it's always going to be, me and you

Ophelia ft. Erik | in giro (?) pomeriggio | 18.02.20

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    Ophelia Jensen-Spector
    sheet | 1994 | Proiezione mentale

    "Avevo imparato che l’amore non era paziente. L’amore non era gentile. L’amore era condizionato. Le persone più vicine potevano voltarti le spalle, dirti addio per un motivo futile. Bisognava dipendere solo da sè stesso."

    Avvolte ci convinciamo semplicemente che le cose stiano andando per il meglio. Che i tormenti interiori si siano fermati, trovando la loro pace in un angolo remoto del nostro cuore e in un cassetto minuscolo della nostra testa. Certe volte, semplicemente cerchiamo di credere che sia così per sopravvivere poi, arriva un inaspettato giorno dove tutte quei ricordi, quei pensieri, quelle paure, quelle insicurezze tornano a bussare violentemente alla nostra porta e noi, non possiamo fare altro che prenderle per mano ed imparare a conviverci. I sogni, quelli belli, quelli brutti rimangono sempre lì, intrappolati nel nostro subconscio pronti a riaffiorare quando meno ce lo aspettiamo, quando crediamo di stare meglio e di essere andati avanti, quando speriamo di averlo fatto ed invece, il nostro cuore è rimasto fermo a quel battito interrotto.
    Tu-tun! Tu-tun!
    Battito irregolare.
    Mancanza di respiro.
    Ricordi. Arrivano all’improvviso senza chiedere permesso. Non gli importa dove o con chi sei, loro si palesano difronte a te pronti a scatenare un mare di emozioni in tempesta. Non sai quando e come se ne andranno, provi a cacciarli via, a farli tornare nel loro angolino dove sono stati per tutto quel tempo in silenzio ma loro restano lì imperterriti a ricordarti che non hai ancora fatto pace con loro. Perchè Ophelia non aveva mai fatto pace con i suoi ricordi, con il suo amore perduto. L’aveva accantonato per tornare a respirare, per sentire meno male ad ogni boccata d’aria fresca che un tempo era solo capace a congelarle il cuore. Eppure erano tornati come uno schiaffo dritto in faccia, appena risvegliata da un sogno pacato. Aveva sperato di essersene liberata di quel dolore, di averlo accantonato eppure era tornato di nuovo da lei: un attimo, un battito di ciglia ed un dolore inspiegabile le aveva catturato il cuore. Una morsa, stretta e prepotente, capace di toglierti il sorriso, il battito, il respiro. E allora aveva preso a girare come una trottola, aveva imparato a combattere il dolore a modo suo: bastava non fermarsi troppo, non pensare, così da allontanarsi velocemente da quei ricordi che assordanti tornavano come flash nella sua testa. Immagini, frammenti, attimi. Doveva farlo subito, muoversi, correre senza rimpianti, senza concessioni, senza mettere a fuoco. Quello era l’unico modo per non farsi male, per non sentire nuovamente quel vuoto scavare dentro a quel corpo che aveva cercato di rammendare durante gli anni di solitudine. Ma la notte, quel dolore tornava per trasformarsi in un mare fatto di lacrime. Acqua salata che iniziava ad agitarsi come mare in tempesta, dove tu provavi a rimanere a galla senza affondare, provando a dettare il ritmo per la sopravvivenza. Più passavano i giorni e più la resistenza aumentava: dei giorni riusciva a rimanere a galla, trovava la forza per lottare e tornare ad essere la ragazza solare che tutti conoscevano ma altre volte, rischiava di annegare, troppo esausta di lottare. Dei giorni il suo stesso dolore rischiava di farla annegare, la sua stessa rabbia. Perchè non accettava di non aver dimenticato, non accettava di soffrire ancora così per una storia finita, per un amore dimenticato e lasciato andare come una barca in balia delle onde. Avrebbe voluto essere più forte, avrebbe voluto andare avanti eppure qualcosa dentro di lei gli impediva di farlo.

    "Ma tu dov'eri per tutto questo tempo? Durante la solitudine nella quale mi hai abbandonato? Quando mi strappavo con le unghie la pelle dalle guance pur di non cercarti, pur di fermare ogni mio disperato tentativo di chiamarti, di vederti, di riaverti. "

    Le immagini di San Valentino tornavano prepotenti a bussare nella sua testa. Aveva provato a farci pace, a dirsi che era normale che fosse così, che anche lei aveva provato ad andare avanti con un’altra persona eppure, non riusciva ad accettarlo. C’era qualcosa di estremamente sbagliato in lei eppure, la pancia le impediva di pensare analiticamente come la sua mente.
    Consapevolezza e sentimento. Non riuscivano ad andare a braccetto in lei, quando ricordava la voce delle sue amiche che le suggerivano di mettere un punto a tutta quella storia. Ophelia, tutto questo è passato e se continuerai così ti farai solo del male. Ti ha fatto solo del male la voce di Sam e Skylar era fin troppo chiara in lei eppure, c’era sempre la parte più inconsapevole di lei che si lasciava andare, in balia delle onde che erano i suoi sentimenti ed i suoi ricordi. Era come se le piacesse nuotare in quella chiazza agitata, fatta di schiuma bianca e di braccia agitate che si muovevano senza tregua per rimanere a galla. Sfidava sé stessa, sfidava la sua capacità di sopravvivere perché quelle emozioni, quelle che le regalava lui, non le aveva più provate da quando se n’era andato. Voleva urlarlo alle sue amiche, fargli capire come fosse dipendente dalle emozioni che solo lui riusciva a suscitarle. Lui, solo lui, sempre lui. C’erano stati altri, c’erano stati affetti ed interessi ma nessuno aveva scaturito in lei l’assenza di respiro che le aveva regalato lui. Vederlo era sinonimo di vita, di brividi, di emozioni. La sua voce, i suoi occhi, la sua presenza erano come argento vivo per le sensazioni di un Ophelia rimasta addormentata per troppo tempo e adesso che poteva provare ancora qualcosa, non poteva rinunciarci. E anche quando avrebbe voluto dar ragione alle sue amiche, mettere un punto a ciò che era stato e non sarebbe dovuto essere, si ritrovava a rispondere a messaggi che avrebbe dovuto ignorare.
    Avrebbe dovuto ignorarlo, era arrabbiata con lui per averla sostituita, era arrabbiata con lui perché se n’era andato senza avvisarla ed era tornato senza renderla pronta a quella spirale di sensazioni. Era stata messa in un angolo, ma un filo sottile continuava a legarli, incapaci di dirsi definitivamente addio. Lei non poteva rinunciare a lui, non l’avrebbe mai fatto e sarebbe scesa a compromessi pur di avere con sé un po' di quell’Erik che un tempo era stato tutto per lei. Era stupido, era azzardato, ma era ciò di cui aveva bisogno. Doveva essere Ophelia a decidere e non qualcun'altra per lei perché un giorno, avrebbe potuto incolpare solo sé stessa dei suoi errori e non chi si era intromesso nella sua vita. Non poteva avere ulteriori rimpianti nel suo essere con lui, doveva vivere, doveva rischiare, doveva essere semplicemente sé stessa, motivo per il quale propose ad Erik di vedersi. Sei sicura di fare la cosa giusta? Se ti fa soffrire un’altra volta.. Lo so, che lo dividerai in tanti piccoli pezzettini, tanti quanto il male che mi ha fatto! sorrise alla cornetta del telefono, sapendo che la sua amica non poteva vederla ma che poteva intuire dal suo tono di voce il sorriso che l’aveva ammorbidita nella tensione di quella confessione. So che sembra tutto sbagliato Sam.. ma ho bisogno di non avere rimpianti.. aveva confidato lei, chiudendo poi quella chiamata che era durata qualche minuto di troppo, facendola finire in ritardo. Avrebbe dovuto vedersi in dieci minuti con il ragazzo, in centro e doveva ancora cambiarsi. Sapeva di non aver reso felice una delle sue migliori amiche con quella chiamata, ma aveva bisogno di confidarsi con qualcuno e Sam, aveva sempre saputo tutto di loro. Aveva nuovamente preso in mano il telefono, pronta a digitare un messaggio veloce Sono qualche minuto in ritardo, ma arrivo! ed aveva premuto invio. Si era poi gettata a capo fitto nell’armadio, dal quale aveva tirato fuori un paio di jeans ed una camicia, dirigendosi poi in bagno per sistemarsi un pò, pronta poi a cavalcare la sua Ferrari su due ruote ed un cestino, per raggiungere il luogo che si erano dati come punto di ritrovo. Lui era lì, alto e bello come era sempre stato. Un sorriso dolce si aprì sulle labbra di Ophelia che, si avvicinò per salutarlo lasciando un veloce bacio sulla sua guancia fredda per il vento che soffiava fuori Ciao, scusami per il ritardo!
     
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    Era da giorni ormai che non faceva che ripensare alle cose che Theresa gli aveva raccontato e a quel ricordo che si era palesato nella sua mente, senza che lo volesse, quando finalmente l’aveva incontrata. Aveva quasi dimenticato la sensazione di nodo allo stomaco che gli davano quei momenti, visto che erano trascorsi mesi ormai dall’ultima volta che l’aveva provata. Invece, appena lei aveva aperto la porta di casa e gli aveva sorriso, tutto intorno a lui si era fermato, come se non si trovasse più sul vialetto di una piccola casetta nei pressi della periferia. Aveva provato un forte mal di testa mentre la vista gli si annebbiava e la sua prospettiva mutava, come se fosse stata quella di un bambino che guardava il resto del mondo dal basso. Aveva visto quella stessa donna che aveva di fronte, ma con circa vent’anni di meno, che allargava le braccia per stringerlo in un braccio e aveva percepito tutta la gioia di quel bambino, nel sentirsi finalmente a casa. Era stato ancora più strano poi guardarla e trovarsi stretto nello stesso abbraccio, senza sapere come reagire. Non capire come approcciarsi alle persone era forte la parte più complessa della sua perdita di memoria, trovarsi sempre a metà tra il non avere idea di chi ci si trovava di fronte e provare una sensazione di affetto che non gli apparteneva del tutto verso quelle stesse persone. Gli era capitato anche con Ophelia dopo i primi ricordi che aveva recuperato di lei e ancora non sapeva bene cosa fare in sua presenza. Potevano considerarsi amici dopo quei mesi? O era meglio continuare a tenere le distanze? Ciò che gli aveva raccontato quella donna poi non aveva fatto altro che confonderlo maggiormente sulla questione Ophelia, ma lo aveva aiutato per lo meno a chiarire alcuni dei suoi dubbi. Era ormai abbastanza chiaro per lui, infatti, che non avesse preventivato di andare via, che si fosse allontanato con l’idea di restare fuori solo qualche giorno, al massimo due settimane e invece poi aveva perso la cognizione del tempo o forse aveva semplicemente iniziato a dimenticare, non riuscendo più a tornare indietro. Era difficile accettare l’idea di non aver avuto un piano, di non aver mai detto addio a coloro a cui voleva bene e sapere che lui e Ophelia si erano lasciati in quel modo, senza una parola, senza una spiegazione, lo faceva sentire ancora più a disagio vicino a lei. Era per questo che aveva atteso qualche giorno prima di scriverle e chiedere se stesse bene, visto che l’aveva vista allontanarsi di fretta dalla festa di San Valentino, a cui si era presentata con un ragazzo elegante che non l’aveva lasciata sola per un istante. Era felice che fosse andata avanti, che avesse trovato qualcuno che la rendeva felice. Immaginava di averla ferita parecchio con la sua scomparsa e non riusciva a capire come avesse fatto ad accettare di vederlo, dopo il suo ritorno, ma non aveva mai voluto porle quel genere di domande, riteneva di non meritare certe risposte che avrebbero scavato un po’ troppo a fondo dentro il suo animo gentile.
    Avrebbe voluto conoscerla, sapere ogni cosa sul suo conto, invece si limitava a restare sul ciglio della porta, con un sorriso, ad attendere che fosse lei a decidere che cosa mostrargli e quando e se lasciarlo entrare. Theresa gli aveva mostrato alcune foto del loro passato, gli aveva raccontato della loro relazione, del suo rapporto difficile con i suoi genitori, che ancora non aveva voluto incontrare di nuovo. Chissà se sapevano che era tornato in città, chissà se lo avevano notato, se lo avevano cercato, anche soltanto una volta. Per come quella donna aveva parlato di loro non si sarebbe meravigliato se gli avessero semplicemente voltato le spalle, scocciati dal suo comportamento troppo ribelle e dalle sue scelte discutibili. Diceva che non avrebbero mai accettato il fatto che ora avesse scelto di vivere di musica, che avrebbero fatto qualunque cosa per fargli cambiare idea e per incastrarlo in un lavoro più stabile. Una parte di lui, tuttavia, avrebbe voluto conoscerli di nuovo, trovarsi faccia a faccia con quelle persone e verificare se le voci degli altri sul loro conto erano corrette. Perché sebbene quella strana sensazione dentro di lui gli diceva che poteva fidarsi di quella donna e credere a tutte le sue parole, c’era sempre quel disagio dato dal non avere memoria di lei. L’aveva ascoltata con attenzione, parola dopo parola, seguendo le foto, i ricordi che aveva cercato di riportare alla sua mente, ma sfortunatamente non aveva potuto rimettere insieme un puzzle che aveva perso troppi pezzi e che non avrebbe mai potuto recuperarli davvero. Era strano vedere la propria intera vita impressa su carta e non avere idea di come ci fosse finita. Aveva varcato la porta di quella casa con tante domande ed era uscito con molte risposte e ancora più dubbi e confusione. Ma era lieto di aver trovato qualcuno che volesse davvero parlargli della sua vita precedente, senza paure e senza problemi e di non dover sempre dipendere da quella ragazza bionda per ogni cosa. Non voleva aggiungere altri pesi sulle sue esili spalle, altri pensieri alla sua testa già affollata dai mille impegni.
    Era con aria ancora confusa e pensierosa che aveva parcheggiato l’auto in uno stallo disponibile nei pressi della zona in cui avrebbero dovuto incontrarsi. Ormai l’Anthemis era diventato un po’ il loro punto di ritrovo, era sempre quello il punto di riferimento quando organizzava lei. Aveva capitato che era un luogo che frequentava spesso e forse per questo lui aveva continuato a tenersene alla larga, come se ritenesse che quello fosse il posto di Ophelia, qualcosa da cui tenersi lontano per non invadere i suoi spazi. Aveva preso il telefono dalla tasca, notando solo in quel momento il messaggio di lei, che lo informava di un leggero ritardo Non preoccuparti, ti aspetto. Le aveva scritto brevemente, premendo il tasto invio prima di appoggiarsi alla sua auto, estraendo il pacchetto di sigarette dalla tasca. Era un po’ nervoso e sentiva l’impellente bisogno di fumare per cercare di scaricare almeno un po’ di tensione, di far fluire via insieme al fumo anche tutti quei pensieri che non volevano lasciarlo in pace. Anche le cose con Kaja si erano fatte un po’ più complesse dopo il suo incontro con la sua ex baby sitter. Non faceva che chiedersi come sarebbe andata la sua vita se soltanto avesse pianificato un po’ meglio il suo viaggio, se avesse cercato di lasciarsi dietro qualcosa come aveva fatto lei. E aveva pensato a Ophelia, tante, troppe volte, senza sapere neppure lui dove il corso dei suoi pensieri voleva andare a parere. Fece giusto in tempo a spegnere la sigaretta prima di vederla arrivare in sella alla sua bici, con un sorriso radioso che le illuminava il volto. Sorrise di rimando, incapace di resistere di fronte a quei sorrisi. Il suo problema forse era proprio quello di vivere dell’allegria degli altri, non riuscendo a trovare la sua dentro di sé. Ricambiò il suo bacio sulla guancia sperando di apparire un po’ meno pensieroso di quanto non fosse davvero. -Sono arrivato da poco, nessun problema. - le disse quindi, soffermandosi a guardarla per un momento, come se sperasse di poter richiamare qualche ricordo, se soltanto lo avesse voluto davvero. -Prima il dovere, giusto? - le domandò, con un sorriso furbetto sul volto, cercando di sciogliersi un po’. Non gli piaceva il fatto di sentirsi sempre un po’ a disagio vicino a lei, e ora che aveva più coscienza del fatto di doverle delle scuse, sebbene non sapesse neppure da dove iniziare, non aiutava certo ad essere più sciolto. -Dove si trova il negozio che dobbiamo raggiungere? - chiese, indicandole con un cenno del capo di fare strada, visto che lui non sapeva neppure da che parte girarsi. -Le mie braccia aspettano solo di essere caricate. - aggiunse poi, con un leggero occhiolino, tenendosi giusto a due passi di distanza, camminando al suo fianco. -Sei riuscita a prenderti una piccola pausa alla fine? - domandò, richiamando la conversazione che avevano avuto l’ultima volta che si erano scritti. Le cose per lui non erano migliorate granchè, ma sperava che lei stesse bene, davvero bene.
     
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    Ophelia Jensen-Spector
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    Le piaceva muoversi a piedi o in bicicletta, oltre ad essere un toccasana per la salute personale, era anche un modo per osservare la città muoversi e cambiare. Fuori poteva vedere macchine veloci, moto impazzite che si lasciavano il traffico alle spalle per correre dietro i propri problemi perché in questo mondo, dovevi essere veloce e sempre in orario. Muoversi con quei mezzi ormai per pochi, dava ad Ophelia la sensazione di rimanere di più con i piedi per terra, di poter ancora avere un controllo della sua vita senza farla impazzire come le trottole che vedeva vagare veloci e stressate intorno a lei. Erano momenti personali, dedicati a sé stessa ed alla sua mente: questa poteva vagare per mondi più o meno conosciuti, più o meno felici. Oppure poteva semplicemente impegnarsi a guardare oltre i suoi occhi, dove persone compivano gesti, oggetti si palesavano davanti a lei stimolando il suo interesse o la sua creatività. Era gelosa di quei momenti tutti suoi, non vi avrebbe rinunciato facilmente perché riteneva fondamentali per non impazzire e non amalgamarsi alla follia di chi viveva intorno a sé. Ultimo ma non meno importante, sapeva che così facendo, spostandosi in modo green, aveva un basso impatto sull’ambiente ed era felice nel suo piccolo, di poter contribuire al bene del mondo che abitava.
    In quel percorso ormai abituale, Ophelia cercava di fermare la sua mente su ciò che la circondava, per non preoccuparsi dell’incontro che stava per avvenire. Pensare di vedere Erik la agitava, un po' perché i suoi sentimenti nei suoi confronti erano totalmente contrastanti, un po' perché aveva paura di creare una situazione di tensione tra di loro quando avrebbe solo voluto andare avanti. Non era semplice mettere insieme la parte razionale e quella irrazionale di sé stessi, due figure che spesso collimavano irrimediabilmente tra di loro. La parte razionale, le diceva di mettere da parte ciò che era stato, per cercare di andare avanti e creare un rapporto pacifico, fatto di mete future e pochi risentimenti passati. Eppure per quanta fosse tanta la volontà di andare avanti, le domande e la sofferenza passata finivano sempre per bussare alla porta e minare un terreno altrimenti sereno. Troppe domande affollavano la sua mente, ed una più delle altre riaffiorava ogni volta che guardava quel volto che tanto aveva amato. Perchè se n’era andato?
    Si era chiesta spesso Ophelia, se fosse stata colpa sua, se aveva fatto qualcosa di sbagliato. Quando provava a ripercorrere gli instanti della loro relazione insieme, non riusciva però a capire e trovare un vero neo che giustificasse quel gesto folle ed allora, la domanda continuava a perseverare nel profondo del suo cuore e della sua mente. Quando analizzava la loro storia, ne seguiva il cambiamento e vedeva come il loro rapporto aveva fatto un percorso sempre più crescente, rafforzandosi con il passare del tempo. Proprio per quel motivo, non riusciva a capire quanto fosse stata lei, o loro, il motivo reale di quella partenza. Se all’inizio la loro relazione era stata instabile e spesso verbalmente violenta, con il passare del tempo entrambi avevano iniziato a fidarsi sempre di più l’uno dell’altra, creando una coalizione di intenti e sentimenti. L’unico dubbio che poteva aleggiare, era rivolto alla piega più seria che aveva preso, forse più pesante e meno volubile. C’era sempre stato qualcosa nel cuore del ragazzo che minava la loro serenità, forse un fondo di paura nel donare sè stesso ad un’altra persona o nel fallire, in ciò che stava cercando di costruire. Era come se il rapporto che aveva vissuto in casa della sua famiglia, avesse messo un neo nella sua mente. Eppure Ophelia era convinta che stessero bene e che insieme, avrebbero affrontato dubbi e paure. Forse era questa la cosa che più l’aveva ferita nel profondo: sapere che Erik aveva preferito fuggire, piuttosto che affrontare un argomento con lei, che questo la riguardasse o meno da vicino. Scappare insieme ad un’altra persona, aveva significato per lei una mancanza di fiducia ed interesse nei suoi confronti, che l’avevano ferita ancor più del venire abbandonata. Perchè l’abbandono, poteva essere stato casuale, poteva essere dipeso da quella strana situazione che la loro cittadina imponeva a chiunque si allontanasse da lei per un tempo troppo lungo, ma ancor prima di partire, Erik non si era preso neanche la briga di avvertirla, chiamarla o provare a parlare con lei. Ogni volta che lo guardava, le veniva voglia di urlargli contro Perchè?, ma poi lo osservava meglio e vedeva una sfaccettatura completamente diversa in lui e ricordava, che sfogarsi su qualcuno che aveva dimenticato, non sarebbe servito a nulla se non a minare nuovamente anche quel rapporto che stavano cercando di ricostruire.
    C’era in lui, qualcosa di molto diverso dalla prima volta che l’aveva incontrato molti anni prima. Era come scoprirlo un’altra volta e conoscere aspetti di lui che aveva sempre sapientemente nascosto. C’era un lato più rilassato, meno vanitoso ed era come se, vivesse quella nuova vita scordando il suo cognome e la provenienza di questo, come se dimenticare fosse stato per lui un toccasana nel poter dimostrare ciò che era realmente e non ciò che doveva essere.
    Sono arrivato da poco, nessun problema fù contenta di apprenderlo, in quanto odiava essere in ritardo e far aspettare le persone. Faceva freddo fuori, il clima era rigido e muoversi in bicicletta diveniva sempre più difficile seppur lei non volesse abbandonarne l’idea. Tolse finalmente i guanti ed il cappello che la proteggevano dalla brina, cercando di metterli alla bell’è meglio nella sua borsa. Esattamente, e se sarai un ottimo aiutante, ti meriterai un premio! lo prese in giro lei, mentre si assicurava con un ultima occhiata di aver assicurato la bici. Seguimi, dobbiamo avvicinarci un po' al centro, però prima dimmi cosa preferisci tra un tè verde o un bel caffè americano chiese lei sorridendo ed aspettando la sua risposta, per poi sparire un attimo all’interno dell’Anthemis a prendere le due bevande calde a portar via, così per scaldarsi un po' nel loro percorso. Ecco qua, adesso possiamo veramente andare! Il mio naso stava congelando spiegò lei, lasciando che il tepore di quei bicchieri di carta, scaldassero le sue mani. Ci vorrà qualche minuto, ma solitamente è difficile trovare parcheggio con la macchina in quella via, ho pensato quindi di trovarci qui ed andare a piedi. Il negozio si chiama Berg fine art, è una “belle arti cartoleria” spiegò, prendendo un altro sorso del suo tè verde che finalmente, le stava infondendo calore. Diciamo che sto imparando a gestire meglio il mio tempo, capendo quando ho già troppi impegni ed evitando di prenderne altri sorrise lei, ricordandosi il periodo folle che aveva vissuto nel periodo di dicembre e gennaio. Folli, erano stati dei mesi folli dove era stato un miracolo se non era scoppiata in aria. Tu invece? Come vanno le tue serate all’Egon o negli altri pub della zona? domandò lei, mordendosi la lingua quando le venne voglia di chiedergli se aveva anche sentito o visto Theresa. Non era il momento di portare la conversazione nuovamente in quella direzione, voleva cercare di tenere un profilo basso. Non avete pensato a registrare un disco tu e Jasper? E magari venderlo durante le serate? chiese ancora, cercando di capire le pieghe che stava prendendo il suo lavoro in quella città e se stavano iniziando a prendere degli impegni che li avrebbero portati a stabilirsi un po' di più. La fortuna della nuova generazione, era quella di riuscire più facilmente a fare musica, cosa che prima era riservata soltanto ai più ricchi.
    Una volta davanti alle vetrine del Berg Fine Art, Ophelia si bloccò rimanendo affascinata dall’esposizione di colori che c’era in vetrina. Aveva sempre amato le collezioni di pastelli, sfumature più o meno brillanti di colori, capaci di colorare la vita. Erano piacevoli per la mente e l’anima. Li adoro, avrei la capacità di comprarne di tutte le marche, senza utilizzarli mai, solo per guardarli come fossero un opera d’arta commentò lei. Poteva forse sembrare una pazza, ma anche Erik a modo suo era un artista e poteva certamente capire quelle folli idee. Siamo arrivati, Melinda sarà felice di vedermi sorrise lei, nominando la proprietaria del negozio che ormai aveva imparato a conoscerla in quanto, Ophelia chiedeva spesso il suo aiuto e la sua competenza per scegliere gli articoli che facevano al caso suo. Buonasera Melinda, come sta? chiese gioviale, varcando la porta del negozio oggi ho portato con me i rinforzi, devo fare un po' di shopping! spiegò lei, voltandosi poi in direzione di Erik e sorridendo. Aveva bisogno di prendere dei listelli di legno di balsa o timo, della plastilina ed alcuni colori che aveva finito, specialmente i primari, il bianco ed il nero.

    Edited by charmolypi - 19/11/2020, 00:14
     
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    Aveva imparato nei mesi ad avere I suoi punti fissi all’interno di quella città, dei posti in cui gli piaceva andare, periodicamente, o delle strade che aveva iniziato a percorrere quasi tutti i giorni, come dei piccoli riti che gli permettevano di mantenere il controllo della situazione. Iniziava ad ambientarsi, a recuperare almeno apparentemente il suo posto in quel luogo. Si sentiva come se stesse seguendo un invisibile filo di Arianna che gli permetteva di tornare a casa, anche se lui non se ne rendeva conto. Se trovare i suoi luoghi all’interno di quella città era stato tutto sommato semplice, non era stato lo stesso riuscire a ritrovare il suo posto in mezzo a tante persone che lo conoscevano e che non riuscivano a riconoscerlo, ma a piccoli passi aveva instaurato nuove amicizie e ne aveva recuperato delle altre. Si stava ritagliando nuovi pezzi di storia, da sostituire a quelli che aveva perduto. Non sapeva se sarebbe rimasto per sempre in quella città, se avrebbe messo radici stabili in quel posto, ma sapeva di non voler più dimenticare tutte quelle persone e che avrebbe quindi dovuto trovare una soluzione in caso di una nuova partenza. Non voleva ricominciare da capo, non voleva dire addio a tutti coloro che stavano diventando importanti per lui e non avrebbe commesso due volte lo stesso errore. Gli sarebbe piaciuto avere più certezze, un maggior numero di ricordi a ricomporre le immagini all’interno della sua mente e a riempire tutti quei buchi che la facevano sembrare quasi una groviera. Era cresciuto in quegli anni, senza neppure saperlo e continuava a farlo nei mesi che si succedevano, giorno dopo giorno. Stava inserendo qualche tassello con il passare dei mesi, ma continuava a sentirsi confuso e aveva trovato un unico filo conduttore in quello che era successo nella sua vita passata, se così poteva chiamarla, Ophelia. Lei sembrava essere il vero filo di Arianna all’interno di tutta quella storia, anche se lui aveva qualche remora nel dirglielo. Entrambi erano andati avanti, a modo loro, sostituendo una relazione mai davvero finita con altre, anche se qualcosa dentro di lui si era mosso nel vederla insieme a quell’altro uomo al Ballo di San Valentino in cui si erano incrociati per puro caso. Era stato come ricevere uno schiaffo dritto sul volto o come respirare aria ghiacciata che gli aveva raggelato i polmoni. Eppure non poteva dire di essere arrabbiato o di avere qualcosa contro la loro relazione, anzi. Era felice che lei avesse trovato la sua strada, qualunque essa fosse.
    Le aveva scritto per paura che avesse avuto un malore, ricevendo risposte molto tranquille da parte di lei, che gli aveva persino chiesto di aiutarla con alcune compere quel giorno. Sebbene una parte di lui iniziasse a suggerirgli che era sbagliato cercare di recuperare i legami con lei, ripartire da un’amicizia che non si era davvero guadagnato, dopo la sua ultima chiacchierata con Theresa sentiva quasi il bisogno di rivederla. Non sapeva se raccontarle di quello che si erano detti, se chiederle spiegazioni, conferme, ma qualcosa nel suo petto si agitava, nell’attesa di incontrarla di nuovo. Si era mosso in perfetto orario, riuscendo fortunatamente a trovare un parcheggio proprio vicino al luogo dell’incontro e lì l’aveva attesa per qualche minuto, fumando una sigaretta mentre si guardava attorno. La spense quando la vide arrivare in sella alla sua bici, sempre allegra e sorridente come aveva ormai imparato a vederla. -Un premio eh? - chiese, con aria divertita, mentre la osservava con una certa curiosità. Immaginava che si trattasse di una birra particolare o di un posto suggestivo, o qualcosa di simile, ma si sforzò di non chiedere anticipazioni. -Per me il caffè, non amo molto il tè ad essere onesto. - rispose, con molta tranquillità, prima che lei sparisse all’interno di un locale davanti a cui si erano fermati, uscendo poi con due bevande da portare via. Scosse il capo, divertito da quella sua iniziativa. -Quanto ti devo? - chiese, pronto a restituire la spesa per il suo caffè, mentre riprendevano a camminare, in direzione della loro meta. Aveva avuto un’ottima idea visto che il clima era abbastanza freddo. Ormai i mesi peggiori erano passati, ma mancava ancora più di un mese alla primavera, anche se le temperature iniziavano a farsi più gestibili. Presto avrebbe potuto ricominciare ad utilizzare il suo fedele giubbotto in pelle, lasciando da parte i giacconi più pesanti. Ascoltò la sua spiegazione, le motivazioni per cui aveva preferito incontrarsi in un punto un po’ più distante dalla cartoleria perché lì nei pressi sarebbe stato complicato trovare parcheggio. -Ti seguo. - disse soltanto, non avendo idea di dove si trovasse quel posto. -Fai bene. Anche io a volte tendo ad accettare troppe cose e a non capire davvero come mettere tutto insieme. Riuscire a organizzare bene il tempo è importante, servono delle pause ogni tanto. - mormorò, annuendo tra sé e sé, mentre sorseggiava il suo caffè, che aveva iniziato a sfreddarsi un po’.
    -Il lavoro va bene, per ora. - le rispose, riportando lo sguardo su di lei nel dire quelle parole. -Il contratto che abbiamo per ora con l’Egon scade tra qualche mese. La prossima settimana dobbiamo esibirci in una cittadina qui vicino - le raccontò, con aria piuttosto entusiasta. Era un luogo in cui non era ancora stato e per lui era sempre bello frequentare nuovi posti e farsi conoscere in altre zone. - Nel frattempo stiamo cercando di capire se c’è una speranza di rinnovo dall’Egon o se ci sono altre proposte nella zona. E stiamo lavorando a delle nuove canzoni. - aggiunse poi. Avevano iniziato a chiamare diversi pub in città e anche in qualche altra località vicina e avevano mandato alcune delle cose che avevano inciso. Le prime risposte sarebbero arrivate la settimana successiva, ma era abbastanza fiducioso. -Abbiamo già inciso qualcosa, che stiamo mandando ai pub a cui ci stiamo offrendo, ma non abbiamo mai pensato ad un disco vero e proprio. - le disse, quando lei avanzò quell’idea. Buttò il bicchiere ormai vuoto che teneva tra le mani nel primo cestino disponibile prima di continuare. -Ci avevamo pensato qualche tempo fa, ma ci eravamo resi conto di non riuscire a starci con i costi di produzione. Quindi dipenderà da come vanno le prossime serata e se troviamo dei nuovi ingaggi. - spiegò, mentre raggiungevano la vetrina del Berg Fine Art. -Oppure dovremmo valutare l’idea di uno store online, quello sarebbe decisamente più economico, ma un po’ più complesso da pubblicizzare. - terminò, mentre lei si fermava per qualche momento ad osservare la moltitudine di pastelli e altri colori che si trovavano in vetrina. Sorrise, davanti a quella sua confessione, segnandosi il fatto che, se mai avesse voluto farle un regalo, una selezione di colori poteva essere una buona idea per andare sul sicuro, magari chiedendo aiuto alla proprietaria di quella cartoleria, che sembrava conoscerla piuttosto bene.
    Entrò dopo di lei, restando in silenzio mentre Ophelia salutava la proprietaria. Si guardò attorno, cercando di scorgere le varie tipologie di prodotti che quel luogo era in grado di offrire, mentre la ragazza metteva in evidenza la sua presenza. Si voltò, leggermente a disagio nel sentirsi tirare in causa. -Buonasera. - disse soltanto, sfoderando un leggero sorriso in direzione di quella che aveva intuito essere Melinda. Anche la donna rispose in maniera cordiale, prima di riportare la sua attenzione sulla biondina, in attesa di capire che cosa le servisse in quell’occasione. La sentì dire qualcosa riguardo listelli di balsa o di timo, che lui non sapeva neppure che cosa fossero. Si mosse di qualche passo, osservando il negozio mentre Melinda andava nel retrobottega per prendere tutto ciò che Ophelia le aveva chiesto, dando qualche consiglio ogni tanto su dimensioni, colori e quant’altro. -Non serve che faccia finta di sapere che cosa sia quello che le hai chiesto, vero? - domandò quindi, avvicinandosi per un momento all’orecchio di Ophelia per sussurrare quelle parole, prima di allontanarsi di nuovo, ridacchiando appena. Lei e il suo mondo erano una continua sorpresa per lui, ma era piacevole scoprire tutte quelle piccole cose, anche se lo facevano sempre sentire molto fuori posto. Attese che lei recuperasse tutti i prodotti necessari e che questi venissero imbustati e poi di fece avanti per aiutarla a trasportare il bottino verso la sua auto. -Oh beh, capisco perché ti servivano due braccia in più. - disse, con aria divertita, mentre ripercorrevano indietro la strada che li avrebbe condotti verso il punto in cui aveva parcheggiato. -Se ti va possiamo lasciare tutto in macchina e farci una passeggiata, mentre se hai fretta ti accompagno a casa a portare il tutto al sicuro. - propose, lasciando a lei la libertà di scegliere come proseguire quella serata. Si erano messi d’accordo soltanto per quelle brevi compere, ma gli sarebbe piaciuto trascorrere un po’ più di tempo in sua compagnia e magari cogliere l’occasione per parlare un po’.
     
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    Il vento freddo le accarezzava il volto, mentre Ophelia realizzava che quell’attimo fosse pura realtà e non un bizzarro sogno dal quale si sarebbe presto risvegliata. Era strano avere nuovamente accanto una persona che, fino a qualche anno prima avevi desiderato con ogni centimetro della tua pelle. Un tempo, Ophelia si risvegliava dal sonno realizzando che era semplicemente nel buio della sua stanza. Era sfiancante, deprimente vivere in quel modo e mentre al suo fianco, vedeva passeggiare un Erik maturato, Ophelia affondava un sorriso stranito nella sua tazza bollente di tè. Le piaceva la sensazione del liquido caldo che riscaldava il suo corpo altrimenti gelato, sembrava aiutarla ad essere più rilassata nei riguardi di lui. Era curiosa di scoprire chi fosse diventato oggi e quali erano le differenze con il sé stesso del passato.
    Fù divertente chiarire con lui che avrebbe ricevuto un premio solo ed esclusivamente se sarebbe stato un bravo aiutante e che, non avrebbe mai rivelato le sue intenzioni. Propose che la prossima volta, fosse lui a pagare il caffè non volendo dei soldi in dietro da lui. Ophelia non amava essere in debito con qualcuno e seppur fosse galanteria quella dell’uomo che offriva alla sua dama, non aveva mai accettato quella disparità tra sessi. Ci teneva a poter offrire qualcosa, se ne aveva voglia ed in quel momento, le sembrava il modo migliore per ringraziare Erik che avrebbe fatto il lavoro sporco. Nascosta dietro la nuvola di vapore della sua bevanda, Ophelia osservava le reazioni di lui dipingersi sulla sua faccia. Era piacevole coglierne le sfumature, mentre le raccontava del suo lavoro e del suo futuro incerto. Non era facile, per loro giovani artisti, trovare un posto nel mondo e soprattutto una strada che gli permettesse il lusso di poter vivere delle loro passioni. La musica, così come l’arte erano dei mondi complicati, fatti per pochi e spesso privilegiati. Erik avrebbe potuto avere una vita agiata, tornando ad avere contatti con i suoi genitori ma avrebbe perso l’essenza di sé stesso. Si chiedeva Ophelia, se dopo quel lungo distacco tra loro avrebbero accettato di donare al figlio la vita che si meritava di poter vivere, aiutandolo a raggiungere una posizione in quel mondo che aveva sempre amato e che loro, non avevano mai capito. Era una famiglia fondata sulle apparenze le sue ed anche Erik, era stato burattino di sé stesso per un periodo fino a quando, non aveva deciso di ribellarsi creando un ulteriore immagine di sé. Oggi, era forse il lato più profondo della sua essenza, quello che non doveva niente a nessuno e che poteva decidere, giorno dopo giorno, chi essere perché nessuno lo avrebbe limitato. Immagino non sia facile gestire tutto da soli, ma sono convinta che se continuerete ad esibirvi in molti posti, prima o poi troverete qualche talent scout che vorrà darvi una mano ammise lei ci sono un paio di locali famosi qui a Besaid per la musica dal vivo.. l’Egon certo, è il locale più “in” della città e quello dove girano i pezzi più grossi e soprattutto i soldi.. ma so che anche al Musikk capitano spesso persone che ci capiscono di musica continuò lei, consapevole che non fosse così ferrata in quel campo e che purtroppo, non sarebbe stata troppo utile per i contatti. Se avete bisogno di una mano per gestire un sito, o almeno tirarlo su e metterci un po' di buona grafica, conosco delle persone che potrebbero fare al caso vostro e che sono convinta, vi chiederebbero soltanto una birra in cambio! E’ la loro passione, lo fanno come gioco.. si offrì lei, consapevole che un paio di ragazzi che avevano frequentato l'università con lei, fossero delle cime con il computer e l’aspetto grafico. Io invece non ci capisco niente, sono un disastro con le tecnologie, anche se in università dicevano spesso di puntare molto sui social, che ultimamente funzionano molto se spinti nel modo corretto. Magari Instagram può aiutarvi sorrise, nascondendosi dietro l’ultima nuvoletta di vapore prima di finire quel tè che l’aveva rimessa al mondo.
    Erano ormai arrivati al negozio e la giovane dall’aria felice iniziò ad ordinare le cose di cui aveva bisogno a Melinda. Le piaceva quel posto e ne amava l’odore: vi era un misto di legno e pastelli, un mix che la faceva sentire a casa, in quel garage che sfruttava come piccolo studio per combinare tutte le sue opere artistiche. No, decisamente.. l’importante è che lo sappia io rise, iniziando poi a vagare tra i mille scaffali del negozio, protagonista di tanti generi diversi. Senti disse lui, porgendogli un oggetto fatto con legno di cedro è un essenza profumatissima, forse una delle più profumate. Quando inserisci in casa un oggetto fatto di cedro, la stanza emana un odore proprio raccontò lei, rimettendo quell’oggetto al suo posto, per guardarne altri di cui avrebbe potuto avere bisogno, mentre Melinda tornava dal retro bottega con le cose che le aveva chiesto. Perfetto Melinda, credo sia tutto anche se, come ogni volta, mi sarò sicuramente dimenticata qualcosa e mi vedrai riapparire tra qualche giorno affermò, facendo riferimento alla sua sbadataggine. In realtà, era quel posto che la confondeva. Ogni volta, avrebbe voluto comprare così tante cose, che si limitava alla lista mentale che si era preparata per non spendere un intero stipendio ma poi, finiva sempre per distrarsi e volere qualcosa di nuovo o che le mancava. Ah, mi servirebbe anche un pennarello pantone rosa carne, uno ceruleo ed un verde salvia aggiunse, per poi dirigersi a pagare il materiale mentre Erik, cominciava a caricarselo “sulle spalle”. Hai fatto bene a portare un aiutante! Ciao Tesoro! la salutò la donna, mentre la vedeva sparire dal negozio. Oh beh, capisco perché ti servivano due braccia in più. rise Ophelia, cercando di togliere un po' di peso dalle braccia del ragazzo e recuperando un sacchettino che poteva tranquillamente portare anche lei Non sono mica stupida! sorrise, facendo un occhiolino ed alludendo al suo invito, mentre vedeva la macchina avvicinarsi sempre di più. Fù felice di ricevere quella proposta da lui, di passare ancora un po' di tempo insieme anche perché, non era ancora pronta a spezzare quel contatto. Hai sempre il mio indirizzo di casa segnato? domandò lei, senza rispondere al ragazzo ed aspettando un suo assenso Bene, allora ci troviamo lì, così porto la bicicletta a casa e poi, se ti va, potresti fermarti a bere una birra propose lei mio padre è fuori per lavoro e tornerà stasera tardi.. così stiamo un po' al caldo aveva un po' timore di una sua risposta negativa, ma sperava che accettasse. Aveva voglia di passare un po' di tempo con lui in pace, davanti ad una bella birra ed al fuoco di un caminetto. Ogni volta che si erano incontrati, avevano finito per fare grandissime camminate in giro per la città e per oggi, avevano dato con il livello di freddo che iniziava ad essere spiacevole all’esterno. Inoltre, suo padre aveva portato a casa delle ottime birre il giorno prima e sapendo la passione del ragazzo per la bevanda ambrata, le avrebbe fatto piacere fargliele assaggiare. Mentalmente, si chiese se avessero degli snack in casa ed era certa di avere delle patatine, delle olive anche anche del salamino e formaggio. Rimase in apnea, fino alla risposta del ragazzo che non tardò ad arrivare e durante il ritorno verso casa, Ophelia pedalò veloce un po' per scacciare la tensione, un po' per non far aspettare troppo il ragazzo. Non era per lei un peso, pedalare in modo sostenuto perché quello era l’unico mezzo che aveva e quindi, era abituata a rincorrere i suoi appuntamenti che, puntualmente, sembravano sempre troppo vicini come orario.
    Una volta davanti a casa, aiutò Erik a recuperare i suoi materiali dalla macchina, cercando poi le chiavi per aprire la porta scura. Benvenuto a casa Spector! lo invitò lei, invitandolo ad entrare e dicendogli di appoggiare tranquillamente tutto il materiale sul tavolo. Fortunatamente le stanze erano abbastanza pulite e non c’era niente di strano appoggiato in giro. In pochi secondi, Polpetta fù da loro, iniziando a saltare sulle gambe della padrona ricolmo di felicità per la sua presenza così hai l’onore di conoscere anche Polpetta sorrise lei, osservando il canino bianco e rosso andare ad annusare i piedi e le gambe del giovane. Non l’aveva mai conosciuto, era la prima volta che incontrava Erik e quella piccola bestiola, era stata una toccasana di salute per una Ophelia triste e bisognosa di affetto. Li lasciò fare conoscenza, mentre lei si avviava in cucina a preparare gli stuzzichini e a tirare fuori le due birre che voleva far assaggiare ad Erik: una IPA (luppoli come se non ci fosse un domani che danno un amaro vigoroso, a volte bilanciato dal fruttato) ed una nera, nerissima, Stout (prevale l’orzo e il malto tostato sul luppolo, moderatamente amara, presenta gli aromi del caffè, del cacao, della liquirizia).
     
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    Con la tazza di caffè fumante tra le mani seguì la ragazza verso la meta dei loro acquisti. Le raccontò degli ultimi sviluppi relativi a lui e Jas, delle idee che avevano per andare avanti con la loro musica. Non erano sicuri di farcela, ma avrebbero quanto meno tentato tutto ciò che era possibile prima di arrendersi e pensare di trovare un altro modo per guadagnarsi da vivere. Dopotutto le serate andavano bene, il problema era che non avrebbero certo potuto esibirsi per sempre nello stesso posto, non se non portavano spesso qualcosa di nuovo da inserire nel loro repertorio. Alla lunga il pubblico si sarebbe stufato in quel caso e avrebbero perso l’ingaggio. Aveva iniziato a scrivere qualcosa di nuovo, ma negli ultimi giorni lui sentiva di avere la testa completamente da un’altra parte. Le cose che Theresa gli aveva raccontato avevano turbato il suo umore e gli avevano dato molto da pensare. Se per Kaja infatti era stato semplice scoprire tramite i messaggi che aveva lasciato a se stessa, che era stata una sua scelta e che non voleva tornare, per lui era stato molto diverso. Sembrava aver avuto un momento di paura, che lo aveva spinto ad allontanarsi per un po’ così da chiarirsi le idee, senza però poi riuscire a tornare indietro. Non riusciva ad accettarlo e a farsi scivolare quella notizia come se fosse stata una cosa da nulla, su cui passare sopra perché ormai passata. Guardava Ophelia e si chiedeva come fosse stato possibile lasciarsela indietro senza dirle nulla, senza neppure chiudere la loro relazione come si doveva. -Lo spero, è questo il pensiero che ci spinge a continuare, la speranza che, prima o poi, qualcuno ci noterà. - le disse, con un sorriso abbastanza fiero sul volto. Sapeva che non era molto quello che lui e Jas avevano fatto, ma per lui era comunque incredibile il fatto che fossero arrivati sin lì da soli.
    Sorrise nel sentire Ophelia cercare di consigliargli anche qualche altro locale dove poter tentare di farsi notare da qualcuno. Sperava che quello volesse dire che avrebbe preferito che restasse in città, piuttosto che partire per cercare la fortuna altrove. -Si, ci siamo stati qualche giorno fa, ma Jas ultimamente è un po’ stanco, dice di aver bisogno di una pausa. - disse, riferendosi al Musikk e poi all’amico. Avevano discusso per quello giusto il giorno prima: Jasper voleva prendere le cose con più calma, con i suoi tempi, mentre Erik aveva bisogno di trovare qualcosa a cui aggrapparsi, che gli permettesse di pagare l’affitto ancora per qualche altro mese. Iniziava a pensare che l’altro preferisse riprendere a viaggiare, come avevano fatto per i due anni precedenti al loro ritorno in città, mentre lui voleva restare ancora per un po’, sciogliere quei nodi che stava iniziando a scoprire. L’amico non aveva voluto fare molti passi avanti sulla sua vita precedente, come se non gli importasse di sapere chi era stato, o forse fosse preoccupato di poter cambiare. Ophelia si offrì inoltre di aiutarli a trovare qualcuno che potesse aiutarli con un sito web, ammettendo di non essere ferrata lei in tal senso. -Ti ringrazio, penso potrebbe esserci molto utile, ma dovrei parlarne prima con Jas. - ammise, con un leggero sospiro. Negli ultimi giorni sembrava che tutti i suoi rapporti stessero iniziando ad andare a rotoli e lui non sapeva come barcamenarsi in mezzo a tutto quel casino. -Stiamo avendo un momento no, ma passerà. - spiegò poi, con un sorriso un po’ più malinconico sul volto.
    Voleva convincersi che fosse soltanto un periodo di transizione, che una volta ritrovato se stesso, chiunque fosse davvero, tra le due versioni di lui, tutto sarebbe finalmente tornato al suo posto. Voleva crederlo perché altrimenti non era certo di riuscire a continuare a investire su qualcosa che forse non aveva mai avuto importanza. Non voleva tornare ad essere la persona di cui Theresa aveva iniziato a parlargli, eppure aveva notato alcune similitudini con quel ragazzo e non poteva essere certo che qualcosa di lui non sarebbe tornata a galla, in quella città. Tutto stava nell’imparare a conoscersi e capire chi voleva essere, ma non era certo una cosa semplice. Magari buttarsi sul lavoro, su un possibile sito e su una pagina Instagram più curata avrebbe potuto aiutarlo a liberare la mente da alcuni pensieri e recuperare un po’ di tranquillità perduta. Avere un obiettivo lo aveva sempre aiutato. E quel giorno voleva solo pensare alla richiesta di Ophelia e trascorrere un po’ di tempo insieme a lei, per capire che cosa fare di quella conoscenza che stavano cercando di ricostruire, con fatica. Sorrise nell’osservare Ophelia in quello che sembrava quasi il suo ambiente naturale, perfettamente a suo agio in mezzo a tutti quei colori e materiali che lui, invece, non ricordava di aver mai visto. Si avvicinò, annusando le essenze che lei gli propose durante i suoi acquisti e ascoltandola con interesse mentre gli dava alcune spiegazioni. Sembrava molto appassionata di tutte quelle cose, sarebbe stato interessante vederla alle prese con il suo lavoro, con tutto quell’universo che le gravitava sempre attorno, facendola brillare di luce propria. In qualche minuto terminarono gli acquisti e si diressero di nuovo all’esterno, dove il freddo riprese a farsi sentire. Si incamminarono verso l’auto di lui, per mettere al sicuro le varie buste nel portabagagli. Il pensiero di doverla riaccompagnare e salutare così in fretta lo rattristò un po’, dandogli la giusta spinta per chiederle di trascorrere ancora un po’ di tempo insieme. Annuì quando lei gli chiese se ricordava ancora il suo indirizzo, per poi proporgli di fermarsi a bere una bi9tta al caldo insieme a lei, visto che suo padre sarebbe tornato più tardi. -Si, perché no? Ci vediamo da te allora? - domandò, visto che Ophelia aveva co sé la sua bicicletta. Non aveva il necessario per legarla sopra la sua auto e trasportarla e non voleva fargliela perdere durante il viaggio.
    Guidò con una certa calma verso casa di lei, senza neppure il bisogno di utilizzare il navigatore. Era passato a prenderla in alcune occasioni e aveva memorizzato quel tragitto che sembrava essere sempre stato nella sua mente, sepolto chissà dove. Parcheggiò di fronte a casa sua, attendo giusto per pochi minuti il suo arrivo. Sebbene Ophelia conoscesse senza dubbio molte più strade e scorciatoie di lui, l’auto era più veloce della sua bici e a quell’ora non aveva incontrato alcun ingorgo che avrebbe potuto rallentarlo. Quando la vide arrivare scese dalla macchina, aprendo il cofano per iniziare a tirare fuori i suoi acquisti e aiutarla a portarli all’interno. Seguì le sue indicazioni, appoggiando le varie buste sul tavolo mentre un piccolo cagnolino si avvicinò nella loro direzione, saltellando intorno a Ophelia per attirare la sua attenzione. Si piegò sulle ginocchia, così da poterla osservare meglio. -Beh, buon pomeriggio Polpetta, piacere di conoscerti. - mormorò quindi, in direzione del cane, allungando appena una mano nella sua direzione per attirare la sua attenzione. Si chiese se l’avesse mai incontrata prima, ma non lo domandò, preferendo tenere per altri momenti quel genere di domande. Polpetta dopo un primo momento di titubanza si lasciò accarezzare, per poi riprendere a trotterellare intorno alla sua padrona. Si risollevò, notando che lei aveva provveduto a preparare due birra da fargli assaggiare. -Sono della tua riserva segrete? - domandò, con aria scherzosa, ricordando che lei gli aveva parlato del lavoro di suo padre e del ruolo che le birre giocavano per esso. Assaggiò la prima birra, rimanendo piacevolmente sorpreso dal gusto un po’ fruttato. -Hai ragione, è tutto un altro mondo. - le disse, capendo che cosa voleva dire lei con il fatto di essersi un po’ viziata e di non essere più in grado di bere qualunque tipo di birra le capitasse sotto il naso. Attese che fosse lei a prendere il primo stucchino per poi seguirla, si sentiva leggermente a disagio lì dentro, per quanto non ci fosse nulla di particolarmente strano, forse era solo il suo sesto senso, qualcosa di sopito che cercava di tornare a galla. -Hai sempre vissuto qui? - domandò, incuriosito, mentre si guardava leggermente attorno, continuando a bere la sua birra e spizzicare qualcosa. Lui non aveva alcuna memoria di quella che era stata casa sua, anche se aveva visto alcune foto a casa di Theresa. Annuì quando Ophelia, dopo qualche minuto, gli chiese di darle una mano a trasportare i vari materiali e colori in garage, così da non lasciarli troppo a lungo in cucina. In effetti non aveva riflettuto sul fatto che quello non fosse il posto migliore dove conservarli, lui che nell’ultimo periodo era divenuto sempre più disordinato. -Certo, fammi strada. - disse, mentre, caricandosi un po’ meno questa volta, faceva più di un viaggio per portare tutto quanto nell’altra stanza, portandosi dietro anche le birre nell’ultimo viaggio, così che lei potesse disporre tutto con curo nei giusti scaffali o cassetti. Osservò quell’ambiente ampio, dove si potevano notare le tracce delle passioni di Ophelia e dei suoi lavori. C’erano anche delle foto di lei molto più piccola, in compagnia di una donna che lui non ricordava di aver mai visto. Si avvicinò ad esse, osservandole per un lungo istante, prima che la vista gli si annebbiasse, disorientandolo per un momento.

    Seduto su un divano, stretto in una coperta con il corpo di Ophelia tra le braccia, osservava le fiamme nel caminetto di fronte a lui. il calore lo avvolgeva, ma non era solo qualcosa di fisico, bensì qualcosa che sembrava venire dall’interno, era forse felicità? Lasciò un leggero bacio sui capelli biondissimi di lei, continuando a stringerla tra le sue braccia. -Mi manca molto. - disse la ragazza, quasi in un sospiro e la sua stretta si fece ancora più salda, mentre cercava di farle capire che lui era lì e che non sarebbe mai andato via.

    Quasi saltò all’indietro, allontanandosi velocemente da quella foto e rischiando di rovesciarsi addosso la birra che teneva tra le mani. Il cuore aveva iniziato a battere all’impazzata nel suo petto, ma cercò di prendere un profondo respiro e di calmarsi. Detestava quei flash, quei momenti improvvisi che spezzavano la sua routine e lo mandavano completamente in conclusione. -Sono già stato qui, non è vero? - le domandò quindi, senza riuscire a trattenersi, lo sguardo rivolto verso il basso e la testa ancora persa in quel momento che non riusciva bene a identificare.
     
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    Era come se il mondo intorno a lei scomparisse, quando c’era Erik nelle sue vicinanze. Risultava ovattato, una semplice distrazione a cui appigliarsi nei momenti di paura o di disagio. Le sue attenzioni erano direzionate verso di lui, seppur cercasse di nasconderlo: le piaceva osservarne il profilo, le espressioni e captare i cambiamenti nella sua voce. Aveva sempre avuto questa sensibilità Ophelia, osservare le persone e percepirne gli stati d’animo. Era sensibile e questo, era un gran pregio ma anche una grande fonte di sofferenza. Delle volte avrebbe preferito essere indifferente, soffrire meno, sentire meno: quando sua madre era morta, quando Erik è Astrid erano andati via, Ophelia aveva sofferto così tanto da isolarsi nel suo dolore perché odiava, abbattere gli altri con il suo malumore, con la sua sofferenza. Seppur le sue amiche avevano fatto di tutto per starle vicino, lei aveva preferito isolarsi per non far soffrire anche loro con lei, per non tediarle nella speranza di poter mostrare loro sempre un sorriso di conforto. Non voleva essere motivo di sofferenza per nessuno e vedere le sua amiche soffrire per lei, preoccuparsi per lei, la abbatteva ancora di più. Un vortice senza fine, da cui Ophelia provava ad uscire ogni volta più forte, seppur doveva ammettere di essere stanca di incassare colpi. Uno schiaffo dopo l’altro che lei non era mai stata capace di rendere, un animo buono che non riusciva a far soffrire le persone che amava o che aveva amato, seppur avesse l’orgoglio di chiudere amicizie e amori che non aveva funzionato. Eppure con lui era diverso. Lo osservava muoversi affianco a lei, carico di tutto il materiale che avevano recuperato al negozio e sperare di averlo nuovamente per sè. Qualcosa a cui non riusciva a rinunciare nonostante il dolore che le avesse fatto provare, la delusione che aveva incontrato. Era qualcosa di strano, un legame indissolubile che non aveva mai provato prima se non con i suoi genitori e con le sue migliori amiche. Erik faceva parte di quelle persone a cui non voleva rinunciare, qualcuno per cui avrebbe deciso di lottare seppur avesse provato dolore. E dolore provava mentre lo sentiva abbattuto, parlare di Jasper e del periodo difficile che stavano attraversando. Non ricordava Ophelia, un momento no tra loro due, se non le semplici ripicche e litigate tra migliori amici ma ricordava perfettamente, quanto Jasper fosse infastidito dalla vicinanza crescente tra il suo migliore amico e lei. Era come se fosse divenuta un avversario, qualcuno che rubava tempo prezioso tra lui ed il suo migliore amico e seppur provasse a nasconderlo con maestria, Ophelia aveva sempre sentito quel leggero stridio tra loro due. Credo che passerà.. quando si tiene realmente a qualcuno, si lotta sempre per far andare le cose e credo che il vostro legame sia abbastanza forte da abbattere ogni avversità ammise lei, lasciando aprire un sorriso dolce sul suo volto magari state attraversando un momento in cui avete bisogno di stimoli diversi, di provare emozioni differenti.. ma sono certa che ad ogni modo vi ritroverete.. siete sempre stati così ricordò, prima di offrirgli una birra a casa, che raggiunse poco dopo di lui con la sua bicicletta azzurro cielo.

    Il tepore di casa le scaldò il cuore. Era la sua comfort zone e li si sentiva al sicuro, seppur fosse strano vederlo entrare come un estraneo in quella casa che aveva vissuto già molte volte prima di allora. Erano cambiate un po’ di cose da quando Erik andava li, per prima cosa avevano deciso di eliminare tutti i colori accesi della tinteggiatura rendendo le pareti più eleganti ed amalgamate tra loro. Ricordava che avevano accettato quei colori vivaci, quando suo madre aveva chiesto di rendere casa più allegra, dato che ci avrebbe dovuto passare molto tempo ma dopo la partita di Erik, Ophelia ebbe bisogno di mettere pace nella sua vita e nella ricerca di queste, si mise a dipingere anche le pareti di casa. Una faticaccia, ma ne era valsa la pena, tutto aveva preso un aspetto più elegante e coerente nella casa.
    È sempre così, non preoccuparti. A primo acchito diffida delle persone che non conosce, poi si farebbe fare di tutto sorrise, osservando il canino che prese a giocare con la mano di Erik non appena ebbe finito di annusarlo. Dichiamo che non sarebbe un ottimo guardiano contro i ladri sorrise ancora, sporgendosi verso le birre che preparo, insieme a qualche stuzzichino da addentare per non farsi girare troppo la testa. Della riserva di papà! Questa è un azienda con cui collabora da molto tempo, quindi ne abbiamo veramente tante di loro birre e devo essere sincera, sono tra le mie preferite ammise, sorseggiandone un po’ mentre si divertiva ad osservare il sorriso compiaciuto di Erik. Si, almeno da che io ricordi! Prima era tutto più colorato, le pareti erano gialle e azzurre, invece da un paio di anni le ho ri-dipinte con papà e abbiamo fatto tutto bianco e corda spiegò lei, rubando un po’ di quel formaggio che non riusciva mai a smettere di mangiare. Tu invece? Sei riuscito a vedere Theresa? domandò, cercando di lasciare serenità in quella domanda che poteva essere quanto di più simile ad una lama affilata se posta nella maniera sbagliata. Sono convinta che le hai fatto un bellissimo regalo a farti sentire sorrise ancora, cercando di dare serenità.
    Se non ti spiace mi sposterei in garage, così portiamo via la balsa dalla cucina che spolverano tutto.. sono malefiche, tengono un sacco di polverina perché sono morbide per essere lavorate chiese, non appena ebbero finito quei pochi stuzzichini che aveva a disposizione nel frigo di lá poi, dovrei avere delle patatine così assaggiamo l’altra birra. Non appena Erik le rispose positivamente, Ophelia fece strada portandolo in quel luogo che non era solo un semplice magazzino. Era un sentiero dei ricordi, un luogo in cui amava passare il suo tempo ed in cui aveva costruito ricordi bellissimi con persone a cui teneva molto. Suo padre ci aveva tenuto molto a renderlo accogliente, quando sua moglie si ammalò ed inizio a passare molto del suo tempo lì a dipingere: mise scaffali, attrezzi appesi in ordine come fossero quadri ed installo una piccola stufa accompagnata da un divanetto recuperato in un negozio vintage, insieme alle mensole in legno che erano state installate affianco per creare un ambiente più casereccio. Sopra, vi erano molte foto della infanzia di Ophelia e dei suoi genitori. Non tardò ad accendere la stufa Ophelia, mentre Erik si era proposto per fare il secondo giro e finire di portare tutto lì. Fortunatamente, quell’ambiente si riscaldava in fretta non avendo soffitti alti e assenza di finestre, se non il portellone che un tempo veniva utilizzato per l’ingresso delle automobili. Di fianco al camino, una parete che un tempo bianca, era stata dipinta da lei e sua madre con disegni astratti. La adorava Ophelia, seppur ci fossero molti punti imperfetti. L'impazienza dell’essere bambina, l’avevano fatta finire fuori dai contorni disegnati dalla donna, sbavando i disegni ben delineati. Eppure sua madre sorrideva, raccontandole che spesso erano proprio le imperfezioni a rendere qualcosa speciale. Così, quelle piccole sbavature erano diventate bellissime per lei, un ricordo speciale cui attingere quando ne aveva bisogno. Quando Erik la raggiunse, lo vide perdersi ad osservare quell’ambiente che era un perfetto mix tra un ennesima stanza della casa ed un garage, la sua attenzione venne catturata dalle foto appoggiate sulle mensole. Vide il suo volto cambiare, incupirsi e distaccarsi dal mondo mentre arretrava appena come sè quelle foto scottassero. Sapeva che aveva visto qualcosa, l’aveva capito dalla sua reazione e la conferma arrivò quando gli pose quella domanda. Si, ci sei già stato molte volte. ammise lei, prendendo posto sul divanetto e facendo segno anche a lui di sedersi. Non appena entrambi ebbero preso posto, Ophelia fece una pausa bevendo un sorso di birra e cercando le parole migliori da usare con lui. Siamo stati insieme un po’ di anni, prima che tu decidessi di .. si insomma, lo sai ammise lei succederà altra volte. So che non è semplice, deve essere stranissimo vedere se stessi in una vita che si è vissuto ma che non si ricorda.. ma vorrei che non ti chiudessi in te stesso continuò credo che la mancanza di comunicazione ci abbia portato dove siamo adesso e vorrei che non ripetessimo lo stesso errore ammise lei, con calma. Vorrei aiutarti, se ti va, a ricordare quello che ti farà piacere scoprire confidò, prima di ascoltare il racconto di quel flash che aveva appena vissuto. Ho perso mia madre quando avevo undici anni, aveva un tumore che le raggiunse la testa e questo luogo era la sua valvola di sfogo. Quella parete l’abbiamo dipinta noi, mio padre ha sistemato tutto per cercare di rendere il garage meno freddo spiegò lei, con un sorriso dolce ed un pò malinconico sul volto ho preso da lei l’amore per l’arte, anche se all’epoca non avevo molta pazienza e facevo un po’ di pasticci sorrise, a ricordare tempi passati noi siamo stati spesso qui.. soprattutto all'inizio della nostra storia, quando ancora non eravamo pronti alle presentazioni con i famigliari rise, ricordando quanto erano ridicoli nel cercare di non farsi vedere da suo padre che, ormai aveva già capito l’antifona. Voglio farti vedere una cosa.. propose lei, chiedendo la mano di Erik nella sua. Proiezione mentale, la sua particolarità mostrò lui quei momenti assurdi, i sorrisi sui loro volti mentre si acquattavano per entrare ed uscire dal garage sperando di non essere visti. Il casino che rischiavano di fare certe volte, mentre finivano per urtare qualche ostacolo nella loro strada. I sorrisi felici sui loro volti. Voleva mostrargli un pò di felicità, un briciolo di quella serenità che entrambi avevano trovato insieme e non solo le forti discussioni o tragedie che avevano dovuto combattere.
    non ho riletto!
    Nella bacheca Telegram ci sono le foto del garage, poi te le giro **
     
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    Annuì lui, distrattamente, quando Ophelia gli disse che quel suo periodo di incompresione con l’amico sarebbe finito e che tutto sarebbe tornato al suo posto. Si chiedeva se fosse davvero, se quei piccoli screzi si sarebbe spenti come piccoli fuochi estivi sotto il getto dell’acqua, o se piuttosto quelle scintille non avrebbero finito con il divampare in un incendio, ben più complicato da spegnere. Più i giorni passavano e più gli veniva semplice notare delle differenze che, in quegli anni, non aveva mai visto. Era come se aver oltrepassato i confini di quella città avesse tolto il velo che li aveva ricoperti sino a quel momento, mostrando finalmente la verità. Era preoccupato per quelle divergenze sempre più evidenti di cui Jas sembrava non voler parlare, ma non voleva trattenere troppo a lungo l’attenzione di Ophelia su quello. Lei era stata così gentile con lui fino ad allora e non voleva certo abusare della sua cortesia o della sua pazienza. Prima o poi il momento di confronto con l’amico sarebbe giunto, ne era certo, nel frattempo poteva solo cercare di chiarirsi le idee e decidere come approcciare la faccenda. Ci teneva a lui, anche se l’altro iniziava a mettere in dubbio la loro amicizia, facendolo andare in bestia. Aveva iniziato a chiudersi, a lanciargli qualche frecciatina per poi sparire per giorni, senza farsi vedere. Le aveva ignorate, dicendosi che avrebbe smesso di fare il cretino se non gli avesse dato corda, ma le cose non stavano andando come aveva sperato. Forse avevano sognato troppo in grande, forse avevano avuto la stessa insolenza di Icaro e ora, arrivati troppo vicino al sole, le loro ali stavano per bruciarsi, lasciandoli cadere a terra, di nuovo, da dove sarebbero stati costretti a ricominciare. Il giorno prima Jas gli aveva parlato di un locale a Bergen dove avrebbero potuto suonare per due o tre serate. Aveva iniziato a preparare le valigie prima ancora di parlarne con lui mentre Erik era rimasto immobile, sulla porta. Non avevano mai pensato di suonare troppo a lungo nella stessa città e l’idea di stare fuori per qualche giorno, lontano da tutto ciò che Besaid portava con sè, suonava persino rassicurante, eppure qualcosa dentro di lui era scattato a quella notizia. Temeva che potesse accadere di nuovo quello che era avvenuto in passato e voleva prendere tutte le necessarie precauzioni per evitarlo.
    Si guardò intorno, una volta varcata la soglia di casa di Ophelia, venendo poi raggiunto velocemente da Polpetta, intenta a comprendere chi fosse quel nuovo intruso. -Forse con un abito più pauroso potrebbe spaventarli però. - mormorò, con un sorriso tranquillo, risollevando lo sguardo su Ophelia mentre lasciava qualche piccola carezza sul dorso dell’animale. Per un momento immaginò la cagnolina con un mantello nero e una maschera sul volto, in stile giustiziere della notte e ridacchiò appena. No, decisamente non era il suo stile. Si rimise in piedi quindi, seguendo il discorso della ragazza sulle birre e sul lavoro del padre, incuriosito dall’idea di assaggiare una delle birre preferite di lei. Non riusciva a immaginare le stanze dentro cui si trovava dei colori più accesi di cui lei stava parlando. Probabilmente doveva aver conosciuto quel luogo in una veste completamente diversa, ma non riusciva proprio a ricordarlo e forse, in quel momento, era molto meglio così. -E’ una bella atmosfera. - rispose quindi, soltanto, un po’ sovrappensiero, mentre continuava a guardarsi attorno, come se si aspettasse di avere chissà quale rivelazione da un momento all’altro, semplicemente guardando quelle pareti. -Sì, ci sono stato qualche giorno fa. E’ stato un po’ strano a dire il vero ma.. mi ha raccontato molte cose. - disse, rimanendo comunque ancora un po’ sul vago. Neppure lui era stato in grado di fare chiarezza su tutti quei racconti e pensieri e gli veniva quindi un po’ complicato parlarne, soprattutto con lei. Si trovava a suo agio vicino a Ophelia, eppure una parte di lui continuava a temere di fare la cosa sbagliata, di perdere qualche dettaglio importante. Era strano percepire in maniera piuttosto vivida dentro di sè ciò che aveva provato per lei e non sapere ora come affrontarlo. Erano passati diversi anni, sarebbe stato sciocco fingere di poter tornare indietro, poterne parlare come se niente fosse.
    Incontrare Theresa e parlare con lei gli aveva permesso di aprire una finestra più ampia sul suo passato, anche se questo non rendeva più semplice affrontarlo. -Sì lei era… molto felice. - le rispose quindi, lasciando che un leggero sorriso illuminasse il suo volto nel ripensare al momento in cui l’aveva rivista e qualche leggero flashback gli era tornato in mente, disorientandolo un po’. Era complicato riuscire a rimanere saldo in quelle occasioni, ancora non era riuscito a farci l’abitudine. Seguì Ophelia verso il garage, trasportando i vari acquisti così da poterli mettere in un posto più adatto. Fece avanti e indietro per due volte per portare lì tutto il necessario, mentre Ophelia si preoccupava di riscaldare un po’ l’ambiente, mettendo in funzione la stufa. Iniziò a muoversi lentamente lungo le pareti della stanza, per osservare meglio quel luogo pittoresco. Si vedeva che la ragazza doveva averci trascorso dei bei momenti e che quello era un po’ il suo posto. C’erano tanti strumenti per il suo lavoro o le sue passioni ed entrare lì dentro gli parve quindi come poter avere finalmente una vera finestra su di lei e sul suo mondo. Era strano e piacevole al tempo stesso, ma in pochi minuti si ritrovò di nuovo catapultato all’interno della voragine dei ricordi, con quella strana stretta all’altezza dello stomaco che lo irritava un po’, insieme alle fitte alla testa. Gli sarebbe piaciuto poter riacquistare qualche ricordo in maniera un po’ più piacevole, invece ogni volta era sempre la stessa storia. Chiese a Ophelia la conferma ai suoi sospetti. A quanto pare era stato lì parecchie volte in passato durante la loro relazione, prima che decidesse di andare via. Abbassò appena il capo, come punto sul vivo, quando lei lo invitò a non tenersi dentro tutto quanto visto che era stata proprio la mancanza di comunicazione a rovinare la loro relazione e non voleva che il rapporto che stavano cercando di ricostruire venisse messo a dura prova dagli errori del passato. -Eravamo seduti su quel divano, credo che tu mi stessi parlando di.. tua madre? - mormorò, un po’ confuso, mentre indicava appena con un cenno del capo il divano su cui lei era seduta.
    Lo sorprese positivamente sentirle dire che avrebbe voluto aiutarlo a ricordare alcune cose, se lui era d’accordo. Aveva sempre pensato che per lei quell’idea potesse essere più che altro un peso e per questo non aveva mai voluto chiederle nulla, ma si ritrovò ad annuire in quel momento, davanti alla sua offerta. Si sedetta accanto a lui sul divanetto, mentre gli raccontava di sua madre, di quanto fosse piccola quando purtroppo l’aveva persa e di come quel luogo fosse stato una sorta di valvola di sfogo per la donna. Osservò con più attenzione la parete che Ophelia e sua madre avevano dipinto, cercando di comprendere qualcuna di quelle forme, senza tuttavia riuscirci davvero. Le parlò di loro poi, del tempo che avevano trascorso tra quelle mura, soprattutto nella fase iniziale della loro relazione, quando non volevano farsi vedere dai loro genitori. La osservò ridere, era bella quando il suo volto si illuminava di allegria e riuscì a strappare un sorriso persino a lui che in quel momento non sapeva bene che cosa dire. Allungò una mano a stringere quella di Ophelia, quando lei gliela chiese. Chiuse gli occhi quando una serie di immagini iniziarono ad apparire all’interno della sua mente, del tutto estranee. Vide alcune immagini di loro due, nascosti dietro il divano su cui si trovavano, per cercare di sfuggire al padre di Ophelia. Muovendosi al buio aveva sbattuto contro il bastone di una scopa e questa era caduta, facendo un gran fracasso. La mano di Ophelia era premuta sulle labbra di lui per evitare che potesse fare rumore mentre lei sembrava quasi trattenere il respiro. L’immagine mutò in un’altra, in cui lei, appoggiata sulla spalla di lui, rideva e cercare di dimenarsi affinchè la facesse scendere e la riportasse con i piedi per terra. Anche lui rideva, felice come non ricordava di essere mai stato.Momenti di tranquillità si alternavano ad altri in cui sembravano rincorrersi attorno a quel piccolo divano, per poi finire su di esso a baciarsi come se quello fosse il trofeo per chiunque avesse ottenuto la vittoria o la sconfitta. Lasciò che lei gli mostrasse ciò che voleva, per poi prendersi qualche attimo per recuperare la lucidità quando le immagini si fermarono. Riaprì piano gli occhi osservandola per un momento prima di abbassare di nuovo il capo, alla ricerca della maniera migliore di dirle tutto ciò che gli stava passando per la testa in quel momento.
    -Theresa mi ha parlato molto di te… di noi. - iniziò, non sapendo come altro dirlo, risollevando piano lo sguardo verso di lei per cercare di scorgere qualche cambiamento sul suo volto. -Mi ha mostrato un interno album di foto che però non sono riuscito a portare via. - continuò, lasciandosi andare ad un leggero sospiro. Era confuso, ma questo doveva essere già piuttosto evidente, senza il bisogno di farglielo presente. -Non posso dire di sapere con certezza che cosa sia accaduto, perchè non lo ricordo. Ma credo di non avere mai avuto intenzione di andare via davvero, di lasciarti. - disse, mentre il flusso di pensieri che aveva invaso la sua mente iniziava a venire fuori, come un turbine impazzito. -Osservando quelle cose mi sono reso conto di non avere mai davvero spento del tutto quello che dovevo provare per te in quel periodo ed è per questo che sono così confuso e che mi è difficile stare vicino a Kaja o vicino a te. - spiegò, mentre un sorriso un po’ triste compariva sul suo volto, oscurandolo appena. -C’è un grosso casino dentro la mia testa che non riesco a sbrogliare e più cose ricordo o mi vengono raccontate e più entro in confusione. - ammise, con l’ennesimo sospiro, sperando di non averla irritata o spaventata con quelle ultime parole. -So che tu sei andata avanti con la tua vita dopo quello che è successo e non ti sto chiedendo di riprendere da dove ci siamo fermati, ovunque fosse, ma non posso comunque continuare a stare insieme a lei se dentro di me provo ancora qualcosa per te. - disse ancora, scuotendo il capo con aria un po’ affranta, per poi allontanarsi appena di qualche centimetro da lei per lasciarle un po’ di spazio. -Mi piacerebbe davvero avere il tuo aiuto però, se ti va davvero, anche se questa cosa potrebbe confondermi più di quanto io lo sia già. - terminò, riuscendo ad essere finalmente onesto con lei, senza sapere quale sarebbe stata la sua risposta.
     
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    Ophelia Jensen-Spector
    '94 | proiezione mentale

    I don’t want to be just one thing. I can’t be. I want to be brave, and I want to be selfless, intelligent, and honest and kind.

    Le fiamme della stufa a legna avevano iniziato a bruciare con più forza, mentre il cubetto di diavolina si era volatilizzato nel fondo di ghisa. Non aveva mai imparato ad accendere il fuoco da sola, senza l’aiuto di agenti chimici e l’unica volta che ci aveva provato, era finita per affumicare tutta la stanza che dovette tenere aperta per mezza giornata intera. Le osservava, lasciandosi incantare da quella danza scombinata, lasciandosi cullare dallo scoppiettio dei rami. L’aveva sempre affascinata il fuoco, calmata nei momenti di agitazione: si fermava li, a lasciarsi cullare dal suo rumore, cercando di leggere un libro al suo calore. Era confortante per lei, un piccolo angolo di pace anche quando il suo cuore era in tempesta. In quel momento, quelle fiamme danzavano allegre come il suo cuore: vi era tensione mista ad eccitazione, come ogni volta che stava vicina ad Erik. Era bello averlo di nuovo lì in città, una risposta ad un suo desiderio espresso molto tempo prima. Non aveva mai smesso di sperare di rivederlo, nemmeno quando si era convinta di essere andata avanti perché, quella convinzione se l’era imposta più per i suoi cari che per sè stessa. C’era qualcosa dentro di lei, che la impediva di andare avanti. Non sapeva se fosse il grande amore che l’aveva legata a lui, facendola sperare in un per sempre, oppure semplicemente il dolore che le impediva di aprire nuovamente il suo cuore a qualcun’altro. Semplicemente, aveva finto per un anno intero di essere andata avanti quasi convincendo anche sè stessa quando la mattina, si guardava allo specchio del bagno. Poi, quando l’aveva rivisto sul palco dell’Egon, ogni certezza si era sgretolata sotto i suoi piedi facendola sprofondare in un mare in tempesta. Le onde, potevano aiutarla a raggiungere la spiaggia della salvezza oppure, potevano spingerla lontano fino a farla affogare. Non sapeva quale delle due opzioni avrebbe dovuto affrontare decidendo di avvicinarsi nuovamente a lui, eppure la sua testa ed il suo cuore, non le davano altre opzioni se non quelle di affrontarlo. Ogni centimetro della sua pelle era attratto da lui, e seppur la rabbia, il dolore e la delusione per quello che aveva fatto erano ancora vivi in lei, nascosti in un piccolo cassetto del suo cuore, la necessità di avvicinarsi a quel ragazzo che era stato il suo tutto, andava oltre.
    Voleva provare a conoscerlo, a capire quella nuova parte di lui che era emersa allontanandosi da tutti gli obblighi che l'avevano sempre schiacciato. Come era il vero Erik? Quello che non doveva dimostrare di essere il figlio perfetto, il superbo primogenito della famiglia Andersen, il capogruppo di amici che si aspettavano sempre qualcosa. Quell’Erik, poteva forse sbagliare ed avere delle debolezze, poteva mostrarsi dolce o emotivo senza doversi per forza guardare attorno per non sembrare debole. Si era convinta che fossero solo quelli i motivi per cui voleva vederlo ancora, ed ancora. Aveva dato quelle come motivazioni a Sam e Skye, quando le avevano chiesto perché volesse farsi ancora del male. Erik aveva una ragazza, non ricordava più niente di quello che erano stati, non sapevano neanche se sarebbe rimasto o se aveva intenzione di andarsene un’altra volta. Allora perché, doveva sbatterci di nuovo la testa?. Non lo sapeva e probabilmente, non l’avrebbe mai saputo. Erano sensazioni, erano sentimenti a parlare prima di quanto riuscisse a fare la testa ed allora, le uniche risposte che aveva potuto dare alle sue amiche, per voler dire qualcosa di sensato, era stato quello.
    Lo vide riapparire, dopo essere sparito all’interno dell’abitazione nuovamente per recuperare le ultime cose che mancavano da portare in garage. Sorrise, mentre lo osservava muoversi in quella stanza che aveva già vissuto molte altre volte. Nello stesso istante in cui ebbe quel pensiero, Erik sobbalzò perdendo per qualche minuto la connessione con il mondo. Stava ricordando e per un secondo, il respiro le si mozzò in gola non sapendo cosa esattamente stesse vedendo. Quando riprese il controllo su se stesso, lasciò che Ophelia si aprisse con lui, ascoltando quelle paure che l’avevano affranta in quegli anni di separazione, quel tormento di aver dato troppe cose per scontate senza aver l’accortezza di scavare nel profondo. Una paura infondata che un animo gentile come il suo, percepiva come una colpa. Non parlavo spesso di mia madre, ma questa stanza porta con sè la sua anima ed è qui che ho parlato con te di lei, per la prima volta. Stare qui, è bellissimo ma anche triste allo stesso tempo. Mi ricorda quanto tempo non abbiamo potuto passare insieme confessò lei, non riuscendo a rispondere esattamente alla domanda del ragazzo, dato che durante la loro storia, avevano parlato spesso della donna, soprattutto quando le cose avevano iniziato a farsi serie tra loro. Non amava parlare di sua madre con gli sconosciuti Ophelia, ma con Erik, aveva voluto condividere ogni cosa: storie, album, momenti di gioia e di dolore. Lui era parte integrante della sua vita è come tale, voleva fargli conoscere anche quella parte preziosa di sè. Nella pesantezza delle sue parole, sentì il bisogno di aprirsi ad una luce più serena. Non voleva condividere con il ragazzo soltanto momenti cupi o troppo complessi per essere associati a quella che era stata la loro storia. Si accorgeva Ophelia, che solitamente i ricordi che tornavano alla mente, erano spesso significativi e nonostante quella confessione avesse voluto dire molto per entrambi, adesso che Erik non aveva memoria poteva pesare come un macigno su di lui. Nel suo essere sempre più per gli altri, che per sè stessa, Ophelia chiese le mani di lui nelle sue, per proiettare all’interno della sua mente un pò di sana leggerezza vissuta da entrambi nel passato. Attimi sorridenti che li avevano visto comportarsi come due semplici ragazzi giovani e innamorati. Le risate che fendevano l’aria cristalline, i giochi di due innamorati alle prime armi con l’amore. Non capì subito la reazione di lui, quando finiti quei flash abbassò nuovamente gli occhi verso le loro mani ormai disgiunte, fino a quando le sue labbra non presero a parlare, in una confessione difficile da rendere pubblica. Aveva ascoltato ogni parola che il ragazzo aveva avuto da dirle. Riusciva a percepire il suo stato d’animo, la difficoltà nell’inserirsi in una vita che era stata da lui vissuta, ma che aveva anche dimenticato. Era a tutti gli effetti una perdita di memoria, forse desiderata o forse subita, che portava irrimediabilmente un cambiamento. Non sapeva come avrebbe potuto realmente aiutarlo, non sapeva se parlare del loro passato poteva essere un bene o un male per quel ritrovato rapporto. Voleva semplicemente aiutarlo e stargli vicino, per come le fosse stato possibile.
    Si sentiva in difetto, osservandolo in quegli occhi che cercavano di scappare dai suoi, forse in difficoltà, forse colpevoli di un passato che non riusciva a ricordare. Gli aveva fatto male, molto male, e nonostante cercasse di passare avanti al dolore che aveva provato in quegli anni, la ragazza ricordava ancora l’acutezza, il senso di vuoto, la paura dell’essere stata abbandonata. Era un dolore malinconico, profondo che non riusciva a staccarsi da lei e che aveva creato una ragnatela di insicurezza intorno al suo cuore. Si era chiesta molte volte, perché Erik avesse fatto ciò che avevo fatto, senza riuscire mai a darsi una risposta concreta. Le sue erano solo congetture, meri pensieri di una sola parte di un rapporto a due. Persino Theresa, non era stata capace di aiutarla quando, in una valle di lacrime aveva raggiunto la sua abitazione chiedendole dove fosse finito il suo ragazzo. Ricordava ancora la sensazione sgradevole che si era aperta in lei come una voragine, quando la paura si era trasformata in cruda realtà. Una sensibilità innata che da sempre l’aveva caratterizzata e che da sempre, le faceva percepire delle verità senza conoscerle con certezza. Era come un campanello d’allarme che si accendeva prepotente dentro di lei, senza chiederle permesso. Le era successo quando suo padre aveva avuto un incidente in macchina, una sera che stava tornando da una località vicino Besaid. Le era successo quando il padre di Astrid era venuto a mancare. Le era successo quando Erik aveva deciso di partire. Percepiva cose, che avrebbe preferito non percepire e non era una particolarità, semplicemente un sesto senso che si sposava con la sua sensibilità. Sentirlo pronunciare alcune di quelle parole, sentirgli dire che credeva di non essere mai stato intenzionato a lasciarla fù come ricevere una coltellata in pieno stomaco. Piacere e dolore mischiati insieme, come una dose di morfina dopo un operazione. Non so cosa dire. Non deve essere semplice per te cercare di raccattare moniti di una vita passata che non riesci ancora a ricordare ammise lei, cercando gli occhi di lui con i suoi ti ho chiesto di essere sincero con me, perciò cercherò di esserlo anche io disse, prima di prendere un grosso respiro, nel tentativo di trovare la parole giuste da dire ero arrabbiata con te.. lo sono ancora un po’, perché mi hai lasciata così, mi hai abbandonata senza preavviso, senza neanche darmi una spiegazione.. ma quando ti ho rivisto all’Egon, tutta la mia rabbia si è affievolita surclassata dall’emozione di poterti vedere nuovamente, di sapere che stavi bene ed eri lì, nuovamente davanti ai miei occhi si prese una pausa prima di continuare, emozionata nel pronunciare quel turbinio di parole fatte di emozioni so che queste parole non sono di conforto, che possono spaventarti dato che non riesci a ricordare niente di te, di noi, ma credimi quando ti dico che sono felici di averti di nuovo qui. confessò, cercando i suoi occhi. Non sapeva neanche lei cosa stesse provando in quel momento, le batteva così forte il cuore che sembrava stesse per scoppiare. Scoprire che forse Erik non l’aveva mai voluta lasciare realmente, apprendere che non era pronto a continuare la sua storia perché forse provava ancora qualcosa per lei era come bere l’ennesimo mojito a pancia vuota. La testa da pesante si faceva leggera e si sentiva come inebriata dalle sue stesse emozioni che la stordivano, tra emozione e paura. Cercò di fare chiarezza su se stessa, di prendere il filo del discorso e non lasciarsi troppo trasportare dall’attimo Capisco quello che provi, in modo diverso ovviamente ma credo che per entrambi la nostra storia non si sia mai conclusa realmente. Non abbiamo mai messo un punto al nostro rapporto perché non abbiamo mai avuto modo di chiuderlo, di mettere fine al sentimento che ci legava. ipottizzò lei, dando voce a quel pensiero che aveva analizzato molte volte prima di allora, quando si chiedeva perché non riuscisse a staccarsi dall’idea di lui. Era sempre stato lui nella sua testa e nel suo cuore, lui e nessun altro, anche quando aveva fatto di tutto per andare avanti. Quella canzone che hai cantato all’Egon la prima sera che ci siamo visti, l’ultima che parlava di una ragazza dalla chioma bionda... non l’avevo mai sentita prima, ma mentre ne ascoltavo le parole, sapevo che stava raccontando di me confessò, in quella che forse era più una domanda che una vera affermazione. Era stato strano per lei sentirla e rileggersi in quelle stesse parole che non aveva mai conosciuto. In ogni rima di quella melodia, Ophelia aveva letto caratteristiche che Erik aveva sempre sottolineato in lei. Si era convinta che l’avesse scritta dopo la partenza da Besaid, perché mentre era in città, Ophelia era il suo tester per le canzoni: gli faceva ascoltare piccole melodie o semplici bozze, prima di arrivare alla canzone finita e quella, non aveva mai avuto il piacere di sentirla. Quella canzone, era come il filo rosso del destino o più semplicemente il filo d’Arianna: si legava ad entrambi per riportarli al loro destino. Li univa in una storia dove lui poteva non ricordare ma dove, la sensibilità del suo cuore lo portava ancora a sperare e rievocare. So che non sarà facile ricordare il passato e credo che non sia del tutto necessario. Credo che tu non debba legarti a qualcosa che ormai è stato ma allo stesso tempo capisco che può essere importante recuperare dei ricordi di te rispose alla sua confusione credo anche che sia impossibile ripartire da dove eravamo rimasti. Sai, la nostra storia non è mai stata particolarmente semplice. È stata caratterizzata da alti e bassi, entrambi però avevamo sempre la voglia di trovare un pari. Venivamo, veniamo da due mondi diversi. La tua famiglia è molto ricca, tu eri il classico ragazzo snob desiderato da tutte le ragazze. Io sono sempre stata una ragazza tranquilla che si accontentava della compagnia delle sue più care amiche. Tu eri un ragazzo di mondo, amavi la popolarità e frequentare i locali, io tendevo a rimanere nell’ombra e a divertirmi a feste in casa, cinema e teatro. Conducevamo due vite completamente diverse fino a quando non ci siamo incontrati al centro di volontariato dove eri stato segnato per scontare qualche pena alle tue malefatte. Amavi creare scompiglio con i tuoi amici e far arrabbiare tuo padre sorrise lei da quando ci conoscemmo al centro, non hai più smesso di tormentarmi. Era come se più ti rispondessi male, più ti stimolassi ad insistere con me fino a quando beh, ho ceduto e ti ho concesso un uscita insieme. Tu eri decisamente egocentrico, tanto che dovetti farti scendere dal piedistallo per riuscire a parlare realmente con me. lo osservò, mentre gli raccontava quella storia di loro, del primo incontro credo che adesso, lontano dai tuoi ricordi e dai tuoi doveri, sei più libero di essere il te stesso che volevi. Quello che non doveva per forza dimostrare qualcosa agli altri. Mi piacerebbe conoscere questo lato di te, che con fatica riuscivi a tirare fuori in passato e che era quello che più di tutti mi piaceva. ammise per quanto riguarda i ricordi, non c’è fretta e potremmo cercare di ricostruire un po’ di pezzi con calma, quando ne avrei voglia. Ci sono tanti aspetti di te e delle tua vita che potrei raccontarti, alcuni non li ho vissuti in prima persona ma soltanto dai tuoi racconti, ma davvero vorrei essere utile per te, aiutarti come preferisci. confessò infine.
     
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    Del fuoco lo avevano sempre affascinato i giochi di luci e ombre che sapeva emettere, quelle forme astratte e sempre diverse. Anche in quel momento, con lo sguardo perso sulle fiamme della stufa che ardevano nella stanza, seguiva il profilo delle ombre ora lunghe, ora più brevi, che si stagliavano sulle superfici. Da quando aveva riscoperto la sua particolarità aveva trascorso diversi minuti a giocare con quelle masse scure. Lo aiutava a pensare, a liberare la mente e a concentrarsi maggiormente su ciò che lo preoccupava. Anche in quel momento, mentre lui e Ophelia riportavano a galla alcuni momenti del passato, sentì l’istinto di concentrarsi su quelle ombre, come se usare la sua particolarità lo aiutasse a recuperare se stesso, ad aggrapparsi a ciò che gli era rimasto. Evitò di utilizzarla tuttavia, limitandosi a osservare, mantenendo quel punto fisso mentre parlavano di argomenti che divenivano via via sempre più spinosi e personali per entrambi. Ascoltò con attenzione Ophelia parlargli di sua madre, del fatto che non fosse mai stato un argomento di cui le piaceva discutere, probabilmente per i ricordi che portava con sé. Era proprio quella stanza il luogo in cui Erik aveva saputo per la prima volta qualcosa sul suo conto visto che era anche quella la stanza dove Ophelia conservava alcuni dei ricordi più belli di lei e che poi aveva trasformato nel suo posto, quello doveva esprimere se stessa senza paura, come se quella donna fosse ancora con lei e la guidasse nei suoi momenti più creativi. Era evidente dal tono di voce della ragazza che persino in quel momento riportare alla luce quei dettagli sapeva ancora ferirla più di quanto lei avrebbe voluto. Come si faceva dopotutto a superare la perdita di qualcuno che si amava? Fino a qualche mese prima lui non sapeva neppure se i suoi genitori fossero vivi o morti e aver scoperto poi della loro esistenza lo aveva lasciato come con un vuoto dentro, più ampio di quello che aveva portato con sé in quei due anni. Si chiedeva come avessero fatto a lasciarlo andare senza mai tentare di riportarlo indietro, perché visto che avevano tanti soldi non avevano ingaggiato qualcuno per trovarlo e riportarlo a casa. C’erano tante cose sul suo passato che non era riuscito a recuperare ma quel tarlo sembrava proprio non volerlo abbandonare.
    Si lasciò guidare da lei in un percorso di ricordi, come se Ophelia avesse steso in tutti quegli anni un filo da poter riavvolgere per seguire il percorso della sua vita. Si ritrovò a sorridere, quasi senza rendersene conto, mentre nella sua mente scorrevano immagini felici di cui non aveva memoria ma che riportavano a galla emozioni che sentiva di aver già provato. Era come osservare un film sulla vita di qualcuno che riusciva a comprendere molto bene, di una familiarità così alta da dare quasi fastidio. Le era grato per quei momenti, per l’attenzione con cui stava cercando di mostrargli che nonostante tutto c’erano stati anche dei bei ricordi tra di loro e che forse proprio per questo non era riuscita ad odiarlo neppure quando se ne era andato, senza dare spiegazioni. Però allo stesso tempo quei ricordi non facevano che aumentare la confusione che aleggiava nella sua mente e alimentare gli interrogativi che continuava a porsi. Che cosa era accaduto? Perché si era lasciato portare lontano da quella vita? Avrebbe voluto poter trovare come Kaja un messaggio, qualcosa che lo aiutasse a delineare i pensieri che lo avevano mosso poco prima di partire, ma non esisteva nessuna briciola lasciata indietro per ritrovare il cammino. Perché nessun cammino era stato tracciato, c’era stato solo l’istinto, l’irrazionalità. Forse soltanto Jasper avrebbe potuto aiutarlo a ripercorrere i suoi passi, ma ogni volta che sollevava l’argomento l’amico si chiudeva a riccio ed evitava il discorso. Iniziava a pensare che lui sapesse davvero qualcosa che non voleva dirgli, ma non sapeva proprio come farlo parlare. I rapporti tra di loro iniziavano a farsi tesi e temeva che, se avesse tirato ancora la corda, tutto sarebbe andato in mille pezzi e non poteva distruggere un altro legame prima di essere riuscito a ricostruire almeno i frammenti di altri lasciati indietro.
    Aveva ricominciato a mettere insieme alcuni pezzi insieme a Theresa, guidato dalla sua pazienza, dai suoi racconti e dagli album di foto che aveva conservato. Fu quindi spinto da quelle poche certezze che iniziò a parlare, spiegando alla ragazza che cosa aveva per la testa, guidato anche dalla sua richiesta di tenerla di nuovo all’oscuro di tutto, come aveva fatto in passato. Sebbene avesse perso molte delle memorie e dei tratti del se stesso del passato si rendeva conto che tendeva comunque a commettere sempre gli stessi errori, senza volerlo. Però saperlo poteva aiutarlo a migliorare, a imparare. Non voleva più fuggire o nascondersi, né con lei, né con Kaja, visto che nessuna delle due meritava di essere lasciata all’oscuro di ciò che stava accadendo. Non poteva dire che quello che aveva iniziato a provare per la rossa si fosse spento in quelle ultime settimane, ma non poteva neppure dire che ci fosse solo quel sentimento, come era stato all’inizio. Si rendeva conto che qualcosa che era rimasto sopito negli anni stava lentamente spingendo per tornare a galla e reclamare il suo spazio, per quanto assurdo potesse sembrare. Era come una memoria muscolare, quella che ti permetteva di ricordarti come pedalare anche se non lo facevi più da tempo. Le parole di Ophelia arrivarono gentili, quasi rassicuranti, mentre la ragazza cercava di mettersi nei suoi panni e comprendere quanto potesse essere difficile cercare di ricostruire un passato ormai scomparso che però continuava a lasciare degli echi. Riportò lo sguardo su di lei, cercando di mostrarle tutta la sua attenzione, mentre lei ammetteva di essere stata molto arrabbiata con lui nei primi tempi e di esserlo ancora, in qualche modo, per come era stata trattata. Annuì, con un’espressione un po’ dispiaciuta. Gli dispiaceva non essere in grado di darle le spiegazioni che lei avrebbe desiderato, così come era arrabbiato di non poter dare delle risposte a se stesso. Si lasciò sfuggire un sorriso poi, seguendo il filo dei suoi discorsi, quando Ophelia ammise di essere stata però anche molto felice di rivederlo e di sapere che stava bene. Gli sarebbe piaciuto poterle dire che anche per lui era stato lo stesso, invece ricordava molto bene la confusione che lo aveva invaso la prima volta in cui si erano rincontrati e lui aveva capito di averla già vista da qualche parte. E si sentì ancora più confuso quando lei affermò di essere davvero felice di averlo di nuovo lì, nonostante quelle parole potessero suonare strane alle orecchie di lui. -Non sono spaventato, solo.. confuso. - le rispose però, prontamente, cercando di mantenere la linea della sincerità e della trasparenza che avevano deciso di intraprendere, insieme.
    Si era aspettato di sentirla arrabbiarsi, magari gridare, mandarlo al diavolo per le confessioni di poco prima, invece le onde sembrarono infrangersi contro una spiaggia fatta di sabbia soffice e morbida che spendeva sotto la luce del sole, attenuando la tempesta, come a volerla spegnere del tutto e riportare alla calma. Invece lei sembrava capirlo, trovare un filo logico a tutti quei pensieri sconclusionati che aveva portato alla luce, senza sapere come connetterli l’uno all’altro. -Sì, sono arrivato anche io alla conclusione che parlasse di te, così come tante altre che ho trovato nei miei quaderni di appunti. - le disse, allungando appena una mano per sfiorare una di quelle di lei. Aveva letto tante volte tutte quelle parole che gli erano sembrate incomprensibili, ma belle, e soltanto in quei mesi iniziava a rimettere i puntini sulle i e capire. -Le sto riprendendo con più attenzione e leggendo con occhi diversi, sperando di trovare un filo cronologico che mi aiuti a capire. aggiunse, spiegandole quello che voleva cercare di fare. Magari sarebbe stato del tutto inutile, in fondo spesso le canzoni non erano altro che racconti edulcorati, oppure resi più intensi di quanto fossero stati, ma stava cercando di aggrapparsi a qualunque brandello potesse offrirgli delle risposte. -Magari potrei mostrartele una volta che mi sarò chiarito un po’ le idee. - le propose, in caso fosse stata curiosa di leggere qualunque cosa ci fosse stata su quei fogli, lei che avrebbe potuto aiutarlo a separare la realtà dalla finzione, almeno per quanto riguardava loro due. Sospirò mentre lei dava voce ad alcuni dei pensieri che aveva trattenuto all’interno della sua mente, come il fatto che forse non era necessario recuperare ogni cosa, ma soltanto le parti più importanti, che avrebbero potuto permettergli di recuperare almeno il filo logico di ciò che aveva vissuto, sebbene non potesse cancellare con un colpo di spugna anche gli anni trascorsi lontano da quella città. Non aveva intenzione di cambiare radicalmente per una seconda volta, ma si sentiva spoglio, in qualche modo, senza almeno qualche notizia di se stesso, ora che aveva scoperto che un tempo erano esistiti. Aveva ragione anche sul fatto che loro due non potessero comunque ricominciare da dove erano rimasti prima della sua partenza, anche perché lui neppure aveva capito del tutto come tutto si fosse concluso, o non concluso. Ascoltò con attenzione quelle poche spiegazioni sulla loro turbolenta relazione, fatta di alti e bassi dovuti anche ai contesti diversi in cui erano cresciuti. Non riusciva a immaginarsi come il ragazzo snob che lei stava cercando di descrivergli e che aveva intravisto anche nel primo ricordo che aveva recuperato di Kaja, quel ballo di fine anno a cui erano andati insieme, diversi anni prima, quando erano ancora solo due ragazzini che non sapevano nulla della vita e di ciò che sarebbe accaduto loro.
    Arricciò appena le labbra nel sentirle nominare un centro di volontariato come luogo del primo incontro, visto che lui non ci si vedeva proprio in un luogo come quello. Si rilassò poi quando la sentì spiegare che lui era finito lì solo per rimediare ad alcuni casini, riuscendo invece a vedersi in quel tipo di panni. Quello che stava dipingendo era un ragazzino piuttosto sciocco e immaturo. In alcuni tratti riusciva a rivedersi, in altri si sentiva invece molto distante da quella persona che comunque sembrava essere riuscita ad affascinarla e convincerla a dargli un’occasione. -Più mi parli di me e più mi sembro un cretino. Mi spieghi come hai fatto a stare con me? - le chiese, lasciandosi andare ad una leggera risatina, cercando di smorzare un po’ la situazione e far ridere anche lei che sembrava molto concentrata in quel suo racconto. Aveva ragione sul discorso del sentirsi liberi, dell’aver forse trovato il vero se stesso, anche se non era certo di questa accezione. Sorrise appena nel sentirle dire che in fondo la parte più naturale di lui era proprio quella che lei aveva a lungo cercato e che aveva sempre voluto vedere. -Si, mi aiuterebbe molto se tu volessi darmi una mano con qualche ricordo, almeno quelli importanti. - le disse, con un’espressione abbastanza serena sul volto mentre continuava a osservarla. Aveva temuto per giorni che se le avesse detto la verità lei si sarebbe fatta molto più distante, invece per una volta sembrava essere riuscito a fare la cosa giusta, anche se non era stato affatto semplice. La strada per loro e più in generale per lui era ancora molto in salita, ma con pazienza e determinazione sarebbe riuscito a trovare il suo nuovo equilibrio, ne era sicuro. Una vibrazione all’interno della sua tasca lo fece sussultare appena. Afferrò il telefono, notando il nome di Kaja sullo schermo e lo rimise in tasca, senza tuttavia leggere tutto il contenuto del messaggio. Sapeva che anche per lei quelli erano giorni difficili, che stava scoprendo delle cose spiacevoli sul suo passato e voleva starle accanto, anche se non sapeva bene come fare. Anche loro dovevano parlare e probabilmente la discussione non si sarebbe conclusa bene come quella che aveva appena terminato con Ophelia.
    Guardò l’orologio, notando che ormai si era fatto tardi e sospirò appena. -Temo di dover andare ora, si sta facendo tardi. - ammise, con un mezzo sorriso malinconico sul volto. Avrebbe voluto poter avere un po’ di tempo in più per quella sera ma forse sarebbe stato un bene prendersi entrambi un po’ di tempo per riflettere su ciò che si erano detti e decidere che cosa fare, anche se tutto sembrava abbastanza chiaro. Nessuno dei due sapeva dove quella frequentazione li avrebbe condotti, ma entrambi sapevano di non volervi rinunciare, non ancora per lo meno. Si sollevò lentamente, depositando un leggero bacio sulla testolina bionda di lei, dedicandole ora un sorriso un po’ più tranquillo e felice. -Ci sentiamo presto, è stato un piacere darti una mano e.. beh, tutto il resto. - aggiunse, lasciando sospese molte parole che ancora non sapeva come riunire chiaramente nella sua mente. Lasciò che lei gli facesse strada per tornare verso l’ingresso e che lo conducesse poi all’esterno. Si sarebbe rivisti presto, ne era sicuro, ma prima aveva bisogno di rifare un po’ di ordine nella sua vita, così che non ci fossero più altre questioni in sospeso.
     
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