Stay with me, my blood, you don't need to run

Jungkook & Joon - aprile

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    29.03.2020 / Besaid

    Ti va di provare, Jungkook? Hai delle buone mani, potresti tirar fuori qualcosa di interessante, ne sono sicuro. Con voce gentile, Woo-jung si rivolse al giovane facendogli cenno di avvicinarsi e posando uno degli affilati coltellini che stava utilizzando per ultimare di intagliare una delle sue piccole sculture in legno: gli stava offrendo un momento di distrazione, qualche attimo per staccare il cervello dal pensiero che di lì a qualche minuto avrebbero ricevuto la notizia delle dimissioni di Namjoon. L'avrebbero fatto tornare a casa? Avrebbero prolungato la degenza ancora a lungo? Tutti, nella casa del bosco, a pochissima distanza da dove qualche giorno prima i due ragazzi erano stati costretti a vivere delle atrocità capaci di essere rigurgitate solo dagli incubi più oscuri, sembravano essere sul punto di saltare in piedi non appena il telefono avesse lanciato i primi segnali di contatto. I genitori di Namjoon si erano precipitati a Besaid non appena sapute le terribili notizie e, gravitando attorno ai due giovani come dei satelliti guardiani, si erano assicurati di mantenere il massimo del controllo in ogni situazione, quasi che dal loro comportamento calmo e pacato dipendesse la totale stabilità del figlio e di Jungkook. Verso quest'ultimo, inoltre, si erano dimostrati tanto amorevoli quanto avrebbero fatto con lo stesso Namjoon: il ragazzo, in fondo, era da sempre stato considerato parte della famiglia. Una volta raccolto dall'ospedale quando fu in grado di abbandonare l'edificio, la coppia si assicurò che avesse a disposizione tutto il sostegno e l'affetto che sarebbe stato disposto ad accettare, mai stanchi di rivolgergli qualche dolce parola, qualche attenzione in più, un abbraccio più stretto o il semplice poter stare da solo senza aver paura di cadere in una preoccupante solitudine. Passi leggeri ma che portavano insieme una certa energia nervosa si avvicinarono ai due e al tavolo dove stavano lavorando. Mi ha appena contattata il signor Roald. Non lo dimetteranno nemmeno oggi, speriamo in domani. Informò con un piccolo sospiro Caroline e, scuotendo il capo corvino nell'allontanare quella tristezza che si costrinse a provar solo di passaggio, la coppia si raccolse in un piccolo momento di sconforto, chiudendosi le mani l'una in quella dell'altro. Ma ben altri messaggi avevano raggiunto le orecchie pendule di Bobo che, schivando abilmente le parole del signor Roald, si era messo pigramente ad aspettare di fronte all'uscio dell'ingresso il ritorno dell'umano prediletto; infatti, scoperto l'inganno che mancava di ogni forma di malizia, la coda del cane batté un paio di colpi contro il parquet lucido dell'abitazione e sbuffò un abbaio stanco quando poté avvertire il cancello in distanza aprirsi per far entrare l'automobile di famiglia. Così, abbandonato l'enorme peluche che si era portato dietro dall'ospedale e uno spropositato mazzo di fiori, Joon varcò la soglia di casa dopo ben due settimane e fu finalmente in grado di abbandonarsi all'abbraccio dell'adorata famiglia, di Jungkook, del profumo umido del bosco.
    Calò la notte e, per quanto stanco, Joon non riusciva a eliminare una irrequietezza che non gli permise di abbandonarsi al proprio letto, portandolo a rubare un po' del sonno di Jungkook, impegnandolo per qualche tempo con delle chiacchiere nella stanza affidata all'amico. Ormai si era quasi del tutto abituato alla mancanza del sonno e ne erano testimoni le insolite macchie nere che gli si erano presentate sotto gli occhi, raccogliendo il risultato di ore passate a ripercorrere turpi ricordi o a rimpiangere la lontananza da casa. E, proprio nel momento in cui era tornato ad un'apparente normalità, gli sembrava assurdo il dover già lasciare l'abitazione a cui era tornato da poco; tuttavia i progetti gli erano stati chiariti da tempo, ancor prima che venisse dimesso dall'ospedale, così che i sentimenti burrascosi che lo stavano attraversando e non si erano purtroppo assopiti potessero aver modo di calmarsi. Una preoccupazione silenziosa e torva ne occupava lo sguardo che, puntato fra le fronde degli alberi, quasi cercava di individuare il posto verso cui erano stati attratti, al pari di un gruppo di ignari marinai che si gettarono fra le braccia di seducenti sirene. Strinse le palpebre quasi a voler esorcizzare quelle immagini, si staccò dal vetro, e infine tornò a guardare Jungkook, sorridendogli. Al pari della sofferenza per un arto mancante, nonostante le continue visite dell'amico nella stanza d'ospedale, Joon non aveva fatto altro che rimuginare sull'assenza di Jungkook da quando questo non aveva occupato più i suoi stessi spazi, dato che aveva avuto la fortuna di poter evadere dall'ospedale molto prima di lui. Mi sei mancato, sai? E so che siete venuti spesso a farmi visita... ed è venuto anche Hoseok, così come Petra, che mi ha detto di salutarti, ma immagino che l'abbia fatto lei stessa. Però... mi sei mancato comunque. Gli confessò, forse per l'ennesima volta, con tono genuino, ignorando la macchia rossastra palesatasi nel bel mezzo della sua fronte e che testimoniava quanto fosse stato a fissare fuori dalla finestra. Fece qualche passo verso di lui, lasciandosi aiutare dalla stampella con cui avrebbe dovuto condividere un certo periodo della sua vita; non era di certo la prima volta che Joon doveva ricorrere a espedienti simili per via di incidenti, sebbene non potesse creare ulteriori termini di paragone: l'esito sfortunato di un po' di divertimento sulle piste da scii non sarebbe potuto essere posto in similitudine con ciò che avevano dovuto soffrire. Senti, JK... lo so che non vuoi mai pesare sulle spalle di nessuno ma... Iniziò a dire con cautela, sistemandosi vicino all'amico e prendendo posto al suo fianco, abbandonando la stampella dalle sue attenzioni per qualche istante. Se tu volessi rimanere qui, a casa, non ci sarebbe nessun tipo di problema. Si fermò per una manciata di secondi solo per incrociare lo sguardo con quello dell'amico. Per quanto desiderasse essere sempre sincero con l'altro, non poteva nascondere di star mentendo in quel momento: ovviamente l'avrebbe sostenuto da qualsiasi punto di vista, anche economico, senza che Jungkook avesse il tempo anche solo di pensare alla domanda che avrebbe voluto rivolgere a Joon, tuttavia non sarebbe stato in grado di accettare in totale serenità la possibilità di allontanarsi dall'amico. Verrai con me, Jungkook? L'idea della separazione lo stava dilaniando in piccoli pezzettini e, costretto a confrontarsi con il suo egoismo, tirò un piccolo sospiro. Raccolse le mani di Jungkook fra le sue e, nel guardarlo, gli domandò silenziosamente l'esatto contrario di ciò che avrebbe proferito. Tromsø... insomma, lo so che hai parlato coi miei e sono davvero contento del fatto che verrai con noi perché sai che mi dispiacerebbe saperti lontano ma... la tua vita è anche qui, a Besaid.

    ◊◊◊

    12.04.2020 / Tromsø

    Per due lunghe settimane, o forse da più tempo ormai, Joon non fece altro che essere soggiogato ad una strana sensazione d'assenza: come riuscire a provare il vuoto? La confusione aveva preso il totale predominio sulla sua percezione della realtà, tutto gli appariva sfumato, distante, eppure c'erano parti di sé che non facevano altro che ricordargli di come fosse vivo e di quanto stesse soffrendo. Gli sembrò di esser tornato una seconda volta in ospedale; certo, ebbe la fortuna di poter stringersi di nuovo fra i familiari, che furono fra l'altro ben contenti di accogliere anche Jungkook e regalare a lui tante attenzioni quanto al sangue del loro sangue. Fu soprattutto contento di vedere le sorelle, così come di poter salutare le nipoti - che, fra l'altro, avevano preso di buon grado la presenza del migliore amico dello zio. Erano delle incredibili manifestazioni di vitalità, di crescita, che cozzavano con le loro energie con i corpi tumefatti e feriti dei due estranei in quella meravigliosa palla di vetro. Per questo non faceva altro che domandarsi quando avrebbe potuto lasciare Tromsø e, forse, era stato compreso nelle intenzioni da entrambi i genitori. Al pari della mera condizione fisica del suo corpo, avvertiva la vita traboccare al di là delle finestre dell'enorme magione, culla della sua infanzia e della sua crescita, un po' come la sua pelle sana veniva interrotta fra una benda e l'altra. Ciò che avrebbe dovuto donargli una certa obbedienza nei sentimenti, il poter godere di quell'aria e quegli ambienti salubri, di persone a lui care che lo accarezzavano dolcemente con le loro premure, non faceva altro che agitarlo sempre di più: le grate da cui spiava la natura che lo circondava erano diventate sbarre. E contro di queste Joon sbatteva al pari dei tanti insetti alati che pulsavano dall'interno delle sue ferite: farfalle in gabbia che cercavano di traboccare all'esterno. Per due lunghe settimane, infine, i giorni d'angoscia si tramutarono in attimi di quotidiana tranquillità; dormiva bene e insieme il suo appetito si era risvegliato, sebbene una preoccupazione continuamente presente non voleva proprio lasciarlo andare. Subiva il passare di ogni ora come la corsa verso un traguardo che l'avrebbe gettato in una confusione ancor più aspra e difficile da superare e, mentre si posava come un cencio su quella o l'altra poltrona, non poteva ignorare il veloce percorso che stava compiendo verso la dimenticanza. Era tempo di lasciare Tromsø. Come sempre, però, non avrebbe agito senza prendere in considerazione l'opinione del fidato amico e, per questo, una seconda volta in quel mese, gli rubò del sonno per potersi infiltrare all'interno della sua stanza e condividere con lui le sue posizioni. Sarebbe stato disposto ad un rifiuto, ma il peso della decisione di Jungkook avrebbe gravato su entrambi: non sarebbe stato in grado di sopportare la separazione dall'amico, ormai diventato unico appiglio alla sanità e al ricordo. Sapeva che, guardandolo negli occhi, avrebbe potuto incontrare le tracce di ciò che aveva vissuto anche lui, con la stessa intensità e con lo stesso tremendo terrore. Gli ricordava quanto fosse stato vero tutto ciò che avevano provato e, per questo, non avrebbe permesso a Besaid di togliergli ciò che la stessa città gli aveva impresso con un marchio bollente sulla tela della memoria. Per quanto può sembrare assurdo, non voglio dimenticare. Sapeva bene che erano liberi di compiere qualsiasi scelta avrebbero preferito, tuttavia avvertiva in quelle parole un sentimento di tradimento nei confronti di chi voleva per loro solo ed esclusivamente il bene. Non posso rimanere qui, sapendo che perderò mano a mano i ricordi che mi legano a Besaid. Non voglio rimanere qui. Aveva continuato con fare convinto, certo fino in fondo di ciò che aveva appena espresso a Jungkook. Voglio partire... al più presto. Verrai con me, Jungkook?

    ◊◊◊

    20.04.2020 / Besaid

    Aprì gli occhi. Dove mi trovo? Un'angosciante pesantezza gli si presentò sul petto e sembrò non volerlo abbandonare nemmeno quando Joon cercò di scacciarla via coi palmi delle mani, costringendolo ad assaporarne l'impronta invisibile sul suo respiro affaticato, nonostante si fosse appena svegliato. Che cosa ho sognato? Gli occhi pellegrinarono per la stanza, individuando al suo fianco una parte del letto vuota. Perfino Bobo sembrava aver abbandonato il giaciglio su cui era abituato a poltrire per lungo tempo, abbandonando Joon ad un ulteriore e più grave stato di confusione, mentre si rendeva conto d'essersi svegliato al limitar della luce. Facendosi strada fra antidolorifici e medicinali per il sonno, le affusolate dita afferrarono infine la sveglia per interrogarla e aver maggior chiarezza: non era nemmeno giunta l'alba. Mmh... è presto. I pensieri rallentati non avevano l'intenzione di andare in sincrono con l'affanno provocato dal sonno: sembrava che si fosse schiantato contro il risveglio, sul finire di una lunga corsa o forse una fuga da non seppe nemmeno quale strana ombra. Quindi tentò di riprendere sonno ma, nel richiudere gli occhi, le palpebre scattavano verso l'alto, rifiutandosi di prender parte a quel secondo abbandono ai sogni - o, per essere più corretti, agli incubi. Il più delle volte fra la certezza di incontrare sogni cupi e la stanchezza era la seconda, anche con qualche aiuto chimico, a vincere sull'organismo di Joon; spesso tendeva a dimenticare ciò che la sua mente aveva deciso di rigurgitare quand'era immerso dal buio, tuttavia le sensazioni di spossatezza e singolare preoccupazione non riuscivano ad abbandonarlo per lungo tempo, almeno fino a quando non intratteneva in altri modi l'attenzione, iniziando a distrarsi. Un altro modo di esorcizzare quelle sensazioni era fissarle su carta e penna ma, appunto, spesso sfuggivano alla sua stessa memoria e lo infestavano come spettri lugubri ed informi per l'intera giornata. Deciso finalmente ad alzarsi, si diresse con passo claudicante verso l'armadio in modo da poter coprire il torso nudo. Per quanto si astenesse dal farlo così da non rimanere infelicemente sorpreso ogni volta, gli occhi non poterono vagare che sul riflesso che lo specchio gli stava restituendo allo sguardo. Aveva di fronte a sé un corpo messo forzatamente in pausa, costretto alla sospensione, raccolto in un profondo sonno di rinvigorimento che ancora non poteva dimostrare i progressi fatti; la pelle aveva registrato ogni passaggio di eventi ormai distanti nel tempo ma tanto vicini a lui da ricordargli ancora le esatte sensazioni provate in quelle ore fatali. Se il torso e le macchie del fuoco stavano gradualmente migliorando, la gamba era in assicuro l'elemento che gli avrebbe dato noia ancora a lungo. Tuttavia nulla sembrava essersi ancor risvegliato, quasi dandogli l'impressione di essere fasciato e medicato per nessuna ragione apparente, quasi stesse inscenando un bizzarro costume per qualche parata. Chiusa l'anta dell'armadio, avendo recuperato ciò di cui aveva bisogno per non rabbrividire ulteriormente, s'infilò una maglietta e una felpa abbastanza larghe da non disturbare le garze e iniziò a compiere i primi passi di quella giornata iniziata così presto.
    Che strano. Solitamente era necessario nulla più di qualche rumore, al massimo un fischio, per dover combattere con le giocose attenzioni di Bobo, tuttavia quella mattina il cane non sembrava essere in casa. Che sia uscito con Jungkook? Con cautela iniziò a scendere le scale di legno grigio e, soppesando ogni passo ad un respiro più netto, finalmente raggiunse il piano terra. Fece capolino all'interno del cucinino e, non potendo trovar traccia del passaggio di Jungkook, si domandò se si fosse davvero svegliato o fosse ancora immerso nel mondo dei sogni. È scomparso? Per quanto quel pensiero normalmente sarebbe suonato assurdo all'interno di una mente serena, fu in grado di rimbalzare da parte a parte della sua testa acquistando sempre più dinamismo, importanza, fragore. Chiuse gli occhi, interruppe quel fiato disturbante e rivolse lo sguardo al mare, nuova presenza a cui avrebbe dovuto fare il callo. Gli dispiaceva non poter osservare l'albeggiare vicino all'elemento che più gli apparteneva e, separato dal fresco odore della rugiada riscaldata dai primi raggi del sole, Joon avvertì il cuore raggiungere dei livelli sempre più profondi in quella già malinconica giornata. Tuttavia nell'osservare il tratto di spiaggia su cui s'affacciava la loro abitazione i suoi occhi vennero catturati da una luce tremula e una presenza fissa contro l'ondeggiare del mare, un punto umano circondare dal trotto di quattro zampe. Si passò gli occhiali contro la stoffa della maglietta e, convintosi che si trattava dell'amico, fece in modo di uscire di casa solo quando riuscì ad equipaggiarsi di una pesante coperta che si appoggiò contro le spalle; abituato alle rigide temperature del nord della Norvegia, in fondo per lui non sarebbe stato un grande affronto uscire in quello stato ma si era attrezzato in quel modo perché non era certo che l'altro fosse uscito in modo appropriato all'assenza del sole primaverile. Così, mentre combatteva contro il terreno irregolare e il fiato registrava attraverso piccole nuvolette il radicale cambio di temperatura fra interno ed esterno, Joon riuscì a raggiungere l'amico prima che Bobo desse l'allarme, forse troppo impegnato ed interessato a martoriare un legno che teneva fra le zampe.
    Jungkook... ehi, dove sono finiti i piccolini? Intenzionato a non coglierlo di sorpresa, riconoscendo quanto poco fosse piacevole, lo chiamò un paio di volte con tono sorridente e ancora impastato dal sonno, quindi gli posò delicatamente una mano sulle spalle, lasciando che questa si spostasse fra i ciuffi corvini e scomposti per accarezzarli con le dita. Gli picchiettò appena la testa, come ad imitare il beccare di pulcini che avevano abbandonato il nido scuro sul capo di Jungkook, finendo per ridacchiare. Non vedevi l'ora di scendere dal letto questa mattina? Lo interrogò spostandosi vicino a lui, prendendo posto sul grosso tronco abbandonato dalla marea sulla spiaggia. Forse qualcuno aveva voluto accontentarlo, regalandogli la possibilità di avvertire l'umidità del legno sotto i palmi delle mani. Si sedette e, raccolto l'amico nell'abbraccio della coperta che si era portato dietro, passò lo sguardo contro la piccola lanterna che aveva permesso a Joon di identificare la presenza dell'altro fuori dall'abitazione. Spostò poi lo sguardo al cielo che, mano a mano, si stava schiarendo sempre di più. Aah... ora capisco il perché. Gli sussurrò rivolgendogli un sorriso affettuoso, avvertendo i nodi di preoccupazione che l'avevano stretto fino a quel momento sciogliersi con la sola presenza di Jungkook al suo fianco. Si sentì riconoscente. Infine l'idea che Jungkook l'avesse abbandonato, che fosse addirittura fuggito via, tornò ad assopirsi dopo essere stata catalogata e messa da parte come un semplice prurito generato da qualche residuo d'ansia. Mentre il sole si alzava lentamente, la spiaggia sembrava farsi sempre più sottile, come se le onde che avevano davanti potessero trascinarli in fondo, aggrappandosi alle loro caviglie per fagocitarli in una marea che non avrebbe avuto modo di togliere loro il respiro. Tutto, alla luce dei raggi solari, sembrava aver ripreso il suo ritmo naturale, permettendo a Joon di riempirsi d'aria e positività i polmoni. Tirò un lungo sospiro, si appoggiò con un gomito al ginocchio della gamba buona e si afflosciò contro il palmo aperto della mano, trattenendo il viso leggermente più paffuto, ancora segnato dal sonno, su quel pilastro caldo. Con gli occhi cercò quelli dell'altro per una manciata di secondi, interrogandone le pupille candide e che nascondevano pensieri per lo più ignoti, soli. Quindi chiuse le palpebre, forse permettendo ad altre visioni di sondare ciò che lo circondava, forse accecato dall'improvviso impallidirsi del cielo. Ecco la soglia della vecchia casa nel bosco, ecco il buio corridoio. Di nuovo le silenziosa urla provenienti da fauci spalancate, lo scintillio dell'acqua su lame acuminate. Ecco le pupille di Jungkook lucide come due monete e poi un nuovo inizio che aveva il sapore di salsedine. Un faro che non gettava più luce verso il mare. Ecco l'alba.
     
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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: descrizioni dettagliate o realistiche dello stato mentale di un personaggio che soffre di abuso e che attraversa un particolare stato emotivo legato a disturbi d'ansia.
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.


    original
    29.03.2020 / Besaid
    Ti va di provare, Jungkook? Hai delle buone mani, potresti tirar fuori qualcosa di interessante, ne sono sicuro. Solcate da minuscole alture che le cingevano del tutto all'altezza dei polsi, le mani di Jungkook si avvicinarono esitanti al coltellino portogli di Woo-jung, avvolgendolo tra le dita mentre i suoi occhi indagavano i lineamenti paterni e gentili dell'uomo più grande. Un breve cenno d'assenso, ed il ragazzo fu subito vicino a lui. Provò a seguirne le indicazioni, a muovere la lama sulle fibre del legno senza però riuscire a ricavarne una giusta forma, rispecchiando la dimensione interiore che aveva caratterizzato quel periodo di guarigione ed assestamento. Ottenute le prime tempestive cure e dei necessari sedativi, Besaid terminò l'opera che aveva iniziato nel bosco, ricucendo ogni ferita, rimarginando ogni lacerazione e riunendo le parti del corpo di Jungkook in un unico, intoccato intero. A parte le cicatrici che si erano formate sulla pelle, nessun altro segno aveva modificato il corpo sano e forte del ragazzo, rendendo l'orribile esperienza all'arena quasi insospettabile. Persino l'occhio che era stato danneggiato dalla pugnalata mortale di Eddie si ripristinò perfettamente, rigenerandosi nel solito specchio languido e scuro che aiutava Jungkook ad osservare il mondo. Dopo un paio di giorni di degenza, i medici ritennero opportuno dimettere il giovane, lasciandolo alle amorevoli cure dei Løvenskiold-Kim, da sempre dimostratisi la famiglia che non aveva mai avuto la fortuna di avere. Ogni giorno, per quanto allietato ed alleggerito dalla premurosa presenza dei coniugi Woo-jung e Caroline, schiacciava Jungkook sotto il suo peso, allungandosi all'inverosimile fino a far sembrare ogni minuto eterno ed interminabile. Mi manchi. Joon, difatti, era ancora impegnato a lottare per la sua guarigione in ospedale, lontano da Jungkook poichè sotto osservazione per via delle sue ferite. Nonostante avesse ogni giorno combattuto la sua paura e repulsione per gli ambienti asettici delle cliniche per far visita al migliore amico per il maggior tempo possibile e non lasciarlo mai solo, Jungkook ne avvertiva l'assenza, una voragine nel suo cuore che nessun altro avrebbe potuto colmare. Tuttavia, avrebbe dovuto aspettarlo con pazienza, ed al termine di quella faticosa attesa, voleva essere per lui un sostegno, specialmente nel momento del suo ritorno. Grazie al prezioso supporto dei Løvenskiold-Kim, potè iniziare già prima delle dimissioni del migliore amico un percorso di riabilitazione psicologica che l'aiutò a mettere ordine nella disordinata galassia delle sue emozioni, fin troppo confuse e pericolose da condividere in tutta la loro magnitudine con Joon, anch'egli provato dagli orrendi eventi appena passati.
    All'inizio fu difficile anche solo iniziare a muovere le mani per parlarne, un lavoro estenuante ma liberatorio, anche quando le immagini dei polsi insanguinati si sovrapponevano a quelle delle cicatrici che le segnavano; ricordare il momento in cui, disperato, lo sguardo di Joon si era posato su Jungkook appena prima che tornasse a perdere il controllo gli aveva rubato ogni stilla di sonno, rendendolo prigioniero delle sue memorie, le stesse che gli erano state strappate via dalla mente pochi giorni prima. La strada verso la ripresa sarebbe stata lunga, irta e piena di cadute, eppure non si sarebbe arreso, pronto ad affrontare ogni ostacolo assieme a Joon. Con lui Jungkook si era scusato più e più volte, chiedendo perdono per aver evocato in un ferino rituale di sangue gli eventi di un anno prima, replicandoli con la stessa ferocia e ricalcando con la dentatura esattamente gli stessi solchi che aveva provocato nella carne dell'amico, desiderandola di più della sua salvezza. Dopo tutto ciò che Joon era stato ed aveva fatto per lui, rinnovare ricordi spiacevoli, fargli del male ed addirittura attaccarlo con l'intento di ucciderlo era l'ultima cosa che Jungkook avrebbe mai voluto che accadesse. Sapeva che la sua trasformazione era stata forzata, così come gli istinti bellicosi che non gli appartenevano, eppure.. Poteva esserne sicuro? Avrebbe potuto essere totalmente certo di non transformarsi, da qualche parte dentro di lui, in quel mostro che aveva desiderato divorare il suo stesso fratello? Questo, tra tutti i dilemmi che si erano stagliati nel suo animo dopo gli eventi dell'arena, era stato il più dilaniante. Jungkook aveva bisogno di riequilibrarsi e ritrovare se stesso, eppure non sarebbe stato in grado di farlo da solo. Aveva bisogno di vedere Joon, di guarire assieme a lui, di rendersi utile nella sua ripresa. La mente allora tornò al legno che si scontrava coi propri polpastrelli sebbene persa in una speranzosa apprensione, nell'augurarsi di vedere il migliore amico varcare finalmente la porta di casa e rientrare nel suo abbraccio. Fortunatamente Jungkook non era solo, accompagnato in quei minuti sconfortanti da Woo-jung ed infine dai passetti leggeri di Caroline, probabilmente portatori di buone notizie. Mi ha appena contattata il signor Roald. Nemmeno oggi, speriamo in domani. Veloce nel lasciare un po' di intimo raccoglimento alla coppia di genitori la cui preoccupazione non sarebbe mai riuscito ad immaginare e quantificare accuratamente, Jungkook posò il coltellino sul tavolo, dirigendosi vicino alla finestra e così anche a Bobo, rispecchiando i suoi comportamenti più istintivi nel posare una mano sul vetro, ben presto appannato dal suo respiro caldo e macchiato dal suo sguardo triste.
    Due settimane passarono con straziante lentezza, ma le continue visite all'ospedale ne mitigarono la solitudine, stemperata dagli incontri con Joon, che sveglio o dormiente illuminava lo sguardo di Jungkook con il solo ritmico abbassarsi ed alzarsi del petto, una silenziosa promessa di vita che lo tranquillizzava all'istante. I signori Løvenskiold-Kim furono i primi ad abbracciare il giovane una volta rientrato a casa, ricoprendolo di dolci premure ed affetto così come fece anche Bobo, mostrando al suo adorato umano quanto gli fosse mancato. Finalmente. Così, una volta racchiuso il torace di Joon in un lungo abbraccio, Jungkook tornò finalmente a respirare, una boccata d'aria tanto desiderata quanto aspettata. La notte arrivò molto più velocemente del previsto, ed incapace di lasciare il fianco dell'amico, si abbandonò ad ogni tipo di chiacchiera, anch'egli impossibilitato a dormire. Troppi incubi li attendevano oltre la confortevole coperta della notte, e Jungkook non aveva le forze per tornare a combatterli come aveva fatto l'anno prima. Un sorriso, stanco ma sincero tanto quanto quello di Joon distese le sue labbra, riflettendo il moto delle sue in un confortante segno d'amicizia. Mi sei mancato, sai? E so che siete venuti spesso a farmi visita... ed è venuto anche Hoseok, così come Petra, che mi ha detto di salutarti, ma immagino che l'abbia fatto lei stessa. Però... mi sei mancato comunque. Caldo e rassicurante, il torace di Joon fu nuovamente vicino a Jungkook, che senza attendere ulteriormente lo raccolse in un abbraccio, pronto ad ascoltare le vibrazioni del suo cuore arrivare sino al proprio acquietandone il battito, ora regolare e più lento. Anche tu mi sei mancato. Quella vicinanza fisica avrebbe con eloquenza sostituito ogni parola, restituendo a Joon le frasi che egli stesso aveva pronunciato; i giorni senza di lui a casa erano stati molto più difficili di quanto Jungkook si sarebbe mai aspettato, e nonostante l'amorevole presenza di mamma e papà Løvenskiold, non era riuscito a gestire con serenità quel periodo d'assenza. Con riluttanza l'abbraccio si sciolse solo quando il minore intuì l'intenzione di Joon di accomodarsi al proprio fianco, mantenendo una distanza minima con lui che aveva gentilmente posato il suo languido sguardo sulla figura dell'altro. Senti, JK... lo so che non vuoi mai pesare sulle spalle di nessuno ma... Se tu volessi rimanere qui, a casa, non ci sarebbe nessun tipo di problema. Per quanto Jungkook desiderasse recare un impatto minimo sulle spalle del migliore amico sia dal punto di vista economico che energetico, la risposta da dargli fu immediatamente chiara ai suoi occhi. «Mi occuperò di me stesso senza impegnarti, ma per ora vorrei rimanere qui Joonie.» Adamantino nel voler restare al fianco di Joon, Jungkook parlò con estrema chiarezza prima di stringere le sue mani in una delicata presa, soffermandosi sul loro tocco sulla pelle prima di tornare a guardare l'amico negli occhi. Verrai con me, Jungkook? Un breve cenno d'assenso anticipò il breve distacco tra i palmi dei due, in cui il più giovane si curò di dare la sua ultima conferma all'amico nell'attendere che terminasse il suo discorso. Tromsø... insomma, lo so che hai parlato coi miei e sono davvero contento del fatto che verrai con noi perché sai che mi dispiacerebbe saperti lontano ma... la tua vita è anche qui, a Besaid. Più volte durante quelle lunghe giornate Jungkook aveva considerato come e soprattutto dove muoverei i suoi passi seguenti, e la scelta di allontanarsi - seppur per un breve periodo - da Besaid gli sembrò quella migliore; aveva bisogno di passare del tempo con Joon e di separarsi da un luogo che aveva recato loro dei danni ancora non definibili, per poter quantomeno identificarli e dar loro un nome. La distanza sarebbe stata necessaria, ma non dall'amico, la cui presenza era fondamentale ed irrinunciabile. Le dita di Jungkook allora tornarono a stringere quelle di Joon non prima di aver indicato le sue intenzioni, punteggiate da un contatto che limpido e sincero non lasciava alcuna ombra di dubbio dietro di sè. «Non posso stare senza di te. Andiamo a Tromsø.»

    ◊◊◊

    12.04.2020 / Tromsø
    Non fu difficile per Jungkook abbandonarsi all'abbraccio familiare di Tromsø, trovandovi sollievo già dal primo giorno in compagnia di Joon. Sapeva che non avrebbe potuto lasciare Besaid definitivamente poichè i suoi ricordi legati sia al migliore amico che a Petra sarebbero svaniti, eppure dall'inizio della sua permanenza con i Løvenskiold-Kim molte corde che in lui risuonavano dissonanti avevano iniziato a vibrare più armoniosamente, sintomo del fatto che la lontananza dalla cittadina Norvegese gli aveva indubbiamente giovato. Un diverso tipo di assenza aveva preso piede in Jungkook, che allineatosi con le stesse sensazioni provate da Joon aveva reagito ad esse in modo diverso. Non era ansioso di ritornare alla vita, di sentirla addosso ed immergersi in essa; il corpo sembrava fermo, impigliato nelle sabbie mobili nonostante si muovesse e respirasse ogni giorno. La mente era immobile, tornata alla polvere dell'arena e non si era mossa da quell'incubo neanche per un giorno, tornando ad esso come se in quell'orrore avesse trovato un porto sicuro, una certezza maligna dalla quale Jungkook era spaventato di rimuoversi. Eppure, ancora ed ancora quella disfatta lo spezzava silenziosamente, lasciandogli una battaglia da combattere molto più ardua di quanto credesse. Durante quei primi giorni, il timore di sporcare il processo di guarigione di Joon con le proprie preoccupazioni aveva portato il minore a diventare una presenza quasi evanescente, chiusa in una quiete immobile, priva di gesti e segni se non quando assolutamente necessario a comunicare. Osservava il migliore amico, vi gravitava attorno come un satellite senza però avvicinarsi troppo, estendendo volontariamente i propri spazi per non collimare con i suoi ed invaderli con il nero che traboccava da essi. Il distacco con Joon, tuttavia, non sarebbe stato possibile. Per quanto cauto, Jungkook dovette fare i conti con un bisogno viscerale di riunirsi al migliore amico, assicurandosi che stesse bene e che il suo recupero fosse stabile; non avrebbe sopportato altri giorni di lontananza, specialmente ora che la guarigione di Joon era diventata centrale per lui. Un evento così terribile non aveva mai attraversato le vite di nessuno dei due, ma sapere il migliore amico perso negli orrori del passato era stato un nuovo tipo di dolore da provare; nessuno avrebbe salvato Joon se non lui stesso, e l'impossibilità di poter spazzare via quella sofferenza richiedeva ulteriore pazienza a Jungkook, pronto a fare di tutto per alleviare almeno in minima parte i pesi che era certo si stessero annidando anche sulle spalle del ragazzo che considerava suo fratello. Per il momento, Jungkook aveva bisogno di allontanarsi dalla realtà in cui era immerso, di concentrarsi su ciò che era al di fuori di lui per non cadere nel baratro che lo attendeva una volta rivolto lo sguardo all'interno.
    !! Ti ho preso! Arrenditi! Strillò Tove tra una risatina e l'altra, piazzando le manine contro le guance di Jungkook, placcato dal suo corpicino in un attacco non-troppo a sorpresa; le cinque bambine erano state per lui un dono di inestimabile valore, giacchè con loro aveva passato la maggior parte del suo tempo, intrattenendosi con ognuna in attività diverse. Che fossero lunghe sessioni d'abbracci con Tuuliki, rotolarsi nell'erba con Astrid o fare la lotta con Tove, Jungkook aveva recuperato proprio attraverso quegli sguardi sinceri una serenità che per molti giorni gli era sembrata aliena. Le nipotine di Joon erano diventate anche un po' le sue, delle tenere alleate con cui sconfiggere delle paure apparentemente insormontabili. Un lento movimento della testa e l'alzarsi delle braccia costituirono l'immediata resa del ragazzo, che dopo aver schioccato un bacetto sulla guanciotta soffice della piccola potè sentire i piccoli palmi delle sue manine pressargli le guance. Sei il mio prigio- Kuku?! Spezzando la frase in un curioso sussulto, Tove potè rimirare dopo parecchi giorni le braccia scoperte del nuovo compagno di giochi, notando solo allora le cicatrici che gli solcavano i polsi. Che cosa sono? Ti sei fatto male? Hai fatto la lotta con qualche mostro? Domandò curiosa lei, lasciando che una cascata di domande risuonasse alle orecchie del giovane attraverso la sua vocetta gentile e sempre tinta da una punta di radiosa sete di sapere apparentemente mai mitigata. Jungkook allora sollevò lo sguardo sulle ditine di Tove che delineavano una delle cicatrici, restituendogli non il dolce tocco di una bambina ma quello crudele della lama di Eddie, che ancora sentiva affondare nella carne. Gli occhi si fecero più lucidi e fu allora che Jungkook tornò seduto, raccogliendo la piccola tra le braccia mentre l'aria iniziava a farsi più pesante, macchiata da una agitazione sempre più palpabile, come se il bisogno di proteggersi da quei crudeli attacchi fosse tornato sempre più forte e fisico. «Si pulcina, era un brutto mostro... Ma l'ho sconfitto.» Il suono statico di Virtual Voice tradì il panico che invece aveva preso piede in Jungkook, resosi conto della bugia appena pronunciata. Non è vero. E' ancora qui. I respiri presero velocemente ad accavallarsi, a spingersi gli uni con gli altri per raggiungere pugni d'aria inafferrabili, e con le mani leggermente tremanti e sporche di sangue invisibile, lasciò scivolare delicatamente il corpicino di Tove dal proprio, in modo da non esporla ad un momento così spiacevole. Portandosi un palmo contro il petto come a volersi assicurare che si muovesse ancora nonostante si alzasse ed abbassasse affannosamente, Jungkook si sollevò dal terreno, raggiungendo velocemente l'albero che, situato poco lontano, ospitava dalla parte opposta del suo tronco Joon, intento a godere della fertile bellezza della natura attorno a lui. Ad inumidire i fili d'erba attorno alle radici accorsero le lacrime che Jungkook iniziò a versare, stille cocenti e luminose che esorcizzavano la sua agitazione, espellendola in forma liquida dal suo corpo. Sembra non essere passato neanche un giorno. Che si riferisse al Mordersonn o al terribile incontro all'arena, Jungkook parve essere stato costretto a tornare indietro, ad un sè del passato pronto a combattere per la sopravvivenza tanto quanto spezzato da quella stessa battaglia. Pressato contro la corteccia ruvida dell'albero cercò quindi di avvertirne ogni venatura contro la schiena, mentre nel tentativo di calmarsi le stesse mani che ancora vedeva bagnate di rosso cercarono quelle di Joon, raggiungendone una che dietro di sè era appoggiata al diario ora chiuso, custode dei pensieri che il maggiore era solito registrare quotidianamente. La accolse nella propria e la strinse, cercando di farsi trascinare giù, verso una realtà che per quanto difficile ora sarebbe stata sicura molto più dei sogni, al momento infetti da immagini ancora pericolose. Ora ci sei tu. !!
    Per quanto può sembrare assurdo, non voglio dimenticare. Porgendo una tazza fumante al maggiore, Jungkook annuì silenziosamente alle sue parole, consapevole del fatto che serbassero le stesse intenzioni. Neanche lui era deciso a cancellare tutto ciò che riguardava Besaid, poichè era diventata parte della sua vita e del suo cuore; la maggior parte dei ricordi con Joon si sarebbero dissolti, e così anche la presenza di Petra, irremovibile dalle stanze della memoria di Jungkook. Avevano troppo da perdere per lasciar andare tutto, e una sola - per quanto terribile - brutta esperienza non avrebbe giustificato una perdita ancor più lacerante. «Nemmeno io.» Sospirò, chinandosi sui capelli dell'amico per posarvi un bacio e compiere gli stessi gesti contro la fronte e le guance, come se potesse tirar via un po' delle sue preoccupazioni attraverso quei teneri baci. Durante il loro primo incontro, Jungkook aveva avuto l'opportunità di scegliere, di scappare da Besaid per poter iniziare una vita nuova altrove, dimenticando ogni orrore vissuto lì per reinventarsi ancora una volta, eppure decise di proseguire, di restare, di ricordare. Non voglio scappare più. Si sedette allora al fianco di Joon, abbassando lo sguardo su di lui per scrutarne i lineamenti; era turbato, ed ogni sua increspatura emerse sulle sopracciglia e nello sguardo, velato d'inquietudine. Non posso rimanere qui, sapendo che perderò mano a mano i ricordi che mi legano a Besaid. Non voglio rimanere qui. Comprendendo fino in fondo i sentimenti che Joon aveva voluto condividere con lui, Jungkook annuì ancora una volta, posando una mano sul suo braccio per stringerlo appena in un tacito gesto di vicinanza, dando così voce alla risposta che avrebbe dato di lì a poco. Voglio partire... al più presto. Verrai con me, Jungkook?

    ◊◊◊

    20.04.2020 / Besaid
    Il sole non era del tutto rinato dalla coltre notturna quando Jungkook riaprì gli occhi. Tentò di richiuderli, ma assalito dagli incubi che stavolta informi erano tornati a fargli visita, iniziò ad abitare gli spazi della piccola casa come fosse uno spettro, aggirandosi per le stanze in cerca di pace. L'oscurità blu che sommergeva gli spazi rassomigliava a quella del mare, che qualche metro fuori da quella pittoresca ed accogliente dimora si muoveva placido ed eterno, bagnando le sponde Besaidiane a cui la coppia di amici era ritornata, separandosi in un amorevole e malinconico saluto dalla famiglia di Joon, che aveva offerto l'abitazione in dono a quest'ultimo per non lasciarlo ancora avvicinare troppo agli aculei taglienti dei ricordi legati al bosco della cittadina. Jungkook ne attraversò ogni piccola camera approdando infine al soggiorno, dove trovò Bobo pacificamente raccolto sul divano a lui dedicato. Sollevò il muso, ed intuite le intenzioni dell'amico umano, lo raggiunse pigramente sino all'ingresso, varcandolo assieme a lui. La pungente aria marina colpì Jungkook non appena mosse i primi passi sulla spiaggia, invadendogli i polmoni così come i capelli e la stoffa della t-shirt che indossava. Sarebbe arrivato in tempo. Troppe meteore si muovevano dentro di lui, infrangendosi in terribili colpi senza che potesse prevederlo; l'unico modo per lasciarsi attraversare da esso senza rimanerne distrutto era stato spegnersi, lasciare che la luce che solitamente lo illuminava si affievolisse. Tuttavia, quella mattina, Jungkook ne ebbe abbastanza. Avrebbe voluto svegliarsi per davvero, bagnarsi della luce del sole così come del freddo che accompagnava i suoi primi raggi, lasciare che i tremori lo scuotessero per ricordarsi di essere ancora lì, ancora carne, ancora vivo. La carezza gelida del vento gli avrebbe riempito il torace così come i colori timidi e meravigliosi del cielo lo sguardo, e si sarebbe ricordato di poter ancora sentire tutto ciò che lo circondava, non abitante di un corpo morto o esanime.
    I passi di Joon giunsero come una gradita sorpresa all'udito di Jungkook, stretto in uno spasmo di sottile dolore; era stato egoista, desiderando che a quell'ora sacrilega Joon lo raggiungesse, eppure quando fu lì vicino a lui, si rese conto di aver dimenticato ogni indumento più coprente anche per questo. In quel tanto combattuto momento di pace, Jungkook non desiderava la solitudine, ma la compagnia della persona che lo incarnava. Jungkook... ehi, dove sono finiti i piccolini? Confuso da quella breve domanda che ancora sapeva di torpore, il ragazzo socchiuse gli occhi, felice di essere stato raggiunto da delle carezze tanto gentili. Grazie. Un sorriso sbocciò allora sulle sue labbra, timido e dolce, cogliendo infine il messaggio spensierato e tenero del migliore amico, che invitò ad accomodarsi al proprio fianco. Non vedevi l'ora di scendere dal letto questa mattina? Racchiudendosi nella coperta che gli era stata premurosamente avvolta attorno alle spalle, Jungkook si fece più vicino, appoggiando la testa dalla capugliatura arruffata contro la spalla di Joon prima di imprimervi un bacio, lo sguardo ancora impegnato ad accogliere i colori del cielo pronto a germogliare in un giorno nuovo. Aah... ora capisco il perché. Ancora una volta, i silenzi accumulatisi tra loro non si rivelarono un ostacolo, fornendo ora all'uno ora all'altro le risposte che ricercavano nell'interrogarsi a vicenda; Jungkook però spezzò quella tacita intesa in un delicato cenno negativo, spostando lo sguardo sino ad accarezzare quello di Joon, profondo e buono. «Sei tu. L'alba che avevo bisogno di vedere sei tu.» Chiarì il minore, avvolgendo una mano attorno alla stampella che aveva aiutato Joon a raggiungerlo per poi spostarla al proprio fianco e cingere il torace del migliore amico con le braccia, riscaldandolo in una stretta premurosa e riconoscente. «Mi hai salvato, là fuori.» I gesti ripresero a fare da contrappunto al silenzio di Jungkook solo dopo svariati minuti d'attesa, dopo cui il giovane raccolse l'avambraccio ferito dell'amico tra le braccia, accarezzandolo con attenzione. «Ma a quanto pare la mia versione zombie ti dimostra di volerti bene sempre tirandoti i morsi, eh? Mi dispiace.. Non avrebbe dovuto accaderti nulla.» Nonostante il sentito tentativo di illuminare quel discorso particolarmente ombroso, Jungkook non potè fare a meno di sospirare, indagando il sole che placidamente si innalzava in un cielo ibrido, figlio sia del giorno che della notte. «C'è una cosa che ancora mi fa tanta paura, Joon.» Tracciando con tocchi leggerissimi e lievemente tremuli le fasciature che ricoprivano quella porzione di pelle del migliore amico, Jungkook chinò il capo, raccogliendo per qualche lungo istante i suoi pensieri irrequieti prima di esporli all'altro. «Prima di attaccarti io.. Non sapevo chi fossi. Non ne avevo idea... E ho paura di sapere che qualcuno là fuori potrebbe farlo di nuovo, separarmi da te. Ho davvero avuto paura di perderti.»
     
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    Non aveva smesso di osservarlo, alzando lo sguardo di tanto in tanto per incontrare la figura di Jungkook che era impegnato a divertirsi con una delle nipoti, correndo di qua e di là, pronto a esternare una gran quantità di gioiosa energia nel rincorrere le gambette veloci e scattanti di Tove. Joon, d'altro canto, trovandosi costretto al riposo da quelle attività di movimento intenso, non aveva avuto la possibilità di partecipare, anche se sarebbe stato impossibile estrarsi del tutto da quello spettacolo di vitalità che gli si era presentato davanti agli occhi: aveva l'impressione di star osservando dei piccoli capretti che si sfidavano in un gioco non esente da improvvisi colpi di scena ma in cui, il più delle volte, il migliore amico permetteva alla giovane sfidante di avere la meglio. E così, mentre alternava lo sguardo fra le pagine del proprio diario e le figure dei due a poca distanza da lui, riuscì a cogliere il momento esatto in cui la stabilità di Jungkook parve incrinarsi. Non si agitò, non permise al volto di contrarsi in un'espressione preoccupata. Come sempre, optò per la pazienza: sapeva che Jungkook l'avrebbe raggiunto presto e, nell'aspettare di avvertire i passi accelerati dall'inquietudine del più giovane, si occupò di metter fine per un po' al suo lavorio di scrittura. Come una delicata pioggia estiva, ogni goccia che abbandonava il viso di Jungkook sembrava chiamare il nome del migliore amico nell'infrangersi contro il verde manto che li circondava. E, per qualche secondo, gli sembrò davvero reale l'allucinazione di sentire la voce dell'altro. Ne strinse il palmo nel suo, lo invitò a farsi più vicino. Perché non ti stendi qui per riprenderti un po'? Gli suggerì con cautela, mostrandogli un piccolo sorriso e accettandolo nel suo spazio senza costringerlo a far nulla, piuttosto conducendolo verso acque più tranquille attraverso il tono modulato e dolce. Quando finalmente Jungkook posò la testa contro la gamba di Joon, allora il più grande si premurò di sciogliere i nodi fra i capelli di Jungkook come se potesse toccare con le punte delle dita le profondità più scure e spaventose dei pensieri del giovane. Avrebbe continuato in eterno se avesse dovuto, proteggendolo e proteggendosi di conseguenza, creando con ogni tocco e carezza una solida difesa contro le ostilità del mondo che li circondava, contro i fantasmi visibili solo agli occhi di entrambi. Ci siamo solo noi qui. Sono con te e tu sei con me. Non c'è nient'altro, nessun altro. Sussurrò nel chiudere gli occhi e riuscì ad abbandonarsi ad un piccolo sospiro, lasciando che la nuca tornasse ad incontrare il tronco alle sue spalle.

    ◊◊◊

    Quando i due amici tornarono a guardarsi, tutto all'interno della mente di Joon parve essere in grado di passare in secondo piano. Al pari di un vero e proprio battesimo, i due sarebbero stati bagnati dai primi tiepidi raggi di quel nuovo giorno mentre non facevano altro che andare incontro a ciò che non sarebbe mai mutato: la vicinanza di uno all'altro, il fondamentale bisogno di ritrovarsi che era diventato tanto vitale per entrambi. Ogni fibra che componeva il suo corpo, ogni atomo, l'essenza tutta delle sue membra era stata modificata, oppressa e lacerata anche da colui che stava guardando in quel momento e, nel vedersi rispecchiato all'interno dei due pozzi oscuri e profondi che costituivano gli occhi di Jungkook, il più grande non provò odio, non provò vendetta. Non avrebbe mai potuto rivolgere dei pensieri tanto ostili a quello che considerava un fratello, non sarebbe potuto scivolare nella forma più primitiva di paura, non avrebbe voltato le spalle a Jungkook. L'alba che avevo bisogno di vedere sei tu. Così, mentre il viso pallido e tondo dell'astro si alzava dalla profonda coltre del sonno, Joon si trovò ad essere abbracciato prima dagli occhi e poi dalle mani di Jungkook, pronto ad abbandonarsi a quei contatti nel restituirne altrettanti con affetto; perduti e miserabili come tutti, non credevano di avere null'altro al mondo che non fossero quelle braccia, estensioni dei loro cuori, in grado di cingere l'altro corpo con delicatezza e premura. Nell'emergere dalla fonte battesimale avvertì il suo umore mutare, rendersi meno definito e tendere ad un'opacità dalle linee confuse, quasi come se nell'incontrare l'abbraccio di Jungkook si fosse unito a lui per formare una nuova realtà, trascolorando il suo originario pallore esausto. Si sentiva meglio e, per quanto riuscisse ad avvertire che quel silenzio fosse carico di angosce e preoccupazioni, cercò di trattenere il panico, godendo di quei pochi istanti di serenità confusa che gli annunciavano la possibilità di riuscire in qualsiasi impresa senza però che egli potesse coglierne davvero il messaggio.
    Quindi si fece da parte, permettendo alle dita di Jungkook di intessere i suoi ragionamenti, lasciandosi accarezzare dallo stesso e socchiudendo appena gli occhi, schermando parzialmente alla vista quelle immagini forse per non rimanerne del tutto colpito, salvaguardandosi dal versare sentite pur inaspettate lacrime in un momento all'apparenza tranquillo come quello. Le labbra avvertirono la tensione di un piccolo sorriso e Joon rimase semplicemente fermo, attendendo che il più giovane potesse continuare ad esprimersi in totale libertà. No... non è stata opera mia. Sapeva bene ciò che l'altro stava suggerendo con quei brevi movimenti, tuttavia Joon era convinto del fatto che non avrebbe potuto portare sulle proprie spalle il peso e insieme l'onore di essere definito dal più giovane come il suo salvatore: Jungkook era stato tenace, forte e pronto a combattere per la sua vita senza che Joon potesse far nulla. L'aveva raggiunto l'ultima volta per poi svenire del tutto, fatto a brandelli dal dolore che l'aveva colpito in più parti, così zelante nel farsi avvertire con la sua stretta ovunque riuscisse ad allungare le dita uncinate. Sarebbe potuto intervenire, porre attenzione e lustro alle responsabilità che lo stesso organismo di Jungkook aveva messo in pratica per la salvaguardia del più giovane, tuttavia decise di proseguire per quella strada di silenzio e ascolto. Mi dispiace... non avrebbe dovuto accaderti nulla. Mentre rifletteva sulle parole appena pronunciate da Jungkook, che aveva cercato di tracciare con una pennellata brillante uno spazio di respiro fra quella trama fitta e scura, Joon riuscì ad esalare un piccolo respiro divertito, uno sbuffo che gli passò attraverso le narici all'idea di ricevere ancora e ancora degli amorevoli morsi da parte di Jungkook: era successo la prima volta e poi di nuovo, cosa gli assicurava che non sarebbe accaduto una terza volta? sarebbe stato completamente divorato un giorno dal migliore amico? Non seppe definire il perché fosse naufragato nel bel mezzo di quegli irrazionali pensieri, ma quella lugubre ombra lo portò a cercare un contatto con se stesso, come a volersi confermare che ciò non sarebbe potuto succedere mai più. Era una sicurezza vacua e infondata ma, mentre si passava le dita contro il collo, avvertì il suo stesso battito ricordargli quanto aveva sopportato e quanto, in virtù di quell'amicizia, sarebbe stato disposto ad affrontare: una volta e per sempre.
    Tornò ad osservare i movimenti di Jungkook e, in perfetta osmosi con i sentimenti dell'altro, riuscì ad avvertirne la paura quando questo sfiorò con i polpastrelli la pelle libera dalle bende. Tracciò con lo sguardo il profilo del giovane che sedeva vicino a lui, baciato dalla pallida luce del giorno, e poté riconoscere il luccichio di sinistri lampi farsi più vivi negli occhi di Jungkook. Il rombo del tuono non sarebbe giunto alle orecchie di Joon, tuttavia riusciva a percepirlo attraverso le silenziose richieste e dichiarazioni del migliore amico: paura, distacco, solitudine. Tacque. Si tuffò nelle acque profonde senza paura di perdere il respiro, assottigliò la sua visione fino a quando non venne inondato dalla completa oscurità e, nuotando verso Jungkook, senza aver davvero bisogno di indicazioni, lo raggiunse ancora una volta. Raccolse le spalle dell'altro in un abbraccio e, pronto a risalire di nuovo in superficie, ripeté quei gesti che ormai per lui erano diventati un mantra quotidiano: affondò una mano nei capelli corvini del più giovane, appoggiò la guancia contro la testa dell'altro e, nel stringerlo in un fraterno abbraccio, lasciò che la luce facesse risplendere le molteplici facce di alcuni preziosi frammenti che si celavano nello spazio di quell'abbraccio. Sai Jungkook credo che importi poco che tu non ti sia ricordato di me... perché ci sarò sempre io a farlo per entrambi. Anche quando tu non potrai o non ne sarai in grado. Lo rassicurò girando appena il volto giusto per appoggiare le labbra contro le ciocche scure dell'altro, volendo piantare ogni piccolo tassello all'interno dei pensieri turbati dell'altro. Ricordava bene il volto di Jungkook, mutilato dalla violenza di quel posto infernale, reso vittima della forma più oscura del terrore che l'aveva costretto a scagliarsi contro Joon; non poteva dimenticare nemmeno i tentativi che aveva messo in atto per difendersi, permettendo all'istinto di sopravvivenza di calciar via ogni briciolo di ragionevolezza per immobilizzare il miglior amico. Prima di aprire le sue ferite ai ricordi in modo che questi potessero girare la lama nella sua carne, Joon si concentrò: non gli avrebbe permesso di abbandonarsi a quelle tenebrose illusioni, non avrebbe concesso alla mente di Jungkook di giocargli brutti scherzi e, allungando una mano verso il migliore amico, l'avrebbe trascinato verso di sé fino a quando ne avrebbe avuto la forza. E, conoscendosi, non si sarebbe mai stancato di compiere quelle azioni ancora e ancora.
    Spegni i miei occhi, io ti vedrò lo stesso. Sigilla le mie orecchie, io potrò udirti. E senza piedi camminare verso di te, e senza bocca tornare a invocarti. Nel citare uno fra i tanti poeti alla cui fonte di saggezza si avvicinava con umiltà per bagnarsi gli occhi, così da poter gettare lo sguardo con lucidità attraverso l'opacità del reale che lo circondava, immaginò di poter rispecchiare le sue vere e sincere intenzioni oltre ad essere in grado di poter rassicurare Jungkook su quel punto: non l'avrebbe mai perso. Lo so che hai paura, anch'io sono spaventato. E lo so che non c'è nessuna parola di conforto abbastanza forte da poter sorpassare le tante voci che ci girano per la testa... ma possiamo avere pazienza, e possiamo essere gentili con noi stessi, e possiamo ritirarci per un po' dal mondo. Perché questa è la nostra resistenza... e così come le tue ferite si sono cicatrizzate e le mie stanno facendo del loro meglio per rimarginarsi, anche i nostri pensieri troveranno la giusta quiete. Parlando piano, affidando le parole all'ascolto dell'altro e all'infrangersi delle onde sulla battigia, la mano libera di Joon raggiunse una di Jungkook per accarezzarla e stringerla leggermente, permettendosi di passare le dita contro le cicatrici irregolari che si erano formate sui polsi dell'altro. La voltò, facendogli rivolgere il palmo verso il cielo e scivolò dalla sua posizione solo per appoggiare il viso contro quello di Jungkook, lasciando che il suo sguardo rimanesse fisso sulle linee che componevano quella porzione della mano. Ne sfiorò una vena che protendeva dalla pelle e fece sì che Jungkook potesse intercettare la propria, in quello scambio di piccoli tocchi a malapena percettibili. Sei vivo, Jungkook, e lo sono anch'io. Non c'è davvero nient'altro che sappiamo fare meglio di questo. Se qualcuno volesse portarti via da me... Interruppe il flusso delle parole, raccogliendo di poco un angolo del labbro inferiore fra gli incisivi, permettendo alle dita di circondare il polso di Jungkook in un anello delicato ma presente. Dovranno riuscire a spezzarmi le dita. Un sorriso più luminoso illuminò il viso di Joon e, nel ricercare lo sguardo dell'altro, non fu in grado di trattenersi dal piantare un affettuoso bacio contro la tempia di Jungkook. Spostò quindi lo sguardo al cielo ritrovando una tela toccata da una fresca sinfonia, dalla luce cristallina ed acerba delle prime ore del giorno: il sole aveva ormai fatto allontanare ogni pennellata che portava le tonalità del blu della notte, modificando l'atmosfera e, inevitabilmente, anche lo sguardo di Joon. Oh... ho chiacchierato troppo.
     
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    La scossa d'ansia che l'aveva portato all'intorpidimento quasi totale permise a Jungkook di percepire solo due cose: le carezze pungenti dei fili d'erba che abbracciavano ogni centimetro del suo corpo e gli solleticavano la pelle, ed il peso salvifico dello sguardo di Joon, pronto ad avvolgerlo nel suo abbraccio invisibile. Perché non ti stendi qui per riprenderti un po'? Poi arrivò la sua voce, che echeggiò nelle stanze della sua mente come fosse la propria, ormai tanto parte di sè da non riuscire a distinguerla dall'esterno. Si aggrappò a quelle semplici e dolci indicazioni, seguendole alla lettera cadendo così morbidamente nelle braccia del manto erboso e nella tonicità della carne del migliore amico, a cui affidò la nuca. Gli occhi rimasero saldamente aperti, nel rifiutare di tornare ad un'oscurità in cui Jungkook si sentiva intrappolato e da cui solo Joon sarebbe stato capace di salvarlo. E così fece, carezza dopo carezza, offrendogli attenzioni premurose in cui rifugiarsi. Le lacrime continuavano a cadere, eppure Jungkook non si sentiva più sprofondare; avrebbe continuato a lottare per Joon e poi per se stesso, in modo che gli artigli del passato non trovassero più nulla a cui aggrapparsi per trascinare entrambi nelle sue spire dolorose. Sapeva che Joon stesse facendo altrettanto, mettendosi in prima linea per recuperare tutti e due dalle profondità delle loro paure, eppure Jungkook non avrebbe permesso che combattesse da solo, facendosi alleato piuttosto che zavorra: l'ultima cosa che voleva era gravare su di lui. Ci siamo solo noi qui. Sono con te e tu sei con me. Non c'è nient'altro, nessun altro. Un respiro dopo l'altro, frammenti di panico si rincorrevano nella gola assopita di Jungkook, che fissando lo sguardo sul volto del suo amico consanguineo ne ricalcava i lineamenti ancora ed ancora, tentando di raggiungerlo in quella foresta, a Tromsø, tra le sue braccia. Joon aveva ragione: erano insieme, erano soli. Per ora. Il mostro non era tornato a tentare di divorarli - stavano guarendo, stavano andando avanti. Jungkook pensò che si sarebbe trattato solo di una questione di tempo: lui avrebbe fatto ritorno, e con il suo incedere lento ed inesorabile avrebbe portato con sè anche il peso dei ricordi da cui era nato. Jungkook non avrebbe potuto scappare per sempre.
    Ne avvertiva i gorgoglii mostruosi anche mentre si lasciava scivolare via le coperte dal corpo nell'oscurità, come se si stesse preparando ad incontrarlo per combattere ancora una volta. Arrivo. Le pareti amorevoli della casa sembrarono voler schiacciare tutto ciò che si trovava dentro di esse, allora Jungkook ritenne più opportuno eludere la conchiglia protetta in cui si era rifugiato per tuffarsi all'esterno, nel freddo di un'alba embrionale. Si sentì subito al sicuro sapendo che avrebbe nuovamente visto il cielo tingersi di rosso, e pensò che sarebbe stato un campo di battaglia ideale. Giocherò in casa. Così, i ciottoli avevano preso a scricchiolare sotto ai passi di Jungkook, che avventuratosi nel freddo della spiaggia si preparò all'incontro che ormai da qualche tempo sentiva sin nelle ossa. Si sedette ed aspettò. Prima di lui però arrivò Joon, e Jungkook si soffermò a pensare ancora una volta a quanto quel ragazzo che tanto era diventato parte di lui fosse incredibile; non gli aveva parlato nè aveva chiesto aiuto, eppure era arrivato proprio nel momento in cui il terrore l'aveva colpito più crudelmente. Eccoti. Spaventato, eppure coraggioso abbastanza poiché si trovava là dove niente e nessuno avrebbe potuto fargli del male, Jungkook osservò il mostro emergere dall'acqua scura; per quanto terribile pareva bellissimo, incastonato nel cielo colmo di fratture solari e nella presenza accogliente di Joon. I suoi occhi ancora brillavano d'oro, vuoti ed al tempo stesso traboccanti di voracità mortale. Non era cambiato. Nel mentre, Jungkook si specchiava in quelli del maggiore una volta che entrambi furono vicini al mare, e si lasciò illuminare dalla sua compagnia rassicurante e tangibile, dall'amore infinito che sapeva condividessero. Non ci sarebbe stato esercito in grado di difendere Jungkook meglio del suo migliore amico e fratello, che con un solo affettuoso saluto era capace di farlo sentire completamente al sicuro. Era lui il suo nuovo rifugio, lo era diventato da quando Noah aveva abbandonato questa terra per lasciare posto a Jungkook, ed i tramonti Californiani avevano assunto i lineamenti delle mezze lune degli occhi di Joon.
    Intanto, i lugubri anelli dorati continuavano a fissarli, a scrutare ogni singola mossa della loro controparte, osservandolo dall'ombra e dall'interno finchè Jungkook non venne nuovamente colpito dal terrore. Il sole è accanto a me adesso. Le braccia del minore infatti si protesero verso di esso, stringendo a sè Joon con l'intento di ritrovarsi in lui e di proteggerlo al tempo stesso. Non voleva che considerasse il suo abbraccio alieno, sconosciuto, spaventoso. Voleva solo essere amore, casa, un fratello per lui, ed avrebbe tentato in tutti i modi di dimostrarglielo anche dopo tutto il male che era riuscito ad infliggergli, e nonostante la debolezza delle membra del più grande ancora prese a guarire dalle loro ferite, era Jungkook quello che si sentiva come se da un momento all'altro potesse spezzarsi. Tornò a guardare l'orizzonte e la creatura che l'aspettava pazientemente lì in mezzo all'acqua. Non più un'ombra, era tornato ad avere un volto identico al proprio, pronto a ricordargli quanto labile il confine fosse tra la vita e la morte, tra la pienezza e la fame. Joon sembrò voler incontrare il mostro prim'ancora dello scontro che attendeva Jungkook; probabilmente, aveva intuito il fatto che i primi colpi fossero già stati sferrati. Andò quindi in soccorso all'amico, riuscì a raggiungerlo nei meandri dei suoi pensieri e delle sue visioni, e proprio come aveva fatto a Tromsø, recuperò le sue ansie una ad una, raccogliendole nelle proprie carezze e nella propria stretta. Sai Jungkook credo che importi poco che tu non ti sia ricordato di me... perché ci sarò sempre io a farlo per entrambi. Anche quando tu non potrai o non ne sarai in grado. Il mostro sembrò quasi adombrato dalle parole di Joon: aveva osato sfidarlo? Jungkook poteva sentire l'eco delle sue grida ferine aldilà della riva, echeggiare come se stessero rimbombando nelle sue orecchie. Tuttavia Joon si avvicinava ancora e ancora, senza fermarsi, sino a raggiungere Jungkook e donargli ciò di cui aveva bisogno per lottare una volta per tutte contro la creatura che l'attendeva con crescente impazienza. Spegni i miei occhi, io ti vedrò lo stesso. Sigilla le mie orecchie, io potrò udirti. E senza piedi camminare verso di te, e senza bocca tornare a invocarti. Restio persino a sbattere le palpebre come se ogni minimo movimento potesse interrompere il flusso del suono della voce di Joon, Jungkook potè avvertire le rime dei suoi occhi riempirsi di lacrime, bagnarsi della luce del mattino tanto quanto delle parole dell'altro, comprendendone immediatamente il significato. Così come le cicatrici che gli segnavano la pelle, anche i baci ed i dolci tocchi di Joon gli sarebbero rimasti impressi nel corpo e nella memoria; erano l'uno parte dell'altro, e come un braccio non può essere strappato dal corpo a cui appartiene se non con violenza, così Jungkook non si sarebbe separato da suo fratello se non reciso da lui con un taglio netto.
    Lo so che hai paura, anch'io sono spaventato. E lo so che non c'è nessuna parola di conforto abbastanza forte da poter sorpassare le tante voci che ci girano per la testa... ma possiamo avere pazienza, e possiamo essere gentili con noi stessi, e possiamo ritirarci per un po' dal mondo. Perché questa è la nostra resistenza... e così come le tue ferite si sono cicatrizzate e le mie stanno facendo del loro meglio per rimarginarsi, anche i nostri pensieri troveranno la giusta quiete. Come sempre, Joon aveva pronunciato paroleprofondamente vere, eppure, fermo a riflettere su di esse, Jungkook si rese conto di aver percepito una discrepanza in quell'affettuoso e profondo discorso: ce l'abbiamo già fatta. Le guance presero a bagnarsi mentre, chinando il capo, il minore tentava di osservare le tracce del passaggio delle dita di Joon sulle proprie mani. Ce l'abbiamo già fatta. Si ripetè ancora e ancora, raggiungendo come in gesti già codificati nel suo corpo le carezze che il più grande gli rivolgeva andando loro incontro, in impercettibili tocchi dei polpastrelli, lasciando che quelli dell'altro solcassero le cicatrici che gli attraversavano i polsi. Sei vivo, Jungkook, e lo sono anch'io. Non c'è davvero nient'altro che sappiamo fare meglio di questo. Se qualcuno volesse portarti via da me... Gli occhi si spalancarono appena nell'avvertire la presa flebile ma sempre presente delle mani di Joon, il polso fermo nell'anello carnoso che l'avvolgeva con la forza irremovibile di una roccia. Dovranno riuscire a spezzarmi le dita. La mano libera allora andò a posarsi sopra a quella di Joon, accarezzandone la stretta mentre il fantasma di un sorriso piegò le labbra di Jungkook. Ce l'abbiamo già fatta. Lo so. Di colpo, tutta la paura svanì. Jungkook comprese, attraverso le parole ed i gesti di Joon, di aver già scalato la sua montagna: aveva già vissuto il momento in cui non riusciva a sentirlo, in cui non avrebbe potuto invocarlo con il suono della parola, quello in cui con violenza era stato strappato via da lui. Eppure adesso erano insieme. Dopo l'incubo di ogni più terribile scenario erano ancora insieme. Oh... ho chiacchierato troppo. Ce l'avrebbero fatta per sempre, a prescindere da ogni avversità, e Jungkook si riempì di quella consapevolezza, lasciando che altre lacrime bagnassero le sue dita intrecciate a quelle di Joon. Stavolta erano gocce di sollievo, e non potè che esserne più felice. Tornò quindi a guardare l'amico, e dopo aver fissato a lungo i suoi lineamenti nella memoria si chinò, ricercando la fasciatura sul suo braccio per lasciargli un bacio, proprio là dove tempo prima aveva affondato i denti non una, ma per ben due volte. Pressò le labbra contro quel tessuto sottile per dei lunghi secondi come se volesse assorbire il dolore che quei contatti avevano causato, ed una volta soddisfatto si rialzò, tornando ad indagare l'ombra che inamovibile rimaneva ferma all'orizzonte. Aveva preso ad avvicinarsi, era pronto.
    Se qualcuno volesse portarti via da me... Dovranno riuscire a spezzarmi le dita.
    Senza fretta o ansia Jungkook slacciò l'intreccio con le mani del migliore amico e si lasciò scivolare la coperta dalle spalle, alzandosi in piedi dal tronco cavo che ospitava la sua figura. Lanciò uno sguardo sorridente al più grande, e poi si incamminò verso la battigia, avanzando in direzione della sagoma del mostro che l'aveva risvegliato. Continuò a camminare noncurante persino dell'acqua gelata che ora gli arrivava alle caviglie e gli ricordava di Joon, della sua vita calda e pulsante nelle vene. Nel mondo effimero dei pensieri però Jungkook non si fermò alla riva, proseguendo avanti, avanti ed avanti ancora finchè non arrivò all'orizzonte, nelle acque che esigevano l'apnea per raggiungere la creatura che dagli occhi dorati e rabbiosi finalmente avrebbe ottenuto lo scontro che tanto desiderava. Oramai l'uno di fronte all'altro, Jungkook fu costretto ad osservare se stesso: Joon gli aveva sempre fornito la risposta, mostrandogliela sin dal loro primo incontro, eppure non era riuscito a vederla. Dunque, seguendo i passi del più grande, da sempre sua guida ed ispirazione, Jungkook ne imitò i movimenti ancora una volta, avvolgendo le braccia attorno al torace del mostro per spingerlo contro di sè e tenerlo stretto in un abbraccio realmente ricolmo d'affetto ed amore incondizionato. Ancora le ricordava le braccia di Joon attorno alle gambe, l'impossibilità di tornare da lui. Ora però era tutto diverso, lo sentiva sin nelle ossa, e così come non avrebbe più lasciato andare la creatura, non l'avrebbe fatto nemmeno con suo fratello. I gorgoglii inquietanti non cessarono, ma non sembravano ferini, non più. Le acque allora di colpo svanirono, restituendo Jungkook al suo presente ed al freddo che lo avvolgeva. Prese un ampio respiro, si assicurò che la vita non gli avesse abbandonato i polmoni e si chinò del tutto, bagnando le ginocchia nell'acqua marina per portarsene una manciata al volto, risciacquandolo così di ogni stilla del passato ora tornato fermamente nella memoria. Solo dopo Jungkook si risollevò, piantando i piedi sulla riva per tornare da Joon e dedicargli il più sereno dei suoi sorrisi in molto tempo. Allungò un braccio, e con una mano ancora umida raggiunse una di quelle di Joon, raccogliendola nel proprio palmo per poia lasciarvi delle tenui carezze con il pollice quasi senza rendersene conto. «Ti va di tornare a casa?» Gesticolò infine, con il desiderio di tornare alla vita ed alla guarigione con Joon prendendosi cura di lui, proprio come il maggiore aveva fatto fino a quel momento. Gli offrì allora la sua stampella, e gli suggerì con un cenno del capo di seguirlo, in attesa di poter passare una nuova giornata insieme. «Io ho fame… Mangi qualcosa con me?»
     
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    There the tree rises. Oh, pure surpassing!
    Oh, Orpheus sings! Oh, great tree of sound!
    And all is silent, And from this silence arise
    New beginnings, intimations, changings.

    L'aveva visto piangere altre volte, forse troppe volte - tuttavia in ogni occasione non riusciva ad abituarsi all'immagine delle guance del migliore amico mentre venivano rigate e attraversate da altre calde e copiose lacrime. Trattenne per qualche secondo il respiro, cercando di analizzare, in quella brevissima parentesi di tempo, se avesse davanti lacrime liberatorie o scaturite da un moto di profonda angoscia; nell'osservare gli occhi ingemmati dell'altro, riuscì a percepire il respiro perfino più ampio di ciò che, con coraggio, sembrava star affrontando in quei momenti. Allora fu in grado di tranquillizzarsi, perché il corpo di Jungkook lo avrebbe guidato ancora una volta, ricostruendo quell'equilibrio sulla base di più sereni respiri. Non si allarmò troppo, permettendogli di ottenere tutto lo spazio che voleva, lasciando che le lacrime continuassero a fluire fino a raggiungere le loro dita intrecciate. Quando l'inizio di un sorriso alzò verso l'alto gli angoli della bocca di Jungkook, Joon credette di aver fatto quanto necessario per calmare l'amico: silenzioso spettatore della sua stabilità ritrovata. Lo seguì con lo sguardo quando si chinò per baciargli l'area del braccio destro, interrompendo sul nascere una risatina intenerita, chiedendosi se l'altro avrebbe mai terminato di chiedergli "scusa" per delle azioni compiute in momenti in cui non era stato in grado di controllarsi. Ehi, Jungkook, va tutto bene... sarà come nuovo in non molto. Gli sussurrò, sapendo di non poterlo raggiungere, immaginando che quel piccolo gesto facesse parte di un rituale più grande di Jungkook stesso e che il ragazzo era deciso ad intraprendere: quando tornò a guardarlo, il migliore amico sembrò addirittura assente, dimostrandosi in grado di raggiungere ulteriori stati di coscienza. Joon preferì semplicemente rimanere in silenzio, lasciando che fosse il più giovane a diventare il suo stesso maestro e punto di riferimento, in modo che il suo baricentro venisse ricalibrato così da non farlo più vacillare. Il maggiore sapeva che non era la perfetta stasi che avrebbe permesso a Jungkook di trovare la serenità, ma una danza continua, un ripetersi di indagini in se stesso per se stesso. Così si fece da parte, prendendosi le mani nelle sue, attendendo il ritorno dell'amico dopo il prodigio.
    Nell'osservare da lontano quel rito che avrebbe per sempre nascosto ogni spiegazione plausibile agli occhi di Joon, il ragazzo non si inquietò ma, al contrario, immaginò di poter tracciare dei tratti invisibili che connettevano Jungkook alla parte di sé che, più che dimenticare, avrebbe dovuto assorbire. Erano dei fili dorati, proprio come gli occhi che aveva avuto il coraggio di fissare qualche tempo prima, fra l'odore pregnante di sangue e la ferina violenza che li aveva quasi asfissiati, rendendoli due completi estranei. Proprio come Orfeo, anche Jungkook aveva dovuto affrontare una dolorosa discesa negli inferi, per riconquistare il suo amato, se stesso, per tornare davanti a Joon ricco di una rinnovata energia. Quando lasciò scivolare lo sguardo sulla mano bagnata del migliore amico, il maggiore sorrise pigramente prima di afferrarla, permettendo all'altro di aiutarlo ad alzarsi. Non è un po' fredda l'acqua? Gli domandò prima che l'altro potesse parlargli, una volta rimessosi in piedi e dopo aver riposizionato la stampella sotto il braccio in modo da iniziare a camminare verso casa insieme all'amico. Sì, torniamo a casa. E sì... ho decisamente fame. Rispose serenamente, annuendo nel ripercorrere il breve tratto di spiaggia che li divideva dall'ingresso della loro nuova abitazione. Si guardò attorno, senza distrarsi troppo da dove metteva i piedi, cercando con lo sguardo Bobo prima di lanciare un piccolo fischio così da richiamarlo; in men che non si dica tutti e tre si trovarono all'interno delle sicure mura di casa e Joon cercò come meglio poté di togliersi di dosso un po' di sabbia in modo da non disperderla ovunque - Bobo non fu dello stesso avviso e, già troppo stanco, si gettò sul divano con la chiara intenzione di riprendere a dormire quanto prima. Ehi, credi sia avanzato qualcosa da ieri sera? Del riso? Ragionò ad alta voce, spostandosi insieme all'amico nella piccola cucina adiacente al salotto e all'ingresso. La luce entrava timida e pallida da un paio di finestre che, nonostante fossero chiuse, risultavano porose e permeabili rispetto l'aria piena di salsedine.
    Rispetto agli ampi spazi della casa nel bosco, quella in cui si erano spostati risultava essere più raccolta ed intima ma non per questo mancava di ogni angolo necessario alla vita di entrambi: c'erano i loro letti, i possedimenti che avevano recuperato altri per loro, il loro cibo e la compagnia reciproca. Joon si chiedeva spesso se avrebbe mai più fatto ritorno in casa sua che, per lui, non si limitava esclusivamente al perimetro dei propri possedimenti piuttosto si estendeva in alto, fino alla punta verde delle foglie baciate dal sole e in basso, nelle profondità, nell'intricato abbraccio fra radici e rizomi. Ora che Jungkook era stato soggetto e fautore di un nuovo battesimo, il retro della mente di Joon continuava ad interrogarlo sulle possibilità della sua rinascita, della sua tregua con ciò che lo aveva segnato, forse irrimediabilmente, in quell'arena. Io... uhm, preferisci il tè o il caffè? Penso di prendere un tè verde. Si rivolse a Jungkook con calma, iniziando ad aprire qualche anta prima di riuscire ad individuare il bollitore; litigò per qualche secondo con il gas e quando lo sentì scoppiettare al di sotto del bollitore allora si sentì più soddisfatto, appoggiandosi al bancone così da poter osservare le azioni dell'altro. Ah, forse c'è anche del kimchi... Ragionò ad alta voce, picchiettandosi il mento per poi occuparsi di altro, così che il piccolo tavolo rotondo che c'era in cucina fosse pronto per accogliere la colazione di entrambi. Ci posizionò un paio di tovagliette nel modo più ordinato possibile, le bacchette di entrambi e le tazze per accompagnare la colazione di quella mattina.
    Di solito Joon si adeguava alla dieta dell'altro ma, dopo diversi richiami da parte dei dottori che lo stavano seguendo, si era impegnato per inserire quando riusciva qualche porzione di pesce o delle uova. Voleva guarire nel migliore dei modi anche se spesso con i suoi tentativi in cucina non otteneva risultati felici. Osservò per qualche secondo il tuorlo ondeggiare sull'olio sfrigolante, almeno fino a quando non chiuse la padella sotto un coperchio. Quel cerchio giallo e definito gli aveva ricordato il sole che li aveva accolti entrambi in quella nuova giornata: forse la sua guarigione si sarebbe svolta in quel modo, giorno dopo giorno, senza che Joon potesse davvero accorgersene. Quando tutti e due si trovarono uno di fronte all'altro, Joon assaporò ogni boccone con calma, evidentemente ancora pensieroso. Jungkook, tu credi... Lo chiamò infine, raggiungendolo solo con la voce, evadendo per qualche secondo dallo sguardo dell'altro per gettare il proprio al di là della finestra; osservò per poco tempo la risacca e, dal movimento delle onde, immaginò che una brezza più fredda stesse sferzando contro la superficie e la sabbia. Credi che dovremmo tornare? A casa? A vedere cos'è rimasto... cos'è rimasto dell'arena? Non avrebbe mai creduto che qualcosa sarebbe stato in grado di profanare il loro santuario, lì dove per la prima volta le loro energie si erano intrecciate, facendo affidamento l'una sull'altra in momenti altrettanto confusionari. La voce, malinconica e incerta, parve incapace di nascondere qualche punta di confusa rabbia che, probabilmente, non si sarebbe mai più assopita.
     
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    Ehi, Jungkook, va tutto bene... sarà come nuovo in non molto. Ancora una volta, come un'ancora nella tempesta la voce di Joon fermò Jungkook tra le onde più tumultuose che agitavano le sue emozioni, affondando nel pantano sottostante per lui, in modo che potesse aggrapparsi al suo timbro basso ed al suo conforto, che sapeva in quel momento non arrivasse senza un durissimo lavoro. Avevano entrambi già faticato tanto. Non lo sarebbe mai senza di te. Era Joon il perno attorno a cui ogni pensiero ruotava in quel momento, la persona che con la sua potentissima compassione e gentilezza aveva aiutato Jungkook trasformandosi nel bandolo della matassa, l'irremovibile centro in cui rifugiarsi. Eppure adesso sapeva di dover combattere da solo, non unicamente per se stesso ma anche per Joon. Gli era sempre stato grato, sin da quando l'aveva preso con sè e fino a quel preciso momento, in cui il peso del suo silenzio lo aiutava a trovare un equilibrio che sembrava perduto. Non tutti potevano vantare un privilegio tanto grande come quello di ricevere generosità ed amore anche nei momenti in cui si è più abrasivi e pericolosi, e Jungkook non avrebbe reso quel dono vano. Lo onorò immergendosi nell'acqua gelida ed affrontando un mostro più grande di lui, che anche era lui, il suo specchio, le sue ossa ed i suoi denti, ma anche il suo cuore ed i suoi occhi, che avevano visto Joon per primo una volta riemerso dalla terra. E tornò a lui ancora una volta dopo essere andato oltre la vita, cercando la sua mano e la sua presa tenera e salda, che nell'intrecciarsi alle sue dita gli regalarono preziosissima linfa vitale, Jungkook nient'altro che una farfalla uscita dalla crisalide tra i rami forti e bellissimi di Joon. Non è un po' fredda l'acqua? Fu allora che Jungkook si voltò verso la casa che condivideva con Joon, più sollevato e felice di ritornarvi assieme all'amico. Aveva passato abbastanza tempo senza un luogo da chiamare tale e pensava che ora che aveva trovato Joon non ci fosse più bisogno di desiderarla, almeno non tra muri e mattoni. Casa era lì, raccolta nella sua mano, nel suo udito, nel calore che sempre Joon sprigionava. «Un po'..» Segnò con una mano Jungkook, aprendosi ora in un piccolo ma più luminoso sorriso, che pian piano si estese sino a diventare una leggera risata. In quelle poche vibrazioni del petto però Jungkook sentì di star dissipando dei pesi enormi che ora si libravano nell'aria come semplici respiri.
    Sì, torniamo a casa. E sì... ho decisamente fame. Lasciandosi alle spalle l'orizzonte infinito del mare e tutti i suoi misteri, i due amici tornarono all'interno della loro casina, assieme a Bobo che vegliava su di loro e riposava. Nel dibattere sulla colazione, Jungkook e Joon scivolarono in una piacevole quotidianità che tanto domestica e semplice riuscì a radicare entrambi nel presente. Tra un po' di riso fritto al kimchi, del tè e qualche parola soffice i minuti continuavano a passare, ed il velo di malinconia che copriva lo sguardo di Joon non aveva accennato a diradarsi. Jungkook non aveva fatto parola di questo con lui, sapendo che ogni turbamento si sarebbe dissolto con i propri tempi, ma parte della guarigione era stata per lui anche ammettere di non poter aiutare il suo amico tanto quanto avrebbe voluto. C'erano state delle ferite il cui dolore solo Joon era riuscito ad alleviare, ma forse in quel momento il meglio che Jungkook avrebbe potuto fare per lui sarebbe stato non lasciarlo, stargli vicino, offrire un supporto quieto, quasi invisibile ma sempre e comunque presente, in ogni momento. Le bacchette ruppero il tuorlo molle dell'uovo, e scivolando nel riso vi sanguinava all'interno come la luce del sole nella piccola casa, e come un timido bagliore di speranza nei due amici. Ad ogni boccone Jungkook sembrava portare in sè non solo nuovo nutrimento ma anche nuove consapevolezze, finalmente più libero di considerare il movimento delle sue labbra o lo sbattere dei suoi denti come qualcosa di umano, semplice, funzionale. Stava vivendo, e Joon insieme a lui. Un chicco di riso alla volta. Jungkook, tu credi... In cuor proprio conosceva già la domanda che Joon gli avrebbe presto rivolto, e tornando a dedicargli tutta la sua attenzione, Jungkook gli sorrise appena, posando le bacchette in modo da poter parlare. Non si mosse ancora però, attendendo che l'amico concludesse il suo pensiero. Lo cercava con lo sguardo, ma accolse anche la piccola evasione del più grande, sperando che in quei momenti tanto fragili e delicati non lo stesse pressando troppo. Credi che dovremmo tornare? A casa? A vedere cos'è rimasto... cos'è rimasto dell'arena? Aveva sentito quei suoni accarezzargli l'udito così come il palato, e la rabbia sottesa nella voce di Joon lo portò a notare come quei pochi frammenti di gochugaru non dissolti si stessero trasformando in sangue, metallico ed acre sulla soglia della gola. Jungkook però non smise di ascoltare Joon nè di rivolgergli uno sguardo ed un sorriso affettuoso, impossibilitato nel trattenersi ed a raggiungere la mano del suo amico a pochi centimetri da lui, sfiorandone le nocche, le dita ed infine il suo polso intatto e pulsante, sotto ai polpastrelli. Gli strinse il palmo per qualche attimo, e solo dopo sollevò le spalle, iniziando a parlare proprio mentre il cielo si faceva più azzurro e il mare cullava entrambi con il movimento continuo delle sue onde. «Io.. Penso che siamo già a casa. Siamo noi ciò che è rimasto dell'arena.» Segnò lentamente Jungkook, senza mai interrompere un contatto visivo dolce con Joon. «Ma penso anche che non ci sia altro a cui tornare - lo stiamo già facendo. Adesso, ieri, il giorno prima e quelli che verranno dopo. Dobbiamo vivere Joon. Tu sei la mia casa, che sia nel bosco o nella sabbia di un'arena maledetta tu sei la mia famiglia, ed io vado dove tu vai. Non ti lascio solo.» Nel formare ogni parola con le sue mani o con le sue labbra Jungkook mostrava tutta la sua decisione, l'intenzione adamantina di voler guarire insieme a Joon, ma anche la speranza che lo stessero già facendo, ad ogni risveglio o ogni alba come quella. «Però se tu mi chiedessi ora di tornare là, proprio dove è successo tutto, io ci andrei senza pensarci due volte. Se potrebbe aiutarti a stare meglio, ci tornerei anche volentieri.» Aggiunse senza dare adito ad alcuna incomprensione, estenendo il proprio sorriso in modo da rassicurare Joon ulteriormente. «Non c'è alcun passo che dovrai fare da solo se non lo vuoi.. Ma non sentirti come se dovessi per forza spostarti per percorrere delle miglia, l'hai già fatto e sei qui. L'unica cosa a cui dobbiamo tornare adesso è la nostra vita - con tutto il tempo che ci serve.»
     
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5 replies since 8/10/2020, 12:42   124 views
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