda ciascuno? Le suggerì con dolcezza mentre si accomodava sullo schienale del divano, picchiettandole la spalla solo per porgerle uno dei tanti beret che era possibile trovare all'interno del negozio. Si indicò quindi il capo, come a volerle suggerire il fatto che, se avesse accettato di indossare quel copricapo, sarebbero stati coordinati, dato che anche lui ne indossava uno navy con tanto di nastro chiuso a fiocco che girava attorno all'orlo. Perché tornare?

    Edited by Kagura` - 6/10/2020, 16:06
     
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    La voce che si era rivolta a lei mentre vagava con lo sguardo fra quegli occhiali non era la stessa che ricordava ma aveva in sé la stessa cortesia che l'aveva caratterizzata sin da quando, per la prima volta, gli occhi dell'unica erede femmina dei Mordersønn si erano posati su un bambino un po' spaventato dai capelli biondi e gli occhi di due colori diversi l'uno dall'altro. «Quello destro.» gli rispose, avendo nella mente ben stampata l'immagine di almeno dieci anni prima: le erano sembrati così particolari e belli allo stesso tempo che subito, non appena l'aveva rivisto, quel dettaglio era balzato alla sua mente, come fosse qualcosa di fondamentale, vitale. Era bastato quello a farle muovere i piedi in maniera incontrollata, avvicinandosi ad Eva e cingendolo con un abbraccio che mai credeva si sarebbe ritrovata a dare: era sempre quella che veniva abbracciata, mai quella che abbracciava. Erano atti d'affetto che Sofie preferiva evitare, cresciuta in una casa come la sua in cui l'unico amore, in senso così letterale, era fornito in cambio di un piccolo straordinario sullo stipendio delle governanti e delle cameriere, coloro che si degnavano di dare uno sguardo in più alla figlia di quella ricchissima famiglia, troppo impegnata a dar attenzioni ai figli problematici che si riteneva ne avessero più bisogno. Sofie aveva dato tutto per un solo, singolo sguardo da parte di sua madre, quell'unica richiesta d'aiuto che le era stata fatta per sfuggire da una realtà troppo pesante da sopportare nell'unico modo in cui un genitore non avrebbe dovuto fare. E lei ci era caduta, era caduta in quella trappola senza nemmeno farsi supplicare, era finita con l'essere volontariamente la ruota di scorta di una famiglia che avrebbe desiderato esser perfetta ma che, alla fine, era fatta solo di apparenze. Aveva lasciato ogni cosa, ogni persona, ogni affetto, per una vita di bugie, fatta di un passato di cui non sapeva più niente, di cui non possedeva che qualche fotografia e qualche sfogo, scritto su pagine e pagine di quaderni lasciati a marcire dentro un armadio pur di non voler ricordare, di non voler guardare direttamente la realtà di cui lei stessa era stata l'unica fautrice.
    Deglutì, chiudendo gli occhi e stringendo Eva un po' di più. «Non è una giustificazione.» Non capiva come gli altri, tutti, potessero davvero accettare un tale comportamento da parte sua: una parte di lei, sentiva che sarebbe stato più giusto crocifiggerla per quanto era accaduto, lasciarla sola con i suoi demoni, farle magari comprendere a lungo tutti i suoi errori e forse, alla fine, dopo una lunga redenzione, perdonarla. Invece no, aveva trovato soltanto benevolenza, solo persone felici di vederla, disposte a capirla, ad accettarla.
    Era sempre stata così debole?
    Quindi, non dispiacerti. È andata bene così... L'unica cosa che davvero era andata bene era l'averlo ritrovato, ma questo non ebbe il coraggio di dirlo. Sollevò la mano destra, sfiorando delicatamente i capelli biondi di Eva con i polpastrelli, da una prospettiva diversa rispetto a quella dei suoi ricordi. Era strano ritrovarsi dinanzi la stessa persona ma con degli anni addosso che non avevano vissuto insieme: voleva chiedergli cos'era successo, aveva quella voglia ogni qual volta incrociava qualcuno del suo passato, come se si sentisse in obbligo di avere un sunto completo su quanto si era persa durante la sua assenza. Con Eva, in particolare, aveva un legame che aveva sempre reputato unico: c'era stato in quelle zone dove nessun altro aveva messo piede, l'aveva ascoltata lì dove nessun altro poteva e voleva farlo. Nonostante fosse stato più piccolo, nonostante Sofie stessa avesse cercato e desiderato più e più volte poterlo proteggere, alla fine era stato lui a far del bene a lei. Non ricordava tutto, non poteva farlo, la maledizione di Besaid o qualunque altro strano incantesimo attorno alla città le impediva di mantenere i ricordi, ma ricordava la sensazione, la solitudine che provava, soprattutto da molto piccola, prim'ancora di incontrare Kai e Roy. C'erano i suoi fratelli, ma non era abbastanza, non poteva essere abbastanza per una bambina che si vedeva lasciata indietro, che si considerava invisibile. «Sono contenta di essere entrata qui dentro.» si lasciò infine sfuggire, a voce bassa, quasi in un soffio che forse non aveva nemmeno sfiorato le orecchie di Eva.
    Sciolto l'abbraccio, Sofie rimase ancora a guardarlo, attenta ad ogni dettaglio, appuntando mentalmente in cosa era cambiato e come, mentre lui appurava quanto fosse strano ritrovarla lì. «Sto cominciando a dubitare del caso.» rispose, sollevando appena le spalle. Ma non era un male, se non fosse stato merito di fortuite coincidenze avrebbe rivisto né lui né Kai, non sarebbe nemmeno ritornata a Besaid, l'unico posto che stava cominciando a sentire come casa dopo tanto tempo. Ma immagino sarai entrata con le tue buone ragioni... ti va di scambiare due chiacchiere mentre ti aiuto a scegliere qualcosa? «Buone non proprio.» gli disse, alzando ancora una volta le spalle. «Il mio armadio piange miseria da anni e vorrei cercare di essere una persona quantomeno ordinata. Una con stile mi sembra puntare un po' troppo in alto.» Anche perché la moda e tutto ciò che essa concerneva non le era mai interessata... E si vedeva. Quel giorno era vestita in maniera piuttosto normale, ma non era strano vederla, soprattutto per fare delle commissioni, con abiti sportivi e larghi, comodi da indossare ma che, di certo, donavano ben poco alla sua figura che non era in grado di esaltare se non per le grandi occasioni, come qualche settimana prima, a teatro. Nel frattempo, seguendo lo sguardo di Eva, Sofie distolse il suo dal ragazzo per rivolgerlo di sbieco al proprietario del negozio che sembrava essere piuttosto affaccendato nel fingersi disinteressato alla loro conversazione: «Ti farà il terzo grado su chi sono, quanti anni ho, come ci conosciamo e perché?» lo prese in giro, a voce più bassa, facendo attenzione a non farsi vedere. Porse la mano al ragazzo che, nel frattempo, dalla vetrina aveva recuperato gli occhiali che l'avevano colpita: erano veramente belli, anche se forse non nel suo stile. L'avevo detto. Ti donano. «Dici?» chiese, non troppo convinta, osservando la sua immagine all'interno dello specchio. Belli erano belli, ma aveva qualche remora. Decise di fidarsi e di prenderli mentre Eva le faceva strada all'interno del negozio, in un punto che le diede più l'idea di uno strano bar: «E' davvero particolare questo posto.» si lasciò sfuggire, mentre sedeva sul divanetto accanto ad Eva. Vogliamo fare una domanda ciascuno? le chiese, porgendole un beret. La donna annuì, entusiasta, sebbene temesse che le prima domande sarebbero state piuttosto dure. Era ovvio, ma era giusto che rispondesse. Dopo aver preso il cappellino, Sofie si sciolse i capelli e fece scivolare l'elastico sul polso, li ravvivò lievemente e poi se l'infilò, volgendo lo sguardo verso il ragazzo: Perché tornare? le domandò. Lo sguardo cadde nuovamente verso il basso: «Vorrei sempre dare una risposta migliore quando mi viene fatta questa domanda.» esordì, accennando un sorriso, un po' mesto. «Ma la verità è che sono stata attirata da Besaid senza che nemmeno ne ricordassi l'esistenza. Ho guidato parecchie ore senza che nessuna uscita autostradale mi facesse dire "Sì, adesso esco e mi rifaccio una vita", poi ho visto la scritta Besaid e ho deciso di farlo. Senza motivo, sì.» Aveva rialzato gli occhi verso Eva nel parlare e se ne stava lì ad osservarlo, attenta anche al più piccolo ed impercettibile cambiamento nella sua espressione. «I ricordi poi, almeno quei pochi che sono tornati, hanno cominciato a fare capolino incrociando le persone legati ad essi, quelle più importanti almeno.» Sospirò. Le faceva molta tristezza sapere d'avere così tante mancanze, di avere qualcosa in meno a tutti quelli a cui voleva bene e di esser stata lei stessa causa del suo stesso male. «Comunque. Tocca a me ora, no?» chiese, pronta eventualmente a dargli altre risposte in merito a quella domanda. «Hai ancora legami con l'istituto?» Era stata qualche secondo a ponderare se porre o no quella domanda: era troppo diretta? Aveva il diritto di farlo? Poteva risponderle? Alla fine, però, aveva scelto di essere sincera, con lui e con se stessa. L'unica cosa di cui si preoccupava davvero in quel frangente era che stesse bene. Il fatto che lavorasse lì, si era detta, doveva già essere un buon punto di partenza: magari non viveva più con loro, dopotutto era cresciuto, lo vedeva bene, in forma, era diventato un bellissimo ragazzo e, se solo avesse voluto, avrebbe potuto tranquillamente scegliere di fare il modello per qualche rivista famosa. Il Mordersønn lo lasciava andare così in giro? Dopo come l'aveva cresciuto? Doveva parlare con Nikolaj. E dire che le aveva anche proposto di andare a lavorare lì... Per far cosa? Lei non aveva il coraggio di occuparsi di certi studi. Li trovava inumani, folli. Ne facevano ancora? Ma, cosa più importante, Eva era ancora implicato in quel sistema? «Ho rivisto anche Nikolaj. Le cose sono diverse da com'erano in passato fra di noi e se c'è qualcosa che vuoi io faccia a riguardo gli parlerò.» si affrettò a dire, ancor prima di udire la sua risposta. Si fece sprofondare un po' all'interno del divanetto, scivolando con la testa sullo schienale, sempre ben rivolta a guardare Eva: «Più tardi o anche nei prossimi giorni, mi piacerebbe andare a fare un giro. Quand'ero piccola avevo questo desiderio - almeno questo me lo ricordo - e vorrei ancora farlo. Se ti va.» Sottolineò con un lieve imbarazzo le ultime tre parole di quel periodo. Non aveva davvero un'idea precisa di dove volesse andare ma desiderava girare per Besaid con qualcuno che sì, di sicuro ormai l'aveva già fatto, ma non con lei. Magari potevano anche passare per casa sua, mangiare qualcosa, chiacchierare senza l'ansia di essere osservati: per quanto il proprietario del negozio non fosse ascrivibile agli impiegati dell'istituto, Sofie sentiva una strana pressione, come un déjà vu, che non la faceva stare totalmente serena. Forse, però, era solo la sua testa.
     
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    Nel momento in cui l'abbraccio fra i due venne sciolto da Sofie, Eva si domandò come avrebbe potuto riprendersi da quell'immediata sensazione di vuoto che, senza volerlo, la donna aveva accentuato nel stringerlo di più a sé e nell'accarezzargli un po' i capelli. Represse come meglio poteva un triste sospiro e cercò di portare l'attenzione altrove, dovendosi dividere fra la volontà di rinchiudersi nell'universo di Sofie e la consapevolezza di essere osservato da due occhi estranei a quell'incontro. Sono contenta di essere entrata qui dentro. Credeva di poter dire lo stesso, per quanto lo trovasse assurdo: era contento di essersi recato a lavoro quella mattina. A quelle dolci parole, Eva puntò lo sguardo verso il pavimento, stranamente avvolto da un imbarazzo che cercò di scrollarsi quanto prima di dosso. Quindi, attento a ciò che l'altra condivise con lui, presto la curva della labbra si impreziosì di toni più divertiti, trovandosi immerso in curiose indagini e supposizioni mentali sullo stato dell'armadio di Sofie, a cui rivolse uno sguardo più attento e clinico prima di dedicarsi alla vetrina. Ti farà il terzo grado su chi sono, quanti anni ho, come ci conosciamo e perché? Eva si limitò ad annuire, sogghignando per via della precisa intuizione di Sofie. Poco dopo, intenzionato a dedicarle quante più attenzioni potesse, fece in modo che i due potessero godere di uno spazio più intimo - per quanto sempre seguiti dai due attenti occhi del proprietario del negozio.
    Catturato dal fluido movimento dei capelli di Sofie, ora sciolti e liberi di accarezzarle il collo e le spalle, Eva cercò di raccoglierne ogni più raffinato dettaglio, delineato dal leggero moto ondulato delle ciocche. Gli tornò, senza che potesse frenarsi dal farlo, un ricordo d'infanzia, quando le aveva fatto saltare uno dei suoi tanti elastici in aria, regalandole involontariamente un'acconciatura elettrica. A quel tempo l'aveva preferita con i capelli sciolti e, se doveva essere sincero, anche in quel momento non credeva di poter dissentire su conclusioni a cui era giunto parecchi anni prima. Vorrei sempre dare una risposta migliore quando mi viene fatta questa domanda. Al contrario, le labbra di Sofie si erano incurvate in una linea seria, quasi triste e, nell'osservarla, Eva non poté fare a meno di imitarla, ora ancora più curioso e al tempo stesso preoccupato. Ma la verità è che sono stata attirata da Besaid senza che nemmeno ne ricordassi l'esistenza. Ho guidato parecchie ore senza che nessuna uscita autostradale mi facesse dire "Sì, adesso esco e mi rifaccio una vita", poi ho visto la scritta Besaid e ho deciso di farlo. Senza motivo, sì. Continuò ad ascoltarla in silenzio, non permettendosi nemmeno di emettere il più piccolo suono, affidandole lo spazio di rivelare quanto più desiderasse attraverso quei piccoli indizi o le espressioni facciali: Sofie sembrava triste. Si domandò cosa significasse abbandonare la città, cos'avesse comportato per lei allontanarsi a tal punto da dover pagare l'alto prezzo di alcuni suoi ricordi, ora costretta ad effettuare un faticoso lavorio di incastri.
    L'espressione di Eva si corrugò appena per una manciata di secondi, almeno fino a quando Sofie non riprese parola solo per indirizzare l'attenzione verso di lui, pronta a rivolgergli una domanda che sembrava affliggerla un po'. L'istituto... Lo sguardo di Eva si affilò, interrogando le iridi di Sofie, chiedendole quali altri interrogativi si nascondessero dietro quelle poche parole, domandandole quanto ne sapesse davvero al riguardo o quanto, in verità, riuscisse a ricordare. Lui stesso non avrebbe saputo darle una risposta appropriata. Infatti, porre una domanda del genere apriva la possibilità a due ipotizzabili risposte: una in cui Eva era libero, finalmente slegato da ogni catena che lo legava all'istituto, e un'altra in cui tutto era rimasto esattamente com'era sempre stato. Eva non aveva motivi per desiderare la libertà, né strumenti per decifrare la sola situazione che aveva sempre conosciuto e in cui era cresciuto. Ho rivisto anche Nikolaj. Le cose sono diverse da com'erano in passato fra di noi e se c'è qualcosa che vuoi io faccia a riguardo gli parlerò. Prima ancora che Eva potesse parlare, Sofie aggiunse quel commento che parve interessarlo tanto più delle inutili e complesse congetture che avevano provato a rapirlo per qualche secondo. Le dita di Eva strinsero di poco lo schienale del divanetto, lasciando che la guancia andasse ad incontrare la propria spalla. Scosse di poco la testa, mentre lo spettro di un sorriso si presentava sulle sue labbra. Davvero potresti? La interrogò con una punta di tenerezza che gli macchiava la voce, trovando davvero premuroso il suo atteggiamento, per quanto sentisse di non dover muovere nessuna lamentela a Nikolaj. In fondo, tutti e due agivano in modi molto più simili di quanto Sofie credesse. Ti farò sapere, Sofi. Grazie. Concordò, pur enigmatico, mentre la osservava scivolare contro il divanetto, avvertendo lo strano desiderio di lasciarsi passare fra le dita una delle numerose ciocche di capelli della giovane e, insieme, di cambiare al più presto argomento.
    Quindi, ascoltando la proposta della giovane, Eva alzò un angolo delle labbra in un'espressione più interessata agli scenari che si aprirono alla sua immaginazione che quelli che l'avevano abitata prima che Sofie arrivasse a sfiorare quella monotona giornata di lavoro con le sue dita, direttamente da un passato che ora si era fatto presente. Mi stai chiedendo di uscire prima da lavoro? È proprio quello che le mie orecchie stanno sentendo? Le rispose ammiccante, alzandosi solo per invitarla con un movimento della mano ad attenderlo per qualche tempo, ben intenzionato a cogliere l'offerta di Sofie per dileguarsi quanto prima dallo sguardo fintamente disinteressato del signor Björklund. Dopo una sintetica chiacchierata con il proprietario e una ancor più rapida tappa al piano sottostante, Eva tornò al fianco di Sofie, sfilandosi il beret dalla testa solo per ravvivare i capelli biondi. Permesso accordato. Puoi tenere quelli a patto che tornerai a farci visita per qualche altro acquisto. La informò, facendo riferimento agli occhiali da sole e al cappellino, ma sapeva bene che non si trattava di un patto ferreo e vincolante: sicuramente il signor Björklund avrebbe solo voluto vedere la donna sfilare con qualche vestito che le aveva già immaginato addosso. Eva non poteva che concordare con la visione del proprietario del negozio, trovando Sofie maturata in forme davvero incantevoli. Abbandonati ora gli indumenti da lavoro e recuperati i propri abiti che, come quelli indossati dalla donna, ne abbracciavano morbidamente e largamente la figura, recuperò dalla tasca del cardigan che aveva addosso un piccolo mazzo di chiavi.
    Andiamo fuori, vieni. Le suggerì, rivolgendo un ultimo e rapido saluto al proprietario del negozio per lasciarsi alle spalle la porta d'ingresso insieme a Sofie. Fece qualche passo fino ad una vettura decappottabile, di proprietà del signor Björklund ma che gli era stata prestata per l'occasione speciale: si trattava di un vecchio modello di spider, coperta interamente di rosso ad eccezion fatta per i sedili, in pelle nera. Eva si affrettò ad aprire la portiera del guidatore solo per farle cenno con il capo che sarebbe stata lei a decidere dove dirigere entrambi. Perché non la fai di nuovo? Quella cosa che ti ha portata a Besaid? Propose, curioso di scoprire dove Sofie avrebbe scelto di portare entrambi, adagiandole le chiavi sul palmo della mano per poi prendere il posto del passeggero - allacciandosi la cintura di sicurezza con una certa celerità la sicurezza prima di tutto. Attese di averla una seconda volta al proprio fianco e tornò ad osservarla, ancora sorpreso dall'aver avuto la possibilità di vederla nuovamente. Avrebbe voluto farle tante domande: alcune più facili, altre complesse e imbarazzanti anche solo da sfiorare con la mente. Come aveva vissuto durante questi anni? L'aveva mai pensato prima di quel momento? Quanto ricordava dei momenti passati insieme? Aveva più fatto scoppiare delle lampadine? Si sarebbero abbracciati una seconda volta? In verità, voleva ascoltare semplicemente il rumore del vento passare fra di loro, lasciandosi trasportare via da Sofie. Desiderava poter avvertire il contatto freddo della risacca ghiacciare le caviglie di entrambi. Dove l'avrebbe fatto atterrare il dolce planare di quella sialia? Si trovò a picchiettarle delicatamente il dorso della mano della donna appoggiata sul cambio. Guidi veloce, Sofi? La provocò con fare scherzoso, mentre un luccichio d'interesse gli illuminò lo sguardo. Era davvero interessato a sapere come l'altra avrebbe risposto e, nell'attesa, tamburellò con le dita contro la portiera allo stesso ritmo della canzone che sommessamente iniziò a fluire fuori dalla radio.
     
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    Nikolaj e Jakob per Sofie erano sempre stati dei fratelli minori, nonostante non avessero che una manciata di secondi di differenza. Si era sempre sentita la maggiore, soprattutto quand'erano bambini, colei che aveva già avuto affetto e attenzioni, pertanto era giusto che lasciasse spazio ai suoi fratelli. Si era forse creata quell'idea mentale solo per non soffrire, una sorta di difesa infantile che, per un po', aveva anche sortito un certo effetto, fino a quando almeno non si aveva iniziato a sentire la solitudine, a guardarsi intorno, a capire che forse quella non era davvero la norma. Qual era la norma? Se lo chiedeva da bambina, non sapendo davvero dare una risposta. Sfiorava con le dita i tasti del grosso pianoforte a coda di Eventyr House con delicatezza, senza premere, osservando quanto piccolo fosse il suo polpastrello rispetto a quel tasto. Se ne stava spesso lì, seduta su quel sedile in pelle finemente decorato, ascoltando una musica che poteva udire soltanto lei. Poi se ne tornava a letto, in silenzio, scivolando nelle lenzuola con le quali una delle tante cameriere della dimora aveva rifatto il letto: chiudeva gli occhi e pensava alle cose belle. Gliel'aveva consigliato una sua compagna di classe, quando lei gli aveva confessato di avere gli incubi di tanto in tanto. Qualche volta, come se avessero sentito qualcosa che non andasse, i suoi fratelli venivano a bussare alla sua porta: le piaceva davvero tanto quel grande pianoforte e le piaceva com'erano in grado di farlo cantare Nikolaj e Jakob. «Fì, andiamo. Non ci sentirà nessuno. E' una casa enorme..» diceva Niko, prendendola per mano e trascinandola al piano terra: anche allora, nonostante tutto, si era occupato di lei, nonostante i timori di Jakob, sempre più restio nel violare le regole. Agli occhi della piccola Fì quello era solo un gioco, quasi un modo per accontentare suo fratello più che se stessa. Era brava a mentirsi. L'aveva sempre fatto d'altronde.
    Negli anni la situazione non era cambiata, quanto davvero c'era di differente era come lei si sentiva nei confronti di Nikolaj: ormai rimasto solo, non le appariva grande o maturo, tutt'altro, lei al contrario però si sentiva estremamente piccola, una bambina che aveva preferito nascondere la testa sotto la sabbia pur di ottenere qualcosa di simile ad una famiglia. Ce l'aveva già una famiglia, era lì davanti ai suoi occhi, e l'aveva abbandonata solo per l'idea di qualcosa di migliore, per una menzogna. E da allora tutto era mutato, il loro rapporto era maturato, lei era maturata, aveva trovato finalmente quel coraggio che aveva sempre pensato di possedere e che invece mai aveva davvero potuto stringere fra le dita. Se Eva l'avesse voluto, gli avrebbe parlato senza mezzi termini, senza più quella paura che l'aveva attanagliata a diciotto anni e che l'aveva costretta a lasciarsi alle spalle quel ragazzo, ormai un uomo, che le stava dinanzi e che la guardava con gli stessi occhi che, sebbene celati da delle lenti a contatti, non aveva dimenticato. Non era pronta a perdere altro, né ricordi, né amici, e, per quanto melodrammatico potesse apparire, se questo avesse significato "sporcarsi le mani" finendo con il lavorare dentro quell'istituto, allora andava bene. «Anche per parlare.» aggiunse, forse un po' più a disagio di quanto non sembrasse. Distolse per un momento lo sguardo, vagando per la mole di abiti ed accessori che la circondava. «So di non esserci stata e non voglio tediarti con scuse e... parole. Però ci sono e, anche se magari può non aver un grande valore detto ora, ti prometto che non me ne andrò mai più.» Lo disse arrossendo lievemente, senza ritornare con gli occhi in quelli di Eva, poi fece un grosso respiro e gli propose quella che il ragazzo interpretò come una prematura fuga da lavoro. «Potevo anche aspettare ma sì, vediamola così.» gli rispose, lasciando che sul suo volto apparisse un sorriso ed una leggera risata riempisse l'atmosfera che si era fatta un po' elettrica.
    Rivolse uno sguardo al proprietario del negozio che chiacchierava con Eva che, di lì a poco, si dileguò per sparire al piano inferiore: approfittò di quel momento per alzarsi in piedi e guardare la sua immagine alla specchio e darsi una rapida sistemata agli abiti - dei jeans a vita alta con un maglione infilato all'interno - e ai capelli, sfilando il beret che le era stato dato. Permesso accordato. Puoi tenere quelli a patto che tornerai a farci visita per qualche altro acquisto. «Andata.» gli disse, sporgendosi poi per osservare la figura del suo capo e mimare un "Grazie" con un sorriso. Salutato l'uomo, i due uscirono fuori dal negozio, facendo appena qualche passo verso un'automobile che Sofie aveva notato lungo la strada ma che mai aveva pensato appartenere ad Eva: «Sobria. Mi piace.» gli disse, inclinando appena il capo ad osservarla. Doveva esser bello guidare una macchina come quella: Chissà quanto va veloce. si chiese, avvicinandosi alla portiera dal lato del passeggero. Perché non la fai di nuovo? Quella cosa che ti ha portata a Besaid? Lo sguardo della ragazza si aggrottò appena, lievemente confuso, fino a quando non le pose sul palmo della mano il mazzo di chiavi e capì.
    «Ti fidi di me?» gli rispose, porgendogli l'altra mano, citando Aladdin nel celebre cartone animato della Disney. Sorrise, di nuovo: bastava poco a renderla felice dopotutto. Guidi veloce, Sofi? «Oggi sì.» rispose, ingranando la prima e partendo, accompagnato dalla voce della cantante che li accompagnava dalla stazione radio.
    Aveva guidato altre volte da quando si era trasferita ma guidare in quel modo, senza nemmeno sapere dove volesse andare, fu ancora una volta quasi terapeutico. Non stettero molto lì: nonostante guidare a quella velocità sull'autostrada avesse un suo fascino, Sofie preferì svoltare appena lesse il nome di uno dei posti che, fra i tanti, aveva deciso di tornare a visitare una volta ricordato. «Ci sarai già stato, però credo sia uno dei miei posti preferiti di Besaid.» mormorò, prendendo l'uscita sulla destra. «Sono diventata una persona piuttosto semplice.» O forse lo era sempre stata. Accostò una volta arrivati nei pressi della spiaggia: immersa nel verde, per arrivarci avevano dovuto superare un gran numero di curve e viali poco comodi da percorrere. Per fortuna, in quella stagione, erano gli unici folli disposti a prendere un po' di vento freddo sulla pelle. C'era un piccolo viale in legno che, dalla strada, arrivava fino alla distesa di sabbia chiara: si sentiva già da lì un rumore di onde delicato, quasi una musica, così dolce da fargli venir voglia davvero di tuffarsi se non si pensava a quanto gelida l'acqua potesse essere. «Anche quand'ero piccola non c'era mai nessuno qui. Ci venivo qualche volta a piedi, d'estate, tramite un sentiero a metà fra bosco e spiaggia che credo non ci sia più adesso.» Sofie uscì dall'automobile e si poggiò con la schiena sul sedile dal lato opposto rispetto a dov'era, dove poteva guardare meglio l'orizzonte insieme ad Eva: lo scrutò appena, cercando il sentiero di cui aveva parlato e, una volta trovato, la ragazza indicò un piccolo ammasso di legna ed arbusti, dove doveva probabilmente c'era quello di cui stava parlando. «Ho riempito parecchi quaderni prima di perdere la memoria e tra i posti che mi mancava c'era anche questo. Non ho mai avuto il coraggio di tornarci da sola, non so perché.» concluse, alzando appena le spalle e lasciandosi sfuggire un sospiro. «Adesso è una sorpresa anche per me, anche se mi sembra familiare. Sai come quando sogni qualcosa, però non la ricordi di preciso.» Si sollevò dall'automobile e, presa la mano di Eva, mosse qualche passo in direzione del mare: «Dai, voglio andare a bagnarmi i piedi.» gli disse, con un sorriso, tirandolo appena a sé. «Dicono che con queste temperature il bagno sia "rigenerante".» Alzò una mano, quella che non stringeva quella di Eva, per mimare delle virgolette: un vizio che odiava negli altri ma di cui non riusciva a liberarsi. Portava delle sneaker quel giorno, comode e soprattutto facili da sfilare. Una volta che ebbe messo piede sulla sabbia e non più sul legno che componeva il passaggio dalla strada alla distesa candida, con l'aiuto di un piede e poi dell'altro se le sfilò entrambe, sentendo un brivido correrle lungo la schiena: non aveva i calzini, quella mattina aveva trovato nel cassetto solo dei pedalini che, a parer suo, non avevano ragione d'esistere. Aveva scelto di indossare quelle scarpe semplicemente senza nulla a separarle la pelle dal tessuto, e a quanto pare quella si era rivelata una buona idea, nonostante il vento che, proprio in quel frangente, le sbatté una ciocca di capelli dinanzi agli occhi: la portò dietro l'orecchio, voltandosi verso Eva con aria interrogativa. «E il tuo posto preferito invece qual è?»
     
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    Ti prometto che non me ne andrò mai più. Per un lungo momento, Eva si domandò dove avrebbe dovuto trovare la conferma a quell'affermazione, se nello sguardo di Sofie, che gli stava scivolando via di dosso per nascondersi altrove, o se avesse dovuto rivolgere qualche domanda a se stesso: sarebbe stato in grado di affidarsi alle parole dell'amica? Il ragazzo si limitò ad annuire, evadendo dalle sue stesse parole, che l'avrebbero messo facilmente al muro, per permettere ad un breve silenzio di consolidare ogni imbarazzo. Era disposto ad abbracciarne le forme irregolari piuttosto che fuggirne, evitando di riempire quei momenti con parole inutili. Stava ancora osservando la mano che Sofie gli aveva teso e che, sperava, avrebbe continuato a mostrargli anche quando la donna avrebbe conosciuto dettagli spiacevoli della vita di Eva. Sarebbe rimasta accanto a lui anche a quel punto? In breve tempo, però, le dinamiche della conversazione cambiarono e nuovi scenari, decisamente più interessanti, si aprirono di fronte al percorso che i due per pura fortuna si erano trovati a compiere insieme. Di lì a poco la raggiunse sul lato del passeggero verso cui Sofie si era diretta, pronto a stupirla con quel piccolo cambio di rotta. Sobria. Mi piace. Accolse il commento della più grande con un sorrisetto sbilenco, accarezzando con gli occhi la macchina. Lasciarle credere che gli appartenesse, in fondo, non era altro che una piccola bugia bianca che la donna avrebbe potuto perdonargli senza troppa fatica. Quindi, una volta che le ebbe affidato le chiavi dell'auto in mano, si sentì pronto a prendere posto accanto al posto di guida, quando venne interrotto dalle parole di Sofie. Solo persone poco affidabili fanno questa domanda. Commentò con un'espressione fintamente seria e il tono macchiato da una divertita tenerezza, prima di mutarlo con maestria, pronto a reggere il gioco di citazioni dell'altra: si finse sorpreso, lasciò penzolare un po' il labbro inferiore, quindi si corrucciò con fare confuso. Infine, complice, afferrò la mano di Sofie. Comunque, se posso stare tranquillo... . E salutò con l'altra manina il signor Björklund chiuso all'interno del VintAge.
    Oggi sì. Quella risposta affermativa non poté che riempire il petto di Eva con una calda colata di anticipazione. Osservò le mani di Sofie mettere in modo il veicolo e lasciò scivolare le proprie lungo la portiera dell'auto e sul retro del proprio poggiatesta, mettendosi comodo per poter godere al meglio di quella corsa libera, pronto a farsi trasportare ovunque Sofie avesse desiderato. Lasciandole la libertà di accarezzare la superficie asfaltata alla velocità che più desiderava, Eva non perse l'occasione di ammirare non solo il panorama che si apriva di fronte a loro, tagliato dal lungo nastro d'autostrada, ma anche di guardare i capelli castani di lei danzare al vento. Sempre in corsa, come una volta. Eva si domandò se, nell'ingenuità dell'infanzia, avesse mai desiderato poter condividere un momento del genere con Sofie. La presa del ragazzo sulla vettura si fece più intensa, e finì per aggrapparsi con una mano alla cintura che gli fasciava i fianchi. Quella volta non si sarebbe schiantato contro la dura superficie del pavimento ma, nel lanciare un'occhiata allo specchietto retrovisore, immaginò un rivolo vermiglio arrivare a baciargli le labbra. Serrò gli occhi. Da un luogo remoto la dolce e ovattata melodia di un pianoforte raggiungeva il suo udito, si incastrava fra le ciocche di Sofie. Quando incontrò di nuovo il proprio sguardo, si accorse che la loro corsa stava rallentando. Ci sarai già stato, però credo sia uno dei miei posti preferiti di Besaid. Sono diventata una persona piuttosto semplice.
    Pur avendo letto il cartello affisso presso l'uscita, solo quando un odore di salsedine gli invase le narici ed Eva tornò a respirare, ora finalmente tornato alla realtà e alla presenza delle parole di Sofie. No, non lo conoscevo. Rispose senza guardarla, fissando lo sguardo di fronte a sé. Non lo conoscevo come il posto preferito di Sofie, solo come la spiaggia. Aggiunse mentre un sorriso flebile gli incurvava le labbra, pronto a scendere dalla vettura, liberandosi dalla costrizione della cintura di sicurezza. Anche quand'ero piccola non c'era mai nessuno qui. Ci venivo qualche volta a piedi, d'estate, tramite un sentiero a metà fra bosco e spiaggia che credo non ci sia più adesso. Facendo tesoro delle informazioni che Sofie decise di condividere con lui, la osservò di sottecchi mentre usciva e si spostava, imitandola solo per poter sporgersi in modo da individuare con lo sguardo il punto da lei indicato. Un passaggio segreto. Per uno pieno di segreti, quella non poteva che dimostrarsi una quotidiana e insieme piacevole scoperta. Ho riempito parecchi quaderni prima di perdere la memoria e tra i posti che mi mancava c'era anche questo. Non ho mai avuto il coraggio di tornarci da sola, non so perché. Adesso è una sorpresa anche per me, anche se mi sembra familiare. Sai come quando sogni qualcosa, però non la ricordi di preciso. Rinchiuso in un profondo silenzio, Eva si lasciò scappare solo un lungo mormorio a labbra serrate, concordando con le parole della più grande. In un certo momento della sua vita, la donna aveva perfino dimenticato quella stanza che per lui fu tutto, quell'effimero punto nell'universo. L'aveva fissata nella memoria cartacea? Aveva lo stesso valore impalpabile di un sogno per lei? Dai, voglio andare a bagnarmi i piedi. Guardò le loro mani e intrecciò le dita con quelle della più grande, permettendole di muoverlo come se non possedesse più alcun peso.
    Dicono che con queste temperature il bagno sia "rigenerante" A quel commento e, riuscendo a leggere qualche sfumatura conflittuale nell'aver utilizzato proprio quei gesti per veicolare meglio le sue parole, Eva alzò un sopracciglio con aria interessata. E di loro... ti fidi? Dovrei fidarmi anche di loro? Le domandò ammiccante, imitandone i gesti solo dopo che si fu assicurato di essere un punto di sostegno per Sofie. Raccolte in due dita le scarpe dal loro retro, Eva fissò la banchina per qualche secondo. I passi di entrambi non facevano che eliminare la distanza fra i due e l'inizio del confine bagnato del mare e, se il corpo si stava muovendo, Eva avvertì la strana sensazione di potersi osservare dalle spalle. Rimasto indietro di diversi metri, due occhi cangianti stavano scrutando le sagome diverse della coppia che, senza problemi, naturalmente richiamati dalla risacca, si avvicinavano all'immensa distesa blu. Strinse di più la mano di Sofie. Non era costretto ad osservare nessun limite, a non superare nessun camice che pure si sentiva addosso. Si sarebbe potuto far bagnare le caviglie da quella presa stretta e gelida. È vero quello che dicono. Sussurrò, quindi venne scosso da un brivido più forte, che accentuò nella speranza di strappare una risata a Sofie. È dannatamente fredda. Ma è rigenerante, eccome.
    Lentamente lasciò che le palpebre si chiudessero, fino a quando la linea dell'orizzonte non si nascose fra l'incastro delle ciglia che si toccavano. E il tuo posto preferito invece qual è? Raggiunto dalla voce di Sofie, il ragazzo non si fermò dal girare di poco il viso, trovando ancora strana l'idea di dover abbassare lo sguardo per incontrare quello della donna. Si lasciò attraversare per qualche secondo dalla brezza marina e, riaperte di poco le palpebre, intrecciò lo sguardo con quello di Sofie in un'occhiata obliqua. Mi piace qui. Potrebbe diventare il mio nuovo posto preferito... Le rispose, flettendo il corpo fino a quando non incontrò con l'orecchio e la guancia sinistra la curva della testa di Sofie. Se non esisteva più concretamente nei suoi ricordi, che ne sarebbe rimasto della sua umanità? Chi l'avrebbe strappato dalla certezza di non essere nient'altro se non una prova mal riuscita di pochi uomini che si erano divertiti a giocare nel ruolo di Dio? Eppure, in tutta la sua mostruosità, continuava a sentir risuonare quel pianoforte e i loro passi veloci, e le loro risate. Sofie... potresti aspettare qui un secondo? Le domandò, lasciando andare la presa sulla mano della donna e allontanandosi, ripercorrendo i propri passi per tornare sulla spiaggia. Si riavvicinò alle scarpe, a fianco delle quali aveva fatto scivolare la propria inseparabile borsa a tracolla e, raccolta fra le dita affusolate la macchinetta fotografica (ovviamente, un'analogica), tornò vicino a Sofie con più cautela - non avrebbe mai voluto rovinare l'oggetto più prezioso che possedeva. Con il capo chino, si preparò ad afferrare il momento esatto in cui Sofie avrebbe reagito alle poche parole che stava per consegnarle. Cos'hai scritto di me nei tuoi quaderni? Avvicinò il mirino all'occhio, pur consapevole che la risposta non gli sarebbe giunta immediatamente, destinata a rimanere intrappolata nel rullino per un po' di tempo.

    Edited by Kagura` - 27/1/2021, 22:57
     
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    Sofie non aveva la pretesa di reputarsi una persona affidabile: era un po' troppo per lei, un termine che non le apparteneva e che si sentiva ipocrita ad utilizzare. «Prometto che non ti ucciderò.» si limitò a dire, con un sorriso, mentre stringeva la mano di Eva e, come lui, sollevava quella libera per salutare il proprietario del VintAge: si era ripromessa di tornarci davvero, come aveva detto quando l'aveva strappato dal suo lavoro per quell'improvvisa fuga che, vista da occhi sconosciuti, sarebbe potuta apparire come mossa da sentimenti ben diversi da quelli che celava nel suo cuore. Nonostante tutto il tempo passato, i ricordi persi, le persone incontrate, i caratteri cambiati, Sofie sentiva in cuor suo lo stesso affetto che aveva provato per lui quand'era ancora una ragazzina: era strano, soprattutto non ricordando davvero ogni cosa. Era come se, guardandolo, incrociando quello sguardo che per tanto se n'era stato in silenzio, in un angolo remoto della sua mente, ogni pezzo fosse tornato al suo posto: non aveva realmente contezza di cosa avessero vissuto, non di tutto almeno, ma sentiva nitidamente quanto aveva provato in tutto quel tempo, quel senso di protezione che da sempre aveva suscitato in lei. Il suo volto, il tenero volto di un bambino che non sapeva nemmeno cosa fosse una carezza, lo teneva lì, stampato nei suoi ricordi, indelebile, un'immagine che per quanto potesse essere annebbiata dalla magia di Besaid, non sarebbe mai potuta scomparire del tutto.
    Premette il piede sull'acceleratore e iniziò a sfrecciare, mentre il vento la colpiva dritta in volto: gli occhiali che aveva indossato le proteggevano gli occhi, che stavano aperti, senza fastidi, i capelli invece si intrecciavano gli uni con gli altri chilometro dopo chilometro, rincorrendosi mentre il vento li spostava da parte a parte. Di tanto in tanto, quando possibile, Sofie volse lo sguardo verso Eva: quanto era cresciuto e cambiato. Più ripensava a quel bambino con quel completo in velluto, più sentiva un moto di fastidio verso se stessa. Doveva essere un ragazzo quando lei era andata via, non più quello stesso bambino, eppure si domandò quanto dovesse esser stato difficile per lui vederla non tornare più: non aveva lasciato un biglietto, un avviso, niente. Aveva fatto la stessa cosa per tutti, semplicemente sparendo: dopotutto, si era detta, non sentiranno troppo la mia mancanza, e giorno dopo giorno si era ritrovata a piangere lacrime sulla sua scelta, mentre i ricordi dalle menti dei suoi genitori iniziavano a svanire e, via via, iniziavano ad essere le persone che lei avrebbe sempre desiderato al suo fianco. A che prezzo però? Aveva davvero bisogno di quella recita per esser felice? Forse, a quei tempi, era l'unica cosa che avrebbe potuto permetterle di non andare a fondo vedendo l'anima di Jakob distaccarsi dal corpo che aveva sempre ospitato e diviso con Nikolaj.
    Si sentiva già il profumo del mare, un odore delicato di salsedine che inondò tutta l'automobile prima che potessero scendere: il rumore delle onde, come musica, stava loro dando il benvenuto. No, non lo conoscevo. Non lo conoscevo come il posto preferito di Sofie, solo come la spiaggia. Le sue labbra sorrisero insieme ai suoi occhi che, lievemente, si curvarono verso l'alto. Il vento era umido, le bagnava appena il volto con delle minuscole goccioline d'acqua al suo interno: non faceva abbastanza caldo da potersi bagnare ma era più forte di lei, ogni volta che metteva piede in spiaggia desiderava sentire la sabbia sotto i piedi e tutto il corpo ghiacciare per il contatto con l'acqua fredda. E di loro... ti fidi? Dovrei fidarmi anche di loro? le domandò Eva, con la mano ancor stretta nella sua. «Non posso assicurartelo stavolta, al massimo coleremo a picco insieme.» rispose, arricciando le labbra in un'espressione a metà fra una smorfia ed un sorriso. Avevano ragione però, chiunque essi fossero: aveva risvoltato i pantaloni verso l'alto per non bagnare troppo i jeans che aveva e, avvicinatasi alla riva, aveva sentito l'acqua sfiorarle la pelle ed un brivido percorrerle lungo tutto il corpo, dalla punta delle dita fin su alla sommità della testa. Per Eva era stato lo stesso, tanto da indurlo a concordare sulle parole di tutti a riguardo: «Direi che abbiamo fatto bene a fidarci.» mormorò, stringendo di poco, senza rendersene conto, la mano di lui. Le onde erano delicate, gentili: era una bella giornata per star lì, pensò, mentre via via si allontanavano e poi ritornavano a colpirle la pelle. Teneva lo sguardo basso, osservando i loro piedi affondare appena all'interno della sabbia: stava muovendo le dita di tanto in tanto, generando delle minuscole fossette che, in un attimo, venivano spazzate via dalle onde. Mi piace qui. Potrebbe diventare il mio nuovo posto preferito... Sofie voltò appena il capo verso lui, poggiatosi con estrema delicatezza a lei, senza pesare: nonostante fosse passato tanto tempo, aveva mantenuto la sua promessa di portarlo, se non a casa, in un posto che sentisse tale. All'epoca degli esperimenti all'istituto, quella bella villa per Sofie non era mai stata "casa": non si era mai sentita al sicuro lì, non si era mai sentita nemmeno completamente se stessa. Ritornarvici, come Nikolaj le aveva promesso, iniziare magari a vivere anche ad Eventyr House, per lei non era che ritornare in quel passato al quale non sentiva di appartenere. «Magari potremmo tornarci quando arriverà l'estate.» sussurrò, come un pensiero a voce alta.
    Eva le lasciò la mano la cui stretta, da quando gliel'aveva presa, non era mai stata sciolta: Sofie... potresti aspettare qui un secondo? «Sì...» rispose, osservandolo allontanarsi e tornare dove avevano lasciato le loro cose: dalla sua tracolla aveva preso una macchinetta fotografica in perfette condizioni, una di quelle analogiche che la ragazza aveva spesso visto alle fiere di oggetti usati. Cos'hai scritto di me nei tuoi quaderni? le domandò. Non seppe bene che espressione assunse: strabuzzò appena gli occhi, stupita da una domanda rivoltale in quel modo tanto diretto. Le labbra erano socchiuse, il corpo girato a tre quarti verso il ragazzo che la stava osservando tramite l'obbiettivo della macchina fotografica: «Io...» iniziò a dire, mentre nella sua mente cercava le parole più adatte per esprimersi. Aveva sempre pensato d'esser brava con quelle, con la lingua in generale: dopotutto era questo quanto aveva studiato, quanto continuava a studiare, ma quando si ritrovava ad utilizzare gli strumenti appresi con tanta fatica nel corso degli anni per poter parlare di sé a qualcuno, ogni cosa sembrava vacillare, disperdersi nei meandri della sua psiche, pronta a nascondersi per non esser mostrata. Cosa aveva scritto di lui? Era così semplice come domanda.

    E' patetico scrivere di quanto mi renda felice che mia madre mi abbia portato una fetta della mia torta preferita... "L'ho vista in pasticceria ed ho pensato che potesse farti piacere. Quest'anno non abbiamo fatto nulla per il tuo compleanno ed è un peccato, sei anche figlia unica." Mi ha detto così, usando esattamente queste parole. Le ho appuntate subito, per non dimenticarle. Mi rendono felice ma anche triste, allo stesso tempo. Ieri notte ho pianto ancora, ho cercato di ricordare il nome di mio fratello ma non riesco a farlo: ne avevo due, ne sono sicura, ma non riesco a ricordare proprio come si chiamino. Vorrei tornare. Mi mancano tutti. Tornare però cosa significherebbe? Io non so se sono pronta a tornare a quella vita. Per quanto sia da egoisti, qui sono felice, i miei genitori finalmente mi stanno vicino… Mi sento così ridicola. Sono una persona orribile.
    Tra i ricordi che stanno iniziando a sparire, c'è anche il viso di un ragazzo: è così delicato, se sapessi disegnare lascerei un piccolo appunto qui. Ha gli occhi di due colori differenti - dovrebbe chiamarsi eterocromia, ma dovrei controllare meglio - ed i capelli biondi. Ho sfogliato le pagine di questi quaderni, trovando il nome di Nikolaj e di Jakob, e ritrovando anche il suo: Eva. Nonostante non riesca più a ricordare niente, sento anche per lui una morsa al petto, come un peso. Vorrei poterlo riabbracciare e chiedergli scusa. Sono stata così egoista. Mi faccio schifo.


    Erano state quelle le ultime parole di Sofie prima che anche il suo volto ed il suo nome sparissero dalla sua memoria, riaffiorando solo quel giorno, facendo il suo ingresso al VintAge per un motivo fortuito che le aveva riempito di gioia l'anima. Quelle pagine di quaderno, scritte di sera, quando finalmente si chiudeva nella sua stanza per un momento tutto per sé, erano ormai secche, rovinate dal tempo, dalle lacrime, talvolta anche dall'umidità che aveva fatto arrugginire il fil di ferro che reggeva tutti i fogli insieme. I primi tempi, Sofie si era lasciata andare a descrizioni approfondite su tutto ciò che amava: aveva scritto del primo incontro con Kai e Roy, aveva scritto delle piccole fughe dalla sua camera con Nikolaj e Jakob, aveva scritto di quando lei ed Eva avevano corso lungo i corridoi del Mordersønn, dei suoi capelli elettrizzati, delle scosse che gentilmente gli aveva dato per prenderlo in giro: era con lui che aveva imparato quanto il suo potere potesse esser grande, aiutandolo ad alzare lievemente un braccio. Un rivolo di sangue aveva fatto capolino dalla narice destra: la testa le era girata, ma era andata bene, era riuscita a fare qualcosa che non pensava di esser capace di poter fare. Aveva riempito pagine e pagine con ricordi che, ormai, non erano più che racconti, indimostrabili, la cui unica testimone sarebbe stata per sempre solo la memoria cartacea. «Ti ho chiesto scusa.» disse d'un tratto Sofie, stringendo appena la mano destra, facendo affondare di poco le unghie all'interno del palmo. «In quei quaderni ci sono tanti rimpianti e ricordi che ormai non ho più. Sai, è strano. Prima di incontrarti mi sembravano così distanti, non riuscivo nemmeno a dare un volto a quella "Eva" che di tanto in tanto appariva fra le mie pagine.» si nascose volgendo lo sguardo al mare, chinandolo giù verso il bagnasciuga. «Ho scritto del colore dei tuoi occhi, ma non del fatto che fossero a mandorla.» Che stupida. Si voltò di nuovo verso di lui, incrociando le iridi che, quel giorno, erano di due colori identici: «Mi piaceva che fossero così. I miei non mi sono mai piaciuti, li ho sempre trovati strani.» Alzò una mano, portando l'indice ad indicare l'occhio destro: «Non sono davvero azzurri, hanno tutte queste strane increspature castane… Sono strani e, per qualche ragione, li ho sempre detestati.» I girasoli che Nikolaj e Jakob vedevano per lei erano solo un altro modo d'esser strana, diversa. «All'epoca del nostro primo incontro però, imparai da quel bambino che strano non significa necessariamente brutto.» lasciò andare una risata leggera, cristallina, più di tenerezza probabilmente. Ormai, Sofie guardava verso la sé di allora come si poteva guardare ad una creatura fragile: non si sarebbe mai perdonata del tutto ma avrebbe potuto iniziare a camminare insieme a quella ragazza ina maniera più sicura, cercando di fare ammenda e di non ripetere mai più gli errori del passato. «Grazie.» Di averla guardata davvero quel giorno, tanto tempo fa. Grazie per essere lì con lei, per non odiarla come invece, forse, avrebbe dovuto fare. Grazie, Eva. pensò, con un sorriso che le solcava il volto e le faceva ridere anche gli occhi, gli stessi che, a poco a poco, aveva iniziato ad amare.

    Perdoname non ce la faccio a rileggere, spero di cuore non sia un casino eccessivo çwç
     
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    Magari potremmo tornarci quando arriverà l'estate. Il ragazzo annuì, sfregando appena la guancia contro i capelli scuri di Sofie, rispondendo a quella sua proposta rispettandone con riverenza il tono basso e quieto, non permettendosi nemmeno di schiudere le labbra. Gli sarebbe piaciuto poter passare più tempo in compagnia di Sofie, così da poterla conoscere una seconda volta. Avrebbe condiviso volentieri qualche ora, anche solo una, con lei, cercando senza alcun successo di distrarre il tipo di solitudine che affliggeva entrambi. Ma forse si sbagliava, Sofie aveva una famiglia, altri amici, altri visi che erano pronti ad accoglierla con un sorriso affettuoso - però, come stava iniziando a riconoscere, la propria solitudine sembrava farsi più quieta in sua presenza. Voleva trascorrere quei momenti a chiedersi quanto la donna fosse cambiata negli anni, quali parti del suo carattere fossero state abbandonate all’oblio della distanza da Besaid e quante, invece, erano maturate in modi differenti - senza pronunciare una sola parola. Sarebbe stata disposta a correre con lui fra i corridoi del Mordersønn per una seconda volta? Il solo pensiero non poté che far scattare un angolo delle sue labbra all’insù: non avevano più l’età. Eppure per pochi secondi si aggrappò a quel sogno inattuabile, cullato dal respiro di Sofie e dal muoversi delle onde che accarezzavano la pelle di entrambi. Le stringeva la mano e tutti e due ridevano, facendo scoppiare lampadine. Questa volta non avrebbe sentito le membra farsi più deboli, si era esercitato a lungo tutta la sua vita solo per esaudire il desiderio dell’altra, aveva continuato a lavorare all’Istituto per dimostrarle quanto ormai non fosse più necessario l’intervento della sicurezza. Ma, mentre lei avrebbe potuto attraversare la soglia dell’Istituto quante volte desiderasse, ad Eva non spettava che rimanere al di là dello stipite dell’ingresso per guardarla allontanarsi. Con quei pensieri più cupi in testa, si allontanò da Sofie. Aveva l’impressione che, rimanendo così vicino ai suoi capelli, avrebbe potuto far fluire quei pesanti ragionamenti fino a Sofie. Non voleva di certo contagiarla. Quindi si allontanò per un po', tornando a bagnarsi i piedi qualche manciata di secondi più tardi, in attesa che l'occhio della fotocamera racchiudesse la reazione di Sofie nell'udire quell'innocente domanda.
    Ti ho chiesto scusa. A quel singolare esordio, Eva non poté che inclinare di poco il capo, cercando di captare il significato che si nascondeva dietro quelle parole. Perché mai Sofie aveva trovato necessario scusarsi con lui? Eva non era altro se uno stupido bambino che era stato in grado di affezionarsi troppo ad una persona su cui non avrebbe potuto mai avere presa. Rimase in silenzio, permettendo a Sofie di parlare per quanto tempo desiderasse, lasciandola evadere dal suo sguardo che, proprio come l'altra, anche il più giovane fece vagare sull'orizzonte. Ho scritto del colore dei tuoi occhi, ma non del fatto che fossero a mandorla. Un piccolo sorrisetto stupito si presentò sulle labbra di Eva senza che questo potesse controllarlo - o forse, voleva permettere a Sofie di osservarlo privo dell'espressione seria e pensierosa che di solito ne piegava i lineamenti. La guardò a lungo, sostenendo lo sguardo della donna, seguendone le fila della spiegazione, desideroso di comprenderla. La risata di Sofie lo destò dai suoi ragionamenti: non credeva di aver avuto tanta influenza sulla donna quanto lei ne aveva avuta su di lui. Era stata la prima persona a fargli un complimento sincero in vita sua. Forse doveva essere lui quello a ringraziarla, in quel momento, ma si limitò a rimanere in silenzio. Fece qualche altro passo verso di lei e, ormai con le mani libere, raggiunse le sue. Grazie. Dopo aver fatto scivolare la preziosa macchinetta dentro una manica del proprio largo cardigan, distese le dita dei pugni di Sofie, rappresi per via della tensione. Non c'è bisogno di chiedere scusa, o di ringraziarmi. Te l'ho detto, non voglio vederti triste... soprattutto se è per qualcosa che nemmeno ricordi bene. Una volta che ebbe finito di pronunciare quelle poche parole con delicatezza, si ritrovò ad intrecciare le dita delle mani con quelle della donna, offrendole un timido sorriso nel chinarsi leggermente solo per incontrare il suo sguardo. Assottigliò le palpebre, cercando di nascondere il luccichio giocoso che Sofie avrebbe potuto leggere facilmente. Ma in effetti i tuoi occhi sono un po' strani... Scherzò senza poter essere serio, dato che adorava ogni più piccolo dettaglio del viso di Sofie, così minuto e così elegante al tempo stesso.
    Si strinse nelle spalle e mentre attendeva una sua reazione iniziò a fare qualche passo indietro, trascinando la donna con sé fino a quando entrambi non si trovarono seduti l'uno accanto all'altra, sulla sabbia asciutta. Assicuratosi che l'altra fosse a suo agio, Eva si limitò a distendere le gambe contro il terreno cercando, in qualche modo, di non dare alcun segno di chiusura o sospetto nei confronti dell'altra. Aveva deciso che le avrebbe parlato chiaramente: non c'era motivo di nasconderle nulla, anche se Eva non poteva comprendere fino a che punto fosse stata compromessa la sua visione sulla stessa realtà che abitava. Prima mi hai chiesto se avessi ancora dei legami con l'Istituto e in effetti è così... anche se le cose sono cambiate durante gli anni. Iniziò a dire, inclinando il viso supportandolo sulla propria spalla, lasciando che le mani si adagiassero contro la sabbia e continuando ad osservare il mare, almeno per un po'. Sono nato per l'Istituto, lo sai. Il giorno in cui ci siamo incontrati, le modalità... tutto faceva parte dell'intero progetto di esperimenti per cui sono stato cavia per un po'... fino ai sedici anni, almeno. Poi ho iniziato a fare altro, mi hanno insegnato molte cose. Parlava in modo calmo, il suo passato non sembrava affliggerlo nonostante sarebbe apparso quanto di più preoccupante ci si potesse aspettare da una chiacchierata a cuore aperto effettuata in spiaggia. Non nutriva sentimenti negativi nei confronti dell'Istituto e forse avrebbe dovuto, forse avrebbe potuto ribellarsi. Aveva delle vere alternative? Non voglio annoiarti con i dettagli ma sì, in sintesi ho ancora a che fare con l'Istituto. Non sono più una cavia, anche se aiuto in Laboratorio... quando è necessario. Continuò con tranquillità, alzando di poco le spalle e rivolgendo infine uno sguardo a Sofie. Forse, nell'incontrarlo al VintAge, si era chiesta quali ragioni avessero portato un ragazzo come Eva, praticamente da sempre recluso all'interno dell'Istituto, a muoversi tanto liberamente per gli spazi di Besaid. Comunque, visto che non mi vogliono sempre fra i piedi, mi hanno dato la possibilità di fare quello che voglio quando non servo. Alloggio all'Aamot e lavoro al VintAge da un po'... mi piacciono i bei vestiti che ci sono in negozio.
    Abbandonò gli occhi di Sofie e si allontanò anche dalla sua visuale, stendendosi contro la sabbia portando una mano a dividere i capelli biondi dalla superficie morbida e tiepida che li circondava. Si portò l'altra mano al petto, tamburellando contro lo strato della semplice maglietta che aveva addosso. E la stanza è semplice, ma è carina. Ho raccolto un po' di vinili nel tempo... Mormorò infine, quasi sovrappensiero. Si domandò se Sofie nutrisse in sé la curiosità di visitare la sua piccola stanza ma, preoccupandosi di non poterle offrire nulla alla sua altezza, Eva non si azzardò a proporle nulla di più se non quell'immagine descritta con pochissime pennellate. Rimase in silenzio per un po', osservando ora le nuvole, ora il cielo, ora il viso di Sofie fino a socchiudere gli occhi. E tu ora dove vivi? Sei tornata a casa o ti sei trasferita in una casa tutta tua? Le chiese, rimanendo abbastanza vago per permetterle di rispondere come meglio desiderasse - in realtà avrebbe voluto indagare di più, rispondendo alle sue inclinazioni che lo portavano naturalmente ad immischiarsi negli affari di qualsiasi persona gli capitasse a tiro ma, trattandosi di Sofie, si tranquillizzò. Non doveva condurre di certo un interrogatorio: avrebbe accolto con piacere qualsiasi tipo di aneddoto l'altra gli avrebbe fornito. Aveva il chiaro sospetto che Sofie non fosse completamente sola e, divertito da quel pensiero, si domandò se la sua agitazione non fosse dovuta parzialmente alla speranza di ricevere un chiaro "no" in risposta. Forse si trattava di infantili resti di gelosia e, in parte, di ormai assopiti sentimenti - sempre avesse potuto definirli tali - che aveva nutrito un tempo per Sofie. Si mordicchiò leggermente il labbro inferiore, cercando di nascondere una risatina imbarazzata. Lavori da qualche parte? Che fai? Provò, ma la voce venne spezzettata dallo sghignazzare del ragazzo, che cercò di scuotere il capo in modo da togliersi quei pensieri dalla testa.
    Scusa, scusa... è che stavo pensando ad una cosa. Chiuse gli occhi mentre, per la prima volta, le guance si coloravano leggermente di rosso. Per qualche secondo credette di essere tornato indietro di diversi anni, quando aveva incontrato Sofie in uno studio dell'Istituto e lei gli era apparsa davanti come un sogno ad occhi aperti. Era raro per lui muoversi in quelle modalità, dimostrandosi tanto sincero e genuino quanto potesse, ma immaginò di poterselo permettere in compagnia di Sofie. Ad ogni modo, vagamente in imbarazzo, preferì mantenere le palpebre chiuse - forse per evitare di veder sorgere sulle labbra della donna una risata scioccata. Non ho mai avuto l'occasione di dirtelo, perché tu sei andata via e io ero ancora troppo piccolo... ma mi piacevi, lo sai? Sei stata la mia prima vera cotta. Confessò giustapponendo le labbra, esponendo quello inferiore in un broncio colpevole e passeggero, velocemente rimpiazzato da un'espressione più serena. Solo a quel punto riaprì gli occhi, pronto ad incontrare quelli di Sofie, rivolgendole uno sguardo cristallino e sincero. Permetterle di conoscere quel semplice segreto non lo preoccupava affatto: erano sentimenti immaturi e che non avevano mai avuto il tempo di sbocciare prima di abbandonarlo del tutto. Eva, tuttavia, aveva preservato per Sofie lo stesso affetto che li aveva legati tanti anni prima, incapace, di fronte a lei, di celarsi dietro una o l'altra maschera con cui di solito adorava difendersi. Non mi rendevo conto delle differenze fra di noi... insomma, ero solo un bambino. Sussurrò infine, mentre un piccolo sorriso ne incurvava le labbra. Probabilmente ora c'erano altrettante differenze che li dividevano.

    Edited by Kagura` - 1/5/2021, 18:41
     
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7 replies since 1/6/2020, 22:28   261 views
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