As long as I'm here No one can hurt you

Nora e Roy

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    Ancora non riusciva a credere a quello che le era accaduto pochi giorni prima. Inizialmente tutto era sembrato confuso, distante, come se fosse capitato ad un’altra persona e lei fosse stata costretta a rimanere lì, immobile, a guardare lo spettacolo raccapricciante che andava in scena. Poi, con il tempo, tutto era divenuto sempre più chiaro, nitido ed era riuscita a collegare tutti i punti, uno dopo l’altro, recuperando la sua memoria. Aveva ferito delle persone, aveva desiderato di uccidere di Lukazs, cercando di colpirlo con il tridente di cui era stata dotata. Non ne comprendeva il motivo, non sapeva perché avesse provato quel desiderio irrefrenabile, ma nulla avrebbe potuto cancellare quei momenti. Era una fortuna che la sua particolarità non le permettesse di essere nociva se non si trovava nelle vicinanze di una qualunque fonte di energia, altrimenti probabilmente avrebbe usato tutte le energie in suo possesso per distruggere chiunque in quell’arena. Nora non si era mai considerata una persona buona e in quel momento quella sensazione si era fatta ancora più opprimente, portandola a chiedersi chi fosse davvero. Avevano forse risvegliato una parte di lei che non conosceva? O l’avevano semplicemente forzata a divenire qualcuno di diverso? Quando chiudeva gli occhi, per cercare di dormire, la sua mente la costringeva a rivivere il momento in cui quella ragazza li aveva raggiunti, veloce e sfuggente come un’ombra e l’aveva colpita ripetutamente, lasciandola a terra in fin di vita. Continuava a percepire la spiacevole sensazione di annaspare, di mantenersi in bilico ancora per qualche istante tra la vita e la morte, ben sapendo che non sarebbe durata a lungo. Aveva chiuso gli occhi credendo che quella sarebbe stata l’ultima volta che finalmente sarebbe stata libera dal peso delle sue azioni, dei suoi errori, invece Lukazs si era opposto, fermando la sua vita per qualche istante per permetterle di reggere più a lungo, di mantenersi viva fino all’arrivo dei soccorsi. Ricordava di averlo cercato in quegli ultimi istanti, di aver desiderato di rivederlo almeno un’ultima volta. Era da anni ormai che non si permetteva di provare delle reali emozioni nei confronti di qualcuno, di provare vero affetto, amore. Non avrebbe voluto che capitasse neanche con lui, eppure le cose erano andate avanti in maniera così spontanea che lei non se ne era neppure resa conto, fino a che non si era trovata semplicemente davanti al fatto compiuto, senza più sapere come tornare indietro. Provava qualcosa per lui, persino lei lo aveva compreso dopo aver cercato di negarlo ripetutamente.
    Le risultava ancora strano crederci, ritrovarsi a pensare a qualcuno di diverso da se stesso, preoccuparsi per qualcuno che non fosse Roy, eppure era anche meno spiacevole di quanto pensasse. Da tempo aveva quasi dimenticato come sorridere ed era bello riuscire a farlo di nuovo. L’uragano che si era abbattuto sulle loro vite, ancora una volta, chiamandoli verso quell’arena li aveva senza dubbio feriti, ma non li aveva distrutti e il fatto che tutte le persone a cui teneva, sebbene ammaccate, fossero tutte ancora vive, le permetteva di andare avanti e di trovare la forza per rimettersi in piedi e guarire. Sapeva che non sarebbe mai riuscita ad andare avanti senza Roy, non di nuovo, e iniziava a pensare di provare qualcosa di simile anche per Lukazs. Non sarebbe mai stato come suo cugino, niente avrebbe potuto superare un’infanzia trascorsa a tenersi per mano, senza mai farlo davvero, facendosi da spalla silenziosa contro tutte le cose brutte del mondo. Erano stati costretti a crescere in fretta, ad affrontare cose di cui gli altri bambini non conoscevano neanche l’esistenza, e lo avevano fatto insieme. Con tutti i suoi difetti e tutti i suoi atteggiamenti che a volte la facevano impazzire, Nora non avrebbe mai potuto immaginare la sua vita senza Roy, sarebbe stato come perdere una parte molto importante di sé, che nessun altro avrebbe mai potuto sostituire. Urlavano, lei gli sbatteva le porte in faccia, minacciava di cacciarlo e di non rivolgergli mai più la parola, ma il sorriso furbo sul volto di Roy le faceva capire che lui sapeva che lei non sarebbe mai stata seria, che non avrebbe mai davvero tagliato i ponti con lui, per nessun motivo al mondo.
    Con uno sbuffo decisamente seccato continuò a spingere le ruote della carrozzina che le infermiere le avevano gentilmente offerto. Il medico era stato chiaro: non poteva muoversi senza quell’aggeggio infernale se voleva uscire presto da quel maledetto reparto, soprattutto se voleva farlo ancora tutta intera. Quindi, quando sentiva il bisogno di prendere una boccata d’aria e uscire da quella quattro mura bianche che la imprigionavano, doveva montare in sella al suo fedele destriero e massacrarsi nel braccia nel tentativo di spingersi qua e là per il corridoio. Era una fortuna che negli anni si fosse tenuta in allenamento, grazie alla palestra che si era realizzata nel retro del suo negozio, o probabilmente non avrebbe resistito un giorno a quella lunga agonia. Lo scricchiolio che emettevano le ruote poi la faceva imbestialire e desiderare di lanciarla in testa alle infermiere che gliel’avevano portata. Ma stava cercando di comportarsi bene, di essere paziente, di non creare eccessivi problemi. Detestava gli ospedali e quello non sarebbe mai cambiato, non avrebbe mai smesso di storcere il naso ogni volta che vedeva qualcuno indossare un camice bianco, ma sapeva che quello era il posto in cui lavorava Lukazs e non voleva fargli avere dei problemi. Era assurdo per lei pensare di riuscire a sopportare un medico, di volerlo vicino. Scuotendo la testa davanti a quel pensiero quasi assurdo si portò finalmente sull’orlo della porta della camera di suo cugino, allungando il busto in avanti per poter infilare il naso al suo interno. -Ehi pigrone, che fai dormi? - chiese, per prenderlo un po’ in giro, mente dando qualche altra spinta si avvicinava al letto dell’altro. Rivolse una lunga occhiata in direzione del volto di Roy, per cercare di convincersi che stesse bene, che quello che era capitato non avrebbe lasciato troppi segni su di lui. Ma le tracce purtroppo non erano solo quelle visibili. -Come stai? - chiese, facendosi un po’ più seria, ritrovandosi a deglutire nervosamente. Non si era mai sentita così preoccupata in vita sua, neanche quando lui era partito per la guerra. Aveva sempre pensato che tutto sarebbe andato per il meglio, che se la sarebbe cavata, o forse era solo troppo arrabbiata con lui per essere stata lasciata indietro. In quel momento invece, dopo essere appena sopravvissuta alla morte, tutto aveva iniziato a prendere una prospettiva completamente diversa. Allungò una mano, cercando quella di lui per poi afferrarla. -Ero preoccupata. - ammise, abbassando appena il capo, come se solo formulare quel pensiero ed esprimerlo ad alta voce potesse creare un buco nero in grado di inghiottire tutto il resto del mondo. Contro ogni indicazione dei medici fece forza sulle braccia per sollevarsi da sola da quella sedia a rotelle, muovendo qualche passo molto dolorante per poi andare a sedersi sul letto del cugino. L’addome le faceva ancora male, così come la gamba. Dicevano che si sarebbe rimessa, che doveva avere pazienza, ma lei credeva che fosse solo un modo per indorarle la pillola e le fasciature stringevano e le facevano prurito. -Promettimi che non te ne andrai più. - gli chiese, con tutta la serietà di cui era capace, dicendogli quelle parole che avrebbe dovuto dirgli molto tempo prima e che erano sempre rimaste sulla punta della lingua, in attesa del momento adatto. Sapeva che quello non lo era, che nessun momento era adatto per certe cose, ma ne aveva bisogno e se una cosa quell’esperienza gliela aveva insegnata era che non si poteva dare nulla per scontato, che non potevano mai sapere quanto altro tempo sarebbe stato riservato loro.
     
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    Erano poche le certezze che aveva nella vita, e aveva imparato che anche quelle non sempre restano con te. Perché per come la pensava Roy, le cose belle non gravitano mai nell'orbita di quelle brutte, non volontariamente e mai troppo a lungo. Al più vengono catturate dalla massa putrolenta che, con gli artigli e con i denti, le tiene prigioniere fino a quando un corpo più grande e lucente non le ruba via.
    Quindi, le cose belle non restavano mai più di un paio di stagioni con lui e, triste a dirsi ma vero, era talmente abituato all'idea da aver finito per farci i conti, insospettendosi invece del contrario. Restare non era per Roy qualcosa in cui credere. Resta non glie lo aveva mai chiesto nessuno e il rimanere di Roy era sempre stato altalenante, soggetto ai suoi cambiamenti d'umore. Come l'altalena sfasciata fuori dalla casa natale, quando l'attimo prima Roy scalciava per salire e l'attimo dopo il seggiolino tornava giù vuoto, così nella sua testa il concetto di presenza si mischiava a quello di assenza in un turbinio non preannunciatile, imprevedibile. Ci si fa i calli a furia di stringere il vuoto.
    Le cose stabili erano dunque poche, una manciata, messe in crisi dall'incapacità che Roy aveva di stare fermo in un posto, nel tempo. Che poi spesso mica le riconosceva queste certezze numerate, le dava talmente per scontate da essere ormai in via d'estinzione. La cosa pazzesca?
    Non sapeva mai quello che aveva fino a quando non era sul punto di perdere tutto. Così valeva per tutto, persino per quella roccia salda che, piccola e all'apparenza innocua, occupava da sempre uno spazio enorme nella sua vita: Nora.
    Nora era diversa dagli altri punti cardinali che la bussola mal funzionante Roy aveva compromesso nel tempo. Non l'aveva scelta, non era frutto di una decisione su due piedi e nemmeno il tentativo, in uno dei rari momenti di lucidità, di appartenere a qualcosa che non faceva per lui. No, Nora c'era stata dal primo momento, potrebbe sembrare orribile dire che fosse semplicemente capitata, ma per Roy era stata la prima e l'unica cosa bella che si fosse ritrovato per caso fra le mani. Il padre, la madre e il quartiere: di nuovo, le cose belle non capitavano a quelli come lui, che se le dovevano cercare e lottare senza sosta per tenersele. Il fatto che la cugina fosse piovuta dal cielo era stata, per citare, una grande botta di culo, una fortuna talmente sfacciata che Roy avrebbe dovuto ricordare e accudire per il resto dei suoi giorni. Invece, come con tante, troppe delle sue cose, Roy finiva spesso per dimenticare quanto il destino una volta fosse stato gentile con lui. E allora spariva per giorni, a volte anni, si tuffava a capofitto prendendo decisioni come fosse solo al mondo. Partendo per l'esercito Roy non aveva pensato alla cugina, a come potesse sentirsi senza di lui. Erano talmente tante le volte in cui si era sentito dire di non valere niente, che faticava ancora ad accorgersi di quanto in realtà fosse amato.
    Gli conveniva anche pensarla così, non dare conto a nessuno lo tranquillizzava ed era geloso della sua libertà anche quando certe notti, ripiegato sulla branda in preda a convulsioni febbrili, lo spaventava l'idea che, se fosse morto lì e ora, sarebbe morto solo. Era un paradosso vivente, Roy, un nodo in ipertensione e senza logica che creava scompiglio dovunque passasse.
    Poi la clessidra era andata in frantumi e il tempo nell'arena aveva preso ad impazzare, mentre le loro vite arrivavano a tanto così dallo spezzarsi. Si piegava, Roy, arrivando a sopportare il peso di orribili inclinazioni senza mai cedere, credendosi immortale. Quel giorno nell'arena tutto era cambiato, e la consapevolezza di quanto rara fosse la vita l'aveva colpito in pieno petto, una dose di adrenalina conficcata nel cuore.
    Attraverso le ciglia insanguinate aveva guardato Nora difendersi e attaccare, con la vista disallineata aveva parato i colpi di Coco mancandone altri, stoico nel non voler attaccare nonostante tutto. Perché in quel momento era stato colto da una vertiginosa sensazione. Non quella di morire, ma quella di avere le proprie certezze agli sgoccioli. Se fosse morto, loro avrebbero saputo come andare avanti; al contrario, Roy sapeva di potersi perdere per sempre.
    Aveva tantissime cose rotte da aggiustare o, quantomeno, avrebbe provato a rincollare qualche pezzo sperando che reggesse. Era a tutte quelle schegge di vetro che pensava Roy mentre, supino sul letto, si impegnava con le dita a intrufolarsi sotto la fasciatura al petto per stemperare un prurito insopportabile che andava avanti da ore. Come faceva a concentrarsi sulle cose davvero importanti quando tutto ciò che aveva in testa era quel fastidio? L'avevano costretto a letto da...Aveva perso il conto dei giorni e non ne aveva più la minima idea. Forse era per via della concussione alla testa - o forse era colpa delle giornate tutte uguali - ma Roy faticava a tenere a mente il passare del tempo. Per quello c'era il suo calendario di fiducia che, lanciò uno sguardo all'orologio bianco proprio di fronte al suo letto, quella mattina era stranamente in ritardo. Non che Roy tenesse a quelle sciocchezze - non era mai stato puntuale in vita sua - ma lo sapeva perché era già un po' che l'infermiera carina era venuta a prendergli i parametri vitali. Pressione, tutto bene, battito cardiaco a posto, risultati delle analisi del sangue riportano valori del fegato ingrossato. Quanto direbbe che beve in una settimana? All'inizio della convalescenza lo imboccava anche, e forse Roy aveva approfittato un po' della situazione fingendosi più dolorante di quanto fosse solo per ricevere qualche grammo in più di morfina. Dovevano aver fiutato qualcosa, però, perché era sempre più spesso visitato dall'infermiera vecchia e antipatica che non sganciava un ibuprofene in più neanche a pregarla. Vagheggiando fra le onde di quei pensieri spinse troppo in fondo l'indice sotto la banda, la faccia scomposta in una smorfia di dolore al tocco della ferita. "Aia." Disse piano e così lo trovò Nora: il viso imbronciato e alquanto contrariato com quello di un bambino che si è appena sbucciato il ginocchio. "Ehi cugina, hai davvero un aspetto da schifo. Però il tuo destriero è una figata." Aveva dimenticato il prurito, la ferita e persino la vecchia infermiera, alla vista della ragazza Roy era tornato il Roy di sempre e la guardava avanzare in sella allo stallone metallico. Sapeva quanto lo odiasse, per questo prenderla in giro lo divertiva sempre un casino. "Benone! Pure meglio se quella brutta vecchiaccia dell'infermiera non fosse così attaccata ai suoi preziosi antidolorifici. Sembra Gollum te lo giuro, che spilorcia." Iniziò a lamentarsi mentre si scrocchiava le nocche, prima una mano, poi l'altra. Farsi vedere debole era qualcosa che l'aveva sempre disturbato, come scorgere la stessa fragilità negli altri. Dove era cresciuto non c'era mai stato spazio per quello, per le parole, per i sentimenti. Nel suo mondo si respirava a insulti e si masticava violenza. Quindi avrebbe continuato a sparlare di quella ingiustizia ancora un po', se solo Nora non avesse deciso di compiere quel gesto inaspettato che lo spiazzò. Le iridi azzurrine di Roy, per un po' altrove, fissarono l'unione delle loro mani come fosse cosa aliena. Non erano mai state persone da contatto, non fra loro. Non si dicevano neanche ti voglio bene, figurarsi. Fu una sorpresa sì, ma non si ritrasse anzi, girò il palmo verso l'alto per stringere piano le dita della cugina. "Sto bene, Nora. Croce sul cuore." Con l'indice della mano libera disegnò con lentezza una X all'altezza del petto, sul bendaggio che lo fasciava. Osservò un secondo di più le loro dita unite, ancora una volta sorpreso di sapere che quelle mani screziate fossero capaci di altro oltre che violenza. Mentre si spostava di lato per farle più posto, Roy represse una piccola smorfia di dolore. Quella maledetta ferita al petto tirava come una mandria di buoi. Poi si concentrò su Nora, puntandole le pupille nere addosso. "E tu come stai?" Deglutì. Era arrivato il momento. "Scusa." Iniziò senza sapere come continuare. Non si era preparato un discorso, non sapeva organizzarsi la colazione figurarsi mettere insieme delle scuse, però aveva capito che okay non confessarselo trecento volte al giorno, ma a volte era importante dire le cose ad alta voce, in modo che l'altro sapesse cose che troppo spesso si davano per scontate. "Mi dispiace per tutte le volte che ti ho trattata di merda, a parte quando te lo meritavi." Abbozzò un sorrisino laterale tutto denti non allineati. C'era un casino in quella bocca come nella sua vita, e Roy stava cercando di raddrizzare almeno una delle due. "Scherzi a parte, scusa per averti data troppo spesso per scontata." Erano troppe le volte in cui Nora era stata messa da parte per dei capricci, o semplicemente perché Roy sentiva di avere cose più importanti in cui buttarsi a capofitto. Con una spanna di concentrazione pari a quella di un ornitorinco, se trovava una cosa che gli piaceva Roy non sembrava avere occhi o orecchie per altro. Era successo con la gang del bosco, con Kai, con Coco. E spesso a pagarne il prezzo era stata l'unica persona su cui Roy sapeva di poter sempre contare, Nora. "Rimango sempre uno stronzo ma voglio provare a migliorare, ok?" Con un'altra piccola stretta, le lasciò definitivamente la mano, passando a osservarla oltre il viso escoriato. Vide la gamba ancora malmessa, i tagli sul collo e, anche se coperta dalla maglia, Roy sapeva che una fascia le stringeva ancora l'addome. Vide il volto stanco e gli occhi preoccupati, ma sotto tutti quegli strati Roy riuscì a scorgere la forza e la dolcezza che facevano a botte al centro di quell'involucro di ossa e nervi, e ne rimase sbalordito.-Promettimi che non te ne andrai più. - "Io? Andarmene? Dove vuoi che vada paralizzato dalla vita in giù!" Accennò alla sedia a rotelle vuota dall'altra parte del letto, l'unico veicolo con cui si ostinava a deambulare durante la degenza all'ospedale. Non volevano mandarlo a casa e, se doveva fare il malato, Roy allora l'avrebbe fatto fino in fondo. Odiava stare lì dentro, ma quella non era la completa verità. Contro ogni previsione, per lui che in trappola si sentiva anche durante una seduta troppo lungo sul cesso, una parte di lui marciava sul fatto di essere accudito, approfittando di tutte quelle attenzioni per fare tutto tranne che riposarsi. Tipo infastidire e fare il coglione. Quindi, nonostante l'unica cosa riportata alle gambe fosse la ferita alla coscia, erano giorni che continuava a sostenere di dover vivere una vita da disabile, sbraitando contro chiunque volesse portargli via la carrozzina. "Ora ti decidi si o no a darmi la rivincita? Mia nonna in carriola và più veloce di te su quell'affare, non so come cazzo hai fatto a battermi ieri." Si issò lentamente sulla sedia a rotelle, con tutto il tram tram del fingere di avere le gambe impossibilitate, e tra un phew e un uàà riuscì nell'impresa. Si deterse le piccole goccioline di sudore dalla fronte, quel passatempo era del tutto illegale e sconsigliatissimo dai medici, massaggiandosi la spalla indolenzita. Quella maledetta ferita al petto irradiava male ovunque, era vero, ma non si sarebbe arreso per niente al mondo. Si schiarì la voce per assumere un tono da arbitro. "Sei pronta? Al mio tre! Uno...du---" Ma Roy era già partito, i muscoli del corpo tesi e doloranti, il busto in avanti per essere più aerodinamico (?). Per poco non si andò a sfasciare contro la porta, la ruota della carrozzina vi aveva urtato tanto violentemente da fargli quasi perdere l'equilibrio. "CHI ARRIVA ULTIMO PAGA IL CAFFÈ PER SEMPRE!" Fu l'ultima cosa che Nora sentì accompagnata da una risata bambinesca quando Roy, ormai fuori e già nel corridoio, slittava a tutta birra verso la macchinetta del caffè alla sua fine.
    Erano tantissime le cose che di Roy andavano rimesse a posto, come il carattere, la gelosia, l'inaffidabilità, l'arroganza; altrettante quelle da dovergli insegnare dall'inizio, come la calma, il perdono, la fedeltà e il sapere amare senza causare un terremoto di magnitudo otto.
    Più di tutto forse Roy avrebbe dovuto imparare cosa volesse dire davvero restare per qualcosa, per qualcuno. Perché un pretesto per tornare se lo seminava sempre giù in profondità, fra le costole ammaccate. Tornare dall'esercito, dal carcere, dal regno dei morti.
    Non aveva mai detto resta se l'addio era a portata di mano, e ora era curioso di sapere cosa sarebbe successo a fare il contrario.
    Comunque, quello che si ammazzava per raggiungere, era pure un caffè di pessima qualità.

    Edited by paracosm - 21/11/2020, 15:23
     
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    Non aveva mai avuto il piacere di sentirsi davvero parte di quel mondo che la circondava, attanagliandole il petto in una morsa che spesso le faceva mancare il respiro e desiderare di mandare tutto all’aria, non tentare neanche più di lottare e di cercare di ritagliarsi un piccolo spazio in tutto quello. Aveva sempre pensato di essere fuori posto, sbagliata, una nota stonata in un coro di voci e suoni che andavano perfettamente in sintonia tra di loro. L’unico punto nero in mezzo ad una superficie immacolata. Non riusciva ad amalgamarsi alla massa, ad essere come loro, quelle persone che sorridevano e osservavano il mondo come se non ci fosse nulla di ostile o di terribile appena fuori dalla porta di casa, pronto a graffiare e divorare ogni tua voglia di vivere, ogni cosa positiva. Lei di giornate davvero felici ne aveva avute poche nella vita, di periodi un po’ più lunghi di felicità ancora meno, tanto che a volte faticava a ricordarli. I protagonisti di quegli episodi, fino a poche mesi prima, erano sempre stati gli stessi: Roy, Tim; nessun altro era mai riuscito a strapparle un sorriso. Da qualche tempo però qualcun altro sembrava essersi aggiunto nel vortice incontrollabile che era la sua vita, portando qualche nuovo raggio di sole in mezzo alla tempesta, anche se tutto sembrava voler remare contro di loro. Era abituata a stare da sola. Era stata costretta ad ambientarsi sin da quando era bambina, nelle lunghe giornate trascorse a casa senza la compagnia di anima viva. Le piaceva perdersi nel silenzio, ad osservare un mondo fatto di circuiti, di dati, di tutte quelle cose intellegibili che erano sempre state facili da comprendere per lei, così schematiche e riconoscibili. Eppure ultimamente aveva iniziato a capire che le mancava qualcosa, come se una molla si fosse rotta dentro di lei, iniziando a farle provare sensazioni ed emozioni che pensava di aver dimenticato per sempre, sepolte sotto strati di dolore e rassegnazione. Desiderava riuscire ad esternare ciò che sentiva, quelle emozioni colorate che provava per le poche persone davvero importanti della sua vita, ma sentiva di non esserne davvero in grado, di non aver mai imparato quel pezzetto del suo stesso codice di programmazione che permetteva di trasmetterle in maniera opportuna. Lei, dopotutto. quegli affetti non li aveva mai cercati, le erano sempre capitati tra le mani per caso, come se il destino avesse deciso di metterli nel suo cammino.
    Qualche fitta di dolore all’addome la fece rallentare un po’, mentre con le braccia cercava di mettere la forza necessaria a muovere quella maledetta sedia a rotelle. La faceva uscire fuori di testa sentirsi così impotente, fragile. Continuava a rivivere nella sua mente ogni dettaglio che era riuscita a registrare di quel giorno terribile, anche se nei momenti di maggiore crisi cercava di trovare una maniera per cancellare quelle memorie, come se non fossero state altro che dei file vecchi e inutili, da eliminare per sempre. Se avesse potuto avrebbe cancellato definitivamente tutte quelle informazioni dal cestino della sua mente, ma purtroppo non esisteva quel tipo di funzione all’interno del corpo umano. Un leggero tremito le scosse la mano mentre per un attimo di troppo la sua mente si soffermò a ripensare a quegli ultimi istanti, all’odio che aveva provato, alla paura. Prima di quel momento non aveva mai creduto di poter avere timore davanti alla sua morte. Con tutte le volte in cui aveva tentato di mettere la parola fine a tutto credeva che trovandosi davanti al fatto quasi compiuto avrebbe trovato solo pace, felicità, la voglia di lasciarsi andare. Invece qualcosa dentro di lei si era svegliato mentre cercava di aggrapparsi a quegli ultimi brandelli di vita che le restavano e il suo corpo diveniva immobile, come fosse fatto di pietra, in quel tentativo disperato che Luk aveva tentato di portare a termine per trattenerla lì, sospesa in quel momento, non del tutto viva, ma neppure ancora morta. Lo aveva scoperto dopo, incapace di comprendere quello che accadeva mentre lo stava vivendo. Non aveva mai pensato che qualcuno di diverso da Roy potesse mai opporsi alla sua morte e probabilmente se glielo avesse raccontato avrebbe fatto finta di essere offeso per la fine del suo ennesimo primato. Le venne quasi da sorridere a quel pensiero. A Roy non era mai piaciuto ammettere di volere bene alle persone, né tanto meno dimostrarlo, eppure nessuno doveva mettere in dubbio quello che provava, o se la sarebbe presa in ogni caso.
    Inarcò un sopracciglio, sorpresa, quando facendo capolino dalla sua porta lo trovò in una strana posa, intento a raggiungere un punto troppo lontano all’interno della fasciatura. Sollevò in aria una mano, abbassando le altre dita e lasciando sollevato solo il dito medio, che esibì in direzione del cugino, quando questo le fece notare che aveva un pessimo aspetto. -Anche il tuo non è male comunque. - continuò poi, dopo quella esternazione di affetto, mentre si faceva un po’ più vicina. Si riferiva al suo aspetto ma visto che non era stata troppo chiara avrebbe anche potuto pensare che parlasse dell’aggeggio metallico su cui avrebbe dovuto muoversi anche lui. Bella schifezza! -Ah beh, almeno a te anche se pochi te li danno. - ribatté lei con un sonoro sbuffo che le mosse alcuni ciuffi di capelli scuri verso l’alto. Il problema di essere già finita in quel maledetto ospedale era che quindi i medici potevano avere accesso alla sua storia clinica e sapere che era finita in overdose in alcune occasioni li portava sempre a scegliere di non darle mai neppure l’ombra di un antidolorifico. Una gran seccatura quando si avevano numerose pugnalate sul ventre e qualche altra ammaccatura qua e là. Non vedeva l’ora di uscire. Si avvicinò ancora, andando a prendere la mani di lui, sentendo lo strano bisogno di avere un contatto, di sapere che era davvero lì e che non lo stava immaginando. A volte le capitava di vedere cosa che in realtà non c’erano, anche se lei non dava troppo peso alla faccenda e non lo aveva raccontato ai medici che la seguivano. Soltanto Lukazs una volta aveva avuto modo di vederla in uno dei suoi momenti più confusi, ma non aveva mai tentato di approfondire la faccenda. Forse prima o poi avrebbe dovuto dirlo a qualcuno, chiedere aiuto, ma in quelle cose purtroppo non era mai stata brava.
    Lo sguardo di Roy rimase a fissare le loro mani per qualche momento, senza però accennare a voler ritrarre la mano, sebbene fosse chiara la sorpresa sul suo volto. Continuò a fissarlo mentre le assicurava di stare bene, prima di porle la stessa domanda. -Bene, credo. Anche se chiaramente sono stata meglio. - iniziò, con una smorfia non troppo convinta sul volto, cercando di fare una battuta che non venne fuori molto bene. Si mordicchiò appena il labbro inferiore prima di proseguire. -Quella stronza mi ha pugnalata così tante volte che ho perso il conto! - aggiunse poi, mentre con un sospiro sollevava appena la maglia del pigiama per fargli vedere la fasciatura stretta che le avevano fatto sulla pancia. Poi, improvvisamente, si fece più seria. -La verità è che sono quasi morta. - si decise a dire, tutto d’un fiato, con un’espressione incredibilmente seria. -Se Luk non avesse usato la sua particolarità per impedirmi di arrivare al limite probabilmente non sarei qui. - aggiunse, con un leggero sospiro. In fondo lui era l’unico con cui le andasse di parlarne, l’unico a cui sapeva che avrebbe sempre potuto dire ogni cosa, perché l’avrebbe comunque perdonata, anche quando si arrabbiava. Non aveva paura di essere giudicata da lui. Lo sentì scusarsi poi, poco dopo, e a quel punto riportò velocemente lo sguardo su di lui, come se non avesse compreso bene le sue parole. -Perché ti stai scusando? - domandò quindi, piuttosto in fretta, con la confusione ben visibile sul volto, senza quasi lasciargli il tempo di andare avanti. Spostò lo sguardo però, puntandolo verso il lenzuolo che copriva suo cugino, quando iniziò a scusarsi per averla trattata male in alcune occasioni, per averla data per scontata. Senza volerlo si ritrovò ad increspare appena le labbra, sollevando l’angolo sinistro verso l’alto di qualche millimetro. Quella sì che era una strana giornata. Non si sarebbe mai aspettata di sentire quelle parole fuoriuscire dalle labbra di lui, fino alla fine dei loro giorni. Avrebbe voluto trovare qualcosa di stupido da dire, una di quelle battutacce che sfoderava nelle loro migliori occasioni, invece rimase in silenzio per qualche istante, ad assorbire quello che aveva appena udito. -Facciamo tutti degli errori, non devi scusarti. Neanche io sono perfetta, anche se fingo sempre che non sia così. - mormorò piano, mentre andava a poggiare il capo sulla spalla di lui. -Non importa se fai lo stronzo qualche volta, mi basta sapere che sei qui. - ammise poi, continuando a guardare dritta davanti a sé, incapace di guardarlo mentre faceva quelle confessioni scomode. -Ma se proprio sei così convinto di voler migliorare posso farti una lista delle cose da sistemare, anche se probabilmente ci vorrà una settimana per scrivere tutto! - lo prese in giro a quel punto, dandogli un leggero buffetto sulla spalla mentre si allontana di qualche centimetro da lui.
    Gli sferrò una leggera gomitata quando scherzò sul fatto che così ammaccato non poteva andare molto lontano. Sapeva che cosa intendeva, ma non cercò di ottenere una risposta più seria, non quella volta per lo meno, quel giorno si erano già detti abbastanza. E infatti Roy non attese ancora molto prima di riportare la conversazioni su toni che a loro erano sempre stati molto più congeniali, chiedendole una rivincita nelle corsa delle sedie a rotelle. -Perché stai diventando vecchio. - lo prese in giro, quando si domandò come avesse fatto a perdere in precedenza, scendendo dal letto con qualche mugugno di troppo per poi prendere posizione sul suo destriero di metallo. Anche lei tra una smorfia di dolore e l’altra scese dal letto, riprendendo posto sulla sua ormai fedele compagna di viaggio, mentre Roy iniziava il countdown per poi, chiaramente, partire in anticipo. Dopotutto glielo aveva detto che questa volta non l’avrebbe lasciata vincere e per esserne certo era partito in grande stile. -Ma non vale barare! - protestò lei, sollevando il tono della voce, per poi scuotere il capo con aria divertita mentre si metteva in moro per cercare di uscire anche lei dalla stanza e quindi tentare di raggiungerlo. Cercò di evitare la porta che Roy invece aveva preso in pieno, per poi stringere i denti mentre tentava di prendere velocità accelerando il moto di quelle maledette ruote. Per un momento si chiese come avrebbe potuto barare anche lei, fare qualcosa di stupido per farlo rallentare. -Ahi. - mormorò, fermandosi un istante per controllarsi il bendaggio, per paura che qualcuno dei punti fosse saltata, prima di rimettersi in marcia, tra una protesta e l’altra dei vari infermieri che incrociavano nel corridoio. In fondo cosa potevano fargli? Trattenerli più a lungo? Probabilmente non vedevano l’ora di liberarsi di loro.
    Cercò di inseguirlo ancora per un po’, vittima di quella voglia di arrivare per prima, di dimostrare di essere brava in qualcosa. Lo vide sfrecciare veloce di fronte a lei, la macchinetta del caffè li aspettava alla fine del corridoio come un trofeo. Pensò di tentare un ultimo sprint poi, davanti all’ennesima fitta, si disse che in fondo avrebbe comunque usato la sua particolarità su quella macchinetta e che nessuno avrebbe davvero pagato il caffè, quindi che importanza aveva chi arrivava per primo? Frenò sugli ultimi metri, per evitare di andare a sbattere contro Roy e finire tutti e due contro la macchinetta, emettendo uno sbuffo contrariato mentre lui festeggiava la sua vittoria. -E va bene, per questa volta hai vinto! Ma voglio la rivincita quando starò un po’ meglio! - borbottò, con fare lamentoso mentre lo spingeva appena con la mano per liberarsi la strada verso il tastierino numerico. -Lo vuoi davvero quel caffè? - chiese, giusto per esserne sicura, prima di chiudere appena gli occhi e forzare il codice della macchinetta, imponendole di fare due caffè, riempendo quello di Roy di zucchero giusto per dargli un po’ di fastidio. Poi, per niente intenzionata a tornare nella sua camera, si mosse verso una delle vetrate che davano verso l’esterno, tenendo in equilibrio il bicchierino stretto tra i denti, per evitare di buttarselo addosso. -Pensi che troveranno il responsabile? - domandò, mentre il suo sguardo si perdeva lungo l’orizzonte e la sua mente tornava a quella giornata, ancora e ancora. -Come sta lei? - continuò, guardando di nuovo Roy nel porre quel nuovo interrogativo. Lei e Coco non erano mai andate molto d’accordo e la colpa, lo sapeva, era sempre stata sua. Non accettava che Roy potesse metterla da parte una volta per tutte, che smettesse di rispondere ai suoi messaggi, ma aveva capito ormai che non poteva continuare a fingere che lei non esistesse, non se quella ragazza era una parte così importante della vita del cugino.
     
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    C'è chi si scusa in continuazione anche senza colpe e chi, invece, non lo fa mai abbastanza. Di scuse Roy ne diceva qualcuna, sempre troppo sbiascicata, sempre poco duratura. Le buttava e dietro ci si faceva scudo, credendo che lanciarle contro gli altri ponesse rimedio a tutto, come se a tirare granate si fosse mai risolto qualcosa. Qualsiasi cosa -baci, fiori, regali, bottiglie, carezze, sogni, parole- nelle mani di Roy sembrava infatti farsi arma, come se neanche le buone intenzioni riuscissero a piegare l'istinto che lo voleva sulla difensiva, sempre. Le gettava addosso agli altri senza dare loro modo di difendersi o spostarsi, li colpiva e per lui quello bastava a mettere le cose al loro posto.
    Chiedere scusa era diverso, il verbo in sé racchiudeva un'incognita, la possibilità di ricevere indietro un rifiuto. Chiedere era pericoloso, chiedere scusa potenzialmente mortale. Significare dare in mano all'altro il potere di dirti no, di non accettare, di non perdonarti che "è troppo tardi", "non c'è più niente da fare", "mi arrendo". Era concedere la libertà di farti del male, e l'idea lo spaventava a morte.
    Questo fino a qualche giorno prima, quando era stato a tanto così dal perdere ogni cosa. Era una testa dura, Roy, non cambiava idea neanche a sbatterci il muso contro, ma quella volta era stato diverso. Quella era stata la prima volta in assoluto nella sua vita da adulto che si era visto strappare qualcosa da sotto il naso senza che fosse colpa sua, senza che potesse fare qualcosa per fermarlo. Dall'episodio del gelato che il padre gli aveva spiaccicato a terra, Roy aveva promesso a sé stesso di lottare contro chiunque volesse privarlo di ciò che - a suo dire - era suo. Aveva insultato, graffiato, rotto, picchiato contro chiunque avvertisse come minaccia e rifiutando ogni idea di condivisione, che fosse amichevole non era importante. Aveva lottato così a lungo, incazzato e insaziabile, fino a dimenticare il motivo di tutta quella rabbia, continuando a menare colpi senza più una ragione reale che potesse in qualche modo giustificare quelle terribili azioni. E allora picchiava sconosciuti al bar perché non gli piaceva la loro faccia, una volta aveva rotto il naso a un tizio che dalla macchina aveva guardato nella direzione sua e di Coco troppo a lungo. Invece di calmarsi, la rabbia cresceva e ogni volta aveva bisogno di valvole di sfogo più grandi, più estreme, più insensate, fino a perdere completamente il lume della ragione, coronatosi con il mese passato in isolamento dopo aver quasi ammazzato il suo compagno di cella. Era sempre stata sua la decisione finale di prendere o lasciare, almeno fino all'arena, quando qualcuno aveva avuto la brillante idea di farli fuori tutti.
    Allora non solo aveva sbattuto la faccia, Roy era stato investito in pieno e solo così aveva iniziato a ragionare sulle sue priorità. Da piccolo, il sorriso di Roy si allargò a una platea dai sedili storti al gestaccio con cui Nora lo accolse, segnando la fine di quell'atroce solitudine. Era davvero felice di vederla. 'Giorno! Non lo dimostravano come persone normali, quei due l'affetto se lo lanciavano a forza di medi alzati e battute di poco gusto. Non è colpa mia se ho una bella faccia che si fa amare da tutti. Hai mai provato a sorridere? Aiuterebbe. Ribatté sul fatto degli antidolorifici, sbrigandosi a chiudere la bocca prima che gli venissero scalate anche quelle dosi da libellula. Sempre meglio di niente. Guardò la cugina farsi strada sul destriero metallico e avanzare verso di lui con qualche smorfia di dolore, ripensando alle volte in cui l'aveva vista stesa su uno di quei materassi sottili e scomodissimi, collegata a fili trasparenti che la ancoravano al letto neanche fossero catene di acciaio. Cercò di ricordare se e quanto fosse stato presente in quelle occasioni, riuscendo però a pescare solo qualche ricordo di poche e brevi visite passate pressoché muti. Aveva sempre qualcos'altro da fare, qualche altro posto in cui essere piuttosto che nel presente, lì per chi aveva davvero bisogno. Forse alla base di tutto c'era la convinzione che nessuno ne avesse davvero, bisogno di lui dico. Alla fine era soltanto uno spreco di spazio e d'aria che non ne faceva mai una giusta, ma quella era una scusa che non avrebbe più retto. Non dopo quel giorno.
    Sapeva di non poter tornare indietro nel tempo a tutte le volte che non c'era stato, neanche dopo un'overdose, neanche dopo un crollo mentale; però da quel giorno in poi sarebbe potuto restare invece che voltarle le spalle. Il sorriso sfumò come acquarelli su una tela ben più scura, mentre lo sguardo celeste seguiva le mani di Nora che scoprivano l'addome fasciato. La vista lo riportò indietro alle immagini vissute nel bosco, a quelle scene che sembravano incubi visti da una lente sfocata e sporca di sangue. Era il suo o di qualcun altro? Tra schizzi rossi, il calore insopportabile del suo corpo e il dolore generale c'era posto per bene poco altro, ma i ricordi gli restituirono la figura di una Nora come non l'aveva mai vista. Combattente, fuori di sé, quasi a pezzi. Anche lui era apparso così dal di fuori? Bè, se non fosse stato per Luk(e) Skywalker io ora starei un pelino meglio. Aveva alzato la maglietta pure lui, mostrando a sua volta il bendaggio che gli comprimeva il petto, segandogli la pelle. Solo questa. Quest'altra è omaggio di Sky, credo. Che begli amici di merda che vi trovate, ah? Con l'indice puntato sulla ferita alle costole si riferì anche a Coco, indugiando ancora qualche secondo prima di ricoprirsi, in faccia una smorfia indecifrabile. Scherzava. Più o meno. Sky era la migliore amica di Coco e fin qui tutto bene, ma Luk? Chi cazzo era mo' Luk? Molti di quei ricordi erano confusi, ma non quello della mano di Nora racchiusa nel palmo di un'altra che non gli apparteneva, e ora Roy guardava la cugina come a volerla attraversare da parte a parte. Le strinse la mano con un po' più di pressione, il vecchio e marcio istinto di possessione che si faceva strada tra le fibre del suo essere e che gli gridava no, quella storia non gli piaceva. Poi però Roy chiuse per un secondo gli occhi, rilassando i muscoli con un respiro profondissimo. Doveva fare le cose diversamente quella volta, per quanto gli fosse possibile. Comuuuuunque... iniziò cantilenando allora con un sospiro e sollevando le palpebre per guardarla di nuovo. Che è 'sta cosa con Luk? E poi...chi è Luk? Fornire nome, cognome, indirizzo, professione, prego. Aveva agitato una mano indicando Nora e poi alla sua destra, sul fantasma di un Luk in quel momento chiaramente non presente. Accennò persino un sorriso stiracchiato, facendo del suo meglio per ingoiare il vecchio Roy e non apparire sospettoso. Si era sempre detto di voler bene alla cugina, che non ci fosse bisogno di dirselo e che lo sapeva, Nora, di quanto affetto si trattasse. Lo sapeva, vero?
    Improvvisamente il tono e l'atmosfera nella stanza si fecero più seri, più importanti, mentre Roy ricordava di aver visto Nora cadere, ricordava l'impotenza provata, grande quasi quanto quella avvertita nel momento in cui aveva visto la luce sparire dagli occhi di Coco quando, senza volerlo, aveva iniziato a non riconoscerlo più. D'istinto i polpastrelli tastarono la pelle livida del collo, lì dove la corda era stata a tanto così dall'ucciderlo. Non ricordava molto, Roy, ma sapeva che non era stata la paura il sentimento più forte di quegli ultimi istanti. Forse era il dispiacere anzi, un'enorme tristezza gli aveva inondato il petto al pensiero di perdere Nora, Coco, Kai senza aver avuto prima il coraggio di chiedere scusa. Per questo parlò a Nora in quel modo quando, tra uno sbuffo e una fitta di dolore, la cugina riuscì a stendersi vicino a lui. Cacciò indietro la paura e le chiese scusa osservandole il profilo, visto che Nora non sembrava in grado di restituire lo sguardo. Onestamente non la biasimava, non si erano mai detti certe cose e farlo era scomodo ma necessario. Perché non voglio arrivare sul punto di morire e darmi ancora del coglione per non averlo mai fatto. Rispose con un'alzata di spalle, accogliendo poi la testa della cugina sulla sua spalla.
    Mosse allora il collo per fissare anche lui il muro davanti a loro, ora in due a dirsi cose importanti come se parlassero con la stanza, piuttosto che fra di loro. Ma andava bene così anzi, era perfetto perché erano loro. Mi dispiace distruggere ogni tua certezza ma ti conosco da quando eri alta più o meno come una spazzola del cesso, pure fingendo a me non mi hai fregato mica eh. Ribatté convintissimo sentendola parlare di quanto si fosse sempre sforzata di apparire perfetta. L'aveva detto piegando il capo di lato per poggiare la nuca sopra quella di Nora, sulle labbra un sorriso che lei non poteva vedere. Buttarla a cazzate era una sorta di arma per Roy, usata per sdrammatizzare e alleggerire certe atmosfere che dopo un po' iniziavano a stargli strettine. Una settimana per scriverli e un miracolo o due per farli accadere: direi che è decisamente fattibile. E comunque dai ora non ti allargare, sono quasi perfetto. La modestia non era evidentemente di casa Ström. E poi il momento delle confessioni sembrò finire o forse andare solamente in pausa quando, con una gomitata ben assestata da parte di Nora, le costole di Roy si lamentarono. Allora accadde qualcosa che combaciava di più con quello che i cugini erano sempre stati l'uno per l'altro: dei cretini. Roy imbrogliò, naturalmente, la sensazione che aveva provato qualche giorno prima nel perdere era ancora impressa a fuoco in lui e no, non gli piaceva per niente. Prese la breve corsa verso la macchinetta del caffè con la stessa grinta e determinazione di una gara a livello agonistico, neanche promettessero un milione di soldi in premio. Neanche fosse buono quel dannato caffè. Ma provare nero su bianco che fosse il migliore era abbastanza da far uscire il bambino che in realtà da dentro Roy non se ne era forse mai andato, finendo quasi per sfracellarsi contro la macchinetta con un tonfo sordo. O forse era stata la sua testa. Ahia. Mugugnò massaggiandosi la fronte ma voltandosi subito per vedere Nora arrivare lentamente. Gne gne gne tutte scuse! Vecchio a chi ora ah? ah? E certo che lo voglio questo caffè. Fece forza sulle braccia per sistemarsi meglio sulla sedia (era paralizzato, ricordate?), scrocchiando un paio di falangi nell'attesa della disgustosa bevanda che incastrò poi fra le gambe. Era talmente abituato al potere di Nora che ormai non ci faceva neanche più caso. Poi fai cascare una dozzina di pacchetti di patatine? Ho provato a spallate ma ne è caduta solo una. Le chiese seguendola verso la finestra a vetri che occupava tutta una parete della sala visite. Non c'era quasi nessuno a quell'ora, a parte una vecchietta che parlava con una pianta accarezzandone le foglie. Con gli occhi fissi sull'anziana, Roy prese un primo sorso di caffè con una smorfia repentina. Se vuoi uccidermi con attacco glicemico lo stai facendo nel modo giusto. Scherzò col naso arricciato, distogliendo poi lo sguardo dalla donna per puntarlo invece sulla cugina, mettendoci qualche secondo per capire a chi si riferisse. Trovare i colpevoli non era stata la sua priorità, aveva dato al giro di scuse e ai buoni propositi il massimo della sua attenzione. Riattaccare i pezzi sarebbe stato difficile, alcuni erano più complicati di altri, e per una volta la vendetta non rientrava nei suoi piani. Chi se ne fregava, alla fine. Ne dubito, lo sai cosa penso degli sbirri: sono inutili. Ma onestamente Nora? Me ne sbatto. Si inumidì solamente le labbra col caffè, giusto per testare se fosse ancora super dolce, e si ritrasse con uno scatto rovesciando il liquido nella piantina più vicina per mandarla in overdose da zucchero. "Meglio lei che io." Chiunque sia stato se ci riprova è morto, e non saranno un paio di piedi piatti a fare giustizia. Il viso di Roy, che aveva smesso di guardare la cugina per spostarsi verso l'esterno, si era indurito trasformandosi per un momento in una maschera contratta dalla rabbia. I pugni si strinsero sul grembo e accartocciarono il bicchierino di plastica ormai vuoto. Hai paura? Le chiese allora all'improvviso, tornando a lanciarle uno sguardo. Non voleva dirle che sarebbe andato tutto bene perché sarebbe stata una bugia, e in quella nuova vita non ci doveva essere spazio per loro. Però Roy avrebbe voluto tranquillizzarla, anche se sapeva di non poterle promettere di esserci ogni secondo delle loro vite. Forse avrebbe dovuto contare su questo Luk più di quanto avesse pensato all'inizio. Alzò le sopracciglia quando la sentì riferirsi a Coco, le dita che allentavano la presa e il cadavere raggrinzito del bicchiere cadeva al suolo, stecchito. Wooo, non ti ho mai sentito chiedere di lei. Che giornata assurda! Lo sai che ha un nome, vero? Ripeti insieme a me: Co-co. È semplice. Le ammiccò, stava sempre a prenderla in giro. Si mosse sulla sedia spostando il peso da un gomito all'altro sui braccioli. Quella con Coco era una delle tante questioni da rattoppare, provare a ricucire, rammendare, solo che Roy non sapeva proprio da che parte iniziare. Lei...Sta bene, credo, tutto considerato almeno. Iniziò con la stessa cautela con cui lui e Coco sembravano muoversi da quel giorno, come se non riuscissero a staccarsi ma avessero anche paura di incrinare tutto. Viene spesso a trovarmi ma non abbiamo ancora mai parlato di beh, tutto quanto. Non è che puoi dire "Ehi, lo so che ti ho fatto male e tu eri a tanto così dal soffocarmi: vogliamo ricominciare da capo?" Cioè, come fai? Da dove inizi? C'è tanto di quel trascorso fra noi che non sono sicuro che "scusa" sia abbastanza. Con gli occhi azzurri fissi di fronte a lui, Roy stesso si stupì di aver riversato i propri dubbi con tanta facilità. Si era innamorato di lei sin da bambino, quando non sapeva niente del mondo e pensava di poterlo controllare, come pensava di poter controllare lei. Erano cresciuti, le cose erano cambiate intorno a loro ma a Roy era sempre piaciuto che fosse il resto a mutare, mai loro. E poi a un certo punto invece tutto si era capovolto e ora raddrizzarlo sembrava quasi impossibile. Secondo te, se qualsiasi cosa fosse a stregarci non si fosse interrotta, mi avrebbe davvero ucciso? Conosceva già la risposta ma tirò ugualmente un sospiro, spezzando il momento per tornare a focalizzare l'attenzione su di lei. Vabbè, mi sa che mi tocca ringraziare questo Luk per esserci stato per mia cugina. A quando le presentazioni ufficiali? In fin dei conti sono la figura più autorevole della nostra strampalata famiglia. Tirò fuori il petto, Roy, che serio proprio non riusciva a stare più di tre minuti consecutivi. Si era sempre vantato di voler il suo bene, di volerla proteggere dal mondo infame che c'era lì fuori e che già tanto male aveva fatto, volerla schermare dalle brutture proprio come quando le premeva i palmi sudaticci sulle orecchie per attutire i rumori degli adulti che si dichiaravano guerra senza curarsi delle vittime che si lasciavano dietro, sotto il lettino della cameretta. Se davvero era al bene di Nora che puntava, Roy avrebbe dovuto lasciare un po' la presa per provare a fidarsi. Ah e... dobbiamo fare un po' di educazione sessuale? Non ricordo se abbiamo seguito la lezione a scuola, mi pare di no, comunque per qualsiasi dubbio, domanda, curiosità, aneddoti zio Roy è qui, basta chiedere! E mi raccomando, sesso sicuro! Allargò le braccia con un sorriso sghembo sul volto, sicuro di imbarazzare a morte la cugina.
    No, serio non riusciva proprio ad esserlo.

    Edited by paracosm - 22/11/2020, 21:14
     
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    Il sorriso sulle labbra di Roy la fece sentire improvvisamente a casa, come se quelle ore terribili trascorse dentro l’Arena non fossero mai esistite e loro fossero ancora quei due bambini che cercavano di ritagliarsi disperatamente un loro angolo di quiete nel mondo. Non erano fatti per la gioia, lei e Roy, sin da piccoli avevano potuto assaporare molto sporadicamente i momenti di felicità, come se fosse stato qualcosa di proibito, così prezioso da essere precluso a quelli come loro, che non erano nati dalla parte giusta per provarla. Felicità era mangiare una barretta di cioccolato nascosti nell’armadio della sua camera, per evitare che Emily li sgridasse. Doveva mangiare sano se voleva diventare una bella signorina, altrimenti nessuno l’avrebbe mai sposata. Ma in fondo a lei che cosa importava del matrimonio? Non ne aveva mai voluto uno per sé. La gioia proibita che le dava mangiare ciò che le era sempre stato vietato l’aveva ripagata da tutte quelle urla, dai litigi che sembravano non avere fine. Che cosa avrebbe detto sua madre, se fosse stata ancora viva, vedendola in ospedale per l’ennesima volta? Sarebbe stata preoccupata per lei? Sarebbe andata a trovarla? No, Nora sapeva che non lo avrebbe fatto, era sempre stata una delle poche certezze della sua vita quella che sua madre non avesse alcuna intenzione di prendersi cura di lei. Felicità era quindi vedere Roy ancora tutto intero, per quanto ammaccato, seduto su quel letto d’ospedale, a restituirle un sorriso storto, ma allegro. Non avrebbe potuto sopportare l’idea di perderlo di nuovo, non ora che stavano imparando a ritrovarsi, con tutti i loro difetti e i loro problemi. -Ah capisco, è perché le hai mostrato il culo. - ribatté, abbozzando un mezzo sorriso sul suo volto nel prenderlo in giro. Le parole gentili ed esplicitamente amichevoli non erano mai state la norma tra di loro. Si volevano bene, ma avevano un modo tutto loro di dirselo e di dimostrarselo. Di sorridere alle infermiere, inoltre, non se ne parlava proprio, lei era più dell’idea di farle impazzire così da mandarla via da quel postaccio il prima possibile, solo per non doverla più vedere. Forse la tattica di Roy era più intelligente e offriva un soggiorno più lieto all’interno di quelle mura bianche e asettiche, ma ognuno viveva la cosa a modo suo. Lei in guerra continua, lui alla ricerca di un po’ di tregua.
    Sollevò la maglia del pigiama, mostrando le ferite che aveva collezionato qualche giorno prima e lui fece lo stesso, indicandole quella che gli aveva fatto Lukasz e quella di una certa Sky di cui lei non aveva alcuna memoria. Immaginò che fosse un’amica di Coco, vista la sua battuta sugli amici. Anche quella era sempre stata una parola strana all’interno della sua vita, qualcosa di sfuggente e non ben identificato. Si era sforzata con tutta se stesse di tenere tutti distanti, lontani dallo spazio vitale che voleva tenere solo per sé, ma qualcuno aveva remato in maniera contraria con una tale intensità da raggiungerla comunque e restare al suo fianco, persino nei suoi momenti peggiori. Erano questo gli amici no? Lo aveva compreso con il tempo, anche se ancora una parte di lei aveva dei dubbi su quella definizione. Che cosa fosse il medico per lei, tuttavia, ancora non lo aveva compreso. Non era certa di poterlo definire un amico, ma non sapeva neppure che nome avrebbe potuto dare a ciò che li legava. Il pensiero che avesse fatto del male a Roy comunque le fece drizzare i peli della braccia, irrigidendo appena la schiena. Sapeva che nessuno di loro era perfettamente cosciente di quello che era accaduto dentro quell’arena, ma il pensiero le faceva comunque male. -Se ti può consolare credo di aver fatto tutto ciò che potevo per cercare di ucciderlo poi. - disse, come se davvero pensasse quell’idea potesse acquietare il suo animo infastidito. Abbassò il capo mentre diceva quelle parole, immergendosi di nuovo all’interno di ricordi che si sforzava sempre di tenere a freno. -Anche tu avevi perso i ricordi per un certo tempo su quella sabbia? - domandò, come risvegliandosi da un incubo, risollevando lo sguardo su quello di lui. -Oppure tu hai sempre capito che cosa accadeva attorno a te? - continuò, in parte curiosa di capire che cosa esattamente fosse capitato a lui e come avesse reagito a ciò che l’ambiente aveva cercato di creare attorno a loro. -Quale cosa? - chiese, di rimando, quando lui iniziò a porle tante domande sul ragazzo di cui aveva parlato. Neppure lei in fondo aveva permesso a se stessa di accettare che, dopo Tim, stava iniziando di nuovo a provare qualcosa di più profondo per qualcuno. -Si chiama Lukasz.. ci siamo incontrati qui, in ospedale, l’ultima volta che mi hanno ricoverata per.. lo sai, ti ho chiamato per venire a prendermi. - spiegò, alludendo all’ultima overdose avuta soltanto l’anno precedente. -E’ un medico, un chirurgo in realtà credo. Quando mi hanno incastrata sotto quella maledetta cupola l’anno scorso, fingendo di essere te, c’era anche lui. - continuò, rivelando a Roy quelli che erano stati i primi incontri tra di loro, da cui però era iniziato a nascere quel qualcosa. -Ha un cognome impronunciabile, me lo scordo sempre, non è di qui. - terminò poi, sperando di non aver dimenticato di rispondere ad alcuna delle sue domande.
    Annuì appena, con la testa contro la sua spalla, quando Roy le spiegò che aveva voluto chiedere scusa per non avere quel rimpianto se si fosse di nuovo ritrovato in una situazione come quella che avevano da poco vissuto. Anche lei si era ritrovata a pensare a molte cose mentre il buio avvolgeva ogni cosa attorno a lei e i suoi arti venivano paralizzati dalla particolarità di Lukasz. Ripensarci ora però, nella quiete di quella stanza, dimentica dell’adrenalina che aveva invaso le sue vene in quei momenti, tutto sembrava molto più strano e confuso, quasi non le sembrava neppure di essere stata lei a formulare tutti quei pensieri. Doveva era stata l’arena, quella sorta di magia che avevano scagliato contro di loro per combattere. Lei d’altronde non era mai stata una combattente, non per sua scelta almeno. Quante volte aveva cercato di rinunciare a quella stessa vita a cui solo pochi giorni prima si era aggrappata con una forza di cui non credeva neppure di essere capace? Forse Roy sarebbe stato felice di sapere che lei non voleva più farla finita, che non ci avrebbe provato in nessuna altra occasione, ma non voleva dire cose di cui non era del tutto certa. Creare false speranze era sbagliato, lei per prima lo aveva scoperto sulla sua stessa pelle e in fondo la sua e quella Roy non erano poi così diverse. L’accenno di un sorriso increspò le sue labbra quando Roy, piuttosto convinto, le disse che lui aveva sempre saputo che lei non era perfetta, nonostante i suoi sforzi. Non aveva mai pensato che lui lo credesse, dopotutto, la conosceva troppo bene per bersi davvero tutte quelle stronzate. Il sorriso si fece molto più largo, tuttavia, quando lui continuò a parlare. Era uno di quei sorrisi e sinceri che solo pochissime persone potevano vantarsi di aver visto apparire sul suo viso e Roy era senza dubbio uno di quelli. Anzi, per lungo tempo era stato l’unico a potersi fregiare di quel titolo. Perché con lui tutto era sempre stato incredibilmente naturale, non aveva mai pensato di doversi nascondere davanti a lui, di dover avere paura delle sue reazioni. -Quasi, si. - rispose, con un tono decisamente più allegro e vivace nella voce, che lasciava trasparire il sorriso che ancora non si era spento del tutto.
    Si ripresero presto da quel momento di confessioni, dando il via ad una sciocca gara con le sedie a rotelle che gli fece guadagnare una buone dove di rimproveri da parte di chiunque avessero incontrati durante il breve viaggio. Ovviamente nessuno dei due si preoccupò troppo di sentire medici e infermieri lamentarsi per i corridoi, non sarebbero certo stati loro a fermarli! Ma le fitte di dolore causate dalle ferite, quelle erano tutta un’altra storia. Fu quindi costretta a rallentare, portandosi una mano al fianco, come a voler tenere insieme i lembi della ferita soltanto con la pressione della mano. Roy raggiunse la macchinetta per primo, reclamando il suo meraviglioso premio e persino l’aggiunta di qualche pacchetto di patatine. -Potevi provare a darle fuoco, esplodendo ti avrebbe dato tutto il suo contenuto. - scherzò mentre, dopo aver fatto scendere i due caffè, faceva scendere anche qualche pacchetto di patatine dai gusti più disparati e anche un cioccolato per sé, stando attenta che nessuno fosse nei paraggi. Le persone tendevano a lamentarsi quando lo faceva, dicevano che era furto. Per lei invece era soltanto usare la testa e le sue capacità in maniera brillante. C’era solo una vecchia signora, che sembrava persa in grandi conversazioni, nulla di preoccupante. Per un momento si perse a guardarla, si chiedeva se anche lei delle volte apparisse come quell’anziana agli occhi della gente: stramba e completamente persa in un mondo che vedeva solo lei. Fu con la testa invasa di pensieri non troppo felici che gli chiese se, prima o poi, qualcuno avrebbe trovato i responsabili di tutte quelle cose che stavano accadendo in città. Nessuno dei due aveva una grande considerazione della polizia, eppure in quel caso neppure lei avrebbe saputo come muoversi per trovarli. Roy invece si dimostrò piuttosto sicuro sull’idea di vendicarsi, qualora ci avessero tentato di nuovo. Anche lei aveva provato quella stessa sensazione dopo la cupola, eppure quando era stata portata all’interno dell’Arena non aveva potuto fare nulla per impedirlo, nonostante tutti i suoi piani di vendetta. -Lo avevo pensato anche io.. la prima volta, ma ora.. - disse quindi, a voce alta, condividendo con lui quei pensieri che le frullavano per la testa. La sua domanda successiva giunse come una coltellata nel petto. Rimase in silenzio per un momento. Non le era mai piaciuto ammettere di avere paura, che si fosse qualcosa nella vita in grado di spaventarla, proprio lei che a quella stessa vita non aveva mai tenuto davvero. -Sì. - disse poi, dopo diversi secondi, con un tono quasi impercettibile, guardando le sue ginocchia come se fossero state un codice di particolare interesse. -Non so se riuscirei a cavarmela una terza volta. - aggiunse, in maniera molto più onesta di quanto forse avrebbe dovuto. Risollevò lo sguardo poi, puntandolo di nuovo su di lui e abbozzando un sorriso storto, come a voler cancellare quello che aveva appena detto. -Puoi avere uno dei miei computer in quel caso, ma solo uno. - disse, per poi lasciarsi andare ad una risata leggermente più divertita. Di certo non era quello che a Roy interessava, probabilmente non se ne sarebbe neppure fatto nulla di un computer lui, che con la tecnologia non aveva mai avuto chissà quale feeling.
    -Si chiama Calypso, non Coco. - lo corresse, in maniera piuttosto severa, quando lui la prese un po’ in giro a riguardo, come a sottolineare che no, non aveva alcuna intenzione di usare dei diminutivi per parlare di lei. Ammorbidì l’espressione sul viso, tuttavia, nel sentire che stava bene e che era passata spesso a trovarlo, anche se non avevano ancora avuto modo di approfondire le loro varie questioni. C’era tanto da dire tra di loro, tanto da spiegare e comprendeva il discorso di Roy, perché anche lei avrebbe avuto lo stesso tipo di problemi nel parlare con Lukasz, motivo per cui aveva preferito ignorarlo e lui stava facendo lo stesso. Non si erano scritti neppure un messaggio da quando entrambi si erano svegliati, ma lui stava bene, questo lo sapeva, aveva violato i sistemi di sicurezza delle cartelle dell’ospedale per trovare e leggere la sua, senza che lui lo sapesse. Annuì quando lui terminò il discorso, come a dirgli che lo capiva e che tutto aveva senso, anche per lei, come a rassicurarlo che non fosse pazzo e che niente di quello che aveva detto era strano o stupido. -Non lo so, forse no. - mentì, non trovando il coraggio di dirgli che sì, pensava che lo avrebbe fatto, visto che lei era sicura che sarebbe stata capace di uccidere Lukasz se nessuno l’avesse fermata prima. Ma in fin dei conti Roy e Calypso erano sempre stati particolari, un turbinio di emozioni e problemi che aveva sempre trovato il modo di incastrarsi di nuovo, nonostante tutto. Era sicura che, se lo avessero voluto davvero, avrebbero trovato la strada giusta anche in quell’occasione, perché era sempre stato così e Nora non credeva che certe cose potessero cambiare, non davvero. Chi nasceva tondo non poteva diventare quadrato, neppure con tutto l’impegno del mondo. -Che presentazioni? Non stiamo insieme Roy! - disse, come se quello fosse stato il pensiero più assurdo che si potesse formulare. -Siamo solo due tizi strambi che si sono ritrovati a vivere insieme alcuni dei momenti più brutti della loro vita e che una o due volte si sono baciati, nulla di più. - spiegò, come se stesse parlando delle nuvole fuori dalla finestra e non di qualcosa che la riguardava direttamente. Tendeva sempre a minimizzare quando si parlava di relazioni, soprattutto quando erano le sue. Scosse il capo, alzando gli occhi al cielo, quando iniziò a sciorinare consigli non richiesti. -Come se fosse il primo nel caso. - disse, con un leggero sbuffò a sollevare in aria un ciuffo ribelle di capelli che si era posato sul suo naso. -A dire il vero non so neppure se ci vedremo di nuovo. Io non gli ho scritto per sapere come stava e neppure lui e non ci siamo visti da allora.. - spiegò, con un lieve sospiro a gonfiarle i polmoni. Fece scivolare via l’aria dal naso in maniera quasi impercettibile, la mente che viaggiava di nuovo lontana. -Lo sai che non sono fatta per queste cose. Non mi piace avere attorno delle persone. - ammise, senza guardarlo, come se temesse di leggere nel suo sguardo un giudizio che non avrebbe potuto sopportare. Stava bene da sola, o almeno era questo che continuava a ripetersi, ancora e ancora. -Ma tu.. tu non mandare tutto a puttane, ok? - chiese, senza specificare a cosa si riferiva. In fondo quella frase poteva andare bene per diverse cose, se si parlava di Roy, poteva essere lui a scegliere che cosa metterci. -Sai giù quando ti dimetteranno da questo postaccio? Io temo di averne ancora per due settimane. Credo che impazzirò chiusa qui dentro per tutto questo tempo. - aggiunse, posando la schiena contro la sedia e inclinando indietro il capo con aria afflitta. Sperava che lui avesse più fortuna e che lo cacciassero fuori piuttosto in fretta, in fondo aveva l’aria di stare piuttosto bene, nonostante l’umore ballerino. Ma quello, probabilmente, non si sarebbe mai aggiustato del tutto.
     
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    Le aveva portato via l'unico oggetto di valore che avesse mai avuto anzi, forse non avrebbe mai provato un attaccamento del genere nei confronti di altre cose.
    Perché Nora amasse tanto quella penna Roy non riusciva a spiegarselo. Se l'era girata e rigirata fra le unghie delle dita un po' sporche, mangiate fino a quando faceva male, l'aveva ispezionata premendo la punta nella pelle, palmo aperto contro il cielo, osservando il bagliore colorato che ne illuminava la testa ad ogni pressione, una piccola stella gialla tascabile. A parte il fatto che si accendesse, il bambino non aveva trovato nessun altro motivo di interesse: era solo una stupida penna e se ne sentiva inspiegabilmente minacciato. Perché Nora amava quell'intreccio di plastica e metallo, il semplice meccanismo che dalla punta premuta sul foglio faceva esplodere la testa di luce, ogni volta di colore diverso. Era il segno primordiale della passione che lei avrebbe sviluppato poi per la tecnologia e l'amore che in essa avrebbe riversato, concentrandolo lì per non dividerlo altrove e farsi male, togliendolo forse alle persone che intorno a lei l'avrebbero invece preservato; e della latente insicurezza che lo avrebbe spinto a compiere azioni terribili per paura di perdere, di rimanere indietro, da solo, una tendenza tossica e in questo ricordo solo agli esordi. Tutto ebbe inizio con quella penna che Nora si portava dietro anche quando dormiva, la accendeva e spegneva finché l'indice minuscolo aveva forza di spingere, prima che i muscoli si rilassassero in un sonno quasi sempre inquieto di cui Roy poteva solo immaginare le scene dietro le palpebre in movimento, senza mai neanche una volta chiedere conferma di cosa accadesse lì dietro, quando si chiudevano per la note. L'accendeva e la spegneva fino all'ultimo con regolarità, tenendo spesso gli occhi fissi sulla luce come a sperare che potesse proteggerla anche dopo aver ceduto al sonno, impressa a forza nella cornea. Non chiedeva mai, Roy, ma nel buio di quelle ore guardava Nora combattere i suoi demoni interiori facendo silenziosamente il tifo per la cugina. Perché se per Nora quella penna regalo del padre era lo scettro magico che teneva a freno la paura, per molti anni era stata Nora a svolgere la stessa funzione per Roy. Anche se non lo diceva mai.
    Quell'aggeggio apparentemente innocuo era in realtà un grande nemico per il bambino, che aveva la sensazione di essere secondo nel cuore della cugina. Per questo la penna doveva morire.
    Aveva provato a spezzarla con le mani senza riuscirci, finendo per calpestarla ripetutamente con il tallone duro delle new balance di quarta mano numero 34, tre in più di quello che realmente calzava ma non faceva niente, ci era riuscito comunque. L'aveva appena raccolta quando Nora era entrata in stanza, di fronte a lei uno spettacolo raccapricciante. La penna infatti era esplosa e, dalla metà del cadavere plastico che stringeva Roy, del liquido viscoso colava sulle dita come sangue nerissimo. Nessuno disse una parola, perché a quel tempo parlavano meno di adesso, e proprio in quel modo lo punì Nora: fece come se Roy non esistesse. Furono giorni terribili. Anche se non parlava, anche se non diceva nulla, Roy stava malissimo solo nella sua pelle, solo con sé stesso, solo con due genitori che era meglio non ci fossero, solo senza l'unica persona al mondo che fino a quel momento senza saperlo era stata il suo faro, la sua penna che si accendeva di notte. Al quarto giorno Roy si era presentato nella sua stanza e l'aveva abbracciata, sempre senza dire una parola.
    La abbracciava forte, la bambina dura nel centro del suo abbraccio. Non sapeva fare pace, Roy, e forse neanche Nora. Si sentiva ingiusto, mentre la stringeva a sé, sussurrandole all’orecchio: "voglio che vuoi bene solo a me". Il sorriso una fessura sempre più lunga sulle sue guance gommose.


    Con la testa sulla sua spalla, Roy sentiva la cugina respirare piano vicino a lui e pensava a quell'abbraccio rigido che tutti quegli anni prima si erano scambiati, una stanza spoglia in un'infanzia difficile a far loro da contorno. Tanto era cambiato da quel giorno, forse lui la cosa che più era rimasta la stessa, perché certi cambiamenti Roy li guardava con lo stesso sospetto con cui aveva guardato la penna, perché era quando le cose si muovevano per conto di qualcun altro che lui rimaneva indietro, fuori, perso in una furiosa traiettoria tracciata e seguita soltanto da lui. Con i capelli della cugina che gli sfioravano il mento a ogni suo respiro, si ritrovò a sperare che fra loro fosse tutto più o meno come al solito, nonostante non si dicessero molto, nonostante Coco, nonostante l'Iraq, nonostante la prigione, nonostante le volte di Nora all'ospedale, nonostante avesse mancato la maggior parte di esse: nonostante tutto. "Le meraviglie del mondo vanno condivise. " Ribatté scrollando le spalle, il sorriso in bocca, stortissimo. Le loro vite non erano state molto semplici, ma le cose fra loro erano sempre state al sapore di semplicità, una naturalezza che va al di là di gesti e parole: c'è e basta. Dichiarava un sacco di altre cose, Roy, e mai quelle che contavano davvero, come l'amore, l'amicizia, il bene. Era sempre stato spinto a credere di dover rivendicare un posto nel mondo in ogni momento in pericolo costante, e che il resto poteva essere lasciato da parte nel nome di una battaglia ben più importante da vincere a ogni costo. Esistere era sempre stata la guerra di Roy, convinto di essere sempre sul punto di venir privato di qualcosa, delle cose che aveva impiegato anni per ottenere e che forse non era in realtà mai riuscito ad avere davvero, per quello aveva così paura. Cose come il rispetto, che sotto gli strati da spaccone era evidente non avesse neanche di sé stesso; cose come l'amore, contro cui combatteva e per cui feriva nonostante fosse il primo a non credere di meritarlo; cose come la famiglia, che poi si riduceva a Nora e tanto bastava, Nora il cui affetto aveva creduto scontato solo perché nei loro corpi scorreva sangue simile. Lottava contro tutto e tutti da tanto di quel tempo da non riuscire a ricordare come fare nient'altro, tanto a lungo da iniziare a prendersela pure - e sopratutto - con le persone il cui unico errore era stato quello di amarlo troppo. Guardando le ferite che la cugina mostrava sul magro corpo, Roy pensò che i graffi da lui inferti potevano anche non vedersi ma erano presenti, alcuni cicatrici e altri ancora aperti lì, da qualche parte dall'altra parte della pelle. "In effetti mi fa sentire un pelino meglio." Scherzò ma distolse lo sguardo da Nora e le sue lesioni tenute strette da garze bianche, nascondendo dietro al solito prendersi in giro la rabbia che quella vista gli procurava davvero, mentre nella sua testa le immagini dell'arena giocavano a nascondino nella sabbia dei suoi ricordi, ancora un po' confusi. "Ero spinto da qualcosa a farle male, volevo ferirla." dirlo gli costò una gran fatica, e le parole uscirono fuori come sassi scagliati nel mare. "Però al contempo non volevo farlo perché ricordavo esattamente tutto di lei e di noi. Mi ricordo anche di averti guardato a lungo, o così mi pareva, mentre lottavi. Ti riconoscevo e avrei voluto aiutarti. Tu? Avevi dimenticato tutto? " Serrò la mascella e tutto il viso sembrò indurirsi. Gli era stato chiaro sin da subito che, qualunque cosa aveva spinto lui ad attaccare, aveva anche cancellato momentaneamente ogni traccia di Roy dalla mente di Coco. Realizzò solo in quel momento che, in quegli attimi terribili nell'arena, si era sentito come dovevano essersi sentite Coco e Nora al suo ritorno dall'Iraq, senza ricordi della loro vita insieme. Deglutì, le iridi azzurre saettarono sul panorama di cielo e palazzi fuori dalla finestra. Parlare del nuovo mr hot di Nora servì a stemperare il senso di colpa che provava e Roy rizzò le orecchie, sedendosi meglio per tornare a fissarla con intensa malizia negli occhi. "Un MEDICO! I chirurghi guadagnano una bomba, brava cugina, hai scelto un buon partito. La prossima volta che mi serve un prestito vengo da te." Come se non fosse già così. Lo sapeva e ci scherzava su, serrando l'una all'altra le arcate di denti disallineati in un sorriso a curva. Evitò accuratamente di soffermarsi sull'ultima vola che Nora era stata ammessa all'ospedale, non pensava fosse un argomento che la cugina voleva affrontare in quel momento. " Già, la cupola. Sono io o sembra proprio che qualcuno si stia mettendo di impegno a farci fuori? Forse è un complotto governativo..." Si grattò dietro l'orecchio con forza, col risultato di farlo diventare un semaforo rosso lampone. "O forse è il tuo amico chirurgo non di qui col nome boh, cos'è? Russo? ECCO, forse è a capo della mafia russa e vuole ucciderci. Anche se farsi quasi uccidere da te sarebbe un pessimo modo di entrare nelle tue grazie, alquanto controproducente, devo scambiare due parole con questo Lukas...Lukasz...La z è muta? " Iniziò a vaneggiare cose senza senso perché erano già troppe le cose serie di cui avevano parlato. Per questo la corsa risultò come una ventata di leggerezza, un'attività a loro ben più usuale che quei discorsi da famigliari in punto di morte. Mise tutto se stesso per vincere, perché se c'era una cosa che non sapeva fare bene era perdere. Anzi, accettare la perdita. Non si arrendeva quasi mai, Roy, si buttava a capofitto nelle situazioni più disparate spesso senza la ben che minima preparazione, tanto alle conseguenze ci avrebbe pensato poi. E quando il poi arrivava era sempre troppo grande o troppo tardi, Roy era già lontano a combinare qualcos'altro da qualche altra parte. Era anche questo il problema con lui, che non se ne stava mai fermo. L'arena era forse l'unico evento di cui aveva assistito al dopo, in cui restava abbastanza a lungo da vedere i cocci e i detriti di ciò che era rimasto. Sarebbe potuto scappare di nuovo, andarsene e dimenticare tutto perché si, era stato brutto tornare vuoti, ma era stato tutto più semplice finché non aveva ricordato. "Esplodendo avrei sciolto tutto il suo contenuto, cugina. E poi dicono che sono io quello scemo dell'albero genealogico dopo nostro cugino Turri. Più lento di lui non c'è nessuno." Non sapeva dove avesse sentito quel nome, forse da bambino o semplicemente al Bolgen, fatto sta che tutto quello che Roy diceva doveva essere preso con le pinze. Ormai davanti alla finestra, i due osservavano il mondo fuori come due sopravvissuti che guardano città da una diapositiva. Si ficcò due patatine in bocca, Roy, leccandosi poi l'indice su cui era rimasta una patina di polverina al formaggio. "Fintanto che sopravvivo io sopravvivi anche tu e viceversa, avevamo fatto il patto di sangue ti ricordi?" Era preoccupato anche lui, ma non voleva di certo darlo a vedere, sopratutto perché Nora aveva appena ammesso di essere spaventata. "Era quando avevamo rubato tutta l'uva fragola del vicino e credevamo che i nostri genitori ci avrebbero ammazzato, quella volta per davvero. Quindi avevamo deciso che non potevamo morire davvero finché l'altro sopravviveva, era così vero?" Cercava di ricordare, Roy, lo sguardo blu reso più sottile per difendersi dai raggi di un tiepido sole invernale. "Quanto vale uno di quei dannati aggeggi elettronici? Conosco due o tre persone a cui potrei rivenderlo..." Buttò lì con un sorriso sornione mentre, le dita tutte appiccicose, buttava via il pacchetto di patatine per agguantarne un altro, che strinse fra i palmi facendo scoppiare l'aria intrappolata dentro. "Se muoio io ti posso solo lasciare il mio fantasma a perseguitarti per l'eternità. Amorevolmente. " Non parlava bene, Roy, non sapeva neanche coniugare i verbi, figurarsi se avesse qualcosa da lasciare in eredità. "Si chiama Calypso, non Coco." Le fece il verso, adottando un tono di voce decisamente più esasperato e acuto di quello di Nora, giusto per rendere incisivo il livello di rottura di palle che a volte lei riusciva a raggiungere. Allungò pure un braccio per darle una leggera spinta: a volte era così dannatamente seriosa, sopratutto quando si trattava di Coco. "O forse si." Ribatté meditabondo mentre, lo sguardo perso fuori dal vetro, Roy rifletteva. Ci aveva pensato a lungo, in realtà, girando e rigirando intorno alla questione senza riuscire ad arrivare a una risposta soddisfacente che placasse il suo animo e, nel contempo, non lo facesse sentire poi tanto uno schifo. In realtà anche lui credeva che, se nessuno l'avesse fermata, a quest'ora Coco sarebbe stata al suo funerale. "Ma i forse uccidono più persone degli incidenti stradali e noi siamo immortali quindi...Mi spieghi però perché tu e Coco non vi siete mai piaciute?" Le lanciò uno sguardo serio, il capo mezzo inclinato di lato mentre si sporgeva pure col busto fuori dalla carrozzina per farsi guardare meglio. La conversazione assunse note ancora più inaspettate quando Nora cominciò ad agitarsi e, dall'altra parte, il sorriso di Roy ad ampliarsi. Lo faceva morire dal ridere vederla letteralmente lottare per scacciare l'idea di una possibile storia, non rendendosi neanche conto di star osservando uno specchio piuttosto accurato di sé, almeno fino a qualche giorno prima. "Una o due volte?! Cioè la prima ok puoi fingere sia "capitato" ma la seconda? Dai cugina, usa la testa, non essere il Turri di famiglia." E ce lo ributtava in mezzo così, perché era utile a spiegare la morale di tutta quella storia, il punto a cui il maestro Roy voleva arrivare. E proprio come un sensei d'amore in effetti si sentiva, la morfina che forse non era del tutto scivolava via dal suo corpo come invece credeva lui: l'infermiera santa subito. "Oh. Mio. Dio. Non sei vergine cugina? Dovevo prendere a botte il primo che ha raccolto il tuo fiore, è da tradizione! " Riuscì a non ridere ma malamente, un grandissimo sorriso a stirargli la faccia tumefatta. Mise una mano aperta al centro esatto del petto come a simulare un infarto, la pantomima sarebbe stata ancora in atto per chissà quanto tempo. In realtà aveva sempre evitato di pensare a Nora con dei ragazzi. Uno perché gli faceva senso, due perché era sempre stato impegnato in altro per perdere davvero tempo a conoscere quella parte della vita della cugina." Io mando sempre tutto a puttane, si tramanda di padre in figlio." disse sempre col sorriso, anche se questa volta gli occhi tornarono seri, di un azzurro quasi grigio. Non voleva tornare a parlare di lui e di Coco, non voleva pensare a quello che ne sarebbe stato di loro. "Qualche giorno, credo." Rispose allora mentre, allungandosi in fretta di lato, sfilava con le dita il telefono dalla tasca della felpa di Nora. "Dammi qui, ti faccio vedere io come si rimorchia."
    Ciao Luc--
    *cancella*
    Ciao Luks
    *cancella* "(Ma ha sia la s che la z? Sicura? Proprio un russo.")
    Ciao Lukas. Ho voglia di vederti, ti va?
    Stava per premere invio. "Ecco qui, l'inizio di una grande storia d'amore. Mi ringrazi poi.."

    scusa cici non ho riletto che è tardi! Ho fatto consapevolmente parlare Roy sbagliando la sintassi, perché lui è ignorante e io mi diverto a caratterizzarlo <3


    Edited by Dead poets society - 26/2/2021, 01:40
     
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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [comportamenti di autolesionismo].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.


    Continuava ad osservare il suo braccio, stretto nella fasciatura che le avevano fatto in ospedale, come se non riuscisse ancora a credere a quello che aveva scoperto. Non poteva sopportare l’idea di essere un normale essere umano, come tutti gli altri. Aveva creduto davvero di poter essere diversa, che ci fosse qualche circuito all’interno di lei, dei tubicini che permettevano a un liquido rossastro di scorrere dentro di lei e simulare l’effetto del sangue. Era per questo che aveva rubato quella lama dalla cucina ed era corsa in bagno, a cercare di aprirsi una strada verso la verità. Aveva sentito un dolore lancinante bruciarle la carne quando il sangue aveva iniziato a sgorgare ma, stringendo i denti, aveva cercato di farsi strada all’interno per trovarci quello che stava cercando. Era stato il tonfo sordo che aveva fatto il suo corpo quando era caduto a terra a far capire a Emily che qualcosa di terribile era accaduto nel bagno del piano sopra. Era corsa su per le scale e aveva trovato Nora in un bagno di sangue. Aveva urlato al telefono con il numero per le emergenze e forse per la prima volta si era sentita davvero preoccupata per quella ragazzina che non era mai stata in grado di comprendere. Solo successivamente, quando i medici le avevano detto che non era più in pericolo di vita, si era pentita di averla salvata. Anche ora, nella solitudine della sua stanza, Nora poteva ricordare chiaramente il modo in cui sua madre l’aveva guardata, piena di astio e risentimento. -Avrei dovuto lasciarti su quel pavimento. - erano state le parole che le aveva detto, prima di dirle di prendere le sue cose e seguirla fuori, visto che poteva tornare a casa. Erano stati giorni silenziosi. I medici le avevano chiesto per quale motivo avesse cercato di uccidersi, ma no, non era quello che lei aveva tentato di fare. Non quella volta, per lo meno.
    Un rumore di passi pesanti la portò a voltarsi verso la porta che aveva lasciato socchiusa, che si aprì velocemente, lasciò intravedere il ragazzo arrabbiato che irruppe nel silenzio della sua camera, facendo un gran fracasso. -Perché? - chiese Roy, senza spiegare di che cosa stesse parlando, mentre indicava la fasciatura bianca sul suo braccio su cui era apparsa una piccola macchiolina rossa. Lei lo guardò confusa, come se non riuscisse ad afferrare il senso di quella domanda. -Perché? - ripetè di nuovo lui, avvicinandosi di qualche altro passa alla ragazza seduta alla scrivania, senza tuttavia raggiungerla, troppo arrabbiato per permetterle di raggiungerlo davvero. -Cercavo i cavi dell’alimentazione, qualcosa che mi dimostrasse che sono davvero un robot, o quanto meno un cyborg. - spiegò, scrollando appena le spalle, come se quella fosse stata la cosa più naturale del mondo. Spostò lo sguardo verso la fasciatura bianca, arricciando appena le labbra. Più ci pensava e più si sentiva delusa da quella rivelazione. Roy emise un sospiro rumoroso e alzò gli occhi al cielo, come se avesse sentito la cosa più stupida del mondo, ma non chiese se quella fosse la verità, ormai conosceva sua cugina abbastanza bene da sapere che quello era esattamente il genere di pensiero che lei avrebbe potuto formulare. Perché volesse a tutti i costi considerarsi un essere inanimato non riusciva proprio a capirlo. -Non sei un robot. - le disse quindi, lasciando passare un po’ dell’arrabbiatura con cui aveva varcato la soglia. Lei sollevò il capo e gli rivolse un sorriso triste. -Lo so. - rispose, ora purtroppo convinta da quella terribile notizia.
    Restarono in silenzio per qualche minuto, mentre ognuno fissava un punto indefinito di quella camera sin troppo ordinata. Poi, finalmente, lei si alzò, come se qualcosa di nuovo fosse finalmente divenuto chiaro nella sua mente. Si portò davanti a lui, guardandolo dritto nel volto, anche se lui si ostinava a non guardarla. -Non volevo farti preoccupare. - mormorò, piano, e quelle parole sembrarono colpire il ragazzo nell’orgoglio, perché serrò un po’ le spalle, insieme alla mascella. -Non ero affatto preoccupato. - ribattè, scocciato, spostando la testa di lato. Lei sorrise, ben consapevole che quella fosse una bugia e lo abbracciò. Lo strinse forte, come forse non faceva da anni, forse da quando avevano fatto pace dopo l’assassinio della sua penna con la luce. -Non ti lascerò mai da solo. - sussurrò, pianissimo, come se fosse un segreto che neppure Roy avrebbe dovuto sentire e lo strinse ancora, a sugellare quel patto che non aveva bisogno di alcuna risposta.


    Era da tanto che non ripensava a quell’episodio, anche se una piccola parte di lei aveva continuato a credere di non essere del tutto umana, poca importanza aveva quello che dicevano i medici, era la sua convinzione l’unica cosa importante. Le cicatrici di quella vicenda erano rimaste impresse sulla sua pelle, così come tutte le altre che si erano succedute dopo quella, che però avevano avuto un fine molto diverso. Non era cambiata poi molto nel corso degli anni. E anche l’affetto per suo cugino era rimasto lo stesso, nonostante i problemi, i cambiamenti, nonostante tutto. Si era sempre chiesta come lui fosse riuscito ad abbattere le sue barriere così in fretta, divenendo la persona più importante della sua vita, ma aveva sempre fermamente evitato di dirglielo. Si era arrabbiata con lui quando aveva scelto di partire, di lasciarla lì, con quelle persone che con fatica iniziava a chiamare amici. Aveva dovuto imparare a fidarsi di altre persone, a riempire il suo posto con altri volti, perchè uno da solo non sarebbe bastato a completare la voragine che si era lasciato indietro. Aveva giurato che lo avrebbe odiato, che non sarebbe più stato come prima, ma era bastato che lui tornasse, rivolgendole quel suo sorriso storto che era sempre stato il suo tratto distintivo e tutta la rabbia era svanita. Perché perdere altro tempo dopotutto? Chi poteva dirle per quanto sarebbe rimasto? Roy era un enigma intricato che lei aveva sempre accettato così, senza pretendere spiegazioni.
    Spostò lo sguardo dritto davanti a sé, lasciando che la vista si annebbiasse appena mentre fissava un punto indefinito, ascoltando il racconto di Roy sulla sua disavventura. Doveva essere stato difficile lottare contro quelle due forze che si erano scontrate dentro di lui. L’aveva cercato, avrebbe voluto aiutarla. Anche lei in un primissimo istante ricordava di aver pensato a lui, di essersi chiesta dove fosse finito, se stesse bene, poi però tutto era divenuto buio e ogni cosa era sparita intorno a lei. -All’inizio sì, sapevo chi avevo intorno e ti cercavo. Poi però qualcosa è cambiato ed è stato come se l’arena attorno a me mutasse e improvvisamente non ci fosse alcun volto riconoscibile. - spiegò, con aria assorta, cercando di riportare alla mente qualche breve ricordo, senza tuttavia scavare troppo a fondo. -Non sapevo neppure più chi fossi io, in qualche modo. Era come se ci fosse un’altra presenza, qualcuno legato a quell’arena. Non lo so, suona così stupido. - aggiunse, per poi muovere velocemente la mano, come a voler cancellare le ultime parole che aveva appena detto, troppo sciocche per essere uscite davvero dalle sue labbra. Rispose brevemente alle sue domande su Luk, senza tuttavia comprendere tutto l’entusiasmo che Roy stava mostrando per quella scoperta. Inarcò il sopracciglio sinistro quando lo sentì iniziare a borbottare qualcosa su complotti governativi e mafia russa. Era abbastanza convinta che scherzasse, ma con lui non si poteva mai sapere. -E che cosa avresti fatto per attirare l’attenzione della mafia russa? - domandò quindi, addossando ovviamente tutte le colpe su di lui, visto che quell’idea era stata sua. Se sospettava che potessero avercela con loro era perché doveva aver combinato qualcosa, in fondo era famoso per la sua abilità di mettersi nei guai. Aveva perso il conto di quante volte aveva cercato di aiutarlo, con ogni mezzo possibile, per cancellare le tracce di ciò che si era lasciato dietro. Chissà quante di quelle innumerevoli volte lui si era accorto della sua mano invisibile che agiva per non lasciarlo solo.
    Recuperarono un po’ di brio e spensieratezza attraverso al folle corsa verso le macchinette del caffè, unico elemento attrattivo all’interno di quel piano dell’ospedale. Rise, quando il cugino le fece notare che un’esplosione avrebbe fatto sciogliere il contenuto della macchinetta e non gli avrebbe quindi permesso di ottenere quello che voleva. -Uhm, sì, te lo concedo. Questa volta hai usato il cervello. - disse, mentre evitava di concentrarsi sul cugino Turri di cui, ad essere onesta, non ricordava assolutamente nulla. Avrebbe fatto delle ricerche su di lui, una volta tornata alla monotonia della sua camera, perchè non poteva sopportare l’idea di non aver alcuna informazione su qualcuno. E di ammettere di non avere idea di chi fosse non se ne parlava proprio. Si perse anche lei a osservare il paesaggio che si mostrava davanti ai loro occhi attraverso la finestra davanti a cui si erano fermati e un leggero sorriso aleggiò sulle sue labbra quando Roy pronunciò delle parole che gli sentiva dire ormai da anni. -Si, me lo ricordo. - sussurrò, sollevata al pensiero che lui se lo ricordasse ancora. C’erano dei pezzetti del loro passato che aveva perduto negli anni che aveva trascorso lontano dalla città ed era quindi sempre bello per lei sapere che certe cose era riuscito a recuperarle. -Sì, era così. - rispose, con tranquillità, quando lui le chiese conferma, come se Roy stesso temesse di aver confuso quei ricordi, o di averli mischiati con altri quando li aveva rimessi insieme. A ripensarci ora in effetti c’erano stati anche dei momenti felici nella sua infanzia, ovviamente tutti in sua compagnia. -Dipende da quale ti lascio in eredità e da quanto ne capisce il compratore. - iniziò a spiegare, anche se dubitava che a Roy interessasse davvero. -Ci sono idioti a cui puoi vendere un rottame per un sacco di soldi, idioti che pretendono di avere una perla per un prezzo bassissimo e chi capisce quanto valgono e ti vorrà dare solo quello. - continuò, molto brevemente. Era inutile addentrarsi troppo sulle faccende informatiche, di sicuro suo cugino si sarebbe perso a metà strada, oppure annoiato. -Ah beh, ma potrei parlarti dici? Al te fantasma? Tanto sono già in tanti a credermi pazza. - borbottò, sorridendo, cercando di buttare sul ridere anche quello sciocco discorso che in realtà in fondo era molto più serio di quanto entrambi volessero dare a vedere. Aveva paura e detestava averla.
    Sbuffò quando Roy le fece verso per quella correzione sul nome di Coco, per poi darle anche una leggera spintarella per invitarla a sciogliersi un po’ e smettere di fare la rompiscatole. In effetti si chiedeva spesso come facessero le persone a sopportarla, ma questo non l’aveva mai convinta a cambiare. Poteva stare da sola, per quanto le riguardava. Inspirò a fondo quando il cugino le chiese perché lei e Coco non si fossero mai piaciute, una domanda che non le aveva mai fatto prima di quel momento, ma che forse ormai meritava una risposta. -Penso di essere più io a non sopportare lei che il contrario, suppongo che la sua sia solo una reazione. - iniziò, assumendo un’aria più seria e pensierosa, prima di proseguire. -Ti ricordi quando hai rotto la mia penna luminosa? - domandò, ruotando il collo di lato per poterlo osservare in volto e assicurarsi che stesse seguendo il suo discorso. -Mi dicesti che volevi che io volessi bene solo a te e lo stesso era per me. Quando lei è arrivata io.. ho creduto che non mi avresti più voluto bene e quindi l’ho odiata, sin dall’inizio. - spiegò, senza giri di parole. Non aveva alcun timore di ammettere di essere stata una stronza, di essersi impuntata per una sua questione personale e per questo aver cercato di mettere i bastoni tra le ruote a Coco. Che se lo meritasse o meno non aveva importanza, a lei interessava solo odiarla. O almeno così era stato in passato, ora non ne era più così sicura.
    Si strinse nelle spalle, davanti ai commenti piuttosto lucidi di Roy su quanto era accaduto tra lei e Luk. -Non ho mai tenuto il conto di quante volte ho baciato qualcuno e in nessuna di quelle occasioni le cose sono andate avanti per più di una serata o qualche giorno, non mi interessa granchè. - disse, esponendo il suo punto di vista. Per lei un bacio era solo un bacio, non aveva bisogno di provare qualcosa per qualcuno per baciarlo. I sentimenti le erano sempre stati un po’ estranei. Alzò gli occhi al cielo, restituendogli la leggera spinta che le aveva dato in precedenza, quando l’altro in maniera piuttosto teatrale fingeva di essere sconvolto all’idea che lei non fosse più vergine. -Lo sai che non sei affatto divertente, vero? - domandò, anche se non si aspettava davvero una risposta da lui. Quando si lasciava andare a quei momenti non smetteva fino a che non si sentiva soddisfatto. Pensandoci bene inoltre temeva di non ricordare neppure chi fosse stato il primo visto che quella sera aveva assunto un sacco di roba.
    La rincuorò sapere che presto sarebbe uscito dall’ospedale e perdendosi ad assimilare quella notizia quasi non notò Roy sfilarle il telefono dalla tasca e iniziare a pigiare tasti nel tentativo di dimostrarle come rimorchiare, mentre neppure riusciva a capire come scrivere il nome di Luk. -No è polacco. E.. sai, non mi sembra un’ottima tattica per rimorchiare sbagliare il suo nome ma.. se lo dici tu. - lo prese un po’ in giro, mentre gli soffiava di nuovo il telefono dalle mani, giusto un attimo prima che lui premesse il tasto invio. -Quando sarò pronta gli scriverò. Ora non voglio affrontare il fatto di averlo quasi ucciso. - spiegò, molto candidamente, sperando che in quel modo Roy avrebbe smesso di farle pressioni. Iniziava a pensare che essere onesta con gli altri l’avrebbe aiutata a gestire le relazioni. Non ebbe però modo di aggiungere altro perché uno strillo proveniente dal fondo del corridoio la fece sobbalzare. -Ehi, voi due! Tornate immediatamente nelle vostre camere. Non è permesso girare per i corridoi. - un’infermiera piuttosto anziana, con i capelli grigi, avanzava nella loro direzione con le mani posate sui fianchi. -Oh oh, mi sa che questa ti toglie gli antidolorifici. - lo prese in giro mentre, dandogli una leggera gomitata, lo invitava a iniziare a muoversi verso le loro camere. -Vengo a trovarti prossimamente. O passa tu prima di andare via, io ne avrò ancora per un bel po’. Mi trovi alla 27. - disse e si sporse a lasciargli un leggero bacio sulla tempia, per poi dare un po’ più di spinta sulle ruote della carrozzina e superarlo, giusto perché non potesse dire nulla riguardo quello che era appena successo. Dovevano essere i farmaci a renderla così socievole, non poteva esserci altra spiegazione.
     
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6 replies since 3/7/2020, 21:19   220 views
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