I felt the rhythm of my heart beating out the words I couldn't find

Maeve + Darko || Lunchtime

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    Yes, I'm broke
    Thinking what if we never meet again
    And I froze
    What if heaven doesn't let me in?
    Oh, tell me it's real
    XXX

    Sparita. Malia le era sparita da sotto gli occhi e Mae non riusciva a pensare a niente, nella testa l'eco di un urlo tutt'altro che silente. Un attimo le era di fianco a piagnucolare per lo di zucchero filato negato, (il secondo della giornata) e quello dopo la manina che le sformava le pieghe del vestito a forza di tirare si era dissolta. "Finalmente". Aveva detto, sospirando persino della ritrovata sensazione di tranquillità. Ci credete? Era disgustata dalla parte di lei che aveva provato sollievo tra le pieghe di quella tregua. "Trenta secondi" Aveva pensato. "Trenta secondi di silenzio e mi giro, mi chino e cerco di spiegarmi senza perdere la calma." Allora non poteva saperlo ma, un battito di ciglia e qualche secondo appena e non ci sarebbe più stato nessuno da far ragionare.
    Tre minuti dopo infatti, Mae avrebbe dato un braccio pur di sentire i capricci della figlia vibrarle nei timpani. Cinque minuti e avrebbe sacrificato anche le gambe affinché quelle manine appiccicose le sbrindellassero i vestiti ancora un po'. Come aveva potuto essere così egoista; che razza di madre è una che perde la propria figlia al luna park? Non riusciva a pensare ad altro che ai dettagli, le fossette al minimo sorriso, cli incisivi un po' grandi da coniglio, la voglia rosa sulla spalla. Avevi voglia di fragole mamma?
    Era terrorizzata all'idea di non rivedere più niente di tutto ciò e moltissimo altro, il tutto che da anni riempiva le sue giornate colorandole di una luce di una potenza insistente e mozzafiato. Con le vertebre dolenti a furia di ruotare il collo nel tentativo di trovarla, i nervi cedevano alla disperazione seguendo il ritmo scandito dal tempo, passato presto da ticchettio a tuono vascolare nelle orecchie. Si muoveva tra la gente come fosse sott'acqua. Le persone che urtava sembravano fatte di gelatina e i loro rimproveri le giungevano lontani, attutiti, come se una membrana li dividesse da lei e da tutto ciò che non era sua figlia. "Malia? Malia dove sei? Ha visto una bambina biondina, alta così, il vestito a pois e un elefantino giallo in mano?" Si era rivolta a una signora bassa, sulla sessantina, con degli strani occhiali a mezzaluna che avrebbero fatto ridere Malia a crepapelle. Era così da tempo fra loro, quando Mae trovava qualcosa divertente o buffa si girava a vedere se facesse ridere anche la figlia e la piccola faceva lo stesso. Era partito come uno sciocco gioco, un passatempo insolito iniziato quando Malia aveva solo pochi mesi e Mae tentava di capire cosa le piacesse fare e come farla ridere. Ora era un'abitudine il cui vuoto faceva malissimo.
    La signora non rideva mentre scuoteva la testa, doveva essersi impaurita per come Mae l'aveva afferrata, una mano che non ricordava aver stretto intorno al gomito della donna. La lasciò andare immediatamente, troppo presa dal panico per sentirsi turbata dall'aggressività di quel gesto incontrollato. "Mi scusi." Si limitò a dire prima di muovere i piedi in avanti e lasciarsi il resto dietro, con la mente oltre i limiti odiosi dello sguardo e insieme a Malia, dovunque si trovasse. Guardava i volti delle persone senza vederli, uno solo quello di cui cercava i lineamenti tra la folla tutta uguale che si riversava in fiumi tra gli stand e le giostre. Colori forti e ardenti le ferivano la vista mentre il mondo accelerato diventava una macchia indistinta, sfocata e incomprensibile. Persino la grande ruota panoramica sembrava muoversi troppo velocemente. Era normale? Dov'era Malia? "Mamma!" Non sentì nient'altro perché nient'altro era tanto importante. Non si accorse del sudore freddo alla fronte, delle guance arse dalla preoccupazione, dalla mezza coda sfatta o della gonna del vestito che si sporcava mentre Male si inginocchiava di fronte alla figlia dopo una breve corsa che l'aveva portata di fronte alla casa stregata.
    L'abbracciava stretta, quasi con forza, come chi è stato sul punto di perdere qualcosa e per un pelo non ha perso nulla. Non aveva provato una paura tanto grande neanche la prima volta che Rikke le aveva alzato le mani contro. Erano bastati dieci minuti di potenziale perdita per crearle uno strappo dentro e ovunque, brutale. "Fante si era perso." Malia parlò con un filo di voce. La stava stritolando ma non le importava. "Volevo cercarlo e questo signore l'ha trovato era sul gradino della casa dei fantasmi per fortuna c'era lui è moltobuonosichiamaDarko." Come al solito, la bambina aveva parlato tutto d'un fiato e ora boccheggiava, cercando il respiro che le braccia di Mae, finalmente allentate, le avevano restituito. Dal canto suo, al suono di quel nome Mae si era come irrigidita, i fasci di nervi ammorbiditi appena ammorbiditi erano tornati a essere della stessa consistenza di solidi mattoni mentre si rendeva conto per la prima volta della persona che c'era con loro e di cui al momento, ancora piegata, fissava le ginocchia nodose e la metà del braccio che sfociava sulla mano destra, aperta e rilassata lungo il fianco. Una mano sormontata da spesse vene, la stessa mano che, un'estate di moltissimi anni fa, aveva fatto spazio ai loro corpi fra foglie e aghi di pino.
    Possibile che fosse proprio lui? Aveva paura di accertarsene, indecisa se a spaventarla fosse la possibilità di essersi sbagliata o di aver avuto ragione. Col cuore galoppante contro lo sterno, per lei fu come alzarsi a rallentatore. L'arco del movimento svelava l'identità della persona centimetro dopo centimetro, riportando a galla il passato sepolto nel sorriso a fossette della sua bambina, inesorabile. "Darko?" Le spalle larghe, gli occhi buoni, gli stessi che aveva sentito per la prima volta contro la pelle mentre ballava, occhi che la guardavano insistenti eppure leggeri, carezza piuttosto che imposizione. "Ti ricordi di me?" Ci volle poco a farla pentire di tutto, della piega minuscola che la sorpresa aveva impresso sulle labbra e del tono straboccante speranza. Bastò il sorriso da stronzo. Era lui non c'era dubbio, e riusciva a infastidirla ancora. Si schiarì la voce, l'aria improvvisamente tagliente contro le corde vocali d'un tratto ammutolite. I palmi delle mani premettero per lisciare la gonna stropicciata mentre una carrellata di ricordi baluginava davanti a lei, quasi a volersi sovrapporre al presente e cancellarlo. Succedeva così da sempre: più gli altri dimenticavano, più lei conservava ricordi nella testa o cuciti sul retro delle palpebre, una storta di maledizione per ciò che aveva portato via loro. Non ne avevi il diritto. No, a conti fatti Mae non aveva avuto alcun diritto di fare quel che in preda alla paura aveva fatto ma, mentre slegava lo sguardo dall'altro per puntarlo sulla figlia , pensò che una parte di lei non se ne era ancora davvero pentita. Era il lato istintivo, irrazionale, forse un po' più cattivo; quello che non aveva nulla a che fare con la Mae infermiera, quella di tutti i giorni, e che invece nasceva dalla paura di essere lasciata sola.
    Ricordava tutto e forse di più e per non darlo a vedere avrebbe dovuto fare un grande sforzo, lo doveva alla bambina che la fissava come in attesa di un suo gesto, di una sua parola. D'istinto tirò le maniche del vestito più giù, per nascondere due lividi gialli già coperti, lì dove la mano del marito l'aveva afferrata. Come se Malia potesse vederli sotto la stoffa, come se Darko riuscisse ad andare oltre e guardarla in punti nascosti. Tanto tempo prima aveva fatto una promessa alla figlia: non avrebbe mai permesso al male di affacciarsi nel suo mondo e di distruggerlo.
    "Non fare mai più una cosa del genere Malia, lo sai benissimo che ad allontanarti così può succederti di tutto. Ci sono persone cattive al mondo, non devi parlare con quelle che non conosci." Continuava a tenere lo sguardo basso sulla figlia per evitare di alzarlo, una mano stretta alla sua mentre la rimproverava tenendola vicino a lei. Gli occhi di Malia si erano fatti strettissimi sotto le folte sopracciglia aggrottate, doveva sempre sforzarsi per non vedere lui in quel broncio gentile. L'aveva contrariata. "Se si ricorda di te vuol dire che ti conosce e che è buono. Ti ricordi della mia mamma?" Si era voltata verso l'uomo e lo fronteggiava con lo sguardo di chi ha dato prova di una logica infallibile, gli occhi carichi di una determinazione che a Mae mancava. Quelle due paia di iridi tanto simili si scrutarono per un po' prima che la donna riuscisse a ritrovare il contegno che, a intervalli irregolari, decideva di andare in frantumi. Riusciva a notare, Darko, tutte le somiglianze che in quegli anni Mae aveva lottato per ignorare? Serrò le labbra stringendo Malia e la borsetta contro il corpo asciutto, come temendo che Darko potesse volerle rubare tutto.
    Non lo guardava mai troppo a lungo, farlo avrebbe significato alimentare la memoria che già tuonava, un rombo di tempesta in avvicinamento. "Basta così Malia, non è importante. Grazie per averla trovata, è bastato un secondo di distrazione per perderla di vista. E grazie per Fante, ci tiene moltissimo. Ora andiamo Mumù si è fatto tardi, non hai fame? E mamma ha appena perso dieci anni di vita per lo spavento, deve riprendersi. " Le aveva abbozzato un sorriso, anche se la preoccupazione aveva lasciato un solco sottile fra le sopracciglia di Mae. Si era spesso domandata quanto la paura e la rabbia nei suoi confronti avesse cancellato, quanto era grande il foro di sigaretta che aveva lasciato nella memoria di Darko? La particolarità che aveva fra le mani non era una scienza esatta anzi, era di gran lunga la cosa meno accurata con cui Mae avesse a che fare. Aveva fatto tabula rasa di lei, auto-eliminatasi dall'equazione, o quell'incontro aveva un qualche significato per lui?
    In ogni caso, dovevano andarsene da lì al più presto. Solo così poteva sperare di non vedere più certe cose sul retro delle palpebre, immagini di un passato bruciate dal sole sulla retina e che nulla avevano a che fare col presente.
    Come un bosco al luna park e la luna alle dodici del pomeriggio.
     
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    Giallo, con grandi orecchie di stoffa rosa, un piccolo elefantino di peluche se ne stava accasciato sullo scalino che portava all’ingresso della casa degli specchi. I bottoncini che aveva al posto degli occhi sembravano esser rimasti traumatizzati da quello che forse in mezzo a tutti quegli specchi avevano visto, mentre una piccola macchia nera a forma di suola svettava sul dorso, spezzandone la monocromia del tessuto e donando al peluche un aspetto un po’ ammaccato. Appena dopo essersi abbassato per afferrarlo e stringerlo lievemente fra le dita della mano destra, Darko aveva chinato il capo da un lato e ne aveva osservato meglio i lineamenti, dispiacendosi quasi del modo in cui qualche passante lo aveva conciato camminandoci sopra senza neanche spostarlo. Quattrocento. si pronunciò allora Darko a labbra strette, rivolto alla testa riccia che aveva accanto e che, con una sigaretta stretta fra le labbra, gli aveva appena posto domande le cui risposte, probabilmente, sarebbe stato meglio dare in separata sede. Quando? chiese quindi l’altro, aspirando ancora dalla sigaretta ed allontanandola dalle labbra per poi ritrovarsi a ciccare per terra di fianco alla cabina della biglietteria dentro al quale se ne stava seduto con il braccio di fuori. Darko sollevò lo sguardo in direzione del tetto della grande casa di latta che sembrava sovrastarli, il treno di lettere che componevano la scritta Spiegelhaus era illuminato per metà da elettrici neon bianchissimi, e per metà dai raggi del sole che volevano imporsi oltre la coltre di nubi che cercava di oscurare il cielo norvegese. Prossima settimana. rispose allora, abbassando il braccio la cui mano ancora stringeva quel buffo elefantino e lasciando che questo si accostasse al suo fianco, il corpicino senza vita del pupazzo sembrava comprimersi e contrarsi debolmente sotto la pressione delle dita di Darko, che soprappensiero quasi si dimenticò di avercelo fra le mani. Lì come al solito? e Darko annuì senza aggiungere altro, d’un tratto distratto da un piccolo movimento, un foro colorato che sembrò apparire al suo fianco attirando a se tutto il resto delle sfumature che aveva intorno. In costante stato d’attenzione e premura, Darko cercava di captare non solo con lo sguardo, ma anche con ogni singolo senso a lui messo a disposizione, ogni singola particella di curiosità indiscreta, ogni singolo passo giunto troppo vicino per consentirgli di svolgere cioè che ormai da una vita continuava imperterrito a fare e da cui traeva forse la maggior parte del guadagno. Eppure, ancor prima che potesse congedarsi dal tipo alla biglietteria e fronteggiare così un paio di frizzanti occhioni curiosi, Darko si era già accorto di quanta differenza ci fosse fra di lui e la prossima interlocutrice. Quando una manina estremamente e spaventosamente piccola andò ad aggrapparsi alla sua t-shirt bianca per poi punzecchiare con la punta del dito indice sul dorso della sua mano chiusa attorno al corpo dell’elefante di peluche, Darko si costrinse a voltarsi ed abbassare lentamente il viso in direzione del terreno. Rotondo, un cerchio di pelle costellato da occhietti, naso e bocca che a Darko sembrarono a dir poco perfetti. Lunghi capelli color cenere con qualche leggerissimo boccolo verso le punte, avrebbe giurato che quelle ciocche bionde mai erano state ancora tagliate dalla sua nascita. Gli sorrideva timidamente mentre, lasciando andare la sua mano, andava a stringere le proprie l’una nell’altra dietro la piccola schiena avvolta in un vestitino leggero e iniziava a dondolarsi piano sul posto, le sopracciglia due archi che sembrarono allargarsi vertiginosamente nel momento stesso in cui, con un sorriso sincero sulle labbra, Darko si voltò completamente nella sua direzione, abbassandosi per raggiungere quella stessa altezza e porsi al suo stesso piano. ”Scusa signore, è il mio Fante quello?” la voce della bambina rotolò fuori da quelle labbra sottili in un tono dolce e imbarazzato, eppure curioso al tempo stesso. La osservò per qualche secondo, Darko, sorridendo istintivamente alla piccola e sollevando poi la mano di fronte al viso della bambina tornò a mostrarle l’elefantino di peluche. Chinò appena il capo da un lato e, dopo aver assunto un’espressione piuttosto seriosa, arricciò brevemente le labbra. Hm, se non sbaglio ha proprio detto di chiamarsi così qualche minuto fa. affermò, assottigliando appena le palpebre come a volersi sforzare di ricordare l’esatta conversazione immaginaria appena avuta con quello che aveva scoperto chiamarsi Fante. A quella risposta, la piccolina sembrò sciogliersi appena, lasciandosi andare ad un contagioso sorriso, il quale andò ad illuminare tutto il suo volto e la spinse a scindere la presa stretta delle mani che aveva tenuto dietro la schiena fino a quel momento in un semplice ed innocente gesto di timidezza. Si dondolò sui piedi mentre, allungando la mano sinistra, andava ad accarezzare il capo morbido del peluche. Come dici? Ah, è lei? E’ tua amica, Fante? Possiamo fidarci? un attimo di pausa, la durata giusta affinché nell’immaginario di entrambi Fante potesse avere la possibilità di riconoscere Malia ed eventualmente rispondere a Darko. Ahhh, capisco. Fante chiede qual è il tuo nome, vuole essere sicuro di non tornare a casa da qualche bambina cattiva, oggi ne ha viste già tante. aggiunse quindi lui, inasprendo giusto un po’ l’espressione del viso mentre puntava gli occhi dentro quelli di Malia e cercava, nel profondo, il nocciolo di un cuore che raramente Darko aveva modo di scovare in un bambino. Io sono Malia Kinnaman. Tu chi sei, signore? rispose allora lei, sollevando con estrema fierezza il mento in direzione di Darko ed esigendo al contempo lo stesso da parte del nuovo conoscente. Piacere di conoscerti, Malia, io sono Darko. si presentò allora, allungando un dito verso di lei e lasciando che la piccola intrecciasse il proprio al suo, quattro volte più grande. Quando la vide riturare la mano, Darko avvicinò il peluche al proprio viso e fece per guardarlo, parlargli ancora una volta.
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    Sentito Fante? Che dici? E’ lei? chiese allora all’elefante appena prima di avvicinarlo all’orecchio per udire meglio qualsiasi risposta il giocattolo gli avesse rifilato. Annuì in fretta, spostando quindi lo sguardo dal peluche a Malia e sorridendole divertito allungò Fante alla sua proprietaria, offrendoglielo in ritorno. Sì, puoi riaverlo. Ti consiglio di fargli anche un bel bagnetto quando torni a casa. aggiunse quindi, lasciando che le dita di Malia si chiudessero attorno all’amico di stoffa per stringerlo ed avvicinarlo al corpo, laddove un piccolo e affettuoso abbraccio andò ad accoglierlo. Poi, come svegliatosi lui stesso da un sogno immaginario, Darko si rese conto del fatto che, con Malia, non sembrava esserci nessuno. Aggrottò le sopracciglia mentre sollevava lo sguardo e lo trascinava su ogni corpo gli fosse possibile vedere nelle immediate vicinanze, constatando che nessuno di quegli sguardi sembrava tenere d’occhio la piccola e il suo amico elefantino. Con una spinta leggera nelle gambe, Darko si rimise in piedi, allungando istintivamente una mano in direzione della nuca di Malia e posandone il palmo dietro di essa, sui capelli caldi e lisci che, come una lunga cascata di liane, coprivano a sprazzi ordinati le piccole spalle. Dov’è la tua mamma, Malia? chiese allora Darko, abbassando appena lo sguardo sulla piccola che sembrò aver appena avuto la stessa intuizione dell’uomo. Restò in silenzio per qualche istante mentre gli occhietti chiari cercavano alla stessa velocità di Darko, con l’unica differenza che sapevano bene chi o cosa cercare. Un taglio preciso di capelli, un paio di labbra schiuse, delle sopracciglia a forma d’ali, davano la forma ad un viso ben preciso, lo stesso che aveva visto per prima quando era venuta al mondo. Malia seppe perfettamente chi cercare, e Darko lo seppe nello stesso istante in cui la vide sollevare il braccio destro ed indicare con il dito indice un paio di gambe sovrastate da una gonna leggera. Laggiù. indicò allora la piccolina, lasciando che in un movimento del tutto naturale, con la mano che si sporgeva in direzione dell’unica persona cui avrebbe sentito di appartenere lì dentro, i capelli le scivolassero di lato liberando porzioni di pelle bianchissima e pulita lungo il collo e le spalle. Con lo sguardo che continuava imperterrito a cercare una figura qualsiasi avrebbe potuto ricordargli una madre, Darko lasciava che le pupille facessero su e giù per non perdere nessun particolare intorno a loro e, al contempo, Malia. Ritrovarsi a fare da balia ad una bambina che non aveva neanche idea di chi fosse fu l’ultima cosa che aveva pensato potesse capitare quel giorno. Dove? chiese ancora verso la piccola, continuando a mantenere il palmo della mano aperto e dolcemente posato sulla nuca della piccolina. Non la vedo più… udì Malia sussurrare, il tono della voce era calato di qualche nota. Abbassò lo sguardo su di lei, brevemente, per accertarsi che non stesse piangendo ma trovando sul viso della bambina uno sguardo piuttosto concentrato, gli occhi intenti a cercare in mezzo alla folla quel paio di mani che avrebbe dovuto mantenere strette fra le proprie così da non perdersi. Poi, come il sole che sbuca tra le nuvole imponendosi prima con i propri tentacoli arancioni, così Darko la vide. Lo sguardo letteralmente in apnea, le braccia che spostavano gente a destra e sinistra senza curarsi troppo di sbattere contro spalle tre volte più grandi della sua intera statura. Minuta, con le labbra sottili e le gambe in movimento, la donna sembrò solo una sconosciuta, a quella distanza. Forse quella? indicò Darko, lasciando scivolare la mano dalla nuca alle spalle di Malia mentre la spingeva con lentezza verso avanti ed indicava nella direzione della donna che aveva appena fermato un’anziana signora. Gli occhi di Malia sembrarono illuminarsi mentre, con Fante vertiginosamente stretto fra le braccia e contro il petto, prese a chiamare nella sua direzione. Sì! Mamma! trillò la piccola, compiendo un piccolo passo avanti e fermandosi subito dopo. Venne loro incontro con il passo svelto, l’affanno e un leggerissimo strato di sudore che andava a bagnarle la fronte, lasciando che un paio di ciocche di capelli si fermassero su di essa. Darko, che fino a quale momento non aveva perso di vista Malia neanche per un secondo guardandosi intorno per cercare sua madre e, al contempo, controllando che la piccola non scoppiasse in lacrime da un momento all’altro, si ritrovò a compiere un piccolissimo passo indietro, mentre con fare tranquillo incrociava le braccia al petto. ”Fante si era perso. Volevo cercarlo e questo signore l'ha trovato era sul gradino della casa dei fantasmi per fortuna c'era lui è moltobuonosichiamaDarko. - sorrise divertito alle parole di Malia, intenta a spiegare a sua madre cosa fosse accaduto. Un mondo, il loro, totalmente distante da quello in cui lui aveva vissuto la propria infanzia. Se fosse accaduto a lui di sparire così nel nulla e nel bel mezzo di un luogo affollato, sua madre certamente non avrebbe saltato i rimproveri per abbassarsi e cingergli il corpicino con le braccia, stringendolo in un abbraccio affettuoso e soffocante come quello in cui lei abbracciava la piccola Malia. I loro volti si erano persi fra i capelli l’una dell’altra, lasciando poco spazio all’ossigeno e respirando quello che a Darko sembrava semplicemente amore. Con lo sguardo che, in attesa, le osservava, colse una macchia rosea sulla spalla di Malia. Si ritrovò inconsciamente a chinare il capo da un lato mentre, incuriosito, metteva a fuoco quei lineamenti. Aveva la forma di una fragola, un seme in attesa di sbocciare e trasformarsi in frutto. La vide, la guardò, e per un istante ricordò di tutte le volte in cui aveva visto quella stessa macchia rosa sulla propria pelle riflessa nello specchio o in una di quelle vecchie foto fatte durante le estati trascorse in piscina col solito gruppo di amici. Una fragola rosa che schiariva l’itera epidermide nello stesso punto in cui accadeva lungo la spalla chiara e sottile di quella bambina sbucata dal nulla. ”Darko?” - quando sollevò lo sguardo, staccandolo con difficoltà da quel fazzoletto di pelle sulle spalle di Malia, Darko si ritrovò a fronteggiare un paio di occhi che forse mai erano stati sconosciuti per lui. Ti ricordi di me? chiese la donna, il viso ricoperto da un velo di sorpresa che, irrimediabilmente, si estese anche su quello di Darko, ancora intento ad incanalare quei pensieri appena arrotolatosi ed attorcigliatisi all’interno del cranio diventato stranamente pesante. Sbatté appena le palpebre, come a volersi riprendere e scacciare qualsiasi punto di domanda che sembrava essersi parato davanti le iridi azzurre, quelle stesse che ora puntava dritte e veloci in direzione delle vecchie compagne un tempo già scrutate fino al fondo nero e scuro, fino a dove sparivano gli occhi e iniziava la mente, un vortice di idee che, tempo addietro, non era stato possibile unificare a quelle di Darko. Come se si fosse appena svegliato da una trance psichica, Darko si ritrovò ad annuire nella sua direzione, ritrovando però una strana confusione di ricordi legati a quella sagoma snella e posata. Ricordò il bosco, un falò enorme e bottiglie di birra che passavano fra le sue mani ad una velocità ultraterrestre. Così come i contorni di una figura che danzava e danzava senza mai fermarsi, ne ricordava le ombre dei piedi sull’erba nuda ed umida, ricordava la sensazione che i polpastrelli di quelle dita gli lasciarono sui polpacci nel momento in cui si appuntirono su di essi quando, stesi sotto quello stesso cielo, per qualche istante erano stati una sola cosa. E poi, come se ogni cosa fosse tornata al proprio posto, si erano separati e lei, con i suoi confini scuri e in contrasto con la luna che aveva avuto dietro le spalle, era tornata a muovere i piedi nudi sull’erba dondolandosi ad ogni passo e seguendo le note di una musica che sono nelle sue orecchie aveva suonato. Jensen. ripescò quel nome dalla memoria e fu quasi un sussurro a se stesso, un eco proveniente dal cassetto in cui erano stati rinchiusi armadietti di scuola e divise da cheerleader con gonne da capogiro, poi con e fiocchi per i capelli. Enormi tazze di caffè in cartone che aveva sfilato da quelle mani più di una volta senza però mai dimenticare di ringraziare. Quegli stessi occhi che ora lo guardavano con intensità, un tempo lo avevano scrutato portandosi avanti un broncio che si adagiava sul resto del volto, imponendole di serrare le labbra e corrucciare le sopracciglia, quasi a dirgli “stammi completamente lontano se non vuoi starmi completamente vicino”. E quel broncio, un tempo da Darko considerato del tutto infantile, da un momento all’altro era diventato adulto e aveva preso la forma di quel nome imparato solo molto tempo dopo: Maeve Jensen. Così come tutto quello che viene e che va, però, Darko aveva salvato e poi cancellato per fare spazio ad altro, al nuovo, e Maeve Jensen era uscita completamente fuori dalla vita di Jannik Ošlaj.
    Quando lo sguardo di Maeve lo abbandonò per ricercare le attenzioni di Malia, Darko restò a guardarla, incuriosito. I ricordi, seppur annebbiati, continuavano a renderle giustizia nonostante gli anni e gli avvenimenti trascorsi nel mezzo. Una virgola singola e timida all’interno di una pagina scritta e ricolma di lettere e punteggiatura. Non fare mai più una cosa del genere Malia, lo sai benissimo che ad allontanarti così può succederti di tutto. Ci sono persone cattive al mondo, non devi parlare con quelle che non conosci. - ancora in disparte, Darko non riusciva a distogliere l’attenzione dalle due, lasciando che, per quanto discreto potesse sembrare, le iridi azzurre scivolassero dall’una all’altra, ritrovando su una segni che sbucavano evidenti anche sull’altra. E quella voglia, la stessa che Darko aveva sulla propria spalla, sembrava urlare in maniera grottesca qualcosa che le sue orecchie sembravano incapace di udire, una lingua sconosciuta per il quale non sembravano aver scritto ancora nessun vocabolario. Se si ricorda di te vuol dire che ti conosce e che è buono. Ti ricordi della mia mamma? Malia lo riportò all’interno della conversazione, tirandoselo giù con gli occhi e obbligandolo ad allacciare nuovamente il proprio sguardo a quello di lei. Le sorrise dolcemente, sciogliendo il nodo che le braccia avevano formato davanti al petto e compiendo un passo in avanti si avvicinò ad entrambe. Sì che mi ricordo della mamma, ed è gentile da parte tua dare per scontato che io sia buono, Malia. Ma dovresti ascoltare quello che dice la mamma e fidarti soprattutto di lei. affermò Darko sollevando una mano in direzione di Maeve e lasciando che le dita la indicassero mentre gli occhi restavano aperti e gentili sul viso della piccolina. In piedi in mezzo a loro, con una mano stretta a quella di Maeve e un braccio intorno a Fante, Malia cercava di assorbire tutto quello che in quel momento le veniva detto per cercare di capire cosa davvero fosse giusto. Un piccolo broncio apparve su quel faccino angelico, spingendo le labbra a serrarsi in una silente e sottile barra rosea, mentre le guance si gonfiavano appena sotto gli occhi chiari un po’ intristiti dal rimprovero. Basta così Malia, non è importante. Grazie per averla trovata, è bastato un secondo di distrazione per perderla di vista. E grazie per Fante, ci tiene moltissimo. Ora andiamo Mumù si è fatto tardi, non hai fame? E mamma ha appena perso dieci anni di vita per lo spavento, deve riprendersi. si rivolse poi nuovamente a lui, Maeve, e Darko pensò che se solo lei avesse potuto indietreggiare anche con lo sguardo, lo avrebbe fatto in quello stesso momento, pur di sfuggirgli. Scrollò le spalle, lui, schiudendo le labbra e sollevando il viso nella sua direzione tornò a sorriderle di nuovo. A dire il vero io ho solo trovato Fante, Malia ha trovato noi. aggiunse poi, abbassando brevemente lo sguardo su Malia e rifilandole un occhiolino, ricevendo in cambio un sorrisino compiaciuto. Siamo entrambi bravi a cercare e trovare, è come un superpotere e forse è merito di quella. affermò poi, d’improvviso, abbassandosi di nuovo alla stessa altezza di Malia e sollevando un braccio nella sua direzione, pigiò con il dito indice sulla sua spalla, proprio là dove ora, nuda al centro di un triangolo di pelle scoperto dalle lunghe ciocche dei capelli, sostava quel piccolo trapezio rosa che sembrava avere la forma di una fragola, la stessa voglia che Darko si portava sulla spalla dalla nascita. Si voltò quindi col busto, restando col peso del corpo sulle caviglie e sulle ginocchia flesse per restare in equilibrio, mentre con la mano sinistra andava a sollevare il lembo di maglietta bianca che gli ricopriva le spalle. Col viso inclinato verso destra e lo sguardo che seguiva quello acceso e curioso di Malia, Darko le mostrò la stessa ed identica voglia. Quando gli occhi di Malia si posarono su di essa si spalancarono per lo stupore, trascinando tutto il viso in un’apertura sorpresa quando le labbra si schiusero per allargarsi in un sorriso. Mamma, guarda! Anche lui ha la stessa fragola! trillò Malia voltandosi brevemente in direzione di Mae e tirandola appena con la propria manina verso di lei, quasi volesse che si abbassasse nella stessa direzione per prendere atto di quella magia che lei stessa sembrava aver appreso. Quando Darko sollevò lo sguardo per posarlo in quello di Mae, c’era un nuovo tipo di tacita curiosità ad animargli le iridi. Si soffermò su di lei per più di qualche secondo, mentre le sopracciglia si appiattivano quasi completamente e le labbra andavano a chiudersi, restando però incurvate all’insù. Forse la mamma non lo sapeva dei superpoteri che hanno quelli con le voglie a forma di fragola sulle spalle, Malia. No, Maeve? parlò senza distogliere mai lo sguardo da lei, da quelle labbra schiuse e le guance affannate. La fronte attraversata da ciocche ribelli di capelli che erano sfuggite alla mezzacoda, quella stessa che le aveva visto tagliare la nuca a metà tantissime volte, anche ai tempi della scuola. Chino di fronte a Malia e con lo sguardo che sembrava voler trapassare l’intero corpo di Maeve per aprirla in due e cercarci dentro risposte a domande del tutto folli, Darko pensò di essersi perso nel sogno di qualcuno che non fosse lui, guidato da parole e immagini che non avrebbero dovuto appartenergli neanche. Eppure non gli sembrava che la realtà si fosse mischiata al sogno, come aveva disimparato a distinguere solo un paio di anni prima. Quella era la pura realtà, solo non l’aveva ancora mai vista camminare sulle gambe di una bambina di, sì e no, sette anni.
     
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    Al contrario, così funzionava la memoria di lei, asintomatica al passare del tempo e delle stagioni. Perverso il meccanismo che la vedeva ricordare alla perfezione ciò che aveva invece strappato ad altri, eventi per loro mai esistiti occupavano la sua testa come uno zoom fra le meningi. E al contrario andavano, i ricordi, come statue nitide su un carosello sfocato, dove gli unici ad essere distinguibili sono i cavalli che corrono all'indietro. Non sempre infatti riusciva a fermare i contorni, le linee guida generali, date e contesti erano soggetti al deterioramento comune a tutti, quello che di solito ti fa ricordare la cornice degli eventi e scordarne i dettagli.
    E invece erano proprio quelli che Maeve non poteva in alcun modo dimenticare, per via di quella strana legge del contrappasso che la voleva magazziniera delle piccolezze piuttosto che del resto, superfluo e non necessario. Una punizione, ecco cos'era, il giusto castigo per essersi appropriata di cose non sue, frammenti intesi alla condivisione e fatti invece individuali. Non si esce indenni dal manomettere qualcuno a quel modo.
    Era nel presente, Mae, ma vivere nel passato era qualcosa contro cui lottare e cercare di non perdercisi, e in questo Malia accorreva spesso in suo aiuto. Con la sua vivace esuberanza e la parlantina senza sosta, era l'unica che riusciva a ricondurla sempre a casa, non importa quanto lontano si fosse andata a cacciare con la mente. E infatti fu proprio Mumù a distoglierla dal bosco, con la mano calda nel suo palmo freddo, lì dove Mae avrebbe giurato di aver sentito una barba di qualche giorno pizzicarle i polpastrelli. E invece fra lei e Darko non c'era ora soltanto spazio fisico, ma anche otto anni a creare una distanza di sicurezza e a ricordarle che, ricordi o no, non erano e non sarebbero mai potuti essere altro che sconosciuti. L'aveva messo in chiaro lui quella giornata cancellata di tanti anni prima, quando le aveva inconsapevolmente infranti i sogni e alzato in alto il vento delle paure. Quando la chiamò col cognome da nubile, una serie di altre immagini rimbalzarono fra le pareti craniche e dietro le palpebre abbassate. Corridoi scolastici, scarpe allacciate strette, ginocchia scoperte rosse di freddo, capelli lunghi biondi, castani e rossi, ragazzi che passavano e ragazze che ridevano maliziose. Frammenti che svanirono alla fine di quel singolo battito di ciglia, quando l'azzurro degli occhi si perse di nuovo nel suo, estuario che sfocia in un oceano blu. Senza più il riparo delle palpebre, il passato si perse gradualmente al cospetto del solo, come la luce che rompe il buio di una sala cinematografica e le immagini si disintegrano sullo schermo. Indietro rimase solo un vago profumo di caffè. "Kinnaman." Lo corresse allora, le labbra strette un po' all'ingiù. "È Kinnaman ora. Maeve Kinnaman. " Accennò un pallido sorriso, gli incisivi come finestre su un muro rosa. Aveva lasciato la mano di Malia, congiungendo le proprie di fronte al corpo minuto e teso come una corda. Tre ripetizioni, tre giri di fede intorno all'anulare. Rikke. Lasciò andare l'incastro solitario cercando, ancora una volta, la sua ancora in miniatura racchiusa fra due tenere spalle. Sgridarla la faceva sempre sentire in colpa, come se in qualche modo le stesse facendo un torto piuttosto che insegnarle qualcosa. La verità è che aveva il terrore di diventare come la propria, di madre, che non si poteva di certo descrivere come affettuosa. Dovette ricordarsi che non aveva niente a che spartire con lei, per questo pochi secondi prima l'aveva abbracciata stretta dimenticandosi di tutto, felice solo di averla ritrovata. Era diverso fra loro, sarebbero sempre state unite, e farle capire che non doveva allontanarsi così era solo l'ennesima dimostrazione d'amore che le rivolgeva. Fu sollevata dal fatto che Darko sembrava aver capito la gravità della situazione e l'avesse a suo modo appoggiata, mentre diceva a Malia di doverle dare retta. Al contempo però si stizzì perché non aveva bisogno che rinforzasse le sue lezioni, non voleva niente da lui. "Proprio così, Malia. E purtroppo a volte capita di conoscere persone che sembrano buone ma non lo sono davvero. Come i fuochi d'artificio, ti ricordi? Magnifici fuori ma pieni dentro di cose chimiche che fanno male alla natura e agli animali." Non lo aveva guardato, Mae, durante nessuna delle piccole pause di fiato prese nel snocciolare quell'insolito insegnamento. Si era illusa con lui credendo di sapere come sarebbe andata a finire, affascinata e troppo ragazzina per capire quanto poco invece avessero in comune. Si era convinta di averla superata e invece eccola lì, otto anni dopo, a lanciare frecciatine che non avrebbe capito. Perché gli ho tolto un pezzo. Come succedeva sempre, si sentì subito in colpa e arrabbiata con sé stessa. Si schiarì la voce ravviando i capelli nella coda e via dalle guance, dove il sudore raffreddato le arrossava la pelle altrimenti chiarissima. Lo ringraziò quindi, scissa tra un passato doloroso che non aveva ragione di esistere per lui e il presente, dove non erano altro che adulti con niente più di una notte in comune. Una cosa da niente, per lui, o probabilmente solo un vago ricordo di mani strette e profumo di aghi di pino, di labbra confuse con altre e braccia appartenute a chissà chi. Una sera e basta per lui, e per Mae tutta la sua vita, ora vicino a lei con una smorfietta permalosa ad arricciare labbra e naso. "Per me ti sbagli, mamma. Per me è buono, l'ho visto." A soli otto anni, Malia sembrava aver già sviluppato una personalità tutta sua che, il più delle volte, tendeva verso la ribellione. Non era assolutamente una bambina cattiva, ma dire la sua era qualcosa che esercitava come diritto personale e, se considerate da lei ingiuste, disobbedire alle regole o agli ordini non la spaventava affatto. Rabbrividiva, Mae, al pensiero degli anni a venire, cercando di immaginarsela adolescente e alle prese con i drammi e le incertezze di quell'età. Nonostante le mille paure di inadeguatezza nell'essere madre, Maeve le sorrise con dolcezza mentre un paio di dita sottili si andavano a impigliare fra i lunghi capelli della bambina, una carezza delicatissima sulla nuca. "Vuoi dire che l'hai sentito? Hai la sensazione che Jannik sia una brava persona pur non conoscendolo. È l'istinto, ne hai mai sentito parlare?" Mentre guardava quegli occhietti chiari, Mae si chiese se non avesse fatto già molti errori con lei. Sembrava ieri che l'aveva tenuta per la prima volta sul petto, strappandola via dalle braccia di chi la voleva adottare ma, anche se non le sembrava, otto anni erano un tempo lunghissimo per sbagliare tutto. Era stato giusto, si chiese, nasconderle la verità? Si sarebbe mai sentita come se non conoscesse un pezzo di sé? Avrebbe mai guardato nello specchio senza riconoscere i propri occhi in quelli del padre? L'avrebbe mai perdonata per aver cercato di proteggerla da qualcuno che, chissà poi se fosse vero, un tempo Mae aveva avvertito come una minaccia?
    Invece di rilassarsi, il broncio si intensificò di più accentuandole i lineamenti e le sopracciglia contratte nel mezzo, causando come conseguenza immediata l'apertura ancora maggiore delle labbra di Maeve. Era così tremendamente carina. Malia fece per ribattere ma la madre la zittì con uno sguardo più deciso. Ricordando finalmente le buone maniere, la donna ringraziò brevemente Darko, sperando di riuscire a uscire da quell'incontro ancora in equilibrio. Era destabilizzante ritrovarsi faccia a faccia con lui, come se anche senza sfiorarla riuscisse ancora a sovvertire ogni cosa. Sospirò quando quei due si scambiarono rispettivamente un occhiolino e un sorrisetto. Se lo stava immaginando o avevano già un'intesa particolare e tutta loro, come se si conoscessero da sempre? Come se fossero legati senza ancora saperlo. "L'hai già conquistata! Come hai fatto?" Le sfuggì quell'esclamazione suo malgrado, le sopracciglia inarcate verso l'alto in completo stupore mentre gli occhi si dividevano tra la figlia e Darko, sbigottiti. Lasciò risuonare una risata breve ma sincera, e le cose precipitarono proprio quando aveva iniziato a rilassarsi. Quando infatti vide Darko chinarsi per mostrare a Malia quel marchio, Mae aveva ancora sulle labbra l'eco della risata che non aveva fatto in tempo ad estinguersi del tutto, come un incendio in difficoltà alle prese con le prime gocce di pioggia. Immobile con quel sorriso di pietra Mae non riusciva a ragionare, il corpo e la mente come bloccati davanti a quella che poteva sembrare un'innocua voglia a forma di fragola. E allora tutto si fece silenzio, come se un guanto d'acqua le fosse calato sulla testa e non riuscisse più a mettere a fuoco i suoni. L'unico rumore era infatti il battito del cuore che le vibrava violento contro lo sterno. Si bloccò, Mae, come le capitava spesso sotto pressione, un cortocircuito a livello cellulare. Si perse l'entusiasmo di Malia, avvertendo solo la presa della sua mano che la voleva verso il basso, più vicina a quello che per la piccola era un prodigio e che per Mae somigliava più alla fine del mondo. Seguì addirittura quel movimento, ubbidendo come non avesse più facoltà propria mentre piegava ginocchia e schiena appena. Vicina, più vicina alla scossa che avrebbe fatto cadere le bugie. Cuori legati, carezze mai date, erano stati una cosa sola che viveva ora in quella voglia, attraverso dilei.
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    Assurdo come un fazzoletto di pelle così piccolo potesse contenere l'inizio e la fine di tutto. "Mamma, mamma! Ho davvero i superpoteri? " Come al solito fu la figlia a riportarla al presente, strattonandola con minimo riguardo. "Amore scusa, come hai detto?" Balbettò appena. Doveva prendere tempo, vantaggio, fiato. Maeve raddrizzò la schiena mentre dalla pelle lo sguardo si spostavano su Darko, in quegli occhi che si era percepita addosso per tutta la durata dell'apnea, come il sole che accarezza le mani sotto il pelo dell'acqua. La stava ancora scrutando e sembrava farlo ovunque, cercando una sorta di rivelazione tra le onde lente dei capelli, negli spazi tra le ciglia, tra le imperfezioni del suo volto. E a quella scoperta sarebbe giunto sicuramente se Mae avesse indugiato ancora. Distogliere lo sguardo fu dunque questione di sopravvivenza, istinto alla salvaguardia che la spinse a stringere la mano di Malia per l'ennesima volta e dirle. "Dobbiamo andare Malia.Ora." Non lo salutò, non fece niente se non stringere la borsetta contro un fianco e la figlia sull'altro incamminandosi verso l'uscita. "No Mamma aspetta, voglio restare! Ora mi ricordo dove l'ho già visto!" Come se avessero capito qualcosa che lei solamente sospettava, i piedi di Mae si fermarono tanto di botto che Mumù le finì contro la gamba. "Tu avevi i capelli più lunghi ed eri in uno strano vestito a righe cortissimo con dei pom pom. Poi avevi una fascia in testa bruttissima che non ti ho mai visto mettere..." Piccoli brividi avevano iniziato a scuotere la colonna vertebrale di Mae che, confusissima, si vide sfuggire dalle mani Malia che corse verso Darko come se davvero l'avesse già visto. Ancora piegato, l'uomo era esattamente alla sua altezza e la bambina poggiò le piccole mani sulle guance ricoperte da una barba leggera. "Pure tu eri diverso, non avevi così tanti capelli sulle guance e...Dov'è finito l'orecchino? Era buffissimo sembrava da femmina!" Ridacchiò, Malia, sporgendosi a guardargli l'orecchio come se il presunto gioiello potesse esservi caduto dentro. Quando tornò diritta però, la bambina aveva uno sguardo crucciato. "Pensavo fossero sogni ma se lo erano perché c'eri tu?" Iniziò un po' titubante mentre negli occhi chiarissimi si iniziava a intravedere la forma di un pensiero che sembrava preoccuparla parecchio. Si voltò di scatto, lo sguardo verso la madre a pochi passi da loro che, sola e ferma, sembrava un alberello tremolane sullo sfondo. "Le bandiere disegnate sulla tua faccia erano bagnate e colavano, ma nel sogno non pioveva e hai preso la faccia di Darko così e..." Si era voltata di nuovo, le mani ancora una volta sul visto dell'uomo e una nuova tristezza negli occhi. "Perché piangevi mamma? È stata colpa mia? " Lasciò stare Darko, voltandosi e correndo verso Mae che, nonostante non si credesse in grado, si piegò ad accoglierla fra le braccia senza spezzarsi. "Ehi tesoro ascoltami, va tutto bene lo vedi? La mamma non piange ora. E non è mai, mai colpa tua se la mamma è triste." Le accarezzava i capelli con gli occhi abbassati sull'asfalto grigia, la borsetta scivolò di lato e vi atterrò con un piccolo tonfo. Non aveva la minima idea di quello che le era accaduto, come avesse fatto a vedere quel momento come se fosse andata indietro nel tempo. Possibile che di quello si trattasse? Avrebbe dovuto spiegarle delle particolarità molto tempo prima, lo sapeva, ma l'assenza di segnali l'aveva illusa che ci fosse ancora tempo, che non ci fosse bisogno di metterle quel peso sulle spalle prima del dovuto. Che sciocca che era stata, come aveva fatto a non accorgersene prima?
    Con Malia ancora stretta contro, finalmente Maeve trovò la forza di alzare lo sguardo limpido e posarlo sull'uomo. Doveva fermarsi e farsi guardare dritto negli occhi. Togliere ogni difesa, disarmare i fronti, eliminare ogni scusa. "Mi dispiace." Fu quasi più un labiale che altro, un suono così piano che quasi sperò che il vento si fosse mangiato via quelle due parole. Non disse di cosa né perché, poteva benissimo riferirsi al comportamento inappropriato della figlia o ai sospetti di Darko. Non sapeva cosa fare, era arrivata all'ennesimo punto decisivo e si era bloccata. Proprio come quel giorno di tanti anni prima, quando lo era andata a cercare dopo la partita di fine anno. A quell'evento c'erano proprio tutti, alunni e ex alunni erano accorsi sugli spalti per inneggiare contro il nemico. Aveva vinto la squadra della loro scuola, e Mae l'aveva osservato da bordo campo stringere le spalle di una ragazza che non aveva mai visto prima. L'aveva aspettato paziente ma trepidante, lo stomaco sotto sopra all'idea del futuro che li attendeva e, quando finalmente riuscì a incrociarlo da solo, nessuno era rimasto nel parcheggio.
    Purtroppo a volte succedono cose da cui è impossibile tornare indietro. Per quanto ci si sforzi, non si può annullare e ripartire. Se in quel momento qualcosa è andato storto, anche di pochissimo, rimarrà per sempre così.

    Edited by paracosm - 13/10/2020, 21:48
     
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    XXX

    È difficile non illudersi di sapere poi proprio tutto della propria vita quando si è certi di vivere ogni scelta in prima persona. Vivere e scegliere, due dei verbi che più avevano caratterizzato l’esistenza di Darko fino a quel momento, o almeno così aveva sempre creduto. Certo di poter cambiare quella parte della propria vita che gli era stata stretta sin da piccolo, il ragazzo aveva preso le redini del proprio destino fra le mani compiendo ogni passo con certezza e risolutezza, giungendo nel luogo in cui si trovava in quel presente e permettendosi di esser convinto di non aver lasciato nulla al caso. Sicurezza, quella, che avrebbe perfettamente potuto sfuggirgli dalla mente alla velocità di un battito di ciglia. Difficile anche solo accettare che, dopotutto, potesse esserci davvero qualcosa che era scappata al suo controllo, prendendo vita intorno a lui senza però effettivamente farsi mai vedere: fuori dal suo campo visivo, nascosta all’ombra della sua stessa sagoma, vi era una verità di cui mai aveva sentito parlare e che, da un momento all’altro, aveva iniziato a spingerglisi sempre più vicino per sfuggire alla sua ombra e finalmente palesarsi davanti agli occhi di ghiaccio che mai l’avevano cercata, totalmente ignari della sua esistenza. Avrebbe potuto avere qualsiasi forma e colore, qualsiasi altezza, eppure Darko non l’avrebbe riconosciuta. Un pensiero, quello, che dovette trovare la propria conferma anche tramite le parole di Maeve, la donna che se ne stava ora davanti a lui con la mano stretta a quella di una piccola peste di nome Malia. La prova di quanto il tempo cambiasse il mondo e non si fermasse mai neanche un secondo era proprio lì davanti agli occhi di Darko e alle ombre che piano piano si ritiravano per far spazio alla luce che voleva imperterrita far proprio tutto quello che per anni interi era rimasto al buio, quel luogo irrilevante che non faceva mai in tempo a divenire parte del suo campo visivo. Ed ecco che la mutazione avveniva, ecco che Darko apriva gli occhi o si voltava verso qualcosa di nuovo che, come per magia, conservava in esso parte del vecchio ormai solo un po’ mutato, pronto per esser guardato di nuovo ma con occhi forse totalmente diversi, nuovamente inesperti. Era accaduta la stessa cosa anche con lei, diverso tempo prima, in una vita che sembrava essersi lasciata alle spalle ormai, quando per la prima volta l’aveva vista davvero sicura di sé nel momento in cui aveva deciso di avvicinarsi a lui, nel mezzo di un bosco illuminato da piccoli falò attorno ai quali il vociare di qualcuno non riusciva comunque a sovrastare il suono della notte. E quella sensazione di sorpresa e desiderio di scoperta che Darko aveva provato quella sera di sette anni prima, puntando il proprio sguardo sulle sagome dei piedi di Maeve che, avanzando nel buio, raggiungevano lui per girargli intorno in una danza che all’ombra della luna sembrava addirittura surreale. E quasi come allora, Darko avrebbe giurato in quel momento di esser schiavo di un deja-vu di quella sensazione che aveva provato già diversi anni prima, quando al posto di una silenziosa studentessa di liceo vi aveva trovato le radici di una donna che, chissà perché solo per una notte, aveva deciso di mostrare proprio a lui quanto fosse facile crescere e compiere scelte, un rito di passaggio per chi crede di non poter mai superare un ostacolo del genere. E così come a quel tempo gli occhi di Darko erano stati letteralmente catturati dalla sagoma danzante di Maeve, anche lì in mezzo alla massa di gente che popolava il Luna Park quella mattina, le iridi azzurre del ragazzo non avrebbero potuto soffermarsi su qualcosa che non fossero i lineamenti morbidi di quel viso che già conosceva, scoprendo in lei aspetti che non credeva di ricordare. ”Kinnaman. È Kinnaman ora. Maeve Kinnaman.” lo ripetè per tre volte, la nota atona generata da una corda tirata con forza, forse troppo, stridula e così certa delle proprie capacità da risultare quasi finta. Inarcò le sopracciglia, Darko, tirando quasi istintivamente il capo verso dietro, come volesse schivare un colpo in arrivo con violenza. Sembra il nome di una spezia. Come hai detto, scusa? Ki-? scherzò, lui, lasciando che l’espressione del viso si indurisse appena mentre chiedeva a lei di ripetere per la quarta volta il cognome preso dal marito, quasi non fossero bastate le tre da lei precedentemente citate. Poi, quasi si sentisse in dovere di considerare anche la presenza di Malia in quel quadretto, abbassò lo sguardo sulla bambina rivolgendole un occhiolino e un sorriso divertito, che ovviamente la piccola sembrò ricambiare con piacere. Quel viso rotondo incorniciato dai lunghi capelli castano chiaro aveva vita propria, rendeva facile poter leggere qualsiasi tipo di emozione passasse attraverso le piccole rughe d’espressione che apparivano e scomparivano sulla sua pelle quando reagiva a ciò che vedeva o sentiva accadere attorno a se. "Proprio così, Malia. E purtroppo a volte capita di conoscere persone che sembrano buone ma non lo sono davvero. Come i fuochi d'artificio, ti ricordi? Magnifici fuori ma pieni dentro di cose chimiche che fanno male alla natura e agli animali.” sentenziò Maeve quindi, con il viso a pochi centimetri da quello di sua figlia mentre la rimproverava per essersi allontanata senza dire niente, generando sulle labbra di Malia una curvatura appena accentuata che finiva all’ingiù giusto il tempo di trovare la forza di raddrizzarsi per spiegare alla madre ed affermare che, dopotutto, Darko non sembrava affatto cattivo, soprattutto se riusciva a ricordarsi di lei. "Vuoi dire che l'hai sentito? Hai la sensazione che Jannik sia una brava persona pur non conoscendolo. È l'istinto, ne hai mai sentito parlare?” chiese allora Mae alla piccola, e in quel momento di pura normalità, Darko colse qualcosa che effettivamente non era mai stato capace forse neanche di immaginare potesse capitare a se stesso. Notò in Maeve l’abilità di schiudersi dinanzi e per qualcuno, frapponendosi così nel presente ai ricordi che Darko conservava della lei più piccola, avvolta in tessuti colorati e a righe di una squadra di cheerleaders del liceo. In quelle vesti lui non l’aveva ancora mai vista: abituato alla versione silenziosa e forse un po’ piatta di ciò che ricordava di lei, una sagoma chiarissima che avanzava quasi timidamente fra i corridoi di una vecchia scuola, Darko si ritrovò ad accettare nuovamente quella sensazione di sorpresa che lei riuscì a generare in lui, ancora una volta, mutando in qualcuno riguardo il quale lui per diversi anni non si era posto più alcuna domanda.
    "L'hai già conquistata! Come hai fatto?” glielo chiese ironicamente Maeve quando notò la complicità che sembrava legarlo alla piccola, solo fino a pochi istanti prima ancora solo una sconosciuta. Non avrebbe creduto di poter essere portato per quello, e forse davvero non lo era per niente, ma la piccola Malia avrebbe potuto essere l’eccezione che conferma la regola. Dopotutto, non aveva in programma di far parte della sua vita, quello era forse un incontro che, come ogni altro, il sole avrebbe portato via con se al tramonto e di cui, il giorno dopo, sarebbe rimasto nella sua mente solo come l’impronta di un incontro più che singolare. E sarebbe stato semplicissimo convincersi di quell’idea, raccogliere le parole dette e gli sguardi che aveva posato su Maeve Jensen per poi dare le spalle ad entrambe e andare via con la certezza che, forse più di chiunque, quella donna aveva l’abilità di stupirlo più di chiunque altro pur restando una semplice conoscente, un punto e virgola che ogni tanto, sporadicamente, appare a suddividere alcune delle frasi che descriverebbero la vita di Darko. Fu la fragola sulla spalla di Malia però a mandare ogni cosa all’aria, apparendo sotto al suo naso come a voler richiedere impaziente la sua attenzione. Si ritrovò a fissare quella voglia per qualche secondo, in un primo momento senza neanche farci poi davvero caso.

    Una voglia su una spalla. Divertente come, in mezzo a 7830 milioni di persone sparse su 510.100.000 km² di superficie terrestre, proprio davanti a lui si trovava una bambina con la stessa macchia sulla pelle, nello stesso identico punto che lui era abituato a guardare sul proprio riflesso nello specchio per cercarla, un’abitudine strana e difficile da scacciare, quella della ricerca di una delle poche certezze che avrebbe sempre avuto. Una voglia a forma di fragola su una spalla. Quella fragola, la stessa che aveva avuto suo padre, la stessa che aveva avuto sua nonna, spalle imperfette create da un DNA che non avrebbe mai mentito sulle sue origini. Una voglia a forma di fragola sulla spalla di una bambina di otto anni. La figura di Malia e il suo corpicino in bella vista sotto gli occhi di Darko, perdevano la propria custodia iniziale, quella che l’aveva presentata a lui come una sconosciuta, per infilarsi in qualcosa di totalmente inaspettato e lontano dalle certezze che Darko da sempre aveva avuto. Le domande erano troppo assurde addirittura per poter prendere una reale forma nella sua testa.

    Forse, mentre nella mente di Darko qualcosa cominciava a prendere vita, in quella di Maeve qualcos’altro si sgretolava: sicurezze che aveva messo avanti a tutto pur di tenere il proprio mondo intatto e di conseguenza anche quello di sua figlia Malia, la risposta alle domande che iniziavano a frullare silenziose nella testa di Darko. E lui, ancora chino in direzione di Malia, aveva sollevato un lembo della manica della maglietta che indossava per mostrare alla piccola quella stessa macchia che sembravano condividere, il seme di un potere che Malia fu felice di scoprire esser condiviso. Il pensiero che, effettivamente, quel gesto avrebbe potuto significare qualcosa o mandare in frantumi la realtà della bambina, lo sfiorò appena, piuttosto concentrato sulla reazione del tutto insolita di Maeve, la quale sembrò scioccata da quella scoperta tanto quanto lui, forse. "Dobbiamo andare Malia.Ora.” la voce di Mae sembrò prendere tono, seppur piatto, mentre si sollevava e afferrava la mano della piccola per tirarla via, lontanai da Darko e dalla situazione ambigua nel quale si era ritrovata casualmente quella mattina. Maeve, aspetta! lo disse a voce alta, stizzito. Mentre il sorriso che aveva rivolto a Malia scompariva piano scivolando via dalle sue labbra e tirandosi giù anche le spalle in un movimento quasi di arresa. Strinse le labbra, Darko, spettatore di qualcosa che ancora non riusciva a capire se aveva desiderio di comprendere o meno. Lo sguardo di Maeve, il broncio di Malia, le mani che si stringevano per tirarsi via, lontane da lui e dal riflesso di se stessa che Malia aveva visto in lui: tutto, come una folata di vento, aveva scoperto luoghi che Darko aveva lasciato all’ombra per riportarli alla luce mentre, nonostante i fasci luminosi che prendevano ad impazzare sulle immagini del suo passato, qualcosa fra quei frammenti di colori continuava insistentemente a mancare, eppure non avrebbe mai saputo cosa. Restò chinò, il peso sulle caviglie che reggevano tutto il suo corpo mentre, ancora accovacciato per terra, non riusciva a distogliere nemmeno per un secondo lo sguardo da quello che stava accadendo a qualche passo da lui. ”No Mamma aspetta, voglio restare! Ora mi ricordo dove l'ho già visto!” la voce di Malia rimbombò fra di loro e Darko avrebbe potuto giurare di percepire il tempo fermarsi letteralmente in quell’istante, sul viso di Malia che cercava affannata lo sguardo di sua madre per spiegarle ciò che aveva compreso, quello che aveva ricordato di sapere e il motivo che l’aveva spinta a fidarsi di Darko. ”Tu avevi i capelli più lunghi ed eri in uno strano vestito a righe cortissimo con dei pom pom. Poi avevi una fascia in testa bruttissima che non ti ho mai visto mettere…” spiegò Malia, la manina che si tenne stretta a quella di sua madre fino a quando non avvertì forse il bisogno di staccarsi da lei per accogliere qualcun altro nella sua vita, un paio di occhi chiari come i suoi che sembravano esser rimasti fuori troppo a lungo. Quando sfilò la manina dalla presa stretta di Maeve, Malia si voltò in direzione di Darko per corrergli incontro ed afferrare il suo viso stringendolo fra le dita, i polpastrelli caldi che andavano ad accarezzare dolcemente le guance ardenti di Darko. L’idea che qualcosa potesse esserci davvero, che l’ombra fosse scivolata via cambiando posto e lasciando alla luce verità che Darko non era pronto ad accettare, era quasi spaventosa. Eppure, con il volto stretto fra quelle mani tre volte più piccole delle sue, l’uomo non fu ingrato di respingere alcuna di quelle attenzioni, restando però inconsciamente incastrato il quel campo visivo, impaurito da quello che avrebbe visto se solo si fosse voltato. Eppure, non era certo solo attraverso lo sguardo che la verità avrebbe potuto rivelarsi, e le parole che come un treno venivano fuori dalle labbra sveglie di Malia sembrarono prendere in pieno non solo lui, ma anche Maeve, ancora in piedi a qualche passo di distanza da loro. "Pure tu eri diverso, non avevi così tanti capelli sulle guance e...Dov'è finito l'orecchino? Era buffissimo sembrava da femmina!” quando Malia raccontò di quello che aveva visto, la schiena di Darko venne percorsa da un brivido violento e taciturno, lo portò a schiudere le labbra e sospirare piano, quasi volesse prepararsi all’elaborazione che avrebbe succeduto il pensiero e il ricordo generato dalle parole della piccola. Sollevò le mani, posandone una sul dorso di quella di Malia, ancora premuta contro la sua pelle, e strinse appena le proprie dita attorno ad essa, quasi volesse confermare quello che lei gli stava spiegando o forse chiedendo. Quando la piccola rise andando poi alla ricerca dell’orecchino che un tempo Darko aveva indossato, il ragazzo non fu in grado di restare serio, trovando -nonostante l’intera assurdità della situazione- Malia tremendamente dolce e sveglia. Chinò appena il capo da un lato, portando le dita a stringere l’orecchio e tirando appena il lobo mostrò a Malia il buco ormai semi chiuso che un tempo aveva riempito con qualche orecchino di metallo che, a quanto pareva, la piccola aveva già avuto modo di vedere, sebbene fosse letteralmente impossibile in termini di tempo. Era qui, vedi? Ora non lo porto più. Solo ogni tanto se ho voglia di sentirmi giovane. spiegò Darko, abbassando poi nuovamente la mano e tornando ad osservare Malia negli occhi fu felice di trovare un po’ di luce fra quelle iridi chiare. Forse, per quanto potesse essere assurdo per lui, riusciva anche perfettamente ad immaginare cosa potesse provare lei in quel momento, confusa su chi o cosa fosse reale e come fosse possibile che le due dimensioni potessero arrivare a mischiarsi. A lui era accaduta la stessa cosa, le stesse esperienze confuse che, quando aveva iniziato a scoprire i propri poteri, lo avevano portato più di una volta a domandarsi quale parte della sua realtà fosse quella giusta, quella in cui lui viveva. Ricordò di quando, non solo da piccolo, aveva iniziato ad abusare di ciò che poteva fare, preferendo la creazione di un mondo fatto su misura per lui nei sogni non solo propri, ma anche di altri. Era stato difficile tornare a vivere, per davvero, e distinguere il se stesso reale da quello del sogno. Forse Malia aveva capacità simili, forse non era solo la fragola sulla spalla a collegarli. E sebbene Darko cercasse di capire prima di tutto come avesse fatto a vederlo, la vera domanda restava sepolta dentro e scalciava per venire fuori: perché Malia aveva visto proprio lui? ”Pensavo fossero sogni ma se lo erano perché c'eri tu?” chiese allora la piccola, appena prima di tornare a voltarsi verso Maeve e continuare quello che sembrava il racconto di un momento particolare, qualcosa che per diverso tempo neanche lei era riuscita a dimenticare o comprendere. Era rimasto lì, nella sua piccola mente, alla ricerca di uno spazio più grande, un luogo in cui ci sarebbe stato un significato per ogni sguardo, per ogni particolare. ”Le bandiere disegnate sulla tua faccia erano bagnate e colavano, ma nel sogno non pioveva e hai preso la faccia di Darko così e…” s’interruppe. Si voltò nuovamente verso di lui e afferrò ancora una volta il suo viso fra le piccole mani, stringendo appena mentre, Darko potè perfettamente riconoscerlo, il suo sguardo s’incupiva appena e le labbra tornavano a curvarsi verso il basso, come quando poco prima Maeve le aveva detto che sarebbero dovute andare via. Darko increspò le sopracciglia mentre serrava ancora le labbra e provava a comprendere quelle parole, a dare forme e colori a quelle immagini di cui Malia parlava con tristezza, quasi ne avesse percepito l’essenza anche solo guardando. Ma per Darko restava tutto astratto, la ricerca di un ricordo che proprio non aveva. ”Perché piangevi mamma? È stata colpa mia?” la voce di Malia si abbassò piano, come se un nuovo ed insolito senso di colpa, ancora del tutto sconosciuto e inspiegabile, si tramutasse in marea per spargersi su tutto il resto, sulle poche certezze che lei a otto anni avrebbe potuto avere. Alta, l’acqua ondeggiava su quei ricordi non suoi e si trasformava in maremoto anche per Darko e Mae. Quando tolse le mani dal suo viso, Darko sentì il calore delle dita di Malia venir meno e lasciar spazio alla freschezza dell’aria norvegese, anche in quella giornata normalmente calda. Era quasi incapace di muoversi, sentiva i muscoli delle gambe pregare per aiuto sotto il suo peso, i polpacci ancora contratti e le caviglie ormai semi indolenzite. Eppure, mentre il corpo chiedeva movimento, gli occhi non riuscivano a spostarsi dalla figura di Malia che ora si lasciava avvolgere dalle braccia di Mae, abituate a tenerla stretta fra di esse e sempre pronte, anno dopo anno, ad accogliere quella che Malia sarebbe diventata crescendo. Fu quasi nostalgico, eppure surreale: quella sensazione Darko non l’aveva mai provata ma notava quanto Malia non nascondesse di averne bisogno. ”Ehi tesoro ascoltami, va tutto bene lo vedi? La mamma non piange ora. E non è mai, mai colpa tua se la mamma è triste.” le parole di Maeve risuonarono lontane, così intime da spingere Darko a distogliere lo sguardo dalle loro sagome abbracciate mentre, con una leggera spinta nei polpacci, tornava a sollevarsi portando poi una mano alla fronte e premendo i polpastrelli delle dita indice e medio contro la pelle corrucciata che sovrastava anche gli occhi. Schiuse appena le labbra, tornando poi a guardare il viso di Mae, questa volta ritrovandoci lo sguardo di lei alla ricerca del suo.
    ”Mi dispiace.” - lo lesse attraverso le sue labbra in un movimento poco chiaro, quasi insicuro, mentre le braccia della donna ancora stringevano a sé il corpo minuto di Malia, lo sguardo preoccupato di chi non sa come rimettere a posto i frammenti di un oggetto preziosissimo andato in pezzi. Compì qualche passo nella loro direzione, Darko, ancora impossibilitato a credere che tutto quello fosse avvenuto davvero e a lui, che quelle parole pronunciate poco prima dalla bambina potessero anche solo in parte rappresentare qualcosa che fosse veritiero, già accaduto un tempo così andato e perso nel prima che Darko neanche riusciva a ricordarlo. Cosa c’era di sbagliato in tutto quello? Cosa c’era d’errato che lui ancora non riusciva a sistemare all’interno di quelle esperienze che con gli anni aveva accumulato? Ricordava di Mae, ricordava della notte di circa nove anni prima che li aveva visti più vicini di quanto mai lo fossero mai stati, avrebbe creduto lo fossero stati anche più di quanto lo erano in quel momento, dove a separarli vi era lo sguardo confuso di una bimba di otto anni. Una volta vicino a loro, Darko si fermò e posò una mano sulla nuca di Malia, che ancora un po’ provata da quello che era accaduto, si ritrovò a voltare piano il capo nella sua direzione e sollevare quindi lo sguardo per posarlo in quello di lui, in piedi di fianco a lei. Malia, hai fame? ti va una frittella? chiese allora Darko, sorridendo nella direzione della piccola e tirando fuori una banconota dalle tasche dei jeans per poi allungarla nella sua direzione. Malia si staccò piano dal corpo di Maeve, sciogliendo piano l’abbraccio e portandosi una mano a strofinare gli occhi ancora un po’ lucidi per via della tristezza di poco prima. Si voltò verso sua madre, allargando le sopracciglia quasi volesse chiederle il permesso in quella maniera. ”Posso?” sussurrò poi, abbassando appena il viso nella sua direzione e lasciando a lei la scelta. Quando Mae annuì lasciando andare il corpicino della figlia e permettendole di afferrare i soldi che Darko le stava allungando, Malia si voltò verso di lui ed accettò l’offerta. Vai, prendine due, anche la mamma ha sicuramente bisogno di metter qualcosa sotto i denti. disse Darko, posando una mano sulla schiena di Malia ed indicandole la bancarella più vicina, a solo due metri di distanza da loro. Seguì Malia con lo sguardo, nella stessa maniera in cui sembrò farlo Maeve per non perdere la piccola di vista. Quando la vide giungere al bancone, forse troppo alto per lei, e riuscire comunque a parlare con il rivenditore, Darko si voltò verso Maeve. Lo sguardo questa volta più indispettito e comunque ancora confuso. Cos’è questa storia? chiese a bruciapelo posizionandosi esattamente di fronte a lei, le braccia che s’incrociavano sul petto, le spalle rigide di chi cerca d’esser pronto a sorreggere un peso più grande di quanto sia possibile anche solo immaginare. Da dove ha tirato fuori quella roba, come faceva a sapere di… non so nemmeno io cosa. aggiunse, abbassando il tono della voce alla fine e al contempo anche lo sguardo, puntandolo sull’asfalto fra di loro, i piedi fermi di chi avrebbe però voluto correr via. Quando lo risollevò per posarlo sul viso della donna, Darko si sentiva ancora più confuso. Girò la nuca in direzione di Malia, alla ricerca della sua piccola figura e ritrovandosi a ad osservare, per l’ennesima volta, quello che a lui sembrava essere più incredibile di ogni altra cosa: la voglia, sempre lì e in bella vista. Tornò con lo sguardo su Maeve, sospirando appena mentre avvertiva la voce squillante e dolce di Malia ordinare le frittelle. Una per lei, una per la mamma. La voglia, Maeve. È la stessa che ho io, e quanti anni ha Malia con esattezza? chiese ancora, il tono della voce leggermente più alterato, il tremolio leggerissimo nelle mani tenuto sotto controllo dalle dita strette attorno alle proprie braccia, ancora incrociate contro il petto. Quando si voltò, notando Malia che afferrava la seconda frittella, pronta a tornare nella loro direzione, Darko si voltò a guardare Maeve ancora una volta, l’ennesima, in attesa di poter leggere qualsiasi cosa sul suo volto che potesse spiegare ogni cosa. Giurami che è Kinnaman il cognome che le spetta e ti prometto che questo incontro avrà vita e morte qui, domani non me ne porterò neanche l’accenno di un ricordo dietro. sentenziò, a denti stretti, appena prima che Malia apparisse di fianco a loro con le due frittele strette fra le mani, una allungata nella direzione di sua madre e l’altra che veniva mozzicata dai dentini bianchissimi che nascondeva dietro le stesse labbra che, era chiaro anche agli occhi di Darko, aveva ereditato da Maeve. E' buona? chiese allora, rivolgendo alla piccola un sorriso sincero ed accogliendo lo stesso che lei sembrò donargli in cambio, mentre con la bocca ancora piena andava a ringraziarlo. Fì, graffie. bofonchiò, andando poi ad afferrare la mano di Maeve e continuando a mangiare la frittella.
    Quando sollevò lo sguardo su Maeve, Darko si ritrovò a mordersi la guancia da dentro, il sapore del sangue che andava a disperdersi sulla lingua e gli occhi che scavavano dentro quelli di Mae, forse ancora troppo riparati dalla luce per poter sembrare chiari e ricolmi di una verità che, dopotutto, pensò gli spettasse.
     
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    Malia e Darko insieme creavano un'immagine a dir poco surreale di cui non si sarebbe mai aspettata d'esser testimone, e Mae la guardava tra lo sconcerto e un incontrollabile sorriso, come se averli nello stesso campo visivo avesse dell'incredibile. Quella fine estate di molti anni prima infatti, mentre l'allora ragazzina Mae aveva compiuto quell'azione tremenda, si era anche promessa di non tornare indietro e di far in modo che sua figlia crescesse protetta dalla verità che, lo credeva ancora, l'avrebbe profondamente ferita. Il sorriso si spense come si estingue un fuoco, gradualmente, mentre il ricordo di quel rifiuto le provocava un brivido lungo la spina dorsale, nonostante gli anni di distanza. Sembra il nome di una spezia. Come hai detto, scusa? Ki-? A quel punto stringeva ormai le labbra, Mae, un paio di rette contratte a formarne una più lunga e inflessibile mentre, lo sguardo sempre su di lui, la mano lasciava perdere la fede per stringere le dita sull'esile spalla della figlia, una presa fin troppo sentita mascherata malamente dell'apprensione sbagliata. Non era più persa, Malia, forse non si era mai neanche smarrita davvero nella folla perché lui aveva trovato lei e viceversa, come due cariche dello stesse segno che non possono sottrarsi alla forza d'attrazione reciproca; forse proprio di quello avevano paura le dita sulla maglia della bambina, delle legge da loro ignorata che li voleva uniti a livello biologico, molecolare, cellulare, e che avrebbe potuto portargliela via con facilità. Forse Darko ha bisogno di un bel disegnino dei tuoi per capire e ricordarsi bene il nostro cognome. Sollevò le labbra in un sorriso piccolo, diverso da quelli tutti denti che ora anche la figlia aveva preso a imitare. Abbassò il mento verso la bambina, allora, accarezzandole la testa mentre quell'ingiusta frecciatina volava indirizzata a perforare l'anima dell'uomo alto e robusto di fronte a lei. Guardando negli occhi di Malia, come succedeva spesso Mae si sentì terribilmente in colpa. Era forse perché in cuor suo sentiva di essere stata la prima a creare quel disequilibrio dividendoli, che avvertiva Darko come una tale minaccia per loro? Era davvero così insicura da credere che Malia potesse non avere più bisogno di lei? Erano un tutt'uno, quelle due, persino l'umore ondeggiava dall'una all'altra con una continuità da mareggiata. Forse temeva che Malia avesse potuto disprezzarla una volta saputo quel terribile segreto, la verità su come la sua stessa madre l'aveva tenuta lontana dal padre. Poteva ripetersi che Rikke ricopriva ormai quella figura e in parte era così, ma forse aveva davanti agli occhi la prova che certi legami non si spezzano neanche provandoci. Pensò allora al destino quasi con tenerezza, che a rifletterci bene quell'incontro non doveva per forza essere una tragedia, che forse era solo il modo che la vita aveva di mettere le cose al posto giusto per quanto possibile. Pur ignorandolo entrambi infatti, quei due stavano vivendo un momento importante, quasi magico, e Mae era pronta a venire a patti con esso per il bene di Malia. Lasciò che la figlia parlasse dell'uomo come di un amico, che si gustasse a pieno quel momento che non sarebbe mai più ricapitato, una prima e unica volta che chissà, probabilmente avrebbe dimenticano nel giro di un paio di giorni o forse una volta che Fante fosse andato a finire nella scatola dei ricordi, nella soffitta polverosa di casa Kinnaman.
    Ma a scuotere quella ritrovata positività nei confronti di Darko e dell'intera faccenda ci pensò una cosa minuscola, una piccola macchia sulla spalla che se ne stava lì come una fogliolina inerme, una fragola rossa che a Mae piaceva sempre baciare con le labbra schiuse come a volerla mangiare. Gridava dell'incredibile quella faccenda, che quella minuzia avesse una sorella gemella e che insieme fossero in grado di dissestare le fondamenta di qualcuno.
    Reagì d'istinto, Mae, avvolta da un panico crescente che la spinse ad allontanarsi il più in fretta possibile da lì, come se così facendo la bomba innescata non avrebbe avuto mai tempo di esplodere, come se sarebbe bastato fuggire per dimenticare. Ma la miccia era già accesa e brillava negli occhi della piccola Malia che, anche se fossero riuscite a mettersi in salvo, non sarebbe mai tornata indietro al prima di Darko.
    Doveva immaginarlo, Mae, ma la paura spingeva tasti irrazionali che le offuscavano la mente impedendole di pensare con lucidità e che, di conseguenza, causarono lo scricchiolio interiore che avvertì allo sterno quando sentì la figlia sfuggire alla sua presa. Fu un istante di impatto, quello in cui le dita di Malia scivolarono via dalle sue. Malia... Fu come sentire un pezzo andare alla deriva senza capire quale parte del corpo fosse interessata, forse tutto. Millimetri di distacco, ombre delle cose piccole che corrono per unirsi a quelle più grandi, Malia che si stringeva a Darko per spingere con i palmi sulle guance, la barba di qualche giorno a lasciare invisibili puntini sui polpastrelli. E perforata da piccoli chiodi sentiva d'essere Mae mentre, le braccia inermi lungo i fianchi, si riempiva i polmoni di dispiacere ascoltando Malia confessare la propria confusione. Come aveva potuto non notarlo prima? Era sua madre, avrebbe dovuto sapere, accorgersi della più piccola piega di quel volto e invece si era lasciata sfuggire una cosa così grande. Da quanto andava avanti quella storia? Da quanto Malia riusciva in qualche modo a vedere il passato? E come? Erano tutte domande che avrebbe dovuto porre con delicatezza e senza far sentire la piccola sotto accusa, in quel modo in cui solo le madri sanno fare. Ma madre in quel momento non si sentiva o meglio, le pareva di essere una delle peggiori sul pianeta terra. Voleva ignorare il richiamo di Darko, voleva cancellare il modo in cui Malia lo guardava, voleva tornare indietro e non perdere di vista Fante; se fosse riuscita a riavvolgere il nastro non si sarebbe di certo arrabbiata come aveva fatto la prima volta, per un motivo che neanche ricordava più. Ma tornare indietro non era quello che faceva lei, Mae cancellava pezzi di memoria le cui ripercussioni era troppo sciocca per prevedere. Era qui, vedi? Ora non lo porto più. Solo ogni tanto se ho voglia di sentirmi giovane. Seguì quel movimento come fosse anche lei partecipe del momento, troppo lontana per scorgere la cicatrice sul lobo ma abbastanza vicina a quel giorno con la mente da ricordare esattamente l'orecchino di metallo che un tempo vi aveva trovato casa. Di Malia ora vedeva solo la nuca dai capelli lunghi e cadenti, morbidi come le più belle lenzuola esistenti, ma percepì la sua confusione come fosse sulla propria pelle. Doveva essere spaventoso non riuscire a distinguere realtà dai sogni, a volte persino lei faticava a capire la differenza tra ricordi e presente e non osava immaginare come potesse sentirsi persa una bambina di otto anni. La sua bambina, quella che avrebbe dovuto proteggere da tutto.
    Fu un miracolo che Mae riuscì a chinarsi per accoglierla tra le braccia senza spezzarsi, una mano che subito le cingeva la vita e l'altra che si andava a posare sulla nuca, le dita fra la chioma liscia dello stesso colore della sua. Malia, va tutto bene, mamma non ti lascerà più sola. Neanche nei sogni. Lo disse a bassa voce, nell'orecchio scoperto di Malia, non sapendo se davvero sarebbe riuscita a mantenere quella promessa. Sperava di si, Mae, e avrebbe fatto di tutto per capire cosa stesse succedendo e come fare a impedirlo. Lo sentì avvicinarsi e d'istinto cercò di arretrare ma Mae glie lo impediva. Guardandoli l'uno vicino all'altro, la donna si sorprese di quante somiglianze notasse all'improvviso, come se più la verità si avvicinava alla superficie, più le loro similarità spiccavano decise, tutto a un tratto prepotenti.
    Si alzò per quella che doveva essere la dodicesima volta, e le ginocchia trovarono subito sollievo nell'essere di nuovo distese. Certo, vai pure. Si sforzò di farle un sorriso, mantenendolo ampio anche quando sentì l'uomo proporre di comprarne una anche per lei. Non solo non aveva fame, ma la nausea era stata così forte e perpetua negli ultimi dieci minuti da farle credere di sentirsi male. Tuttavia annuì comunque a Malia, forse così entusiasticamente da tradirsi. La bambina però non sembrò cogliere altro e Mae la seguì con lo sguardo, per accertarsi che arrivasse al bancone. Avrebbe continuato così se non avesse colto con la coda dell'occhio i movimenti di Darko poco prima che la sua voce la raggiungesse in una domanda confusa ma quasi accusatoria. Cercò di focalizzarsi ancora sulla figlia, ma la presenza dell'uomo era così elettrica da non poter essere più ignorata.Distogliendo malvolentieri gli occhi dalla piccola, Mae li puntò rapidamente sull'uomo mentre indietreggiava di un mezzo passo, un gesto automatico come a volersi difendere, se non dalle parole, almeno da quella improvvisa vicinanza. Lo sguardo indispettito, le braccia incrociate in un nodo di muscoli al petto, Darko non sembrava per niente felice e non poteva biasimarlo, Mae, che tuttavia sotto attacco non reagiva nel migliore dei modi. Cos’è questa storia? Da dove ha tirato fuori quella roba, come faceva a sapere di… non so nemmeno io cosa. Riuscì a mantenere lo sguardo alto solo perché l'uomo aveva abbassato per un po' il suo, puntando le iridi azzurrine sull'asfalto in mezzo ai loro piedi e concedendo così alla donna il tempo di soffermarsi su particolari che di quel volto prima non era riuscita a scorgere. Le ciglia erano sempre le stesse, folte e lunghe quasi vibravano seguendo il ritmo delle sue emozioni; la fronte era attraversata da un paio di segni lì dove la pelle era solita piegarsi, impronte sottili di espressioni ricorrenti, usuali; gli zigomi delineati, il viso spigoloso, anche gli occhi, a parte due o tre rughette agli angoli, erano gli stessi che tempo prima l'avevano vista a quella festa come fosse la prima volta. La cosa veramente diversa era il modo in cui la guardavano ora che Darko li aveva sollevati di nuovo, con un'accusa che forse feriva di più del riverbero nelle sue parole, con un rimprovero al quale le iridi più chiare di Mae non riuscirono proprio a dar testa, abbassandosi sulle proprie mani e sulle dita che si tormentavano l'un l'altra. Dovette abbracciarsi il corpo per non sobbalzare al tono più alto e aspro della sua voce, balbettando una risposta confusa, la mente che cercava di lavorare senza riuscirci. Nov---Otto. Ha otto anni. Si detestava quando faceva così, odiava quando gli altri la facevano sentire piccola e alle strette come un animale messo all'angolo. Succedeva con Rikke, ora più spesso che mai, quando lui alzava la voce e la riduceva a un esserino insignificante. Paralizzata, così si sentiva in quel momento, incapace di prendere una qualsiasi direzione perché troppo impegnata a cercare di prevederne le conseguenze. Giurami che è Kinnaman il cognome che le spetta e ti prometto che questo incontro avrà vita e morte qui, domani non me ne porterò neanche l’accenno di un ricordo dietro. Deglutì, Mae, sollevando le palpebre e il mento per affrontarlo, finalmente, le mani che scattavano in giù e si stringevano in due pugnetti contro il bacino. Non sarebbe la prima volta. sbottò stizzita, il tono basso per non farsi sentire, un sibilo carico di emozioni. Ho già sperimentato sulla mia pelle quanto sia semplice per te mettere un punto alle cose, anche quelle più importanti. Istintivamente lanciò un'occhiata alla figlia che stava pagando il signore dello stand, quindi sul punto di fare dietrofront e tornare da loro. Tornò allora velocemente a rivolgersi a Darko, lo sguardo serio reso un po' lucido dalle forti e contrastanti emozioni. Il suo cognome è e resterà Kinnaman, qualsiasi cosa accada. Hai perso ogni diritto quando non ci hai volute tenere con te. Lo disse tutto d'un fiato, mangiandosi l'ultima, aspra parola proprio nel momento in cui Malia zampettava allegramente di fianco a loro, dimentica ormai della piccola situazione vissuta qualche minuto prima. Non c'è confusione che regga quando si tratta di cibo. Ora Mae sentiva il cuore esploderle in gola mentre, ignara di ogni cosa, la piccola Malia le offriva l'altra frittella. Per un attimo non riuscì a parlare, Mae, gli occhi puntati sul dolce che stringeva fra le dita come se fosse la cosa più importante dell'universo, mentre sentiva Darko trapanarla con lo sguardo. Si morse il lato della lingua, il respiro un po' alterato di chi è sul punto di avere un attacco di panico. Si concentrò sui granelli di zucchero che dalla frittella erano scivolati sulle dita, una cascata appiccicaticcia che non l'avrebbe trattenuta dal baratro con la sola forza di quella colla naturale. Fu come al solito Malia a salvarla, i suoi occhioni comparvero nel suo campo visivo e improvvisamente Mae si sbloccò. Quella piccoletta conosceva l'arte di invocare i ricordi felici. Tutto ok mamma? Non c'era posto per nient'altro. Le fece un grande sorriso annuendo. Si Mumù. Allora, come si dice? Incitò la piccola a ringraziare Darko per il cibo, una mano a palmo aperto fra le scapole della bambina mentre tornava a sorreggere lo sguardo dell'uomo, incerta e forse anche un po' triste. Jannik, mi dispiace davvero per tutto questo, non era nostra intenzione irrompere nella tua giornata e incasinarla così. Faresti bene a seguire il tuo stesso consiglio e a lasciarti questo incontro alle spalle. Certe cose è meglio non ricordarle. Aveva fatto un piccolo sospiro, Mae, le iridi opache e un po' malinconiche ora irremovibili da quelle di lui. Per un istante pensò a come sarebbe potuta essere la loro vita se a lui non fosse mancato un tassello del puzzle, quello più importante, ma non riuscì a immaginare altro se non alla differenza più grande di tutte: che sarebbe stata una vita insieme. Scosse il capo a lasciare indietro quel pensiero, rivolgendosi nuovamente alla figlia. Che dici piccoletta, è ora di andare? Un boato, un suono da bomba atomica è ciò che ci si aspetta quando la realtà che si conosce si spezza e la traiettoria della proprio vita devia all'improvviso e senza avvisaglie, una personalissima catastrofe naturale. Eppure la sua era avvenuta in un silenzio tombale, dove c'era posto solo per un paio di spalle larghe, un sorriso da stronzo e lo stesso paio di occhi blu cielo.
     
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    Avere cura delle persone, delle cose, del tempo che scorre: ci vuole un gran fegato per restare al fianco di qualcuno, qualsiasi cosa accada. Essere fedeli, sinceri, costanti, sembrerebbe il compito di un genitore nei confronti di un figlio, eppure neanche tutti riuscivano a tenersi sullo stesso percorso per tutta la vita, dimostrandosi capaci di farlo. Darko lo aveva vissuto sulla propria pelle, aveva imparato sin da piccolo a bastarsi, a non chiedere mai troppo e non aspettarsi altrettanto. Allora aveva acquisito moltissime nozioni pratiche: come farsi valere in un campo, come sorridere con uno solo degli angoli delle labbra sollevato, come scrollare le spalle per lasciare al caso la fine di una conversazione. Ma prendersi cura di qualcuno proprio non era mai stato il suo forte, che della distruzione degli altri non credeva di farne mai parte anche quando vi ci era immerso fino al collo. Non era bravo in niente di tutto ciò, forse perché non aveva mai davvero avuto qualcosa per cui lottare. Lasciava che la vita si scontrasse contro di lui, che lo attraversasse e poi se la filasse a gambe levate lasciandogli il sapore dell’amaro in bocca, un retrogusto che col passare del tempo era divenuto più familiare di quello lasciato sulla lingua da un sorso di caffè mattutino. Aveva perso moltissime cose, tante persone e, con gli occhi posati in quel momento sulla spalla della piccola Malia apparsa letteralmente dal nulla, si rese conto di aver perso anche una parte del proprio futuro. Spezzato fra quello che era e ciò che avrebbe potuto essere, qualsiasi cosa essa fosse, Darko si rese conto di quanto inerme lui potesse essere davanti alle convinzioni di qualcun altro. Cosa fai quando il tempo scorre e le stagioni si susseguono, una dopo l’altra? Cosa fai se ami la neve così tanto ma ogni anno devi vederla scomparire sotto ai raggi del sole e non puoi fare nulla per invertire il tempo? Cosa fai quando ti rendi conto di essere stato estromesso dal destino di qualcun altro nonostante è certo che sia tuo almeno per metà?

    La mano di Maeve sulla spalla della figlia rese chiaro un concetto che Darko avrebbe compreso appieno solo qualche istante più tardi: la connessione di due anime, l’amore incontrollabile di due persone che davvero non sanno fare altro se non prendersi cura l’una dell’altra inconsapevolmente, anche se in maniere del tutto indifferenti. Quello erano Maeve e Malia agli occhi estranei di Darko che, a guardarle da soli pochissimi respiri di distanza, pensava a quanto Maeve potesse e volesse prendersi cura della piccola che, quasi come se fosse sbucata dal passato di lei attraverso un buco nel tempo e nello spazio, rendeva certezza il legame consanguineo che le legava. Forse Darko ha bisogno di un bel disegnino dei tuoi per capire e ricordarsi bene il nostro cognome. specificò Maeve, quasi volesse ribadire ancora una volta la differenza che oramai lottava affinché si rendesse sempre più visibile agli occhi dell’altro, ancora in piedi di fronte a loro. Rise in maniera leggera, un suono soffocato che si innalzava dal petto alle labbra e ne fuoriusciva calmo, sereno. Davanti a lui non c’era più la Maeve cheerleader di qualche anno prima, ora ostentatamente sostituita da qualcuno che, forse, era dovuta crescere troppo in fretta. E frettoloso fu tutto quello che avvenne dopo, la trama surreale di un film dalle scene scollegate, partiva dalla fine per giungere all’inizio e concludersi nel mezzo. Era quello il modo in cui si sentì Darko per tutto il tempo, il calore dei polpastrelli di Malia gli restò appiccicato alle guance anche quando la bambina si fu staccata da lui per correre in direzione della madre e cercare conforto fra le sue braccia, le uniche che forse avrebbero potuto cullare quelle paure perché a lei, invece che a loro, erano del tutto familiari. Di cosa Malia avesse parlato per tutto quel tempo Darko non lo sapeva, come avrebbe potuto? Nella sua mente e nella cavità dei ricordi non vi aveva trovato proprio nulla che potesse aiutarlo a risalire al momento, quello che da collegamento avrebbe potuto dare una spiegazione logica e sensata a tutto il film che, dopo aver messo play quella mattina, aveva iniziato a vivere al posto suo, gli occhi di Malia che così vicini a quelli di lui avevano fatto da schermo all’inquadratura principale del suo viso, un primo piano così confuso e insicuro che mai in tutta la sua vita Darko aveva visto riflesso in uno specchio. E, sebbene il riflesso nello specchio fosse la sua esatta copia, fu in quello che rivide nello sguardo triste di Malia e nelle increspature d’espressione che ne avevano animato il viso che Darko riconobbe parte di se stesso, la più basilare e genuina, quella cha che non avrebbe avuto il potere di controllare neanche se avesse deciso di cambiare repentinamente la propria espressione così da seguire la mutazione anche oltre il vetro dello specchio. Per un istante, fra le miriadi di motivazioni per cui avrebbe dovuto sentirsi stupido, Darko ne trovò una che lo plasmò per il resto della mattinata, forse per il resto della giornata o addirittura per la vita: l’inspiegabile, surreale, incredibile e folle ipotesi che, dopotutto, Malia fosse davvero quella che tempo prima era stata una piccolissima parte di lui, ora cresciuta e troppo grande per restare nascosta. E fu a quello che puntò quando la piccola si fu allontanata da lui e Maeve per comprare un paio di ciambelle fritte, lo spacco a metà di una conversazione da altri toni, la fessura di luce in una stanza buia. Le accuse, perché di quello si trattò nel momento stesso in cui esse vennero fuori dalle labbra di Darko, andarono a schiantarsi violentemente contro la figura ora esile di Maeve, che a distogliere lo sguardo dalla sagoma di sua figlia faceva una fatica immensa, chiunque avrebbe potuto notarlo a chilometri di distanza ora. A voce alta, poi, persino tutto quello in cui Darko aveva creduto fino a quel momento divenne della stessa sostanza dell’insicurezza di Maeve, quella stessa che prese a mutare non appena la verità si fu ingigantita così tanto da essere esplosa davanti alla faccia di entrambi. Non seppe esattamente cosa avrebbe dovuto aspettarsi, forse perché una parte di sé prese a sperare che, così folle come gli sembrava di ragionare in quel momento, idiota fosse anche la sola idea che qualcosa del genere potesse essere reale. No, certo non avrebbe potuto esserlo, non poteva essere padre, Darko non aveva la più pallida idea di come ci si comportasse, come si faceva ad essere genitore, non era mai stata un’opzione e per tutta la vita aveva persino evitato di avvicinarsi all’eventualità che potesse accadere. Eppure quella voglia, quegli occhi, il ricordo che Malia di lui aveva e che, al contrario, lui di lei non aveva, tutto richiamava la sua attenzione e lasciava spazio a pochissimi ed insensati dubbi, più insensati di quanto avrebbe potuto esserlo abbassare finalmente le difese e accettare la realtà, qualsiasi prezzo questa avesse.
    Messa forse alle strette, Mae fece istintivamente un passo indietro, allontanandosi dalla figura di Darko che, lo sapeva, ora aveva perso ogni angolatura morbida, ogni rotondità fatta di istintiva gentilezza che solo poco prima aveva mostrato nei confronti di Malia, l’unico seme che lì intorno sembrava riuscire a fiorire anche nel mezzo di un temporale, forse perché da una tempesta di corpi, sensazioni e nuove emozioni, quasi nove anni prima, era nata. Nov---Otto. Ha otto anni. lo disse mentre si teneva stretta, mentre le braccia si tenevano ferme contro il busto, ora che Malia era troppo lontana per permetterle di allacciarsi attorno al suo corpicino e farne scudo alle emozioni che, altrimenti, l’avrebbero atterrata in pochissimo tempo. Perché, sebbene non l’avesse mai sentita troppo vicina, Darko aveva conosciuto le sfumature di sensazioni che si erano spalmate sul viso di lei anche nel prima, quello stesso disappunto con il quale un tempo lo aveva letteralmente attaccato senza mai davvero ferirlo, quello che tempo dopo si era tolto la maschera mostrandosi a lui come interesse, qualcosa che Darko aveva voluto rimanesse passeggero. E lì, nel mezzo di un Luna Park e sotto il sole mattutino di un giorno di troppi anni trascorsi in silenzio fra di loro, convinti d’esser separati, si erano ritrovati. Anche a voler fingere che non fosse così, niente sarebbe più stato lo stesso, lo sapevano entrambi. Otto. si ritrovò a ripeterlo in un sussurro, distogliendo lo sguardo da lei, che a quel punto neanche gli diede altro tempo per parlare, per chiedere, per lamentarsi di qualcosa che ancora nella sua mente non aveva preso alcuna forma. Sbatté le palpebre un paio di volte, come se fosse rimasto indietro, come se le parole dette poco prima fossero sbucate fuori dalle labbra di qualcun altro mentre la sua mente andava a ritroso, alla ricerca di certezze che già aveva ma alle quali sembrava non voler credere. Otto anni, gli ultimi ricordi di Mae si fermavano a quella notte nel bosco, forse erano passati poco più di otto anni da allora, forse otto anni e nove mesi. E alla speranza illusoria che non fosse così andò a sovrapporsi lo sguardo colpevole di Mae che, ora, era tornata a voltarsi nella sua direzione e aveva finalmente sciolto la presa delle braccia attorno al proprio busto per lasciare che queste le ricadessero lungo i fianchi, le dita delle mani che andavano a chiudersi in due pugni strettissimi, Darko lasciò che le iridi chiare si abbassassero nella direzione di quelle mani perché per un istante solo sembrò più facile guardare le nocche farsi bianche sotto la pelle tirata di Mae invece che il suo viso, gli occhi chiari dai quali ora tutta la verità aveva preso a sgorgare, ancor prima che lei potesse schiudere le labbra per parlare e dare una forma a tutto quello che lui fino a quell’istante aveva sospettato solamente. Non sarebbe la prima volta. fu il primo graffio di voce e Darko tornò a sollevare lo sguardo su di lei, le dita delle mani che si stringevano con più forza attorno al tessuto delle maniche che ricoprivano le sue braccia strette ancora contro il petto ora rigonfio, non stava respirando. Ho già sperimentato sulla mia pelle quanto sia semplice per te mettere un punto alle cose, anche quelle più importanti. continuò Maeve, slacciando gli occhi da quelli di lui per spostare lo sguardo sulla figura di Malia, ancora poco distante da loro e impegnata nell’acquisto di due ciambelle. Serrò le labbra Darko, forse per tenersi dentro l’irrefrenabile e caotico crollo che i tasselli della sua vita vissuta fino ad ora crearono venendo giù uno dopo l’altro, tritati via dall’incastro che lui aveva trovato per loro da mani sconosciute. Di che diavolo stai parlando? Non hai la più pallida idea di chi io sia. lo disse in un sussurro concitato, nervoso da quello che lei sembrava sapere di lui pur non conoscendolo. Stupito dalla piega che sembrava prendere ora la conversazione, Darko spalancò gli occhi e lasciò che un’espressione dura e al contempo ironicamente incerta si aprisse sul suo viso. Sotto la pelle la rabbia, crescente e infuocata dentro lo sterno, si spingeva nelle vene attraverso il sangue e portava il cuore a pompare in maniera frettolosa, la stessa velocità che sembrarono avere le successive parole rivolte a lui da Mae. Il suo cognome è e resterà Kinnaman, qualsiasi cosa accada. Hai perso ogni diritto quando non ci hai volute tenere con te. fuoruscirono veloci e affilate quelle parole, erano composte da lettere così spigolose da conficcarsi dritte nella testa di Darko, nel cuore, nei polmoni, anche se sapeva perfettamente che a chinarsi con lo sguardo e cercarle non sarebbe servito a nulla, non le avrebbe davvero trovate addosso, conficcate nella carne che pensò avrebbe fatto meno male se solo avesse preso a sanguinare. Sciolse il nodo di braccia dal petto e lasciò che queste si distendessero lungo il profilo, le dita aperte come se avesse bisogno che i polpastrelli tornassero ad assaporare l’aria. Maeve… sottile, flebile, incredulo, stanco, accusatorio e, più di tutto, deluso: in quel nome pronunciato a mezza voce, Darko racchiuse tutto quello che stava provando in quel momento. Un segno d’arresa, forse, qualcosa che per un momento gli fece pensare di lasciarsi tutto alle spalle e scappare via dal punto dell’asfalto sul quale teneva premute le suole delle scarpe, gli sembrò d’essere così pesante da essere ormai incapace di muoversi in qualsiasi direzione. Se solo avesse sollevato il piede, quando ci sarebbe riuscito, avrebbe certamente trovato l’impronta delle sue dita o del tallone. Un’ammissione, quella da lei appena pronunciata, che avrebbe messo in discussione per davvero tutta la sua vita e sul quale lei non sembrava volergli lasciare alcun controllo. In secondo piano, dopo la certezza ora di essere padre, le accuse di Maeve nei suoi confronti che sembravano riguardare attimi di vita vissuti da altri, non da Darko, che di quell’indifferenza davvero non ne ricordava neanche l’accenno più piccolo.
    Sebbene credesse di essersi immobilizzato davanti a quella nuova certezza, spaventosa e ancora incapace da assimilare e collocare in un qualsiasi scompartimento della sua vita, Darko si costrinse a distogliere brevemente lo sguardo dal volto di Maeve per spostarlo su quello della piccola, ora di ritorno con le frittelle fra le mani, una delle quali offrì immediatamente a sua madre, forse per gentilezza, forse perché desiderosa di addentare la propria il prima possibile. Il silenzio calato fra i due adulti e rotto dalla vocina di Mumù, nuovamente presente a dividerli, assunse la forma visiva dei loro sguardi che tornavano a collegarsi e dicevano ben altro rispetto alle parole, si accusavano a vicenda per i segreti che per anni li avevano separati e che ora, dal nulla, era tornati ad avvicinarli. E in quegli occhi Darko si perse per qualche istante ancora, alla ricerca di una spiegazione che davanti a Malia certamente non sarebbe arrivata e che lui stesso mai avrebbe preteso, non così violentemente. Jannik, mi dispiace davvero per tutto questo, non era nostra intenzione irrompere nella tua giornata e incasinarla così. Faresti bene a seguire il tuo stesso consiglio e a lasciarti questo incontro alle spalle. Certe cose è meglio non ricordarle. aggiunse la donna, la mano di lei ancora premuta contro la spalla di sua figlia, l’essere così ricolmo di vita tanto da riuscire a donarne agli altri, Mae per prima, che da ogni contatto con Malia sembrava rigenerarsi e ricaricarsi, quasi fossero fatte di energia liquida e potessero passarsela segretamente dall’una all’altra, sembrò incredibile persino a Darko che, in quello stato, a tutto pensava tranne che alla bellezza del legame che gli si parava davanti agli occhi, scacciato via da quell’intesa certamente non per sua scelta. Fu incapace di rispondere immediatamente alle parole di Maeve, Darko, che ora si prendeva qualche secondo per distogliere lo sguardo dalle due e voltarsi lateralmente con la nuca, prendersi il tempo per inspirare e soppesare la più piccola decisione da quel momento in poi, soprattutto dopo che il suo mondo era stato letteralmente ribaltato e messo sotto sopra, una postura la cui prospettiva era tutta nuova ma dalla quale - lo seppe in quello stesso istante in cui tornò a guardare prima Malia che lo ringraziava e poi di nuovo Maeve - avrebbe imparato ad osservare, ripartendo da zero. Sollevò il mento, sorrise gentile, il cuore tornò a battere ad un ritmo tranquillo. Che dici piccoletta, è ora di andare? fece per congedarsi da lui, Mae, scegliendo di nuovo per entrambi. Quello fu ciò che nella frazione di un secondo Darko aveva deciso sarebbe cambiato: aveva pensato, Mae, che dopo avergli rivelato di essere una parte di Malia, lui avrebbe lasciato che le loro strade tornassero a separarsi così da impedire loro di incontrarsi nuovamente?
    Si ritrovò ad annuire nella loro direzione appena prima di tornare ad abbassarsi sulle ginocchia e quindi all’altezza di Malia mentre, con gli occhi ora totalmente rivolti alla piccola ed un sorriso amichevole sulle labbra, Darko la scrutava da vicino per ancora qualche secondo. Se avesse dovuto descrivere quella sensazione, la stessa che silenziosa si era fatta spazio dentro di lui e oltre la patina di paura che sembrava aver incartato quell’idea per tutto il tempo, Darko avrebbe detto che sentiva il cuore sciogliersi al calore di un corpo e uno sguardo che mai avrebbe pensato potesse anche solo esistere o nascere da qualcosa di suo per mantenersi genuino, buono, degno di cure e attenzioni proprio come lo era Malia ai suoi occhi in quel momento.
    E’ stato un piacere conoscerti Malia, che ne dici se la settimana prossima ci rivediamo qui? Sono sicuro che la mamma sarebbe felice di lasciarci passare del tempo insieme. A te va? lo disse senza guardare la donna in piedi dietro Mumù, ignorando completamente ogni suo sguardo, ogni sua reazione, ogni tremolio nelle mani che, avrebbe potuto sentirlo come un terremoto, iniziava a scuotere i suoi polpastrelli per giungere alla punta di ogni capello. Quando Mumù annuì e si voltò in direzione di Mae per condividere con lei la luminosità che quella proposta aveva sprigionato nel suo sguardo azzurrino, le labbra della bambina si allargarono in un sorriso zuccherato dai rimasugli della frittella che a breve avrebbe lasciato, forse troppo grande o troppo dolce per il suo palato e lo stomaco. Sollevò una mano in direzione del suo viso, Darko, andando ad afferrare piano una porzione di guancia fra dito indice e medio e, tirando appena con attenzione e dolcezza, rivolse alla piccola un sorriso complice, lo stesso che nacque da un sentimento che sembrava aver preso casa dentro di lui da solo pochissimi minuti ancora. Si chiese come potesse essere possibile, come fosse anche solo lontanamente pensabile ed immaginabile che una sensazione del genere potesse nascere dal nulla, da un luogo sconosciuto e a tratti irraggiungibile. Di cosa era fatto, quel sentimento? A lui sembrava avesse i capelli biondicci, gli occhi chiari e dei denti bianchissimi che come pietre arrotondate si incastravano in una terra fatta di pelle dal colore della perla più pura.
    Quando sciolse la stretta delle dita per distaccarsi dal viso caldo di Mumù e tornò a sollevarsi dandosi la spinta nei polpacci contratti fino a quel momento, lo sguardo di Malia fu l’ultima porzione di lei dal quale si allontanò, allacciandosi poi a quello di sua madre, nelle cui iridi a specchiarcisi, ora, altro non avvertiva se non una sensazione di nausea. Fra i due sembra che sia tu l'esperta, quando si tratta di voltare le spalle e fingere che qualcosa non sia mai avvenuto. lo disse sussurrando, lo sguardo incupito da quello che di lei ora vedeva e che, dopo anni, sembrava essersi distaccato completamente dall'ingenuità che la notte del bosco aveva avuto addosso anche una volta tolti i vestiti. Un passo indietro, la distanza fra di loro tornò ad allungarsi e a separarli nel modo in cui - in quel momento fu l'unica cosa di cui fosse certo Darko - avrebbe dovuto farlo. Mi raccomando Mumù, tieni d'occhio Fante, non vorrai perderlo di nuovo, no? disse allora rivolgendosi alla piccola mentre le sorrideva dolcemente e le faceva un'occhiolino. A presto, sono sicuro che ci divertiremo un sacco io e te, te lo prometto. aggiunse poi, sollevando una mano nella sua direzione e, agitandola piano, salutò la bambina prima di dare loro le spalle e prendere ad allontanarsi dopo aver ignorato completamente la figura della madre, ancora in piedi di fianco a Malia. Solo dopo qualche passo tornò a voltarsi, di nuovo, per guardarle ancora una volta e posare lo sguardo in quello della donna: sarebbe dovuta passare sul suo corpo per impedirgli d'esserci, stavolta.
    Non lo sapeva ancora, Darko, ma stava promettendo loro qualcosa: se ne sarebbe preso cura, fosse stata la prima volta che riusciva a mantenere la parola data.
     
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